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IL CAFFÈ 19 giugno 2011
C4SOCIETÀ E CULTURA
Racconti
Due donne. Una bianca, una no.
Quella no ha ventitrè anni
e dice di venire dal Burkina Faso.
d’estate
51
La disperazione arrivata dall’Africa
fa scrivere a Roberto Alajmo
una vicenda con un inizio. Ma senza fine
StorieDalla realtà alla fantasia
Profughi
Lampedusa, provincia di Parigi,
dove Aimée sbarca per ripartire
ROBERTO ALAJMO
D
ue donne. Una bianca, una
no. Quella bianca è una
giornalista. Quella no dice
di chiamarsi Aimée, di
avere ventitrè anni e di venire dal Burkina Faso. Un
paese senza sbocco sul mare. Landlocked
country, si dice in inglese. Un posto difficile da individuare di primo acchito su una
carta geografica, di quelli che solo a nominarli fanno puzza di povertà. Aimée lo sa,
di venire da un buco del mondo, ma il suo
orgoglio si aggrappa a quel Paese dal nome
così importante. Ci tiene a spiegarlo alla
giornalista, una di quelle quarantenni ragazzine, tradite non tanto da qualche ruga,
ma dallo sguardo indurito. La giornalista
lavora per un'agenzia di stampa. Occasionalmente cerca di fare qualche inchiesta,
anche se venderle a qualcuno è sempre
difficile. La maggior parte delle inchieste
che scrive le pubblica lei stessa, sul desktop del suo portatile.
Burkina Faso è un nome importante,
quindi. Aimée spiega che vuol dire pays
des hommes intègres, men of integrity. Lo
dice mescolando inglese e francese per
dare più forza al concetto che cerca di
esprimere. La giornalista si mostra colpita,
ma intanto sta provando a ricordare quel è
la capitale del Burkina Faso, e nel farlo
stringe gli occhi abbagliati dal sole di Lampedusa, come se il nome di quella remota
città africana fosse scritto sul mare e sottolineato dalla linea dell'orizzonte. È inutile:
non riesce a ricordarlo. Più tardi dovrà andarselo a cercare su qualche atlante.
Intanto Aimée ha ripreso a parlare. Sta dicendo che tutto sommato si considera una
ragazza fortunata.
Ha ancora una madre.
Non ha mai conosciuto suo padre, ma è
riuscita a portare con sé l'unica foto che ha
di lui.
È andata a scuola.
Sa parlare il francese abbastanza bene e
conosce un sacco di cose su Parigi.
IN TRENTAMILA
DALL’AFRICA
Nel 2011 sono sbarcati
sulle coste italiane circa
28mila extracomunitari.
Di questi oltre 22 mila
sono tunisini e quasi 5
mila profughi dalla Libia
Per questo ha deciso che andrà in Francia,
proprio a Parigi, da certi amici di sua madre che personalmente non conosce.
Aimée racconta di avere avuto molta paura
quando si è trovata in mezzo al mare. Il
mare che lei prima di allora non aveva mai
visto. È come il deserto, dice, solo che lì c'è
sabbia, e nel mare invece solo acqua salata.
Il mare fa puzza, per di più.
Intanto che racconta, Aimé è seduta in
mezzo a centinaia di altre persone e abbraccia un fagotto con dentro le sue cose.
Dà le spalle al mare, lo sguardo fisso in direzione dell’entroterra. La
giornalista a un certo
punto realizza che la ragazza non ha capito di essere finita su un'isola.
Non si rende conto che
qui il mare è letteralmente dappertutto. Che
non esiste un dentro, ma
solo un fuori. L’opposto
correlato del Burkina
Faso: una Sealocked
country.
La giornalista
ha scelto Aimée
in mezzo a
centinaia di
altre persone perché
a
prima vista app a r e
bella e
fiera. Una
giornalista
di certe cose
deve tenere
conto. Ma l’ha
scelta pure perché l’aveva vista
abbracciare il suo fagotto
come se fosse un bambino, anche se si capiva subito che non c'era nessun bambino
dentro. Non vuole raccontare la solita storia lacrimevole della madre che fa la traversata assieme al figlio, sopravvivendo alla
violenza dei traghettatori, eccetera. La retorica del dolore passa sui giornali più facilmente di quello che scrive lei, che si
sforza di asciugare i suoi articoli il più possibile. La giornalista però insiste: vuole raccontare una storia diversa, e che resti.
