Uno spicchio di secolo Amici della Pediatria dal 1990 un viaggio di 25 anni che ci ha portato qui... a cura di Adriana Lorenzi L’emozione di questo viaggio nella lettura di “Uno spicchio di secolo” è smisurata; ripercorrere la storia e ritrovarla in ogni gesto quotidiano, per comprendere che Esserci è davvero importante. …con caro affetto e profondo rispetto: Buon Compleanno Amici della Pediatria Milena Lazzaroni presidente 1 Amici della Pediatria non si nasce, si diventa Di Adriana Lorenzi Credo da sempre nell’importanza di festeggiare le ricorrenze private e pubbliche, i giorni di festa del calendario familiare, religioso o laico: è un modo per ricordare e fare bilanci, per fermare il tempo e ripensarlo al meglio. Un modo, forse, per sentirsi parte di un mondo che cresce e si modifica, che dipende da quello che è stato e si prepara a quello che sarà, mentre risponde a quello che è. Ho quindi aderito con entusiasmo alla proposta di Milena Lazzaroni, Presidente degli Amici della Pediatria con la quale collaboro da anni per la formazione offerta ai volontari di antica e nuova data, di far scrivere il gruppo di partecipanti all’annuale atelier di scrittura sull’Associazione. Avevo già partecipato al festeggiamento dei 20 anni, realizzando un libretto dal titolo Caro Volontariato, ti scrivo… che raccoglieva i testi prodotti dai volontari nel primo atelier di scrittura chiamati a scrivere e riflettere sulla loro dimensione di volontariato, sul significato di un servizio offerto a un’Associazione che si preoccupa di affiancare le famiglie e i loro piccoli eroi, i bambini, i ragazzini ricoverati in Pediatria. Così, questa volta ho pensato che fosse il momento giusto per mettere al centro della scrittura di esperienza l’Associazione Amici della Pediatria e la sua storia. Fondata da poche persone e con un fondo cassa di 3.000 lire con una buona volontà e ora composta da tanti, che sta nel cuore di una fitta rete di relazioni con la realtà ospedaliera, altre associazioni, il territorio e ha ampliato e adeguato le sue risposte alle esigenze delle famiglie che necessitano di cure ospedaliere. Mi è sembrata un’occasione quella di comprendere, attraverso il recupero di frammenti di storia degli Amici della Pediatria, ciò che ha permesso all’Associazione di resistere, passando attraverso gli anni e le fatiche, i cambi di Direzione ospedaliera, i primari di Pediatria, il trasloco dal vecchio al nuovo ospedale, ma soprattutto attraverso la morte dei piccoli eroi, le sconfitte vissute, il senso di impotenza – e di ingiustizia – di fronte alla malattia quando vince contro qualsiasi tentativo di cura, spezzando il corpo di pazienti sempre troppo giovani. Non c’è volontario degli Amici di Pediatria che non abbia messo qualche croce nel suo cuore e nella sua mente per ricordare i volti delle creature che sono passate nei reparti pediatrici, nelle loro braccia e nelle loro attenzioni. In questi nostri tempi sfilacciati, incalzati, impegnati, presi d’assalto da musiche, parole parlate, urlate, scritte, contrassegnati dalla lusinga di attività all’insegna del consumare, variare, sprecare e rinnovare, mi sembra sempre più raro cogliere esempi di fedeltà. Fedeltà a un’idea, a un mandato, a un impegno, a un essere umano. Per quanto riguarda gli Amici della Pediatria si tratta della fedeltà a un codice etico che viene passato dai volontari di 2 vecchia data a quelli di nuova acquisizione e che deve essere sempre e comunque ripassato, ‘rispolverato’ per non perdere mai di vista le linee guida. I volontari conoscono il significato della parola fedeltà alla loro Associazione che amano e ne sono a loro volta amati. Ne sono così fieri che non hanno certo bisogno di sbandierare ai quattro venti, come ha spiegato Manuela, la loro appartenenza perché la sentono così profondamente e radicalmente che ne godono con pudore. È l’Associazione a essere importante. È lei che conta e resta inamovibile, forte di un ruolo conquistato nel tempo, che si erge a monumento di quello che è stato e può ancora essere. Quando ho chiesto ai nuovi volontari di raccontarmi di una persona che era stata cruciale nell’accompagnare il loro ingresso in Associazione, Elena Z. ha preferito accettare «il rischio di uscire dal tema. Tuttavia, a chi mi chiede chi sia stata la persona più significativa e importante per me all'interno dell'Associazione, d'istinto e all'istante rispondo: l'Associazione! Questo strano soggetto formato da decine di individui, persone distanti per età, esperienza, interessi, carattere, eppure così vicine in quanto tutte accomunate dal desiderio di dare ognuno il proprio, sia pur piccolo, contributo al perseguimento di quanto non sempre la realtà dà per scontato: il sorriso di un bambino. Sono profondamente grata a tutti questi innominati ‘compagni di viaggio’ per il loro aiuto, per il loro sforzo, per la loro passione. La mia esperienza in Associazione è iniziata solo da pochi mesi. Eppure sento già così forte il senso di appartenenza, la condivisione del progetto, l'orgoglio di fare parte del gruppo. Sì, è a questa macchina che funziona 24 ore su 24, l'Associazione stessa, che devo riconoscere il merito di essere stata realmente determinante per me. Una macchina diventata persona grazie a un puzzle di decine di cuori pulsanti all'unisono». È l’Associazione che trionfa e, infatti, chi vi aderisce, può farlo per un po’ di tempo e poi abbandonare per i più svariati motivi professionali, personali, familiari e lasciare il passo a qualcun altro, mentre lei resta: si congeda con affetto e un po’ di struggimento da chi le ha regalato uno spicchio del suo tempo e accoglie con fiducia chi si dispone a donarglielo. I volontari che hanno aderito a una forma di vita fedele al codice etico dell’Associazione, possono consegnare anche ad altri quegli ingredienti utili per coltivarla, darle spazio, farla crescere come una piantina capace di sopravvivere alle stagioni. Come ha scritto Margherita «Nella vita incontri persone di cui ti puoi fidare e altre sulle quali non puoi sempre contare, non perché siano cattive, ma perché costituzionalmente sono così. Dunque ci sono persone affidabili e altre meno: dipende dalla loro serietà e dalla loro precisione… È affidabile chi rispetta tempi e regole, chi non si lascia spaventare da fatica e impegni, chi mantiene la parola data, chi è preciso in ciò che fa per sé e per 3 gli altri, perché all’altro ci tiene, desidera vederlo soddisfatto e contento e si sente gratificato se l’altro è riconoscente, in modo esplicito o indiretto. Gli Amici della Pediatria sono affidabili … Quando nasce in te la fiamma del volontariato, pensi: «Vado e faccio del bene, quando posso, quando voglio, come mi viene». Se poi hai in mente il volontariato con i bambini, dici a te stesso: «Mi diverto con loro, li faccio giocare, passo alcune ore spensierate». Erano questi i miei pensieri, le idee che mi giravano in testa undici anni fa. Poi, sin dai primi incontri di formazione, capisci che non stanno così le cose. Non ti avvicini da solo ai bambini, come e quando vuoi: esiste un gruppo con delle regole, con un codice etico, con una formazione obbligatoria, con dei turni, degli orari, dei giorni fissi. Se accetti il gruppo, accetti tutto. È questa la sua forza: precisione e rispetto delle norme fanno degli Amici della Pediatria un’Associazione affidabile… Non si tratta di rigore eccessivo, ma di un grande rispetto nei confronti delle famiglie e di una particolare attenzione da parte dei volontari, che hanno un forte senso di appartenenza e seguono, perché le condividono, alcune linee guida, pienamente disponibili ad adeguarle ai tempi che evolvono, ma convinti che alla serietà non si potrà mai chiudere la porta». Fin dalla mia prima formazione nel 2009 mi sono affezionata agli Amici della Pediatria, pronti a seguirmi nei diversi percorsi di scrittura per affrontare temi scottanti che non potevano, però, essere rimandati: il valore dell’impegno di volontari e volontarie; il piacere di leggere e scrivere per coinvolgere in diverse attività narrative bambini e ragazzini costretti a passare periodi più o meno lunghi di degenza, sentirsi a casa in un passaggio delicato dalla vecchia sede ospedaliera a quella nuova, la morte e quindi la perdita irreparabile dei piccoli eroi così come in quell’occasione sono stati battezzati da Marco e ‘adottato’ da tutti. Daria non legge neppure il progetto della formazione annuale perché, come ha confessato candidamente, «va sempre e comunque bene» e con tale confidenza, qualsiasi impegno si fa lieve. Ricordo come per diversi di loro non era neppure da tematizzare la questione del trasloco dalla sede degli Ospedali Riuniti al San Papa Giovanni XXIII, perché bastava che ci fosse lo spazio per l’Associazione, bastava indossare alcuni elementi caratterizzanti la propria presenza in reparto - maglietta e cartellino di riconoscimento – per sentirsi forti di un ruolo, orgogliosi di un servizio offerto. Ogni volta che li incontro, che lavoro con loro, avverto di essere trasportata in un vortice di entusiasmo che mi rimane appiccicato addosso per giorni e sono convinta che dipenda dal fatto che si dispongano a imparare giorno dopo giorno, turno dopo turno qualcosa che non danno mai per scontato, ossia l’arte di sostare accanto al dolore con coraggio. Non è che non hanno paura, ma la trasformano in coraggio perché sanno che ne vale la pena e, soprattutto, comprendono che 4 se uno di loro rinuncia ci sarà qualcun altro a prendere il suo posto. Chi soffre ha bisogno di aiuto per non disperare. È sufficiente osservarli, corpi magri oppure robusti, giovani oppure maturi, sorridenti o dolenti, più donne che uomini, guardarli negli occhi per cogliere la loro consapevolezza: la vita è preziosa e nel contempo fragile e basta poco, a volte troppo poco, per perderla. Né l’età anagrafica, né lo stato sociale preserva da ciò che può accadere: il corpo è terra di conquista per la malattia. Loro non possono fare nulla per guarire dalla malattia – quel compito spetta ai medici -, ma sanno accompagnare chi sta vivendo la sua esperienza di dolore e il compimento del suo destino, qualunque esso sia. L’atelier di scrittura ha offerto lo spazio e il tempo per permettere ai volontari di ripensare alle azioni, ai gesti, alle relazioni che vivono quotidianamente e, così, tradurle in esperienza da far circolare. La scrittura si propone di far sapere una verità che si precisa, scontorna grazie al racconto. Non è facile spiegare bene cosa faccia una volontaria degli Amici della Pediatria perché, come ha precisato Margherita «non si tratta di fare, ma di esserci, di esserci per prendersi cura, di esserci in punta di piedi, di esserci come terzi, di esserci come presenza leggera… Non mi riesce proprio di descrivere un rituale fisso: ogni volta è diverso! Ti capita di giocare con un bimbo allegro e spensierato; ti capita la fatica di un adolescente con cui scatta per miracolo la relazione; ti capita il neonato che piange, inondandoti il camice verde di lacrime e facendoti stringere il cuore; ti capita il genitore che vuole sfogarsi o che semplicemente cerca un interlocutore nel silenzio della sua stanza buia; ti capita il medico o l’infermiera che, appena arrivi, ti catapulta urgentemente a sostituire una mamma o un papà; ti capita il compagno di turno che ha bisogno di condividere e di essere ascoltato… e tu accetti quello che capita. Sei lì per quello! Sei lì. Ecco cosa significa essere volontario: essere lì… lì dove il tempo non è tuo e non è per te, lì dove il tempo scorre in modo diverso o non scorre o scorre velocissimo, lì dove le tue questioni personali non entrano e da dove non dovrebbero uscire pesi troppo grandi, ma solo regali per la tua vita, lì dove comprendi che il tuo dolore è relativo, lì dove capisci che accanto al curare del personale medico c’è il prendersi cura, che rende bella l’esistenza, lì dove girano storie di uomini veri, lì dove non conta quanti anni hai o che professione fai, perché lì sei uomo alla ricerca di altri uomini, lì dove s’impara a fare l’uomo». Questa è la lezione che l’Associazione impartisce, questa è la lezione di parole vive che abbiamo bisogno di ascoltare. E non solo questa. 5 La scrittrice Melania Mazzucco è stata affascinata, turbata da un dipinto di Tintoretto - la Presentazione di Maria al Tempio - che si trova nella chiesa della Madonna dell’Orto a Cannaregio e ha avuto voglia di conoscere meglio questo artista che è diventato il cuore di tanti anni di ricerche e della stesura di due opere: un romanzo, La lunga attesa dell’angelo e una biografia Jacomo Tintoretto & i suoi figli. Il quadro rappresenta una bambina che sale la ripida scala di un edificio monumentale, alzando il lembo del vestito con la mano sinistra. Sta a lei entrare nel Tempio eppure non è sola perché è circondata da tantissime altre figure di uomini e di donne, di bambini. Una donna la indica alla sua bambina quale esempio da seguire. Lei, la piccola Maria, sta «guardando dritta davanti a sé, sale, con grazia e serietà, andando incontro al suo destino di eccezione e solitudine». E la Mazzucco commenta «Da allora mi sono sempre chiesta chi fosse quella bambina»1. Quella bambina è ogni bambina chiamata a varcare la soglia che divide un mondo noto da quello ignoto. Una bambina che impara sulla pelle che i passi da compiere sono soltanto i suoi e di nessun altro, che è giunta la sua ora e non quella di qualcun altro. Vale per il passaggio della nascita e per quello della morte, per quello da casa a scuola e per quello ancora più spinoso dal regno della salute a quello della malattia. Ogni bambina è sola e avverte l’eccezionalità della situazione. Nel dipinto, alle spalle della bambina vi è una donna che la guarda e sembra accompagnarla con un’altra creatura in braccio; un’altra donna addita Maria alla propria figlia che tiene per mano e pare coetanea della bambina. Questa, per Melania Mazzucco, è una madre anonima, una testimone di quanto di speciale e unico sta per accadere a Maria nel momento della Presentazione al Tempio. I volontari degli Amici della Pediatria sono testimoni - silenziosi, rispettosi, pudici - di quanto accade nei reparti pediatrici dove i bambini sono ricoverati e i genitori non lasciano le loro camere. Adriana Zarri non amava la parola testimonianza che ha in sé l’elemento del martirio, per cui possono essere testimoni solo i sopravvissuti ai campi di concentramento nazisti, mentre lei preferiva il termine resoconto quando scriveva di sé e della sua vita da eremita. Credo però che il termine testimonianza valga per gli Amici della Pediatria che sopravvivono e resistono accanto alla malattia, alle sofferenze, in reparti difficili da affrontare come la terapia intensiva che, come ha scritto Daria è «esperienza che lascia segni indelebili sia in chi è ricoverato, sia in chi vi opera o occasionalmente lo frequenta. Il tempo di preparazione - salita delle scale, suono del campanello alla porta blindata, attesa della risposta, disinfezione delle mani e raggiungimento della ‘stanza’ - era caratterizzato da profondo 1 M. Mazzucco, Jacomo Tintoretto & i suoi figli, Rizzoli, Milano, 2009, pag. 10 6 e intenso silenzio… per prepararsi a quell’incontro così particolare, nella consapevolezza che non veniva chiesto altro se non l’essere se stessi, ma mettendosi in punta di piedi per potersi elevare alla ‘statura’ dei piccoli giganti. Il tempo del rientro nel reparto di Pediatria era caratterizzato da profondo e intenso silenzio: i bit dei monitor che segnalano i parametri vitali, il respiro e il movimento incalzante del polmone artificiale, le ferite e il dolore lancinante incarnato nel corpo innocente dei bambini rimbombavano inesorabilmente dentro di noi e chiedevano di essere ascoltati… in silenzio». Loro possono testimoniare e quindi raccontare quanto sia necessario trasformare il dolore/la malattia/la sofferenza individuale in qualcosa di collettivo per diventare più forti e riuscire a innescare strategie di sopportazione, di resilienza. Forse il disagio della civiltà consiste nel recidere i legami, nel chiudersi alla possibilità di chiedere aiuto, nel ripiegarsi su se stessi. Loro non si stancano di testimoniare quanto sia importante stare gli uni accanto agli altri per affrontare le prove più dure, quelle tragiche che la vita non lesina ai figli degli uomini. All’appuntamento con la scrittura si sono presentate in tante: figure note dal primo laboratorio di scrittura, altre che hanno sperimentato da poco il piacere di scrivere e interrogarsi su quello che è stato e un solo uomo che si muove ormai a suo agio tra tante colleghe, amiche, compagne di turno. In concomitanza con questo gruppo di lavoro conducevo anche l’annuale laboratorio Il piacere di leggere e scrivere per i nuovi volontari, pieni di entusiasmo per il loro volontariato e così ho chiesto loro di contribuire con qualche brano all’impegno di raccontare l’Associazione. E ancora una volta hanno accettato per prendere parte a un progetto comune: se la loro Associazione chiama, loro rispondono. Non credo che ci sia esempio migliore per toccare con mano il senso di un’appartenenza orgogliosa. Tutte volontarie, ma qualcuna con un incarico specifico all’interno dell’Associazione - la Presidente, la Vicepresidente, le referenti di turno, le tutor, le consigliere… così abbiamo potuto penetrare nelle pieghe dell’Associazione. Come sempre cerco di evitare i discorsi generali affinché ciascuno restituisca il caso particolare, il singolo esempio che racconta senza spiegare, che porta con sé suggestioni