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Il Sole 24 Ore
DOMENICA - 9 AGOSTO 2015
n. 218
Con i violini di Cremona il latte è più buono
Scienza e filosofia
semplicità
insormontabili
Cani,
escrementi
e padroni
di Roberto Casati e Achille Varzi
N
egoziante. Senta, forse non se
n’è accorto, ma il suo cane ha appena imbrattato il marciapiede
davanti al mio chiosco. Le dispiacerebbe raccogliere?
Padrone del cane. Certo, grazie per avermelo segnalato. Raccolgo sempre. [Toglie un
sacchetto di plastica dalla tasca dell’impermeabile.] Ecco fatto. Scusi ancora e buona giornata!
Negoziante. Scusi lei, ma gli escrementi
del suo cane sono quelli lì. E non li ha raccolti.
Padrone. [Contempla il sacchetto.] In effetti
ho raccolto gli escrementi di un altro cane, del
Qual è l’effetto della musica classica sulla produzione di latte? Sulla scorta di recenti
risultati scientifici, che dimostrerebbero che una mucca felice produce più latte,
CremonaFiere ha organizzato l’Happy Cow Concert, in cui tre musicisti di fama globale
(Andreas Kern, Roberto Prosseda e Fabrizio Von Arx nella foto) hanno suonato
di fronte a un pubblicodi mucche. Il video è sul canale di YouTube di CremonaFiere
tutto simili a quelli del mio.
Negoziante. Capita a tutti di sbagliare.
Padrone. Non mi sono affatto sbagliato.
Ho preso proprio degli escrementi che assomigliano in tutto e per tutto a quelli del mio
Brox. Guardi!
Negoziante. Ah, bene, mi fido. Simpatica
iniziativa, la collettività gliene sarà grata. Ma
ora non vorrebbe raccogliere anche i bisognini del suo Vrox?
Padrone. Brox, Brox. Si chiama Brox.
Negoziante. Come le pare, ma forse sarebbe bene che adesso li raccogliesse.
Padrone. Beh, non le basta che abbia raccolto degli escrementi in tutto e per tutto simili a quelli di Brox?
Negoziante. Come le ho detto, lei può fare
quello che vuole dei prodotti di altri animali,
ma è comunque responsabile di quelli del suo.
Padrone. Dobbiamo farne una questione personale, anzi personalistica? Il mio
cane ha prodotto un etto di escrementi. Io
raccolgo un etto di escrementi. Nell’economia generale delle cose del mondo, il risultato è lo stesso: cento grammi in meno
di escrementi per strada.
Negoziante. Oh, lei parla difficile, ma
non mi lascio confondere. Se lei sporca,
deve poi pulire.
Padrone. Ma ho pulito.
Negoziante. No che non ha pulito.
Padrone. Scusi, lei compra e vende, no?
Negoziante. Certo. Premiata ditta Corbelli, da cinque generazioni al servizio dei clienti
più esigenti!
Padrone. Quindi la pagano, e lei paga i
storia della logica
L’intuizionismo Brouwer getta le sue radici
in un misticismo alla Eckhart, ma si è poi
rivelato formalizzabile e non così in contrasto
con la matematica tradizionale che criticava
di Umberto Bottazzini
«C
Le tesi sostenute in «Vita, arte e
mistica» finirono per apparire
sconcertanti per gli stessi suoi
seguaci e alla fine prevalse
la consegna del silenzio
dovrebbe rifiutare di far matematica, ma
visto che siamo giunti a questo punto, si
dovrebbe rifiutare di fare il passo successivo, cioè logica matematica», annota ancora Brouwer. «La matematica è indipendente dalla logica» mentre «la logica
dipende dalla matematica», scriverà nella tesi. E in una lettera al suo relatore: «la
logica teorica non insegna nulla nel mondo attuale […] Serve solo a avvocati e demagoghi, non per istruire gli altri ma per
ingannarli». Questo tipo di annotazioni,
francamente insolite per una tesi di dottorato in matematica, si spiegano col fatto che Brouwer immaginava di far precedere la tesi dal «credo filosofico», cui aveva dato voce nella primavera del 1905 in
re una differenza tra gli escrementi che ci sono in questo sacchetto, e quelli che sono rimasti a terra?
Negoziante. Perché… perché… bisogna
raccogliere gli escrementi del proprio cane!
Per lo stesso motivo, se lei acquistasse questo
vasetto di marmellata, poi dovrebbe provvedere allo smaltimento di questo vetro. Non
penserà che basti mettere nel raccoglitore un
vetro uguale raccolto per strada e poi lasciare
il suo qui sul marciapiede?
