Uno spicchio di secolo
Amici della Pediatria dal 1990
un viaggio di 25 anni che ci ha portato qui...
a cura di
Adriana Lorenzi
L’emozione di questo viaggio nella lettura
di “Uno spicchio di secolo” è smisurata;
ripercorrere la storia
e ritrovarla in ogni gesto quotidiano,
per comprendere che Esserci è davvero importante.
…con caro affetto e profondo rispetto:
Buon Compleanno Amici della Pediatria
Milena Lazzaroni
presidente
1
Amici della Pediatria non si nasce, si diventa
Di Adriana Lorenzi
Credo da sempre nell’importanza di festeggiare le ricorrenze private e
pubbliche, i giorni di festa del calendario familiare, religioso o laico: è un
modo per ricordare e fare bilanci, per fermare il tempo e ripensarlo al
meglio. Un modo, forse, per sentirsi parte di un mondo che cresce e si
modifica, che dipende da quello che è stato e si prepara a quello che sarà,
mentre risponde a quello che è.
Ho quindi aderito con entusiasmo alla proposta di Milena Lazzaroni,
Presidente degli Amici della Pediatria con la quale collaboro da anni per la
formazione offerta ai volontari di antica e nuova data, di far scrivere il
gruppo di partecipanti all’annuale atelier di scrittura sull’Associazione.
Avevo già partecipato al festeggiamento dei 20 anni, realizzando un
libretto dal titolo Caro Volontariato, ti scrivo… che raccoglieva i testi
prodotti dai volontari nel primo atelier di scrittura chiamati a scrivere e
riflettere sulla loro dimensione di volontariato, sul significato di un servizio
offerto a un’Associazione che si preoccupa di affiancare le famiglie e i loro
piccoli eroi, i bambini, i ragazzini ricoverati in Pediatria. Così, questa volta
ho pensato che fosse il momento giusto per mettere al centro della scrittura
di esperienza l’Associazione Amici della Pediatria e la sua storia.
Fondata da poche persone e con un fondo cassa di 3.000 lire con una
buona volontà e ora composta da tanti, che sta nel cuore di una fitta rete di
relazioni con la realtà ospedaliera, altre associazioni, il territorio e ha
ampliato e adeguato le sue risposte alle esigenze delle famiglie che
necessitano di cure ospedaliere.
Mi è sembrata un’occasione quella di comprendere, attraverso il recupero
di frammenti di storia degli Amici della Pediatria, ciò che ha permesso
all’Associazione di resistere, passando attraverso gli anni e le fatiche, i
cambi di Direzione ospedaliera, i primari di Pediatria, il trasloco dal vecchio
al nuovo ospedale, ma soprattutto attraverso la morte dei piccoli eroi, le
sconfitte vissute, il senso di impotenza – e di ingiustizia – di fronte alla
malattia quando vince contro qualsiasi tentativo di cura, spezzando il corpo
di pazienti sempre troppo giovani. Non c’è volontario degli Amici di
Pediatria che non abbia messo qualche croce nel suo cuore e nella sua
mente per ricordare i volti delle creature che sono passate nei reparti
pediatrici, nelle loro braccia e nelle loro attenzioni.
In questi nostri tempi sfilacciati, incalzati, impegnati, presi d’assalto da
musiche, parole parlate, urlate, scritte, contrassegnati dalla lusinga di attività
all’insegna del consumare, variare, sprecare e rinnovare, mi sembra sempre
più raro cogliere esempi di fedeltà. Fedeltà a un’idea, a un mandato, a un
impegno, a un essere umano. Per quanto riguarda gli Amici della Pediatria
si tratta della fedeltà a un codice etico che viene passato dai volontari di
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vecchia data a quelli di nuova acquisizione e che deve essere sempre e
comunque ripassato, ‘rispolverato’ per non perdere mai di vista le linee
guida.
I volontari conoscono il significato della parola fedeltà alla loro
Associazione che amano e ne sono a loro volta amati. Ne sono così fieri che
non hanno certo bisogno di sbandierare ai quattro venti, come ha spiegato
Manuela, la loro appartenenza perché la sentono così profondamente e
radicalmente che ne godono con pudore. È l’Associazione a essere
importante. È lei che conta e resta inamovibile, forte di un ruolo conquistato
nel tempo, che si erge a monumento di quello che è stato e può ancora
essere.
Quando ho chiesto ai nuovi volontari di raccontarmi di una persona che
era stata cruciale nell’accompagnare il loro ingresso in Associazione, Elena
Z. ha preferito accettare «il rischio di uscire dal tema. Tuttavia, a chi mi
chiede chi sia stata la persona più significativa e importante per me
all'interno dell'Associazione, d'istinto e all'istante rispondo: l'Associazione!
Questo strano soggetto formato da decine di individui, persone distanti per
età, esperienza, interessi, carattere, eppure così vicine in quanto tutte
accomunate dal desiderio di dare ognuno il proprio, sia pur piccolo,
contributo al perseguimento di quanto non sempre la realtà dà per scontato:
il sorriso di un bambino. Sono profondamente grata a tutti questi
innominati ‘compagni di viaggio’ per il loro aiuto, per il loro sforzo, per la
loro passione. La mia esperienza in Associazione è iniziata solo da pochi
mesi. Eppure sento già così forte il senso di appartenenza, la condivisione
del progetto, l'orgoglio di fare parte del gruppo. Sì, è a questa macchina che
funziona 24 ore su 24, l'Associazione stessa, che devo riconoscere il merito
di essere stata realmente determinante per me. Una macchina diventata
persona grazie a un puzzle di decine di cuori pulsanti all'unisono».
È l’Associazione che trionfa e, infatti, chi vi aderisce, può farlo per un
po’ di tempo e poi abbandonare per i più svariati motivi professionali,
personali, familiari e lasciare il passo a qualcun altro, mentre lei resta: si
congeda con affetto e un po’ di struggimento da chi le ha regalato uno
spicchio del suo tempo e accoglie con fiducia chi si dispone a donarglielo.
I volontari che hanno aderito a una forma di vita fedele al codice etico
dell’Associazione, possono consegnare anche ad altri quegli ingredienti utili
per coltivarla, darle spazio, farla crescere come una piantina capace di
sopravvivere alle stagioni.
Come ha scritto Margherita «Nella vita incontri persone di cui ti puoi
fidare e altre sulle quali non puoi sempre contare, non perché siano cattive,
ma perché costituzionalmente sono così. Dunque ci sono persone affidabili
e altre meno: dipende dalla loro serietà e dalla loro precisione… È
affidabile chi rispetta tempi e regole, chi non si lascia spaventare da fatica e
impegni, chi mantiene la parola data, chi è preciso in ciò che fa per sé e per
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gli altri, perché all’altro ci tiene, desidera vederlo soddisfatto e contento e
si sente gratificato se l’altro è riconoscente, in modo esplicito o indiretto.
Gli Amici della Pediatria sono affidabili …
Quando nasce in te la fiamma del volontariato, pensi: «Vado e faccio del
bene, quando posso, quando voglio, come mi viene». Se poi hai in mente il
volontariato con i bambini, dici a te stesso: «Mi diverto con loro, li faccio
giocare, passo alcune ore spensierate». Erano questi i miei pensieri, le idee
che mi giravano in testa undici anni fa.
Poi, sin dai primi incontri di formazione, capisci che non stanno così le
cose. Non ti avvicini da solo ai bambini, come e quando vuoi: esiste un
gruppo con delle regole, con un codice etico, con una formazione
obbligatoria, con dei turni, degli orari, dei giorni fissi. Se accetti il gruppo,
accetti tutto. È questa la sua forza: precisione e rispetto delle norme fanno
degli Amici della Pediatria un’Associazione affidabile… Non si tratta di
rigore eccessivo, ma di un grande rispetto nei confronti delle famiglie e di
una particolare attenzione da parte dei volontari, che hanno un forte senso
di appartenenza e seguono, perché le condividono, alcune linee guida,
pienamente disponibili ad adeguarle ai tempi che evolvono, ma convinti che
alla serietà non si potrà mai chiudere la porta».
Fin dalla mia prima formazione nel 2009 mi sono affezionata agli Amici
della Pediatria, pronti a seguirmi nei diversi percorsi di scrittura per
affrontare temi scottanti che non potevano, però, essere rimandati: il valore
dell’impegno di volontari e volontarie; il piacere di leggere e scrivere per
coinvolgere in diverse attività narrative bambini e ragazzini costretti a
passare periodi più o meno lunghi di degenza, sentirsi a casa in un
passaggio delicato dalla vecchia sede ospedaliera a quella nuova, la morte e
quindi la perdita irreparabile dei piccoli eroi così come in quell’occasione
sono stati battezzati da Marco e ‘adottato’ da tutti. Daria non legge neppure
il progetto della formazione annuale perché, come ha confessato
candidamente, «va sempre e comunque bene» e con tale confidenza,
qualsiasi impegno si fa lieve.
Ricordo come per diversi di loro non era neppure da tematizzare la
questione del trasloco dalla sede degli Ospedali Riuniti al San Papa
Giovanni XXIII, perché bastava che ci fosse lo spazio per l’Associazione,
bastava indossare alcuni elementi caratterizzanti la propria presenza in
reparto - maglietta e cartellino di riconoscimento – per sentirsi forti di un
ruolo, orgogliosi di un servizio offerto. Ogni volta che li incontro, che
lavoro con loro, avverto di essere trasportata in un vortice di entusiasmo che
mi rimane appiccicato addosso per giorni e sono convinta che dipenda dal
fatto che si dispongano a imparare giorno dopo giorno, turno dopo turno
qualcosa che non danno mai per scontato, ossia l’arte di sostare accanto al
dolore con coraggio. Non è che non hanno paura, ma la trasformano in
coraggio perché sanno che ne vale la pena e, soprattutto, comprendono che
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se uno di loro rinuncia ci sarà qualcun altro a prendere il suo posto. Chi
soffre ha bisogno di aiuto per non disperare.
È sufficiente osservarli, corpi magri oppure robusti, giovani oppure
maturi, sorridenti o dolenti, più donne che uomini, guardarli negli occhi per
cogliere la loro consapevolezza: la vita è preziosa e nel contempo fragile e
basta poco, a volte troppo poco, per perderla. Né l’età anagrafica, né lo stato
sociale preserva da ciò che può accadere: il corpo è terra di conquista per la
malattia. Loro non possono fare nulla per guarire dalla malattia – quel
compito spetta ai medici -, ma sanno accompagnare chi sta vivendo la sua
esperienza di dolore e il compimento del suo destino, qualunque esso sia.
L’atelier di scrittura ha offerto lo spazio e il tempo per permettere ai
volontari di ripensare alle azioni, ai gesti, alle relazioni che vivono
quotidianamente e, così, tradurle in esperienza da far circolare. La scrittura
si propone di far sapere una verità che si precisa, scontorna grazie al
racconto.
Non è facile spiegare bene cosa faccia una volontaria degli Amici della
Pediatria perché, come ha precisato Margherita «non si tratta di fare, ma di
esserci, di esserci per prendersi cura, di esserci in punta di piedi, di esserci
come terzi, di esserci come presenza leggera… Non mi riesce proprio di
descrivere un rituale fisso: ogni volta è diverso! Ti capita di giocare con un
bimbo allegro e spensierato; ti capita la fatica di un adolescente con cui
scatta per miracolo la relazione; ti capita il neonato che piange,
inondandoti il camice verde di lacrime e facendoti stringere il cuore; ti
capita il genitore che vuole sfogarsi o che semplicemente cerca un
interlocutore nel silenzio della sua stanza buia; ti capita il medico o
l’infermiera che, appena arrivi, ti catapulta urgentemente a sostituire una
mamma o un papà; ti capita il compagno di turno che ha bisogno di
condividere e di essere ascoltato… e tu accetti quello che capita. Sei lì per
quello!
Sei lì. Ecco cosa significa essere volontario: essere lì… lì dove il tempo
non è tuo e non è per te, lì dove il tempo scorre in modo diverso o non
scorre o scorre velocissimo, lì dove le tue questioni personali non entrano e
da dove non dovrebbero uscire pesi troppo grandi, ma solo regali per la tua
vita, lì dove comprendi che il tuo dolore è relativo, lì dove capisci che
accanto al curare del personale medico c’è il prendersi cura, che rende
bella l’esistenza, lì dove girano storie di uomini veri, lì dove non conta
quanti anni hai o che professione fai, perché lì sei uomo alla ricerca di altri
uomini, lì dove s’impara a fare l’uomo».
Questa è la lezione che l’Associazione impartisce, questa è la lezione di
parole vive che abbiamo bisogno di ascoltare.
E non solo questa.
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La scrittrice Melania Mazzucco è stata affascinata, turbata da un dipinto
di Tintoretto - la Presentazione di Maria al Tempio - che si trova nella
chiesa della Madonna dell’Orto a Cannaregio e ha avuto voglia di conoscere
meglio questo artista che è diventato il cuore di tanti anni di ricerche e della
stesura di due opere: un romanzo, La lunga attesa dell’angelo e una
biografia Jacomo Tintoretto & i suoi figli.
Il quadro rappresenta una bambina che sale la ripida scala di un edificio
monumentale, alzando il lembo del vestito con la mano sinistra. Sta a lei
entrare nel Tempio eppure non è sola perché è circondata da tantissime altre
figure di uomini e di donne, di bambini. Una donna la indica alla sua
bambina quale esempio da seguire. Lei, la piccola Maria, sta «guardando
dritta davanti a sé, sale, con grazia e serietà, andando incontro al suo destino
di eccezione e solitudine». E la Mazzucco commenta «Da allora mi sono
sempre chiesta chi fosse quella bambina»1.
Quella bambina è ogni bambina chiamata a varcare la soglia che divide
un mondo noto da quello ignoto. Una bambina che impara sulla pelle che i
passi da compiere sono soltanto i suoi e di nessun altro, che è giunta la sua
ora e non quella di qualcun altro. Vale per il passaggio della nascita e per
quello della morte, per quello da casa a scuola e per quello ancora più
spinoso dal regno della salute a quello della malattia. Ogni bambina è sola e
avverte l’eccezionalità della situazione.
Nel dipinto, alle spalle della bambina vi è una donna che la guarda e
sembra accompagnarla con un’altra creatura in braccio; un’altra donna
addita Maria alla propria figlia che tiene per mano e pare coetanea della
bambina. Questa, per Melania Mazzucco, è una madre anonima, una
testimone di quanto di speciale e unico sta per accadere a Maria nel
momento della Presentazione al Tempio.
I volontari degli Amici della Pediatria sono testimoni - silenziosi,
rispettosi, pudici - di quanto accade nei reparti pediatrici dove i bambini
sono ricoverati e i genitori non lasciano le loro camere.
Adriana Zarri non amava la parola testimonianza che ha in sé l’elemento
del martirio, per cui possono essere testimoni solo i sopravvissuti ai campi
di concentramento nazisti, mentre lei preferiva il termine resoconto quando
scriveva di sé e della sua vita da eremita. Credo però che il termine
testimonianza valga per gli Amici della Pediatria che sopravvivono e
resistono accanto alla malattia, alle sofferenze, in reparti difficili da
affrontare come la terapia intensiva che, come ha scritto Daria è «esperienza
che lascia segni indelebili sia in chi è ricoverato, sia in chi vi opera o
occasionalmente lo frequenta. Il tempo di preparazione - salita delle scale,
suono del campanello alla porta blindata, attesa della risposta, disinfezione
delle mani e raggiungimento della ‘stanza’ - era caratterizzato da profondo
1
M. Mazzucco, Jacomo Tintoretto & i suoi figli, Rizzoli, Milano, 2009, pag. 10
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e intenso silenzio… per prepararsi a quell’incontro così particolare, nella
consapevolezza che non veniva chiesto altro se non l’essere se stessi, ma
mettendosi in punta di piedi per potersi elevare alla ‘statura’ dei piccoli
giganti. Il tempo del rientro nel reparto di Pediatria era caratterizzato da
profondo e intenso silenzio: i bit dei monitor che segnalano i parametri
vitali, il respiro e il movimento incalzante del polmone artificiale, le ferite e
il dolore lancinante incarnato nel corpo innocente dei bambini
rimbombavano inesorabilmente dentro di noi e chiedevano di essere
ascoltati… in silenzio».
Loro possono testimoniare e quindi raccontare quanto sia necessario
trasformare il dolore/la malattia/la sofferenza individuale in qualcosa di
collettivo per diventare più forti e riuscire a innescare strategie di
sopportazione, di resilienza. Forse il disagio della civiltà consiste nel
recidere i legami, nel chiudersi alla possibilità di chiedere aiuto, nel
ripiegarsi su se stessi. Loro non si stancano di testimoniare quanto sia
importante stare gli uni accanto agli altri per affrontare le prove più dure,
quelle tragiche che la vita non lesina ai figli degli uomini.
All’appuntamento con la scrittura si sono presentate in tante: figure note
dal primo laboratorio di scrittura, altre che hanno sperimentato da poco il
piacere di scrivere e interrogarsi su quello che è stato e un solo uomo che si
muove ormai a suo agio tra tante colleghe, amiche, compagne di turno.
In concomitanza con questo gruppo di lavoro conducevo anche l’annuale
laboratorio Il piacere di leggere e scrivere per i nuovi volontari, pieni di
entusiasmo per il loro volontariato e così ho chiesto loro di contribuire con
qualche brano all’impegno di raccontare l’Associazione. E ancora una volta
hanno accettato per prendere parte a un progetto comune: se la loro
Associazione chiama, loro rispondono. Non credo che ci sia esempio
migliore per toccare con mano il senso di un’appartenenza orgogliosa.
Tutte volontarie, ma qualcuna con un incarico specifico all’interno
dell’Associazione - la Presidente, la Vicepresidente, le referenti di turno, le
tutor, le consigliere… così abbiamo potuto penetrare nelle pieghe
dell’Associazione.
Come sempre cerco di evitare i discorsi generali affinché ciascuno
restituisca il caso particolare, il singolo esempio che racconta senza
spiegare, che porta con sé suggestioni capaci di delinearsi con efficacia nella
mente del lettore. Sono gli esempi a fornire dei modelli di riferimento, sono
gli esempi che possono essere fatti propri e adattati a uno stile: i concetti
annichiliscono oppure sfumano in retoriche.
Antonio Pascale in un suo saggio racconta di aver ascoltato la canzone
La cura di Franco Battiato insieme ad alcune amiche commosse dalle parole
«Tesserò i tuoi capelli come trame di un canto, supererò le barriere
gravitazionali, lo spazio e la luce per non farti invecchiare, perché sei un
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essere speciale e io avrò cura di te». Lui non capisce la commozione delle
amiche né loro l’imperturbabilità di lui che ammette di non sapere «come si
fanno a tessere i capelli come trame di un canto».
Studia il concetto di cura e grazie a Ivan Illich scopre l’ambiguità della
cura che «viola lo spazio della responsabilità personale. Il prolungamento
della cura fonda, cioè un sistema di potere rigido: da una parte il medico che
cura in quanto sano, dall’altra parte il paziente che si fa curare in quanto
malato. Chi prolunga le cure (e chi soggiace complice a questa dinamica)
sottintende: tu senza la mia cura non ce la puoi fare. Dunque io ho potere su
di te, in quanto portatore di benessere. In secondo luogo, il concetto di cura
si fonda su un’ingenuità teologica: pensare cioè di strappare il male che c’è
in te… A questo punto sarebbe meglio sostituire alla parola cura la parola
manutenzione, perlomeno quest’ultima è più leale. Chi fa manutenzione non
dice: tesserò i tuoi capelli come trame di un canto, più semplicemente dice:
hai qualcosa nei capelli, aspetta che te la tolgo. Il che presuppone uno
sguardo attento ma umile, non retorico. Al posto di un eroe romantico
dunque invincibile portatore, grazie a gesti epici, di cure e benessere, c’è un
piccole eroe comune dotato di sguardo empirico. L’eroe romantico crede
nell’assenza dei limiti, il piccolo eroe, invece, mai sazio di conoscenza, sa
che ogni nuova conquista ci porta su una soglia nuova» 2.
Mi piace molto l’idea di sostituire alla parola abusata di cura quella di
manutenzione, perché rimanda alla concretezza delle operazioni da fare: gli
Amici della Pediatria lo sanno bene e hanno cercato di raccontare i loro
turni, i gesti che compiono, le parole che dicono e quelle che hanno ricevuto
dai piccoli pazienti e dai loro genitori per dare forma ai principi ispiratori
del loro codice etico.
Appartenere all’Associazione
L’appartenenza agli Amici della Pediatria è documentata da alcuni
oggetti che identificano ogni volontario in modo che sia riconoscibile. È una
questione collettiva - è la maglietta, il tesserino identificativo dell’Azienda
ospedaliera di Bergamo, quello identificativo di AdP con una puffetta, il
cordoncino porta-tesserino, il grembiule ‘verde sala operatoria’, le chiavi
della Sala Smile, il diario giornaliero - e anche individuale per come
ciascuno cerca di personalizzare ogni oggetto.
Come ha scritto Daria «Il mio cordoncino porta-cartellino è diverso da
tutti gli altri e in sette anni di presenza nell’Associazione non è mai stato
una settimana uguale all’altra. Ho scelto di avere un cordoncino fatto con
materiale naturale; naturale come i bimbi, delicato come la loro pelle: in
alcuni periodi è di cotone, in altri di seta, in altri ancora di pelle. Il mio
cordoncino porta-cartellino è tutto di un pezzo e non ha parti metalliche per
2 A.
Pascale, Scienza e sentimento, Einaudi, Torino, 2008
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evitare di far male ai ‘cuccioli’ quando ti chiedono una coccola o quando
devi accoglierli tra le tue braccia per cercare di calmare il pianto e le urla
disperate che invocano mamma e papà. Il mio cordoncino porta-cartellino è
una collana che cambia di settimana in settimana: piccoli oggetti acquistati
o da me realizzati sono fissati al cordoncino e lo nascondono quasi
totalmente, pronti per essere staccati e donati; stelline, maschere, uova,
pulcini, frutti, foglie, funghi, animaletti buffi, pupazzetti, macchinine,
cercano di cogliere aspetti che rendono unico un preciso periodo
dell’anno… Il mio cordoncino porta-cartellino racconta di me, racconta del
mio ideale di volontariato, racconta dell’Associazione Amici della
Pediatria, racconta della vita».
È stata Laura a raccontare quanto un cordoncino possa identificare un
gruppo di colleghe, un’Associazione e anche i cambiamenti nel tempo: «Un
giorno di circa tre anni fa una collega volontaria, nuova nel mio turno, una
‘tipa’ molto creativa e dotata di grande manualità, ha avuto la simpatica
idea di realizzare dei cordini con nastro di raso arancione brillante e
decorati con variopinte applicazioni di stoffa (fiorellini, farfalle, fragole,
ecc.) e ce li ha regalati. Il martedì pomeriggio tutte sfoggiamo questi
cordini, un regalo davvero molto gradito, che attira l’attenzione dei bimbi,
apprezzato e invidiato da altri volontari, così speciale da essere
orgogliosamente segno di una doppia appartenenza: all’Associazione e al
turno del martedì! Da quando è stato realizzato i1 nuovo cordino con logo e
nome dell’Associazione, uguale per tutti, io li utilizzo entrambi e convivono
intrecciati, dato che non potrei assolutamente soppiantare il cordino
arancione fiorito e fruttato che tanto piace anche ai bimbi e che con loro
tante volte si è trasformato in risorsa per attirare l’attenzione, in gioco
improvvisato, in diversivo per calmare un pianto».
Nell’intreccio ci sta il passato e il presente: ogni volontario sa quanto il
suo lavoro dipenda da quello che è stato e si dispone a portarlo avanti senza
sentirsi solo, senza sentirsi sperduto, piuttosto anello di una catena.
Ci sono poi quegli elementi che non sono oggetti ma che identificano i
volontari dell’Associazione: il saluto, il sorriso.
Come ha scritto Loredana: «Perché ritengo il sorriso un oggetto che mi
identifica con l'Associazione? Tutto risale con il mio inizio, con il mio primo
giorno. L’emozione era forte, l’agitazione si stava impadronendo di me, ma
fu il sorriso con cui mi accolse il primo bimbo che incontrai che fece
passare la mia paura e allontanò la tristezza che era in me. Non è con la
tristezza, con le facce serie e preoccupate che ci vogliono i nostri bambini.
Non sempre è facile, quando ciò succede mi ricordo del primo sorriso che
incontrai il mio primo giorno in Associazione».
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Ringraziare
Ogni volontario, ogni volontaria è diventata o continua a essere un
mattone nella costruzione dell’Associazione. Uno accanto all’altro, uno
sopra l’altro mentre gli anni passano e l’edificio vive continui adattamenti,
ristrutturazioni, ampliamenti.
I volontari avvertono il debito di gratitudine verso chi li ha presi per
mano, li ha guidati nei primi passi e, nei casi più fortunati, ha continuato a
essere punto di riferimento.
Raccontare l’Associazione è stato anche ringraziare tante persone
incontrate, coltivare quella che Claudio Magris chiama l’etica della
memoria: «Noi, in fondo, siamo come cerchi nel tronco degli alberi: tutti gli
anni sono presenti, le persone, vive o morte... Ogni cosa ha un valore, ogni
passione, e soprattutto ogni persona, è presente a prescindere dalla morte. E
noi, a volte senza accorgercene, continuiamo a vivere anche con chi è
passato da un’altra parte»3.
Nei racconti dedicati alle persone dell’Associazione è emerso il valore
che ogni volontario attribuisce ai maestri e anche ai colleghi. Credo che
ciascuno di noi abbia bisogno per la vita di avere figure verticali e anche
orizzontali: i primi sono i maestri che per esperienza, età anagrafica
occupano una posizione superiore alla nostra e quindi ci passano i loro
saperi; i secondi sono gli amici, i colleghi che sono sul nostro stesso piano e
con i quali condividiamo quello che ci accade.
Capire che ci servono sia gli uni che gli altri è una sorta di dono. È la
chiave che apre la porta del miglioramento, della crescita perché
l’indipendenza, l’autonomia passa attraverso il riconoscimento del legame
con chi cerca la stessa cosa: un ideale di volontariato, un prendersi cura del
benessere del paziente bambino e dei suoi familiari e anche del
consolidamento della propria Associazione.
Tra le figure verticali sono emersi in maniera prepotente quella della
psicologa - Alessandra per Manuela, Cinzia Naibo per Stefania -; i tutor Barbara per Elena A., Laura per Elena R. Margherita per Milena, Eliana per
Mariella, Bruna per Stefania, Eliana per Laura ed Elena F., Marinella per
Mariangela che ha scritto della dolcezza del loro primo incontro in reparto
«ricordo che ci siamo sedute in corridoio su di una panchina e ci siamo un
po’ raccontate. Abbiamo letto insieme il codice etico e poi piano piano
abbiamo cominciato a girare in reparto, c'erano dei passaggi che temevo
fortemente però ricordo che con il suo aiuto tutto è scivolato via
naturalmente come se lei mi avesse preso per mano e accompagnata in
quella nuova avventura».
Come ha scritto Margherita: «La nonna, la mamma, la figlia: Non è un
legame di parentela, ma uno slogan che tre donne amano usare tra loro,
3
Claudio Magris, Se non siamo innocenti, Aliberti editore, Roma, 2011, pag. 71
10
quando si incontrano. Anagraficamente non potrebbe esistere questa
sequenza, visto che sono pressoché coetanee e, anzi, la figlia è un pochino
più grande della mamma. È per loro una simpatica metafora, per dirsi il
loro affetto, per dirsi che si donano tanto reciprocamente, per dirsi, senza
vergogna, che si vogliono bene e che tra loro la relazione è speciale, dentro
la grande FAMIGLIA a cui appartengono e che le ha accolte in tempi
diversi. Ecco dove sta la cronologia: è il tempo di appartenenza alla
FAMIGLIA che segna il loro ruolo di nonna, di mamma e di figlia, l’una
accompagnatrice dell’altra nella fase di ‘iniziazione’».
E il ruolo perdura nel tempo perché, come ha precisato Milena rispetto a
Margherita che è stata la sua tutor «Sono Presidente dell'Associazione, ma
lei rimane e rimarrà la mia tutor, la guardo negli occhi e ancora comprendo
al volo, la guardo con ammirazione, la guardo anche alla ricerca di
approvazione».
Stefania ha dedicato alcune righe a Don Alberto «ai tempi era un giovane
prete che esercitava la sua professione presso il seminario di Bergamo e in
più si occupava della formazione dei volontari della sezione… ricordo
ancora il suo tono di voce molto deciso e caldo quando ci ripeteva senza
stancarsi mai: «Voi siete e restate dei volontari, bravi ma sempre volontari,
non sentitevi mai indispensabili, non dimenticatelo… Ricordate che non
siete volontari in un oratorio, ma in un ospedale e in più in un reparto
pediatrico, entrate sempre in punta di piedi e siate sempre molto attenti a
ciò che incontrate e rispettosi dei silenzi e delle volontà altrui, non forzate
mai gli eventi, fate piuttosto un passo indietro… Ricordate che il dolore di
un genitore è suo e voi non dovete pensare di avere il diritto né la pretesa di
portaglielo via, perché è il suo dolore e a lui serve per poter andare avanti,
potete cercare di immaginarlo ma non sarà mai e non dovrà mai essere il
vostro dolore».
E nei racconti dedicati alle figure verticali ha occupato uno spazio
speciale Cesare, uno dei fondatori da poco scomparso e la sua perdita è una
ferita che continua a sanguinare in ogni Amico della Pediatria.
Come ha scritto Milena «Ricordarti caro Cesare è ancora doloroso, ma
anche felice al tempo stesso; le lacrime che scendono, spesso, hanno il
sapore della tristezza, ma anche di tanta gioia, perché il ricordo di tanti
momenti insieme è vivo e forte, non sei qui fisicamente, ma nel mio cuore ci
sei sempre. Ci sei quando propongo, quando scelgo, quando mi riunisco con
il direttivo, quando cammino in reparto, quando parlo con i bambini che
anche tu hai conosciuto e preso in adozione con la tua dolcezza… mi hai
accompagnata e formata a essere Presidente e hai lasciato che il mio io
potesse esprimersi e dare quel valore aggiunto a ogni scelta… Mi hai
insegnato a non perdere di vista il perché è nata questa Associazione,
perché l'avete fondata e mi hai detto «Non perdere mai di vista quello che i
fondatori hanno deciso costituendo gli Amici della Pediatria e sicuramente
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le scelte saranno quelle giuste, sempre!»… Quanto bene hai voluto a
ognuno di noi, quanto bene hai voluto e hai lasciato agli Amici della
Pediatria, per te quasi un terzo figlio da allevare ed educare crescendo. Il
tuo insegnamento e il tuo ricordo sono vivi in me e sono sempre energia e
ispirazione per essere al meglio una volontaria Amici della Pediatria che ha
deciso di accettare il testimone e di condurre quel grande gruppo di persone
che è oggi a compiere tutte le azioni attente e pensate a favore dei bambini
che vivono l'ospedalizzazione. Il Grazie che ti dico non è solo per avermi
insegnato a essere la Presidente degli Amici della Pediatria, ma soprattutto
per avermi insegnato che se tutti insieme guardiamo nella stessa direzione è
tutto più semplice e bello, potremo gioire insieme di ogni piccolo pezzo di
puzzle che continua a formare una storia che oggi ha 25 anni e che
speriamo possa continuare a crescere ancora …».