capaci di delinearsi con efficacia nella mente del lettore. Sono gli esempi a fornire dei modelli di riferimento, sono gli esempi che possono essere fatti propri e adattati a uno stile: i concetti annichiliscono oppure sfumano in retoriche. Antonio Pascale in un suo saggio racconta di aver ascoltato la canzone La cura di Franco Battiato insieme ad alcune amiche commosse dalle parole «Tesserò i tuoi capelli come trame di un canto, supererò le barriere gravitazionali, lo spazio e la luce per non farti invecchiare, perché sei un 7 essere speciale e io avrò cura di te». Lui non capisce la commozione delle amiche né loro l’imperturbabilità di lui che ammette di non sapere «come si fanno a tessere i capelli come trame di un canto». Studia il concetto di cura e grazie a Ivan Illich scopre l’ambiguità della cura che «viola lo spazio della responsabilità personale. Il prolungamento della cura fonda, cioè un sistema di potere rigido: da una parte il medico che cura in quanto sano, dall’altra parte il paziente che si fa curare in quanto malato. Chi prolunga le cure (e chi soggiace complice a questa dinamica) sottintende: tu senza la mia cura non ce la puoi fare. Dunque io ho potere su di te, in quanto portatore di benessere. In secondo luogo, il concetto di cura si fonda su un’ingenuità teologica: pensare cioè di strappare il male che c’è in te… A questo punto sarebbe meglio sostituire alla parola cura la parola manutenzione, perlomeno quest’ultima è più leale. Chi fa manutenzione non dice: tesserò i tuoi capelli come trame di un canto, più semplicemente dice: hai qualcosa nei capelli, aspetta che te la tolgo. Il che presuppone uno sguardo attento ma umile, non retorico. Al posto di un eroe romantico dunque invincibile portatore, grazie a gesti epici, di cure e benessere, c’è un piccole eroe comune dotato di sguardo empirico. L’eroe romantico crede nell’assenza dei limiti, il piccolo eroe, invece, mai sazio di conoscenza, sa che ogni nuova conquista ci porta su una soglia nuova» 2. Mi piace molto l’idea di sostituire alla parola abusata di cura quella di manutenzione, perché rimanda alla concretezza delle operazioni da fare: gli Amici della Pediatria lo sanno bene e hanno cercato di raccontare i loro turni, i gesti che compiono, le parole che dicono e quelle che hanno ricevuto dai piccoli pazienti e dai loro genitori per dare forma ai principi ispiratori del loro codice etico. Appartenere all’Associazione L’appartenenza agli Amici della Pediatria è documentata da alcuni oggetti che identificano ogni volontario in modo che sia riconoscibile. È una questione collettiva - è la maglietta, il tesserino identificativo dell’Azienda ospedaliera di Bergamo, quello identificativo di AdP con una puffetta, il cordoncino porta-tesserino, il grembiule ‘verde sala operatoria’, le chiavi della Sala Smile, il diario giornaliero - e anche individuale per come ciascuno cerca di personalizzare ogni oggetto. Come ha scritto Daria «Il mio cordoncino porta-cartellino è diverso da tutti gli altri e in sette anni di presenza nell’Associazione non è mai stato una settimana uguale all’altra. Ho scelto di avere un cordoncino fatto con materiale naturale; naturale come i bimbi, delicato come la loro pelle: in alcuni periodi è di cotone, in altri di seta, in altri ancora di pelle. Il mio cordoncino porta-cartellino è tutto di un pezzo e non ha parti metalliche per 2 A. Pascale, Scienza e sentimento, Einaudi, Torino, 2008 8 evitare di far male ai ‘cuccioli’ quando ti chiedono una coccola o quando devi accoglierli tra le tue braccia per cercare di calmare il pianto e le urla disperate che invocano mamma e papà. Il mio cordoncino porta-cartellino è una collana che cambia di settimana in settimana: piccoli oggetti acquistati o da me realizzati sono fissati al cordoncino e lo nascondono quasi totalmente, pronti per essere staccati e donati; stelline, maschere, uova, pulcini, frutti, foglie, funghi, animaletti buffi, pupazzetti, macchinine, cercano di cogliere aspetti che rendono unico un preciso periodo dell’anno… Il mio cordoncino porta-cartellino racconta di me, racconta del mio ideale di volontariato, racconta dell’Associazione Amici della Pediatria, racconta della vita». È stata Laura a raccontare quanto un cordoncino possa identificare un gruppo di colleghe, un’Associazione e anche i cambiamenti nel tempo: «Un giorno di circa tre anni fa una collega volontaria, nuova nel mio turno, una ‘tipa’ molto creativa e dotata di grande manualità, ha avuto la simpatica idea di realizzare dei cordini con nastro di raso arancione brillante e decorati con variopinte applicazioni di stoffa (fiorellini, farfalle, fragole, ecc.) e ce li ha regalati. Il martedì pomeriggio tutte sfoggiamo questi cordini, un regalo davvero molto gradito, che attira l’attenzione dei bimbi, apprezzato e invidiato da altri volontari, così speciale da essere orgogliosamente segno di una doppia appartenenza: all’Associazione e al turno del martedì! Da quando è stato realizzato i1 nuovo cordino con logo e nome dell’Associazione, uguale per tutti, io li utilizzo entrambi e convivono intrecciati, dato che non potrei assolutamente soppiantare il cordino arancione fiorito e fruttato che tanto piace anche ai bimbi e che con loro tante volte si è trasformato in risorsa per attirare l’attenzione, in gioco improvvisato, in diversivo per calmare un pianto». Nell’intreccio ci sta il passato e il presente: ogni volontario sa quanto il suo lavoro dipenda da quello che è stato e si dispone a portarlo avanti senza sentirsi solo, senza sentirsi sperduto, piuttosto anello di una catena. Ci sono poi quegli elementi che non sono oggetti ma che identificano i volontari dell’Associazione: il saluto, il sorriso. Come ha scritto Loredana: «Perché ritengo il sorriso un oggetto che mi identifica con l'Associazione? Tutto risale con il mio inizio, con il mio primo giorno. L’emozione era forte, l’agitazione si stava impadronendo di me, ma fu il sorriso con cui mi accolse il primo bimbo che incontrai che fece passare la mia paura e allontanò la tristezza che era in me. Non è con la tristezza, con le facce serie e preoccupate che ci vogliono i nostri bambini. Non sempre è facile, quando ciò succede mi ricordo del primo sorriso che incontrai il mio primo giorno in Associazione». 9 Ringraziare Ogni volontario, ogni volontaria è diventata o continua a essere un mattone nella costruzione dell’Associazione. Uno accanto all’altro, uno sopra l’altro mentre gli anni passano e l’edificio vive continui adattamenti, ristrutturazioni, ampliamenti. I volontari avvertono il debito di gratitudine verso chi li ha presi per mano, li ha guidati nei primi passi e, nei casi più fortunati, ha continuato a essere punto di riferimento. Raccontare l’Associazione è stato anche ringraziare tante persone incontrate, coltivare quella che Claudio Magris chiama l’etica della memoria: «Noi, in fondo, siamo come cerchi nel tronco degli alberi: tutti gli anni sono presenti, le persone, vive o morte... Ogni cosa ha un valore, ogni passione, e soprattutto ogni persona, è presente a prescindere dalla morte. E noi, a volte senza accorgercene, continuiamo a vivere anche con chi è passato da un’altra parte»3. Nei racconti dedicati alle persone dell’Associazione è emerso il valore che ogni volontario attribuisce ai maestri e anche ai colleghi. Credo che ciascuno di noi abbia bisogno per la vita di avere figure verticali e anche orizzontali: i primi sono i maestri che per esperienza, età anagrafica occupano una posizione superiore alla nostra e quindi ci passano i loro saperi; i secondi sono gli amici, i colleghi che sono sul nostro stesso piano e con i quali condividiamo quello che ci accade. Capire che ci servono sia gli uni che gli altri è una sorta di dono. È la chiave che apre la porta del miglioramento, della crescita perché l’indipendenza, l’autonomia passa attraverso il riconoscimento del legame con chi cerca la stessa cosa: un ideale di volontariato, un prendersi cura del benessere del paziente bambino e dei suoi familiari e anche del consolidamento della propria Associazione. Tra le figure verticali sono emersi in maniera prepotente quella della psicologa - Alessandra per Manuela, Cinzia Naibo per Stefania -; i tutor Barbara per Elena A., Laura per Elena R. Margherita per Milena, Eliana per Mariella, Bruna per Stefania, Eliana per Laura ed Elena F., Marinella per Mariangela che ha scritto della dolcezza del loro primo incontro in reparto «ricordo che ci siamo sedute in corridoio su di una panchina e ci siamo un po’ raccontate. Abbiamo letto insieme il codice etico e poi piano piano abbiamo cominciato a girare in reparto, c'erano dei passaggi che temevo fortemente però ricordo che con il suo aiuto tutto è scivolato via naturalmente come se lei mi avesse preso per mano e accompagnata in quella nuova avventura». Come ha scritto Margherita: «La nonna, la mamma, la figlia: Non è un legame di parentela, ma uno slogan che tre donne amano usare tra loro, 3 Claudio Magris, Se non siamo innocenti, Aliberti editore, Roma, 2011, pag. 71 10 quando si incontrano. Anagraficamente non potrebbe esistere questa sequenza, visto che sono pressoché coetanee e, anzi, la figlia è un pochino più grande della mamma. È per loro una simpatica metafora, per dirsi il loro affetto, per dirsi che si donano tanto reciprocamente, per dirsi, senza vergogna, che si vogliono bene e che tra loro la relazione è speciale, dentro la grande FAMIGLIA a cui appartengono e che le ha accolte in tempi diversi. Ecco dove sta la cronologia: è il tempo di appartenenza alla FAMIGLIA che segna il loro ruolo di nonna, di mamma e di figlia, l’una accompagnatrice dell’altra nella fase di ‘iniziazione’». E il ruolo perdura nel tempo perché, come ha precisato Milena rispetto a Margherita che è stata la sua tutor «Sono Presidente dell'Associazione, ma lei rimane e rimarrà la mia tutor, la guardo negli occhi e ancora comprendo al volo, la guardo con ammirazione, la guardo anche alla ricerca di approvazione». Stefania ha dedicato alcune righe a Don Alberto «ai tempi era un giovane prete che esercitava la sua professione presso il seminario di Bergamo e in più si occupava della formazione dei volontari della sezione… ricordo ancora il suo tono di voce molto deciso e caldo quando ci ripeteva senza stancarsi mai: «Voi siete e restate dei volontari, bravi ma sempre volontari, non sentitevi mai indispensabili, non dimenticatelo… Ricordate che non siete volontari in un oratorio, ma in un ospedale e in più in un reparto pediatrico, entrate sempre in punta di piedi e siate sempre molto attenti a ciò che incontrate e rispettosi dei silenzi e delle volontà altrui, non forzate mai gli eventi, fate piuttosto un passo indietro… Ricordate che il dolore di un genitore è suo e voi non dovete pensare di avere il diritto né la pretesa di portaglielo via, perché è il suo dolore e a lui serve per poter andare avanti, potete cercare di immaginarlo ma non sarà mai e non dovrà mai essere il vostro dolore». E nei racconti dedicati alle figure verticali ha occupato uno spazio speciale Cesare, uno dei fondatori da poco scomparso e la sua perdita è una ferita che continua a sanguinare in ogni Amico della Pediatria. Come ha scritto Milena «Ricordarti caro Cesare è ancora doloroso, ma anche felice al tempo stesso; le lacrime che scendono, spesso, hanno il sapore della tristezza, ma anche di tanta gioia, perché il ricordo di tanti momenti insieme è vivo e forte, non sei qui fisicamente, ma nel mio cuore ci sei sempre. Ci sei quando propongo, quando scelgo, quando mi riunisco con il direttivo, quando cammino in reparto, quando parlo con i bambini che anche tu hai conosciuto e preso in adozione con la tua dolcezza… mi hai accompagnata e formata a essere Presidente e hai lasciato che il mio io potesse esprimersi e dare quel valore aggiunto a ogni scelta… Mi hai insegnato a non perdere di vista il perché è nata questa Associazione, perché l'avete fondata e mi hai detto «Non perdere mai di vista quello che i fondatori hanno deciso costituendo gli Amici della Pediatria e sicuramente 11 le scelte saranno quelle giuste, sempre!»… Quanto bene hai voluto a ognuno di noi, quanto bene hai voluto e hai lasciato agli Amici della Pediatria, per te quasi un terzo figlio da allevare ed educare crescendo. Il tuo insegnamento e il tuo ricordo sono vivi in me e sono sempre energia e ispirazione per essere al meglio una volontaria Amici della Pediatria che ha deciso di accettare il testimone e di condurre quel grande gruppo di persone che è oggi a compiere tutte le azioni attente e pensate a favore dei bambini che vivono l'ospedalizzazione. Il Grazie che ti dico non è solo per avermi insegnato a essere la Presidente degli Amici della Pediatria, ma soprattutto per avermi insegnato che se tutti insieme guardiamo nella stessa direzione è tutto più semplice e bello, potremo gioire insieme di ogni piccolo pezzo di puzzle che continua a formare una storia che oggi ha 25 anni e che speriamo possa continuare a crescere ancora …». Maestro la ha definito Liliana perché lo era stato nella scuola dell’ospedale, ma soprattutto perché Cesare «continuava a insegnare, lo faceva inconsapevolmente! I maestri sono così, sanno le cose, sanno come comportarsi e insegnano agli altri, fino alla fine». Tra quelle orizzontali le colleghe, compagne di lavoro: quelle del gruppo del giovedì per Mariella, del venerdì per Giovanna e Marco. Milena per Marco ed Eleonora che ha deciso di entrare nel Direttivo per via amicale condita di tanta ammirazione e, quindi, in punta di piedi nell’Associazione e non ancora pronta per il reparto. Daria ha scritto parole toccanti per un’amica volontaria, Alda, che non fa più parte degli Amici della Pediatria: «Ci sono persone che lasciano il segno, non cicatrici. Sono quelle persone che entrano in punta di piedi nella tua vita e la attraversano in silenzio… Alda è una donna bella che trasmette bontà a ogni battito di ciglia; ha una voce così calda e accogliente, capace di far sentire a casa e a proprio agio anche in un’anonima stanza di ospedale… Ho seguito con Alda tutto il percorso di formazione e ho avuto l’onore di condividere con lei due anni di turno in reparto: mi hanno sempre edificato la sua pacatezza, la sua versatilità e la sua nobiltà d’animo… Ho condiviso con Alda il servizio nel reparto di terapia intensiva… Nessun volontario sa perché Alda non sia più parte di Amici della Pediatria, ma tanti Volontari di Amici della Pediatria, tanti bambini, tante mamme e tanti papà possono raccontare di aver conosciuto Alda, la volontaria che sapeva far sentire a casa e a proprio agio… anche se a casa non si era». Stefania ha raccontato anche di Jolanda «una donna magica con carta e forbici, una donna capace di capire con uno sguardo cosa il bambino malato avesse voglia di fare… Jolanda sapeva creare con un foglio di carta e un paio di forbici qualsiasi cosa dagli origami ai campi di calcio con tanto di calciatori. Purtroppo di questa sua arte non sono riuscita a 12 imparare nulla, infatti mi resta sempre un po’ di ripianto quando penso alla brava maestra che ho avuto e alla cattiva allieva che sono stata io». Ogni ringraziamento è una forma di umiltà e di generosità: il grazie riconosce pubblicamente che siamo dipendenti da altri, che ci costruiamo in virtù della presenza altrui. Come ha scritto Stefania: «Sono convinta di essere rimasta così tanti anni in Associazione proprio perché, oltre a essere serena e felice di quello che faccio, ho avuto anche la fortuna di incontrare tante speciali compagne di viaggio, ossia di turno e dei vari momenti di aggregazione e ognuna di loro meriterebbe due righe di ringraziamento». Non a caso lei ha scritto un lungo e prezioso elenco di ritratti perché è la più anziana del nostro gruppo di lavoro, quella che conta più anni di appartenenza agli Amici della Pediatria. Volontariare Gli Amici della Pediatria sono prima di tutto volontari, ma all’interno dell’Associazione ciascuno può svolgere ruoli diversi in relazione all’esperienza accumulata, alla disponibilità di tempo ed energie, alle occasioni che riesce a cogliere. Mi è sembrato davvero importante dispiegare questi ruoli, trasformarli in racconti capaci di restituire soddisfazioni e fatiche, successi e sconfitte. Il loro è un lavoro – che implica impegno, fatica, regole -, ma volontario, quindi non retribuito. Ho pensato di chiamarlo: volontariare, ossia un agire, un operare, un lavorare con serietà e dedizione per un tempo lungo senza aspettarsi nulla in cambio. Tutti gli Amici della Pediatria sanno di ricevere molto più di quello che donano ed è per quello che non si stancano, non rinunciano, non disertano. Vanno avanti con senso di responsabilità finché riescono. Come ha scritto Stefania: «Volontaria, tutor, referente, vicepresidente, volontaria… ho iniziato con volontaria e ho terminato con volontaria perché questa figura racchiude tutte le altre, non sarei mai stata tutor, ora referente e vicepresidente se non avessi avuto la fortuna di iniziare a essere una volontaria dell’Associazione Amici della Pediatria di Bergamo. Sono una volontaria dell’Associazione e negli anni mi sono evoluta come del resto si è evoluta l’Associazione». Esiste la volontaria ed esiste la ritualità che questa è chiamata a rispettare per il suo turno in reparto: la vestizione della divisa che comporta come ha raccontato Laura il fatto di avere una borsa pronta in auto con calzature adatte – zoccoli bianchi come quelli degli operatori sanitari - per evitare di entrare in reparto con decolleté tacco 12, arrivando direttamente dall’ufficio! 