Padrone. Vedo che non ci intendiamo. Comunque, se proprio insiste… [Estrae un altro
sacchetto dall’impermeabile e raccoglie gli
escrementi di Brox, lasciando al loro posto
quelli raccolti precedentemente.] Ecco fatto.
Contento lei!
© RIPRODUZIONE RISERVATA
lezioni eleatiche
Se il terzo non è escluso
ome scopo di
una vita si potrebbe prospettare l’abolizione e la liberazione da tutta la
matematica». Non è l’auspicio di uno studente liceale che si affatica senza successo con formule e teoremi, e si augura la
completa sparizione della disciplina che
tormenta i suoi giorni. Per quanto sorprendente possa sembrare, è invece l’appunto uscito dalla penna di Luitzen Egbertus Jan Brouwer, uno dei più grandi
matematici del secolo scorso, al momento di preparare la sua tesi di dottorato. «Si
suoi fornitori.
Negoziante. Naturalmente: puntualità assoluta nei pagamenti.
Padrone. Ma per lei non fa differenza se
il suo cliente la paga con un assegno, con la
carta di credito, con un versamento bancario, o in contanti.
Negoziante. Certamente. L’importante è che al mio conto venga accreditato un
pagamento, quale che sia il mezzo con cui
è stato effettuato.
Padrone. E quando lei vende un vasetto di
marmellata, non importa che sia proprio questo vasetto e non il suo vicino di scaffale.
Negoziante. Se non ci sono differenze
di qualità tra i due vasetti, non importa né
a me né all’acquirente.
Padrone. E allora, mi scusi, perché deve fa-
una serie di conferenze a Delft, poi raccolte nel libretto Vita, arte e mistica. È una
lettura per molti versi sconcertante, e
non solo per il linguaggio involuto e
oscuro se non criptico. «Brouwer non ha
pietà per i suoi lettori, anche l’originale
olandese è arduo da leggere», ha scritto
ha scritto Dirk van Dalen nella sua magistrale biografia L.E.J Brouwer – Topologist, Intuitionist, Philosopher. Ma anche le
tesi che vi sono sostenute sono ardue da
condividere. E tuttavia non sorprendenti
se si guarda alle idee espresse da Brouwer
fin dal 1898 quando, ancora studente, decide di aderire alla Remonstrantse Kerk,
una chiesa protestante olandese la cui
origine affonda le radici in oscure dispute teologiche del Seicento e, come richiesto dalla prassi di quella chiesa, scrive
una personale professione di fede.
È un testo illuminante sulla concezione
idealistica, se non solipsistica, del suo credo religioso: «La percezione di Dio e la fede in Dio non è un pensiero consapevole
[..] ma è qualcosa che, siccome trascende il
pensiero, non può essere pensato, e tantomeno scritto; è qualcosa che è legato all’ego inconscio». E ancora: «Detesto la
maggioranza delle persone; a stento riconosco da qualche parte i miei propri pensieri e la mia vita spirituale; le ombre umane che mi stanno intorno sono la parte
peggiore del mio mondo concettuale». Gli
stessi toni permeano le pagine di Vita, arte
e mistica, un vero e proprio un urlo di protesta contro l’ottimismo insito nell’idea di
progresso. «Il triste mondo», che Brouwer
descrive nelle pagine iniziali, è il mondo
«snaturato» frutto della degenerazione
dell’uomo che ha abbandonato il suo stato
naturale, dove a suo dire «non esisteva lavoro né infelicità, non c’era odio né paura,
e neanche piacere», uomini e animali «si
in campagna | Brouwer (1881-1966), immagine tratta dalla biografia scritta da Dirk van Dalen e
pubblicata da Springer nel 2013
lasciavano l’un l’altro indisturbati», finché «l’equilibrio si spezzò» e il creato fu
snaturato dagli uomini per soggiogare la
natura e cercare «il potere sugli altri e la
certezza del futuro». Per contrasto col
«triste mondo» Brouwer esorta a «volgersi a se stessi», a rivolgere l’attenzione al
mondo interiore del sé, in pagine pervase
da un afflato visionario e mistico, ispirato
a teologi e mistici come il medioevale Meister Eckhart o il luterano Jakob Böhme le
cui citazioni abbondano. L’intelletto «irrigidito nella testa» è, per Brouwer, il sim-
bolo della caduta di un’umanità che brancola incapace di librarsi nel «volgersi a se
stessi». Abbandonando il Sé, «che tutto
conosce di passato e futuro» si è così generato un disorientamento circa il futuro e il
desiderio di poterlo predire ha dato vita alla scienza, «l’ultimo fiore irrigidito della
cultura». Quanto al linguaggio, ogni suo
uso si rivela insufficiente se non ridicolo.