Maestro la ha definito Liliana perché lo era stato nella scuola
dell’ospedale, ma soprattutto perché Cesare «continuava a insegnare, lo
faceva inconsapevolmente! I maestri sono così, sanno le cose, sanno come
comportarsi e insegnano agli altri, fino alla fine».
Tra quelle orizzontali le colleghe, compagne di lavoro: quelle del gruppo
del giovedì per Mariella, del venerdì per Giovanna e Marco. Milena per
Marco ed Eleonora che ha deciso di entrare nel Direttivo per via amicale
condita di tanta ammirazione e, quindi, in punta di piedi nell’Associazione e
non ancora pronta per il reparto.
Daria ha scritto parole toccanti per un’amica volontaria, Alda, che non fa
più parte degli Amici della Pediatria: «Ci sono persone che lasciano il
segno, non cicatrici. Sono quelle persone che entrano in punta di piedi nella
tua vita e la attraversano in silenzio… Alda è una donna bella che trasmette
bontà a ogni battito di ciglia; ha una voce così calda e accogliente, capace
di far sentire a casa e a proprio agio anche in un’anonima stanza di
ospedale… Ho seguito con Alda tutto il percorso di formazione e ho avuto
l’onore di condividere con lei due anni di turno in reparto: mi hanno sempre
edificato la sua pacatezza, la sua versatilità e la sua nobiltà d’animo… Ho
condiviso con Alda il servizio nel reparto di terapia intensiva… Nessun
volontario sa perché Alda non sia più parte di Amici della Pediatria, ma
tanti Volontari di Amici della Pediatria, tanti bambini, tante mamme e tanti
papà possono raccontare di aver conosciuto Alda, la volontaria che sapeva
far sentire a casa e a proprio agio… anche se a casa non si era».
Stefania ha raccontato anche di Jolanda «una donna magica con carta e
forbici, una donna capace di capire con uno sguardo cosa il bambino
malato avesse voglia di fare… Jolanda sapeva creare con un foglio di carta
e un paio di forbici qualsiasi cosa dagli origami ai campi di calcio con
tanto di calciatori. Purtroppo di questa sua arte non sono riuscita a
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imparare nulla, infatti mi resta sempre un po’ di ripianto quando penso alla
brava maestra che ho avuto e alla cattiva allieva che sono stata io».
Ogni ringraziamento è una forma di umiltà e di generosità: il grazie
riconosce pubblicamente che siamo dipendenti da altri, che ci costruiamo in
virtù della presenza altrui.
Come ha scritto Stefania: «Sono convinta di essere rimasta così tanti
anni in Associazione proprio perché, oltre a essere serena e felice di quello
che faccio, ho avuto anche la fortuna di incontrare tante speciali compagne
di viaggio, ossia di turno e dei vari momenti di aggregazione e ognuna di
loro meriterebbe due righe di ringraziamento».
Non a caso lei ha scritto un lungo e prezioso elenco di ritratti perché è la
più anziana del nostro gruppo di lavoro, quella che conta più anni di
appartenenza agli Amici della Pediatria.
Volontariare
Gli Amici della Pediatria sono prima di tutto volontari, ma all’interno
dell’Associazione ciascuno può svolgere ruoli diversi in relazione
all’esperienza accumulata, alla disponibilità di tempo ed energie, alle
occasioni che riesce a cogliere. Mi è sembrato davvero importante
dispiegare questi ruoli, trasformarli in racconti capaci di restituire
soddisfazioni e fatiche, successi e sconfitte.
Il loro è un lavoro – che implica impegno, fatica, regole -, ma volontario,
quindi non retribuito. Ho pensato di chiamarlo: volontariare, ossia un agire,
un operare, un lavorare con serietà e dedizione per un tempo lungo senza
aspettarsi nulla in cambio. Tutti gli Amici della Pediatria sanno di ricevere
molto più di quello che donano ed è per quello che non si stancano, non
rinunciano, non disertano. Vanno avanti con senso di responsabilità finché
riescono.
Come ha scritto Stefania: «Volontaria, tutor, referente, vicepresidente,
volontaria… ho iniziato con volontaria e ho terminato con volontaria perché
questa figura racchiude tutte le altre, non sarei mai stata tutor, ora referente
e vicepresidente se non avessi avuto la fortuna di iniziare a essere una
volontaria dell’Associazione Amici della Pediatria di Bergamo. Sono una
volontaria dell’Associazione e negli anni mi sono evoluta come del resto si è
evoluta l’Associazione».
Esiste la volontaria ed esiste la ritualità che questa è chiamata a rispettare
per il suo turno in reparto: la vestizione della divisa che comporta come ha
raccontato Laura il fatto di avere una borsa pronta in auto con calzature
adatte – zoccoli bianchi come quelli degli operatori sanitari - per evitare di
entrare in reparto con decolleté tacco 12, arrivando direttamente
dall’ufficio!
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Come ha dettagliato Giovanna si tratta di: «ritirare il camice verde…
firmare in Sala Smile la presenza, mettere la maglietta, il tesserino di
riconoscimento con allegate le chiavi, camice, disinfettante, visionare il
diario e fare il breafing mattutino con il caposala che fornisce in il quadro
del reparto di quel giorno»… E poi si parte con il giro su due piani,
Trapianti e Chirurgia pediatrica Oncologia e con una precisa procedura:
«bussare, salutare, presentarci e chiedere se la mamma/papà o il bambino
necessitano della nostra presenza, riferendo che per qualsiasi bisogno noi ci
siamo». Poco il tempo che si passa con i degenti piccolissimi e maggiore
quello con i ragazzini che permette di sbizzarrirsi a giocare, colorare,
preparare qualcosa per le festività imminenti. A fine turno è nuovamente il
momento dell’aggiornamento e della registrazione degli accadimenti sul
diario e della firma dell’uscita.
È facendo che s’impara a riconoscere i propri limiti. Barbara ha
dichiarato di evitare di «scrivere i nomi dei nostri piccoli pazienti sui
cartoncini colorati che vengono poi posizionati sulle porte delle stanze. Non
ho alcuna predisposizione al disegno e quindi, conoscendo bene il mio
limite, per non penalizzare nessuno con le mie scarse ‘opere’, lascio che
questo compito venga svolto dalle mie colleghe sicuramente più fantasiose
ed artisticamente capaci di me».
È Elena F. che può farsi carico di questo impegno perché, come ha
raccontato: «Quando incontro un bimbo appena ricoverato, mi viene
spontaneo chiedergli il nome e se riesco lo coinvolgo subito per andare
nella Stanza delle Nuvole e comporre il suo nome. Mi diverte prendere uno
di quei cartoncini colorati, disegnare le lettere a forma di animaletto,
coniglietto e orsacchiotto, creare palloncini di ogni colore, aggiungere
brillantini se si tratta di nome femminile o intagliare macchinine se si tratta
di uno maschile. Pronte tutte le lettere compongo il nome e mi avvio verso
la stanza di quel bambino per attaccarlo alla porta. Leggo negli occhi dei
bambini e perfino dei genitori un dare importanza e valore a quel nome
appeso alla porta come a identificarne la forte personalità, dire che quella
stanza gli appartiene e mostrare a chi sta fuori che dentro c’è una piccola
grande persona consapevole che sa ci siamo noi volontari ad aiutare lui e i
suoi genitori a colorare le giornate in reparto».
Esistono ruoli diversi con mansioni specifiche:
il tutor che, come ha scritto Daria, «è un volontario, in servizio da
almeno un anno, a cui viene affidato un aspirante volontario per affiancarlo
nel muovere i primi passi all’interno del reparto.
Il tutor di Amici della Pediatria prende per mano, sostiene, incoraggia,
vigila.
Il tutor di Amici della Pediatria non sceglie chi affiancare, così come
l’aspirante volontario non sceglie il proprio tutor: il binomio si crea sulla
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scorta di coloro che vengono individuati, dal Coordinatore dei volontari,
come persone idonee a rivestire questo ruolo e dalla concordanza di giorni
e tempi tra le disponibilità dei tutor e degli aspiranti volontari.
Al tutor non viene chiesto nulla di straordinario se non di condividere la
quotidianità della vita in reparto con l’aspirante volontario. È davvero
preziosa per il volontario tutor questa possibilità che gli viene offerta: è
addomesticare ed essere addomesticato, è creare dei legami… come direbbe
la volpe al Piccolo Principe, è un modo per ampliare gli orizzonti, è un
tempo per verificarsi, è un tempo per ridirsi il perché della scelta di
svolgere volontariato in un reparto ospedaliero di Pediatria, è la possibilità
di essere testimone di come anche nella malattia la vita non perda il suo
valore. Il volontario tutor non è geloso della propria esperienza ed è
orgoglioso di colui che gli è stato affidato quando si accorge di potergli
lasciare la mano perché cammina con passo deciso e sicuro: spalanca le
braccia e si prepara ad accogliere un nuovo aspirante volontario».
Inoltre, ha precisato Stefania: «Fare il tutor è un’esperienza molto bella e
lo consiglio a tutti coloro che da un po’ di tempo sono nell’Associazione
perché è un modo per rispolverare certe regole/comportamenti /attenzioni
che un volontario vecchio finisce per dare un po’ per scontate, ma che
scontate, invece, non sono mai».
Stefania è anche referente di giornata, ossia «il trait d’union tra
l’Associazione e i volontari di quella giornata: raccoglie i bisogni e le
proposte dei volontari della sua giornata, gli eventi o le necessità
particolari come per esempio i doppi turni, le disponibilità dei suoi
volontari e comunica poi tutto alla coordinatrice… La referente di giornata
come il tutor sono figure che sono state istituite per garantire il miglior
benessere possibile ai volontari».
Esiste il ruolo del consigliere che aiuta per dirla con Marco a «scoprire
anche l’altra faccia della medaglia, quella parte di Associazione che
decide, organizza, gestisce e coordina un gruppo di persone molto diverse
tra loro, ma con un obiettivo comune. Grazie a loro e al fatto di essere
consigliere scopro ogni giorno cosa vuol dire mandare avanti
un’Associazione come la nostra, so quante difficoltà s’incontrano
quotidianamente, come sia difficile mantenersi autonomi e acquisire
competenze in materia fiscale per una corretta e trasparente gestione delle
risorse finanziarie, trovare ogni anno idee nuove per migliorare la
formazione dei volontari e proporre progetti innovativi per migliorare la
qualità della vita dei nostri bimbi. È proprio un gran lavoro!!! Lavoro,
peraltro, svolto gratuitamente… È un’esperienza che consiglio di fare
vivamente a tutti i volontari, almeno una volta. Prendere delle decisioni non
è mai facile, in questi anni lo abbiamo constatato di persona, il ‘metterci la
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faccia’ è una responsabilità, si ha un impegno in più, ma tutto questo ti fa
crescere, sia come volontario che come persona».
Esiste il ruolo di vicepresidente:
Come racconta Stefania: «quando mi è stato chiesto se volevo fare la
vicepresidente, ci ho pensato molto ed infine ho accettato con tanto
orgoglio. Quando ho accettato di entrare nel Consiglio avevo un po’ di
timore, quando ho accettato di fare la vicepresidente avevo 1000, che dico?,
10000 paure e ansie. Il compito della vicepresidente sarebbe quello di
sostituire la presidente nel caso di una sua assenza/impedimento o
cessazione di incarico, ma chi conosce la nostra Associazione, mi sa dire
chi sarebbe in grado di sostituire la nostra attuale Presidente?!!».
Esiste il ruolo della Presidente che Milena ha ben raccontato:
«Presidente, che parola importante, rappresenta un incarico (comunque
volontario) per il quale sei guardata, osservata e, a volte, anche
giudicata…». La Presidente fa tante cose, ma soprattutto «Sulla mia testa
c’è quella spada chiamata: Legge. E già, quando si assume il ruolo di
Presidente si diventa anche il legale rappresentante dell’Associazione con
tutti gli oneri che ne derivano. Tante volte mi sento chiedere: «Quanto
tempo dedichi alle attività dell’Associazione?». Non so dare una risposta,
non so quantificare il tempo in modo preciso, ma la borsa con tutte le mie
cartelline perfettamente organizzate in settori è sempre con me e quindi mi
capita di occuparmi di alcune questioni durante la mattinata o il
pomeriggio, per la maggior parte la sera e la notte, oltre il sabato e la
domenica. A volte è tardi, sono stanca della giornata lavorativa, oppure
fuori piove e vorresti solo stare sul divano a leggere un libro, ma dedicarmi
a qualcuna di queste attività non è mai un peso, perché so che sto facendo
qualcosa per, come dico io, ‘i nostri bimbi’ e quindi pufff tutto diventa più
leggero e si concretizza in nuove azioni.
C'è una cosa nella quale mi impegno molto ed ho deciso che merita ogni
mia attenzione possibile: avere uno sguardo che vede, guarda ed osserva
tutto il mondo che si chiama Amici della Pediatria… Tempo fa una exvolontaria mi disse: «Se diventerai Presidente preparati alla solitudine,
perché è questo il destino di chi ricopre certi ruoli». Devo ammettere che,
fortunatamente, per quel che mi riguarda non è andata così… ho iniziato il
mio quarto anno e posso affermare di non essermi mai sentita sola, anzi la
vita attorno al Presidente è davvero affollata a testimonianza concreta che
un gioco di squadra permette, insieme, di raggiungere gli obiettivi».
È scrivendo che ci si accorge quanto conti l’essere volontario tanto da
dimenticare come ha scritto Liliana «la vita com’era prima senza, per
quella dopo con… Se quel ruolo l’ho assunto dentro in modo da sentirlo
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naturale, un sostegno non indifferente mi è stato dato dall’Associazione.
Dal primo momento si è presa cura di me. Mi ha dato le regole: come si
deve entrare in reparto, le norme, i ruoli, l’atteggiamento, le indicazioni da
seguire. Poi, sempre la formazione. Ho avuto modo così di sentire riflessioni
sulla fragilità e prossimità nella relazione d’aiuto, sullo scambio tra il dare
e l’avere, che non è unidirezionale… Sono una volontaria consapevole.
Credo si sia capito il piacere di questo ruolo. È uno sbocco del cuore… È
capitato, capita, di ricevere ringraziamenti. «Spero di rivederla la prossima
settimana», mi ha detto un papà l’ultima volta che sono stata in reparto.
Sono riuscita a distrarre e a fare sorridere la sua bimba con le filastrocche:
«Occhio bello, suo fratello, la chiesina, il campanello, din don din don».
«Ancora, ancora, lei», mentre io indicavo le parti del viso nominate facendo
la faccia buffa… Sono stata contenta: ho pensato alla parola restituzione…
Oggi, alla routine di me volontaria appartengono gesti usuali, come
sistemare le borse nel solito appendiabiti, sempre allo stesso posto, togliere
la maglietta e lavarla, per riporla asciutta, stirata e piegata insieme con le
altre cose che mi servono. Ma ho anche il privilegio della conoscenza di
altre persone, i miei colleghi di turno sono le più vicine, ma lo scambio di
calore umano è anche con gli altri, con i quali condivido la scelta di fare
parte della stessa Associazione. E lo dico con un senso di Orgoglio».
E Loredana cita una frase di Patch Adams: «Se curi una malattia si vince
o si perde, se si cura una persona si vince qualunque esito abbia la terapia».
L’Associazione si occupa e preoccupata della cura dei piccoli eroi
ricoverati in Pediatria.
Ispirarsi ad alcuni principi
Ci siamo impegnati a scrivere sulla lavagna a lettere maiuscole quelli che
sono i punti fondamentali dell’Associazione, le linee guida e, come ormai
sono abituati a fare i volontari/scrittori, ho chiesto degli esempi per far
capire a chi non conosce affatto oppure non sa bene degli Amici della
Pediatria.
Non perdere di vista il bene del bambino e della famiglia
Barbara ha raccontato la volta in cui è intervenuta prontamente su una
neonata che le era stata affidata dalla mamma grazie al suo sguardo vigile;
Loredana di una partita a calciobalilla con un ragazzino ricoverato e i suoi
genitori e tanto di pubblico tifoso: «Se un semplice gesto come una partita a
calcetto può servire ad alleggerire il carico della sofferenza e può aiutare
chi vive nella malattia a non pensare al disagio in cui si trova, anche solo
per un momento, per me diventa qualcosa di veramente speciale che mi
rende orgogliosa di appartenere a questa Associazione. Quel giorno ho
centrato l’obiettivo, ho fatto goal!».
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Giovanna ha raccontato della visita fatta a una ragazza appena rientrata
in reparto per altre e nuove cure. Laura ha ‘rispolverato’ i suoi studi di russo
per entrare in relazione con due russe – figlia e madre -, e ‘rompere il
ghiaccio’ e grazie al traduttore Google riesce a farsi: «raccontare com’è
composta la loro famiglia, cani e pesci inclusi, com’è il clima nella loro
zona, e ci mostrano sul telefono alcune foto della casa, della famiglia, del
paesaggio. L’atmosfera nella stanza si è sciolta, alleggerita, la mamma è
simpatica, espansiva, scherziamo sul confronto tra temperature Italia/
Russia e sul fatto che la ragazzina da perfetta adolescente, adora stare
incollata allo smartphone! Anche la ragazzina sorride e sembra apprezzare
i nostri sforzi di comunicare. Riusciamo a capire cosa lei desidera fare,
ovvero disegnare e fare braccialetti e le forniamo il materiale. Non è
interessata a proposte di giochi, preferisce la lettura e quindi m’impegno a
cercare nella nostra Biblioteca qualche libro in russo, non sono certa che ve
ne siamo. La sensazione, uscendo dalla stanza tra i saluti, i loro sorrisi e
ringraziamenti, è davvero quella di aver contribuito all’accoglienza di
questa ragazza e di sua madre ritrovatesi in una realtà così diversa dalla
loro e in una situazione clinica che spaventerebbe chiunque».
Manuela ha raccontato di quanto sia riuscita a cambiare l’umore
arrabbiato e triste di un bambino in Oncologia sfogliando con lui il
raccoglitore di banconote e monete di altri Paesi del mondo e pensando poi
di portargli da casa parecchia valuta straniera di pochissimo valore. Il
ragazzino ha sorriso e: «La mamma mi ha detto: «Allora è vero: gli angeli
esistono». Mi ha abbracciato e baciato commossa. Io credo che la mia
Associazione abbia il dovere di esistere per il sorriso o l’abbraccio anche
solo di una mamma». Mariangela ha accondisceso al desiderio di un
bambino di uscire dalla stanza e ‘correre’ un po’ in corridoio seduto su una
sedia a rotelle «la sua Ferrari a due ruote» e attaccato alla bombola di
ossigeno: «penso che in quel momento non ci fosse migliore cura di quelle
sue risate».
Il benessere del volontario
Stefania ammette di avere appreso bene sul piano teorico le regole scritte
nel codice etico dell’Associazione, ma di averle mandate in soffitta quando
si è affezionata troppo a una bimba che andava e tornava dal reparto
ospedaliero. La Presidente in carica a quel tempo l’aveva ripresa
spiegandole i rischi di un atteggiamento esageratamente protettivo verso la
bimba e la sua mamma. Stefania si è risentita per poi comprendere la
correttezza delle parole della Presidente: «Questa chiacchierata mi ha
permesso di capire tante cose, ma soprattutto di essere consapevole del mio
essere volontaria dentro una grande famiglia che porta avanti un gioco di
squadra e risponde prontamente a ogni richiesta fatta dalle famiglie o dai
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bambini stessi. Ancora oggi mi ritrovo spesso a ripensare a quel colloquio
al quale, forse, devo la mia presenza in Associazione dopo tanti anni».
Sensibilizzare l’opinione pubblica
Non è stato facile per Daria raccontare la fatica di aver cercato di
coinvolgere la sua Associazione dentro il progetto SolidarMente che viene
attivato annualmente nell’Istituto Comprensivo nel quale lavora per far
riflettere i bambini e le loro famiglie sul significato di essere volontari;
organizzare una raccolta di giochi e materiale didattico nuovi, raccogliere
fondi per l’Associazione.
Come ha ammesso Daria «Non posso nascondere di aver vissuto
momenti di disorientamento di fronte a impegni condivisi, concordati ma
poi disattesi da parte dell’Associazione. Alcuni colleghi mi hanno chiesto:
«Ma chi te lo fa fare? Stai cercando di tamponare e di proteggere con tutta
te stessa quest’Associazione, ma… non è meglio lasciare perdere?». Mi ha
fatto male, molto male, sentirmelo dire perché è stata toccata una delle
dimensioni più significative della mia vita. Mi sono fermata e mi sono
chiesta se e perché sia importante che un’Associazione come Amici della
Pediatria debba investire tempo e risorse nell’aiutare a conoscere e a
sensibilizzare rispetto a uno spaccato così particolare di realtà, ma
soprattutto se tale investimento debba partire fin dalla tenera età. Mi
risponde la maestosità e la saggezza della montagna: «Se vuoi costruire un
mondo a misura di bambino devi partire proprio da loro: spalanca i loro
orizzonti, sveglia in loro il senso del vero, il senso del bene e il senso della
meraviglia; sii guida sicura e credibile nel loro cammino… e quando
saranno adulti non potranno che aprirsi alla pienezza della vita e non fare
altrimenti!».
Ci vuole coraggio anche a mostrare i momenti di vulnerabilità e fragilità
di un’Associazione, un coraggio che viene dalla consapevolezza che si può
rimediare, aggiustare, migliorare. L’opera di manutenzione può essere
rivolta alle persone, ma anche a un’organizzazione.
Marco ha raccontato di come sia riuscito a coinvolgere gli Ultras della
Curva Nord dell’Atalanta, nonostante le perplessità del Direttivo, nella
raccolta di fondi per l’Associazione che ha partecipato alla festa della Dea
edizione 2013 e 2014. Gli Ultras sono anche andati in reparto per conoscere
meglio l’attività dell’Associazione.
La Formazione
I volontari sono chiamati a partecipare alla formazione, non è una scelta,
è un impegno che viene definito fin dall’inizio come condizione
imprescindibile, perché: Non si nasce volontari, lo si diventa. Un tassello
del mosaico che rappresenta il volontario è dato dalla formazione.
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Come ha scritto Liliana «Oggi leggo la parola con una valenza diversa,
la interpreto come la colonna sonora di un film che si chiama Volontariato e
di cui anch’io ho una parte, insieme con tanti altri. La formazione,
nell’accezione figurata della parola secondo il vocabolario Zingarelli, è
‘Maturazione delle facoltà psichiche e intellettuali dovuta allo studio e alla
esperienza’. Non male, anzi direi bene, ci siamo: i Principi che sono alla
base dell’Associazione Amici della Pediatria riassunti in questa parola. Mi
piace! Mi sono arricchita di conoscenze e mi sono lasciata plasmare da
essa. Puntuale. Specialistica. Divertente. Intelligente. Parole ad hoc.
Quando ripenso a me, in quella mattina di fine ottobre 2003 per la prima
volta in Associazione, con la sicurezza dell’essere mamma e insegnante,
mentre mi approcciavo verso un mondo che credevo di conoscere, quello dei
bambini, dei ragazzi anche se ospedalizzati, vedo tutto il cammino fatto.
Oggi provo un sentimento di gioia per avere accettato di passare attraverso
la porta che si chiama Formazione ed essere arrivata qui».
Tanti, tantissimi sono i formatori e le formatrici che gli Amici della
Pediatria hanno incontrato nell’arco degli anni e le loro parole sono
diventate attrezzi del loro mestiere, del loro volontariare in Associazione.
Come ha scritto Stefania: «Grande importanza ha avuto anche tutta la
formazione ricevuta, che non solo mi è servita dentro il reparto, ma anche
nella quotidianità della mia vita fuori dall’Associazione, prima di tutto con
mio figlio».
Nessun volontario distingue tra la persona che è in ospedale da quella che
è fuori dall’ospedale, riconoscendo di essere diventati uomini e donne
grazie all’esperienza vissuta in Associazione.
Quando ho chiesto di raccontare cosa avessero imparato nel tempo
dedicato all’Associazione è emerso all’unanimità il debito di riconoscenza
per aver appreso a godere della meraviglie della vita, ad apprezzare tutto
quello che hanno, «a trovare tempo per ridere, tempo per piangere, tempo
per giocare e tempo per attendere, tempo per cantare e tempo per
ascoltare», a vivere e non soltanto a sopravvivere, a pensare di avere sempre
e comunque delle risorse per affrontare i momenti più difficili, a fidarsi, a
circoscrivere i problemi, a lavorare insieme, a sognare un modo a misura di
bambino. In una parola: a vivere.
I testi che sono stati raccolti hanno cercato di trasfigurare l’esperienza di
un’Associazione per farne una testimonianza da far circolare e sono preziosi
- come sempre, come ogni anno -, perché offrono un esempio di resistenza
etica in questa nostra città e, forse, anche in questo nostro Paese.
L’Associazione Amici della Pediatria compie 25 anni e invita chiunque
abbia tempo e voglia a farne parte.
Amici della Pediatria non si nasce, ma si diventa.
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Gli oggetti che documentano l’appartenenza
all’Associazione Amici della Pediatria
Barbara
Camice, tesserino, codice etico, giochi di società in scatola, puzzle,
pennarelli, pastelli, forbici, cartoncini colorati, adesivo, carrello libri, libri,
corallini, calciobalilla, carte.
Fra gli oggetti che utilizzo non ho inserito lo scopo che ritengo
fondamentale, che mi accompagna sempre e che produce i momenti più
significativi e gratificanti della mia presenza in reparto: il SORRISO.
Alcuni mesi fa durante una visita al reparto trapianti ho avuto modo di
conoscere, in particolare, la mamma di un bimbo di 8/9 mesi che era in
attesa di trapianto di fegato.
La sintonia fra me e questa mamma è stata immediata: all’iniziale
difficoltà di affidarmi il suo ‘cucciolo’ è ben presto subentrata la fiducia e la
volontà di comunicare le sue emozioni, le sue paure e le sue aspettative.
Ogni giovedì era per me un momento importante fare loro visita, seguire
l’evolvere della situazione clinica del piccolo e poter essere vicina a quella
genitrice con la quale si era instaurato un rapporto di reciproca stima e
confidenza.
Durante l’ultima visita prima delle vacanze natalizie, in occasione delle
quali per motivi famigliari mi assentavo per circa un mese, questa mamma
mi ha voluto abbracciare e, augurandomi buone feste, mi ha ringraziata
asserendo che con la mia presenza, il mio sorriso e la mia disponibilità ero
riuscita a infonderle un po’ di serenità e conforto. Non posso esprimere a
parole quanto sia stato per me gratificante e motivante quel momento: era la
conferma che la solidarietà, la partecipazione emotiva sincera creano
un’energia positiva che si trasmette e che produce effetti positivi, era la
conferma che la motivazione che mi aveva spinta ad aderire
all’Associazione era quella giusta.
Daria
1 maglietta
1 cartellino identificativo dell’Azienda ospedaliera di Bergamo
1 cartellino identificativo di AdP con una puffetta
1 cartellino identificativo di AdP con il logo dell’Associazione e
cuoricini, stelle e principesse, doni preziosi di piccoli-grandi eroi
2 cordoncini porta cartellini:1 personale (in questo momento in pelle
rosa con intarsi ottanio) e 1 di tessuto sintetico bianco con logo e scritte
dell’Associazione
1 grembiule ‘verde sala operatoria’… che mi obbligano a indossare
1 zainetto con le stelle, la mia borsa di ‘Mary Poppins’
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1 casella di posta elettronica che accoglie e conserva tutte le mail
dell’Associazione
1 cartella nel pc ‘AdP’… salvata e risalvata su memorie diverse, per
conservare parole, scatti, esperienze, scambi: ricordi preziosi da non
perdere
1 cellulare utilizzato per comunicare con i compagni di avventura
attraverso telefonate, sms, whatsapp…
1 anta del mio armadio sulla quale appendo disegni e oggetti, doni
preziosi di bimbi: insignificanti per chi non sa, tesori inestimabili per chi
conosce e condivide l’esperienza
1 memoria e 1 cuore: non so se siano oggetti, ma so che da sette anni,
ogni settimana, fanno tesoro di tante persone che nella sofferenza
condividono storie di immenso amore.
Il mio cordoncino porta-cartellino
Il mio cordoncino porta-cartellino è diverso da tutti gli altri e in sette anni
di presenza nell’Associazione non è mai stato una settimana uguale all’altra.
Ho scelto di avere un cordoncino fatto con materiale naturale; naturale
come i bimbi, delicato come la loro pelle: in alcuni periodi è di cotone, in
altri di seta, in altri ancora di pelle.
Il mio cordoncino porta-cartellino è tutto di un pezzo e non ha parti
metalliche per evitare di far male ai ‘cuccioli’ quando ti chiedono una
coccola o quando devi accoglierli tra le tue braccia per cercare di calmare il
pianto e le urla disperate che invocano mamma e papà.
Il mio cordoncino porta-cartellino è una collana che cambia di settimana
in settimana: piccoli oggetti acquistati o da me realizzati sono fissati al
cordoncino e lo nascondono quasi totalmente, pronti per essere staccati e
donati; stelline, maschere, uova, pulcini, frutti, foglie, funghi, animaletti
buffi, pupazzetti, macchinine, cercano di cogliere aspetti che rendono unico
un preciso periodo dell’anno.
Capita spesso che il mio cordoncino porta-cartellino sia l’inizio e la fine
di un incontro: «Ma come mai hai al collo tanti fiori?», «Ci inventiamo una
storia con i tuoi animaletti buffi?», «Ne posso prendere uno? E un altro per
la mia mamma e il mio papà?».
Mi piace sentire le voci dei bimbi che cercandomi in corridoio chiedono
della volontaria con la collana colorata al collo.
Il mio cordoncino porta-cartellino racconta di me, racconta del mio
ideale di volontariato, racconta dell’Associazione Amici della Pediatria,
racconta della vita.
Giovanna
Cartellino con chiavi, camice, il sorriso, la maglietta, il saluto, il
bussare, i giochi, la penna ed il foglio per scrivere nomi mancanti sulla
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porta dei nuovi arrivati, disinfettante, pennarelli e pastelli, fogli per
disegnare, tessere.
Pennarelli e pastelli
I pennarelli e i pastelli per un bel po’ di tempo li avevo messi da parte,
insomma usati solo a scuola, ai bei tempi che furono; entrando in
Associazione ho riscoperto quella parte di me colorata, che vuol venir fuori.