13 Come ha dettagliato Giovanna si tratta di: «ritirare il camice verde… firmare in Sala Smile la presenza, mettere la maglietta, il tesserino di riconoscimento con allegate le chiavi, camice, disinfettante, visionare il diario e fare il breafing mattutino con il caposala che fornisce in il quadro del reparto di quel giorno»… E poi si parte con il giro su due piani, Trapianti e Chirurgia pediatrica Oncologia e con una precisa procedura: «bussare, salutare, presentarci e chiedere se la mamma/papà o il bambino necessitano della nostra presenza, riferendo che per qualsiasi bisogno noi ci siamo». Poco il tempo che si passa con i degenti piccolissimi e maggiore quello con i ragazzini che permette di sbizzarrirsi a giocare, colorare, preparare qualcosa per le festività imminenti. A fine turno è nuovamente il momento dell’aggiornamento e della registrazione degli accadimenti sul diario e della firma dell’uscita. È facendo che s’impara a riconoscere i propri limiti. Barbara ha dichiarato di evitare di «scrivere i nomi dei nostri piccoli pazienti sui cartoncini colorati che vengono poi posizionati sulle porte delle stanze. Non ho alcuna predisposizione al disegno e quindi, conoscendo bene il mio limite, per non penalizzare nessuno con le mie scarse ‘opere’, lascio che questo compito venga svolto dalle mie colleghe sicuramente più fantasiose ed artisticamente capaci di me». È Elena F. che può farsi carico di questo impegno perché, come ha raccontato: «Quando incontro un bimbo appena ricoverato, mi viene spontaneo chiedergli il nome e se riesco lo coinvolgo subito per andare nella Stanza delle Nuvole e comporre il suo nome. Mi diverte prendere uno di quei cartoncini colorati, disegnare le lettere a forma di animaletto, coniglietto e orsacchiotto, creare palloncini di ogni colore, aggiungere brillantini se si tratta di nome femminile o intagliare macchinine se si tratta di uno maschile. Pronte tutte le lettere compongo il nome e mi avvio verso la stanza di quel bambino per attaccarlo alla porta. Leggo negli occhi dei bambini e perfino dei genitori un dare importanza e valore a quel nome appeso alla porta come a identificarne la forte personalità, dire che quella stanza gli appartiene e mostrare a chi sta fuori che dentro c’è una piccola grande persona consapevole che sa ci siamo noi volontari ad aiutare lui e i suoi genitori a colorare le giornate in reparto». Esistono ruoli diversi con mansioni specifiche: il tutor che, come ha scritto Daria, «è un volontario, in servizio da almeno un anno, a cui viene affidato un aspirante volontario per affiancarlo nel muovere i primi passi all’interno del reparto. Il tutor di Amici della Pediatria prende per mano, sostiene, incoraggia, vigila. Il tutor di Amici della Pediatria non sceglie chi affiancare, così come l’aspirante volontario non sceglie il proprio tutor: il binomio si crea sulla 14 scorta di coloro che vengono individuati, dal Coordinatore dei volontari, come persone idonee a rivestire questo ruolo e dalla concordanza di giorni e tempi tra le disponibilità dei tutor e degli aspiranti volontari. Al tutor non viene chiesto nulla di straordinario se non di condividere la quotidianità della vita in reparto con l’aspirante volontario. È davvero preziosa per il volontario tutor questa possibilità che gli viene offerta: è addomesticare ed essere addomesticato, è creare dei legami… come direbbe la volpe al Piccolo Principe, è un modo per ampliare gli orizzonti, è un tempo per verificarsi, è un tempo per ridirsi il perché della scelta di svolgere volontariato in un reparto ospedaliero di Pediatria, è la possibilità di essere testimone di come anche nella malattia la vita non perda il suo valore. Il volontario tutor non è geloso della propria esperienza ed è orgoglioso di colui che gli è stato affidato quando si accorge di potergli lasciare la mano perché cammina con passo deciso e sicuro: spalanca le braccia e si prepara ad accogliere un nuovo aspirante volontario». Inoltre, ha precisato Stefania: «Fare il tutor è un’esperienza molto bella e lo consiglio a tutti coloro che da un po’ di tempo sono nell’Associazione perché è un modo per rispolverare certe regole/comportamenti /attenzioni che un volontario vecchio finisce per dare un po’ per scontate, ma che scontate, invece, non sono mai». Stefania è anche referente di giornata, ossia «il trait d’union tra l’Associazione e i volontari di quella giornata: raccoglie i bisogni e le proposte dei volontari della sua giornata, gli eventi o le necessità particolari come per esempio i doppi turni, le disponibilità dei suoi volontari e comunica poi tutto alla coordinatrice… La referente di giornata come il tutor sono figure che sono state istituite per garantire il miglior benessere possibile ai volontari». Esiste il ruolo del consigliere che aiuta per dirla con Marco a «scoprire anche l’altra faccia della medaglia, quella parte di Associazione che decide, organizza, gestisce e coordina un gruppo di persone molto diverse tra loro, ma con un obiettivo comune. Grazie a loro e al fatto di essere consigliere scopro ogni giorno cosa vuol dire mandare avanti un’Associazione come la nostra, so quante difficoltà s’incontrano quotidianamente, come sia difficile mantenersi autonomi e acquisire competenze in materia fiscale per una corretta e trasparente gestione delle risorse finanziarie, trovare ogni anno idee nuove per migliorare la formazione dei volontari e proporre progetti innovativi per migliorare la qualità della vita dei nostri bimbi. È proprio un gran lavoro!!! Lavoro, peraltro, svolto gratuitamente… È un’esperienza che consiglio di fare vivamente a tutti i volontari, almeno una volta. Prendere delle decisioni non è mai facile, in questi anni lo abbiamo constatato di persona, il ‘metterci la 15 faccia’ è una responsabilità, si ha un impegno in più, ma tutto questo ti fa crescere, sia come volontario che come persona». Esiste il ruolo di vicepresidente: Come racconta Stefania: «quando mi è stato chiesto se volevo fare la vicepresidente, ci ho pensato molto ed infine ho accettato con tanto orgoglio. Quando ho accettato di entrare nel Consiglio avevo un po’ di timore, quando ho accettato di fare la vicepresidente avevo 1000, che dico?, 10000 paure e ansie. Il compito della vicepresidente sarebbe quello di sostituire la presidente nel caso di una sua assenza/impedimento o cessazione di incarico, ma chi conosce la nostra Associazione, mi sa dire chi sarebbe in grado di sostituire la nostra attuale Presidente?!!». Esiste il ruolo della Presidente che Milena ha ben raccontato: «Presidente, che parola importante, rappresenta un incarico (comunque volontario) per il quale sei guardata, osservata e, a volte, anche giudicata…». La Presidente fa tante cose, ma soprattutto «Sulla mia testa c’è quella spada chiamata: Legge. E già, quando si assume il ruolo di Presidente si diventa anche il legale rappresentante dell’Associazione con tutti gli oneri che ne derivano. Tante volte mi sento chiedere: «Quanto tempo dedichi alle attività dell’Associazione?». Non so dare una risposta, non so quantificare il tempo in modo preciso, ma la borsa con tutte le mie cartelline perfettamente organizzate in settori è sempre con me e quindi mi capita di occuparmi di alcune questioni durante la mattinata o il pomeriggio, per la maggior parte la sera e la notte, oltre il sabato e la domenica. A volte è tardi, sono stanca della giornata lavorativa, oppure fuori piove e vorresti solo stare sul divano a leggere un libro, ma dedicarmi a qualcuna di queste attività non è mai un peso, perché so che sto facendo qualcosa per, come dico io, ‘i nostri bimbi’ e quindi pufff tutto diventa più leggero e si concretizza in nuove azioni. C'è una cosa nella quale mi impegno molto ed ho deciso che merita ogni mia attenzione possibile: avere uno sguardo che vede, guarda ed osserva tutto il mondo che si chiama Amici della Pediatria… Tempo fa una exvolontaria mi disse: «Se diventerai Presidente preparati alla solitudine, perché è questo il destino di chi ricopre certi ruoli». Devo ammettere che, fortunatamente, per quel che mi riguarda non è andata così… ho iniziato il mio quarto anno e posso affermare di non essermi mai sentita sola, anzi la vita attorno al Presidente è davvero affollata a testimonianza concreta che un gioco di squadra permette, insieme, di raggiungere gli obiettivi». È scrivendo che ci si accorge quanto conti l’essere volontario tanto da dimenticare come ha scritto Liliana «la vita com’era prima senza, per quella dopo con… Se quel ruolo l’ho assunto dentro in modo da sentirlo 16 naturale, un sostegno non indifferente mi è stato dato dall’Associazione. Dal primo momento si è presa cura di me. Mi ha dato le regole: come si deve entrare in reparto, le norme, i ruoli, l’atteggiamento, le indicazioni da seguire. Poi, sempre la formazione. Ho avuto modo così di sentire riflessioni sulla fragilità e prossimità nella relazione d’aiuto, sullo scambio tra il dare e l’avere, che non è unidirezionale… Sono una volontaria consapevole. Credo si sia capito il piacere di questo ruolo. È uno sbocco del cuore… È capitato, capita, di ricevere ringraziamenti. «Spero di rivederla la prossima settimana», mi ha detto un papà l’ultima volta che sono stata in reparto. Sono riuscita a distrarre e a fare sorridere la sua bimba con le filastrocche: «Occhio bello, suo fratello, la chiesina, il campanello, din don din don». «Ancora, ancora, lei», mentre io indicavo le parti del viso nominate facendo la faccia buffa… Sono stata contenta: ho pensato alla parola restituzione… Oggi, alla routine di me volontaria appartengono gesti usuali, come sistemare le borse nel solito appendiabiti, sempre allo stesso posto, togliere la maglietta e lavarla, per riporla asciutta, stirata e piegata insieme con le altre cose che mi servono. Ma ho anche il privilegio della conoscenza di altre persone, i miei colleghi di turno sono le più vicine, ma lo scambio di calore umano è anche con gli altri, con i quali condivido la scelta di fare parte della stessa Associazione. E lo dico con un senso di Orgoglio». E Loredana cita una frase di Patch Adams: «Se curi una malattia si vince o si perde, se si cura una persona si vince qualunque esito abbia la terapia». L’Associazione si occupa e preoccupata della cura dei piccoli eroi ricoverati in Pediatria. Ispirarsi ad alcuni principi Ci siamo impegnati a scrivere sulla lavagna a lettere maiuscole quelli che sono i punti fondamentali dell’Associazione, le linee guida e, come ormai sono abituati a fare i volontari/scrittori, ho chiesto degli esempi per far capire a chi non conosce affatto oppure non sa bene degli Amici della Pediatria. Non perdere di vista il bene del bambino e della famiglia Barbara ha raccontato la volta in cui è intervenuta prontamente su una neonata che le era stata affidata dalla mamma grazie al suo sguardo vigile; Loredana di una partita a calciobalilla con un ragazzino ricoverato e i suoi genitori e tanto di pubblico tifoso: «Se un semplice gesto come una partita a calcetto può servire ad alleggerire il carico della sofferenza e può aiutare chi vive nella malattia a non pensare al disagio in cui si trova, anche solo per un momento, per me diventa qualcosa di veramente speciale che mi rende orgogliosa di appartenere a questa Associazione. Quel giorno ho centrato l’obiettivo, ho fatto goal!». 17 Giovanna ha raccontato della visita fatta a una ragazza appena rientrata in reparto per altre e nuove cure. Laura ha ‘rispolverato’ i suoi studi di russo per entrare in relazione con due russe – figlia e madre -, e ‘rompere il ghiaccio’ e grazie al traduttore Google riesce a farsi: «raccontare com’è composta la loro famiglia, cani e pesci inclusi, com’è il clima nella loro zona, e ci mostrano sul telefono alcune foto della casa, della famiglia, del paesaggio. L’atmosfera nella stanza si è sciolta, alleggerita, la mamma è simpatica, espansiva, scherziamo sul confronto tra temperature Italia/ Russia e sul fatto che la ragazzina da perfetta adolescente, adora stare incollata allo smartphone! Anche la ragazzina sorride e sembra apprezzare i nostri sforzi di comunicare. Riusciamo a capire cosa lei desidera fare, ovvero disegnare e fare braccialetti e le forniamo il materiale. Non è interessata a proposte di giochi, preferisce la lettura e quindi m’impegno a cercare nella nostra Biblioteca qualche libro in russo, non sono certa che ve ne siamo. La sensazione, uscendo dalla stanza tra i saluti, i loro sorrisi e ringraziamenti, è davvero quella di aver contribuito all’accoglienza di questa ragazza e di sua madre ritrovatesi in una realtà così diversa dalla loro e in una situazione clinica che spaventerebbe chiunque». Manuela ha raccontato di quanto sia riuscita a cambiare l’umore arrabbiato e triste di un bambino in Oncologia sfogliando con lui il raccoglitore di banconote e monete di altri Paesi del mondo e pensando poi di portargli da casa parecchia valuta straniera di pochissimo valore. Il ragazzino ha sorriso e: «La mamma mi ha detto: «Allora è vero: gli angeli esistono». Mi ha abbracciato e baciato commossa. Io credo che la mia Associazione abbia il dovere di esistere per il sorriso o l’abbraccio anche solo di una mamma». Mariangela ha accondisceso al desiderio di un bambino di uscire dalla stanza e ‘correre’ un po’ in corridoio seduto su una sedia a rotelle «la sua Ferrari a due ruote» e attaccato alla bombola di ossigeno: «penso che in quel momento non ci fosse migliore cura di quelle sue risate». Il benessere del volontario Stefania ammette di avere appreso bene sul piano teorico le regole scritte nel codice etico dell’Associazione, ma di averle mandate in soffitta quando si è affezionata troppo a una bimba che andava e tornava dal reparto ospedaliero. La Presidente in carica a quel tempo l’aveva ripresa spiegandole i rischi di un atteggiamento esageratamente protettivo verso la bimba e la sua mamma. Stefania si è risentita per poi comprendere la correttezza delle parole della Presidente: «Questa chiacchierata mi ha permesso di capire tante cose, ma soprattutto di essere consapevole del mio essere volontaria dentro una grande famiglia che porta avanti un gioco di squadra e risponde prontamente a ogni richiesta fatta dalle famiglie o dai 18 bambini stessi. Ancora oggi mi ritrovo spesso a ripensare a quel colloquio al quale, forse, devo la mia presenza in Associazione dopo tanti anni». Sensibilizzare l’opinione pubblica Non è stato facile per Daria raccontare la fatica di aver cercato di coinvolgere la sua Associazione dentro il progetto SolidarMente che viene attivato annualmente nell’Istituto Comprensivo nel quale lavora per far riflettere i bambini e le loro famiglie sul significato di essere volontari; organizzare una raccolta di giochi e materiale didattico nuovi, raccogliere fondi per l’Associazione. Come ha ammesso Daria «Non posso nascondere di aver vissuto momenti di disorientamento di fronte a impegni condivisi, concordati ma poi disattesi da parte dell’Associazione. Alcuni colleghi mi hanno chiesto: «Ma chi te lo fa fare? Stai cercando di tamponare e di proteggere con tutta te stessa quest’Associazione, ma… non è meglio lasciare perdere?». Mi ha fatto male, molto male, sentirmelo dire perché è stata toccata una delle dimensioni più significative della mia vita. Mi sono fermata e mi sono chiesta se e perché sia importante che un’Associazione come Amici della Pediatria debba investire tempo e risorse nell’aiutare a conoscere e a sensibilizzare rispetto a uno spaccato così particolare di realtà, ma soprattutto se tale investimento debba partire fin dalla tenera età. Mi risponde la maestosità e la saggezza della montagna: «Se vuoi costruire un mondo a misura di bambino devi partire proprio da loro: spalanca i loro orizzonti, sveglia in loro il senso del vero, il senso del bene e il senso della meraviglia; sii guida sicura e credibile nel loro cammino… e quando saranno adulti non potranno che aprirsi alla pienezza della vita e non fare altrimenti!». Ci vuole coraggio anche a mostrare i momenti di vulnerabilità e fragilità di un’Associazione, un coraggio che viene dalla consapevolezza che si può rimediare, aggiustare, migliorare. L’opera di manutenzione può essere rivolta alle persone, ma anche a un’organizzazione. Marco ha raccontato di come sia riuscito a coinvolgere gli Ultras della Curva Nord dell’Atalanta, nonostante le perplessità del Direttivo, nella raccolta di fondi per l’Associazione che ha partecipato alla festa della Dea edizione 2013 e 2014. Gli Ultras sono anche andati in reparto per conoscere meglio l’attività dell’Associazione. La Formazione I volontari sono chiamati a partecipare alla formazione, non è una scelta, è un impegno che viene definito fin dall’inizio come condizione imprescindibile, perché: Non si nasce volontari, lo si diventa. Un tassello del mosaico che rappresenta il volontario è dato dalla formazione. 