Parole per il cammino…
don Paolo
Parrocchia san Genesio Martire
NOTA e AVVERTENZA.
Cedendo alla benevola richiesta di qualche amico, metto ‘in rete’ le omelie di questo periodo
dell’anno liturgico “dopo l’Epifania” (2013)
La forma letteraria conserva il carattere originario di ‘appunto’.
Sono tracce per l’omelia, che poi pronuncio sempre a braccio, completando, abbreviando o sviluppando a seconda dell’ispirazione del momento, della reazione dell’assemblea, ecc.
I testi sono stati solo rapidamente rivisti per togliere qualche errore o espressione troppo
enigmatica.
Chiedo molta benevolenza al cortese Lettore.
Se qualcosa non fosse chiaro, espresso male o lasciasse intendere tesi poco ortodosse gli chiedo
il coraggio di parlarne personalmente.
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SOLENNITÀ DELL’EPIFANIA
6/1/2013
Epifania: manifestazione.
L’originalità del fatto cristiano: Dio si manifesta, si fa conoscere, si rivela.
Uno dei documenti più pregnanti del Concilio, la costituzione dogmatica DEI
VERBUM è appunto tutto dedicato alla Divina Rivelazione.
1. Manifestazione.
L’iniziativa è sempre di Dio precede ogni iniziativa dell’uomo. È Lui per primo
che ci illumina, ci orienta e ci guida, rispettando sempre la nostra libertà.
Rivelandosi e donandoci la grazia per poter accogliere questa rivelazione nella
fede, è Lui che ci fa entrare nella sua intimità e partecipare al sua mistero di vita.
Sant’Agostino, a partire dalla sua esperienza, ha detto che non siamo noi a possedere la Verità dopo averla cercata, ma è la Verità che ci cerca e ci possiede.
2. Come dunque Dio si manifesta/rivela nella storia degli uomini? Indico tre vie.
A] La prima: la creazione. Sant’Agostino afferma: «Interroga la bellezza
della terra, del mare, dell’aria rarefatta e dovunque espansa; interroga la bellezza
del cielo…, interroga tutte queste realtà. Tutte ti risponderanno: guardaci pure
e osserva come siamo belle. La loro bellezza è come un loro inno di lode. Ora
queste creature così belle, ma pur mutevoli, chi le ha fatte se non uno che è la
bellezza in modo immutabile?» (Sermo 241, 2: PL 38, 1134).
Il mondo non è un magma informe, ma più lo conosciamo e più ne scopriamo i
meravigliosi meccanismi, più vediamo un disegno, un progetto, vediamo che c’è
un’intelligenza creatrice.
Dobbiamo allora recuperare e far recuperare all’uomo d’oggi la capacità di contemplare la creazione, la sua bellezza, la sua struttura. Albert Einstein disse che
nelle leggi della natura «si rivela una ragione così superiore che tutta la razionalità del pensiero e degli ordinamenti umani è al confronto un riflesso assolutamente insignificante» (Il Mondo come lo vedo io, Roma 2005).
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B] La seconda via: l’essere umano. Sempre sant’Agostino, ha una celebre
frase in cui dice che Dio è più intimo a me di quanto lo sia io a me stesso (cfr
Confessioni III, 6, 11: «Tu infatti eri all’interno di me più del mio intimo e più in
alto della mia parte più alta», tanto che – aggiunge in un altro passo – «tu eri davanti a me; e io invece mi ero allontanato da me stesso, e non mi ritrovavo; e ancora meno ritrovavo te»). Da qui egli formula l’invito: «Non andare fuori di te,
rientra in te stesso: nell’uomo interiore abita la verità» (De vera religione, 39,
72).
Nel mondo rumoroso e dispersivo in cui viviamo rischiamo di smarrire la capacità di fermarci e di guardare in profondità in noi stessi e riscoprire quella sete di
infinito che portiamo dentro.
Quell’immagine di Dio che è impressa indelebilmente nella nostra interiorità ci
spinge sempre ad andare ‘oltre’ e rinvia a Qualcuno che la possa colmare in pienezza.