Con i bambini nella Stanza delle Nuvole ci si diverte, vengono usati spesso,
chi li usa per dipingere disegni già fatti, chi per crearne nuovi e anche chi
per preparare i nomi mancanti dei nuovi arrivati.
Ho più dimestichezza con il pastello, mi piace di più, non so perché,
forse si riescono a fare più sfumature. Vedere i bambini che con pennarelli e
pastelli si divertono e s’impegnano nelle loro creazioni, mi rende felice,
danno l’impressione di dimenticarsi di essere in un ospedale. I pennarelli, i
pastelli e tutto ciò che è colore, donano vitalità e calore, forse è per questo
che ho scelto questo oggetto oggi.
Nell’Associazione ci sono molti colori, siamo in tanti e ognuno di noi
porta una parte di se stesso, porta il suo colore e tutti insieme facciamo un
bellissimo ARCOBALENO!!!!!!!
Laura
Io ho :
- Una T-shirt, anzi più di una
- Un badge di riconoscimento, con il mio nome
- Un cordino per il badge
- Una chiave della stanza SMILE
- Una sacca di tela bianca con il logo dell’Associazione, che
contiene quanto sopra
- Un camice da volontaria, da indossare in Reparto e fornito
dall’Ente Ospedaliero
- Una tessera per ritirare il camice
- Una tessera per il parcheggio
- Un segnalibro, sempre presente nel libro che sto leggendo
- Una penna, con cui sto scrivendo
- Un codice etico
- Un PC con indirizzo di posta al quale ricevo le e-mail
dell’Associazione e dove archivio
- Uno smartphone, con il Gruppo Whatsapp creato per il turno
del MARTEDI
-
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Il cordino per il badge
Senza esitazione eleggo il cordino porta-badge.
Al momento dell’ingresso in Associazione mi era stato consegnato un
cordino semplice, robusto, colore bianco tinta unita senza scritte. Bene,
neutro, un po’ asettico ma funzionale al suo scopo.
Abbinato alla T-shirt grigia (ormai obsoleta) non era così male.
Un giorno di circa tre anni fa una collega volontaria, nuova nel mio
turno, una tipa molto creativa e dotata di grande manualità, ha avuto la
simpatica idea, tra un lavoretto e l’altro, di realizzare dei cordini con nastro
di raso arancione brillante e decorati con variopinte applicazioni di stoffa
(fiorellini, farfalle, fragole, ecc.) e ce li ha regalati.
Il martedì pomeriggio tutte sfoggiamo questi cordini, un regalo davvero
molto gradito, che attira l’attenzione dei bimbi, apprezzato e invidiato da
altri volontari, così speciale da essere orgogliosamente segno di una doppia
appartenenza: all’Associazione e al turno del martedì!
Da quando è stato realizzato i1 nuovo cordino con logo e nome
dell’Associazione, uguale per tutti, io li utilizzo entrambi e convivono
intrecciati, dato che non potrei assolutamente soppiantare il cordino
arancione fiorito e fruttato che tanto piace anche ai bimbi e che con loro
tante volte si è trasformato in risorsa per attirare l’attenzione, in gioco
improvvisato, in diversivo per calmare un pianto.
Liliana
Una borsa di plastica telata rosa, sempre la stessa, dall’inizio, che ha un
buco in un angolo.
Una borsa di plastica robusta verde, che la contiene per non perdere il
contenuto.
La borsa di cotone bianca della Associazione, che le sostiene entrambe.
All’interno di esse trovano posto: una cordella con il cartellino e il mio
nome assieme alla chiave della porta di accesso alla camerina Smile del
Reparto; un contenitore di forma rettangolare ricamato a piccolo punto
dove conservo un vecchio paio di occhiali non tarati per la visuale di oggi;
un cuore di plastica rosa.
Due T-shirt con decori diversi: la prima di quando ho cominciato il
Volontariato, che non indosso più, ma che viaggia sempre con me. La
seconda con tante belle simboliche manine che indosso sotto il camice
azzurro e il pass per ritirarlo.
Anche fogli di carta per scrivere e alcune penne.
Ma l’elenco non sarebbe tale se non indicassi l’indirizzo di posta
elettronica che mi riporta agli Amici della Pediatria e mi comunica le attese
notizie.
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Dialogo tra Mercoledì e la volontaria Liliana
«Caro il mio Mercoledì - lo sai - i tempi della memoria vanno per i fatti
loro. Occupano la mente. Si dileguano. S’intrecciano. Svaniscono.
Ritornano quando non li aspetti. Ma quando sento il tuo nome ti identifico
immediatamente con una parola magica: Volontariato. La definisco
‘magica’, lo sai. Tu pervadi la mia mente prima di quella giornata e vai al di
là della nostra permanenza temporale in Ospedale. Eppure non sei così
rinomato come il Sabato del Villaggio e neanche come la Domenica
bestiale, sei semplicemente Mercoledì = Ospedale e affettuosamente – Vol.
– per me».
«Cara la mia volontaria, lo so. Tu mi vuoi dire che questo giorno brilla
di luce propria al di là di me. Ogni volta lo vivi con il sentimento. Ogni
volta è una nuova avventura che cataloghi nel cuore, il cuore è il
protagonista. Lo riempi di visi, di nomi, tanti con la finale consonantica – d
– r – k…, ma anche - a - e - o…».
«Sì, ne ho conosciuti tanti e molti li ricordo. Alcuni più di altri e tu
capisci perché. Ciascuno con una connotazione di dolcezza. A questo punto,
caro Mercoledì, non ricordarmi che non sei stato tu il solo ad
accompagnarmi in questo percorso!»
«Vero. Sei stata con Martedì, con Giovedì, e, persino con Venerdì. Lo so!
Non ho l’esclusiva, ma non mi importa. Quello che conta è che da parecchi
anni ti riempi la mente di me e insieme ci svegliamo e ci incamminiamo
verso il San Papa Giovanni XXIII».
«Grazie, mio caro. Lo sai, ormai ti aspetto. Sin dalla domenica attendo te.
Riordino le cose che ci faranno compagnia. Quando arrivi, mi trovi pronta.
Come sempre, percorriamo in auto il tragitto sino al parcheggio, quindi un
tratto a piedi a passo spedito, poi su per le scale, infine nei reparti. Prima in
uno e poi nell’altro, in punta di piedi e col sorriso sulle labbra per i nostri
bambini, i loro genitori e nonni».
Loredana
Ho: il camice, la maglietta, il cartellino d'identificazione, la borsetta di
tela con il logo dell'Associazione, gli oggetti che uso nelle varie attività, il
sorriso.
Il sorriso
Premessa.
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Per me essere volontaria è una cosa seria, impegnativa e importante.
Perché allora ritengo il sorriso un oggetto che mi identifica con
l'Associazione?
Tutto risale con il mio inizio, con il mio primo giorno. L’emozione era
forte, l’agitazione si stava impadronendo di me, ma fu il sorriso con cui mi
accolse il primo bimbo che incontrai che fece passare la mia paura e
allontanò la tristezza che era in me.
Ecco è stato in quel momento che il sorriso è apparso sulla mia bocca e
che porto con me. Non è con la tristezza, con le facce serie e preoccupate
che ci vogliono i nostri bambini. Non sempre è facile, quando ciò succede
mi ricordo del primo sorriso che incontrai quel giorno, il mio primo giorno
in Associazione!
Sono con lei dal suo primo giorno in Associazione, non ho loghi né
marchi ma sono un segno d'allegria degli Amici della Pediatria.
Non è facile la vita mia, a volte temo che mi mandi via, ma è testarda la
mia volontaria e così alla fine non mi scaccia. A volte sono lieto oppure
sereno, altre proprio non mi posso fermare e la ridarella la devo per forza
‘stoppare’.
Nelle giornate sì, mi fa lavorare a pieno ritmo, nelle giornate così-così mi
concede delle pause, nelle giornate che lei dice impegnative quasi si
dimentica di me e mi relega in un angolino, mi sembra quasi di essere in
castigo.
Ma non mi lamento, anzi sono contento. Quando vedo un bambino, una
mamma o un papà, sebbene in questa realtà che soffrire fa, lasciarsi andare,
un sorriso sul loro volto appare.
Per lei la cosa più bella e che la rende felice è quando un bimbo sorride!
Sono quasi quattro anni che sono con lei, dal suo primo giorno in
Associazione, mi trovo bene, sono contento, ma per favore cambia rossetto,
non lo sopporto più! Se ti posso consigliare quello al gusto di fragola mi
piacerebbe indossare!!!
Manuela
un cartellino identificativo con una puffetta
3 magliette che vanno dal beige al bianco
una borsa con tutte le mie cose
righelli
occhiali
volantini
scarpe
rituale della domenica sera
badge per camice
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tessera parcheggio
3 cordoncini, ma uso il più scomodo. ..perché ha il logo della mia
Associazione
chiave della sala Smile
caramelle
Il mio tesserino
Bellissimo. Ti vedo per la prima volta un venerdì mattina. Evvaiiiiii: ce
l’ho fatta! Sono davanti a Milena e cerco di nascondere la mia emozione.
Certo, c è anche la maglietta che ti assomiglia, ma tu sei tu: bellissimo.
Esco, ti ho messo nella mia tasca. Sei lì e ti ‘sento’. Corro da mia mamma e
ti mostro. «Guarda mamma ce l’ho fatta! Guarda come è bello». Lei,
abbracciandomi, mi risponde che non ha mai avuto dubbi, sapeva che ce
l’avrei fatta. Ti faccio una foto, anzi un book fotografico per guardarti
quando sei lontano. Ora, tutti i lunedì mattina ti prendo e mi faccio
abbracciare.
Marco
o Maglietta
o Tesserino di riconoscimento
o Cordicella porta-tesserino
o Chiavi sala Smile/sede
o Disinfettante per mani
o Venerdì mattina
o Tessera per ritiro camice
o La mia faccia
La chiave della sala Smile
Ciao, mi presento. Anzi no, non sono così importante o forse sì, lo
sono, ma lascio a voi la decisione. Assieme alla maglietta e al tesserino
di riconoscimento sono la prima cosa che un volontario riceve quando
entra a far parte dell’Associazione Amici della Pediatria. Sono la chiave
della stanza Smile o solo semplicemente una chiave. Ho un compito
importante perché di fatto apro la porta a quella che, a detta del mio
padrone, è una bellissima avventura. La mia è una storia che inizia più
di 10 anni fa quando agli Ospedali Riuniti aprivo solamente la serratura
del vecchio armadio di metallo posizionato nel corridoio del reparto di
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Pediatria e che fungeva da guardaroba per tutti i volontari, da deposito
materiali, deposito giochi vari, postazione alquanto approssimativa per
la firma del registro e per la lettura dell’agenda volontari (soluzione,
questa, impensabile oggi). Il mio compito dunque finiva lì. Ora, invece,
tutto è cambiato e devo dire che ne ho fatta di strada!!!! Sì è vero direte
voi, apri ancora e solo una porta, ma all’interno di quella porta ben due
bacheche piene di colleghe chiavi danno la possibilità quotidianamente a
quasi 90 volontari di dare spazio alla creatività, all’entusiasmo, al
sorriso, alla fantasia di tutti quei piccoli eroi (come li ha chiamati il mio
padrone) che abitano le corsie del reparto. Il nostro lavoro è aprire
armadi pieni di giochi, pennarelli, pastelli, fogli di carta, materiale di
cancelleria, giochi per play station e dvd, e guai se qualcuna di noi
decide di scioperare, di andare a farsi un viaggetto o soltanto di sparire
per qualche ora!!!! Si crea il panico!!!! Non ce lo possiamo proprio
permettere. Ogni venerdì mattina viaggio per 4 orette appesa al collo del
mio padrone e sono, devo ammetterlo, in buona compagnia. Oltre a me
c’è la chiave della sede, della teca dei giochi play station e dvd e altre
amiche che oramai sono rimaste disoccupate e non aprono più niente ma
sono comunque rimaste affezionate al mio padrone e fanno parte della
sua storia all’interno dell’Associazione stessa. Ah quanti ricordi legati a
quel collo: ricordo le volte che il mio padrone, a causa delle rotture della
serratura del famoso armadio di metallo, ed erano frequenti credetemi!
correva in tutta fretta in ferramenta a clonarmi e fare di me molte copie
da distribuire a tutti i volontari, affinché potessero aprire e chiudere
ancora l’armadio. O ancora quando si doveva aprire la scatola porta
play-station e lettore dvd a causa di un guasto. Ogni scatola era chiusa
da una serratura e da due lucchetti per un totale di tre chiavi e,
considerando il fatto che le scatole in reparto erano undici, il mio
padrone ci aveva raccolte tutte in gruppo e ribattezzato insieme ai bimbi
il mazzo di chiavi dello sceriffo. Per non parlare di quando alcuni anni or
sono, il mio boss aveva ricevuto una copia della chiave della vecchia
sede, attestato di estrema fiducia per quei tempi in quanto la
possedevano solamente pochissime persone. Quindi, per concludere,
quei pezzi metallici sagomati, come qualcuno ancora oggi si ostina a
definirci, hanno ancora la loro importanza, soprattutto quando il loro
suono attira l’attenzione di un bimbo e magari lo fa anche sorridere!
Margherita
Ho una borsa con il logo dell’Associazione, l’oggetto più recente, bianca
e pulita (ancora per quanto?), che sfoggio con orgoglio … recente come il
cordoncino porta chiavi, simpatico e vivace;
ho quindi la chiave della sala Smile, un po’ difettata, ma nuova, più volte
rifatta;
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ho da tempo il cartellino con il mio nome e Winnie the Pooh accanto (a
me la puffetta non piace),
ho la mia borsa rosa di tessuto a fiori, dono di un’amica del coro: in
essa alcuni oggetti come forbici e scotch (non si sa mai!) e alcuni disegni
colorati per i nomi dei bambini;
ho la tessera dell’ospedale, che mi permette di prendere il camice… ho
quindi il camice verde (anche se non è proprio mio!) e la maglietta che
indosso sotto di esso, nuova, coperta di mani colorate;
si, perché AVEVO una maglietta con il logo dell’Associazione, ora
dismessa, ma da me molto amata e …. AVRO’, forse, delle super ciabatte
colorate.
Storia di una borsa speciale
Riposo sempre nel bagagliaio di un’auto e mi sento un’osservata
speciale. La mia padrona infatti si dispera, se non mi vede, magari perché
sono nascosta in qualche angolino, tra le borse della spesa, quelle di pezza e
un po’ insignificanti. Credo di poter dire che su questo è un po’ maniaca!
Quelle rare volte che mi porta in casa per darmi una pulita (ogni tanto ne ho
bisogno), mi ripone poi, profumata e linda, sul bracciolo del divano, ben in
vista, per non scordarsi di ricondurmi in garage la mattina successiva.
Volete sapere la mia strana storia?
Sono nata dalle mani di un’anziana signora, che ama cucire e lavorare a
maglia: sono infatti di tessuto rosa a fiori, con un bordo di raso rosa. Sono il
suo modo per dire GRAZIE alla mia padrona, che subito mi ha preso in
simpatia.
Quando, nel lontano 2003, ha cominciato il suo percorso da volontaria,
incontrando per la prima volta la sua meravigliosa tutor, io ero ancora
comodamente adagiata in un cassetto, al calduccio, in attesa di trovare uno
scopo nella vita. Sì, anche noi, ‘povere anime di esseri inanimati’, ci
sentiamo realizzate quando abbiamo un obiettivo.
Un bel giorno la padrona, presa dall’entusiasmo, mi riempie di
pennarelli, pastelli, forbici, disegni… e divento la sua compagna preferita,
quando entra nelle camere di tanti piccoli eroi malati, talvolta calmi, talvolta
un po’ monelli, con alcuni dei quali ho anche fatto a botte. Certo, tentavano
di svuotarmi e mi lanciavano ovunque: ehi, un po’ di rispetto, per favore!
Dopo questa fase un diktat dall’alto ha improvvisamente impedito il mio
ingresso nelle stanze. Ho tremato, lo confesso: “Che ne sarà di me?”,
pensavo silenziosa. Per fortuna la mia padrona non mi ha abbandonato
nemmeno per un giorno: sono diventata per lei ancora più preziosa, l’urna
che contiene la maglietta colorata, sempre fresca di bucato, con la quale ho
fatto amicizia e che segretamente mi scalda nelle notti fredde passate in
garage, le chiavi, talvolta un po’ rumorose, il cartellino e altri beni preziosi,
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tutti segni di appartenenza all’Associazione Amici della Pediatria. Altro che
pennarelli e matite: sono passata di grado!
A dire il vero ora comincio a sentire l’età: ho 12 anni e qualche strappetto
muscolare, ma tengo duro. So di rappresentare per la mia padrona qualcosa
di importante: mi guarda sempre, ma proprio sempre, quando usa l’auto,
come se io potessi scappare! In particolare la Domenica sera si accerta che
io sia lì, pronta per la mia funzione del Lunedì, posizionandomi sul bauletto
nero dello scooter, quando decide che l’indomani si muoverà con quello.
Certo, il bauletto è un po’ scomodo e in esso vengo sotterrata spesso da
borse e libri, ma, come ho detto, non mollo.
Spero di resistere ancora a lungo, non voglio dire quanto la mia padrona
in Associazione (nessuno è insostituibile), ma ancora per un bel po’.
Vi chiedete dove io sia in questo momento? Pensateci! È lunedì…
dunque oggi ho lavorato e ora, in attesa di tornare nel bagagliaio, sono
adagiata sotto i piedi della padrona. Sarei più felice se non mi calpestasse,
ma non è poi così indelicata e poi le sue scarpe sono nuove!
Mariangela
Tessera per ritirare il camice, maglietta, camice, tesserino identificativo,
chiave sala Smile, numeri telefonici, portapenne, agenda Associazione,
penna, il mio sorriso, saluto
Il tesserino identificativo
Vorrei parlare del mio tesserino identificativo, quel pezzettino di carta
legato con un cordoncino che penzola dal mio collo, non porta scritto solo il
mio nome ma ci sono attaccati anche degli adesivi: le impronte di un
cagnolino, la Puffetta, dei fiori e qualche mollettina colorata, dimenticavo
pure delle stelle fatte insieme a una ragazza ricoverata con degli elastici che
si usavano quest’estate per fare braccialetti colorati.
Lui è un buon alleato, anzi in molte occasioni mi ha proprio salvato,
sembra che attiri molto l'attenzione dei bambini piccoli (soprattutto per
cercare di decapitarti). Ci sono state occasioni quando la mamma mi
lasciava il bambino, che subito dopo si metteva a piangere e l'unica cosa in
grado di distrarlo fosse proprio il cartellino ciondolante. Sembrava quasi
ipnotizzarlo per qualche minuto: lo chiamerei quasi cartellino antipanico!
Mariella
Maglietta
Volantino associazione
Penna associazione
Tesserino volontari
Segnalibro Associazione
Notes grande dell’Associazione
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La maglietta
È qualcosa che mi è vicino, che mi dà sicurezza e mi accompagna
durante il mio turno. Mi ha sempre fatto piacere indossarla, perché con
quella mi riconoscono in reparto. La indosso sempre anche sotto il camice
perché con quella mi sento più riconoscibile anche se il camice verde serve
per tutti i volontari. Quando avevamo solo la maglietta davamo l’idea di
essere più simpatici, più spiritosi, ora con il camice siamo più seriosi! Anche
se ormai scolorita la indosso sempre perché adesso è vissuta! Ahh quanti
bimbi l’hanno vista, quanti bimbi l’hanno toccata e questo mi fa capire il
senso di appartenenza e il passare del tempo! Chissà quando la cambierò.
Aspetto che diventi tutta bianca o che vadano via tutti i colori? Eh si ormai
ci sono troppo affezionata! Fa parte di me e della mia Associazione!
Milena
Maglietta AdP
cartellino dell'Associazione
cartellino dell'ospedale
chiavi varie dell'Associazione
portachiavi e cartellino
2 borse AdP
cartelline varie
documenti vari
archivio su computer
archivio su portatile
archivio su disco esterno
spilla dell'Associazione ricevuta in dono a una cena
portapenne AdP
penna AdP
portacandela dell'Associazione ricevuto in dono a una cena
bomboniere dell'Associazione ricevute in vari ricorrenze
libri dell'Associazione
libro Robby
libri e dispense varie comprate in questi per attività associativa
Mamma mia mi sa che scoppio!
Scrive, disegna, progetta e poi salva, salva nelle tante cartelle e poi cerca,
cerca e scrive ancora…
Quante cose custodisco, quanti pezzettini che poi diventano storia.
All’inizio mi pare tutto strano: un'immagine, strana pure quella, un foglio
pieno di appunti, ovviamente strano anche quello e poi tutto diventa una
bella presentazione con immagini, colori, tanti caratteri. Tutto diventa chiaro
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anche a me… e quando crea la cartella DEF so che mi devo impegnare
perché tutto quello ‘strano’ sta prendendo forma e sta diventando qualcosa
che servirà per i bambini del reparto.
Si apre SAFARI, poi MAIL e poi www.amicidellapediatria.it/admin
e poi… nuova sezione, nuova notizia… pubblica!
Crea newsletter, inserisci contenuti, programma invio…
E sì ho un ruolo importante, contengo tante cose importanti, devo fare
tutto per bene, ho un impegno da portare avanti al meglio.
Si apre una nuova mail… e lei scrive, scrive, poi si ferma, rilegge,
controlla e continua… deve essere importante… e poi ecco che chiede il
mio aiuto: ALLEGA!
E qui comincia la ricerca… e sento lei che dice: «Oddio ora dove l’avrò
salvato? Come l'avrò chiamato?». Uffi, tutte le volte la stessa storia:
aiutooooo!!
Apre FINDER e scrive nel CERCA la parola chiave: eccolo! Quindi:
allega, invia.
Adesso è meglio che mi spenga: è già l'una di notte, ora a nanna! Ma
domani sarò prontissimo per riprendere le mie funzioni.
Scrivere, progettare, disegnare, creare, salvare, inviare, condividere,
pubblicare, ecc…
Mi impegno al massimo nel mio importante ruolo, in fondo contengo
tante cose dell'Associazione Amici della Pediatria!
E poi lei dice: «Un giorno, giuro, sistemo tutti i file, così li trovo subito e
non ti tiro matto… ma ormai lo senti dire da troppo tempo e forse va bene
così. Bravo il mio Mac!».
Stefania
Tessera per ritirare il camice
Tesserino con il mio nome, maglietta
Chiave sala Smile
Firma sul registro
Il mio turno
Le mie compagne di turno
Computer
e-mail
WhatsApp
attestati di partecipazione alle formazioni
penna
palla natalizia
porta badge
fotografie
formazione
righello, borsa, sorriso
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Il tesserino dell’Associazione
Sono il tesserino dell’Associazione Amici della Pediatria e non sono
stato sempre in uso nell’Associazione, sono entrato a farne parte più o meno
una decina di anni fa, dopo la maglietta mia grande amica e compagna di
viaggio.
Sono rettangolare bianco e inizialmente avevo solo il nome di chi mi
indossava, il logo dell’Associazione abbastanza grande, occupava tutta la
parte centrale e l’indirizzo dell’Associazione, purtroppo per far posto al
cognome del volontario e ad una Puffetta sono stato ridotto (che tristezza).
Io sono il tesserino indossato da Stefania e so che lei preferiva il vecchio
tesserino infatti non mi ha mai sostituito con quello nuovo, anzi ha ricoperto
quello nuovo con la Puffetta interamente di adesivi brillantosi che le sono
stati regalati dai bambini in tutti questi anni.
So che lei tiene molto a me anche perché oltre al logo dell’Associazione
su di me è attaccato un cuore rosso che le era stato regalato da una bimba
molto speciale che lei si porta nel cuore.
Il tesserino per lei racchiude tutta la sua storia dentro l’Associazione e le
storie di tutti i bimbi che ha incontrato, quando lo indossa oltre ad esserne
molto orgogliosa lo fa con un affetto e una cura che si ha soltanto per gli
oggetti molto preziosi. In verità sono un po’ consumato, ma per lei sono
sempre molto pregiato e ora anche un po’ delicato, infatti, quando le sue
nipotine vorrebbero indossarmi, lei non glielo permette per paura che mi
sciupino. Mi porta sempre con lei, racchiuso in un astuccio per proteggermi.
Sono molto fortunato a stare con lei…
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Gli oggetti dei nuovi volontari
Elena A.
L’oggetto che m’identifica come volontaria e a cui sono più legata è il
mio porta-cartellino donatomi da Milena il giorno in cui ho iniziato il mio
percorso in Associazione. È bianco, in tessuto liscio e lucido, con i disegni
colorati dei bimbi della Pediatria. In fondo Milena ha affrancato una bustina
trasparente contenente un foglietto bianco con scritto in azzurro il mio nome
e la parola VOLONTARIA in stampatello a caratteri più grandi. Prima di
avere la mia collana porta-cartellino, vedevo che tanti volontari ne avevano
uno colorato, acquistato alla cartoleria dell’ospedale, dicevano che fosse più
bello e più comodo da utilizzare. Così l'ho comprato anch'io. Mi sembrava
bello, di due colori, in materiale gommato e con tante tasche. Ma quando
Milena mi ha dato quello dell'Associazione ho capito che era quello che mi
avrebbe accompagnato! Risultato: quello che ho acquistato è ancora a casa,
sigillato nella sua scatola, chiuso in un cassetto. Quello regalatomi da
Milena è mille volte più bello e io ne vado molto fiera.
Elena R.
La maglietta AdP
Eccoci qui, domenica mattina, pronte per l’uscita settimanale. Dovrò
aspettare fino alle 15.00 per essere indossata da Elena. Dai Ele, corri che è
tardi… Lei si affretta a cercare una borsetta carina nella quale ripormi
durante il viaggio insieme ai miei amici Portachiavi e Badge. Non vedo
l’ora di arrivare in ospedale. Per prima cosa andremo a prendere anche il
nostro amico Camice. Eh già, lui deve rimanere in ospedale e non può
tornare a casa insieme a noi la domenica sera. Un pochino mi dispiace per
lui, si perde quel dolce momento durante il quale Elena si prende cura di
me. Di solito lei ha il broncio e sbuffa quando deve stirare le altre magliette,
ma con me no… Forse perché insieme io e lei viviamo momenti unici che
con le altre magliette non potrebbe avere e io lo so che tutte le volte che mi
guarda lei non vede l’ora di potermi indossare di nuovo. Anche io adoro i
momenti che passiamo insieme in ospedale, spesso oltre al suo calore capita
di sentire anche quello di altri bambini che ci abbracciano, che bella
sensazione! A volte capita invece di sentirmi tirare verso il basso da manine
impazienti di fare un nuovo gioco o di andare nella Stanza delle Nuvole. Le
stesse manine che a volte mi sporcano con la tempera, i pennarelli, la colla o
la pasta di sale... Ma io non me la prendo di certo, come potrei? Se alla fine
della giornata io sono sporca, è perché quei bambini si sono divertiti
insieme a me per cui non posso che esserne felice. Felice di aver portato un
po’ di allegria e divertimento in una giornata che altrimenti per quei bambini
sarebbe stata triste… Io penso che i bambini non dovrebbero mai stare in
ospedale. Credo che anche Elena sia orgogliosa di me, perché quando
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torniamo a casa alla fine del nostro turno, lei mi lava con cura e mi ripone
nel cassetto a riposare, così posso essere pronta per la prossima domenica!
Eleonora
Conosco Milena da tanti anni e dopo qualche tempo ho iniziato a sentirla
parlare della sua attività di volontaria all’interno dell’Associazione Amici
delle Pediatria. Per qualche tempo, seppure incuriosita, non ho approfondito
il discorso, forse perché non ero pronta ad affrontarlo. Poi circa cinque anni
fa, ho iniziato a partecipare a qualche evento organizzato dall’Associazione
e mi si è aperto un mondo che mi ha fatto venire il desiderio di fare qualcosa
all’interno dell’Associazione.
Ho scelto di partecipare alla vita dell’Associazione da Consigliere del
direttivo e non da volontaria un po’ perché in questo momento della mia vita
lavorativa non riesco a ritagliare delle ore per venire fino qui, ma soprattutto
perché non credo di avere la forza emotiva, per ora, di entrare nelle stanze di
questi piccoli eroi come li chiama Marco.
Detto questo però quanto orgoglio, quando mi è stata consegnata la
maglietta con le manine colorate dell’ADP, il cartellino e la chiavi della sala
Smile. Anche se non sono volontaria, anch’io appartengo a questo magnifico
gruppo di angeli custodi dei piccoli ricoverati.
Quando vengo in Associazione per gli eventi, la maglietta è sempre con
me, la indosso con tanto rispetto per tutti i volontari che la indossano nel
loro turno in reparto e tanto orgoglio perché l’Associazione fa veramente
tanto per questi bambini, le loro famiglie e per tutti i volontari. So che c’è
tanta attenzione per tutti coloro che fanno parte di questo gruppo. Quando
sono nei reparti per le varie festività e feste o in Hospital street per il teatro,
la maglietta mi fa sentire più vicina a questi bambini e alle loro famiglie
anche se io in stanza con loro non ci sono mai. I bambini e i loro cari mi
salutano con un sorriso anche se non mi riconoscono come una delle solite
volontarie. Anche se da un punto di osservazione diverso, la maglietta mi fa
sentire parte integrante dell’Associazione ADP e più vicina ai miei colleghi
volontari.
Erica
Il mio badge
Dopo qualche mese di volontariato è arrivato a sancire l’appartenenza
all’associazione: il badge per il ritiro del camice.
Anche se ero già in regola con il pagamento della quota, il corso di
formazione e le otto settimane di tutorato, non avrei mai pensato che un
semplice oggetto dotato di chip mi avrebbe mandato in brodo di giuggiole
per l’emozione di esserci.
Il suo arrivo ha modificato le mie abitudini.
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Ho dovuto allungare il percorso per raggiungere il reparto passando dal
retro per ritirare il camice che tengo con orgoglio in bella mostra sul braccio
finché non arrivo al piano 2 della torre 2.
Il badge riporta il mio nome e il nome dell’ospedale Papa Giovanni
XXII. Pure la matricola: 31466.
Unica nota dolente è che nel bel mezzo della card echeggia, un po’
troppo in evidenza, la scritta Carta Temporanea. Che vorrà mai dire?
Meglio non lasciarsi influenzare.
Lo custodisco tutta la settimana nella tasca della borsetta, per poi
sfoggiarlo la domenica, appeso al nastrino dell’Associazione, infilato in una
bustina di plastica in compagnia di un foglietto che mi identifica come
volontaria femmina, essendoci il disegno di una Puffetta bionda.
Domenica è finito tra le mani di un bambino che piangeva, caro, perché
non voleva mangiare avendo male alla bocca. Per calmarlo gliel’ho mostrato
facendolo penzolare davanti al suo visino. Lui svelto l’ha afferrato e se l’è
messo al collo.