19 Come ha scritto Liliana «Oggi leggo la parola con una valenza diversa, la interpreto come la colonna sonora di un film che si chiama Volontariato e di cui anch’io ho una parte, insieme con tanti altri. La formazione, nell’accezione figurata della parola secondo il vocabolario Zingarelli, è ‘Maturazione delle facoltà psichiche e intellettuali dovuta allo studio e alla esperienza’. Non male, anzi direi bene, ci siamo: i Principi che sono alla base dell’Associazione Amici della Pediatria riassunti in questa parola. Mi piace! Mi sono arricchita di conoscenze e mi sono lasciata plasmare da essa. Puntuale. Specialistica. Divertente. Intelligente. Parole ad hoc. Quando ripenso a me, in quella mattina di fine ottobre 2003 per la prima volta in Associazione, con la sicurezza dell’essere mamma e insegnante, mentre mi approcciavo verso un mondo che credevo di conoscere, quello dei bambini, dei ragazzi anche se ospedalizzati, vedo tutto il cammino fatto. Oggi provo un sentimento di gioia per avere accettato di passare attraverso la porta che si chiama Formazione ed essere arrivata qui». Tanti, tantissimi sono i formatori e le formatrici che gli Amici della Pediatria hanno incontrato nell’arco degli anni e le loro parole sono diventate attrezzi del loro mestiere, del loro volontariare in Associazione. Come ha scritto Stefania: «Grande importanza ha avuto anche tutta la formazione ricevuta, che non solo mi è servita dentro il reparto, ma anche nella quotidianità della mia vita fuori dall’Associazione, prima di tutto con mio figlio». Nessun volontario distingue tra la persona che è in ospedale da quella che è fuori dall’ospedale, riconoscendo di essere diventati uomini e donne grazie all’esperienza vissuta in Associazione. Quando ho chiesto di raccontare cosa avessero imparato nel tempo dedicato all’Associazione è emerso all’unanimità il debito di riconoscenza per aver appreso a godere della meraviglie della vita, ad apprezzare tutto quello che hanno, «a trovare tempo per ridere, tempo per piangere, tempo per giocare e tempo per attendere, tempo per cantare e tempo per ascoltare», a vivere e non soltanto a sopravvivere, a pensare di avere sempre e comunque delle risorse per affrontare i momenti più difficili, a fidarsi, a circoscrivere i problemi, a lavorare insieme, a sognare un modo a misura di bambino. In una parola: a vivere. I testi che sono stati raccolti hanno cercato di trasfigurare l’esperienza di un’Associazione per farne una testimonianza da far circolare e sono preziosi - come sempre, come ogni anno -, perché offrono un esempio di resistenza etica in questa nostra città e, forse, anche in questo nostro Paese. L’Associazione Amici della Pediatria compie 25 anni e invita chiunque abbia tempo e voglia a farne parte. Amici della Pediatria non si nasce, ma si diventa. 20 Gli oggetti che documentano l’appartenenza all’Associazione Amici della Pediatria Barbara Camice, tesserino, codice etico, giochi di società in scatola, puzzle, pennarelli, pastelli, forbici, cartoncini colorati, adesivo, carrello libri, libri, corallini, calciobalilla, carte. Fra gli oggetti che utilizzo non ho inserito lo scopo che ritengo fondamentale, che mi accompagna sempre e che produce i momenti più significativi e gratificanti della mia presenza in reparto: il SORRISO. Alcuni mesi fa durante una visita al reparto trapianti ho avuto modo di conoscere, in particolare, la mamma di un bimbo di 8/9 mesi che era in attesa di trapianto di fegato. La sintonia fra me e questa mamma è stata immediata: all’iniziale difficoltà di affidarmi il suo ‘cucciolo’ è ben presto subentrata la fiducia e la volontà di comunicare le sue emozioni, le sue paure e le sue aspettative. Ogni giovedì era per me un momento importante fare loro visita, seguire l’evolvere della situazione clinica del piccolo e poter essere vicina a quella genitrice con la quale si era instaurato un rapporto di reciproca stima e confidenza. Durante l’ultima visita prima delle vacanze natalizie, in occasione delle quali per motivi famigliari mi assentavo per circa un mese, questa mamma mi ha voluto abbracciare e, augurandomi buone feste, mi ha ringraziata asserendo che con la mia presenza, il mio sorriso e la mia disponibilità ero riuscita a infonderle un po’ di serenità e conforto. Non posso esprimere a parole quanto sia stato per me gratificante e motivante quel momento: era la conferma che la solidarietà, la partecipazione emotiva sincera creano un’energia positiva che si trasmette e che produce effetti positivi, era la conferma che la motivazione che mi aveva spinta ad aderire all’Associazione era quella giusta. Daria 1 maglietta 1 cartellino identificativo dell’Azienda ospedaliera di Bergamo 1 cartellino identificativo di AdP con una puffetta 1 cartellino identificativo di AdP con il logo dell’Associazione e cuoricini, stelle e principesse, doni preziosi di piccoli-grandi eroi 2 cordoncini porta cartellini:1 personale (in questo momento in pelle rosa con intarsi ottanio) e 1 di tessuto sintetico bianco con logo e scritte dell’Associazione 1 grembiule ‘verde sala operatoria’… che mi obbligano a indossare 1 zainetto con le stelle, la mia borsa di ‘Mary Poppins’ 21 1 casella di posta elettronica che accoglie e conserva tutte le mail dell’Associazione 1 cartella nel pc ‘AdP’… salvata e risalvata su memorie diverse, per conservare parole, scatti, esperienze, scambi: ricordi preziosi da non perdere 1 cellulare utilizzato per comunicare con i compagni di avventura attraverso telefonate, sms, whatsapp… 1 anta del mio armadio sulla quale appendo disegni e oggetti, doni preziosi di bimbi: insignificanti per chi non sa, tesori inestimabili per chi conosce e condivide l’esperienza 1 memoria e 1 cuore: non so se siano oggetti, ma so che da sette anni, ogni settimana, fanno tesoro di tante persone che nella sofferenza condividono storie di immenso amore. Il mio cordoncino porta-cartellino Il mio cordoncino porta-cartellino è diverso da tutti gli altri e in sette anni di presenza nell’Associazione non è mai stato una settimana uguale all’altra. Ho scelto di avere un cordoncino fatto con materiale naturale; naturale come i bimbi, delicato come la loro pelle: in alcuni periodi è di cotone, in altri di seta, in altri ancora di pelle. Il mio cordoncino porta-cartellino è tutto di un pezzo e non ha parti metalliche per evitare di far male ai ‘cuccioli’ quando ti chiedono una coccola o quando devi accoglierli tra le tue braccia per cercare di calmare il pianto e le urla disperate che invocano mamma e papà. Il mio cordoncino porta-cartellino è una collana che cambia di settimana in settimana: piccoli oggetti acquistati o da me realizzati sono fissati al cordoncino e lo nascondono quasi totalmente, pronti per essere staccati e donati; stelline, maschere, uova, pulcini, frutti, foglie, funghi, animaletti buffi, pupazzetti, macchinine, cercano di cogliere aspetti che rendono unico un preciso periodo dell’anno. Capita spesso che il mio cordoncino porta-cartellino sia l’inizio e la fine di un incontro: «Ma come mai hai al collo tanti fiori?», «Ci inventiamo una storia con i tuoi animaletti buffi?», «Ne posso prendere uno? E un altro per la mia mamma e il mio papà?». Mi piace sentire le voci dei bimbi che cercandomi in corridoio chiedono della volontaria con la collana colorata al collo. Il mio cordoncino porta-cartellino racconta di me, racconta del mio ideale di volontariato, racconta dell’Associazione Amici della Pediatria, racconta della vita. Giovanna Cartellino con chiavi, camice, il sorriso, la maglietta, il saluto, il bussare, i giochi, la penna ed il foglio per scrivere nomi mancanti sulla 22 porta dei nuovi arrivati, disinfettante, pennarelli e pastelli, fogli per disegnare, tessere. Pennarelli e pastelli I pennarelli e i pastelli per un bel po’ di tempo li avevo messi da parte, insomma usati solo a scuola, ai bei tempi che furono; entrando in Associazione ho riscoperto quella parte di me colorata, che vuol venir fuori. Con i bambini nella Stanza delle Nuvole ci si diverte, vengono usati spesso, chi li usa per dipingere disegni già fatti, chi per crearne nuovi e anche chi per preparare i nomi mancanti dei nuovi arrivati. Ho più dimestichezza con il pastello, mi piace di più, non so perché, forse si riescono a fare più sfumature. Vedere i bambini che con pennarelli e pastelli si divertono e s’impegnano nelle loro creazioni, mi rende felice, danno l’impressione di dimenticarsi di essere in un ospedale. I pennarelli, i pastelli e tutto ciò che è colore, donano vitalità e calore, forse è per questo che ho scelto questo oggetto oggi. Nell’Associazione ci sono molti colori, siamo in tanti e ognuno di noi porta una parte di se stesso, porta il suo colore e tutti insieme facciamo un bellissimo ARCOBALENO!!!!!!! Laura Io ho : - Una T-shirt, anzi più di una - Un badge di riconoscimento, con il mio nome - Un cordino per il badge - Una chiave della stanza SMILE - Una sacca di tela bianca con il logo dell’Associazione, che contiene quanto sopra - Un camice da volontaria, da indossare in Reparto e fornito dall’Ente Ospedaliero - Una tessera per ritirare il camice - Una tessera per il parcheggio - Un segnalibro, sempre presente nel libro che sto leggendo - Una penna, con cui sto scrivendo - Un codice etico - Un PC con indirizzo di posta al quale ricevo le e-mail dell’Associazione e dove archivio - Uno smartphone, con il Gruppo Whatsapp creato per il turno del MARTEDI - 23 Il cordino per il badge Senza esitazione eleggo il cordino porta-badge. Al momento dell’ingresso in Associazione mi era stato consegnato un cordino semplice, robusto, colore bianco tinta unita senza scritte. Bene, neutro, un po’ asettico ma funzionale al suo scopo. Abbinato alla T-shirt grigia (ormai obsoleta) non era così male. Un giorno di circa tre anni fa una collega volontaria, nuova nel mio turno, una tipa molto creativa e dotata di grande manualità, ha avuto la simpatica idea, tra un lavoretto e l’altro, di realizzare dei cordini con nastro di raso arancione brillante e decorati con variopinte applicazioni di stoffa (fiorellini, farfalle, fragole, ecc.) e ce li ha regalati. Il martedì pomeriggio tutte sfoggiamo questi cordini, un regalo davvero molto gradito, che attira l’attenzione dei bimbi, apprezzato e invidiato da altri volontari, così speciale da essere orgogliosamente segno di una doppia appartenenza: all’Associazione e al turno del martedì! Da quando è stato realizzato i1 nuovo cordino con logo e nome dell’Associazione, uguale per tutti, io li utilizzo entrambi e convivono intrecciati, dato che non potrei assolutamente soppiantare il cordino arancione fiorito e fruttato che tanto piace anche ai bimbi e che con loro tante volte si è trasformato in risorsa per attirare l’attenzione, in gioco improvvisato, in diversivo per calmare un pianto. Liliana Una borsa di plastica telata rosa, sempre la stessa, dall’inizio, che ha un buco in un angolo. Una borsa di plastica robusta verde, che la contiene per non perdere il contenuto. La borsa di cotone bianca della Associazione, che le sostiene entrambe. All’interno di esse trovano posto: una cordella con il cartellino e il mio nome assieme alla chiave della porta di accesso alla camerina Smile del Reparto; un contenitore di forma rettangolare ricamato a piccolo punto dove conservo un vecchio paio di occhiali non tarati per la visuale di oggi; un cuore di plastica rosa. Due T-shirt con decori diversi: la prima di quando ho cominciato il Volontariato, che non indosso più, ma che viaggia sempre con me. La seconda con tante belle simboliche manine che indosso sotto il camice azzurro e il pass per ritirarlo. Anche fogli di carta per scrivere e alcune penne. Ma l’elenco non sarebbe tale se non indicassi l’indirizzo di posta elettronica che mi riporta agli Amici della Pediatria e mi comunica le attese notizie. 24 Dialogo tra Mercoledì e la volontaria Liliana «Caro il mio Mercoledì - lo sai - i tempi della memoria vanno per i fatti loro. Occupano la mente. Si dileguano. S’intrecciano. Svaniscono. Ritornano quando non li aspetti. Ma quando sento il tuo nome ti identifico immediatamente con una parola magica: Volontariato. La definisco ‘magica’, lo sai. Tu pervadi la mia mente prima di quella giornata e vai al di là della nostra permanenza temporale in Ospedale. Eppure non sei così rinomato come il Sabato del Villaggio e neanche come la Domenica bestiale, sei semplicemente Mercoledì = Ospedale e affettuosamente – Vol. – per me». «Cara la mia volontaria, lo so. Tu mi vuoi dire che questo giorno brilla di luce propria al di là di me. Ogni volta lo vivi con il sentimento. Ogni volta è una nuova avventura che cataloghi nel cuore, il cuore è il protagonista. Lo riempi di visi, di nomi, tanti con la finale consonantica – d – r – k…, ma anche - a - e - o…». «Sì, ne ho conosciuti tanti e molti li ricordo. Alcuni più di altri e tu capisci perché. Ciascuno con una connotazione di dolcezza. A questo punto, caro Mercoledì, non ricordarmi che non sei stato tu il solo ad accompagnarmi in questo percorso!» «Vero. Sei stata con Martedì, con Giovedì, e, persino con Venerdì. Lo so! Non ho l’esclusiva, ma non mi importa. Quello che conta è che da parecchi anni ti riempi la mente di me e insieme ci svegliamo e ci incamminiamo verso il San Papa Giovanni XXIII». «Grazie, mio caro. Lo sai, ormai ti aspetto. Sin dalla domenica attendo te. Riordino le cose che ci faranno compagnia. Quando arrivi, mi trovi pronta. Come sempre, percorriamo in auto il tragitto sino al parcheggio, quindi un tratto a piedi a passo spedito, poi su per le scale, infine nei reparti. Prima in uno e poi nell’altro, in punta di piedi e col sorriso sulle labbra per i nostri bambini, i loro genitori e nonni». Loredana Ho: il camice, la maglietta, il cartellino d'identificazione, la borsetta di tela con il logo dell'Associazione, gli oggetti che uso nelle varie attività, il sorriso. Il sorriso Premessa. 25 Per me essere volontaria è una cosa seria, impegnativa e importante. Perché allora ritengo il sorriso un oggetto che mi identifica con l'Associazione? Tutto risale con il mio inizio, con il mio primo giorno. L’emozione era forte, l’agitazione si stava impadronendo di me, ma fu il sorriso con cui mi accolse il primo bimbo che incontrai che fece passare la mia paura e allontanò la tristezza che era in me. Ecco è stato in quel momento che il sorriso è apparso sulla mia bocca e che porto con me. Non è con la tristezza, con le facce serie e preoccupate che ci vogliono i nostri bambini. Non sempre è facile, quando ciò succede mi ricordo del primo sorriso che incontrai quel giorno, il mio primo giorno in Associazione! Sono con lei dal suo primo giorno in Associazione, non ho loghi né marchi ma sono un segno d'allegria degli Amici della Pediatria. Non è facile la vita mia, a volte temo che mi mandi via, ma è testarda la mia volontaria e così alla fine non mi scaccia. A volte sono lieto oppure sereno, altre proprio non mi posso fermare e la ridarella la devo per forza ‘stoppare’. Nelle giornate sì, mi fa lavorare a pieno ritmo, nelle giornate così-così mi concede delle pause, nelle giornate che lei dice impegnative quasi si dimentica di me e mi relega in un angolino, mi sembra quasi di essere in castigo. Ma non mi lamento, anzi sono contento. Quando vedo un bambino, una mamma o un papà, sebbene in questa realtà che soffrire fa, lasciarsi andare, un sorriso sul loro volto appare. Per lei la cosa più bella e che la rende felice è quando un bimbo sorride! Sono quasi quattro anni che sono con lei, dal suo primo giorno in Associazione, mi trovo bene, sono contento, ma per favore cambia rossetto, non lo sopporto più! Se ti posso consigliare quello al gusto di fragola mi piacerebbe indossare!!! Manuela un cartellino identificativo con una puffetta 3 magliette che vanno dal beige al bianco una borsa con tutte le mie cose righelli occhiali volantini scarpe rituale della domenica sera badge per camice 26 tessera parcheggio 3 cordoncini, ma uso il più scomodo. ..perché ha il logo della mia Associazione chiave della sala Smile caramelle Il mio tesserino Bellissimo. Ti vedo per la prima volta un venerdì mattina. Evvaiiiiii: ce l’ho fatta! Sono davanti a Milena e cerco di nascondere la mia emozione. Certo, c è anche la maglietta che ti assomiglia, ma tu sei tu: bellissimo. Esco, ti ho messo nella mia tasca. Sei lì e ti ‘sento’. Corro da mia mamma e ti mostro. «Guarda mamma ce l’ho fatta! Guarda come è bello». Lei, abbracciandomi, mi risponde che non ha mai avuto dubbi, sapeva che ce l’avrei fatta. Ti faccio una foto, anzi un book fotografico per guardarti quando sei lontano. Ora, tutti i lunedì mattina ti prendo e mi faccio abbracciare. Marco o Maglietta o Tesserino di riconoscimento o Cordicella porta-tesserino o Chiavi sala Smile/sede o Disinfettante per mani o Venerdì mattina o Tessera per ritiro camice o La mia faccia La chiave della sala Smile Ciao, mi presento. Anzi no, non sono così importante o forse sì, lo sono, ma lascio a voi la decisione. Assieme alla maglietta e al tesserino di riconoscimento sono la prima cosa che un volontario riceve quando entra a far parte dell’Associazione Amici della Pediatria. Sono la chiave della stanza Smile o solo semplicemente una chiave. Ho un compito importante perché di fatto apro la porta a quella che, a detta del mio padrone, è una bellissima avventura. La mia è una storia che inizia più di 10 anni fa quando agli Ospedali Riuniti aprivo solamente la serratura del vecchio armadio di metallo posizionato nel corridoio del reparto di 27 Pediatria e che fungeva da guardaroba per tutti i volontari, da deposito materiali, deposito giochi vari, postazione alquanto approssimativa per la firma del registro e per la lettura dell’agenda volontari (soluzione, questa, impensabile oggi). Il mio compito dunque finiva lì. Ora, invece, tutto è cambiato e devo dire che ne ho fatta di strada!!!! Sì è vero direte voi, apri ancora e solo una porta, ma all’interno di quella porta ben due bacheche piene di colleghe chiavi danno la possibilità quotidianamente a quasi 90 volontari di dare spazio alla creatività, all’entusiasmo, al sorriso, alla fantasia di tutti quei piccoli eroi (come li ha chiamati il mio padrone) che abitano le corsie del reparto. Il nostro lavoro è aprire armadi pieni di giochi, pennarelli, pastelli, fogli di carta, materiale di cancelleria, giochi per play station e dvd, e guai se qualcuna di noi decide di scioperare, di andare a farsi un viaggetto o soltanto di sparire per qualche ora!!!! Si crea il panico!!!! Non ce lo possiamo proprio permettere. Ogni venerdì mattina viaggio per 4 orette appesa al collo del mio padrone e sono, devo ammetterlo, in buona compagnia. Oltre a me c’è la chiave della sede, della teca dei giochi play station e dvd e altre amiche che oramai sono rimaste disoccupate e non aprono più niente ma sono comunque rimaste affezionate al mio padrone e fanno parte della sua storia all’interno dell’Associazione stessa. Ah quanti ricordi legati a quel collo: ricordo le volte che il mio padrone, a causa delle rotture della serratura del famoso armadio di metallo, ed erano frequenti credetemi! correva in tutta fretta in ferramenta a clonarmi e fare di me molte copie da distribuire a tutti i volontari, affinché potessero aprire e chiudere ancora l’armadio. O ancora quando si doveva aprire la scatola porta play-station e lettore dvd a causa di un guasto. Ogni scatola era chiusa da una serratura e da due lucchetti per un totale di tre chiavi e, considerando il fatto che le scatole in reparto erano undici, il mio padrone ci aveva raccolte tutte in gruppo e ribattezzato insieme ai bimbi il mazzo di chiavi dello sceriffo. Per non parlare di quando alcuni anni or sono, il mio boss aveva ricevuto una copia della chiave della vecchia sede, attestato di estrema fiducia per quei tempi in quanto la possedevano solamente pochissime persone. Quindi, per concludere, quei pezzi metallici sagomati, come qualcuno ancora oggi si ostina a definirci, hanno ancora la loro importanza, soprattutto quando il loro suono attira l’attenzione di un bimbo e magari lo fa anche sorridere! Margherita Ho una borsa con il logo dell’Associazione, l’oggetto più recente, bianca e pulita (ancora per quanto?), che sfoggio con orgoglio … recente come il cordoncino porta chiavi, simpatico e vivace; ho quindi la chiave della sala Smile, un po’ difettata, ma nuova, più volte rifatta; 28 ho da tempo il cartellino con il mio nome e Winnie the Pooh accanto (a me la puffetta non piace), ho la mia borsa rosa di tessuto a fiori, dono di un’amica del coro: in essa alcuni oggetti come forbici e scotch (non si sa mai!) e alcuni disegni colorati per i nomi dei bambini; ho la tessera dell’ospedale, che mi permette di prendere il camice… ho quindi il camice verde (anche se non è proprio mio!) e la maglietta che indosso sotto di esso, nuova, coperta di mani colorate; si, perché AVEVO una maglietta con il logo dell’Associazione, ora dismessa, ma da me molto amata e …. AVRO’, forse, delle super ciabatte colorate. Storia di una borsa speciale Riposo sempre nel bagagliaio di un’auto e mi sento un’osservata speciale. La mia padrona infatti si dispera, se non mi vede, magari perché sono nascosta in qualche angolino, tra le borse della spesa, quelle di pezza e un po’ insignificanti. Credo di poter dire che su questo è un po’ maniaca! Quelle rare volte che mi porta in casa per darmi una pulita (ogni tanto ne ho bisogno), mi ripone poi, profumata e linda, sul bracciolo del divano, ben in vista, per non scordarsi di ricondurmi in garage la mattina successiva. Volete sapere la mia strana storia? Sono nata dalle mani di un’anziana signora, che ama cucire e lavorare a maglia: sono infatti di tessuto rosa a fiori, con un bordo di raso rosa. Sono il suo modo per dire GRAZIE alla mia padrona, che subito mi ha preso in simpatia. Quando, nel lontano 2003, ha cominciato il suo percorso da volontaria, incontrando per la prima volta la sua meravigliosa tutor, io ero ancora comodamente adagiata in un cassetto, al calduccio, in attesa di trovare uno scopo nella vita. Sì, anche noi, ‘povere anime di esseri inanimati’, ci sentiamo realizzate quando abbiamo un obiettivo. Un bel giorno la padrona, presa dall’entusiasmo, mi riempie di pennarelli, pastelli, forbici, disegni… e divento la sua compagna preferita, quando entra nelle camere di tanti piccoli eroi malati, talvolta calmi, talvolta un po’ monelli, con alcuni dei quali ho anche fatto a botte. Certo, tentavano di svuotarmi e mi lanciavano ovunque: ehi, un po’ di rispetto, per favore! Dopo questa fase un diktat dall’alto ha improvvisamente impedito il mio ingresso nelle stanze. Ho tremato, lo confesso: “Che ne sarà di me?”, pensavo silenziosa. Per fortuna la mia padrona non mi ha abbandonato nemmeno per un giorno: sono diventata per lei ancora più preziosa, l’urna che contiene la maglietta colorata, sempre fresca di bucato, con la quale ho fatto amicizia e che segretamente mi scalda nelle notti fredde passate in garage, le chiavi, talvolta un po’ rumorose, il cartellino e altri beni preziosi, 29 tutti segni di appartenenza all’Associazione Amici della Pediatria. Altro che pennarelli e matite: sono passata di grado! A dire il vero ora comincio a sentire l’età: ho 12 anni e qualche strappetto muscolare, ma tengo duro. So di rappresentare per la mia padrona qualcosa di importante: mi guarda sempre, ma proprio sempre, quando usa l’auto, come se io potessi scappare! In particolare la Domenica sera si accerta che io sia lì, pronta per la mia funzione del Lunedì, posizionandomi sul bauletto nero dello scooter, quando decide che l’indomani si muoverà con quello. Certo, il bauletto è un po’ scomodo e in esso vengo sotterrata spesso da borse e libri, ma, come ho detto, non mollo. Spero di resistere ancora a lungo, non voglio dire quanto la mia padrona in Associazione (nessuno è insostituibile), ma ancora per un bel po’. Vi chiedete dove io sia in questo momento? Pensateci! È lunedì… dunque oggi ho lavorato e ora, in attesa di tornare nel bagagliaio, sono adagiata sotto i piedi della padrona. Sarei più felice se non mi calpestasse, ma non è poi così indelicata e poi le sue scarpe sono nuove! Mariangela Tessera per ritirare il camice, maglietta, camice, tesserino identificativo, chiave sala Smile, numeri telefonici, portapenne, agenda Associazione, penna, il mio sorriso, saluto Il tesserino identificativo Vorrei parlare del mio tesserino identificativo, quel pezzettino di carta legato con un cordoncino che penzola dal mio collo, non porta scritto solo il mio nome ma ci sono attaccati anche degli adesivi: le impronte di un cagnolino, la Puffetta, dei fiori e qualche mollettina colorata, dimenticavo pure delle stelle fatte insieme a una ragazza ricoverata con degli elastici che si usavano quest’estate per fare braccialetti colorati. Lui è un buon alleato, anzi in molte occasioni mi ha proprio salvato, sembra che attiri molto l'attenzione dei bambini piccoli (soprattutto per cercare di decapitarti). Ci sono state occasioni quando la mamma mi lasciava il bambino, che subito dopo si metteva a piangere e l'unica cosa in grado di distrarlo fosse proprio il cartellino ciondolante. Sembrava quasi ipnotizzarlo per qualche minuto: lo chiamerei quasi cartellino antipanico! Mariella Maglietta Volantino associazione Penna associazione Tesserino volontari Segnalibro Associazione Notes grande dell’Associazione 30 La maglietta È qualcosa che mi è vicino, che mi dà sicurezza e mi accompagna durante il mio turno. Mi ha sempre fatto piacere indossarla, perché con quella mi riconoscono in reparto. La indosso sempre anche sotto il camice perché con quella mi sento più riconoscibile anche se il camice verde serve per tutti i volontari. Quando avevamo solo la maglietta davamo l’idea di essere più simpatici, più spiritosi, ora con il camice siamo più seriosi! Anche se ormai scolorita la indosso sempre perché adesso è vissuta! Ahh quanti bimbi l’hanno vista, quanti bimbi l’hanno toccata e questo mi fa capire il senso di appartenenza e il passare del tempo! Chissà quando la cambierò. Aspetto che diventi tutta bianca o che vadano via tutti i colori? Eh si ormai ci sono troppo affezionata! Fa parte di me e della mia Associazione! Milena Maglietta AdP cartellino dell'Associazione cartellino dell'ospedale chiavi varie dell'Associazione portachiavi e cartellino 2 borse AdP cartelline varie documenti vari archivio su computer archivio su portatile archivio su disco esterno spilla dell'Associazione ricevuta in dono a una cena portapenne AdP penna AdP portacandela dell'Associazione ricevuto in dono a una cena bomboniere dell'Associazione ricevute in vari ricorrenze libri dell'Associazione libro Robby libri e dispense varie comprate in questi per attività associativa Mamma mia mi sa che scoppio! Scrive, disegna, progetta e poi salva, salva nelle tante cartelle e poi cerca, cerca e scrive ancora… Quante cose custodisco, quanti pezzettini che poi diventano storia. All’inizio mi pare tutto strano: un'immagine, strana pure quella, un foglio pieno di appunti, ovviamente strano anche quello e poi tutto diventa una bella presentazione con immagini, colori, tanti caratteri. Tutto diventa chiaro 31 anche a me… e quando crea la cartella DEF so che mi devo impegnare perché tutto quello ‘strano’ sta prendendo forma e sta diventando qualcosa che servirà per i bambini del reparto. Si apre SAFARI, poi MAIL e poi www.amicidellapediatria.it/admin e poi… nuova sezione, nuova notizia… pubblica! Crea newsletter, inserisci contenuti, programma invio… E sì ho un ruolo importante, contengo tante cose importanti, devo fare tutto per bene, ho un impegno da portare avanti al meglio. Si apre una nuova mail… e lei scrive, scrive, poi si ferma, rilegge, controlla e continua… deve essere importante… e poi ecco che chiede il mio aiuto: ALLEGA! E qui comincia la ricerca… e sento lei che dice: «Oddio ora dove l’avrò salvato? Come l'avrò chiamato?». Uffi, tutte le volte la stessa storia: aiutooooo!! Apre FINDER e scrive nel CERCA la parola chiave: eccolo! Quindi: allega, invia. Adesso è meglio che mi spenga: è già l'una di notte, ora a nanna! Ma domani sarò prontissimo per riprendere le mie funzioni. Scrivere, progettare, disegnare, creare, salvare, inviare, condividere, pubblicare, ecc… Mi impegno al massimo nel mio importante ruolo, in fondo contengo tante cose dell'Associazione Amici della Pediatria! E poi lei dice: «Un giorno, giuro, sistemo tutti i file, così li trovo subito e non ti tiro matto… ma ormai lo senti dire da troppo tempo e forse va bene così. Bravo il mio Mac!». Stefania Tessera per ritirare il camice Tesserino con il mio nome, maglietta Chiave sala Smile Firma sul registro Il mio turno Le mie compagne di turno Computer e-mail WhatsApp attestati di partecipazione alle formazioni penna palla natalizia porta badge fotografie formazione righello, borsa, sorriso 32 Il tesserino dell’Associazione Sono il tesserino dell’Associazione Amici della Pediatria e non sono stato sempre in uso nell’Associazione, sono entrato a farne parte più o meno una decina di anni fa, dopo la maglietta mia grande amica e compagna di viaggio. Sono rettangolare bianco e inizialmente avevo solo il nome di chi mi indossava, il logo dell’Associazione abbastanza grande, occupava tutta la parte centrale e l’indirizzo dell’Associazione, purtroppo per far posto al cognome del volontario e ad una Puffetta sono stato ridotto (che tristezza). Io sono il tesserino indossato da Stefania e so che lei preferiva il vecchio tesserino infatti non mi ha mai sostituito con quello nuovo, anzi ha ricoperto quello nuovo con la Puffetta interamente di adesivi brillantosi che le sono stati regalati dai bambini in tutti questi anni. So che lei tiene molto a me anche perché oltre al logo dell’Associazione su di me è attaccato un cuore rosso che le era stato regalato da una bimba molto speciale che lei si porta nel cuore. Il tesserino per lei racchiude tutta la sua storia dentro l’Associazione e le storie di tutti i bimbi che ha incontrato, quando lo indossa oltre ad esserne molto orgogliosa lo fa con un affetto e una cura che si ha soltanto per gli oggetti molto preziosi. In verità sono un po’ consumato, ma per lei sono sempre molto pregiato e ora anche un po’ delicato, infatti, quando le sue nipotine vorrebbero indossarmi, lei non glielo permette per paura che mi sciupino. Mi porta sempre con lei, racchiuso in un astuccio per proteggermi. Sono molto fortunato a stare con lei… 33 Gli oggetti dei nuovi volontari Elena A. L’oggetto che m’identifica come volontaria e a cui sono più legata è il mio porta-cartellino donatomi da Milena il giorno in cui ho iniziato il mio percorso in Associazione. È bianco, in tessuto liscio e lucido, con i disegni colorati dei bimbi della Pediatria. In fondo Milena ha affrancato una bustina trasparente contenente un foglietto bianco con scritto in azzurro il mio nome e la parola VOLONTARIA in stampatello a caratteri più grandi. Prima di avere la mia collana porta-cartellino, vedevo che tanti volontari ne avevano uno colorato, acquistato alla cartoleria dell’ospedale, dicevano che fosse più bello e più comodo da utilizzare. Così l'ho comprato anch'io. Mi sembrava bello, di due colori, in materiale gommato e con tante tasche. Ma quando Milena mi ha dato quello dell'Associazione ho capito che era quello che mi avrebbe accompagnato! Risultato: quello che ho acquistato è ancora a casa, sigillato nella sua scatola, chiuso in un cassetto. Quello regalatomi da Milena è mille volte più bello e io ne vado molto fiera. Elena R. La maglietta AdP Eccoci qui, domenica mattina, pronte per l’uscita settimanale. Dovrò aspettare fino alle 15.00 per essere indossata da Elena. Dai Ele, corri che è tardi… Lei si affretta a cercare una borsetta carina nella quale ripormi durante il viaggio insieme ai miei amici Portachiavi e Badge. Non vedo l’ora di arrivare in ospedale. Per prima cosa andremo a prendere anche il nostro amico Camice. Eh già, lui deve rimanere in ospedale e non può tornare a casa insieme a noi la domenica sera. Un pochino mi dispiace per lui, si perde quel dolce momento durante il quale Elena si prende cura di me. Di solito lei ha il broncio e sbuffa quando deve stirare le altre magliette, ma con me no… Forse perché insieme io e lei viviamo momenti unici che con le altre magliette non potrebbe avere e io lo so che tutte le volte che mi guarda lei non vede l’ora di potermi indossare di nuovo. Anche io adoro i momenti che passiamo insieme in ospedale, spesso oltre al suo calore capita di sentire anche quello di altri bambini che ci abbracciano, che bella sensazione! A volte capita invece di sentirmi tirare verso il basso da manine impazienti di fare un nuovo gioco o di andare nella Stanza delle Nuvole. Le stesse manine che a volte mi sporcano con la tempera, i pennarelli, la colla o la pasta di sale... Ma io non me la prendo di certo, come potrei? Se alla fine della giornata io sono sporca, è perché quei bambini si sono divertiti insieme a me per cui non posso che esserne felice. Felice di aver portato un po’ di allegria e divertimento in una giornata che altrimenti per quei bambini sarebbe stata triste… Io penso che i bambini non dovrebbero mai stare in ospedale. Credo che anche Elena sia orgogliosa di me, perché quando 34 torniamo a casa alla fine del nostro turno, lei mi lava con cura e mi ripone nel cassetto a riposare, così posso essere pronta per la prossima domenica! Eleonora Conosco Milena da tanti anni e dopo qualche tempo ho iniziato a sentirla parlare della sua attività di volontaria all’interno dell’Associazione Amici delle Pediatria. Per qualche tempo, seppure incuriosita, non ho approfondito il discorso, forse perché non ero pronta ad affrontarlo. Poi circa cinque anni fa, ho iniziato a partecipare a qualche evento organizzato dall’Associazione e mi si è aperto un mondo che mi ha fatto venire il desiderio di fare qualcosa all’interno dell’Associazione. Ho scelto di partecipare alla vita dell’Associazione da Consigliere del direttivo e non da volontaria un po’ perché in questo momento della mia vita lavorativa non riesco a ritagliare delle ore per venire fino qui, ma soprattutto perché non credo di avere la forza emotiva, per ora, di entrare nelle stanze di questi piccoli eroi come li chiama Marco. Detto questo però quanto orgoglio, quando mi è stata consegnata la maglietta con le manine colorate dell’ADP, il cartellino e la chiavi della sala Smile. Anche se non sono volontaria, anch’io appartengo a questo magnifico gruppo di angeli custodi dei piccoli ricoverati. Quando vengo in Associazione per gli eventi, la maglietta è sempre con me, la indosso con tanto rispetto per tutti i volontari che la indossano nel loro turno in reparto e tanto orgoglio perché l’Associazione fa veramente tanto per questi bambini, le loro famiglie e per tutti i volontari. So che c’è tanta attenzione per tutti coloro che fanno parte di questo gruppo. Quando sono nei reparti per le varie festività e feste o in Hospital street per il teatro, la maglietta mi fa sentire più vicina a questi bambini e alle loro famiglie anche se io in stanza con loro non ci sono mai. I bambini e i loro cari mi salutano con un sorriso anche se non mi riconoscono come una delle solite volontarie. Anche se da un punto di osservazione diverso, la maglietta mi fa sentire parte integrante dell’Associazione ADP e più vicina ai miei colleghi volontari. Erica Il mio badge Dopo qualche mese di volontariato è arrivato a sancire l’appartenenza all’associazione: il badge per il ritiro del camice. Anche se ero già in regola con il pagamento della quota, il corso di formazione e le otto settimane di tutorato, non avrei mai pensato che un semplice oggetto dotato di chip mi avrebbe mandato in brodo di giuggiole per l’emozione di esserci. Il suo arrivo ha modificato le mie abitudini. 