Con esso gli uomini «perdono i loro desideri primari» e «per timore della solitudine la loro unica patria, diventano automi
al servizio della macchina mostruosa: le
relazioni sociali». La riconciliazione col
mondo errante, si legge ancora in Vita, arte
e mistica, avviene col riconoscimento e la
soggezione al proprio karma, stabilito per
ciascun uomo.
Alla donna Brouwer riserva un ruolo
che, con un generoso eufemismo, si potrebbe definire ancillare. La stesura della
tesi di dottorato rappresenta uno spartiacque nella vita di Brouwer, costretto ad
un patto tra il suo ego e il mondo, «una
sorta di tentazione simile a quella vissuta
da santi e eremiti», l’ha definita van Dalen. Il suo relatore, l’anziano e autorevole
Johannes Korteweg, si rende ben presto
conto di aver a che fare con uno studente
fuori del comune, che prima ancora della
tesi ha scritto una serie di notevoli lavori
di geometria e fisica matematica. Ma
quando riceve Vita, arte e mistica, il suo
commento è lapidario: «È vero che accanto a noi si aprono degli abissi, ma a me non
piace camminarvi sull’orlo». Così, non
esita a tagliare intere pagine di carattere
mistico/filosofico dalla redazione che
Brouwer gli sottopone. Quando viene finalmente completata nel 1907, la tesi di
Brouwer annuncia una rivoluzione nel
modo di intendere i fondamenti e di fare
matematica. È l’atto di nascita della matematica “intuizionista” fondata sull’intuizione primitiva del tempo, sul carattere
costruttivo degli enti matematici e la rinuncia a dimostrazioni per assurdo fondate sul principio del terzo escluso. Le tesi
sostenute in Vita, arte e mistica finirono
per apparire sconcertanti e imbarazzanti
per gli stessi seguaci di Brouwer, e alla
lunga prevalse la consegna del silenzio.
Nell’edizione delle sue Opere ne furono
pubblicati solo pochi stralci. Una traduzione inglese apparve solo nel 1996 e una
riedizione in olandese nel 1913. Eppure,
anche negli anni della maturità, Brouwer
continuò a rivendicarne il contenuto, e
ancora in un lavoro del 1949 scriveva che
«la verità è solo nella realtà cioè nelle
esperienze di coscienza presenti e passate» e che la matematica intuizionista è «la
deduzione di teoremi esclusivamente per
mezzo di costruzioni introspettive».
Nella recensione Alonzo Church, poco
in sintonia con «l'epistemologia soggettivistica» di Brouwer, osservava tuttavia
che la matematica intuizionista è passibile di una formalizzazione logica, alla quale
hanno contribuito alcuni tra gli stessi intuizionisti, e così formalizzata, «acquista
uno statuto intersoggetivo, e può essere
difesa lungo linee meno drastiche e anche
senza necessariamente attribuire una minore verità alla matematica classica». Come infatti è avvenuto.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
L.E.J. Brouwer, Vita, arte e mistica,
Adelphi, Milano, pagg. 194, € 13,00
Parmenide
e la verità
di Dorella Cianci
I
n vista della nuova edizione di Eleatica
2015 è uscito un denso volume che raccoglie le lezioni eleatiche 2011 di Casertano. Dilatando l’idea del libro, si potrebbe dire che al centro vi è la verità, quella
inquadrata da Parmenide e quella che poi è
stata recepita nel dibattito scientifico-filosofico del V secolo, in particolare alla luce
dell’interpretazione sofistica di Protagora e
Gorgia, in un percorso che parte dalla scuola
eleatica, va sino ad Atene, ma passa significativamente per due tappe: Abdera e Leontini. Casertano infatti si occupa del “parmenidismo” in relazione al relativismo di Protagora e alla meontologia di Gorgia, per toccare poi l’interpretazione platonica che si
colloca su una linea di innovazione, ma non
di rottura rispetto a Parmenide. Se il principio parmenideo si è radicato sull’equivalenza dell’essere/dire/pensare, i sofisti invece
sono entrati sulla scena per far venire fuori la
seconda natura dell’uomo, che è quella che
sente l’esigenza di costruire un mondo di
parole. Al centro vi è la verità connessa strettamente al discorso che affermerebbe ciò
che riguarda la verità, il linguaggio. Probabilmente una delle opere di Protagora era
appunto Verità basata sulla famosa massima dell’homo mensura, nella quale l’uomo è
misura di tutte le cose e Platone prova a concludere che ciò che appare e ciò che uno sente sono la medesima verità. Bisogna però
specificare che la “sensazione” per Protagora non è solo quella legata ai cinque sensi, ma
riguarda tutto il nostro mondo affettivo e di
pensiero. Per far emergere questa seconda
natura occorre non solo chiarire il concetto
di verità, ma notare altresì che la verità è soprattutto il discorso che si fa su di essa (e non
qualcosa di rivelato). Il discorso sulla verità,
ben costruito, è per eccellenza quello di Gorgia in due opere: Sulla natura o su ciò che non
è e l’Encomio di Elena. Attraverso una serie di
dimostrazioni, si può azzardare nel dire che
«Gorgia ha vinto» perché ha mostrato che
essere e pensare non sono la stessa cosa, in
quanto l’essere si sostanzia del pensare.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Giovanni Casertano et al., Da Parmenide
di Elea al «Parmenide» di Platone,
a cura di Francesca Gambetti e Stefania
Giombini, Academia Verlag,
Sankt Augustin, pagg. 238, € 32,80
conoscere la scienza / la lezione di boncinelli
Chi uccide i virus e i batteri?