Ora riguardandolo mi accorgo che il badge è sporco di pappa!
Questo si che significa dar vita agli oggetti!
Grazie mio badge. Grazie Associazione.
Giovanna Elena
Cartoncini colorati: gialli, rossi, neri, bianchi e verdi. Sono la mia
passione.
Quando entro in reparto e incontro un bimbo appena ricoverato, mi viene
spontaneo chiedergli il nome e se riesco lo coinvolgo subito per andare nella
Stanza delle Nuvole e comporre il suo nome.
Mi diverte prendere uno di quei cartoncini colorati, disegnare le lettere a
forma di animaletto, coniglietto e orsacchiotto, creare palloncini di ogni
colore, aggiungere brillantini se si tratta di nome femminile o intagliare
macchinine se si tratta di uno maschile. Pronte tutte le lettere compongo il
nome e mi avvio verso la stanza di quel bambino per attaccarlo alla porta.
Leggo negli occhi dei bambini e perfino dei genitori un dare importanza
e valore a quel nome appeso alla porta come a identificarne la forte
personalità, dire che quella stanza gli appartiene e mostrare a chi sta fuori
che dentro c’è una piccola grande persona consapevole che sa ci siamo noi
volontari ad aiutare lui e i suoi genitori a colorare le giornate in reparto.
Luca
Il diario dei Volontari
Eccomi, sono il diario dei volontari, contengo sempre mille informazioni
utili. Vengo scarabocchiato, letto, aperto e chiuso centinaia di volte al
giorno.
Penso di essere molto utile, infatti, fornisco le più importanti notizie
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riguardanti tutti i piccoli degenti del reparto. Io non li vedo mai, ma li
conosco molto bene infatti so sempre il loro nome, l'età, le attività che
svolgono, se stanno bene e sono allegri oppure tristi e demotivati.
Mi piace essere utilizzato dai volontari per avvisi e notizie importanti; Mi
sento il custode delle tante vicende che si susseguono in corsia, in questo
reparto così speciale fatto di bimbi speciali.
Patrizia
8 luglio 2014: Laura mi consegna la maglietta bianca dell'Associazione
Amici della Pediatra, la indosso e così comincia il mio percorso. Che
emozione!
Arrivo alle 15.00 Laura mi dà la maglietta lavata e stirata e alle 18.00 la
restituisco come da regolamento e così per i due mesi successivi.
Oggi 17 febbraio 2015 sono volontaria a tutti gli effetti e finalmente
quella maglietta bianca è la mia maglietta, non più bianca ma colorata,
nonostante oggettivamente sia un po' sbiadita.
È la mia maglietta anche un po' speciale soprattutto perché ogni martedì
la riporto a casa con me e con lei una lezione di vita in più.
Sara
Il camice verde
Sei stato una conquista. Uno di quegli indumenti che mai avrei pensato di
indossare.
Mi hai sempre fatto una certa soggezione: autorevolezza, scienza, studio,
esiti, analisi, raccomandazioni e sguardi seri.
Sei diverso dagli altri, hai un colore tutto tuo. Colore delicato, tenue,
ricordi il mare, il cielo e la natura insieme. Colore dell’igiene, colore senza
sesso: né maschio, né femmina. Colore dell’infanzia, del pulito e della
serenità.
Odori di pulito.
Sei coprente, copri ogni espressione di me, ma fai risaltare me.
Quando ti indosso, è come se mi avvolgesse energia: il mantello
dell’amore e dei sorrisi!
Proteggi me e preservi i bambini.
Con te sono riconoscibile e osservata. Mi sento bene con te.
Sei segno distintivo di un’Associazione che ho scelto con tutta me stessa.
I bimbi ti tirano, ti toccano, si aggrappano. Mi fai essere più comoda da
raggiungere e facile da toccare.
Sei un tessuto umile, cucito semplicemente: non sei tanto bello. Ma
rappresenti una scelta, una presenza, una sensibilità.
La preziosità della vita, una macchia di colore nel bianco, la luce del
gioco nella penombra dell’ospedale
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Simona
Trucca bimbi
Ciao, siamo delle scatolette piatte e tonde, siamo belle colorate: siamo
bianche rosse verdi mischiate formiamo tante sfumature e tanti colori se poi
ci mettono anche dei brillantini, allora sì che diventiamo delle meraviglie!!!!
I piccoli eroi ci cercano, ci vogliono, non vedono l’ora di sentirci sui loro
visi, di immaginarci mentre prendiamo forma e di guardarci una volta finito
il lavoro.
È lì che allora il loro viso è un’esplosione di felicità. I loro occhi si
riempiono di allegria e di stupore…. Chi ci usa invece all’inizio è un po’
timoroso, un po’ indeciso, insicuro, ma appena si lascia trasportare dai nostri
colori e dalla sua fantasia e dal sorriso di questi piccoli eroi: ecco, allora sì
che diventano degli Artisti con la A maiuscola e noi colori, insieme, nelle
loro mani, riusciamo a regalare un sorriso, un momento di serenità, un
momento di normalità e tanta tanta allegria.
Stefania
La maglietta
Sono la maglietta dell’Associazione Amici della Pediatria che la mia
padrona indossa quando è di turno. Se mi guardi bene da un lato sono tutta
bianca e dall’altro ho dipinto delle manine colorate e sorridenti. Certo i miei
colori iniziano già a sbiadirsi, il rosso è diventato arancione, il fucsia è
diventato rosino, ma le faccine sorridenti si vedono sempre bene.
Il martedì pomeriggio quando ho terminato il mio lavoro, vengo messa
tutta accartocciata nella borsa; che fatica stare lì dentro!
A volte vengo buttata nel cesto dei panni sporchi, ma quando tocca a me
essere lavata sono sempre da sola nel cestello; acqua non troppo calda, va
bene lavarmi ma non verrei diventare più piccola!
A volte finisco anche sul calorifero caldo ad asciugarmi perché la mia
padrona mi ha dimentica nel cesto; devo confessare che ogni tanto mi
nascondo di proposito sotto i panni per finire sul calorifero… è bellissimo
quando fa freddo attaccarmi al calorifero caldo e lasciarmi andare!!
Quando sono pronta bella pulita e profumata, sono felicissima ed
entusiasta di lavorare di nuovo.
Sono sempre in giro, bella piegata, per tutta la casa, sempre in bella vista,
così di sicuro non si dimentica di me.
La mia padrona mi tratta sempre bene, i bambini invece ogni tanto mi
tirano tutta; che bello però vedere un bambino che cerca le mie manine
colorate e sorride con loro!!
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Dedica a una persona importante
Barbara
Dopo gli iniziali corsi e colloqui anche con la psicologa
dell’Associazione, che hanno fornito preziose indicazioni e informazioni,
ecco che anche per me si aprono le porte dei reparti dove operano gli Amici
della Pediatria.
Il momento sicuramente più impegnativo era rappresentato dal ‘mettermi
in gioco’ verificando se fossi effettivamente all’altezza del compito che
volevo assumere, in grado di mettere in pratica ciò che avevo appreso e
valutando, infine, il mio impatto con la realtà dei reparti.
Ero stata affidata alle cure di una tutor di lunga esperienza che mi doveva
accompagnare in questo iniziale percorso.
Fortunatamente l’incontro con lei è stato molto positivo: mi rapportavo a
una persona sicuramente molto espansiva e cordiale che mi ha fatto subito
sentire a mio agio. La sua disponibilità nel condividere la sua esperienza, la
facilità con cui si relazionava con me hanno ben presto favorito la reciproca
confidenza e le raccontai di come, tanti anni prima, era nato in me il
desiderio di fare volontariato. Il suo interesse ad ascoltarmi, la sua capacità
di trasmettere serenità sono stati per me elementi molto importanti. Con lei
ho analizzato il codice etico dell’Associazione ed ho intrapreso i primi
ingressi nella Sala delle Nuvole e nelle stanze dei piccoli pazienti. La sua
spontaneità, il suo sorriso e la discrezione con la quale si avvicinava ai letti
dei bambini mi aiutarono sicuramente molto a superare l’iniziale disagio di
non sapere come propormi. A lei manifestavo i miei dubbi e le mie
incertezze ricevendo preziosi suggerimenti che seguo ancora oggi.
Daria
Alda
Ci sono persone che lasciano il segno, non cicatrici.
Sono quelle persone che entrano in punta di piedi nella tua vita e la
attraversano in silenzio
Ho incontrato Alda durante la prima riunione di formazione per aspiranti
volontari: autunno 2008, Ospedali Riuniti di Bergamo –largo Barozzi, 1–
reparto di Pediatria, sala riunioni.
Alda è una donna bella: di media età, alta, capelli dritti color ruggine,
occhi chiari e dallo sguardo intenso, che trasmette bontà a ogni battito di
ciglia; ha una voce così calda e accogliente, capace di far sentire a casa e a
proprio agio anche in un’anonima stanza di ospedale.
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Alda racconta di essere moglie e insegnante. Alda fa trapelare sofferenze
profonde… e i suoi occhi paiono due stelle luccicanti, quando si velano di
lacrime.
Ho seguito con Alda tutto il percorso di formazione e ho avuto l’onore di
condividere con lei due anni di turno in reparto: mi hanno sempre edificato
la sua pacatezza, la sua versatilità e la sua nobiltà d’animo. Alda è una
donna di poche parole, ma dal cuore immenso: Alda riesce a tranquillizzare i
piccoli disperati come solo una mamma potrebbe fare; Alda sa improvvisare
giochi divertenti; Alda crea relazioni straordinarie con i ragazzi adolescenti,
Alda sa intrattenersi con i familiari dei piccoli pazienti.
Ho condiviso con Alda il servizio nel reparto di terapia intensiva:
esperienza che lascia segni indelebili sia in chi è ricoverato, sia in chi vi
opera o occasionalmente lo frequenta.
Il tempo di preparazione - salita delle scale, suono del campanello alla
porta blindata, attesa della risposta, disinfezione delle mani e
raggiungimento della ‘stanza’ - era caratterizzato da profondo e intenso
silenzio… per prepararsi a quell’incontro così particolare, nella
consapevolezza che non veniva chiesto altro se non l’essere se stessi, ma
mettendosi in punta di piedi per potersi elevare alla ‘statura’ dei piccoli
giganti.
Il tempo del rientro nel reparto di Pediatria era caratterizzato da profondo
e intenso silenzio: i bit dei monitor che segnalano i parametri vitali, il
respiro e il movimento incalzante del polmone artificiale, le ferite e il dolore
lancinante incarnato nel corpo innocente dei bambini rimbombavano
inesorabilmente dentro di noi e chiedevano di essere ascoltati… in silenzio.
Ho conosciuto Alda grazie all’atelier di scrittura: Alda ha mille interessi,
Alda adora il mare, Alda nuota, Alda danza, Alda preferisce sorridere
piuttosto che ridere, Alda preferisce ascoltare più che parlare.
Alda è una donna che ama, Alda è una donna che soffre, Alda è una
donna che spera: Alda è una donna che vive.
Una sera, al termine di un laboratorio di scrittura, dopo aver condiviso il
suo scritto, Alda si è alzata e, senza spiegazioni, ha lasciato intuire che per
un periodo non l’avremmo più vista.
La sua affermazione mi ha raggelato: un freddo, che dopo anni, non
riesco a dimenticare. Ho scelto di rispettare il silenzio e la natura di Alda e
non l’ho chiamata. Ho provato a contattarla tramite uno scritto, ma non mi
ha risposto. Ad alcuni volontari, che hanno insistito per avere sue notizie, ha
detto: «Tanto sapete tutti, perché non vengo più. Ciao».
Nessun volontario sa perché Alda non sia più parte di Amici della
Pediatria, ma tanti Volontari di Amici della Pediatria, tanti bambini, tante
mamme e tanti papà possono raccontare di aver conosciuto Alda, la
volontaria che sapeva far sentire a casa e a proprio agio… anche se a casa
non si era.
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Giovanna
Le persone significative che ho incontrato in questo mio breve percorso
in Associazione sono più di una, anzi direi che lo sono tutte, tutte coloro che
la vivono e costituiscono. Ovviamente siamo in tanti, credo a oggi un
centinaio se non erro, quindi mi sento di portare l’esperienza del mio
gruppo, il gruppo del Venerdì mattina.
Sono arrivata in Associazione circa un anno e mezzo fa, mi è stato
assegnato il giorno e lì ho incontrato loro; Marco il maschietto aitante del
gruppo, Simona e Simonetta le due donzelle, loro si conoscono da più
tempo, ma devo dire che mi hanno fatto sentire subito parte integrante del
gruppo. Il nostro rituale prima di incominciare è il caffè al bar con le
chiacchere del nostro quotidiano, poi alle 9.00 in punto si parte. Sappiamo
subito dividerci i compiti, c’è molta intesa tra di noi, ci capiamo con
estrema naturalezza. Di loro mi porto sempre dentro un bel ricordo, la
simpatia, la disponibilità versi gli altri, la gentilezza, le sane risate, le
riflessioni su eventi importanti, ma soprattutto il rispetto sincero che esiste
tra di noi sul proprio pensiero. Mi piace confrontarmi con loro. Quando ho
scelto di fare Volontariato, pensavo al mio donare, al fare io per…, mentre
mi rendo conto che sono io a ricevere tantissimo, torno a casa ricca di
esperienze che mi hanno fatto cambiare diverse prospettive di vita.
L’Associazione è formata da persone che con lo stesso obiettivo portano
avanti una missione veramente grande, ognuno con il suo ruolo, chi più
impegnativo, chi meno, ma se oggi è in un continuo crescere e avanzare in
nuovi orizzonti, è merito della determinazione, volontà, formazione e serietà
che la distingue.
Laura
Al termine della parte teorica del corso di formazione per aspiranti
volontari, l’ultimo incontro è dedicato all’incontro con i Tutor.
Ognuno di noi, quindi, ha vissuto questo momento nel proprio percorso
formativo e bisogna dire che lo si aspetta con grande emozione e curiosità
come è giusto che sia, dato che per il completamento della nostra
formazione “sul campo” veniamo affidati a una persona che non
conosciamo e che ha il compito di guidarci per otto lunghi turni di tirocinio
in Reparto e soprattutto di valutare il nostro operato.
Nel mio caso, qualche annetto fa ormai, l’incognita tutor non venne
purtroppo svelata nella serata di incontro, dove con un pizzico di delusione
mi resi conto che per conoscere la mia tutor avrei dovuto attendere ancora.
Al termine della serata mi portavo via i racconti, molto interessanti, degli
altri tutor presenti e un nome, cognome e numero di telefono della persona a
cui la coordinatrice mi aveva assegnato.
Il nostro primo contatto è stato perciò telefonico, e il nostro primo
incontro in coincidenza con l’inizio del tutoraggio in Reparto.
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Conoscere Eliana ha sciolto la tensione e i timori riguardo alle difficoltà
del percorso che stavo per intraprendere; il clima di fiducia e d’intesa che lei
ha saputo creare ha costituito una base fondamentale per una serena
collaborazione e ha favorito un apprendimento rapido ed efficace.
Ha saputo essere materna ed energica al tempo stesso; non mi ha
risparmiato, sin dall’inizio, stanze ‘difficili’ come quella di un bimbo
speciale che ha significato molto in quei mesi di percorso e in quelli
successivi.
A Eliana ho voluto subito bene, è stato istintivo per me, e ancora nutro un
grande affetto che lei ricambia, ogni volta che ci incontriamo.
Sono stata molto fortunata, nella lotteria degli abbinamenti! Potrà
sembrare una frase scontata e magari ciascuno di noi la riserva al proprio/
alla propria tutor…ma lo penso davvero e le sono grata per ciò che ha
saputo trasmettermi e per la fiducia che mi ha accordato.
Penso di non averla mai delusa. Anzi, quando lo scorso anno ci siamo
incontrare alla medesima riunione per tutor, mi auguro sia stata fiera di me
nel vedere che anch’io, accettando a mia volta questo ruolo, mi apprestassi a
restituire tutto quello avevo ricevuto da lei.
Liliana
Nel 1949 Giuseppina detta Giusi ha sette anni e abita con la famiglia, la
mamma, il papà, alcuni fratelli, in due stanzette contigue, dentro una
cascina, in un campo a Prezzate.
È novembre. È un mercoledì del mese. La bambina ha trascorso la notte
lamentandosi, con febbre altissima, difficoltà a respirare. La mamma teme il
peggio. Decide. La mette sulla canna della sua bicicletta e la porta
all’Ospedale Maggiore di Bergamo, una quindicina di chilometri dal paese.
Viene soccorsa e operata d’urgenza alle tonsille. Nel pomeriggio sta meglio.
La mamma la saluta e le raccomanda di restare tranquilla nel lettino che poi
ritornerà a prenderla e riportarla a casa. Giusi aspetta. Il giovedì, il venerdì,
il sabato. In quella stanzetta. Nella disperata solitudine dei suoi sette anni.
La domenica mattina fa un fagottino delle sue cose, si veste, si copre la testa
con il berretto di lana e se ne va, a piedi, verso casa. La troveranno sana e
salva vicino alla chiesa del paese nel pomeriggio di quel giorno. La storia
raccontata è vera. Giusi è viva e vegeta ma non ha conosciuto la persona
significativa di cui voglio parlare. Lui, invece, ha conosciuto tanti come lei,
bimbi e ragazzi che in ospedale hanno attraversato momenti di solitudine,
senso di abbandono, difficoltà, oltre alla malattia. Per motivi contingenti e
non legati a colpe di nessuno. Il loro disagio gli è entrato nel cuore.
Nasce l’idea dell’Associazione. Ne parla. Trova altri soci. Sono in
quattordici quando decidono lo statuto, e come fondo cassa hanno tre mila
lire. È il 1990.
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Oggi è il 2015. Sono passati venticinque anni. Oggi gli Amici della
Pediatria contano ottantasei soci formati, aggiornati, costantemente seguiti
e undici nuovi volontari che si aggiungeranno a essi nel breve periodo.
Oggi l’encomio è per lui. E’ il suo turno. La persona della quale desidero
raccontare, poiché identifica e dà senso allo spirito che ha animato e anima
la Fondazione. Questo uomo buono ha un nome e un cognome, ma ho
deciso di indicarlo come Lui. Per non circoscriverlo, per dargli libertà, per
essere di più, di meglio o di diverso di quello che riuscirò a dire. Ma tutti
sappiamo chi è. Certamente la parola amico gli si addice ma anche la parola
volontà è sua. Quando ti rivolgi a lui, risponde: «Aspetta, vediamo un po’,
sì, ok». Se volessi fare un elenco dei suoi pregi, quelli più evidenti per me,
direi così.
Lui è bello, è un vecchio bello. Ma è come un ragazzo giovane, è pieno
di entusiasmo. Sorride spesso. È alto e forse era biondo. È ancora agile. È
curato nell’aspetto e nei modi. È discreto e ricco di modestia. Ascolta con
attenzione. Lui era. Non è più. Ricordo.
È stata una delle prime persone che ho messo a fuoco quando alla fine
del 2003 ho cominciato il Volontariato con gli Amici della Pediatria. Aveva
il senso dell’accoglienza che ti faceva stare bene. Con lui non ci si doveva
mettere in posa. Condividevamo lo stesso giorno di presenza in ospedale, ai
Riuniti, e anche dopo al San Papa Giovanni, al mercoledì. Arrivava sempre
in bicicletta e spesso ci incontravamo al di fuori dell’entrata, io trafelata e
spesso con il dilemma del parcheggio in divieto di sosta e lui che sistemava
il suo preferito mezzo di trasporto bloccandolo con una chiusura a catena.
Dentro l’ospedale, tra un giro e l’altro, quando non ero occupata, trovavo il
pretesto per scambiare due parole con lui, la porta dell’ufficio era sempre
aperta. In quelle chiacchierate a puntate ci siamo raccontati un po’ delle
nostre vite. Era vedovo e, sebbene gli anni dal triste evento fossero parecchi,
avevo intuito come sentisse la mancanza della moglie. Era stato un maestro
elementare, aveva insegnato ai bambini dell’Ospedale. Era contento che
avessero dato la possibilità della scolarizzazione al bambino e al ragazzo
ricoverati, e considerava una conquista il permettere ai piccoli degenti di
avere accanto un genitore o un parente, ventiquattro ore al giorno.
Succedeva che avessi delle richieste da fare per mamme straniere prive di
alloggio o con altri bisogni. Era pronto, disponibile, prendeva appunti,
telefonava, cercava la soluzione. Parlava inglese e spesso faceva da
interprete con gli stranieri. Un bell’aiuto. Molte volte capitava che andassi
da lui a chiedere un giochino da regalare a un bimbo; scattava dalla sedia
per cercare negli scatoloni quello adatto. Per anni così. Poi siamo arrivati al
trasloco e ci siamo trasferiti nella nuova struttura ospedaliera. Storia recente.
Credo che la sua malattia sia arrivata in concomitanza o subito dopo. Non si
è chiuso, ne parlava. L’ha affrontata con levità, con ironia, quasi. A volte mi
sembrava come se la cosa non lo riguardasse. Ha continuato a venire da noi,
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quando riusciva. Essendo stato un maestro, continuava a insegnare, lo
faceva inconsapevolmente! I maestri sono così, sanno le cose, sanno come
comportarsi e insegnano agli altri, fino alla fine. Ci ha salutati nell’estate del
2014, il 12 agosto. Ai due amici andati a trovarlo nella sua casa, due ore
prima di morire, ha detto di continuare su quei principi che sono la base
della Fondazione. Gli Amici della Pediatria oggi sono una Onlus
conosciuta, ingrandita che naviga spedita e tanto si prodiga per alleviare il
peso della permanenza in ospedale dei piccoli degenti e nel contempo è
presente per le necessità dei parenti. Ed è diretta con passione e puntualità.
Tutto questo anche grazie a Lui. Oggi Giusi e la sua mamma, al di là della
malattia, possono avere sostegno.
Loredana
Mi ha sempre colpito come da un’idea di ‘pochi’ sia nata una grande
Associazione.
Ho conosciuto solo uno di quei ‘pochi’ ed è una persona che porterò
sempre nel cuore: Cesare.
Cesare, grande uomo, dal sorriso cordiale, dai modi gentili e garbati,
direi eleganti.
Mai invadente, sempre disponibile, sapeva metterti a tuo agio.
Cesare, uno dei fondatori storici dell'Associazione: quando raccontava le
origini, gli inizi di quell'avventura riusciva a trasmettere tutto l'entusiasmo e
la passione con cui l'aveva vissuta e la viveva.
Ho avuto occasione d'incontrarlo diverse volte durante il mio turno il
mercoledì. Arrivava in bicicletta sempre allegro e sorridente. Era giovane
dentro.
Me lo sono immaginato a ritroso nel tempo, a quegli inizi dove i mezzi
erano pochi, ma tanta la voglia di fare e dare.
L'amore, la dedizione e la cura con cui si dedicava devono avergli
assorbito ogni istante del suo tempo.
Penso anche alle difficoltà incontrate, gli scogli da superare, le montagne
da scalare...
Mi sono chiesta varie volte come dopo tutti quegli anni passati in
Associazione potesse mantenere ancora così forte il legame con
l'Associazione e di questa sua fedeltà che non è mai venuta meno.
Cesare diceva che quando fai una cosa in cui credi veramente (in questo
caso l'Associazione) non la puoi fare da solo, hai bisogno degli altri. Quegli
altri che sono tanti te, con le loro sfumature e diversità che insieme si
completano e si fondono in un'unica forza.
Non ho avuto tanto tempo per conoscerlo, ma mi è bastato per capire che
persona meravigliosa era. Si ‘era’, perché se n’è andato in punta di piedi,
senza rumore, come piaceva a lui.
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Se n’è andato solo fisicamente perché il suo ricordo è sempre presente
nella nostra Associazione, che ha trasformato la sua assenza in presenza.
Grazie Cesare, è stato un onore conoscerti e un piacere conservare il tuo
ricordo nel cuore, perché Cesare non potevi non amarlo!
Manuela
Nella mia Associazione, come nella vita, ho incontrato persone con cui
mi sono trovata bene, altre benino e altre con cui non ho nulla in comune se
non il far parte di questa Associazione. Sono quasi due anni che sono
all’interno e se penso a quale possa essere il mio punto di riferimento o la
prima persona a cui penso se ho un problema o bisogno di una parola è
sicuramente Alessandra, la nostra psicologa. In questi due anni mi sono
rivolta spesso a lei. A settembre, per esempio, mio marito ha avuto un
problema abbastanza grosso di salute e la prima persona che ho avvisato,
dopo le nostre famiglie, è stata lei e nella settimana in cui è stato ricoverato i
suoi messaggi mi hanno aiutato tanto. Durante la gestione di un problema
che ho avuto in reparto nel momento in cui si è accorta di non aver fatto
tutto il possibile mi ha chiesto scusa, e non è cosa da tutti. Per questo
l’ammiro molto. Con lei ci si può confrontare e chiacchierare: due cose
molto diverse ma per me fondamentali. È una donna molto preparata,
serena, tranquilla, dolce che mi trasmette tanta pace e serenità. La stimo
molto e spero che continui a collaborare con noi ma, se così non fosse,
rimarrà sempre una splendida persona con cui ho condiviso un pezzo della
mia vita. Grazie Ale.
Marco
Era seduta qualche fila di sedie avanti a me una sera di settembre di
undici anni fa. L’ho rivista al secondo incontro quando il gruppo di aspiranti
volontari si era sfoltito in maniera autonoma e naturale. Alla fine del terzo
incontro durante il tragitto che dall’Auditorium portava fuori dall’ospedale
ho avuto modo di scambiare con lei qualche opinione, qualche sensazione,
la nostra perplessità riguardo al percorso che stavamo iniziando. Ci siamo
rivisti al quarto e ultimo incontro e poi più nulla, ci siamo persi di vista. Ho
avuto il piacere di incontrarla nuovamente qualche tempo dopo in reparto e
scoprire, con gioiosa sorpresa, di far parte della stessa Associazione. Le
nostre strade si sono incrociate di nuovo, poco tempo più tardi perché
entrambi catapultati all’interno del Consiglio Direttivo dell’Associazione
stessa. Ho avuto modo di conoscerla, di condividere con lei il mio percorso
di volontariato, di confrontarmi e confidarmi. È una persona alla quale
vorrei assomigliare, mi piace la sua personalità, la capacità di ‘leggere’ e
gestire le situazioni sempre e comunque brillantemente, la capacità (e questo
glielo invidio proprio tanto) di parlare in pubblico. Ho avuto modo di
osservare il suo percorso in Associazione iniziato da volontaria, per poi
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passare a membro del Consiglio Direttivo, Segretaria tesoriera fino ad
arrivare alla Presidenza. Un percorso naturale e meritato, dico io, per una
persona con una marcia in più (facciamo anche due). Sempre positiva, un
vulcano d’idee e con la capacità di poterle realizzare, sempre un passo
avanti agli altri (e lo dimostra l’evoluzione positiva che l’Associazione ha
avuto da quando lei ne è la Presidente). Devo dire che mi sono lasciato
coinvolgere volentieri in alcune delle attività, lavori, progetti, eventi che in
questi anni ha proposto e questo mi ha dato la possibilità di mettermi in
gioco, di sentirmi vivo, di ricevere in cambio un entusiasmo e un’energia da
mettere di nuovo a disposizione dei nostri piccoli eroi. Ha saputo mantenere
intatta quella che era (ed è ancora) la finalità dell’Associazione stando al
passo coi tempi (sempre più in evoluzione e con problematiche molto
diverse da affrontare). Devo dire che a causa dei suoi innumerevoli impegni
non abbiamo più molte occasioni per le nostre piacevoli chiacchierate (a
volte duravano ore) soprattutto quelle post-consiglio direttivo. Ma
nonostante ciò mi piace pensare che posso e potrò sempre contare su di lei,
anche solo per una parola di conforto o di incoraggiamento. È una persona a
cui voglio molto bene. Se non fosse stato per lei, forse, oggi non farei più
parte dell’Associazione perché è grazie a una sua ‘ribaltata’ di qualche anno
fa mi ha aperto gli occhi rispetto ad un evento vissuto in reparto che
rischiava di sconvolgermi la vita. Che dire d’altro di questa donna bionica?
Ah sì, una cosa devo proprio dirgliela e che racchiude tutte quelle che non
ho scritto in questo testo e che forse avrei potuto scrivere: GRAZIE Mile
(Quasi quasi mi dimenticavo… mi ha detto di scrivere che è anche
bella!!!!!! Ed è vero: è anche bella).
E ora mi permetto di scrivere due righe sul gruppo di volontarie con le
quali condivido il mio turno di volontariato il venerdì mattina: Simonetta,
Simona e Giovanna. Tre persone speciali. Oltre che essere tre bellissime
donne (il che non guasta), fra di noi è nato fin da subito un feeling
particolare. Ridiamo, scherziamo, condividiamo le reciproche esperienze in
reparto, talvolta ci confidiamo cose private (e solo con persone speciali è
facile aprirsi), parliamo sia di cose serie (strano con me, vero???) sa di cose
più leggere, ma il tutto lo si fa sempre avendo il massimo rispetto delle idee
e opinioni altrui. In reparto basta un’occhiata d’intesa, ci si capisce al volo e
se uno di noi ha bisogno di aiuto, gli altri sono sempre pronti a dare una
mano. C’è un clima di reciproca fiducia e questo è un aspetto fondamentale
per poter stare in reparto. Il nostro rapporto va oltre le ore trascorse in
ospedale e ogni occasione è buona per una pizzata in compagnia,
coinvolgendo anche tutti gli altri volontari del venerdì. È nostra abitudine
relazionare il volontario assente al turno su come è andata in reparto, su
cosa è successo, sulle presenze o assenze dei bimbi incontrati la settimana
precedente. Ogni settimana manteniamo anche altre buone abitudini come
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l’immancabile caffè al bar della Marianna e l’attesa, prima di iniziare il giro
in reparto, dell’arrivo di Simona. Il nostro è proprio un gruppo molto unito e
con loro ‘mi sento a casa’.
Margherita
La nonna, la mamma, la figlia …
Non è un legame di parentela, ma uno slogan che tre donne amano usare
tra loro, quando si incontrano. Anagraficamente non potrebbe esistere
questa sequenza, visto che sono pressoché coetanee e, anzi, la figlia è un
pochino più grande della mamma. È per loro una simpatica metafora, per
dirsi il loro affetto, per dirsi che si donano tanto reciprocamente, per dirsi,
senza vergogna, che si vogliono bene e che tra loro la relazione è speciale,
dentro la grande FAMIGLIA a cui appartengono e che le ha accolte in tempi
diversi. Ecco dove sta la cronologia: è il tempo di appartenenza alla
FAMIGLIA che segna il loro ruolo di nonna, di mamma e di figlia, l’una
accompagnatrice dell’altra nella fase di ‘iniziazione’.