35 Ho dovuto allungare il percorso per raggiungere il reparto passando dal retro per ritirare il camice che tengo con orgoglio in bella mostra sul braccio finché non arrivo al piano 2 della torre 2. Il badge riporta il mio nome e il nome dell’ospedale Papa Giovanni XXII. Pure la matricola: 31466. Unica nota dolente è che nel bel mezzo della card echeggia, un po’ troppo in evidenza, la scritta Carta Temporanea. Che vorrà mai dire? Meglio non lasciarsi influenzare. Lo custodisco tutta la settimana nella tasca della borsetta, per poi sfoggiarlo la domenica, appeso al nastrino dell’Associazione, infilato in una bustina di plastica in compagnia di un foglietto che mi identifica come volontaria femmina, essendoci il disegno di una Puffetta bionda. Domenica è finito tra le mani di un bambino che piangeva, caro, perché non voleva mangiare avendo male alla bocca. Per calmarlo gliel’ho mostrato facendolo penzolare davanti al suo visino. Lui svelto l’ha afferrato e se l’è messo al collo. Ora riguardandolo mi accorgo che il badge è sporco di pappa! Questo si che significa dar vita agli oggetti! Grazie mio badge. Grazie Associazione. Giovanna Elena Cartoncini colorati: gialli, rossi, neri, bianchi e verdi. Sono la mia passione. Quando entro in reparto e incontro un bimbo appena ricoverato, mi viene spontaneo chiedergli il nome e se riesco lo coinvolgo subito per andare nella Stanza delle Nuvole e comporre il suo nome. Mi diverte prendere uno di quei cartoncini colorati, disegnare le lettere a forma di animaletto, coniglietto e orsacchiotto, creare palloncini di ogni colore, aggiungere brillantini se si tratta di nome femminile o intagliare macchinine se si tratta di uno maschile. Pronte tutte le lettere compongo il nome e mi avvio verso la stanza di quel bambino per attaccarlo alla porta. Leggo negli occhi dei bambini e perfino dei genitori un dare importanza e valore a quel nome appeso alla porta come a identificarne la forte personalità, dire che quella stanza gli appartiene e mostrare a chi sta fuori che dentro c’è una piccola grande persona consapevole che sa ci siamo noi volontari ad aiutare lui e i suoi genitori a colorare le giornate in reparto. Luca Il diario dei Volontari Eccomi, sono il diario dei volontari, contengo sempre mille informazioni utili. Vengo scarabocchiato, letto, aperto e chiuso centinaia di volte al giorno. Penso di essere molto utile, infatti, fornisco le più importanti notizie 36 riguardanti tutti i piccoli degenti del reparto. Io non li vedo mai, ma li conosco molto bene infatti so sempre il loro nome, l'età, le attività che svolgono, se stanno bene e sono allegri oppure tristi e demotivati. Mi piace essere utilizzato dai volontari per avvisi e notizie importanti; Mi sento il custode delle tante vicende che si susseguono in corsia, in questo reparto così speciale fatto di bimbi speciali. Patrizia 8 luglio 2014: Laura mi consegna la maglietta bianca dell'Associazione Amici della Pediatra, la indosso e così comincia il mio percorso. Che emozione! Arrivo alle 15.00 Laura mi dà la maglietta lavata e stirata e alle 18.00 la restituisco come da regolamento e così per i due mesi successivi. Oggi 17 febbraio 2015 sono volontaria a tutti gli effetti e finalmente quella maglietta bianca è la mia maglietta, non più bianca ma colorata, nonostante oggettivamente sia un po' sbiadita. È la mia maglietta anche un po' speciale soprattutto perché ogni martedì la riporto a casa con me e con lei una lezione di vita in più. Sara Il camice verde Sei stato una conquista. Uno di quegli indumenti che mai avrei pensato di indossare. Mi hai sempre fatto una certa soggezione: autorevolezza, scienza, studio, esiti, analisi, raccomandazioni e sguardi seri. Sei diverso dagli altri, hai un colore tutto tuo. Colore delicato, tenue, ricordi il mare, il cielo e la natura insieme. Colore dell’igiene, colore senza sesso: né maschio, né femmina. Colore dell’infanzia, del pulito e della serenità. Odori di pulito. Sei coprente, copri ogni espressione di me, ma fai risaltare me. Quando ti indosso, è come se mi avvolgesse energia: il mantello dell’amore e dei sorrisi! Proteggi me e preservi i bambini. Con te sono riconoscibile e osservata. Mi sento bene con te. Sei segno distintivo di un’Associazione che ho scelto con tutta me stessa. I bimbi ti tirano, ti toccano, si aggrappano. Mi fai essere più comoda da raggiungere e facile da toccare. Sei un tessuto umile, cucito semplicemente: non sei tanto bello. Ma rappresenti una scelta, una presenza, una sensibilità. La preziosità della vita, una macchia di colore nel bianco, la luce del gioco nella penombra dell’ospedale 37 Simona Trucca bimbi Ciao, siamo delle scatolette piatte e tonde, siamo belle colorate: siamo bianche rosse verdi mischiate formiamo tante sfumature e tanti colori se poi ci mettono anche dei brillantini, allora sì che diventiamo delle meraviglie!!!! I piccoli eroi ci cercano, ci vogliono, non vedono l’ora di sentirci sui loro visi, di immaginarci mentre prendiamo forma e di guardarci una volta finito il lavoro. È lì che allora il loro viso è un’esplosione di felicità. I loro occhi si riempiono di allegria e di stupore…. Chi ci usa invece all’inizio è un po’ timoroso, un po’ indeciso, insicuro, ma appena si lascia trasportare dai nostri colori e dalla sua fantasia e dal sorriso di questi piccoli eroi: ecco, allora sì che diventano degli Artisti con la A maiuscola e noi colori, insieme, nelle loro mani, riusciamo a regalare un sorriso, un momento di serenità, un momento di normalità e tanta tanta allegria. Stefania La maglietta Sono la maglietta dell’Associazione Amici della Pediatria che la mia padrona indossa quando è di turno. Se mi guardi bene da un lato sono tutta bianca e dall’altro ho dipinto delle manine colorate e sorridenti. Certo i miei colori iniziano già a sbiadirsi, il rosso è diventato arancione, il fucsia è diventato rosino, ma le faccine sorridenti si vedono sempre bene. Il martedì pomeriggio quando ho terminato il mio lavoro, vengo messa tutta accartocciata nella borsa; che fatica stare lì dentro! A volte vengo buttata nel cesto dei panni sporchi, ma quando tocca a me essere lavata sono sempre da sola nel cestello; acqua non troppo calda, va bene lavarmi ma non verrei diventare più piccola! A volte finisco anche sul calorifero caldo ad asciugarmi perché la mia padrona mi ha dimentica nel cesto; devo confessare che ogni tanto mi nascondo di proposito sotto i panni per finire sul calorifero… è bellissimo quando fa freddo attaccarmi al calorifero caldo e lasciarmi andare!! Quando sono pronta bella pulita e profumata, sono felicissima ed entusiasta di lavorare di nuovo. Sono sempre in giro, bella piegata, per tutta la casa, sempre in bella vista, così di sicuro non si dimentica di me. La mia padrona mi tratta sempre bene, i bambini invece ogni tanto mi tirano tutta; che bello però vedere un bambino che cerca le mie manine colorate e sorride con loro!! 38 Dedica a una persona importante Barbara Dopo gli iniziali corsi e colloqui anche con la psicologa dell’Associazione, che hanno fornito preziose indicazioni e informazioni, ecco che anche per me si aprono le porte dei reparti dove operano gli Amici della Pediatria. Il momento sicuramente più impegnativo era rappresentato dal ‘mettermi in gioco’ verificando se fossi effettivamente all’altezza del compito che volevo assumere, in grado di mettere in pratica ciò che avevo appreso e valutando, infine, il mio impatto con la realtà dei reparti. Ero stata affidata alle cure di una tutor di lunga esperienza che mi doveva accompagnare in questo iniziale percorso. Fortunatamente l’incontro con lei è stato molto positivo: mi rapportavo a una persona sicuramente molto espansiva e cordiale che mi ha fatto subito sentire a mio agio. La sua disponibilità nel condividere la sua esperienza, la facilità con cui si relazionava con me hanno ben presto favorito la reciproca confidenza e le raccontai di come, tanti anni prima, era nato in me il desiderio di fare volontariato. Il suo interesse ad ascoltarmi, la sua capacità di trasmettere serenità sono stati per me elementi molto importanti. Con lei ho analizzato il codice etico dell’Associazione ed ho intrapreso i primi ingressi nella Sala delle Nuvole e nelle stanze dei piccoli pazienti. La sua spontaneità, il suo sorriso e la discrezione con la quale si avvicinava ai letti dei bambini mi aiutarono sicuramente molto a superare l’iniziale disagio di non sapere come propormi. A lei manifestavo i miei dubbi e le mie incertezze ricevendo preziosi suggerimenti che seguo ancora oggi. Daria Alda Ci sono persone che lasciano il segno, non cicatrici. Sono quelle persone che entrano in punta di piedi nella tua vita e la attraversano in silenzio Ho incontrato Alda durante la prima riunione di formazione per aspiranti volontari: autunno 2008, Ospedali Riuniti di Bergamo –largo Barozzi, 1– reparto di Pediatria, sala riunioni. Alda è una donna bella: di media età, alta, capelli dritti color ruggine, occhi chiari e dallo sguardo intenso, che trasmette bontà a ogni battito di ciglia; ha una voce così calda e accogliente, capace di far sentire a casa e a proprio agio anche in un’anonima stanza di ospedale. 39 Alda racconta di essere moglie e insegnante. Alda fa trapelare sofferenze profonde… e i suoi occhi paiono due stelle luccicanti, quando si velano di lacrime. Ho seguito con Alda tutto il percorso di formazione e ho avuto l’onore di condividere con lei due anni di turno in reparto: mi hanno sempre edificato la sua pacatezza, la sua versatilità e la sua nobiltà d’animo. Alda è una donna di poche parole, ma dal cuore immenso: Alda riesce a tranquillizzare i piccoli disperati come solo una mamma potrebbe fare; Alda sa improvvisare giochi divertenti; Alda crea relazioni straordinarie con i ragazzi adolescenti, Alda sa intrattenersi con i familiari dei piccoli pazienti. Ho condiviso con Alda il servizio nel reparto di terapia intensiva: esperienza che lascia segni indelebili sia in chi è ricoverato, sia in chi vi opera o occasionalmente lo frequenta. Il tempo di preparazione - salita delle scale, suono del campanello alla porta blindata, attesa della risposta, disinfezione delle mani e raggiungimento della ‘stanza’ - era caratterizzato da profondo e intenso silenzio… per prepararsi a quell’incontro così particolare, nella consapevolezza che non veniva chiesto altro se non l’essere se stessi, ma mettendosi in punta di piedi per potersi elevare alla ‘statura’ dei piccoli giganti. Il tempo del rientro nel reparto di Pediatria era caratterizzato da profondo e intenso silenzio: i bit dei monitor che segnalano i parametri vitali, il respiro e il movimento incalzante del polmone artificiale, le ferite e il dolore lancinante incarnato nel corpo innocente dei bambini rimbombavano inesorabilmente dentro di noi e chiedevano di essere ascoltati… in silenzio. Ho conosciuto Alda grazie all’atelier di scrittura: Alda ha mille interessi, Alda adora il mare, Alda nuota, Alda danza, Alda preferisce sorridere piuttosto che ridere, Alda preferisce ascoltare più che parlare. Alda è una donna che ama, Alda è una donna che soffre, Alda è una donna che spera: Alda è una donna che vive. Una sera, al termine di un laboratorio di scrittura, dopo aver condiviso il suo scritto, Alda si è alzata e, senza spiegazioni, ha lasciato intuire che per un periodo non l’avremmo più vista. La sua affermazione mi ha raggelato: un freddo, che dopo anni, non riesco a dimenticare. Ho scelto di rispettare il silenzio e la natura di Alda e non l’ho chiamata. Ho provato a contattarla tramite uno scritto, ma non mi ha risposto. Ad alcuni volontari, che hanno insistito per avere sue notizie, ha detto: «Tanto sapete tutti, perché non vengo più. Ciao». Nessun volontario sa perché Alda non sia più parte di Amici della Pediatria, ma tanti Volontari di Amici della Pediatria, tanti bambini, tante mamme e tanti papà possono raccontare di aver conosciuto Alda, la volontaria che sapeva far sentire a casa e a proprio agio… anche se a casa non si era. 40 Giovanna Le persone significative che ho incontrato in questo mio breve percorso in Associazione sono più di una, anzi direi che lo sono tutte, tutte coloro che la vivono e costituiscono. Ovviamente siamo in tanti, credo a oggi un centinaio se non erro, quindi mi sento di portare l’esperienza del mio gruppo, il gruppo del Venerdì mattina. Sono arrivata in Associazione circa un anno e mezzo fa, mi è stato assegnato il giorno e lì ho incontrato loro; Marco il maschietto aitante del gruppo, Simona e Simonetta le due donzelle, loro si conoscono da più tempo, ma devo dire che mi hanno fatto sentire subito parte integrante del gruppo. Il nostro rituale prima di incominciare è il caffè al bar con le chiacchere del nostro quotidiano, poi alle 9.00 in punto si parte. Sappiamo subito dividerci i compiti, c’è molta intesa tra di noi, ci capiamo con estrema naturalezza. Di loro mi porto sempre dentro un bel ricordo, la simpatia, la disponibilità versi gli altri, la gentilezza, le sane risate, le riflessioni su eventi importanti, ma soprattutto il rispetto sincero che esiste tra di noi sul proprio pensiero. Mi piace confrontarmi con loro. Quando ho scelto di fare Volontariato, pensavo al mio donare, al fare io per…, mentre mi rendo conto che sono io a ricevere tantissimo, torno a casa ricca di esperienze che mi hanno fatto cambiare diverse prospettive di vita. L’Associazione è formata da persone che con lo stesso obiettivo portano avanti una missione veramente grande, ognuno con il suo ruolo, chi più impegnativo, chi meno, ma se oggi è in un continuo crescere e avanzare in nuovi orizzonti, è merito della determinazione, volontà, formazione e serietà che la distingue. Laura Al termine della parte teorica del corso di formazione per aspiranti volontari, l’ultimo incontro è dedicato all’incontro con i Tutor. Ognuno di noi, quindi, ha vissuto questo momento nel proprio percorso formativo e bisogna dire che lo si aspetta con grande emozione e curiosità come è giusto che sia, dato che per il completamento della nostra formazione “sul campo” veniamo affidati a una persona che non conosciamo e che ha il compito di guidarci per otto lunghi turni di tirocinio in Reparto e soprattutto di valutare il nostro operato. Nel mio caso, qualche annetto fa ormai, l’incognita tutor non venne purtroppo svelata nella serata di incontro, dove con un pizzico di delusione mi resi conto che per conoscere la mia tutor avrei dovuto attendere ancora. Al termine della serata mi portavo via i racconti, molto interessanti, degli altri tutor presenti e un nome, cognome e numero di telefono della persona a cui la coordinatrice mi aveva assegnato. Il nostro primo contatto è stato perciò telefonico, e il nostro primo incontro in coincidenza con l’inizio del tutoraggio in Reparto. 41 Conoscere Eliana ha sciolto la tensione e i timori riguardo alle difficoltà del percorso che stavo per intraprendere; il clima di fiducia e d’intesa che lei ha saputo creare ha costituito una base fondamentale per una serena collaborazione e ha favorito un apprendimento rapido ed efficace. Ha saputo essere materna ed energica al tempo stesso; non mi ha risparmiato, sin dall’inizio, stanze ‘difficili’ come quella di un bimbo speciale che ha significato molto in quei mesi di percorso e in quelli successivi. A Eliana ho voluto subito bene, è stato istintivo per me, e ancora nutro un grande affetto che lei ricambia, ogni volta che ci incontriamo. Sono stata molto fortunata, nella lotteria degli abbinamenti! Potrà sembrare una frase scontata e magari ciascuno di noi la riserva al proprio/ alla propria tutor…ma lo penso davvero e le sono grata per ciò che ha saputo trasmettermi e per la fiducia che mi ha accordato. Penso di non averla mai delusa. Anzi, quando lo scorso anno ci siamo incontrare alla medesima riunione per tutor, mi auguro sia stata fiera di me nel vedere che anch’io, accettando a mia volta questo ruolo, mi apprestassi a restituire tutto quello avevo ricevuto da lei. Liliana Nel 1949 Giuseppina detta Giusi ha sette anni e abita con la famiglia, la mamma, il papà, alcuni fratelli, in due stanzette contigue, dentro una cascina, in un campo a Prezzate. È novembre. È un mercoledì del mese. La bambina ha trascorso la notte lamentandosi, con febbre altissima, difficoltà a respirare. La mamma teme il peggio. Decide. La mette sulla canna della sua bicicletta e la porta all’Ospedale Maggiore di Bergamo, una quindicina di chilometri dal paese. Viene soccorsa e operata d’urgenza alle tonsille. Nel pomeriggio sta meglio. La mamma la saluta e le raccomanda di restare tranquilla nel lettino che poi ritornerà a prenderla e riportarla a casa. Giusi aspetta. Il giovedì, il venerdì, il sabato. In quella stanzetta. Nella disperata solitudine dei suoi sette anni. La domenica mattina fa un fagottino delle sue cose, si veste, si copre la testa con il berretto di lana e se ne va, a piedi, verso casa. La troveranno sana e salva vicino alla chiesa del paese nel pomeriggio di quel giorno. La storia raccontata è vera. Giusi è viva e vegeta ma non ha conosciuto la persona significativa di cui voglio parlare. Lui, invece, ha conosciuto tanti come lei, bimbi e ragazzi che in ospedale hanno attraversato momenti di solitudine, senso di abbandono, difficoltà, oltre alla malattia. Per motivi contingenti e non legati a colpe di nessuno. Il loro disagio gli è entrato nel cuore. Nasce l’idea dell’Associazione. Ne parla. Trova altri soci. Sono in quattordici quando decidono lo statuto, e come fondo cassa hanno tre mila lire. È il 1990. 