Assistere malati e moribondi
nelle abitazioni private:
un optional o una sfida per i nostri tempi?
Fra gli Autori della prima generazione del Nostro Ordine, brilla certamente l‟opera del P.
Giacomo Mancini che ha espresso in un bellissimo trattato di pastorale (Practica visitandi infirmos, 1630) le linee-maestre che onorano per quantità e qualità l‟assistenza ai malati ed ai
moribondi. Tra i primi consigli dell‟Autore ce n‟è uno che mi sembra interpellare anche il nostro oggi, se è vero il detto che “la storia è maestra di vita”. Egli afferma che bisogna avere
attenzione per gli ammalati poveri e di condizioni modeste: Vorrei limitarmi ancora a dire
che se l’infermo è povero o di umili condizioni allora sarà lecito al sacerdote recarsi da lui,
anche se non fosse stato chiamato. Tale opportunità deve essere ritenuta valida, altrimenti
potrebbe spesso accadere che i sacerdoti non vengano chiamati per timore di recare loro fastidio; al contrario - lo dico con le lagrime agli occhi – succede per le case dei ricchi dove
abbondano sacerdoti e religiosi!.
Certamente chi ha fatto esperienza di molti anni in ospedale, ha potuto costatare che se è vero
che qualche parroco s‟interessa ben volentieri dei propri fedeli, è altrettanto vero che spesso
altri vengono solo se ci sono solo persone “importanti” o “benestanti”; spesso dunque non c‟è
tempo per i più poveri, spesso dimenticati o, addirittura, sconosciuti.
Ma il nostro Autore continua con altre espressioni ancora più importanti: mentre il sacerdote
si reca alla casa dell’infermo, se non lo conosce, si informi da chi l’ha chiamato sulle sue
condizioni sociali, familiari, religiose per sapere oltre al nome, anche il lavoro o la professione, la maggiore o minore frequenza al sacramento della confessione, come pure le condizioni spirituali: quali tendenze, o amicizie abbia. Il tutto sarà utile per la Confessione e per
porre eventuali rimedi alle tentazioni del demonio.
Infine, ma non ultimo per importanza: mediante la preghiera, il sacerdote deve anche implorare la luce per poter conoscere le necessità interiori di colui che deve assistere e avere così
l’aiuto dei mezzi più efficaci.
Su questi consigli, ho avuto modo di riflettere più volte trattando il tema della visita al malato,
in un contesto sia liturgico che pastorale. Più volte queste citazioni sono state oggetto di dialogo e di verifica con gli studenti o con associazioni di volontariato.
È vero che le condizioni odierne sono molto diverse sia nel campo culturale, come in quello
sanitario: abbiamo assistito a livello non solo europeo, ma anche mondiale, ad una sempre
maggiore ospedalizzazione per diagnosi, cura e riabilitazione, ma è pur vero che ora tale tendenza tende sempre piè a diminuire, tanto che ormai non si parla più – come un tempo – di
pastorale ospedaliera, ma bensì di pastorale sanitaria (o della salute) del territorio. In questo
caso i termini del problema non sono certamente degli “accidenti”, ma sono “sostanziali”.
Gli ospedali, in molti casi, sono diventati istituzioni di eccellenza, a volte noti più per la ricerca e la sperimentazione che non per l‟assistenza; anche istituzioni cattoliche o appartenenti a
istituti religiosi non mancano di problemi e interrogativi non tanto sulla qualità del servizio,
quanto piuttosto sui destinatari che possono garantire un bilancio in pareggio se non proprio
un profitto!
Si può dire allora che chi viene curato in ospedale è, tutto sommato, un privilegiato? In molti
casi le cure sono garantite o per lo meno coperte da assicurazioni, associazioni mutualistiche
ecc. ma se guardiamo al panorama generale mondiale, ci accorgiamo che il bene-salute è pura
utopia, un miraggio a cui si guarda e dal quale si rimane semplicemente accecati.
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Una domanda viene, o potrebbe venire, magari dal nostro stesso Autore: oggi le case dei malati poveri, soli, abbandonati ricevono di tanto in tanto la visita di un sacerdote o di un operatore pastorale? Oppure, come per qualche precetto della Chiesa, ci si ricorda solo a Pasqua e/o Natale?
Se la domanda può essere interessante, mi sembra tuttavia che dovrebbe essere più interessante una risposta che non sia fatta semplicemente di parole e buoni propositi, ma di fatti concreti
attingendo alla tradizione dell‟Ordine che ha, di fatto, privilegiato tale assistenza. Basta passare qualche giorno (o qualche notte) negli archivi di tempi ormai passati, per scoprire come si
dava importanza all‟assistenza ai malati e ai morenti nelle loro case, vegliando, pregando, intrattenendo i familiari e le persone che si dedicavano alla cura del malato (inservienti, medici,
amici...).
Molte volte anche ci s‟imponeva il silenzio per non tediare il malato con continue parole ed
allora si rimaneva in disparte, ma sempre pronti ad intervenire ogniqualvolta ce ne fosse bisogno.