Dobbiamo allora coltivare in noi stessi l’apertura alla verità e alla bellezza, il gusto per il senso del bene morale, l’ascolto quotidiano della voce della coscienza;
dobbiamo mantenere alta l’aspirazione all’infinito e alla felicità vera…
Qui Dio rivela continuamente se stesso e la sua volontà di ammetterci alla comunione con il suo mistero di vita e di luce.
C] La terza via: la Parola.
Soprattutto nella realtà del nostro tempo (tempo assordante, rumoroso, scenografico, tecnologico, virtuale, mediatico…) dobbiamo ricordare che una via privilegiata attraverso cui Dio si rivela è la sua Parola.
Proprio nel Natale siamo posti di fronte al mistero di Dio che comunica se stesso
mediante il dono della sua Parola.
Questa Parola, che rimane in eterno, è entrata nel tempo.
Dio ha pronunciato la sua eterna Parola in modo umano; il suo Verbo «si fece
carne» (Gv 1,14).
Questa è la buona notizia. Questo è l’annunzio che attraversa i secoli, arrivando
fino a noi oggi.
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Dobbiamo allora riscoprire ciò che nel quotidiano rischiamo di dare per scontato: il fatto che Dio parli e risponda alle nostre domande.
Nella sua Parola Dio si fa presente e opera nella storia, converte la nostra vita
quotidiana, trasformando in noi mentalità, giudizi di valore, scelte e azioni concrete.
Affidarsi alla sua Parola non è illusione, fuga dalla realtà, comodo rifugio, sentimentalismo, ma è coinvolgimento di tutta la vita ed è annuncio del Vangelo,
Buona Notizia capace di liberare tutto l’uomo.
Un cristiano, una comunità che siano operosi e fedeli alla Parola di Dio che ci ha
amati per primo, costituiscono anche una via privilegiata per quanti sono
nell’indifferenza o nel dubbio circa la sua esistenza e la sua azione.
Questo, però, chiede a ciascuno di rendere sempre più consapevole la propria
adesione alla sua Parola, purificando la propria vita perché sia conforme a Cristo.
Nella poderosa esortazione apostolica post sinodale Verbum Domini (settembre
2010) il papa Benedetto XVI parla di una “sacramentalità della parola”.
Presenza reale, sostanziosa, efficace di Dio nella nostra vita, per darle senso, significato, scopo, orientamento e meta.
Come ha voluto fosse scritto sulla sua tomba il card. Martini:
«Lampada ai miei passi la tua parola, luce al mio cammino»
BATTESIMO DI GESÙ
13/1/2013
Anche oggi la parola del giorno (battesimo) è d’obbligo.
Il sacramento che ci dona lo Spirito Santo, facendoci diventare figli di Dio in Cristo.
Alla base del nostro cammino di fede c’è il Battesimo; segna l’ingresso nella comunità della fede, nella Chiesa.
Dal Battesimo in poi ogni credente è chiamato a ri-vivere e fare propria questa
confessione di fede, insieme ai fratelli.
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A) Battesimo: DONO DELLO SPIRITO - segno dell’amore preveniente
Alla base della nostra fede c’è sempre il gesto preveniente e gratuito di Dio.
Quindi non si crede da sé, senza il prevenire della grazia dello Spirito.
L’azione preveniente di Dio non lede la nostra libertà, ma è l’orizzonte entro cui
la nostra libertà può esprimersi in pienezza. Il dinamismo della libertà di manifesta proprio là dove noi siamo chiamati a prendere una decisione, dove dobbiamo
operare un discernimento, quando siamo messi di fronte ad una scelta decisiva e
fondamentale.
B) Battesimo: FIGLI DI DIO - segno di comunione con la Trinità
Il dono di Dio non è però finalizzato anzitutto a farci vivere in un certo modo
piuttosto di un altro.
Il dono di Dio è quello di farci entrare nel dinamismo della sua stessa vita,
che è vita di comunione.
L’azione di Dio è pertanto finalizzata a realizzare in noi l’immagine perfetta del
Figlio, nel quale tutto è stato creato.