42 Oggi è il 2015. Sono passati venticinque anni. Oggi gli Amici della Pediatria contano ottantasei soci formati, aggiornati, costantemente seguiti e undici nuovi volontari che si aggiungeranno a essi nel breve periodo. Oggi l’encomio è per lui. E’ il suo turno. La persona della quale desidero raccontare, poiché identifica e dà senso allo spirito che ha animato e anima la Fondazione. Questo uomo buono ha un nome e un cognome, ma ho deciso di indicarlo come Lui. Per non circoscriverlo, per dargli libertà, per essere di più, di meglio o di diverso di quello che riuscirò a dire. Ma tutti sappiamo chi è. Certamente la parola amico gli si addice ma anche la parola volontà è sua. Quando ti rivolgi a lui, risponde: «Aspetta, vediamo un po’, sì, ok». Se volessi fare un elenco dei suoi pregi, quelli più evidenti per me, direi così. Lui è bello, è un vecchio bello. Ma è come un ragazzo giovane, è pieno di entusiasmo. Sorride spesso. È alto e forse era biondo. È ancora agile. È curato nell’aspetto e nei modi. È discreto e ricco di modestia. Ascolta con attenzione. Lui era. Non è più. Ricordo. È stata una delle prime persone che ho messo a fuoco quando alla fine del 2003 ho cominciato il Volontariato con gli Amici della Pediatria. Aveva il senso dell’accoglienza che ti faceva stare bene. Con lui non ci si doveva mettere in posa. Condividevamo lo stesso giorno di presenza in ospedale, ai Riuniti, e anche dopo al San Papa Giovanni, al mercoledì. Arrivava sempre in bicicletta e spesso ci incontravamo al di fuori dell’entrata, io trafelata e spesso con il dilemma del parcheggio in divieto di sosta e lui che sistemava il suo preferito mezzo di trasporto bloccandolo con una chiusura a catena. Dentro l’ospedale, tra un giro e l’altro, quando non ero occupata, trovavo il pretesto per scambiare due parole con lui, la porta dell’ufficio era sempre aperta. In quelle chiacchierate a puntate ci siamo raccontati un po’ delle nostre vite. Era vedovo e, sebbene gli anni dal triste evento fossero parecchi, avevo intuito come sentisse la mancanza della moglie. Era stato un maestro elementare, aveva insegnato ai bambini dell’Ospedale. Era contento che avessero dato la possibilità della scolarizzazione al bambino e al ragazzo ricoverati, e considerava una conquista il permettere ai piccoli degenti di avere accanto un genitore o un parente, ventiquattro ore al giorno. Succedeva che avessi delle richieste da fare per mamme straniere prive di alloggio o con altri bisogni. Era pronto, disponibile, prendeva appunti, telefonava, cercava la soluzione. Parlava inglese e spesso faceva da interprete con gli stranieri. Un bell’aiuto. Molte volte capitava che andassi da lui a chiedere un giochino da regalare a un bimbo; scattava dalla sedia per cercare negli scatoloni quello adatto. Per anni così. Poi siamo arrivati al trasloco e ci siamo trasferiti nella nuova struttura ospedaliera. Storia recente. Credo che la sua malattia sia arrivata in concomitanza o subito dopo. Non si è chiuso, ne parlava. L’ha affrontata con levità, con ironia, quasi. A volte mi sembrava come se la cosa non lo riguardasse. Ha continuato a venire da noi, 43 quando riusciva. Essendo stato un maestro, continuava a insegnare, lo faceva inconsapevolmente! I maestri sono così, sanno le cose, sanno come comportarsi e insegnano agli altri, fino alla fine. Ci ha salutati nell’estate del 2014, il 12 agosto. Ai due amici andati a trovarlo nella sua casa, due ore prima di morire, ha detto di continuare su quei principi che sono la base della Fondazione. Gli Amici della Pediatria oggi sono una Onlus conosciuta, ingrandita che naviga spedita e tanto si prodiga per alleviare il peso della permanenza in ospedale dei piccoli degenti e nel contempo è presente per le necessità dei parenti. Ed è diretta con passione e puntualità. Tutto questo anche grazie a Lui. Oggi Giusi e la sua mamma, al di là della malattia, possono avere sostegno. Loredana Mi ha sempre colpito come da un’idea di ‘pochi’ sia nata una grande Associazione. Ho conosciuto solo uno di quei ‘pochi’ ed è una persona che porterò sempre nel cuore: Cesare. Cesare, grande uomo, dal sorriso cordiale, dai modi gentili e garbati, direi eleganti. Mai invadente, sempre disponibile, sapeva metterti a tuo agio. Cesare, uno dei fondatori storici dell'Associazione: quando raccontava le origini, gli inizi di quell'avventura riusciva a trasmettere tutto l'entusiasmo e la passione con cui l'aveva vissuta e la viveva. Ho avuto occasione d'incontrarlo diverse volte durante il mio turno il mercoledì. Arrivava in bicicletta sempre allegro e sorridente. Era giovane dentro. Me lo sono immaginato a ritroso nel tempo, a quegli inizi dove i mezzi erano pochi, ma tanta la voglia di fare e dare. L'amore, la dedizione e la cura con cui si dedicava devono avergli assorbito ogni istante del suo tempo. Penso anche alle difficoltà incontrate, gli scogli da superare, le montagne da scalare... Mi sono chiesta varie volte come dopo tutti quegli anni passati in Associazione potesse mantenere ancora così forte il legame con l'Associazione e di questa sua fedeltà che non è mai venuta meno. Cesare diceva che quando fai una cosa in cui credi veramente (in questo caso l'Associazione) non la puoi fare da solo, hai bisogno degli altri. Quegli altri che sono tanti te, con le loro sfumature e diversità che insieme si completano e si fondono in un'unica forza. Non ho avuto tanto tempo per conoscerlo, ma mi è bastato per capire che persona meravigliosa era. Si ‘era’, perché se n’è andato in punta di piedi, senza rumore, come piaceva a lui. 44 Se n’è andato solo fisicamente perché il suo ricordo è sempre presente nella nostra Associazione, che ha trasformato la sua assenza in presenza. Grazie Cesare, è stato un onore conoscerti e un piacere conservare il tuo ricordo nel cuore, perché Cesare non potevi non amarlo! Manuela Nella mia Associazione, come nella vita, ho incontrato persone con cui mi sono trovata bene, altre benino e altre con cui non ho nulla in comune se non il far parte di questa Associazione. Sono quasi due anni che sono all’interno e se penso a quale possa essere il mio punto di riferimento o la prima persona a cui penso se ho un problema o bisogno di una parola è sicuramente Alessandra, la nostra psicologa. In questi due anni mi sono rivolta spesso a lei. A settembre, per esempio, mio marito ha avuto un problema abbastanza grosso di salute e la prima persona che ho avvisato, dopo le nostre famiglie, è stata lei e nella settimana in cui è stato ricoverato i suoi messaggi mi hanno aiutato tanto. Durante la gestione di un problema che ho avuto in reparto nel momento in cui si è accorta di non aver fatto tutto il possibile mi ha chiesto scusa, e non è cosa da tutti. Per questo l’ammiro molto. Con lei ci si può confrontare e chiacchierare: due cose molto diverse ma per me fondamentali. È una donna molto preparata, serena, tranquilla, dolce che mi trasmette tanta pace e serenità. La stimo molto e spero che continui a collaborare con noi ma, se così non fosse, rimarrà sempre una splendida persona con cui ho condiviso un pezzo della mia vita. Grazie Ale. Marco Era seduta qualche fila di sedie avanti a me una sera di settembre di undici anni fa. L’ho rivista al secondo incontro quando il gruppo di aspiranti volontari si era sfoltito in maniera autonoma e naturale. Alla fine del terzo incontro durante il tragitto che dall’Auditorium portava fuori dall’ospedale ho avuto modo di scambiare con lei qualche opinione, qualche sensazione, la nostra perplessità riguardo al percorso che stavamo iniziando. Ci siamo rivisti al quarto e ultimo incontro e poi più nulla, ci siamo persi di vista. Ho avuto il piacere di incontrarla nuovamente qualche tempo dopo in reparto e scoprire, con gioiosa sorpresa, di far parte della stessa Associazione. Le nostre strade si sono incrociate di nuovo, poco tempo più tardi perché entrambi catapultati all’interno del Consiglio Direttivo dell’Associazione stessa. Ho avuto modo di conoscerla, di condividere con lei il mio percorso di volontariato, di confrontarmi e confidarmi. È una persona alla quale vorrei assomigliare, mi piace la sua personalità, la capacità di ‘leggere’ e gestire le situazioni sempre e comunque brillantemente, la capacità (e questo glielo invidio proprio tanto) di parlare in pubblico. Ho avuto modo di osservare il suo percorso in Associazione iniziato da volontaria, per poi 45 passare a membro del Consiglio Direttivo, Segretaria tesoriera fino ad arrivare alla Presidenza. Un percorso naturale e meritato, dico io, per una persona con una marcia in più (facciamo anche due). Sempre positiva, un vulcano d’idee e con la capacità di poterle realizzare, sempre un passo avanti agli altri (e lo dimostra l’evoluzione positiva che l’Associazione ha avuto da quando lei ne è la Presidente). Devo dire che mi sono lasciato coinvolgere volentieri in alcune delle attività, lavori, progetti, eventi che in questi anni ha proposto e questo mi ha dato la possibilità di mettermi in gioco, di sentirmi vivo, di ricevere in cambio un entusiasmo e un’energia da mettere di nuovo a disposizione dei nostri piccoli eroi. Ha saputo mantenere intatta quella che era (ed è ancora) la finalità dell’Associazione stando al passo coi tempi (sempre più in evoluzione e con problematiche molto diverse da affrontare). Devo dire che a causa dei suoi innumerevoli impegni non abbiamo più molte occasioni per le nostre piacevoli chiacchierate (a volte duravano ore) soprattutto quelle post-consiglio direttivo. Ma nonostante ciò mi piace pensare che posso e potrò sempre contare su di lei, anche solo per una parola di conforto o di incoraggiamento. È una persona a cui voglio molto bene. Se non fosse stato per lei, forse, oggi non farei più parte dell’Associazione perché è grazie a una sua ‘ribaltata’ di qualche anno fa mi ha aperto gli occhi rispetto ad un evento vissuto in reparto che rischiava di sconvolgermi la vita. Che dire d’altro di questa donna bionica? Ah sì, una cosa devo proprio dirgliela e che racchiude tutte quelle che non ho scritto in questo testo e che forse avrei potuto scrivere: GRAZIE Mile (Quasi quasi mi dimenticavo… mi ha detto di scrivere che è anche bella!!!!!! Ed è vero: è anche bella). E ora mi permetto di scrivere due righe sul gruppo di volontarie con le quali condivido il mio turno di volontariato il venerdì mattina: Simonetta, Simona e Giovanna. Tre persone speciali. Oltre che essere tre bellissime donne (il che non guasta), fra di noi è nato fin da subito un feeling particolare. Ridiamo, scherziamo, condividiamo le reciproche esperienze in reparto, talvolta ci confidiamo cose private (e solo con persone speciali è facile aprirsi), parliamo sia di cose serie (strano con me, vero???) sa di cose più leggere, ma il tutto lo si fa sempre avendo il massimo rispetto delle idee e opinioni altrui. In reparto basta un’occhiata d’intesa, ci si capisce al volo e se uno di noi ha bisogno di aiuto, gli altri sono sempre pronti a dare una mano. C’è un clima di reciproca fiducia e questo è un aspetto fondamentale per poter stare in reparto. Il nostro rapporto va oltre le ore trascorse in ospedale e ogni occasione è buona per una pizzata in compagnia, coinvolgendo anche tutti gli altri volontari del venerdì. È nostra abitudine relazionare il volontario assente al turno su come è andata in reparto, su cosa è successo, sulle presenze o assenze dei bimbi incontrati la settimana precedente. Ogni settimana manteniamo anche altre buone abitudini come 46 l’immancabile caffè al bar della Marianna e l’attesa, prima di iniziare il giro in reparto, dell’arrivo di Simona. Il nostro è proprio un gruppo molto unito e con loro ‘mi sento a casa’. Margherita La nonna, la mamma, la figlia … Non è un legame di parentela, ma uno slogan che tre donne amano usare tra loro, quando si incontrano. Anagraficamente non potrebbe esistere questa sequenza, visto che sono pressoché coetanee e, anzi, la figlia è un pochino più grande della mamma. È per loro una simpatica metafora, per dirsi il loro affetto, per dirsi che si donano tanto reciprocamente, per dirsi, senza vergogna, che si vogliono bene e che tra loro la relazione è speciale, dentro la grande FAMIGLIA a cui appartengono e che le ha accolte in tempi diversi. Ecco dove sta la cronologia: è il tempo di appartenenza alla FAMIGLIA che segna il loro ruolo di nonna, di mamma e di figlia, l’una accompagnatrice dell’altra nella fase di ‘iniziazione’. Qui si raccontano le due figure agli estremi: la mamma, che è nel mezzo, che fa da unione e che nella realtà madre non è affatto, è ben felice di parlare di loro. La nonna è bionda e la figlia mora, ma i loro occhi sono ugualmente chiari e luminosi, molto espressivi. Sono entrambe sposate: la nonna ha un figlio, ormai grandicello, che l’ha sempre fatta disperare per il suo cattivo rapporto con la scuola e che ora, forse, ha messo la testa a posto (o è lei che se n’è fatta una ragione?); la figlia non ha invece bambini, un po’ per destino e un po’ per scelta … dice di averne adottati tanti, tutti quelli che passano nei reparti pediatrici dell’ospedale dove trascorre parecchie ore della sua giornata. Entrambe hanno un look particolare, davvero bello e allegro, apprezzato anche dalla nipotina della figlia: amano abbinare i colori, talvolta sgargianti, adorano collane, braccialetti e anelli e seguono la moda giovanile. Non lo fanno per mettersi in mostra, ma per dire chi sono, per esprimere loro stesse, per manifestare la loro voglia di vivere e la passione per ciò che fanno. Le accomuna infatti la capacità di stupirsi e meravigliarsi, di essere, come dice la nonna, un po’ bambine. Sono un vulcano di idee per la FAMIGLIA, sempre presenti, sempre pronte a ritagliarsi del tempo dentro il loro mondo, un mondo normale, fatto di impegni, di relazioni, di problemi, di gioie, di sconfitte e di vittorie. Si lasciano coinvolgere da tutto con entusiasmo e sanno coinvolgere gli altri. Da qualche anno, da quando la figlia è la Capo Famiglia, vanno molto in tandem: sono complici, si aiutano e contano l’una sull’altra, anche con qualche battibecco costruttivo. Sanno di avere sulle spalle il vissuto della FAMIGLIA, il presente della FAMIGLIA e il futuro della FAMIGLIA. La figlia parla con grande facilità e spontaneità, decisa e ferma, nelle occasioni 47 in cui la FAMIGLIA esce in pubblico, mentre la nonna lo detesta e, se può, lo evita. Sono molto delicate nel costruire relazioni con i piccoli eroi malati che la famiglia ha ‘adottato’ nella sua casa: sorridenti, gentili, disponibili, allegre, si aggirano nelle stanze con fare disinvolto, la nonna regalando racconti, parole, gesti amorevoli e gioco, la figlia aggiungendo anche aiuti pratici per il vivere quotidiano. Quest’ultima ha coinvolto anche il marito nella sua avventura: con un ruolo diverso, ormai da tempo egli è membro effettivo della FAMIGLIA e mette a disposizione le sue competenze e capacità, tipiche delle figure maschili, che sono in netta minoranza nel nucleo famigliare. La nonna invece non ha coinvolto marito e figlio, ma li ha presentati alla mamma, che è rimasta molto colpita dal calore e dall’accoglienza di una mitica cena, sempre nei suoi pensieri, al punto che, quando passa per il paese della nonna, istintivamente la contatta, per farglielo sapere, per dirle che è vicina, anche con un breve messaggio senza pretese. Della figlia invece, sua conterranea, la mamma non ha mai visto la casa: se la immagina come un mondo fiabesco, colorato e con pochi spazi vuoti, originale e tappezzata di immagini di ogni genere. La figlia infatti ama le fotografie e tra le sue attività lavorative (nell’altra aiuta il marito) c’è il suo studio fotografico in un angolo romantico della Città Vecchia, nascosto, ma che colpisce un occhio attento e sensibile al bello. Ci sono alcuni riti che legano le tre donne. Per esempio non arriva Natale, se mamma e figlia non si sono incontrate, rigorosamente al mattino presto della Vigilia (8-8.30 al massimo), davanti a un the e a un ginseng in tazza grande con spremuta, per scambiarsi gli auguri, pretesto per dirsi “Ti voglio bene”, e i regali, piccoli pensieri per dirsi “Ricordati di me”. Così non passano compleanni e ricorrenze che sfuggano alla nonna: puntualmente arrivano alla mamma i suoi auguri, non solo per le feste comuni, ma anche per onomastico e compleanno, occasione in cui la nonna ripete che la mamma continua per lei ad avere 28 anni (sarà un po’ di demenza senile, ma la mamma è ben contenta di restare giovane nei suoi pensieri!). Resta un rituale da narrare: quello tra nonna e figlia. Ma… è un’altra storia, che da questa penna non può uscire. Mariangela Di persone significative delle quali potrei parlare ce ne sono, però ce n'è una in particolare che mi piace ricordare, è la mia tutor Marinella, che ora non fa più parte dell’Associazione. Ricordo di averla vista la prima volta alla presentazione dei tutor, raccontava di essere entrata in Associazione all’inizio come bibliotecaria e già questo mi piaceva, vista la mia passione per i libri, aveva un modo di 48 fare materno e pacato, una bella signora sui 55 anni e così decisi che mi sarebbe piaciuto fosse lei la mia tutor se possibile. Il nostro primo giorno in reparto fu molto dolce, ricordo che ci siamo sedute in corridoio su di una panchina e ci siamo un po’ raccontate. Abbiamo letto insieme il codice etico e poi piano piano