Rimane anche sempre valido l‟esempio di Cristo: quante volte incontra i malati sulle piazze,
per strada, ma anche in casa! Significativa è la giornata-tipo descritta da Marco nel primo capitolo: Gesù insegna nella sinagoga, guarisce, incontra altri malati, si ritira a pregare.
Il nostro S. P. Camillo, andava a cercare i malati nei tuguri di Roma.
Qual è la giornata-tipo del religioso camilliano? “I poveri li avrete sempre con voi”, ma bisogna cercarli, vederli, scoprire e valorizzare la loro presenza, il loro esserci! In un‟antica regola
di monaci si ricordava come colui che assiste il malato deve ringraziarlo per l‟occasione che
gli dà di espiare le proprie colpe e fare del bene.
L‟assistenza religiosa in ospedale ha certamente dei vantaggi che spesso sono anche economici. Siamo stati fondati per merito di un malato e dobbiamo esserne riconoscenti. Camillo si fidava della Provvidenza.
L’assistenza pastorale ai malati e moribondi nel Seicento, a Roma
L‟attività dei Religiosi camilliani nell‟assistere i moribondi nelle case private durante il Seicento è documentata. in alcuni cataloghi di Roma per le case del Noviziato e/o della Maddalena, dove sono registrati i morti assistiti dai Religiosi in città, per un totale di 13.354 persone,
così suddivisi: dal 1615 al 1616 risultano iscritti 822 persone, mentre nel periodo che va dal
1626 al 5 luglio 1646 ce ne sono ben 10.181; diverso invece è il numero di moribondi assistiti
dal 1658 al 17 novembre 1666 dove risultano soltanto 591 morti, mentre dal 1671 al 17 agosto 1775 ricorrono ben 1.760 nomi.
Altri tre cataloghi enumerano un elenco di 3.821 persone visitate in periodi diversi come per
esempio: 1.398 dal 28 marzo 1645 al 28 gennaio 1647, mentre dal 2 luglio 1676 a gennaio
1679 sono 749; altre 1.674 vengono segnalate dal gennaio 1680 fino al 1684; tuttavia bisogna
notare che la maggior parte delle persone citate in questi ultimi cataloghi risultano poi essere
decedute, senza però sapere se il loro nome risulta anche in altri libri.
Forme di volontariato: le Confraternite
Sono particolarmente interessanti le vicende di due Confraternite che hanno „convissuto‟ accanto al nostro Ordine fin dal loro inizio.
La storia della prima è la Confraternita della Natività di Nostro Signore Gesù Cristo degli
Agonizzanti ed è conosciuta attraverso l‟opera di Agazzi Carlo, un sacerdote romano che apparteneva a tale sodalizio e che ha fornito un‟ampia documentazione in merito. La confraternita, fondata il 25 marzo del 1616 presso la Chiesa di S. Agostino in Roma si è proposta di aiutare, prima con la preghiera, ma poi anche attraverso opere di carità, gli agonizzanti.
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La vita di questa Confraternita non fu certamente facile fin dal suo inizio: ben presto, come
risulta dagli atti della Consulta Generale dell‟Ordine camilliano, passò alla chiesa della Maddalena sebbene con diverse clausole. Fra l‟altro si stabiliva che alla terza Domenica del mese,
dopo il pranzo si raduni la Confraternita per la quale i padri dovranno fare un sermone in
Chiesa dopo il quale si diranno le litanie o altre orazioni per gli agonizzanti mentre per il lunedì seguente sia lecito alla compagnia di far dire in chiesa una messa cantata ed altre normali per beneficio di tali anime.
In definitiva, la confraternita rimase presso santa Maria Maddalena per quasi diciassette anni
poi, per alcune questioni ed esigenze particolari, i confratelli dovettero di nuovo trasferirsi in
altre sedi fino ad avere una propria sede definitiva in Piazza Pasquino.
La collaborazione ed affinità con i Camilliani è stata ricordata da Agazzi con parole encomiabili che riguardano lo scopo dell‟adorazione per gli agonizzanti non si può dubitare, che questa sacra funzione non sia di grande utilità ai bisogni dei poveri Agonizzanti, di merito indicibile ai Fratelli, ed ai’ Fedeli assistenti, per le innumerevoli perdite causate al Demonio; tale
devozione continuò in seguito anche alla Maddalena, come assicura ancora l‟Agazzi: in verità
così santo e devoto esercizio fu stimato di così grande utilità dai caritatevoli religiosi della
Maddalena, che nonostante la nostra Compagnia sia andata via dalla loro Chiesa, mai fu tralasciato da loro, esponendo anche al giorno d’oggi con tutta devozione, e maestà nelle terze
Domeniche i Santissimo sacramento con questo unico fine di portar soccorso e conforto ai
poveri moribondi.
L‟Autore continua insistendo che l‟Arciconfraternita non ha avuto inizio da Camilliani, essendo sorta nella Chiesa di s. Agostino, tuttavia aggiunge: non posso però negare che ella
[arciconfraternita] non ricevesse da questi buoni Religiosi [camilliani] un certo modo, una
certa regola di pregare con più fervore, e devozione.