Essere figli di Dio è sempre dono e compito, seme fecondo offerto alla nostra libertà, dignità incomparabile chiamata a farsi carne nella nostra vita.
C) Battesimo: segno ecclesiale
Il dono preveniente di Dio che ci vuole ammettere alla comunione con sé si concretizza e si rende possibile solo entrando nel dinamismo della comunione fraterna.
Non si crede da soli, ma insieme ai fratelli.
La fede è sempre fede ecclesiale: dalla chiesa, nella chiesa e per la chiesa.
Il Concilio Ecumenico Vaticano II lo ricorda: «Dio volle salvare e santificare gli
uomini non individualmente e senza alcun legame fra loro, ma volle costituire di
loro un popolo, che Lo riconoscesse nella verità e fedelmente Lo servisse» (Cost.
dogm. Lumen gentium, 9).
Non posso costruire la mia fede personale in un dialogo privato con Gesù, perché la fede mi viene donata da Dio attraverso una comunità credente che è la
Chiesa e mi inserisce così nella moltitudine dei credenti in una comunione che
non è solo sociologica, ma radicata nell’eterno amore di Dio, che in Se stesso è
comunione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, è Amore trinitario. La nopagina 6
stra fede è veramente personale, solo se è anche comunitaria: può essere la mia
fede, solo se vive e si muove nel «noi» della Chiesa, solo se è la nostra fede, la
comune fede dell’unica Chiesa.
D) Battesimo: NUOVA CREATURA - vita nuova
I Padri della Chiesa più volte parlano di Cristo come del nuovo Adamo, per sottolineare l’inizio della nuova creazione dalla nascita del Figlio di Dio nel seno
della Vergine Maria. Questo ci fa riflettere su come la fede originata dal Battesimo porti anche in noi una novità così forte da produrre una seconda nascita.
Da notare: il Battesimo si riceve, noi «siamo battezzati» - è un passivo - perché
nessuno è capace di rendersi figlio di Dio da sé: è un dono che viene conferito
gratuitamente.
Nella Liturgia del Battesimo, vengono poste tre domande: Credete in Dio Padre
onnipotente? Credete in Gesù Cristo suo unico Figlio? Credete nello Spirito Santo? Ma la risposta è al singolare: «Credo».
Infatti, all’inizio dell’essere cristiani c’è il Battesimo che ci fa rinascere come figli
di Dio, ci fa partecipare alla relazione filiale che Gesù ha con il Padre.
Il Battesimo rappresenta quindi una nuova nascita. L’uomo nuovo che nasce in
noi è chiamato a crescere in un cammino che continua per tutto il percorso
dell’esistenza.
E) Battesimo: relazione filiale
Questa nuova nascita crea in noi una nuova relazione con Dio.
Paolo richiama questa figliolanza adottiva dei cristiani in un passo centrale della
sua Lettera ai Romani, dove scrive: «Tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di
Dio, questi sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per
ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per
mezzo del quale gridiamo: “Abbà! Padre!”. Lo Spirito stesso, insieme al nostro
spirito, attesta che siamo figli di Dio”».
Solo se ci apriamo all’azione di Dio, come Maria, solo se affidiamo la nostra vita
al Signore come ad un papà di cui ci fidiamo totalmente, tutto cambia, la nostra
vita acquista un nuovo senso e un nuovo volto: quello di figli di un Padre che ci
ama e mai ci abbandona.
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II DOPO L’EPIFANIA
20/1/2013
Segno/segni. Vocabolo tipicamente Giovanneo: circa venti volte. Nei Sinottici
non indica mai i miracoli di Gesù. Giovanni dunque non usa mai la parola miracolo.
Sono propriamente 7 i segni che l’evangelista raccoglie nella prima parte del
vangelo, a tal punto che qualcuno chiama la prima parte del vangelo “Libro dei
segni”: Cana - Figlio del funzionario di Cafarnao - Paralitico di Betesda - Traversata del lago - Moltiplicazione dei pani - Cieco nato - Resurrezione di Lazzaro.