Vuole che la gente si ricordi del nome di Aimée e del paese da cui proviene. Che non
pensi a lei genericamente come una che
viene dall’Africa, ma proprio come una
burkinabè, parola che ha appena imparato. Vuole documentarsi e scrivere il
nome della capitale, anche il nome del villaggio da cui proviene la ragazza. Vuole
trasformare Aimée in una persona, riscattandola dal destino di essere una maschera nera e triste in mezzo a centinaia di
altre maschere altrettanto nere e altrettanto tristi, distinguibili solo all’ingrosso,
per le gradazioni di pigmentazione della
pelle.
Le chiede se può farle una foto col cellulare. Aimée non è sicura: sa di essere
sporca e stanca e sciupata. Ma alla fine la
vanità prevale: aggiusta i capelli e mette assieme un sorriso abbastanza credibile. In
una maniera del tutto istintiva anche lei
detesta la retorica del dolore.
La giornalista salva la foto sul cellulare e
poi con la scusa della foto si collega a Internet, perché la tormenta il fatto di non ricordare la capitale del Burkina Faso. Le
viene in mente un gioco che faceva con
suo fratello, quando erano piccoli, interrogandosi a vicenda sulle capitali del mondo.
Poi, quando finalmente la pagina si
carica, scopre che non poteva
ricordarselo: il Burkina Faso si chiama così
solo dal 1984, quando lei da un pezzo
aveva smesso di essere bambina. Non le
funzionano più neanche le memorie d’infanzia.
Il nome della capitale è impervio, con una
serie di vocali che sembrano cambiare posizione a seconda dei siti di informazione
che lo riportano. Oudagodou, Ougadogou,
Ougadougou, Ouagadougou. Mentre cerca
di fare una media ponderata delle diverse
versioni, Aimée le chiede come si chiama
Le piace ricordare le cose a
memoria. Snocciola con un
certo orgoglio una litania
di luoghi che si è trovata
ad attraversare nel viaggio
esattamente il posto in cui si trovano. La
giornalista le dice il nome in francese e poi
di nuovo in italiano, ma con l'accento
sull’ultima sillaba. Proprio di fronte all'Africa, aggiunge: ma questo Aimée già lo
immaginava. Ci ha messo quasi un anno
ad attraversare Niger e Libia. Undici mesi.
Magari non conosce
bene la geografia, ma la
strada che ha
percorso
non la dimenticherà
più.
Racconta che
uno zio, una
specie di zio, le
ha dato un po’ di
soldi per il viaggio,
e poi lei ha racimolato il resto vendendo tutto quello
che non le serviva e
qualcosa anche di
quello che forse le sarebbe servito. Sta andando a Parigi da certi
amici di sua madre, questo lo ripete spesso. Non li
ha mai visti, conserva il
loro nome su un pezzo di
carta che tiene nascosto in
fondo al suo fagotto. Per precauzione l’ha pure imparato
a memoria, indirizzo compreso. Si propone anche di recitarglielo.
Ad Aimée piace ricordare le
cose a memoria. Snocciola con
un certo orgoglio una litania di
luoghi che si è trovata ad attraversare nel corso del viaggio. Ne
viene fuori una specie di geografia onirica, dove ogni tappa è legata a un nome di persona.
(1. continua)
Illustrazione
di Marco
Scuto per il
Caffè
L’autore
ROBERTO ALAJMO
Lavora alla Rai e collabora con
numerose testate italiane. Ha scritto
racconti, romanzi e testi per il teatro.
Le sue opere sono tradotte in inglese,
francese, olandese, spagnolo e
tedesco
I RACCONTI
Suoi racconti sono stati pubblicati nelle
antologie La porta del sole (1986),
Luna Nuova (1997), Raccontare Trieste
(1998), Sicilia Fantastica (2000), Strada
Colonna (2000), Il Volo del Falco
(2003), Racconti d'amore ( 2003)
IL TEATRO
È autore delle commedie teatrali:
Seicentocinquantamila senza
contributi (1990), Repertorio dei pazzi
della città di Palermo (1995) Centro
divagazioni notturne (1997)
IL GIORNALISMO
Ha scritto il libretto dell’opera Ellis
Island, con musiche di Giovanni
Sollima (2002).È stato docente a
contratto di Storia del Giornalismo alla
facoltà di Scienze della Formazione
dell’Università di Palermo
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Lampedusa, provincia di Parigi, dove Aimée sbarca per