di Vincenzo Barone
O
gni anno il centro Observa-Science
in Society analizza il livello di alfabetismo scientifico del nostro paese sottoponendo a un campione di
persone tre domande standard, che vengono
utilizzate comunemente a livello internazionale per effettuare questo tipo di indagine:
agli intervistati si chiede se il Sole è un pianeta, se gli antibiotici uccidono sia i batteri che i
virus, e se gli elettroni sono più piccoli degli
atomi. Ebbene, solo un italiano su quattro sa
rispondere correttamente a tutte le domande, e un laureato su due sbaglia almeno una
risposta. Benché gli ultimi anni abbiano registrato un lieve miglioramento della situazione, il quadro è sconfortante. E lo è tanto di più
se si pensa che le domande su pianeti, batteri
e atomi riflettono solo molto parzialmente lo
stato di salute culturale della società. Se da un
lato, infatti, è importante che le nozioni
scientifiche di base entrino sempre di più a
far parte del sapere comune, dall’altro, casi
clamorosi e non rari, come quello di Stamina,
dimostrano che il problema principale è la
mancata conoscenza delle pratiche, dei metodi e degli scopi della scienza.
Un’altra faccia della stessa questione è il
perdurare di opinioni e punti di vista antiscientifici riconducibili essenzialmente a due
atteggiamenti culturali. Il primo – quello che
ha dominato il campo fino a qualche tempo fa
- è l’indifferenza nei confronti dell’impresa
scientifica. Quando, nei primi anni Venti, la
diffusione della relatività einsteiniana spinse
molti filosofi a confrontarsi con essa, ci fu chi,
in Italia, invocò un intervento illuminante da
parte di Croce e di Gentile. Non ci si accorgeva
che, come fece notare Sebastiano Timpanaro,
«Croce e Gentile sulla teoria della relatività
non hanno niente da dire, come non hanno
mai avuto niente da dire sulla teoria di Maxwell o su quella di Lorentz, o di Planck, o su
qualunque altro fenomeno fisico celebre o
oscuro». In rapporto alla scienza, il crocianesimo è consistito soprattutto in questo: nell’affermazione della sua irrilevanza intellettuale, e nella conseguente legittimazione dell’ignoranza scientifica.
Ma nel momento in cui la scienza entra capillarmente nella vita quotidiana e nel dibattito pubblico, non è più possibile disinteressarsene. Entra così in gioco il secondo atteggiamento, quello di diffidenza (o di vera e propria
paranoia): la scienza disumanizza, distrugge i
valori, esercita un potere incontrollato, mette
in pericolo le nostre esistenze. Su queste tesi
convergono filosofi, integralisti religiosi, nuovi sociologi della scienza. Se ne trova un’eco
anche nella recente enciclica Laudato si’ di papa Francesco. Nel paragrafo 106, il fondamento del «paradigma tecnocratico omogeneo e
unidimensionale» che minaccia le nostre società è individuato nel «metodo scientifico con
la sua sperimentazione, che è già esplicita-
mente una tecnica di possesso, dominio e trasformazione». E si ripropone il mito dell’armonia perduta, delle epoche passate in cui l’intervento dell’essere umano sulla natura avrebbe avuto la caratteristica di «assecondare le
possibilità offerte dalle cose stesse», cioè di
«ricevere quello che la realtà naturale da sé
permette, come tendendo la mano», diversamente da ciò che avviene nell’epoca attuale, in
cui invece «ciò che interessa è estrarre tutto
quanto è possibile dalle cose attraverso l’imposizione della mano umana, che tende a
ignorare o a dimenticare la realtà stessa di ciò
che ha dinanzi». Niente di nuovo, ovviamente:
l’idea della scienza come espressione di una logica di dominio attraversa il Novecento, trovando i suoi maggiori propagandisti nei francofortesi (Adorno, Horkheimer, Marcuse) e
nei loro chiosatori contemporanei. Ma il fatto
stesso che questa idea riecheggi in un documento per altri versi innovativo come l’enciclica di Francesco dimostra quanto essa sia ormai
una sorta di tic culturale, una tesi talmente radicata e diffusa da sembrare scontata.