Segno. Ha il compito fondamentale di rivelare la “gloria” di Gesù. Manifesta la
sua identità più profonda. È uno squarcio sul mistero insondabile della sua persona. Diventa appello a non fermarsi al puro “fatto”, ma a ad andare oltre per arrivare a colui che ne è l’artefice.
I segni che di volta in volta saranno proclamati nel quarto Vangelo sono racchiusi
nel segno di Cana e in esso hanno la loro chiave interpretativa.
Gesù appare come il dispensatore dei doni definitivi di Dio e l’umanità è invitata
ad accettare il dono salvifico della vita divina.
Segno. Rimanda sempre alla necessità di essere decodificato.
Ci sono segni la cui decifrazione è, per così dire, innata: la mimica del volto, come un sorriso; alcune gestualità: una carezza, una stretta di mano…
Ma sono poi tantissime le aree simboliche, dove bisogna conoscere le varie
grammatiche per poter decifrare un segno: basta pensare alla segnaletica stradale, l’astrologia…; le sette hanno tutte la loro simbologia, spesso esoterica (segreta).
Segno. Rimanda sempre alla nostra libertà. Un segno non s’impone, ma si propone. Richiede il nostro coinvolgimento, sia per comprenderlo che per viverlo.
Diventa quindi un appello alla fede. All’apertura del cuore. Suscita e richiede una
disponibilità previa.
Segno. Non è chiuso in se stesso. Non si esaurisce nel suo presentarsi.
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Rimanda sempre ad altro, rimanda sempre ad un Altro.
Canzone di Branduardi “Il dito e la luna”: e ogni volta lo sciocco che di vite ne
ha una / guarda il dito e non guarda la luna …
Segni dei tempi.
Stiamo celebrando il 50° del Concilio vaticano II, voluto dal Beato Papa Giovanni
XXIII.
Si può dire che sia stato proprio lui a introdurre la categoria di Segni dei tempi,
il 25 dicembre 1961, attraverso la bolla d’indizione del Vaticano II, “Humanae
salutis”.
Papa Roncalli scriveva che «facendo nostra la raccomandazione di Gesù di saper
distinguere i “segni dei tempi” (Mt 16,4), ci sembra di scorgere, in mezzo a tante
tenebre, indizi non pochi che fanno bene sperare sulle sorti della chiesa e
dell’umanità».
Il concilio a sua volta riprenderà l’espressione quattro volte nei suoi documenti
finali, anche se il concetto come tale ritorna più spesso. L’espressione portava
dentro di sé un significato fortemente positivo e di speranza, di grande apertura,
dialogo,…
La convinzione del credente è che in Cristo tutta la storia, anche quella della
morte e del peccato, è stata raggiunta e redenta. Tutta la storia, ed ogni uomo in
essa, è già stata abbracciata dall’amore redentore di Gesù crocifisso. Un amore
totale e indefettibile.
Ecco perché l’allora Card. Joseph Ratzinger ha potuto dire: “Scrutando i segni
dei tempi abbiamo visto che il nostro primo dovere in questo momento storico è
annunciare il Vangelo di Cristo, poiché il Vangelo è vera fonte di libertà e di
umanità”.
La Lumen Gentium afferma: La Chiesa è, in Cristo, in qualche modo il sacramento, ossia il segno e lo strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto
il genere umano,…
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Per NOI: Dobbiamo essere cristiani svegli, come sentinelle, capaci di interpretare
i segni dei tempi, a partire dal segno primordiale e fondamentale che è Gesù e la
sua Parola. Dobbiamo diventare Chiesa – segno: rivelatrice del volto di Gesù
SANTA FAMIGLIA
27/1/2013
(agli anniversari di matrimonio)
Nella nostra Diocesi (ultima domenica di gennaio): festa della Santa Famiglia e in
essa, festa di tutte le nostre famiglie.