Qui si raccontano le due figure agli estremi: la mamma, che è nel mezzo,
che fa da unione e che nella realtà madre non è affatto, è ben felice di
parlare di loro.
La nonna è bionda e la figlia mora, ma i loro occhi sono ugualmente
chiari e luminosi, molto espressivi. Sono entrambe sposate: la nonna ha un
figlio, ormai grandicello, che l’ha sempre fatta disperare per il suo cattivo
rapporto con la scuola e che ora, forse, ha messo la testa a posto (o è lei che
se n’è fatta una ragione?); la figlia non ha invece bambini, un po’ per
destino e un po’ per scelta … dice di averne adottati tanti, tutti quelli che
passano nei reparti pediatrici dell’ospedale dove trascorre parecchie ore
della sua giornata.
Entrambe hanno un look particolare, davvero bello e allegro, apprezzato
anche dalla nipotina della figlia: amano abbinare i colori, talvolta sgargianti,
adorano collane, braccialetti e anelli e seguono la moda giovanile. Non lo
fanno per mettersi in mostra, ma per dire chi sono, per esprimere loro stesse,
per manifestare la loro voglia di vivere e la passione per ciò che fanno. Le
accomuna infatti la capacità di stupirsi e meravigliarsi, di essere, come dice
la nonna, un po’ bambine. Sono un vulcano di idee per la FAMIGLIA,
sempre presenti, sempre pronte a ritagliarsi del tempo dentro il loro mondo,
un mondo normale, fatto di impegni, di relazioni, di problemi, di gioie, di
sconfitte e di vittorie. Si lasciano coinvolgere da tutto con entusiasmo e
sanno coinvolgere gli altri.
Da qualche anno, da quando la figlia è la Capo Famiglia, vanno molto in
tandem: sono complici, si aiutano e contano l’una sull’altra, anche con
qualche battibecco costruttivo. Sanno di avere sulle spalle il vissuto della
FAMIGLIA, il presente della FAMIGLIA e il futuro della FAMIGLIA. La
figlia parla con grande facilità e spontaneità, decisa e ferma, nelle occasioni
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in cui la FAMIGLIA esce in pubblico, mentre la nonna lo detesta e, se può,
lo evita.
Sono molto delicate nel costruire relazioni con i piccoli eroi malati che la
famiglia ha ‘adottato’ nella sua casa: sorridenti, gentili, disponibili, allegre,
si aggirano nelle stanze con fare disinvolto, la nonna regalando racconti,
parole, gesti amorevoli e gioco, la figlia aggiungendo anche aiuti pratici per
il vivere quotidiano.
Quest’ultima ha coinvolto anche il marito nella sua avventura: con un
ruolo diverso, ormai da tempo egli è membro effettivo della FAMIGLIA e
mette a disposizione le sue competenze e capacità, tipiche delle figure
maschili, che sono in netta minoranza nel nucleo famigliare. La nonna
invece non ha coinvolto marito e figlio, ma li ha presentati alla mamma, che
è rimasta molto colpita dal calore e dall’accoglienza di una mitica cena,
sempre nei suoi pensieri, al punto che, quando passa per il paese della
nonna, istintivamente la contatta, per farglielo sapere, per dirle che è vicina,
anche con un breve messaggio senza pretese.
Della figlia invece, sua conterranea, la mamma non ha mai visto la casa:
se la immagina come un mondo fiabesco, colorato e con pochi spazi vuoti,
originale e tappezzata di immagini di ogni genere. La figlia infatti ama le
fotografie e tra le sue attività lavorative (nell’altra aiuta il marito) c’è il suo
studio fotografico in un angolo romantico della Città Vecchia, nascosto, ma
che colpisce un occhio attento e sensibile al bello.
Ci sono alcuni riti che legano le tre donne. Per esempio non arriva
Natale, se mamma e figlia non si sono incontrate, rigorosamente al mattino
presto della Vigilia (8-8.30 al massimo), davanti a un the e a un ginseng in
tazza grande con spremuta, per scambiarsi gli auguri, pretesto per dirsi “Ti
voglio bene”, e i regali, piccoli pensieri per dirsi “Ricordati di me”. Così
non passano compleanni e ricorrenze che sfuggano alla nonna:
puntualmente arrivano alla mamma i suoi auguri, non solo per le feste
comuni, ma anche per onomastico e compleanno, occasione in cui la nonna
ripete che la mamma continua per lei ad avere 28 anni (sarà un po’ di
demenza senile, ma la mamma è ben contenta di restare giovane nei suoi
pensieri!).
Resta un rituale da narrare: quello tra nonna e figlia. Ma… è un’altra
storia, che da questa penna non può uscire.
Mariangela
Di persone significative delle quali potrei parlare ce ne sono, però ce n'è
una in particolare che mi piace ricordare, è la mia tutor Marinella, che ora
non fa più parte dell’Associazione.
Ricordo di averla vista la prima volta alla presentazione dei tutor,
raccontava di essere entrata in Associazione all’inizio come bibliotecaria e
già questo mi piaceva, vista la mia passione per i libri, aveva un modo di
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fare materno e pacato, una bella signora sui 55 anni e così decisi che mi
sarebbe piaciuto fosse lei la mia tutor se possibile.
Il nostro primo giorno in reparto fu molto dolce, ricordo che ci siamo
sedute in corridoio su di una panchina e ci siamo un po’ raccontate.
Abbiamo letto insieme il codice etico e poi piano piano abbiamo cominciato
a girare in reparto, c'erano dei passaggi che temevo fortemente però ricordo
che con il suo aiuto tutto è scivolato via naturalmente come se lei mi avesse
preso per mano e accompagnata in quella nuova avventura.
Mi piacerebbe rivederla, ringraziarla e dirle che conservo un buon
ricordo di lei e spero che sia lo stesso per lei.
Mariella
Quando sono entrata in Associazione tanti tanti anni fa ho conosciuto una
persona a me molto cara! Anche se avevamo un po' di anni di differenza tra
noi due c’è stato subito sintonia. Abbiamo iniziato la nostra esperienza in
reparto facendo il periodo di tutoraggio insieme e da lì ci siamo conosciute
un po’ per volta.
È stata subito un punto di riferimento forse ancora di più della tutor che
abbiamo avuto. All'inizio nelle situazioni più problematiche è stata per me
un supporto, perché aveva sempre una bella parola detta con dolcezza e in
senso quasi materno. Ancora fino a poco tempo fa abbiamo ricordato i bei
momenti trascorsi insieme e a distanza di tempo ci diciamo ancora Meno
male che c'eri tu!
È bello sentirselo dire ancora perché ci siamo lasciate un bel ricordo! Di
grande valore affettivo e di amicizia. Ci siamo confidate tante cose col
passare del tempo, cose che abbiamo vissuto in reparto che ci hanno colpite
in modo particolare, cose anche personali, lei della sua famiglia e io della
mia vita. Poi quando il nostro legame è diventato più forte, ci siamo dovute
dividere perché, purtroppo, tutte le cose belle prima o poi finiscono. Un
problema di salute ci ha separate, ma non del tutto perché grazie al grande
affetto che ci ha legato siamo riuscite a mantenere la nostra amicizia. Ho un
ricordo bello, intenso di questa persona forse perché mi ha fatto capire di
come, anche facendo volontariato, oltre a conoscere le persone che aiuti, sei
a contatto con persone vere, di grande cuore che col passare del tempo
lasciano un profondo ricordo nel tuo cuore!
Milena
SPECIALE: quanto è immenso il suono di questa parola, quanta
ampiezza, riempie lo spazio attorno a me, attorno a noi.
Speciale lo sono stati in tanti, ma qui riservo spazio gli specialissimi.
Margherita mi ha preso sotto la sua ala di tutor e mi ha condotto a vivere
la mia esperienza in associazione; tuttora è la mia tutor e con fierezza la
nomino sempre al corso per gli aspiranti volontari ai quali dico infatti: «Il
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tutor è davvero prezioso per voi, ora e sempre, è quella persona vicina a voi
sulla quale potrete sempre contare perché con assoluta sincerità vi aiuta a
intraprendere questo bellissimo viaggio».
A lei dico GRAZIE per tutto quello che mi ha insegnato e per la
vicinanza che ancora vivo con tanta amicizia. Sono Presidente
dell'Associazione, ma lei rimane e rimarrà la mia tutor, la guardo negli occhi
e ancora comprendo al volo, la guardo con ammirazione, la guardo anche
alla ricerca di approvazione. Lei c'è sempre e sono sicura che c'è ogni
mattina della vigilia di Natale, ormai da 11 anni, quando, facendo colazione
insieme, ci dedichiamo il nostro tempo, ci regaliamo il tempo, ci regaliamo
il noi. Grazie, Marghe!
E poi ci sei tu caro amico mio: Marco…
Ci siamo conosciuti al corso per diventare volontari Amici della
Pediatria, ci siamo guardati con perplessità e all’unisono, al termine di un
incontro, abbiamo fatto un sospiro e ci siamo detti «Ma ce la faremo?»… e
se penso a dove siamo arrivati oggi! Sono trascorsi undici anni, quante
esperienze, quanti momenti, anche difficoltà che ci hanno reso più forti e ci
hanno fatto crescere, tutto ci ha permesso di conoscerci e di consolidare il
sentimento di amicizia che ci lega e che conto ci legherà a lungo. Grazie
Marco per essere al mio fianco in questo meraviglioso e importante
viaggio… e grazie per essere stato con me, in quel momento difficile di
saluto a lui, al nostro Cesare.
Mi hai accompagnato al momento del saluto più difficile che ho fatto in
Associazione, a colui che ci ha custoditi come preziosi, a colui che per noi è
stato un nonno, a colui che sul letto di casa, due ore prima di morire, ci ha
consegnato l'Associazione con la consapevolezza e la tranquillità di
«lasciarla in buone mani» così ci disse…
Soffriva quella sera, ma ci ha preso per mano, ha stretto le nostre mani e
ci ha passato il testimone con fiducia e amore.
Ricordarti caro Cesare è ancora doloroso, ma anche felice al tempo
stesso; le lacrime che scendono, spesso, hanno il sapore della tristezza, ma
anche di tanta gioia, perché il ricordo di tanti momenti insieme è vivo e
forte, non sei qui fisicamente, ma nel mio cuore ci sei sempre.
Ci sei quando propongo, quando scelgo, quando mi riunisco con il
direttivo, quando cammino in reparto, quando parlo con i bambini che anche
tu hai conosciuto e preso in adozione con la tua dolcezza.
Come fai a non esserci in questi momenti? Impossibile!
Come Marghe mi hai accompagnata e formata a essere Presidente e come
Marghe hai lasciato che il mio io potesse esprimersi e dare quel valore
aggiunto a ogni scelta.
Dicevi sempre a tutti che sono un vulcano che per fortuna è sempre in
attività e poi mi abbracciavi per sottolineare la tua approvazione.
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Mi hai insegnato a non perdere di vista il perché è nata questa
Associazione, perché l'avete fondata e mi hai detto «Non perdere mai di
vista quello che i fondatori hanno deciso costituendo gli Amici della
Pediatria e sicuramente le scelte saranno quelle giuste, sempre!».
Certo ogni tanto ti arrabbiavi, eccome, perché qualcosa, forse, non
andava come ti saresti aspettato e dopo pochi giorni la tua sapienza ti faceva
vedere quel fatto con occhi diversi e dicevi «Andiamo avanti, va bene così,
chi vuol essere con noi ci sarà».
Il tutor che era in te mi ha spiegato, raccontato, raccomandato, mi sono
sempre sentita pensata, protetta e al sicuro nelle tue parole e nel tuo sguardo.
Se ripenso a tutti questi anni, quante cose abbiamo fatto insieme, quante
storie, come ti dicevo io!
Mi fermo a pensarti e quante immagini riaffiorano nella mia memoria; i
ricordi da un lato mi regalano una lacrima che viene accolta subito dal
sorriso.
Quante risate!
Quanto bene hai voluto a ognuno di noi, quanto bene hai voluto e hai
lasciato agli Amici della Pediatria, per te quasi un terzo figlio da allevare ed
educare crescendo.
Il tuo insegnamento e il tuo ricordo sono vivi in me e sono sempre
energia e ispirazione per essere al meglio una volontaria Amici della
Pediatria che ha deciso di accettare il testimone e di condurre quel grande
gruppo di persone che è oggi a compiere tutte le azioni attente e pensate a
favore dei bambini che vivono l'ospedalizzazione. Il Grazie che ti dico non è
solo per avermi insegnato a essere la Presidente degli Amici della Pediatria,
ma soprattutto per avermi insegnato che se tutti insieme guardiamo nella
stessa direzione è tutto più semplice e bello, potremo gioire insieme di ogni
piccolo pezzo di puzzle che continua a formare una storia che oggi ha 25
anni e che speriamo possa continuare a crescere ancora …
Stefania
Faccio parte dell’Associazione da ormai sedici, diciassette anni, con
precisione non lo ricordo più, mi sembra sia cominciato tutto solo ieri, ma
con certezza posso dire che le persone che per me sono state significative
sono diverse e voglio parlare di ciascuna, partendo dagli albori.
Margherita, una signora tutta ricci, con la classica voce di chi fuma
parecchio, conosciuta prima telefonicamente e poi di persona. Era il mio
contatto con l’Associazione e, per diverse volte, mi aveva risposto che al
momento non aveva bisogno di volontari e quindi di richiamare dopo un
paio di mesi. Finalmente dopo circa un annetto, è stata premiata la mia
costanza e la voglia di entrare in questa Associazione e lei mi ha fissato un
appuntamento con la psicologa Cinzia Naibo.
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Margherita per un paio d’anni è stata la mia referente, colei alla quale mi
sono rivolta per un qualsiasi problema. Era la coordinatrice del gruppo
volontari e anche colei che, insieme alla psicologa curava la nostra
formazione che noi oggi chiamiamo Cerchi di parole. Margherita credeva
molto nell’Associazione.
Cinzia Naibo, la psicologa, una ragazza dai capelli molto scuri, occhi scuri e
svegli e occhiali neri e modi molto diretti. Ricordo ancora il mio primo
colloquio con lei e le domande che mi rivolse: «Perché vuole fare
volontariato? Perché in un reparto pediatrico? Perché nella nostra
Associazione? È disposta a lavare i giochi se necessario e a far lavori di
segreteria? Per fare volontariato con la nostra Associazione, bisogna seguire
costantemente una formazione obbligatoria… è disposta?».
Dopo tutte queste domande vedendo che non mi ero scomposta dalla mia
sedia, ma avevo risposto chiaramente a tutte, mi spiegò in cosa consistesse il
volontariato per l’Associazione Amici della pediatria. Fu subito entusiasmo,
molto probabilmente me ne aveva passato un po’ anche lei.
Cinzia Naibo, Margherita e Don Alberto (altra figura molto importante) si
occupavano anche della formazione dei volontari, di come strutturarla, di
quale tema affrontare ogni anno.
Don Alberto ai tempi era un giovane prete che esercitava la sua professione
presso il seminario di Bergamo e in più si occupava della formazione dei
volontari della sezione. A quei tempi i volontari erano suddivisi tra i
volontari pediatrici e quelli del reparto di oncologia/trapianti che noi
chiamavamo appunto ‘sezione’. Successivamente questa suddivisione è
stata tolta anche perché capitava spesso che i volontari di Pediatria venissero
chiamati in ‘sezione’ e viceversa a seconda dei bisogni. Così i coordinatori
con la presidente, dopo aver consultato i volontari, decisero di togliere
questa suddivisione e offrire la medesima preparazione a tutti i volontari.
Don Alberto divenne così anche lui un mio formatore, ricordo ancora il suo
tono di voce molto deciso e caldo quando ci ripeteva senza stancarsi mai:
«Voi siete e restate dei volontari, bravi ma sempre volontari, non sentitevi
mai indispensabili, non dimenticatelo… Ricordate che non siete volontari in
un oratorio, ma in un ospedale e in più in un reparto pediatrico, entrate
sempre in punta di piedi e siate sempre molto attenti a ciò che incontrate e
rispettosi dei silenzi e delle volontà altrui, non forzate mai gli eventi, fate
piuttosto un passo indietro… Ricordate che il dolore di un genitore è suo e
voi non dovete pensare di avere il diritto né la pretesa di portaglielo via,
perché è il suo dolore e a lui serve per poter andare avanti, potete cercare di
immaginarlo ma non sarà mai e non dovrà mai essere il vostro dolore».
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Altra figura molto importante per il mio cammino dentro l’Associazione è
stata Jolanda.
Jolanda, una donna magica con carta e forbici, una donna capace di capire
con uno sguardo cosa il bambino malato avesse voglia di fare. Jolanda mi ha
insegnato l’importanza di entrare in una stanza in punta di piedi e girare
subito lo sguardo a 360° per individuare le passioni di chi in quel momento
viveva nella stanza e la sua voglia di accoglierti o meno.
Jolanda sapeva creare con un foglio di carta e un paio di forbici qualsiasi
cosa dagli origami ai campi di calcio con tanto di calciatori. Purtroppo di
questa sua arte non sono riuscita a imparare nulla, infatti mi resta sempre un
po’ di ripianto quando penso alla brava maestra che ho avuto e alla cattiva
allieva che sono stata io.
Dopo qualche anno che svolgevo la mia attività di volontariato è stata
istituita una nuova figura dentro il gruppo, quella del tutor, un volontario
anziano incaricato di accompagnarne uno nuovo nelle sue prime entrate in
reparto.
Mi è stato chiesto se avessi voluto farlo ed ho accettato molto volentieri; ho
avuto modo così di conoscere la mia prima tutorata, ne sono seguite tante
altre dopo, ma lei è quella che mi porto sempre nel cuore come una figlia (ai
tempi aveva 28 anni, per me sono rimasti ancora quelli nonostante ne siano
passati un bel po’ dal giorno del nostro primo incontro).
Ero molto emozionata e timorosa di incontrarla, mi avevano detto che
insegnava latino e greco al liceo. Invece quando ho avuto modo di
conoscerla, si è rilevata una persona molto dolce, disponibile, attenta ai
bisogni dell’altro e dotata di sensibilità e correttezza strepitose, sia nei
confronti dei bambini che delle loro famiglie.
Per diversi anni siamo state anche compagne di turno, con lei ho condiviso
tante gioie ed anche qualche dolore riguardanti sia l’Associazione sia la
nostra vita privata. Spesso è stata anche mia consulente nell’educazione
scolastica di mio figlio.
Negli ultimi anni ho deciso di entrare nel Consiglio direttivo
dell’Associazione e qui ho avuto modo di incontrare altre persone speciali,
in modo particolare una che in questi anni mi sta insegnando molto sia per
quanto riguarda la vita dentro e anche fuori dall’Associazione.
Sono convinta che, se sono rimasta così tanti anni in Associazione, è perché
oltre ad essere serena e felice di quello che faccio, ho avuto anche la fortuna
di incontrare tante speciali compagne di viaggio, ossia di turno e dei vari
momenti di aggregazione e ognuna di loro meriterebbe due righe di
ringraziamento.
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Massimo
Cesare è stato un elemento insostituibile per questa Associazione, un
socio raffinato, un Presidente indimenticabile. Ma soprattutto, è stato un
maestro, una guida per tutti noi, anche per coloro che lo avevano conosciuto
fuori dall'ambito ospedaliero. Ha insegnato a coltivare la gioia di aiutare gli
altri, ha dato una risposta a tutti coloro che si rivolgevano a lui come a un
padre. Questo è il tratto più significativo dell'esperienza che Cesare ha avuto
come fondatore e socio della nostra Associazione. Ha sempre risposto a tutte
le richieste pervenute, distinguendosi sempre con la sua innata diplomazia,
ponendo sempre al primo posto il benessere dei bambini ricoverati. Ha
sempre saputo parlare anche a coloro che non conoscono il significato di
volontariato. Ci manca molto perché la nostra è una società orfana di
maestri e lui sapeva trovare le parole per comunicare. È riuscito a parlare
anche quando non aveva più voce, quando l'ho sentito l'ultima volta ed ha
avuto ancora la forza di scherzare e di gioire della vita. Questa è l'immagine
sorridente che ci lascia, di una persona che ha segnato il nostro tempo.
Grazie Cesare.
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Persone speciali per i nuovi volontari
Elena A.
Ho iniziato il percorso di volontaria negli Amici della Pediatria con tanta
buona volontà, ma anche con il timore di non riuscire ad affrontare certe
situazioni riguardanti piccoli pazienti affetti da malattie gravi o incurabili.
Questo timore nasceva dal lutto vissuto solo un anno prima per la perdita di
mio papà, malato di cancro e che ho accompagnato durante gli anni della
malattia. Chi ha messo fine alle mie paure e mi ha sempre incoraggiata è
stata Barbara, la mia tutor.
Da subito si è instaurata tra noi una grande intesa: lei è riuscita a entrare
nel mio intimo in punta di piedi, sempre col sorriso e con parole
rassicuranti, senza essere mai invadente.
Barbara è molto dolce e nello stesso tempo decisa nelle sue posizioni.
Con lei ho imparato a vedere il mezzo bicchiere pieno anche in quelle
situazioni che in realtà di positivo hanno davvero poco. Ho apprezzato
Barbara perché, a differenza di altri tutor, mi ha insegnato più con l’esempio
pratico che con le parole. Non ha mai usato modi o toni autoritari o che mi
facessero sentire l'ultima arrivata, ha sempre cercato di mettersi al mio pari.
Le sono grata per avermi saputo ascoltare e consigliare anche in situazioni
personali. Ho un carattere estroverso, ma in genere tengo per me i miei
problemi personali. Invece Barbara, poco a poco, è riuscita a conquistare la
mia fiducia, con lei in tutoraggio mi sentivo come un passerotto sotto l’ala
protettiva della mamma. Purtroppo il percorso di tutoraggio è terminato e
siamo su turni diversi di volontariato. Questo non incide sul nostro affetto e
sulla nostra amicizia. Per me è stata e rimarrà una persona speciale, l'ala
sotto la quale rifugiarmi, quando ho dubbi sull'attività in reparto ma anche
su molte altre cose. Penso che una brava tutor debba saper rassicurare i suoi
tirocinanti, porsi a loro con modi un po' ‘materni’: le regole vengono
recepite meglio se sono condite con affetto. Sono stata fortunata ad avere lei
come tutor, sono sicura che il suo modo di essere e di fare, spontaneo, dolce
e sensibile ha inciso positivamente sulla mia permanenza nell'Associazione.
Elena R.
Laura è stata la mia tutor all’inizio di questa fantastica avventura
all’interno dell’Associazione Amici della Pediatria, colei che mi ha assistita
nel passaggio ‘dalla teoria alla pratica’. Nei giorni precedenti il nostro primo
incontro ero un po’ ansiosa, sapevo che avrei passato otto turni con lei in
reparto e mi ero spesso domandata ‘che tipo fosse’: sarà giovane oppure
anziana? Logorroica o di poche parole? Solare o lunatica? Ero certa solo di
una cosa: doveva essere per forza una bella persona, anche solo per il fatto
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che dedicasse parte del suo tempo ai bambini in reparto, ed ora anche a me.
Di domande ne avevo fin troppe in effetti: sarò in grado di affrontare questa
esperienza? Riuscirò a convincere Alessandra nel nostro prossimo incontro
che posso essere una buona volontaria? Quando ho visto Laura per la prima
volta è stato come vedere la luce del sole… Già, se dovessi racchiudere in
una sola parola Laura userei di certo la parola solare. Mi ricordo
quell’istante come se fosse ieri. Io la stavo aspettando davanti al ristorante
La Marianna e guardavo ogni persona che passava domandandomi se fosse
lei. Poi a un certo punto ho sentito chiamare il mio nome e l’ho vista: con il
suo camice appena ritirato e quel sorriso capace di illuminare anche la più
cupa corsia d’ospedale. Quel giorno mentre mi spiegava il comportamento
che avrei dovuto tenere in reparto e mi rileggeva il codice etico, mi dicevo
«Ma quanto è carina!?». Quando poi siamo passate ‘dalla teoria alla
pratica’, è stata capace di spazzare via tutti i miei timori in pochissimo
tempo, mi ha guidata e rassicurata in ogni istante passato insieme a lei e
oggi posso dire che, se sono entrata a far parte del gruppo dei volontari,
buona parte del merito è suo. Purtroppo non condividiamo il turno ma è un
po’ come se lei fosse sempre lì con me. Ogni volta che disinfetto le mani,
come mi ha raccomandato di fare sempre; ogni volta che entro ed esco da
una stanza; ogni volta che delicatamente busso a una porta e chiedo se
hanno bisogno di me. Quante volte l’abbiamo fatto insieme… Le prime
volte io stavo dietro di lei a guardare come faceva e pensavo: Non ce la farò
mai! Dopo qualche turno ci siamo invertite i ruoli e se avevo un attimo di
titubanza, lei mi dava una ‘spintarella’ di incoraggiamento. Spero che la mia
avventura in Associazione duri il più a lungo possibile, ma
indipendentemente da questo, porterò sempre con me il ricordo di Laura,
così minuta da aver paura che il vento se la porti via ma con un sorriso
davvero immenso e un cuore enorme. Grazie Laura.
Elena Z.
Accetto il rischio di uscire dal tema. Tuttavia, a chi mi chiede chi sia stata
la persona più significativa e importante per me all'interno
dell'Associazione, d'istinto e all'istante rispondo: l'Associazione!
Questo strano soggetto formato da decine di individui, persone distanti
per età, esperienza, interessi, carattere, eppure così vicine in quanto tutte
accomunate dal desiderio di dare ognuno il proprio, sia pur piccolo,
contributo al perseguimento di quanto non sempre la realtà dà per scontato:
il sorriso di un bambino.
Sono profondamente grata a tutti questi innominati ‘compagni di
viaggio’ per il loro aiuto, per il loro sforzo, per la loro passione.
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La mia esperienza in Associazione è iniziata solo da pochi mesi. Eppure
sento già così forte il senso di appartenenza, la condivisione del progetto,
l'orgoglio di fare parte del gruppo.
Sì, è a questa macchina che funziona 24 ore su 24, l'Associazione stessa,
che devo riconoscere il merito di essere stata realmente determinante per
me. Una macchina diventata persona grazie a un puzzle di decine di cuori
pulsanti all'unisono.
Eleonora
Conosco Mile da tanti anni e lei mi parlava del suo ruolo di volontaria
all’interno dell’Associazione Amici della Pediatria con entusiasmo. Grazie
a lei, al suo parlare con gli occhi oltre che con le parole del suo essere
volontaria prima e membro del direttivo dopo, ho deciso di avvicinarmi in
punta di piedi a questo mondo. Mile mi conosce bene e ha capito che il mio
approccio all’Associazione doveva essere diverso da quello del volontario
che entra nelle stanze, potevo dare il mio contributo facendo parte del
Direttivo. Ricordo come fosse ieri l’Assemblea in cui si sarebbe eletto il
nuovo direttivo: erano presenti una trentina di soci e fra quelli ne conoscevo
veramente tre o quattro oltre a Mile e Luca. Un po’ intimidita e con un po’
di vergogna mi sono presentata al gruppo e ho proposto la mia candidatura,
spiegando perché volessi entrare in Associazione. Sono stata eletta e con
entusiasmo ho iniziato questo fantastico percorso.
Conosco Mile da anni, ma credo di aver scoperto in lei un lato molto
generoso, volto agli altri e al prossimo. Con tanta passione e dedizione e con
il suo immancabile sorriso segue l’Associazione non dimenticando mai il
suo obiettivo principale: il sorriso e il benessere del bambino.
Sinceramente noi del Direttivo ci chiediamo dove lei trovi tutte quelle
energie: ma ogni tanto dormirà visto che le mail arrivano a tarda ora?
Come vorrei avere metà delle sue energie e idee - ne ha veramente tante e sono contagiose, perché in questo modo sprona un po’ tutti noi a pensare a
nuovi progetti e alimenta lo spirito di collaborazione. Il suo entusiasmo è
contagioso ed è riuscita a creare un bel gruppo.
Ho avuto modo di conoscere, grazie a lei, dei volontari veramente in
gamba che portano all’interno del Direttivo le loro esperienze e il loro
essere volontari.
Mile mi ha coinvolto in questa Associazione e grazie a lei e allo spirito
con cui vedo i volontari entrare nelle stanze sono riuscita ad affrontare, se
pur parzialmente, la malattia.
Grazie Mile e grazie colleghi del Direttivo.
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Giovanna Elena
Ho voluto iniziare il mio percorso nell'Associazione spinta da un
qualcosa che avevo dentro da tempo. Ricordo il periodo della formazione
che ogni volta mi appassionava sempre più e la sera in cui abbiamo
conosciuto le persone che avrebbero fatto da tutor all'interno del reparto,
sono stata colpita da una signora non più molto giovane, dai capelli lunghi,
non molto alta ma con un sorriso ed uno sguardo così sereno a tal punto che
mi sono accorta di fissarla continuamente.
È stato come se l’avessi scelta e chiamata a me, infatti, come per magia,
sono stata affidata a lei per il percorso di tutoraggio.
Quando ho iniziato lei, con carattere forte e determinato, mi ha introdotta
nel mondo del volontariato spronandomi, insegnandomi come mi dovevo
comportare, le grandi e piccole attenzioni nei confronti dei bambini,
facendomi capire fin dove mi potevo spingere.
L'ammiravo come riusciva e riesce ad approcciarsi ai bambini, a parlare
con i genitori, trova sempre le parole giuste per ogni situazione.
Fortunatamente mi ritrovo con lei nello stesso turno del Mercoledì e
anche ora che sono stata ‘arruolata’ come volontaria, sto imparando molto
da lei, io persona molto timida, mi stupisco a volte come sto riuscendo a
mettermi in gioco.
Grazie a Eliana che stando sempre al mio fianco mi diceva: «Adesso
entri tu in stanza e gestisci tu la situazione».
Ho riposto molta fiducia in lei e lei in me e questo mi rende davvero
felice, mi piace quando adesso mi sento dire: «Vai Elena, pensaci tu.».
Stefania
Una persona per me significativa nell’Associazione è stata Bruna, la mia
tutor, la persona che mi ha accompagnato e a cui mi appoggio tuttora in
questa mia avventura iniziata da poco.
È una persona molto espansiva sia a livello fisico, iniziando dal caldo
saluto con baci e abbracci ma anche nel parlare e nei modi di fare. Ho
iniziato questa avventura un po’ titubante perché non ho mai fatto
esperienze del genere e non sapevo se ne sarei stata all’altezza. Bruna mi ha
capito subito e mi ha spronato giorno dopo giorno ad avere fiducia in me
stessa. Con lei mi sono riscoperta: non pensavo di essere così forte e
sensibile nello stesso tempo! Con lei mi sono aperta, come si può fare
solamente con una persona estranea che non giudica, raccontando i miei
pensieri e le mie emozioni.
