l’uomo nero mostra fotografica di danilo manzotti a glauco L’uomo nero anonimo e curioso.... Vicoli palazzi scale Oggetti Sagome informi Senza vita ma animati di luce Vedere Guardare Osservare Lasciarsi catturare... Ciò che appariva Ora non è Albori Chiarori Bagliori Silenziosi rumori Lampi? Il buio disegna e scolpisce E l’anima esplode Squarcio di Luce Nel dramma del Buio Simona Pellegrini Imperfezione digitale Fare il critico è un’attività che assume spesso connotati quasi paradossali: cosa si può scrivere su qualcosa che – come le arti figurative – si esprime in forme compiute con mezzi “altri” dalle parole? Forse questo aspetto di rischio (scrivere sciocchezze è una possibilità che fin troppo spesso si concretizza) viene compensato dalla speranza di poter capire ciò su cui si sta riflettendo: solo così tale rischio assume il suo significato più importante. In fondo, è questo desiderio – conoscere – che muove il pensiero critico. La paradossalità di introdurre questa raccolta delle fotografie di Danilo Manzotti può apparire addirittura maggiore: egli sostiene che la fotografia è il solo mezzo con cui riesce davvero a comunicare, e comunicarsi, nel modo migliore. Che aggiungere? Resta soltanto la percezione dell’osservatore. Ciminiere, baracche ondulate in metallo, rotaie, navi, scale e stanze sempre deserte; i loro luoghi sono il porto, le industrie: edifici del lavoro umano senza uomini. Ed ombre: ci sono ombre densissime o granulose, ombre di cose, ombre di muri o sui muri, ombre minacciose e grandi o sottili e rassicuranti. Ci sono molte ombre. Tutto quel che appare, pare già visto: immagini di passeggiate al porto, di stanze disabitate, di baracche abbandonate, di parcheggi chiusi, di peregrinazioni solitarie in periferia. Ma le ombre…quelle ombre nette o sfocate, schiaccianti o tremule: è forse scontato vedervi un mistero? Perché assieme ai soggetti, come nascosta tra le colonne, dietro i muri, dentro le ombre, si percepisce un’attesa sfuggente. Qualcosa sfugge, dietro la quotidianità. E trovo che questo sfuggente stia tutto nella trasformazione dello sguardo operata dal mezzo fotografico. L’errore – sgranature, sfocature, deformazioni, ritagli, luci sovraesposte, fuori fuoco – è ciò che definisce l’incertezza. In questo ossimoro sta l’uso del ritocco operato da Danilo, che trovo commovente: il ritocco digitale è usualmente schiavo della iper-definizione plastificata delle immagini contemporanee, e dunque piegato a eliminare ogni imperfezione del soggetto per donargli un aspetto che spesso nulla ha più a che vedere con il mondo; viene invece usato in queste fotografie esattamente al contrario, per creare imperfezione, e diventa filtro immaginifico che modifica la realtà arricchendola della visione personale dell’occhio che la ritrae. L’errore, creato e imparato dalla tecnica, diventa significante. Ciò di sicuro può non essere capito (“Ritoccare una foto per renderla sfocata e imprecisa?” “Ma così non si capisce il soggetto!”, e simili commenti che già mi pare di sentire); del resto è ciò che il nostro fotografo vuole suggerire con il titolo stesso della mostra, che cita l’omonimo film di Sergio Rubini dove l’incomprensione della comunità è causa dello scherno verso il protagonista pittore come pure della beffa di quest’ultimo verso la comunità che lo dileggia. Invece questa maniera di “operare” la fotografia suggerisce a mio parere un modo diverso di guardare il mondo, curioso e attento. Questo è almeno ciò che mi pareva più significativo, guardando le immagini di questo libretto. I ritratti della figlia di Danilo, Azzurra, – sola eppure fondamentale presenza umana di queste fotografie – con il suo sguardo curioso (la curiosità non è per eccellenza appannaggio dei bambini?), pieno e profondo, possono ricordarci proprio questo: che quando le manifestazioni del mondo ci sembrano più banali, più conosciute, più “già viste”, è proprio in questo caso che si corre più il rischio che queste, magari attraverso il filtro immaginativo di uno sguardo diverso (e tale è lo sguardo di chiunque sia altro da sé), ci appaiano diverse e diventino qualcos’altro. Facendoci comprendere che, quando ci sembra di capire (o di “vedere”) definitivamente, potremmo in realtà non aver capito nulla. Marco Tarsetti foto 001 foto 002 foto 003 foto 004 foto 005 foto 006 foto 007 foto 008 foto 009 foto 010 foto 011 foto 012 foto 013 foto 014 foto 015 foto 016 foto 017 foto 018 foto 019 foto 020 foto 021 foto 022 foto 023 foto 024 Sommario delle immagini: copertina - mia figlia azzurra foto 001 - camini nei pressi del vecchio deposito doganale molo sud foto 002 - camini nei pressi del vecchio deposito doganale molo sud foto 003 - vecchio deposito doganale molo sud foto 004 - ombra silos molo sud foto 005 - serbatoio molo sud foto 006 - rotaie molo sud foto 007 - locale mole vanvitelliana foto 008 - porta vecchio montacarici mole vanvitelliana foto 009 - locale mole vanvitelliana foto 010 - locale mole vanvitelliana foto 011 - locale mole vanvitelliana foto 012 - vecchio meccanismo orologio del 1600 - palazzo degli anziani foto 013 - locali palazzo degli anziani foto 014 - scala palazzo degli anziani foto 015 - cima nave foto 016 - container foto 017 - nave foto 018 - prua nave foto 019 - prua nave foto 020 - nuvola tempestosa sul mare foto 021 - ombra di mia figlia sull’altalena foto 022 - gocce sul vetro foto 023 - ringhiera scala interna alla rocca di cittadella foto 024 - goccia d’acqua su irragatore ringrazio mia moglie simona e mia figlia azzurra, la famiglia tarsetti e i miei amici davide e debora senza i quali non avrei realizzato tutto questo. DORICA INGEGNERIA S.r.l. di Ing. Davide Vitali & C. RENEWABLE ENERGY TECHNICAL ADVISORY Comune di Ancona