1. La vostra presenza dice la fedeltà è possibile.
Davanti ad una cultura del provvisorio, dell’incerto, del ‘proviamo’…è ancora
possibile affermare il valore del definitivo, del ‘per sempre’,…
2. Voi dite che la fedeltà è un valore, un bene.
Davanti ad una cultura che esalta ed enfatizza lo scambio dei ruoli, che attacca
l’unicità del matrimonio, che reclamizza unioni allargate, è ancora possibile, anzi
doveroso, affermare che risponde alla nostra più vera umanità un amore – tra un
uomo e una donna – che è per sempre.
3. Voi dite che solo ciò che è per sempre è vero.
Senza fare tante teorie, ma con la forza della testimonianza, voi affermate che ci
vuole una vita intera per poter dire di amarsi.
L’amore è vero solo se è contraddistinto dalla prospettiva del TUTTO: tutto me
stesso per tutto ciò che sei. Tutta la mia vita, per tutta la tua vita, cioè tutti i miei
giorni per tutti i tuoi giorni.
4. Voi, che siete la chiesa, insegnate a guardare con grande compassione e affetto sincero chi vive la ferita della divisione e della separazione.
Prima ancora che un colpo al sacramento e al diritto, è una ferita umana, personale, una ferita del cuore.
5. Anche chi vive il dolore della separazione rimane nella Chiesa.
Il Battesimo, che ci ha fatti cristiani e ci ha inseriti nella Chiesa, è un dono irrevocabile. Lo Spirito dato nella Cresima è un dono irrevocabile.
La nostra identità, la nostra fisionomia cristiana è per sempre.
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6. In questo anno della fede tutti noi dobbiamo di nuovo tornare a guardare a
Gesù.
Solo in lui è possibile intravvedere qualcosa dell’insondabile mistero dell’amore
e quindi dell’insondabile mistero di Dio, perché Dio è amore.
PENULTIMA DOPO L’EPIFANIA
3/02/2013
Come sapete bene le ultime due domeniche che precedono la Quaresima portano due sottotitoli: oggi, penultima, è la domenica della “divina clemenza”, mentre domenica prossima, ultima, è la domenica del “perdono”.
Eccoci allora consegnate due significative parole legate alla nostra fede.
Quella di oggi la tradurrei con “misericordia”.
Parola presente nella Lettura e nell’Epistola della Messa di oggi.
Nel rito romano, la domenica dopo Pasqua è proprio chiamata “domenica della
divina misericordia”, titolo voluto e dato a questa domenica nel 2000, proprio da
Giovanni Paolo II. Egli stesso ha detto che il suo pontificato è stato tutto improntato all’annuncio della misericordia.
Proprio lui ci ha lasciato un testo appassionato e profondo, una enciclica sulla
Misericordia di Dio (Dives in misericordia) nel 1980.
Premesse.
Come dice qualcuno siamo una società “senza padri”. La figura del Padre è svanita. E così facciamo fatica a comprendere il volto paterno di Dio.
Ancor più, facciamo fatica a comprendere il profilo della sua misericordia.
Dovremo sempre e di nuovo lasciarci evangelizzare.
Dobbiamo lasciarci raggiungere dal messaggio della misericordia del Padre.
A.
Antico Testamento. Conosce un’ampia pluralità di immagini e vocaboli.
Due in particolare.
1. Rahamin: viscere
2. Hesed: fedeltà
rahamîm, propriamente designa le “viscere” (al singolare, reham, il seno materpagina 11
no); in senso traslato è usato per esprimere quel sentimento intimo e amoroso
che lega due esseri per ragioni di sangue o di cuore, come la madre o il padre al
proprio figlio (Sal 103,13; Ger 31,20).
Essendo questo legame riposto nella parte più intima dell’uomo (le viscere, appunto), il sentimento che ne scaturisce è spontaneo, naturale, (potremmo dire
pre-razionale, im-motivato) e aperto ad ogni forma di tenerezza.
hesed con tutti i derivati (bontà, amore, fedeltà, benevolenza…) indica invece
una deliberazione cosciente a seguito di una relazione comportante diritti e doveri: si manifesta per lo più in forma di pietà, compassione e perdono, avendo
sempre per fondamento la fedeltà ad un impegno. E una bontà cosciente e voluta; e anche risposta ad un dovere interiore, come fedeltà a se stesso.