Quando ho avuto il colloquio conclusivo del tutoraggio con la psicologa
la prima persona che ho chiamato è stata Bruna: io ero felicissima come se
avessi vinto la lotteria, mentre per lei era solo una conferma. Finito il
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tutoraggio sono stata assegnata al turno di Bruna e con le altre volontarie,
siamo veramente un bel gruppo affiatato.
L’unica cosa negativa è che ora si è presa un periodo di pausa dal turno e
quindi non ci vediamo più regolarmente, ma ci sentiamo e frequentiamo
anche fuori dall’ospedale e so che per qualsiasi dubbio o anche solo per
parlare è sempre disponibile per me.
Grazie Bruna.
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I diversi ruoli in Associazione
Barbara
La mia attività svolta all’interno dell’Associazione: Volontaria
Sono ormai due anni che faccio parte dell’Associazione e, nel tempo, ho
sicuramente acquisito più sicurezza e dimestichezza con il mio ruolo.
La mia borsa di tela con il logo dell’Associazione, al cui interno tengo il
tesserino di riconoscimento, il tesserino per il parcheggio, fazzoletti di carta
e crema per le mani, è sempre pronta nel cruscotto della mia fedele 500.
All’arrivo in ospedale, subito dopo aver parcheggiato, vado a ritirare il
camice verde e successivamente faccio il mio ingresso in reparto. È sempre
piacevole ritrovare le mie colleghe di turno: ci scambiano un affettuoso
saluto, ci domandiamo come è trascorsa la settimana ed io, essendo l’ultima
del turno a entrare, vengo informata su eventuali sostituzioni urgenti da
effettuarsi.
Dopo la firma sul registro delle presenze e un’occhiata al diario del
giorno comincio con il giro delle camere solitamente dal reparto trapianti.
Le giornate non sono mai identiche, a seconda delle varie esigenze posso
fermarmi a giocare con i nostri piccoli ospiti, posso intrattenermi con i loro
genitori, o sostituirmi a questi ultimi se hanno bisogno o necessità di
allontanarsi dalla stanza, oppure trascorrere del tempo nella Stanza delle
Nuvole in compagnia dei bambini che possono circolare nel reparto.
Ciò che non deve mancare mai, oltre alla nostra disponibilità a offrire un
po’ di sostegno è il sorriso e la solidarietà per chi sta affrontando momenti
spesso particolarmente difficili.
Per tutelare al meglio la salute dei nostri piccoli a volte per entrare in
alcune stanze è necessario osservare alcune precauzioni come indossare un
ulteriore camice, una mascherina e dei guanti. È sempre comunque buona
norma lavarsi o disinfettarsi le mani ogni volta che si lascia una camera.
Verso le 11.00, sia per ricaricare le batterie che per un aggiornamento
sull’andamento della mattinata, mi concedo un caffè al bar della Marianna
in compagnia di una collega per poi riprendere l’attività in reparto sino alla
fine del turno.
C’è una mansione che, purtroppo, mi mette in difficoltà e che cerco
sempre di evitare: scrivere i nomi dei nostri piccoli pazienti sui cartoncini
colorati che vengono poi posizionati sulle porte delle stanze. Non ho alcuna
predisposizione al disegno e quindi, conoscendo bene il mio limite, per non
penalizzare nessuno con le mie scarse ‘opere’, lascio che questo compito
venga svolto dalle mie colleghe sicuramente più fantasiose ed artisticamente
capaci di me.
60
Daria
Il tutor di Amici della Pediatria è un volontario, in servizio da almeno un
anno, a cui viene affidato un aspirante volontario per affiancarlo nel
muovere i primi passi all’interno del reparto.
Il tutor di Amici della Pediatria prende per mano, sostiene, incoraggia,
vigila.
Il tutor di Amici della Pediatria non sceglie chi affiancare, così come
l’aspirante volontario non sceglie il proprio tutor: il binomio si crea sulla
scorta di coloro che vengono individuati, dal Coordinatore dei volontari,
come persone idonee a rivestire questo ruolo e dalla concordanza di giorni e
tempi tra le disponibilità dei tutor e degli aspiranti volontari.
Al tutor non viene chiesto nulla di straordinario se non di condividere la
quotidianità della vita in reparto con l’aspirante volontario.
È davvero preziosa per il volontario tutor questa possibilità che gli viene
offerta: è addomesticare ed essere addomesticato, è creare dei legami…
come direbbe la volpe al Piccolo Principe, è un modo per ampliare gli
orizzonti, è un tempo per verificarsi, è un tempo per ridirsi il perché della
scelta di svolgere volontariato in un reparto ospedaliero di Pediatria, è la
possibilità di essere testimone di come anche nella malattia la vita non perda
il suo valore.
Il volontario tutor non è geloso della propria esperienza ed è orgoglioso
di colui che gli è stato affidato quando si accorge di potergli lasciare la
mano perché cammina con passo deciso e sicuro: spalanca le braccia e si
prepara ad accogliere un nuovo aspirante volontario.
Giovanna
Il mio ruolo nell’Associazione Amici della Pediatria è quello di
Volontaria. Il mio turno inizia il venerdì mattina, dopo aver ritirato il camice
verde, salgo in reparto; nella Sala Smile (il nostro studio) solitamente trovo
già i miei colleghi; firmo la mia presenza, metto la maglietta, tesserino di
riconoscimento con allegate le chiavi, camice, disinfettante ed eccomi sono
pronta per la nuova giornata. Iniziamo a visionare il diario
dell’Associazione, dove troviamo informazioni importanti sui degenti ed
anche segnalazioni per noi volontari ed educatori. Il passo successivo è
quello di fare il breafing mattutino con il caposala che ci fornisce in
dettaglio il quadro del reparto di quel giorno, passandoci informazioni
importanti sull’approccio o meno al bambino. Terminato il breve incontro si
parte con il giro, ci dividiamo, due al piano primo Trapianti e due al piano
secondo Chirurgia pediatrica Oncologia: la procedura sta nel bussare,
salutare, presentarci e chiedere se la mamma/papà o il bambino necessitano
della nostra presenza, riferendo che per qualsiasi bisogno noi ci siamo. A
volte sulla porta troviamo oltre al nome del bambino dei disegni, stanno a
indicare a noi volontari che in quella stanza bisogna avere degli
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accorgimenti prima di entrare, l’utilizzo dei guanti oppure la mascherina,
per salvaguardare il bambino. Con i degenti piccolissimi solitamente ci si
sta poco, le mamme fanno pause brevissime, un caffè superveloce, non
vogliono lasciare il loro piccolo/a. Quando l’ospite è più grande si
propongono giochi e se può uscire si va insieme nella Stanza delle Nuvole
per spaziare di più: si gioca, si colora, si preparano i nomi per i nuovi
arrivati con relative borse di benvenuto, se c’è una festività imminente si
collabora per le varie creazioni di addobbi o altro, insomma c’è da
sbizzarrirsi.
Ultimato il giro, ci si ritrova per aggiornarci, sulle sostituzioni fatte o da
farsi, quest’ultime vengono riportate poi sul diario per i colleghi di giornata.
Arrivati a fine turno si segna l’ora d’uscita sul libro presenze e ci si dà
appuntamento al venerdì successivo.
Laura
Io: Volontaria nell’Associazione Amici della Pediatria
La preparazione al turno comincia il giorno precedente, controllando che
la sacca di tela bianca con il simpatico sorriso di AdP contenga tutto quello
che serve: t-shirt pulita e stirata, badge di identificazione e cordini portabadge, chiave della Smile, zoccoli bianchi come quelli degli operatori
sanitari.
Eh sì, arrivando dall’ufficio mi capita di indossare decolleté tacco 12,
quindi mi sono organizzata con apposito cambio di calzature…
Il martedì pomeriggio arrivo in turno e benché le situazioni che si
presentano possono essere, e di fatto sono, ogni volta molto diverse, i gesti
ormai rituali che compiamo sono diventati una prassi consolidata : il ritiro
del camice verde, l’arrivo alla sala Smile, i saluti con colleghe/colleghi del
turno – volontari ed educatori, la firma del registro presenze, il briefing e
scambio di informazioni e consegne che completano la necessaria lettura del
Diario.
Le attività prendono il via dalle esigenze immediate raccolte da chi ci ha
preceduto; il giro delle stanze al 1° e al 2° piano della nostra Torre 2 si
alternano a giochi e/o laboratori che nascono nella Stanza delle Nuvole o nel
Salotto.
Durante il turno settimanale che ognuno di noi svolge, le attività sono
scandite da precise regole e procedure, quindi previste e prevedibili, eppure
al tempo stesso assolutamente sorprendenti in termini di bimbi che si
incontrano, di genitori con cui ci si relaziona e si parla, momenti di gioco
spontaneo che si vengono a creare accanto a quelli di gioco strutturato e
pensato per raggiungere determinati obiettivi.
La creatività e la fantasia di bimbi, genitori, nonni ti sorprendono e hanno
il potere di trasformare il pomeriggio in momenti di condivisione ed
emozione che hanno un valore immenso.
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Liliana
E così un bel giorno sono diventata una volontaria dell’Associazione
Amici della Pediatria. Il ruolo lo sentivo dentro da sempre, da subito sono
entrata nella parte; mi pareva di seguire un copione che già conoscevo, ogni
particolare mi era noto. In breve tempo ho dimenticato la vita com’era prima
senza, per quella dopo con.
Oggi è parte della mia vita. E sono passati dodici anni. In realtà non è
stato proprio così. Se quel ruolo l’ho assunto dentro in modo da sentirlo
naturale, un sostegno non indifferente mi è stato dato dall’Associazione. Dal
primo momento si è presa cura di me. Mi ha dato le regole: come si deve
entrare in reparto, le norme, i ruoli, l’atteggiamento, le indicazioni da
seguire. Poi, sempre la formazione. Ho avuto modo così di sentire riflessioni
sulla fragilità e prossimità nella relazione d’aiuto, sullo scambio tra il dare e
l’avere, che non è unidirezionale.
E quelle parole le sento anche oggi. Le parole belle, che fanno parte del
percorso: presenza leggera, umanità, vicinanza, incontro.
Sono una volontaria consapevole. Credo si sia capito il piacere di questo
ruolo. È uno sbocco del cuore.
Ovviamente l’empatia non è sempre della medesima intensità.
È capitato, capita, di ricevere ringraziamenti. «Spero di rivederla la
prossima settimana», mi ha detto un papà l’ultima volta che sono stata in
reparto.
Sono riuscita a distrarre e a fare sorridere la sua bimba con le
filastrocche: «Occhio bello, suo fratello, la chiesina, il campanello, din don
din don». «Ancora, ancora, lei», mentre io indicavo le parti del viso
nominate facendo la faccia buffa.
Quando è entrata l’infermiera, il gioco si è concluso.
Sono stata contenta: ho pensato alla parola restituzione.
Oggi, alla routine di me volontaria appartengono gesti usuali, come
sistemare le borse nel solito appendiabiti, sempre allo stesso posto, togliere
la maglietta e lavarla, per riporla asciutta, stirata e piegata insieme con le
altre cose che mi servono. Ma ho anche il privilegio della conoscenza di
altre persone, i miei colleghi di turno sono le più vicine, ma lo scambio di
calore umano è anche con gli altri, con i quali condivido la scelta di fare
parte della stessa Associazione.
E lo dico con un senso di Orgoglio.
Loredana
Sono una volontaria all’interno dell’Associazione Amici della Pediatria.
Il volontario sta a fianco dei bambini e famigliari per tutto il periodo di
degenza, offrendo piccole prestazioni di aiuto, ascoltando, giocando e
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facendo compagnia. Disponibile ma non invadente e offre una presenza
discreta.
Per me essere volontaria è una scelta che sento, vivo e svolgo con serietà,
impegno ma soprattutto con il cuore. Ha cambiato il mio modo di vivere la
quotidianità e ho imparato ad apprezzare il valore di ogni singolo giorno.
Il mercoledì per me è sacro, è il giorno del mio turno! Sono solo tre ore
settimanali e ho iniziato con la pausa pranzo per poi passare in un secondo
tempo al pomeriggio.
Ci sono dei gesti diventati piccoli rituali come il preparare con cura la
borsa accertandomi che non manchi nulla, il salutare i miei figli aspettando
la fatidica domanda: «A che ora torni?». Dopo quattro anni...
L’inforcare il motorino destinazione Ospedale Papa Giovanni XIII ora,
ospedale Riuniti di Bergamo prima.
Il ritiro del camice, il firmare la presenza e l’informarsi delle necessità
del giorno, il saluto alle compagne di turno che sono diventate nel tempo:
amiche, consigliere e collaboratrici indispensabili. Ecco sono piccoli gesti di
momenti certi.
Non so invece in reparto cosa mi aspetterà, cosa farò, chi incontrerò...
Mai un giorno è uguale all’altro.
Facciamo il giro delle stanze per chiedere ai bambini se hanno voglia di
giocare un po', non sempre hanno voglia di giocare ma noi siamo lì a
disposizione.
Ci sono dei momenti dove le semplici attività ludiche con i bambini
diventano un prezioso momento di sincero affetto che ci ripaga infinite volte
di un piccolo sorriso che doniamo loro.
Ci sono le sostituzioni, per dare la possibilità ai familiari di prendersi una
piccola pausa, piccoli momenti per loro, per staccare, prendendoci cura del
bambino in loro assenza.
Per qualsiasi bisogno ed esigenza siamo lì.
Siamo lì per loro, siamo lì per stare con loro con discrezione e rispetto.
C’è una frase di Patch Adams che dice: «Se curi una malattia si vince o si
perde, se si cura una persona si vince qualunque esito abbia la terapia».
Ecco questo per me è veramente speciale.
Ho iniziato a fare la volontaria perché volevo aiutare gli altri, ma oggi
sono consapevole che ciò che ricevo è molto più di ciò che riesco a dare.
Manuela
Il lunedì mattina il mio turno in Associazione inizia alle 11.30 e finisce
alle 14.30 ma io alle 10.30/11 posteggio la mia auto ed entro in ospedale.
Vado a prendere il camice, mi fermo per un caffè alla Marianna e salgo al
2° piano Torre 2. Prima di aprire la Sala Smile do un’occhiata nella Stanza
delle Nuvole e mando un salutino a bimbi e colleghe. Entro, mi vesto, firmo
il registro presenze e vado a lavarmi le mani. Cerco un collega o un
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educatore per il passaggio delle consegne e leggo il nostro diario
segnandomi per le sostituzioni necessarie. Se servo, inizio con le
sostituzioni, altrimenti vado in sala giochi o nelle camere dove non è ancora
passato nessuno per conoscere bimbi e genitori. Nel turno del pranzo in
genere abbiamo parecchie sostituzioni per i genitori dei bimbi lungodegenti
che vanno in mensa. Alle 14.30 lavo le mani saluto bimbi e colleghe,
restituisco il camice e torno a casa.
Marco
Qualche anno fa sono entrato a far parte di un’Associazione che si
occupa di bambini ricoverati in ospedale. Avevo già il mio bel daffare a
gestire tutto quello che mi capitava in reparto, quando, un bel giorno, mi
hanno proposto, senza neanche diritto di replica (o quasi), di entrare a far
parte del Consiglio Direttivo dell’Associazione stessa. Oddio, ho pensato,
faccio fatica a fare il volontario, figuriamoci il consigliere!!!! Sarà stata la
mia incoscienza, o l’inconsapevolezza del ruolo che mi accingevo a
ricoprire, fatto sta che ho accettato la candidatura e sono stato eletto. Poco
tempo dopo mi sono ritrovato nel bel mezzo della prima riunione.
Fortunatamente insieme a me c’era anche Milena (mal comune mezzo
gaudio) e la sua presenza mi è stata di grande conforto perché il mio primo
mandato (triennale) non è stato del tutto positivo. Il clima che si respirava in
quelle riunioni era tutt’altro che familiare, c’erano poche occasioni per
proporre idee nuove e quasi tutti gli argomenti all’ordine del giorno erano
già stati decisi dalla vecchia Presidente e dal vecchio primario. Io,
praticamente, arrivavo a giochi fatti. E che ci vengo a fare a questi incontri
se non posso dire e decidere niente? Quante volte mi hai sentito fare questa
domanda, vero Mile? Le cose sono andate decisamente meglio quando alla
Presidenza sono arrivati rispettivamente Cesare (per un anno circa) e poi
Milena. Loro mi hanno ridato quell’entusiasmo, quella voglia di mettermi in
gioco, di fare che deve essere alla base dello stare all’interno del Consiglio.
Ho così potuto scoprire anche l’altra faccia della medaglia, quella parte di
Associazione che decide, organizza, gestisce e coordina un gruppo di
persone molto diverse tra loro, ma con un obiettivo comune. Grazie a loro e
al fatto di essere consigliere scopro ogni giorno cosa vuol dire mandare
avanti un’Associazione come la nostra, so quante difficoltà s’incontrano
quotidianamente, come sia difficile mantenersi autonomi e acquisire
competenze in materia fiscale per una corretta e trasparente gestione delle
risorse finanziarie, trovare ogni anno idee nuove per migliorare la
formazione dei volontari e proporre progetti innovativi per migliorare la
qualità della vita dei nostri bimbi. È proprio un gran lavoro!!! Lavoro,
peraltro, svolto gratuitamente.
Il consigliere è una persona votata dai soci, che partecipa alle riunioni del
Consiglio Direttivo, che propone, che decide, che discute, che partecipa agli
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eventi che l’Associazione organizza o che i sostenitori organizzano per
l’Associazione, che ascolta i pareri, le idee, le proposte ed anche le critiche,
a volte, dei volontari e le riporta in Consiglio con l’intento di migliorare
sempre l’attività dell’Associazione. Ci si riunisce una volta al mese (o mese
e mezzo) e l’attuale gruppo di consiglieri è formato da una componente di
volontari (6), una rappresentante dei genitori (1), due soci non volontari
(che sono una sorta di ‘occhio esterno non contaminato’), la tesoriera e la
presidente. Far parte del consiglio è molto più interessante perché il gruppo
è ben assortito (lo è stato anche il precedente) e anche i nuovi arrivati
sembrano apprezzare l’atmosfera delle riunioni. Ed è istruttivo conoscere di
volta in volta sempre qualcosa di nuovo che ruota attorno all’Associazione.
È un’esperienza che consiglio di fare vivamente a tutti i volontari, almeno
una volta. Prendere delle decisioni non è mai facile, in questi anni lo
abbiamo constatato di persona, il ‘metterci la faccia’ è una responsabilità, si
ha un impegno in più, ma tutto questo ti fa crescere, sia come volontario che
come persona. Con un buon gioco di squadra i risultati arrivano tenendo
sempre presente ciò che Cesare ci ha insegnato: Quando prenderete una
decisione pensate al bene di chi la state prendendo. Non potrete mai
sbagliare.
Margherita
Impara a fare l’uomo
«Oggi vado in ospedale». «Perché? Non stai bene?».
Sono battute che mi capita di scambiare con qualche amico che, in modo
del tutto comprensibile e naturale, considera l’ospedale solo come il luogo
della malattia e della cura, qualche amico che non sa, mentre io do per
scontato che sappia… Allora spiego: «Scusa. Sì, sto bene. Vado in ospedale
come volontaria».
Da 11 anni sono volontaria, da 10 sono tutor, da qualche anno sono
referente di giornata. Sono comunque volontaria. Tutti nell’Associazione
siamo volontari.
Ancora oggi è difficile spiegare e raccontare, persino a mio padre, che è
medico e che talvolta me lo chiede incuriosito, cosa faccio come
volontaria… forse perché non si tratta di fare, ma di esserci, di esserci per
prendersi cura, di esserci in punta di piedi, di esserci come terzi, di esserci
come presenza leggera.
Tutti i giorni sono volontaria: è uno status della mia persona. Il lunedì è il
giorno in cui agisco il mio essere volontaria. Durante la settimana mi
preparo a quelle tre ore che passo in USC di Pediatria, Centro di Ematologia
e Oncologia Pediatrica, USSD Epatologia, Gastroenterologia e Trapianti
Pediatrici (che nomi difficili, per dire che sto in mezzo a piccoli eroi
malati!); durante la settimana rielaboro quelle tre ore che ho passato nei
reparti.
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Non mi riesce proprio di descrivere un rituale fisso: ogni volta è diverso!
Ogni volta ti capita qualcosa: ti capita di giocare con un bimbo allegro e
spensierato; ti capita la fatica di un adolescente con cui scatta per miracolo
la relazione; ti capita il neonato che piange, inondandoti il camice verde di
lacrime e facendoti stringere il cuore; ti capita il genitore che vuole sfogarsi
o che semplicemente cerca un interlocutore nel silenzio della sua stanza
buia; ti capita il medico o l’infermiera che, appena arrivi, ti catapulta
urgentemente a sostituire una mamma o un papà; ti capita il compagno di
turno che ha bisogno di condividere e di essere ascoltato… e tu accetti
quello che capita. Sei lì per quello!
Sei lì. Ecco cosa significa essere volontario: essere lì … lì dove il tempo
non è tuo e non è per te, lì dove il tempo scorre in modo diverso o non
scorre o scorre velocissimo, lì dove le tue questioni personali non entrano e
da dove non dovrebbero uscire pesi troppo grandi, ma solo regali per la tua
vita, lì dove comprendi che il tuo dolore è relativo, lì dove capisci che
accanto al curare del personale medico c’è il prendersi cura, che rende bella
l’esistenza, lì dove girano storie di uomini veri, lì dove non conta quanti
anni hai o che professione fai, perché lì sei uomo alla ricerca di altri uomini,
lì dove s’impara a fare l’uomo.
Non è un’avventura semplice né scontata… quando sei lì, però, sai di non
essere solo: sei parte di un gruppo, che è con te e ti accompagna. Ecco
perché prima di entrare indossi maglietta e camice, ti procuri il disinfettante
e ti lavi le mani, firmi il registro e leggi il diario della settimana, incontri
infermieri ed educatori che ti aggiornano sulla situazione del momento…
Sono riti? Certo sono passaggi obbligati, ma non un peso: ogni volta
assumono un significato nuovo e sono passi importanti che ti preparano alla
relazione, ti fanno respirare, ti staccano dalle corse frenetiche della
quotidianità.
Ripeto che non mi riesce proprio di descrivere un rituale fisso: ogni volta
è diverso!
Quando ci provo, mi sento ripetere: «Che brava!». Resto convinta che,
finché non sei sul campo, non capisci fino in fondo. Non è questione di
essere bravi, perché quando esci dai reparti dovresti dire GRAZIE: ti senti
appiccicati addosso non i difetti delle persone incrociate, come diceva
Seneca, ma i loro pregi, la loro energia, la loro bellezza, la loro voglia di
vivere. Ti senti più uomo.
Mariangela
È martedì e sono quasi le 9.00 del mattino, ho finito di lavorare e
l’ospedale mi aspetta, di corsa mi dirigo verso lo spogliatoio all'armadietto
141, dentro ci sono i miei vestiti, la maglietta dell’Associazione, tesserino e
chiavi, mi cambio in fretta e via in macchina verso casa.
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Lascio la macchina e prendo la bicicletta (abito di fronte all’ospedale) e
in due minuti sono lì. Vado a prendere il camice e salgo in reparto, Torre 2 piano 2, firmo il registro delle presenze e leggo il diario per sapere se ci
sono comunicazioni, comunque chiedo alle compagne di turno che sono
arrivate prima di me se c’è qualcosa che devo sapere. Se non ci sono
urgenze, ci prendiamo un caffè alla macchinetta e poi si parte.
Solitamente ci dividiamo così: due di noi stanno di sopra e due scendono
nei Trapianti da basso, si bussa alle porte dove è permesso entrare e si
chiede se il genitore ha bisogno di una sostituzione, si cerca di capire se ha
voglia anche solo di parlare un po’ o se il bambino vuole fare qualcosa,
magari giocare, leggere, fare una partita a carte. C’è anche chi ti ‘prenota’
per un orario particolare allora ci si accorda.
Se in quel momento nessuno ha bisogno, la Stanza delle Nuvole è sempre
trafficata e qualcosa da fare si trova: nomi da scrivere e mettere sulle porte,
qualcosa da colorare, qualche genitore che ha voglia di fare quattro
chiacchiere e così il tempo vola via, sono già arrivate le 12.30 circa e,
quindi, è quasi ora di ritornare a casa. Consegno il mio camice e vado a
riprendere la mia bicicletta sentendomi un po’ più ricca di prima.
Mariella
La tutor
Quando tempo fa, qualcuno mi ha telefonato e mi ha proposto di fare la
tutor e devo dire che sono rimasta sorpresa e nello stesso tempo impaurita.
Ho chiesto spiegazioni perché non sapevo bene che ruolo potessi avere e la
cosa all'inizio mi ha spaventata perché ho capito subito che avrei avuto una
responsabilità. Accidenti che paura! Ma poi, pensandoci, mi ha fatto piacere
perché mi sono sentita ‘considerata’: qualcuno apprezzava il mio modo di
fare e di essere! È un compito molto difficile e impegnativo, ma mi piace il
fatto di poter far capire agli altri quanto sia importante fare del bene e
quanto l'esperienza di volontariato ti arricchisca dentro. Non mi sento
superiore per via dell’esperienza accumulata durante la mia missione, ma mi
sento orgogliosa di poter trasmettere la mia passione nel voler far del bene.
Accompagno il futuro nuovo volontario nel nostro viaggio e quello che mi
dà maggior piacere è il fatto di essere riconosciuta sempre per il grande
valore che do a quello che faccio.
Milena
PRESIDENTE
Faccio mente locale nei ricordi e nelle date, vediamo se ce la faccio: nel
2004 divento volontaria Amici della Pediatria, nel 2006
contemporaneamente segretaria e consigliera e nel 2008 anche tesoriera.
Nel 2009 mi rendo conto che l'impegno è importante in questi quattro
ruoli e decido a malincuore di lasciare il turno in corsia per dedicare le mie
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energie a tutto il lavoro organizzativo e amministrativo. Sono dispiaciuta,
ma prometto a me stessa di non perdere mai di vista la corsia, i reparti, gli
operatori sanitari, ma soprattutto bambini e famiglie, anzi ora potrò avere
uno sguardo più attento.
Nel 2012 divento Presidente: mamma mia che emozione, mi tremavano
le gambe; erano già tre anni che mi sentivo dire che dovevo diventarlo!
Ed eccomi qui nel mio nuovo ruolo che di fatto incarna un po' tutti gli
altri già ricoperti e sono certa mi permetterà di avere uno sguardo completo
proprio grazie ai percorsi già fatti e ai ruoli ricoperti in questi anni.
Presidente, che parola importante, rappresenta un incarico (comunque
volontario) per il quale sei guardata, osservata e, a volte, anche giudicata.
Cosa fa il Presidente degli Amici della Pediatria?
Tanteeeeee cose… forse fare una ‘lista della spesa’ aiuta:
rappresento l'Associazione sia dentro l’ospedale sia
fuori, sul territorio
incontro e collaboro con diverse persone o gruppi:
Consiglio Direttivo, Assemblea dei soci, volontari,
Direzione ospedaliera, operatori sanitari, educatori,
coordinatore dei volontari, referenti di giornata dei
volontari, gli aspiranti volontari, i tutor
incontro e coinvolgo: soci, sostenitori, aziende, privati
e famiglie
mantengo il contatto con: istituzioni, banche,
fondazioni, associazioni
mi occupo della contabilità e della segreteria sempre
in contatto e collaborazione con la segretaria-tesoriera
scrivo lettere e mail di diversa natura e ai destinatari
sono i sopracitati
mi occupo della newsletter, del web e dei social
network
creo la grafica, realizzo fotografie e organizzo gli
eventi dell'Associazione internamente e supervisiono
quelli esterni, nell’intento di salvaguardare il corretto
utilizzo del nome e dell'immagine dell'associazione
acquisto materiale, giochi, libri, ecc… per gli spazi
ludici, la segreteria e per il reparto
Sulla mia testa c’è quella spada chiamata: Legge.
E già, quando si assume il ruolo di Presidente si diventa anche il legale
rappresentante dell’Associazione con tutti gli oneri che ne derivano.
Tante volte mi sento chiedere: «Quanto tempo dedichi alle attività
dell’Associazione?». Non so dare una risposta, non so quantificare il tempo
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in modo preciso, ma la borsa con tutte le mie cartelline perfettamente
organizzate in settori è sempre con me e quindi mi capita di occuparmi di
alcune questioni durante la mattinata o il pomeriggio, per la maggior parte
la sera e la notte, oltre il sabato e la domenica.
A volte è tardi, sono stanca della giornata lavorativa, oppure fuori piove e
vorresti solo stare sul divano a leggere un libro, ma dedicarmi a qualcuna di
queste attività non è mai un peso, perché so che sto facendo qualcosa per,
come dico io, i nostri bimbi e quindi pufff tutto diventa più leggero e si
concretizza in nuove azioni.
C'è una cosa nella quale mi impegno molto ed ho deciso che merita ogni
mia attenzione possibile: avere uno sguardo che vede, guarda ed osserva
tutto il mondo che si chiama Amici della Pediatria… Il caro Cesare me lo
ha insegnato: il Presidente deve essere attento e vigile, anche se non è
sempre semplice, è però molto importante. Dedico a questo davvero il
massimo delle mie energie, perché ogni componente dell’Associazione si
senta parte di un gruppo dove è pensato.
Tempo fa una ex-volontaria mi disse: «Se diventerai Presidente preparati
alla solitudine, perché è questo il destino di chi ricopre certi ruoli».
Devo ammettere che, fortunatamente, per quel che mi riguarda non è
andata così… ho iniziato il mio quarto anno e posso affermare di non
essermi mai sentita sola, anzi la vita attorno al Presidente è davvero affollata
a testimonianza concreta che un gioco di squadra permette, insieme, di
raggiungere gli obiettivi.
Stefania
Volontaria, tutor, referente, vicepresidente, volontaria… ho iniziato con
volontaria e ho terminato con volontaria perché questa figura racchiude
tutte le altre, non sarei mai stata tutor, ora referente e vicepresidente se non
avessi avuto la fortuna di iniziare a essere una volontaria dell’Associazione
Amici della Pediatria di Bergamo.
Sono una volontaria dell’Associazione e negli anni mi sono evoluta come
del resto si è evoluta l’Associazione.
Partiamo dalla figura del tutor che è nata dopo diversi anni che ero
nell’Associazione. Quando mi hanno chiesto di diventarlo, dopo averci
riflettuto un attimo, ho intrapreso con tanto entusiasmo questa nuova
avventura. Proprio ripensando alla mia esperienza personale fin dalla prima
volta in reparto, questa figura mi è sembrata subito utilissima.
Il compito del tutor è quello di accompagnare il nuovo volontario in
reparto per almeno otto settimane, dimostrargli sul ‘campo’ quanto appreso
negli incontri teorici, ma soprattutto di passagli l’entusiasmo e la passione
necessaria per fare volontariato.