Alla micidiale combinazione di ignoranza,
indifferenza e sospetto nei confronti della
scienza si può e si deve rispondere con
un’azione educativa attenta soprattutto agli
aspetti metodologici, epistemologici e storici
della ricerca scientifica. «Guai – scriveva nel
1982 il fisico Giuliano Toraldo di Francia - se ci
lasciamo sfuggire l’occasione di dare finalmente agli italiani un’immagine corretta della
scienza. Guai soprattutto se, limitandoci a
microbiologia di vetro | Luke Jerram «T4 bacteriophage», opera esposta a Glasstress 2011,
54ma Biennale di Venezia
soddisfare curiosità abbastanza superficiali,
non riusciamo a integrare la scienza nel vivo
tessuto culturale della società italiana». Alcuni
dei principali contributi a quest’opera di diffusione della cultura scientifica sono venuti negli ultimi due decenni da un ex allievo di Toraldo e illustre genetista, Edoardo Boncinelli, il
quale ha appena scritto per Indiana un piccolo
e appassionante libro, che è una sorta di manualetto di educazione civica alla scienza. Nello spazio di un centinaio di pagine, Boncinelli
illustra «i sette ingredienti» dell’impresa
scientifica - il carattere collettivo, la progressività, il metodo sperimentale, la comunicabilità, la coerenza logica, la predittività, l’aspetto
progettuale e tecnologico - demolendo una serie di persistenti luoghi comuni (lo scienziato
come genio solitario, il mito dell’esattezza, gli
equivoci sulla fallibilità) e raccontando la
scienza reale e viva, con le sue regole, le sue
procedure, i suoi successi, i suoi limiti.
La scienza, ricorda Boncinelli, non fornisce certezze assolute, non insegue la Verità,
non si pone domande sul senso, non vede fini
nell’universo, non offre ricette per la felicità.
Sostenere il contrario, cioè attribuire alla
scienza obiettivi che essa non si pone, per poterne dimostrare il fallimento, è il vecchio
trucco dell’antiscientismo. La scienza «opera
coscientemente entro limiti ben definiti» e
tuttavia - anzi, proprio per questo - è la conoscenza più solida e affidabile di cui disponiamo. Un grande biologo e premio Nobel,
François Jacob, osservava che l’inizio della
scienza moderna fu contrassegnato da un
passaggio da domande generali («Qual è l’essenza della vita?») a domande limitate («Come circola il sangue nel corpo?»), il che produsse un effetto sorprendente (e tuttora valido): mentre le domande generali ricevevano
risposte limitate, le domande limitate condussero a risposte di grande generalità. È così
che siamo arrivati a comprendere aspetti dell’universo e della vita che un tempo apparivano misteriosi e totalmente inaccessibili.
Questo progresso nelle conoscenze si è accompagnato a un progresso sociale e materiale, ma – sottolinea Boncinelli - non a un
progresso degli individui, perché i singoli uomini non possono cambiare in tempi brevi, e
la civiltà si trasmette culturalmente, non biologicamente. Vi è in tutti noi una dose di irrazionalità che va accettata come elemento ineliminabile e necessario per la nostra esistenza, ma non va confusa con quelle forme di razionalità falsa e distorta cui siamo spesso
esposti. «Tutti si affannano oggi a dire – scrive Boncinelli – che ognuno deve trovare da sé
e in sé il senso della propria vita e le sue personali spiegazioni, ma nei fatti ognuno le pretende già pronte, elaborate con maestria e
servite con eleganza. E trova sempre qualcuno disposto a farlo. In cambio di un po’ di assoggettamento». Alle facili scorciatoie che
appagano il desiderio di assoluto ma finiscono per creare servitù, la scienza oppone la via
più scomoda del pensiero critico, delle verità
particolari e approssimate, ma controllabili.
Queste sono le opzioni che abbiamo di fronte:
come diceva Monod, a noi la scelta.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Edoardo Boncinelli, I sette ingredienti della
scienza, Indiana, Milano, pagg. 110, € 13,50
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Sole 9 agosto