La misericordia è dunque Sovrabbondanza dell’amore, gratuito e preveniente.
La misericordia appartiene dunque a Dio, è segreto della sua vita.
Misericordia è l’altra parola per dire Dio!
Ce lo ha detto stupendamente la Lettura della Messa di oggi!
B. Pienezza della rivelazione si ha in Gesù.
Lc in particolare viene definito il vangelo della misericordia.
Cap. 15: parabole della misericordia
C. Suggestivo pensare a Maria, madre di misericordia e della misericordia,
come preghiamo nella Salve regina. Ma sempre in Lc abbiamo:
1. Il magnificat
di generazione in generazione la sua misericordia per quelli che lo temono.
Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia…
2. Cantico di Zaccaria
Così egli ha concesso misericordia ai nostri padri e si è ricordato della sua santa
alleanza,…
Grazie alla tenerezza e misericordia del nostro Dio, ci visiterà un sole che sorge
dall’alto,..
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D. Testimoni di misericordia
Non confondere carità con giustizia: non far passare per carità quanto deve invece essere dato per giustizia…
Sovrabbondare nella e con la misericordia quanto la giustizia non può dare!!!
Il male può essere vinto solo dall’amore misericordioso.
Questo amore di misericordia illumina anche il volto della Chiesa, e si manifesta sia mediante i Sacramenti, in particolare quello della Riconciliazione, sia
con le opere di carità, comunitarie e individuali. Tutto ciò che la Chiesa dice e
compie, manifesta la misericordia che Dio nutre per l’uomo, dunque per noi.
Quando la Chiesa deve richiamare una verità misconosciuta, o un bene tradito,
lo fa sempre spinta dall’amore misericordioso, perché gli uomini abbiano vita e
l’abbiano in abbondanza (cfr Gv 10, 10). Dalla misericordia divina, che pacifica i
cuori, scaturisce poi l’autentica pace nel mondo, la pace tra popoli, culture e religioni diverse.
Ecco perché nella quinta beatitudine Gesù potrà dire:
Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
Lettera pastorale del card. Martini “Ritorno al Padre di tutti” (1998/99)
«La testimonianza autentica del credente si pone come scandalo, pietra di inciampo che fa pensare: non dispensazione di certezze facili, o di domande che
non scalfiscono in profondo, bensì vicinanza rispettosa e al tempo stesso inquietante, "amico importuno", sfida a disturbarsi e ad ascoltare gli interrogativi del
cuore inquieto che è nell’intimo di ogni figlio dell’unico Padre.
In tale azione di testimonianza, ognuno dei discepoli dovrà essere se stesso, senza pretendere risultati eclatanti e senza sentirsi inviato a imprese che superano le
sue forze: con umiltà e amore, ciascuno seminerà come potrà e dove potrà, nella
certezza che il primo ad agire nel cuore di tutti è il Padre stesso che tutti attira a
Sé nel suo Spirito, e che a ciascuno dà dolcezza nel consentire e nel credere alla
verità se crollano gli alibi e le difese che la libertà umana può opporre davanti
alla Sua azione».
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ULTIMA DOPO L’EPIFANIA
10/02/2013
Domenica scorsa “della divina clemenza”; oggi “del perdono”.
Su questa stupenda parola riflettiamo brevemente.
Il punto di partenza: lo prendo dal pensiero del grande teologo Karl Rahner
(+1984), il quale identificava la novità sconvolgente del messaggio cristiano con
l’annuncio dell’azione perdonante di Dio nei confronti dell’uomo.
Che Dio ci ami, potrebbe essere anche ‘scontato’, visto che siamo le sue creature.
Che ci perdoni, dopo il tradimento, l’abbandono ed il rifiuto, questo è proprio
stupefacente e scandaloso.
Dice in un passo del suo “Corso fondamentale sulla fede”: ”L’uomo che si abbandona all’esperienza del mistero santo sperimenta…la vicinanza proteggente,
l’intimità perdonante, la patria stessa, l’amore che si dona, la realtà familiare a
cui possiamo ricorrere e in cui ci possiamo rifugiare d fronte al disagio che proviamo nella nostra vita vuota e minacciata. La verità cristiana è una persona, Gesù
Cristo come libera autocomunicazione perdonante di Dio”.