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Queste otto settimane sono cadenzate da un iter che accomuna tutti i tutor
e di conseguenza tutti i nuovi volontari: prima di incontrarsi in reparto,
solitamente il tutor e il nuovo volontario hanno avuto l’opportunità di
incontrarsi a una riunione informativa in modo da essersi non solo visti ma
anche un po’ ‘misurati’.
Il primo giorno in reparto, si legge il codice etico, rimarcando quali sono
i nostri doveri di volontari e si fa un giro per il reparto per vedere come si
suddivide e dove si trova chi e cosa, si sale al quarto piano per conoscere la
sede dell’Associazione. Dalla volta successiva s’inizia il giro delle stanze
per vedere bisogni e necessità, si fanno delle sostituzioni e il tutor è sempre
in compagnia del nuovo volontario e poi verso la sesta o settima settimana,
si valuta se il nuovo volontario è in grado di potersi gestire da solo. A quel
punto il tutor resta qualche passo indietro, senza perderlo mai di vista.
Nel frattempo il tutor sente o incontra le coordinatrici dei volontari e fa
loro una relazione sul percorso fatto, raccontando certezze, dubbi,
perplessità.
Alla fine di queste otto giornate di compresenza con il tutor, il nuovo
volontario è chiamato a sostenere un ulteriore colloquio con la
coordinatrice/psicologa dei volontari e se verrà considerato idoneo,
indosserà la maglietta dell’Associazione, riceverà le chiavi della Sala Smile
e pagherà la quota associativa.
Fare il tutor è un’esperienza molto bella e lo consiglio a tutti coloro che
da un po’ di tempo sono nell’Associazione perché è un modo per
rispolverare certe regole/comportamenti /attenzioni che un volontario
vecchio finisce per dare un po’ per scontate, ma che scontate, invece, non
sono mai.
In questi ultimi anni mi è stato chiesto di fare la referente di giornata. Mi
avevano detto «provvisoriamente, per un paio di mesi» e in realtà sono
passati due anni…
La referente di giornata è il trait d’union tra l’Associazione e i volontari
di quella giornata: raccoglie i bisogni e le proposte dei volontari della sua
giornata, gli eventi o le necessità particolari come per esempio i doppi turni,
le disponibilità dei suoi volontari e comunica poi tutto alla coordinatrice.
La referente di giornata s’incontra una volta al mese con il GCV, Gruppo
Coordinamento Volontari composto da tutti i 7 volontari referenti di
giornata, la presidente dell’Associazione, gli educatori ed il presidente della
Cooperativa degli educatori.
A quel tavolo si portano le proposte, i bisogni e le necessità dei volontari
della propria giornata, si organizza la programmazione dei laboratori e delle
attività da svolgere in quel periodo, si trattano problematiche del reparto che
riguardano direttamente i volontari. Infine la referente informa i propri
volontari di giornata su quanto emerso dalla riunione.
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La referente di giornata come il tutor sono figure che sono state istituite
per garantire il miglior benessere possibile ai volontari.
Vicepresidente: premetto che sono solo al mio secondo mandato come
consigliera nell’Associazione e ho deciso di intraprendere questa nuova
avventura quattro anni fa un po’ per curiosità, un po’ perché era in atto
nell’Associazione una serie di cambiamenti e l’idea già da un po’ mi
‘frullava per la testa’ e quindi, quando mi è stato offerto il ruolo di
consigliere ho accettato con entusiasmo e anche con un po’ di timore.
A metà percorso del primo triennio, mi è stato chiesto se volevo fare la
vicepresidente, ci ho pensato molto ed infine ho accettato con tanto
orgoglio. Quando ho accettato di entrare nel Consiglio avevo un po’ di
timore, quando ho accettato di fare la vicepresidente avevo 1000, che dico?,
10000 paure e ansie.
Il compito della vicepresidente sarebbe quello di sostituire la presidente
nel caso di una sua assenza/impedimento o cessazione di incarico, ma chi
conosce la nostra Associazione, mi sa dire chi sarebbe in grado di sostituire
la nostra attuale Presidente?!!
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I principi guida dell’Associazione
Non perdere mai di vista il benessere del bambino/genitori
Migliorare l’assistenza in reparto
Gioco di squadra
Sensibilizzazione opinione pubblica/istituzioni
Formazione continua dei volontari
Formazione continua operatori sanitari
Benessere dei volontari
Serietà e senso di appartenenza
Non ci sostituiamo all’ospedale ma siamo a sussidio ed integrazione
Innovazione
Aggiornamento
Autonomia (politica e religiosa)
Ponderabilità delle proprie risorse
Ho scelto la sensibilizzazione opinione pubblica/istituzioni
Barbara
Non perdere di vista il bene del bambino e della famiglia
Circa due settimane fa durante il mio turno nel reparto Trapianti ho
vissuto un’esperienza che mi ha profondamente toccata.
Ero entrata nella stanza di una bimba nata prematura per fare visita a lei e
alla sua mamma con la quale mi trattengo spesso a chiacchierare
piacevolmente.
La piccola viene alimentata con un sondino e la mamma, con il parere
favorevole dei medici, sta provando a darle il latte con il biberon per
stimolare la suzione. Quella mattina, dopo diversi tentativi infruttuosi, la
mamma era un po’ scoraggiata e allora le ho suggerito, approfittando della
mia presenza nella stanza, di prendersi una pausa e di andare a bersi un
caffè.
Poco dopo l’allontanamento della signora, la bimba ha cominciato a
respirare un po’ affannosamente e io, d’istinto, l’ho sollevata dal lettino, l’ho
presa in braccio tenendola in posizione eretta e così facendo ho favorito un
suo rigurgito di latte. Con la piccola in braccio ancora in difficoltà, ho
immediatamente suonato il campanello e in brevissimo tempo è arrivata
un’infermiera che è intervenuta prontamente. Ero preoccupata e molto
dispiaciuta di vedere quella cucciolina in difficoltà e anche quando
l’infermiera, visto che la situazione si era normalizzata, si è allontanata sono
restata con lei in braccio in posizione eretta sino al ritorno della mamma.
Con l’infermiera, tornata per controllare la situazione, abbiamo informato
dell’accaduto la signora che si è dispiaciuta per me, per la preoccupazione
che avevo vissuto, e temeva che potessi in futuro evitare di tornare nella
73
loro stanza. L’ho subito rassicurata: ero molto contenta di essere stata
d’aiuto, vigile e attenta nel momento del bisogno.
Daria
Sensibilizzare l’opinione pubblica
La montagna è grande maestra di vita:
è silenziosa e non impone le sue lezioni a nessuno
però abbraccia con la sua immensa saggezza
e spalanca orizzonti sempre nuovi a chi sceglie di esplorarla
Da nove anni nell’Istituto Comprensivo in cui lavoro viene attivato il
progetto SolidarMente, una proposta pensata per gli studenti, le loro
famiglie, i docenti e tutti coloro che vivono la scuola, come occasione di
crescita personale e di riflessione sui bisogni degli altri.
L’idea ambiziosa è quella di offrire nell’arco degli undici anni di
frequenza della scuola - nei tre diversi ordini - la possibilità di conoscere
undici realtà diverse che operano in modo gratuito e per il bene di persone e/
o situazioni particolari.
È già qualche anno che, in fase progettuale, viene valutata l’opportunità
di sostenere per un intero anno scolastico l’Associazione Amici della
Pediatria, ma le situazioni contingenti hanno più volte portato a dare
priorità ad altre realtà.
È giugno 2014 quando ho la netta percezione che l’anno scolastico
2014-2015 sarebbe stato quello giusto per far entrare Amici della Pediatria
in modo capillare non solo in tutto l’Istituto - 1600 studenti -, ma nell’intera
cittadina.
Nascono le prime idee, ma prima di stendere il progetto, per poi seguire
l’iter burocratico richiesto dalla scuola, mi sono consultata con il direttivo
dell’Associazione per capire se la proposta potesse interessare, ma
soprattutto se ci fosse disponibilità nel supportare e seguire la scuola
nell’intero percorso formativo, dove l’obiettivo prioritario non è il
raccogliere oggetti o denaro, ma è il conoscere e riconoscere bisogni
specifici per sviluppare poi atteggiamenti di partecipazione e intervento
attivo.
È luglio 2014 quando ricevo il nullaosta e il pieno sostegno da parte del
direttivo.
Non ci sono parole per descrivere cosa sia successo da ottobre a oggi
nell’IC Solari:
- I bambini, i ragazzi e gli adulti hanno accolto con entusiasmo la
proposta fatta e si sono messi in profondo ascolto di una realtà così
vicina a loro, ma forse così immensamente distante. Hanno ascoltato,
74
hanno fatto riflessioni profonde e si sono interrogati sulla vita, sulla
sofferenza e sulla morte. Hanno riflettuto sul significato dell’essere
volontari da una prospettiva molto particolare.
- I bambini i ragazzi e gli adulti si sono poi interrogati su come
partecipare la loro presenza ai bambini ricoverati, alle loro famiglie, ai
tanti medici, infermieri e volontari che ogni giorno si prendono cura di
loro: ecco allora che i più piccoli hanno creato letterine colorate per
abbellire le stanze degli amici ricoverati; in tutte le scuole si è
organizzata una raccolta di giochi e materiale didattico nuovi; alcuni
adolescenti si sono trasformati in renne della solidarietà e hanno
scorrazzato in lungo e in largo per la cittadina alla ricerca di sponsor
della solidarietà; alcuni bambini hanno organizzato un mercatino
dell’usato e l’intero ricavo lo hanno devoluto all’Associazione; alcune
ditte hanno deciso di fare donazioni spontanee; in una ditta gli operai
hanno deciso di autotassarsi per sostenere il progetto; alcuni esercizi
commerciali sono diventati punti di raccolta fondi; alcune famiglie
hanno condiviso di rinunciare ai doni di Natale preferendo contribuire
in modo significativo all’acquisto di strumentazione per la cura dei
bambini.
È davvero straordinario quanto il bene sia contagioso e come questa
esperienza testimoni, ancora una volta, che anche i piccoli possono fare cose
grandi!
Non posso nascondere di aver vissuto momenti di disorientamento di
fronte a impegni condivisi, concordati ma poi disattesi da parte
dell’Associazione.
Alcuni colleghi mi hanno chiesto: «Ma chi te lo fa fare? Stai cercando di
tamponare e di proteggere con tutta te stessa quest’Associazione, ma… non
è meglio lasciare perdere?». Mi ha fatto male, molto male, sentirmelo dire
perché è stata toccata una delle dimensioni più significative della mia vita.
Mi sono fermata e mi sono chiesta se e perché sia importante che
un’Associazione come Amici della Pediatria debba investire tempo e risorse
nell’aiutare a conoscere e a sensibilizzare rispetto a uno spaccato così
particolare di realtà, ma soprattutto se tale investimento debba partire fin
dalla tenera età.
Mi risponde la maestosità e la saggezza della montagna: «Se vuoi
costruire un mondo a misura di bambino devi partire proprio da loro:
spalanca i loro orizzonti, sveglia in loro il senso del vero, il senso del bene e
il senso della meraviglia; sii guida sicura e credibile nel loro cammino… e
quando saranno adulti non potranno che aprirsi alla pienezza della vita e non
fare altrimenti!».
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Giovanna
La frase non perdere di vista il benessere di un bambino include
tantissime tematiche, rapportate alla famiglia, significa farlo crescere con
valori sani, nutrirlo, farlo vivere in una famiglia dove senta e si senta
l’unione e l’affetto di tutti, una casa confortevole, insomma tutto ciò che lo
possa portare ad una crescita serena; posso altrettanto affermare, che l
'Associazione Amici della Pediatria non manca di far sentire questi valori
agli ospiti dell’ospedale. In particolare mi ricordo di un episodio che mi fa
fatto risuonare questi valori.
Un venerdì come tanti incontriamo nel corridoio esterno la mamma di
una ragazza (molto conosciuta dai volontari) che ci informava della
presenza della figlia in chirurgia pediatrica; appena ci ha viste ci ha
abbracciato ed il viso gli si è illuminato, la sua richiesta immediata è stata
quella di passare a salutare B. Premetto che il reparto dove si trovava non è
di nostra competenza ma la risposta è stata subito «Sì». B. quando ci ha
viste, nonostante non fosse nella sua forma migliore, è rimasta
contentissima, ha chiacchierato con noi, e ci faceva presente che i volontari
dell’Associazione gli mancavo tanto, essendo persone molto aperte solari e
creative senza le quali il soggiorno in ospedale risultava pesante. Lei e la
mamma si sentivano abbandonate, annoiate e sole. Terminata la visita le
abbiamo salutate a malincuore, in quanto avevamo percepito il loro
malessere, ma nello stesso tempo ho visto l’apprezzamento del malato e del
genitore che nutre nei confronti del volontario di questa Associazione.
Laura
Uno dei principi fondamentali della nostra Associazione, direi anzi quello
principale da cui si diramano poi tutti gli altri, è “non perdere di vista il
benessere del bambino ricoverato e della sua famiglia”.
Posto che ognuno di noi si adopera con continuità e al meglio delle
proprie capacità per validare questo principio, vi racconto un episodio in
particolare, abbastanza recente, che mi è rimasto impresso e che credo sia
esemplificativo.
Un martedì di qualche settimana fa, durante il turno, parlo con il collega
educatore il quale, munito di laptop dell’Associazione, sta per recarsi in una
stanza con l’intenzione di stabilire un contatto con una paziente dell’area
Trapianti, arrivata da poco.
Scopro che si tratta di una ragazza adolescente, qui con la madre, ed
entrambe non parlano italiano. Sono russe. Qualche parola d’inglese la
madre, forse….
Sperando di riuscire a riesumare qualcosa dalle reminiscenze dei miei
studi di russo che risalgono, ahimè, a oltre 30 anni fa, mi offro di
accompagnarlo.
76
Vedo che s’illumina, entusiasta e mi armo di coraggio mentre andiamo
verso la stanza.
La ragazzina è bionda, esile, molto timida, ma probabilmente, rettifico,
certamente, anche molto spaventata. È vero che non spiaccica nemmeno una
parola d’inglese (ma non lo studiano, nel loro Paese??)
Saluto lei e la mamma nella loro lingua: «Ciao! Io mi chiamo Laura. Tu
come ti chiami ?».
Non riesco ad articolare molto più di questo in conversazione, ho
dimenticato quasi tutto a causa del mancato uso di questa lingua e nel poco
che ricordo sono anche ‘arrugginita’, ma serve a rompere il ghiaccio e vedo
che ha un effetto benefico!
Con l’aiuto del traduttore di Google, qualche altra parola in russo e un
po’ d’inglese che la mamma si sforza di usare, scopriamo l’età della
ragazzina e anche da dove vengono: catapultate da una città fredda del nord
della Russia in una Italia sconosciuta dove a loro sembra estate.
Riusciamo a farci raccontare com’è composta la loro famiglia, cani e
pesci inclusi, com’è il clima nella loro zona, e ci mostrano sul telefono
alcune foto della casa, della famiglia, del paesaggio. L’atmosfera nella
stanza si è sciolta, alleggerita, la mamma è simpatica, espansiva, scherziamo
sul confronto tra temperature Italia/Russia e sul fatto che la ragazzina da
perfetta adolescente, adora stare incollata allo smartphone! Anche la
ragazzina sorride e sembra apprezzare i nostri sforzi di comunicare.
Riusciamo a capire cosa lei desidera fare, ovvero disegnare e fare
braccialetti e le forniamo il materiale. Non è interessata a proposte di giochi,
preferisce la lettura e quindi m’impegno a cercare nella nostra Biblioteca
qualche libro in russo, non sono certa che ve ne siamo.
La sensazione, uscendo dalla stanza tra i saluti, i loro sorrisi e
ringraziamenti, è davvero quella di aver contribuito all’accoglienza di
questa ragazza e di sua madre ritrovatesi in una realtà così diversa dalla loro
e in una situazione clinica che spaventerebbe chiunque.
Liliana
Il Principio Trasformato da una Parola: la Formazione
Avevo preso la decisione, volevo fare la volontaria. Ero motivata, me lo
suggeriva il cuore e lo sosteneva la ragione. Avevo del tempo libero
finalmente, non dovevo sprecarlo, dovevo realizzarlo. Quando entrai in
ospedale, quello di Largo Barozzi a Bergamo, quello che veniva chiamato
Maggiore, una mattina di fine ottobre del 2003, dodici anni fa all’incirca,
ero d’umore incerto per l’incognita che mi aspettava. Chi avrei incontrato?
Cosa mi avrebbero risposto?
«Può indicarmi dove è la sede degli Amici della Pediatria?» chiesi a
un’infermiera. «Non so», rispose, «provi ad andare da quella parte, a metà
corridoio dovrebbe esserci l’ufficio!». C’era. Sentii subito parlare della
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Formazione. «Per diventare volontaria deve seguire un corso di formazione
e avere un colloquio finale», mi disse alla fine della chiacchierata una delle
signore presenti. Me lo disse seccamente, senza tanti fronzoli. Era una
psicologa, aveva il ‘pancione’ e molti anni meno di me. L’umore incerto
scivolò nell’inquietudine. Salutai, presi accordi sulle date, uscii
dall’ospedale. Quel giorno, quello che per me, nella mia mente, sarebbe
stato di pacifica soluzione di un’aspirazione che mi riempiva la vita, si
risolse in un momento di perplessità. Eppure mi consolai «Ok faremo il
corso e sosterremo il colloquio». Punto. La formazione.
Ovviamente conoscevo la parola, ma non era com’è oggi. Oggi la leggo
con una valenza diversa, la interpreto come la colonna sonora di un film che
si chiama Volontariato e di cui anch’io ho una parte, insieme con tanti altri.
La formazione, come la spiega il vocabolario Zingarelli nella accezione
figurata della parola è Maturazione delle facoltà psichiche e intellettuali
dovuta allo studio e alla esperienza. Non male, anzi direi bene Ci siamo: i
Principi che sono alla base dell’Associazione Amici della Pediatria riassunti
in questa parola. Mi piace! Mi sono arricchita di conoscenze e mi sono
lasciata plasmare da essa. Puntuale. Specialistica. Divertente. Intelligente.
Parole ad hoc. Quando ripenso a me, in quella mattina di fine ottobre 2003,
con la sicurezza dell’essere mamma e insegnante, mentre mi approcciavo
verso un mondo che credevo di conoscere, quello dei bambini, dei ragazzi
anche se ospedalizzati, vedo tutto il cammino fatto. Oggi provo un
sentimento di gioia per avere accettato di passare attraverso la porta che si
chiama Formazione ed essere arrivata qui.
Loredana
Non perdere di vista il bene del bambino e il supporto alle famiglie
Per il sorriso di un bambino...
Questa piccola frase è il fulcro e il senso della nostra Associazione. Quasi
uno slogan, ma di certo non una frase fatta.
Il sorriso di un bambino te lo devi guadagnare, ci devi saper fare, non è
dato per scontato. Per cui il giorno che riuscii a strappare tre sorrisi in un
colpo solo e per di più prolungati nel tempo ve lo voglio proprio
raccontare...
Ero da poco arrivata quando notai un bimbo dal visino annoiato, un po'
triste, subito mi avvicinai a lui invitandolo a giocare, accettò subito la sfida
a calcetto.
Devo dire che me la cavo abbastanza bene, ma non sapevo chi avessi
davanti.
Giocava bene, tiri precisi, parate degne di Buffon, la partita era alla pari.
Arrivarono i genitori e invitai anche loro, accettarono subito; il papà con il
figlio e la mamma con me.
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Eravamo talmente concentrati che non ci accorgemmo subito di avere
anche un pubblico che faceva il tifo.
Quante risate, pure alcune imprecazioni e qualche azione contestata,
insomma una vera partita che alla fine fu vinta dalla coppia padre e figlio.
C’era aria d'allegria, visi contenti, un momento di spensieratezza che aveva
coinvolto tutta la famiglia.
Per congedarci ci fu una stretta di mano e un abbraccio caloroso dove la
mamma mi sussurrò all'orecchio che aveva sei figli e un calcetto a casa e
giocavano sempre! Ecco svelato il motivo di cotanta bravura!
Questo è un momento che custodirò con piacere nei miei ricordi felici
che con altri costituiscono il grande tesoro di emozioni che mi vengono
regalate ogni volta che accadono.
Se un semplice gesto come una partita a calcetto può servire ad
alleggerire il carico della sofferenza e può aiutare chi vive nella malattia a
non pensare al disagio in cui si trova, anche solo per un momento, per me
diventa qualcosa di veramente speciale che mi rende orgogliosa di
appartenere a questa Associazione.
Quel giorno ho centrato l’obiettivo, ho fatto goal!
Manuela
Non perdere di vista il bene del bambino e il supporto alle famiglie
Questo è il principio che vivo maggiormente in reparto durante il mio
turno settimanale. È il mio obiettivo ogni lunedì mattina. Non è sempre
facile portarlo a termine con successo, ma quando i genitori o i bimbi me lo
fanno notare, mi riempio d’orgoglio. Un po' di tempo fa in Oncologia ho
faticato per conquistare la fiducia di un ragazzino non molto espansivo, ma
alla fine ce l’ho fatta sia con lui sia con la sua mamma. Un lunedì, facendo il
mio solito giro, sono passata a salutarlo ed era molto arrabbiato e triste. Ho
cercato di chiacchierare un po’, di invogliarlo a giocare, ma mi sono
ritrovata davanti un ‘muro’. Sono uscita amareggiata e ho pensato: tra un po'
ci riprovo! Qualche minuti dopo, ho trovato la mamma in corridoio che mi
ha spiegato i danni procurati dalla Chemio. Così sono ripassata da lui che,
spinto dalla madre, mi mostra un raccoglitore di banconote e monete di altri
Paesi del mondo. Ci siamo divertiti a scoprire le provenienze di quelle
monete, passando un’ora tranquilla. Nel frattempo ho pensato che a casa
avevo parecchia valuta straniera di pochissimo valore portata dai viaggi fatti
con la mia famiglia e mi sono ripromessa di portargliela! La settimana
successiva mi sono presentata col mio bel sacchettino di monete e anche
qualche contante di carta. Mi ha fatto un sorriso enorme e mi ha anche dato
un bacio. La mamma mi ha detto: «Allora è vero: gli angeli esistono». Mi ha
abbracciato e baciato commossa.
Io credo che la mia Associazione abbia il dovere di esistere per il sorriso
o l’abbraccio anche solo di una mamma.
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Marco
Sensibilizzare l’opinione pubblica e le istituzioni
Sono in Consiglio Direttivo e fra i vari argomenti all’ordine del giorno si
discute sul modo di trovare nuove idee e proposte per finanziare i progetti
che l’Associazione sta portando avanti. È da qualche giorno che mi ‘frulla
in testa’ una cosa e decido di sottoporla al Consiglio. Cercare di coinvolgere
una realtà locale, famosa, ahimè, per altri motivi, ma che mi risulta che sia
molto sensibile alla solidarietà e beneficenza: si tratta degli Ultras della
Curva Nord dell’Atalanta. I visi dei vari consiglieri non mi hanno restituito
lo stesso entusiasmo con il quale ho esternato la mia idea, ma non mi sono
dato per vinto e tramite il marito di una mia compagna di turno al venerdì,
io e Milena abbiamo incontrato una delegazione di tifosi composta dal capo
ultrà e dai suoi fedelissimi compagni in un bar della Malpensata. Ricordo il
viso impaurito di Milena appena messo piede nel bar. Questo incontro aveva
lo scopo di conoscerci reciprocamente, far capire loro chi eravamo e cosa
facevamo, il motivo che ci aveva spinto a contattarli ed il modo, se esisteva,
di iniziare eventualmente una collaborazione. Anche da parte loro c’è stata
fin da subito la volontà di farci capire chi erano, che cosa facevano, la
reputazione che avevano per l’opinione pubblica bergamasca, la posizione
scomoda di coloro che collaboravano con gli Ultras e i pregiudizi della
gente nei confronti di un gruppo di persone che aveva, sì, commesso degli
errori, ma che aveva sempre pagato in prima persona. Gente che
puntualmente però dimenticava che ci sono anche altri aspetti, quelli
positivi, quelli che non fanno notizia, quelli che non appaiono sui giornali
tipo la sensibilità e la generosità nei confronti di chi ha bisogno e che gli
Ultras hanno sempre dimostrato negli anni. La nostra collaborazione ha
avuto inizio ufficialmente alla festa della Dea, nel luglio 2013, dove siamo
stati invitati a partecipare, avendo a nostra disposizione un’area dedicata.
Un evento, questo, che richiama ogni sera circa 10000 persone, tra cui
moltissime famiglie e bambini e che ha nella sesta ed ultima serata il suo
culmine con la consegna, alle varie associazioni, di quasi tutto il ricavato
della festa. Qualche tempo dopo abbiamo invitato gli Ultras a venirci a
trovare in reparto, per vedere di persona cosa facevano gli Amici della
Pediatria. Si sono presentati in 40 persone (o forse di più) che in maniera
educata, composta e rispettosa hanno visitato il reparto pediatrico
dell’ospedale e hanno potuto verificare la serietà dell’Associazione che
stavano aiutando. Ricordo l’emozione disegnata sui loro volti al termine
della visita, la gratitudine per quello che avevano vissuto quella mattina, la
richiesta di cosa potevano fare per aiutarci ulteriormente. Spettacolari! Devo
dire, con un pizzico di orgoglio, che la nostra collaborazione continua, tanto
è vero che siamo stati ancora loro ospiti in occasione della festa della Dea
2014 con ben due postazioni a disposizione, una dedicata all’Associazione e
80
una dedicata al gioco, con tanto di trucca-bimbi e una per i giochi d’altri
tempi. Le nostre attività hanno avuto un impatto positivo anche all’interno
del gruppo Ultras tanto è vero che c’è stata una sorta di sensibilizzazione tra
di loro cui sono seguiti iniziative ed eventi a nostro favore. C’è stata una
seconda visita in reparto altrettanto emozionante e che li ha visti
protagonisti assieme a noi volontari di una festa di compleanno organizzata
per una ragazzina degente in reparto. Sono molto contento di aver condiviso
questa festa con i Ragazzi della Curva Nord.
Grazie di cuore, Ultras, per tutto quello che avete fatto per noi e con tutta
quella passione che solo i veri tifosi hanno dentro di loro, per aver
dimostrato ancora una volta che esiste anche l’altra faccia della medaglia e
per aver confermato una volta di più che quella sera in Consiglio avevo
‘visto giusto’.
Margherita
Serietà e senso di appartenenza
Nella vita incontri persone di cui ti puoi fidare e altre sulle quali non puoi
sempre contare, non perché siano cattive, ma perché costituzionalmente
sono così. Dunque ci sono persone affidabili e altre meno: dipende dalla
loro serietà e dalla loro precisione. Se affidi un incarico a qualcuno, devi
essere certo che lo esegua; se chiedi un favore a qualcuno, desideri che te lo
faccia; se chiedi informazioni o spiegazioni, vuoi che siano chiare e precise.
È affidabile chi rispetta tempi e regole, chi non si lascia spaventare da fatica
e impegni, chi mantiene la parola data, chi è preciso in ciò che fa per sé e
per gli altri, perché all’altro ci tiene, desidera vederlo soddisfatto e contento
e si sente gratificato se l’altro è riconoscente, in modo esplicito o indiretto.
Gli Amici della Pediatria sono affidabili …
Quando nasce in te la fiamma del volontariato, pensi: «Vado e faccio del
bene, quando posso, quando voglio, come mi viene». Se poi hai in mente il
volontariato con i bambini, dici a te stesso: «Mi diverto con loro, li faccio
giocare, passo alcune ore spensierate». Erano questi i miei pensieri, le idee
che mi giravano in testa undici anni fa.
Poi, sin dai primi incontri di formazione, capisci che non stanno così le
cose. Non ti avvicini da solo ai bambini, come e quando vuoi: esiste un
gruppo con delle regole, con un codice etico, con una formazione
obbligatoria, con dei turni, degli orari, dei giorni fissi. Se accetti il gruppo,
accetti tutto. È questa la sua forza: precisione e rispetto delle norme fanno
degli Amici della Pediatria un’Associazione affidabile.
Ricordo un’aspirante volontaria di qualche anno fa, affidatami perché la
accompagnassi come tutor in reparto. X (la chiameremo così!) arriva
perennemente in ritardo, non di uno o due minuti, ma di mezz’ora – un’ora!
La puntualità non è proprio il suo forte: passi una volta (C’era traffico),
passi la seconda (Ho avuto un problema di lavoro), passi la terza (Mio figlio
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non sta bene). Le capita proprio di tutto! Glielo faccio notare: X se la
prende un pochino, un po’, un po’ tanto, come se non fosse una questione
grave. «Vero», le dico, «ma il rispetto del proprio turno è un segnale di
serietà nei confronti degli altri volontari e dell’Associazione, che garantisce
una copertura giornaliera sicura alle famiglie. È un dettaglio, certo, ma spia
di un generale senso di appartenenza». Dopo averci ragionato per una
settimana, X mi dà ragione. X è tuttora una volontaria.
Anni dopo mi si presenta una situazione analoga con Eleonora (nome di
fantasia), una donna di mezza età, aspirante volontaria, con vari problemi
personali. Eleonora aspetta il Lunedì per sfogarsi con me delle sue ansie:
lungo i corridoi non fa che parlare di sé, qualunque realtà incrociamo nelle
stanze. Inoltre si presenta una volta sì e una no, quando va bene, una sì e tre
no quando c’è qualcosa di particolare, sempre rigorosamente in ritardo e
senza giustificazioni valide. Frequenti sono le sue lamentele per la ‘lunga’
formazione affrontata e costante l’indifferenza alle mie indicazioni. «Al
volontario non interessa la malattia del bambino», le ripeto in
continuazione. Ma la curiosità è la sua molla vitale; è più forte di lei: deve
sapere. La goccia che fa traboccare il vaso però è questa: incontriamo una
mamma disperata nel corridoio, accanto alla barella di suo figlio
pallidissimo, in attesa del ricovero. Prima di qualsiasi altra informazione
Eleonora chiede: «Cosa ha suo figlio?». Fermi tutti. La prendo in disparte e
le faccio notare che forse non fa per lei questa attività. Alla sua risposta «Mi
pare educato e normale chiedere», sottolineo che nell’Associazione si fa
squadra: «O accetti alcune indicazioni o non ci siamo». Eleonora non è mai
diventata volontaria.
Non si tratta di rigore eccessivo, ma di un grande rispetto nei confronti
delle famiglie e di una particolare attenzione da parte dei volontari, che
hanno un forte senso di appartenenza e seguono, perché le condividono,
alcune linee guida, pienamente disponibili ad adeguarle ai tempi che
evolvono, ma convinti che alla serietà non si potrà mai chiudere la porta.
Mariangela
Il benessere del bambino
Credo che questo sia per me uno dei principi fondamentali, il bene di
ogni piccolo o grande ospite e di conseguenza della sua famiglia.