Una seconda forma è stata realizzata dalla Confraternita del Crocifisso per gli agonizzanti ed
è conosciuta per un libretto pubblicato agli inizi del Settecento. Vi figurano le Regole perché
eretta pubblicamente nella chiesa di santa Maria Maddalena nel 1635. Nell‟introduzione degli
„Officiali‟ ai „fratelli della congregazione‟ viene richiamata l‟importanza del fine proposto che
è quello di “soccorrere con pie opere gli agonizzanti di tutto il mondo” dal momento che lo
stesso Signore Egli ama teneramente (non c’è dubbio) ogni anima perché tutte sono frutto dei
suoi sudori, delle sue sofferenze e del suo Sangue.
Naturale risulta il riferimento al Crocifisso che staccò le braccia per confortare San Camillo e
rassicurarlo che quell‟opera era Sua.
Seguono 50 regole comuni della congregazione in cui si chiarisce che bisogna impiegarsi con
tutto lo spirito e le forze al servizio e soccorso degli agonizzanti in qualunque posto del mondo, colti da morte naturale, o violenta, o repentina, o prevista, oppure in terra, o in mare, o in
guerra, o in pace, o fra gli amici, o nemici della Santa Chiesa.
Il motivo di tanta speranza è che il Signore della misericordia mosso a pietà dalle preghiere,
penitenze, ed altre azioni virtuose potrà salvare molte anime anche se lontane da noi, dal
momento che Egli è presente presso tutte in ogni luogo della terra.
Verso quale futuro?
Se i miei due o tre lettori, mi hanno seguito fino a questo punto vorrei dire un grazie sincero,
ma nello stesso tempo provocarli a scelte operative rispondendo ad una domanda: oggi è possibile fare ancora questo, cioè visitare malati e moribondi nelle loro case? Penso alle terre
sconfinate dell‟Asia, dell‟Africa e dell‟America, ma anche dell‟Europa dove si offrono molte
possibilità di azione pastorale e, nello stesso tempo, assistenziale anche per i religiosi sacerdoti donando il proprio tempo e le proprie energie per attualizzare le opere di misericordia cor-
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porale: le ricordiamo ancora? Altrimenti rileggiamo il giudizio universale descritto da Matteo
25, 31-46 e pensiamo con quale fervore Camillo ascoltava e praticava quelle parole!
Dove non giunge la tecnica perché non si vuole o non si può, tuttavia può sempre regnare la
carità, come amore del prossimo e di Dio. Le forme esterne possono essere diverse, ma la visita, la relazione personale e - perché no? - anche la preghiera non hanno confini: questo
l‟hanno compreso i primi Religiosi Camilliani.
In fin dei conti anche le Costituzioni Generali – a mio debole parere – ne parlano indicando
uno stile specifico per i nostri Religiosi (Costituzioni. nn. 42-48), ma anche affermando “Assistiamo con speciale sollecitudine i malati in fase terminale e i moribondi... Raccomandiamo
al Signore in particolare i colpiti da morte violenta e improvvisa” (Cost. Gen. n. 49), ed ancora “Il nostro Ordine dedica di preferenza le proprie attività agli infermi più poveri ed abbandonati...” (Cost. Gen. n. 51).
Saremo capaci di comprendere e vivere tutto questo anche noi „moderni‟?
padre Eugenio Sapori
camilliano
articolo tratto da Camilliani - Camillians 2/2008
Bibliografia di riferimento
MINISTRI DEGLI INFERMI (CAMILLIANI), Costituzioni e Disposizioni Generali, Casa
Generalizia, Roma 1988; cfr. Il Ministero (Costituzione, cap. III; Disposizioni Generali, nn.
11-29).
BRUSCO A. – MONKS F., Il ministero, in AA. VV., La Costituzione dell’Ordine dei Ministri degli Infermi (Camilliani), a cura di A. Brusco, Camilliane, Torino 1995 (= Storia e spiritualità Camilliana, III), pp. 187-234.
BRUSCO A., Spiritualità camilliana e ministero, in AA. VV., La spiritualità Camilliana. Itinerari e prospettive, a cura di Brusco A. – Alvarez F., Camilliane, Torino 2001 (= Storia e
spiritualità Camilliana, V), pp. 303-321.
SAPORI E., L’opera ‘Practica visitandi infirmos’ del P. Giacomo Mancini m.i. Una proposta
di pastorale sanitaria nell’Italia del Seicento, in “Camillianum” n. 22 (2000), pp. 311-343.
SAPORI E., La cura pastorale del malato nel Rituale di Paolo V (1614) e in alcuni Ordini religiosi del XVII secolo. Studio storico-liturgico, CLV - Ed. Liturgiche, Roma 2002, cfr. soprattutto le pp. 225-469 che trattano delle opere letterarie e prassi pastorale nel nostro Ordine
dalla fondazione fino al 1700.
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