1) Perdono è l’altro nome di Dio. In lui questo significa:
a) chiara e lucida valutazione del peccato e del male dell’uomo. Nessuno come
lui ‘conosce’ il male e la sua forza distruttiva. Dio non fa mai finta che non sia
successo niente (vedi tutto il tema biblico “dell’ira di Dio”).
b) perdonare è per Dio ridare all’uomo una nuova possibilità di agire bene. Ma
non è una semplice apertura di credito. È ridare all’uomo un’energia nuova, una
rinnovata capacità di agire.
Perdonare è immettere una nuova energia vitale nel cuore dell’uomo.
Ecco perché il profeta Ezechiele, ad esempio, parla di un ‘trapianto’: toglierò da
voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne!
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c) ancor più profondamente: perdonare significa ripristinare una relazione vitale,
riattivare i canali di una comunione, di una comune esperienza. Per Dio non esiste un male che non lo veda coinvolto. Egli è sempre parte offesa in tutto ciò che
l’essere umano compie di negativo.
Il perdono di Dio assume quindi sempre il volto della riconciliazione (vedi tutto
il tema biblico “dell’Alleanza”).
d) Ecco perché l’esperienza del perdono, per essere autentica, deve sempre necessariamente comportare le due dimensioni del perdono di Dio e del perdono
dei fratelli.
e) Ma perché la forza rinnovatrice si attui è necessario il Pentimento dell’uomo.
Occorre che l’uomo riconosca, ammetta il suo peccato e si decida a cambiare la
sua vita, il suo modo di intendere le cose.
Occorre dunque che l’uomo si apra alla conversione.
2) Se lo straordinario del volto di Dio è il suo amore perdonante, il perdono
dovrebbe essere la qualità distintiva del credente e della comunità cristiana.
Ne faccio un’applicazione molto semplice per la nostra vita comunitaria.
C’è la diabolica, malvagia e cattiva abitudine a parlare male del fratello.
Il parlare male del fratello è sempre un male, un male grave. In termini morali di
qualifica come peccato mortale. Occorre la confessione sacramentale.
Mortale nel senso che dà la morte, procura la morte.
La morte del fratello di cui si parla male. Se ne lede la buona fama, s’ingenera un
circolo vizioso e perverso di disistima, cattiveria, pregiudizio da cui egli non potrà forse mai più uscire.
Mortale nel senso che dà la morte, procura la morte di colui che parla male.
Perché struttura il suo cuore nella negatività, perché lo rende insensibile
all’ulteriore perdono, perché genera un circolo perverso per cui l’altro di cui
parla male sarà sempre giudicato negativamente, qualsiasi cosa di bene possa fare.
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Mortale nel senso che dà la morte, procura la morte della comunità in cui si vive.
La disistima, il pregiudizio, la cattiva fama ingenera una corrente di svalutazione,
di sospetto, di lontananza e inimicizia; suscita una perversa gara a rafforzare pettegolezzi e malignità; tocca il cuore di amici e conoscenti, generando sfiducia,
dubbi e ambiguità.
Il pregiudizio si radica, tocca i cuori e le menti, chiude alla solidarietà, allontana
la collaborazione, genera sospetto, produce allontanamento e chiusure.
Conclusione.
Invece di parlare male del fratello ad altri, parla bene del tuo fratello a Dio e vedrai che il tuo fratello cambierà. Perché Dio rinnoverà innanzitutto il tuo cuore.
Mio caro amico, sappi che la bellezza sta negli occhi di chi guarda!!!!! (Gibran
Khalil Gibran).
Post Scriptum.
don Paolo Vesentini, dal 2008 parroco pro-tempore della Parrocchia san Genesio martire in
Dairago (Milano).
Dal 2 luglio 2010 Decano del Decanato di Castano Primo (Zona IV)
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Libretto omelie tempo dopo Epifania 2013