Ci sono parecchi episodi che mi vengono in mente per poter descrivere le
tante volte in cui si è cercato di far star bene il bambino ma uno in
particolare lo ricordo con piacere.
Saranno passati circa tre anni eravamo ancora nell'ospedale vecchio e
feci la conoscenza nel reparto trapianti di questo bambino di circa 9-10 anni,
una lunga degenza, tutti lo conoscevano ed erano affezionati a lui e alla
82
mamma, quindi c'era una buona confidenza e qualsiasi cosa gli venisse in
mente non si faceva problemi a chiederla.
Una mattina era particolarmente brontolone sembrava essere proprio
annoiato e la mamma era in difficoltà non sapeva più come prenderlo, così
la mandai a prendersi un caffè, il bambino mi confidò che avrebbe voluto
uscire dalla stanza e correre un po’ in corridoio ma purtroppo con l'ossigeno
attaccato poteva stare al massimo su una sedia a rotelle. Così, parlando con
l'infermiera, mi disse che potevamo uscire in corridoio e lui, tutto contento,
accettò subito.
Il corridoio era abbastanza sgombero così facemmo qualche corsetta con
la sua Ferrari a due ruote, come la chiamava lui, si divertì un sacco e
anch’io: penso che in quel momento non ci fosse migliore cura di quelle sue
risate.
Purtroppo lui non c'è più, però nella mia mente il suo sorriso e quello
della mamma nel vederlo così felice non svanirà mai.
Mariella
Il sorriso e il lavoro di squadra
Sono una volontaria del giovedì pomeriggio giorno dei matti si diceva un
tempo e in effetti certe volte penso che siamo un po’ matte, ma eccezionali.
Siamo una squadra ben organizzata e ognuna di noi ha una caratteristica che
la distingue. Il nostro incontro in Smile è sempre fantastico, perché ognuna
si racconta affascinando le altre con racconti a volte bizzarri. Dopo questo
un caffè perché ci vuole proprio per iniziare il nostro viaggio in reparto.
Anche qui ci riconosciamo per i nostri pittoreschi racconti e se potessimo
guardarci dall’alto, ci verrebbe spontaneo dire che siamo proprio un bel
gruppo, una bella squadra. Ebbene sì: squadra. Quando iniziamo il nostro
giro in reparto ci organizziamo per bene. Ci dividiamo: due al primo piano e
due al secondo; ci aiutiamo a vicenda, ci chiamiamo in caso di bisogno, ci
confidiamo emozioni, racconti. È sempre fantastico perché con il sorriso
affrontiamo ogni cosa. Forse il fatto di essere tutte insieme ci dà la carica
giusta. A volte giochiamo tutte insieme con i bimbi e, allora, sento proprio il
lavoro di squadra. Non riusciamo a dividerci neanche per cambiare turno,
ormai siamo un gruppo tutto nostro. Mi auguro che sia sempre così, perché
è un piacere per noi e sicuramente anche per i bimbi e le mamme.
È sempre con il sorriso che si fa squadra e noi siamo una squadra assai
variopinta che raffigura le manine colorate della nostra Associazione!
Milena
Non ci sostituiamo all’ospedale, ma ne siamo a sussidio e integrazione
Siamo nel 2011 e sempre più spesso si sente parlare del Nuovo
Ospedale… forse sta per divenire una realtà?!
83
In quell’anno cambia anche la Direzione dell'Ospedale. Fino a quel
momento per l'Associazione significava solo conoscere nuovi nomi e volti a
distanza, nessun contatto diretto, solo formalità attraverso comunicazioni
scritte. Invece, proprio quell'anno, il cambiamento è duplice: convocazione
di tutte le Associazioni per la conoscenza dei nuovi direttori! Ma che bella
sorpresa, che grande novità!
Da subito appare chiaro che ci troviamo di fronte a un trio (Direttore
generale, sanitario e amministrativo) che sa bene chi ha di fronte, compresa
più o meno la storia di ogni Associazione presente, consapevole e
riconoscente del calore e dell’attenzione che il volontariato bergamasco
offre alla struttura cittadina. Dichiarano estrema disponibilità al confronto e
all'incontro per continuare a creare un ambiente ospedaliero attento agli
aspetti sociali e al miglioramento delle condizioni di vita dei pazienti.
A quella riunione ne seguono altre, soprattutto con il Direttore sanitario,
la dott.ssa Laura Chiappa: un viso simpatico, una grinta invidiabile, attenta e
spiritosa… per dirla alla mia maniera ‘insomma è sul pezzo’!
Penso ed esclamo dentro di me: qualcosa sta cambiando, che bello!
Gli appuntamenti che si sono susseguiti sono stati di reciproca
conoscenza e confronto sui progetti che l'Associazione propone e finanzia.
Scatta una reciproca promessa: vedersi periodicamente per una
chiacchierata di scambio d’idee e per raccontarsi le azioni intraprese, gli
obiettivi raggiunti e futuri.
Ne sono lusingata!
Ci attende un importante incontro: quello per definire se ci saranno e
dove saranno gli spazi ludici per i bambini ricoverati. Devo fare una
premessa doverosa e dolorosa: sì, va detto che la precedente direzione non
aveva contemplato né gli spazi giochi né le sedi delle Associazioni che
operano in ospedale, perché non ritenuti necessari alla struttura.
Torniamo all'appuntamento: racconto l'importanza di questi spazi, delle
attività, degli obiettivi raggiunti, delle proposte future, ecc… tutti momenti
vissuti da ogni singolo bambino o ragazzo che andranno a integrarsi nella
loro storia personale di crescita.
La DS (Direttrice Sanitaria), come tutti la chiamano, è attenta, chiede e
prende appunti, addirittura chiede di poter partecipare a un'attività per
viverla di persona, condividendone senza dubbio l'importanza e il grande
valore. Un giorno decidiamo di mandarle un invito a essere madrina per
consegnare ai bambini l'attestato di artisti post laboratorio estivo L'arte non
va in vacanza. Eccola, la vediamo arrivare nel corridoio della Pediatria e
con entusiasmo, gioia e fierezza consegnare gli attestati, chiedendo ai
bambini di raccontarle di questa esperienza creativa. Eravamo in tanti quel
pomeriggio insieme ai bambini: genitori, operatori sanitari, educatori e
volontari. Posso certamente affermare che si è vissuto un momento, un
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tempo di vita, vero e unico, forse per qualche attimo tutti i presenti si sono
scordati di essere in ospedale.
Al termine di questo piccolo evento la DS mi ha guardata dicendomi:
«Grazie per questa emozione… avevo mille cose da fare, come sempre,
avrei voluto chiamarti e dirti che dovevo disdire la mia presenza, ma questo
momento mi ha regalato molto ed ora collego tutti i nostri discorsi!»
Successivamente sono stata convocata per decidere degli spazi
individuati: le premesse non sono servite, è chiaro a tutti che questi spazi
sono fondamentali e necessari all'ospedalizzazione di bambini e ragazzi…
quindi mappe alla mano con architetto e geometra e si definiscono: due
spazi ludici al piano 2 della Torre 2, quelli che oggi sono il Salotto e la
Stanza delle Nuvole. Poi si guardano i progetti d'arredo.
Ci abbiamo lavorato per circa un anno e mezzo… un lavoro di gruppo
che non avevo raccontato nei dettagli alla DS, ognuno ha messo un tassello,
dai bambini alle mamme, dalla fisioterapista alla mediatrice culturale, ecc…
siamo davvero tantissimi!
La DS apre il progetto e leggo sul suo volto lo stupore e l'approvazione,
infatti esclama: «Ma che bel lavoro di squadra: si vede, si sente o sbaglio?»
L'OK su quel plico è arrivato in pochi istanti con tanti complimenti e il
desiderio di vederlo presto realizzato: yuppie per i nostri bimbi!!
Stefania
Il benessere del volontario
L’Associazione tiene molto al benessere del volontario e, infatti, tutte le
regole scritte nel codice etico sono fatte apposta per salvaguardare in primis
il suo benessere e poi quello di tutte le persone che gli sono accanto.
Poco dopo la mia entrata in Associazione conobbi una bimba che,
purtroppo ciclicamente, tornava da noi, e incontrandola una, due, quattro,
dieci volte tutti quegli insegnamenti ricevuti nella mia breve formazione
andarono in soffitta. La Presidente in carica al tempo si accorse o seppe di
questa mia situazione e mi invitò ad un colloquio dove mi fece notare le
mie fragilità e i rischi che correvo se avessi continuato con quel
comportamento, mi spiegò quanto quello che a me pareva un atteggiamento
protettivo verso la bimba e la sua famiglia potesse nuocere a me e alla
famiglia stessa.
Al momento uscii dal colloquio molto risentita ma poi, ci ragionai con
calma e compresi che la Presidente aveva perfettamente ragione.
Questa chiacchierata mi ha permesso di capire tante cose, ma soprattutto
di essere consapevole del mio essere volontaria dentro una grande famiglia
che porta avanti un gioco di squadra e risponde prontamente a ogni richiesta
fatta dalle famiglie o dai bambini stessi. Ancora oggi mi ritrovo spesso a
ripensare a quel colloquio al quale, forse, devo la mia presenza in
Associazione dopo tanti anni.
85
Ho imparato…
Barbara
Per 35 anni ho lavorato come impiegata in un Istituto di Credito e negli
ultimi anni sentivo il desiderio di lasciare il mio lavoro per dedicarmi a una
attività che mi gratificasse da un punto di vista umano. Il desiderio di
indirizzarmi verso il volontariato in ospedale e in particolare nei reparti di
Pediatria, è emerso sia per il piacere di stare con i bambini sia per
un’esperienza che avevo vissuto quando mio figlio, a meno di un mese di
vita, fu ricoverato nell’allora Ospedale Riuniti per una sospetta meningite
poi, fortunatamente, esclusa.
Il percorso di formazione intrapreso con l’iniziale corso, con i colloqui
con la psicologa, il periodo di affiancamento a una tutor, sono stati per me
momenti molto importanti perché mi hanno permesso di comprendere che il
desiderio di sentirmi utile era davvero sincero e profondo.
Questa esperienza ha reso possibile una mia realizzazione personale
anche al di fuori della famiglia, mi ha dato la possibilità di esprimere
sentimenti di solidarietà, di comprensione e amore per il prossimo che
ancora non ero riuscita a vivere e di cui avevo un profondo bisogno.
Credo che anche il rapporto con mio figlio si sia arricchito: ho acquisito
una maggiore capacità di ascolto e di messa in discussione.
Daria
Ho imparato ad apprezzare tutto quello che ho.
Ho imparato a gustare ogni istante della vita vissuta e che mi viene
donata.
Ho imparato a trovare tempo: tempo per ridere e tempo per piangere,
tempo per giocare e tempo per attendere, tempo per cantare e tempo per
ascoltare.
Ho imparato che il tempo più prezioso è quello donato.
Ho imparato che vivere non è sopravvivere.
Ho imparato che gli eroi esistono.
Ho imparato che la felicità la si può trovare anche in un’esperienza di
profondo dolore.
Ho imparato che ogni persona nei momenti più duri della vita ha risorse
che forse non sapeva di avere.
Ho imparato che la fede fa la differenza nel vivere e affrontare la
sofferenza e la morte.
Ho imparato a cercare le parole giuste.
Ho imparato a trovare me stessa.
Ho imparato l’importanza del saper andare oltre.
Ho imparato a fidarmi.
Ho imparato la bellezza del fare squadra.
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Ho imparato la gioia di essere riconosciuta, attesa, desiderata.
Ho imparato a non piangermi addosso.
Ho imparato a vedere il bicchiere mezzo pieno.
Ho imparato il valore della condivisione.
Ho imparato il valore di un sorriso.
Ho imparato a non dar nulla per scontato.
Ho imparato il valore di un dono inatteso.
Ho imparato a dare un nome alle stelle.
Ho imparato a non smettere di sognare.
Ho imparato a vivere.
Giovanna
Da questa esperienza in Associazione mi porto via il legame della
fratellanza, incontro persone che non conosco, con problematiche gravi o
meno gravi, e mi ritrovo lì insieme a loro, per breve tempo, ma in quel
tempo ci uniamo per giocare, parlare, ascoltare, proprio come dei fratelli.
Nella mia vita quotidiana porto con me una visione diversa della vita, do più
importanza all’ascolto, all’osservazione e il giusto peso alle problematiche
futili del quotidiano.
Liliana
Dal mio volontariato in Associazione mi porto via le storie. Gli esempi.
Tanti visi e, dietro, uomini e donne dell’Associazione. Il lavoro di squadra.
Il ricordo del vecchio ospedale. Il nuovo ospedale con le streets e le vie
sospese e gli alberi di palme. E potrei continuare per un bel pezzo e troverei
limitato il tempo e i fogli per elencare ogni cosa. Perché succede così:
quando s’incomincia, un ricordo ne muove un altro, poi tutti insieme si
contendono la ribalta e si affollano. Non ce n’è uno che sembri meno
importante dell’altro. O forse c’è, ma sono quelli che si preferisce tenere un
po’ nascosti, sono privati, solo per sé. Ci sono anche quelli e me li porto con
me. Come le grandi gioie, ma di più i grandi dolori, sono solo miei! E se
dovessi chiedermi cosa ho imparato, direi che: ho imparato a leggere la
sofferenza. Ho imparato, ho apprezzato la dignità dell’essere umano, il suo
piegarsi alla malattia anche nella piccola età, con il coraggio di continuare e
la speranza di vincere. Ho capito come sia giusto ridimensionarci e dare alle
cose il giusto peso e stabilire le priorità. E la meraviglia di vedere un bimbo
malato che al di là del momento del dolore fisico, resta sempre un bimbo,
con le caratteristiche di un bimbo, con la voglia di giocare, con le sue
curiosità, con i capricci. E pur se ovvio, ma tanto vero è quanto sia bello,
non trovo un altro aggettivo che possa rendere il pensiero, lo stare bene in
salute; come sia indispensabile seguire scrupolose norme igieniche, la
prevenzione. Quindi grandi cose mi porto via dal mio Volontariato con gli
Amici della Pediatria.
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Laura
Esattamente come è vero il motto scout una volta, scout per sempre (e ne
sono fermamente convinta, per esperienza personale), così mi ritrovo a
pensare che volontario in un’Associazione come Amici della Pediatria non
significa fare qualcosa, ma è un modo di essere. In questo senso non riesco a
vestire e svestire i panni della volontaria, ma sento di esserlo dentro e fuori
l’attività associativa.
Devo dire che ho portato molto di me, della mia esperienza, dei miei
studi e interessi dentro il mio essere volontaria negli AdP. Similmente,
quello che ho imparato e continuo a imparare grazie alle sessioni di
formazione - iniziale e permanente - e nel corso dell’attività in Reparto,
cerco di applicarlo nella vita di tutti i giorni.
Sì, ok, ci vuole qualche esempio concreto… Azzardo una breve lista, che
di certo non si può considerare esaustiva:
o L’ascolto, possibilmente attivo;
o Il rispetto dell’altro, dei suoi tempi, dei suoi spazi;
o L’attenzione e il rispetto per la privacy altrui;
o Ultimo in questo elenco improvvisato, ma forse più importante –
almeno per me – una maggiore capacità di ridimensionare i problemi
personali, ovvero saperli collocare nella giusta prospettiva,
assegnando le corrette priorità, riuscendo con maggiore lucidità a
distinguere le cose veramente importanti da quelle futili e ad
apprezzare ogni piccolo momento del prezioso dono che è la vita.
Loredana
Tante sono le emozioni, le sensazioni che mi regala l'essere volontaria.
Tante storie, tanta vita, tanto dolore, tanta sofferenza, ma anche tanta
gioia, tanto amore, tante amicizie.
È difficile da capire se non lo vivi, se non sei al fianco di questi piccoli
grandi eroi. Eroi nel vero senso della parola che combattono, che
reagiscono, che ci insegnano il valore della vita.
Mi ha dato la forza di lottare per superare le difficoltà.
Mi ha dato la certezza che la speranza è l’ultima a morire.
Mi ha dato la capacità di prestare attenzione alla quotidianità, alle piccole
cose, ai piccoli gesti, ai silenzi che dicono più di mille parole.
Ed ho scoperto che ciò che ricevo è molto più di ciò che riesco a dare e
che dopo il verbo amare il verbo aiutare è il più bello del mondo!
Manuela
Quando ho iniziato la formazione per la mia Associazione ero
felicissima, entusiasta e dicevo a tutte le persone che incontravo l’avventura
88
da me iniziata. Ogni volta che incontravo qualcuno che mi diceva «Ciao
Manu, come stai? Simone come sta?». Io rispondevo «Tutto bene. Sai… ho
iniziato una cosa bellissima» e cominciavo a raccontare tutte le cose apprese
in Associazione. Durante le otto uscite in reparto la mia tutor Stefania mi ha
detto una frase che, allora, mi ha lasciato interdetta: «Non sa quasi nessuno
che faccio parte degli Amici della Pediatria» e ho pensato: «Ma come????!!
Una cosa così speciale e non la dici a nessuno????». Ora, dopo due anni,
capisco cosa volesse dirmi. Lo dici a tutti quando non ne fai ancora parte,
ma da quando l’Associazione è una parte di me, essendo ‘mia’, non mi
serve sbandierarlo ai quattro venti.
In cosa mi ha cambiato questa avventura?
Mi ha fatto rendere consapevole di quanto sono fortunata, mi ha dato una
sensibilità e una forza che prima non avevo, mi ha fatto crescere come
donna e come mamma, mi ha fatto avere un sorriso ‘ebete’ ogni volta che un
bambino mi guarda. Mi ha fatto ‘guardare’ i bimbi diversamente abili senza
paura di non sapere cosa dire o cosa fare. Insomma mi ha fatto crescere
tantissimo. Dimenticavo: è servita anche a mio figlio, chissà perché tutti i
brutti voti a scuola, la richiesta del permesso per andare alle feste, le scarpe
nuove da calcio, i vestiti nuovi… saltano fuori tutti i lunedì pomeriggio! Il
lunedì per me è un giorno speciale, è una ricarica di sorrisi ed emozioni che
mi ‘spinge’ per l’intera settimana.
Marco
Ho imparato a dare il giusto valore alle cose
Ho imparato ad andare ‘oltre’
Ho imparato che si può sorridere anche nel dolore
Ho imparato a trasformare il dolore di una perdita in una gioia del
ricordo
Ho imparato a quanto è importante condividere
Ho imparato che se vuoi fare del bene, devi stare bene
Ho imparato a osservare
Ho imparato ad ascoltare
Ho imparato a mettermi in gioco
Ho imparato a scrivere di me (forse…….)
Ho imparato ad aspettare
Ho imparato a non piangermi addosso
Ho imparato a rispettare i tempi
Ho imparato a non prendermi sul serio
Ho imparato che non si smette mai di imparare.
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Margherita
1. Elemento centrale della mia vita è il tempo o, meglio, la misurazione
del tempo. Sono sempre di corsa, con l’orologio alla mano, attenta all’ora e
al minuto.
Entro in reparto, dove il tempo scorre veloce, scorre lento, scorre senza
lancette, scorre in un modo tutto suo. Lì non ho bisogno dell’orologio. Mi
pare di fare tutto con estrema calma: vivo il presente, senza pensare al prima
e al dopo, al passato e al futuro; colgo l’attimo, per goderlo fino in fondo.
L’anima si rilassa; il corpo si rilassa.
Talvolta mi capita, quando sono di corsa, di dire a me stessa: «Non
lasciarti vincere dal tempo; sei tu che lo riempi e gestisci, come in reparto».
E allora l’anima si rilassa; il corpo si rilassa. Faccio tutto con calma.
2. Elemento centrale della mia vita è la famiglia, genitori e sorelle. Anni
fa, dandoli per scontati, erano le ultime persone per le quali avrei rinunciato
alle mie ‘cose’, alle mie passioni, ai miei interessi.
Entro in reparto, dove prioritario è l’altro, dove l’azione del prendersi
cura implica il mettere da parte le mie ‘cose’.
Ora è spontaneo, naturale, logico mettere al centro gli altri, compresi e in
primo luogo i miei familiari: il prendersi cura senza curare (a questo pensa
mio padre, medico) è parte costante della mia giornata. La mamma ha
bisogno di aiuto, di risvegliare i suoi interessi, di sentirsi amata e
importante, di riempire il tempo, di fare ciò che da sola non riesce più a fare.
Mi sento con lei esattamente come con i bimbi dell’ospedale, piena di
energie e risorse. Tempo fa, origliando alla porta dello studio di mio papà, al
telefono con un’amica medico, l’ho sentito affermare: «Credo che la forza le
venga da quello che fa il lunedì in ospedale». Non gli ho mai detto di averlo
ascoltato (dovrei confessare che lo spiavo!), ma sono fiera della sua
intuizione.
3. Elemento centrale della mia vita è la soluzione quotidiana dei
problemi nel modo più efficace e rapido possibile: odio lasciare le cose in
sospeso e odio le lungaggini.
Entro in reparto, dove la malattia, come un mostro vorace, divora le
quisquiglie quotidiane: chi se ne importa se il boiler è rotto, se devi rifare la
serratura, se scadono le bollette da pagare? C’è ben altro qui!
Talvolta, quando non dormo per qualcosa che mi assilla o sono nervosa
per qualche banale dettaglio, mi viene in mente la grazia che mi circonda
perché sto bene, la forza dei genitori che sorridono anche nel dolore, la
gratitudine, nonostante tutto, di una mamma che sa di avere poche speranze
per il figlio… e allora tutto diventa relativo e sorrido alla vita, che vale
sempre la pena di essere vissuta, in qualsiasi situazione.
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Mariangela
Da mamma voglio parlare dell'esempio di vita che mi danno e mi hanno
dato tante mamme conosciute in ospedale in situazioni veramente
drammatiche. Arrivata a casa alcune volte mi immedesimo nella loro
condizione e mi chiedo se capitasse a me cosa farei? Come reagirei?
Troverei anch'io la forza che hanno loro?
Una cosa è certa, vedere queste situazioni mi ha aiutato ad apprezzare di
più quello che ho, il quotidiano e le piccole cose che nella loro condizione
vengono a mancare e a non prendermela più di tanto per tanti problemi che
a volte, a differenza di come ero prima, adesso riesco a considerare da un
altro punto di vista.
Mariella
La mia esperienza di volontariato mi ha dato più forza nell'affrontare il
dolore: il grande dolore che ho provato quando ho perso mio padre.
Dopo la sua perdita, invece, di poter pensare di fermarmi per un po'di
tempo, ho pensato che dovessi andare in Pediatria sapendo quanto avessero
bisogno di aiuto e ipotizzando che nell’aiutare i bimbi potevo aiutare, nel
contempo, anche me. Nello stesso tempo ritengo che questa esperienza
abbia aperto ancora di più il mio cuore verso questi esseri innocenti che
dovrebbero giocare felici e, invece, hanno già conosciuto la sofferenza che
ingiustamente li accompagna nel periodo più bello della loro vita!
Milena
Il valore del Tempo
Il valore dell'Ascolto
Dedicare per Dedicarsi
Ascoltare per Ascoltarsi
Ho una vita ‘piena’, una vita intensa, una vita carica di ‘tanto’, forse
tutto!
Nella mia storia personale dall'anno 2000 in poi ho avvalorato il giusto
peso del tempo e dell'ascolto; questo valore è cresciuto con gli Amici della
Pediatria.
Tempo e Ascolto sono due elementi focali di ogni momento dentro e
fuori l'Associazione.
Sintetizzando una delle nostre regole: «Quando sei qui, sei qui!» e quindi
vivi quel tempo nell'ascolto di uno sguardo, di una richiesta, di un problema,
di una gioia, di un gesto… e molto altro!
Quando sono fuori non riesco a fare altrimenti.
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Stefania
Sono tanti anni che faccio parte di questa Associazione e ormai mi è
entrata dentro, fa parte della mia vita e del mio essere.
Se mi fermo a pensare a come ero e a come sono oggi sicuramente parte
del mio cambiamento è dato dal vivere un pezzo della mia vita proprio
dentro l’Associazione.
L’incontro con tante persone diverse, dai bimbi alle loro famiglie,
volontari, dottori, infermieri: tutti; con la voglia di farcela di questi piccoli
eroi, di combattere contro la malattia, trovando anche nei momenti peggiori
la forza per ricominciare, hanno cambiato la prospettiva delle mie priorità e
il modo di vivere la vita.
Ho imparato l’importanza dell’ascolto, l’amore per la vita e per l’altro, il
fermarmi e apprezzare le cose che ho, cercare di vedere sempre il positivo,
vivere il momento nella totalità.
Grande importanza ha avuto anche tutta la formazione ricevuta, che non
solo mi è servita dentro il reparto, ma anche nella quotidianità della mia vita
fuori dall’Associazione, prima di tutto con mio figlio.
D’altro canto è anche vero che vivere così a contatto con situazioni di
malattia grave, non mi permette di dare il giusto peso alle lamentele che
sento da parte di chi mi circonda fuori dall’ospedale a meno che non siano
più che serie. Mi rendo conto che devo fare uno sforzo su di me per non
cercare di sminuirle, perché come mi è stato insegnato per ognuno è
importante il proprio dolore, come la propria malattia.
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Federico Bergonzi
Nato a Legnano nel 1934, consegue la maturità classica presso il Liceo
Manzoni di Milano, si laurea nel 1959 presso l'Università di Milano, nel
1961 si specializza e nel 1967 prende la Libera Docenza in Clinica
Pediatrica.
Dal 1960 al 1967 interno alla Divisione Pediatrica dell'Ospedale
Maggiore di Milano, diretta dal prof. Ferdinando Cislaghi, diventa poi
Primario Pediatra prima all'Ospedale di Cuggiono, fino al 1972, poi
all'Ospedale Consorziale di Treviglio e Caravaggio, fino al 1987; e quindi
agli Ospedali Riuniti di Bergamo, fino al 1999.
Dal 1974, chiamato dall'Assessorato alla Sanità della Regione
Lombardia, ha fatto parte di Commissioni e Gruppi di studio sulla salute
materno-infantile (che hanno dato forma e sostanza alla Legge Regionale n.
16: La tutela della partoriente e la tutela del bambino in ospedale), la
medicina scolastica e la programmazione del Piano Sanitario Regionale.
Dal 1990 è stato Professore a contratto presso la Clinica Pediatrica di
Brescia
Attento, per sensibilità, formazione e scelta, a declinare il ruolo
dirigenziale come chiamata a un più di responsabilità, di tensione a capire e
a tradurre in pratiche, in buone pratiche, quanto messo in moto dal dibattito
scientifico e culturale, assume come obbiettivo l'umanizzazione dei reparti
pediatrici, per assicurare al bambino ricoverato un'assistenza globale in
grado di farsi carico degli aspetti psicologici, affettivi e relazionali, oltre che
clinici, legati alla malattia e al ricovero.
Negli anni '70, sollecitato da studi ed esperienze provenienti dai Paesi più
avanzati e dalle indicazioni dell'OMS sul passare dal curare al prendersi
cura, e convinto assertore della priorità della prevenzione e del compito
anche formativo che spetta ai servizi per la salute, è tra i primi in Italia ad
'aprire' i reparti di pediatria e neonatologia, con servizi adeguati, alla
presenza costante di un genitore, o di persona affettivamente significativa
per il bambino; a promuovere concretamente il rooming in e l'allattamento
materno; a volere una collaborazione con la neuropsichiatria infantile (prof
R. Negri, a Treviglio) e il servizio di psicologia (Dr E. Strologo, a
Bergamo); a trovare spazi, all'interno del reparto, per la scuola, il gioco, la
biblioteca di lettura, il teatro, il volontariato, come attività che integrano il
piano terapeutico e contribuiscono al benessere dei pazienti (e famigliari).
Nell'ottica del medico come farmaco, ha attivato i Gruppi Balint, un
percorso di formazione sul campo che si propone di migliorare le capacità
del medico di stabilire con il paziente una relazione capace di cura in sé,
nella consapevolezza che ogni pratica clinica - dalla visita ai vari interventi
sanitari, dalla diagnosi alla somministrazione di esami e farmaci - sta dentro
93
una relazione che può ridurre sofferenza, disagio, ignoranza, anziché
generarli, come può succedere, o sottovalutarli.
A Bergamo, dal 1987, segue personalmente il cantiere del nuovo reparto
di Pediatria; sostiene l'istituzione del Dipartimento Materno-Infantile; nel
1990, organizza il Congresso Internazionale "Il pediatra e i trapianti
d'organo: indicazioni e assistenza" (con G. Locatelli, T. Barbui, G. Mecca,
L. Parenzan a comporre il comitato scientifico); fonda l'Associazione 'Amici
della Pediatria' per accogliere e rispondere umanamente ai tanti problemi e
bisogni legati a una Pediatria che, già con un'eccellente sezione di
Oncologia, aprirà poi anche a quella per i Trapianti Pediatrici (con il Prof
Gridelli), con pazienti che giungono da ogni parte del territorio nazionale e
non solo.
Anche molti dei temi (il reparto aperto, il gioco in ospedale, la pediatria
e l'immigrazione, la mediazione culturale, l'infanzia maltrattata e abusata, il
consenso informato in età pediatrica, il problema del dolore e della fine)
scelti per convegni, seminari, giornate di studio e formazione (in qualità ora
di Primario, ora di presidente della sezione Lombarda della Società Italiana
di Pediatria, ora di Presedente della Società Chirurgica Bergamasca) dicono
della sua capacità di cogliere le domande poste dai cambiamenti sociali, di
prestarvi ascolto, e di cercare risposte, soluzioni, pratiche che,
scientificamente fondate, vadano e conducano verso una mai dismessa
dimensione umana dell'essere medico e del servizio sanitario, con una
predilezione, cura e rispetto radicale testimoniati a chi è in età bambina e
adolescenziale.
Affetto dal 1990 da una patologia tumorale, ultima maestra nella sua
formazione permanente, ha fatto il medico fino alla fine.
Morto nel 2000, lo ricorda la biblioteca per bambini e ragazzi (perché
anche le storie fanno bene alla salute) a lui dedicata nel 2001, ora nella
Pediatria dell'Ospedale Giovanni XXIII.
94
Indice
Amici della Pediatria non si nasce, si diventa
pag. 2
Gli oggetti che documentano l’appartenenza
All’Associazione
pag. 21
Gli oggetti dei nuovi volontari
pag. 34
Dedica a una persona importante
pag. 39
Persone speciali per i nuovi volontari
pag. 55
I diversi ruoli in Associazione
pag. 60
I principi guida dell’Associazione
pag. 73
Ho imparato…
pag. 86
Federico Bergonzi
pag. 93
95
...grazie a quanti hanno viaggiato con noi a
vario titolo e continueranno a farlo...
Associazione “Amici della Pediatria” Onlus
c/o Azienda Papa Giovanni XXIII - Bergamo
www.amicidellapediatria.it
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