abbiamo cominciato a girare in reparto, c'erano dei passaggi che temevo fortemente però ricordo che con il suo aiuto tutto è scivolato via naturalmente come se lei mi avesse preso per mano e accompagnata in quella nuova avventura. Mi piacerebbe rivederla, ringraziarla e dirle che conservo un buon ricordo di lei e spero che sia lo stesso per lei. Mariella Quando sono entrata in Associazione tanti tanti anni fa ho conosciuto una persona a me molto cara! Anche se avevamo un po' di anni di differenza tra noi due c’è stato subito sintonia. Abbiamo iniziato la nostra esperienza in reparto facendo il periodo di tutoraggio insieme e da lì ci siamo conosciute un po’ per volta. È stata subito un punto di riferimento forse ancora di più della tutor che abbiamo avuto. All'inizio nelle situazioni più problematiche è stata per me un supporto, perché aveva sempre una bella parola detta con dolcezza e in senso quasi materno. Ancora fino a poco tempo fa abbiamo ricordato i bei momenti trascorsi insieme e a distanza di tempo ci diciamo ancora Meno male che c'eri tu! È bello sentirselo dire ancora perché ci siamo lasciate un bel ricordo! Di grande valore affettivo e di amicizia. Ci siamo confidate tante cose col passare del tempo, cose che abbiamo vissuto in reparto che ci hanno colpite in modo particolare, cose anche personali, lei della sua famiglia e io della mia vita. Poi quando il nostro legame è diventato più forte, ci siamo dovute dividere perché, purtroppo, tutte le cose belle prima o poi finiscono. Un problema di salute ci ha separate, ma non del tutto perché grazie al grande affetto che ci ha legato siamo riuscite a mantenere la nostra amicizia. Ho un ricordo bello, intenso di questa persona forse perché mi ha fatto capire di come, anche facendo volontariato, oltre a conoscere le persone che aiuti, sei a contatto con persone vere, di grande cuore che col passare del tempo lasciano un profondo ricordo nel tuo cuore! Milena SPECIALE: quanto è immenso il suono di questa parola, quanta ampiezza, riempie lo spazio attorno a me, attorno a noi. Speciale lo sono stati in tanti, ma qui riservo spazio gli specialissimi. Margherita mi ha preso sotto la sua ala di tutor e mi ha condotto a vivere la mia esperienza in associazione; tuttora è la mia tutor e con fierezza la nomino sempre al corso per gli aspiranti volontari ai quali dico infatti: «Il 49 tutor è davvero prezioso per voi, ora e sempre, è quella persona vicina a voi sulla quale potrete sempre contare perché con assoluta sincerità vi aiuta a intraprendere questo bellissimo viaggio». A lei dico GRAZIE per tutto quello che mi ha insegnato e per la vicinanza che ancora vivo con tanta amicizia. Sono Presidente dell'Associazione, ma lei rimane e rimarrà la mia tutor, la guardo negli occhi e ancora comprendo al volo, la guardo con ammirazione, la guardo anche alla ricerca di approvazione. Lei c'è sempre e sono sicura che c'è ogni mattina della vigilia di Natale, ormai da 11 anni, quando, facendo colazione insieme, ci dedichiamo il nostro tempo, ci regaliamo il tempo, ci regaliamo il noi. Grazie, Marghe! E poi ci sei tu caro amico mio: Marco… Ci siamo conosciuti al corso per diventare volontari Amici della Pediatria, ci siamo guardati con perplessità e all’unisono, al termine di un incontro, abbiamo fatto un sospiro e ci siamo detti «Ma ce la faremo?»… e se penso a dove siamo arrivati oggi! Sono trascorsi undici anni, quante esperienze, quanti momenti, anche difficoltà che ci hanno reso più forti e ci hanno fatto crescere, tutto ci ha permesso di conoscerci e di consolidare il sentimento di amicizia che ci lega e che conto ci legherà a lungo. Grazie Marco per essere al mio fianco in questo meraviglioso e importante viaggio… e grazie per essere stato con me, in quel momento difficile di saluto a lui, al nostro Cesare. Mi hai accompagnato al momento del saluto più difficile che ho fatto in Associazione, a colui che ci ha custoditi come preziosi, a colui che per noi è stato un nonno, a colui che sul letto di casa, due ore prima di morire, ci ha consegnato l'Associazione con la consapevolezza e la tranquillità di «lasciarla in buone mani» così ci disse… Soffriva quella sera, ma ci ha preso per mano, ha stretto le nostre mani e ci ha passato il testimone con fiducia e amore. Ricordarti caro Cesare è ancora doloroso, ma anche felice al tempo stesso; le lacrime che scendono, spesso, hanno il sapore della tristezza, ma anche di tanta gioia, perché il ricordo di tanti momenti insieme è vivo e forte, non sei qui fisicamente, ma nel mio cuore ci sei sempre. Ci sei quando propongo, quando scelgo, quando mi riunisco con il direttivo, quando cammino in reparto, quando parlo con i bambini che anche tu hai conosciuto e preso in adozione con la tua dolcezza. Come fai a non esserci in questi momenti? Impossibile! Come Marghe mi hai accompagnata e formata a essere Presidente e come Marghe hai lasciato che il mio io potesse esprimersi e dare quel valore aggiunto a ogni scelta. Dicevi sempre a tutti che sono un vulcano che per fortuna è sempre in attività e poi mi abbracciavi per sottolineare la tua approvazione. 50 Mi hai insegnato a non perdere di vista il perché è nata questa Associazione, perché l'avete fondata e mi hai detto «Non perdere mai di vista quello che i fondatori hanno deciso costituendo gli Amici della Pediatria e sicuramente le scelte saranno quelle giuste, sempre!». Certo ogni tanto ti arrabbiavi, eccome, perché qualcosa, forse, non andava come ti saresti aspettato e dopo pochi giorni la tua sapienza ti faceva vedere quel fatto con occhi diversi e dicevi «Andiamo avanti, va bene così, chi vuol essere con noi ci sarà». Il tutor che era in te mi ha spiegato, raccontato, raccomandato, mi sono sempre sentita pensata, protetta e al sicuro nelle tue parole e nel tuo sguardo. Se ripenso a tutti questi anni, quante cose abbiamo fatto insieme, quante storie, come ti dicevo io! Mi fermo a pensarti e quante immagini riaffiorano nella mia memoria; i ricordi da un lato mi regalano una lacrima che viene accolta subito dal sorriso. Quante risate! Quanto bene hai voluto a ognuno di noi, quanto bene hai voluto e hai lasciato agli Amici della Pediatria, per te quasi un terzo figlio da allevare ed educare crescendo. Il tuo insegnamento e il tuo ricordo sono vivi in me e sono sempre energia e ispirazione per essere al meglio una volontaria Amici della Pediatria che ha deciso di accettare il testimone e di condurre quel grande gruppo di persone che è oggi a compiere tutte le azioni attente e pensate a favore dei bambini che vivono l'ospedalizzazione. Il Grazie che ti dico non è solo per avermi insegnato a essere la Presidente degli Amici della Pediatria, ma soprattutto per avermi insegnato che se tutti insieme guardiamo nella stessa direzione è tutto più semplice e bello, potremo gioire insieme di ogni piccolo pezzo di puzzle che continua a formare una storia che oggi ha 25 anni e che speriamo possa continuare a crescere ancora … Stefania Faccio parte dell’Associazione da ormai sedici, diciassette anni, con precisione non lo ricordo più, mi sembra sia cominciato tutto solo ieri, ma con certezza posso dire che le persone che per me sono state significative sono diverse e voglio parlare di ciascuna, partendo dagli albori. Margherita, una signora tutta ricci, con la classica voce di chi fuma parecchio, conosciuta prima telefonicamente e poi di persona. Era il mio contatto con l’Associazione e, per diverse volte, mi aveva risposto che al momento non aveva bisogno di volontari e quindi di richiamare dopo un paio di mesi. Finalmente dopo circa un annetto, è stata premiata la mia costanza e la voglia di entrare in questa Associazione e lei mi ha fissato un appuntamento con la psicologa Cinzia Naibo. 51 Margherita per un paio d’anni è stata la mia referente, colei alla quale mi sono rivolta per un qualsiasi problema. Era la coordinatrice del gruppo volontari e anche colei che, insieme alla psicologa curava la nostra formazione che noi oggi chiamiamo Cerchi di parole. Margherita credeva molto nell’Associazione. Cinzia Naibo, la psicologa, una ragazza dai capelli molto scuri, occhi scuri e svegli e occhiali neri e modi molto diretti. Ricordo ancora il mio primo colloquio con lei e le domande che mi rivolse: «Perché vuole fare volontariato? Perché in un reparto pediatrico? Perché nella nostra Associazione? È disposta a lavare i giochi se necessario e a far lavori di segreteria? Per fare volontariato con la nostra Associazione, bisogna seguire costantemente una formazione obbligatoria… è disposta?». Dopo tutte queste domande vedendo che non mi ero scomposta dalla mia sedia, ma avevo risposto chiaramente a tutte, mi spiegò in cosa consistesse il volontariato per l’Associazione Amici della pediatria. Fu subito entusiasmo, molto probabilmente me ne aveva passato un po’ anche lei. Cinzia Naibo, Margherita e Don Alberto (altra figura molto importante) si occupavano anche della formazione dei volontari, di come strutturarla, di quale tema affrontare ogni anno. Don Alberto ai tempi era un giovane prete che esercitava la sua professione presso il seminario di Bergamo e in più si occupava della formazione dei volontari della sezione. A quei tempi i volontari erano suddivisi tra i volontari pediatrici e quelli del reparto di oncologia/trapianti che noi chiamavamo appunto ‘sezione’. Successivamente questa suddivisione è stata tolta anche perché capitava spesso che i volontari di Pediatria venissero chiamati in ‘sezione’ e viceversa a seconda dei bisogni. Così i coordinatori con la presidente, dopo aver consultato i volontari, decisero di togliere questa suddivisione e offrire la medesima preparazione a tutti i volontari. Don Alberto divenne così anche lui un mio formatore, ricordo ancora il suo tono di voce molto deciso e caldo quando ci ripeteva senza stancarsi mai: «Voi siete e restate dei volontari, bravi ma sempre volontari, non sentitevi mai indispensabili, non dimenticatelo… Ricordate che non siete volontari in un oratorio, ma in un ospedale e in più in un reparto pediatrico, entrate sempre in punta di piedi e siate sempre molto attenti a ciò che incontrate e rispettosi dei silenzi e delle volontà altrui, non forzate mai gli eventi, fate piuttosto un passo indietro… Ricordate che il dolore di un genitore è suo e voi non dovete pensare di avere il diritto né la pretesa di portaglielo via, perché è il suo dolore e a lui serve per poter andare avanti, potete cercare di immaginarlo ma non sarà mai e non dovrà mai essere il vostro dolore». 52 Altra figura molto importante per il mio cammino dentro l’Associazione è stata Jolanda. Jolanda, una donna magica con carta e forbici, una donna capace di capire con uno sguardo cosa il bambino malato avesse voglia di fare. Jolanda mi ha insegnato l’importanza di entrare in una stanza in punta di piedi e girare subito lo sguardo a 360° per individuare le passioni di chi in quel momento viveva nella stanza e la sua voglia di accoglierti o meno. Jolanda sapeva creare con un foglio di carta e un paio di forbici qualsiasi cosa dagli origami ai campi di calcio con tanto di calciatori. Purtroppo di questa sua arte non sono riuscita a imparare nulla, infatti mi resta sempre un po’ di ripianto quando penso alla brava maestra che ho avuto e alla cattiva allieva che sono stata io. Dopo qualche anno che svolgevo la mia attività di volontariato è stata istituita una nuova figura dentro il gruppo, quella del tutor, un volontario anziano incaricato di accompagnarne uno nuovo nelle sue prime entrate in reparto. Mi è stato chiesto se avessi voluto farlo ed ho accettato molto volentieri; ho avuto modo così di conoscere la mia prima tutorata, ne sono seguite tante altre dopo, ma lei è quella che mi porto sempre nel cuore come una figlia (ai tempi aveva 28 anni, per me sono rimasti ancora quelli nonostante ne siano passati un bel po’ dal giorno del nostro primo incontro). Ero molto emozionata e timorosa di incontrarla, mi avevano detto che insegnava latino e greco al liceo. Invece quando ho avuto modo di conoscerla, si è rilevata una persona molto dolce, disponibile, attenta ai bisogni dell’altro e dotata di sensibilità e correttezza strepitose, sia nei confronti dei bambini che delle loro famiglie. Per diversi anni siamo state anche compagne di turno, con lei ho condiviso tante gioie ed anche qualche dolore riguardanti sia l’Associazione sia la nostra vita privata. Spesso è stata anche mia consulente nell’educazione scolastica di mio figlio. Negli ultimi anni ho deciso di entrare nel Consiglio direttivo dell’Associazione e qui ho avuto modo di incontrare altre persone speciali, in modo particolare una che in questi anni mi sta insegnando molto sia per quanto riguarda la vita dentro e anche fuori dall’Associazione. Sono convinta che, se sono rimasta così tanti anni in Associazione, è perché oltre ad essere serena e felice di quello che faccio, ho avuto anche la fortuna di incontrare tante speciali compagne di viaggio, ossia di turno e dei vari momenti di aggregazione e ognuna di loro meriterebbe due righe di ringraziamento. 53 Massimo Cesare è stato un elemento insostituibile per questa Associazione, un socio raffinato, un Presidente indimenticabile. Ma soprattutto, è stato un maestro, una guida per tutti noi, anche per coloro che lo avevano conosciuto fuori dall'ambito ospedaliero. Ha insegnato a coltivare la gioia di aiutare gli altri, ha dato una risposta a tutti coloro che si rivolgevano a lui come a un padre. Questo è il tratto più significativo dell'esperienza che Cesare ha avuto come fondatore e socio della nostra Associazione. Ha sempre risposto a tutte le richieste pervenute, distinguendosi sempre con la sua innata diplomazia, ponendo sempre al primo posto il benessere dei bambini ricoverati. Ha sempre saputo parlare anche a coloro che non conoscono il significato di volontariato. Ci manca molto perché la nostra è una società orfana di maestri e lui sapeva trovare le parole per comunicare. È riuscito a parlare anche quando non aveva più voce, quando l'ho sentito l'ultima volta ed ha avuto ancora la forza di scherzare e di gioire della vita. Questa è l'immagine sorridente che ci lascia, di una persona che ha segnato il nostro tempo. Grazie Cesare. 54 Persone speciali per i nuovi volontari Elena A. Ho iniziato il percorso di volontaria negli Amici della Pediatria con tanta buona volontà, ma anche con il timore di non riuscire ad affrontare certe situazioni riguardanti piccoli pazienti affetti da malattie gravi o incurabili. Questo timore nasceva dal lutto vissuto solo un anno prima per la perdita di mio papà, malato di cancro e che ho accompagnato durante gli anni della malattia. Chi ha messo fine alle mie paure e mi ha sempre incoraggiata è stata Barbara, la mia tutor. Da subito si è instaurata tra noi una grande intesa: lei è riuscita a entrare nel mio intimo in punta di piedi, sempre col sorriso e con parole rassicuranti, senza essere mai invadente. Barbara è molto dolce e nello stesso tempo decisa nelle sue posizioni. Con lei ho imparato a vedere il mezzo bicchiere pieno anche in quelle situazioni che in realtà di positivo hanno davvero poco. Ho apprezzato Barbara perché, a differenza di altri tutor, mi ha insegnato più con l’esempio pratico che con le parole. Non ha mai usato modi o toni autoritari o che mi facessero sentire l'ultima arrivata, ha sempre cercato di mettersi al mio pari. Le sono grata per avermi saputo ascoltare e consigliare anche in situazioni personali. Ho un carattere estroverso, ma in genere tengo per me i miei problemi personali. Invece Barbara, poco a poco, è riuscita a conquistare la mia fiducia, con lei in tutoraggio mi sentivo come un passerotto sotto l’ala protettiva della mamma. Purtroppo il percorso di tutoraggio è terminato e siamo su turni diversi di volontariato. Questo non incide sul nostro affetto e sulla nostra amicizia. Per me è stata e rimarrà una persona speciale, l'ala sotto la quale rifugiarmi, quando ho dubbi sull'attività in reparto ma anche su molte altre cose. Penso che una brava tutor debba saper rassicurare i suoi tirocinanti, porsi a loro con modi un po' ‘materni’: le regole vengono recepite meglio se sono condite con affetto. Sono stata fortunata ad avere lei come tutor, sono sicura che il suo modo di essere e di fare, spontaneo, dolce e sensibile ha inciso positivamente sulla mia permanenza nell'Associazione. Elena R. Laura è stata la mia tutor all’inizio di questa fantastica avventura all’interno dell’Associazione Amici della Pediatria, colei che mi ha assistita nel passaggio ‘dalla teoria alla pratica’. Nei giorni precedenti il nostro primo incontro ero un po’ ansiosa, sapevo che avrei passato otto turni con lei in reparto e mi ero spesso domandata ‘che tipo fosse’: sarà giovane oppure anziana? Logorroica o di poche parole? Solare o lunatica? Ero certa solo di una cosa: doveva essere per forza una bella persona, anche solo per il fatto 55 che dedicasse parte del suo tempo ai bambini in reparto, ed ora anche a me. Di domande ne avevo fin troppe in effetti: sarò in grado di affrontare questa esperienza? Riuscirò a convincere Alessandra nel nostro prossimo incontro che posso essere una buona volontaria? Quando ho visto Laura per la prima volta è stato come vedere la luce del sole… Già, se dovessi racchiudere in una sola parola Laura userei di certo la parola solare. Mi ricordo quell’istante come se fosse ieri. Io la stavo aspettando davanti al ristorante La Marianna e guardavo ogni persona che passava domandandomi se fosse lei. Poi a un certo punto ho sentito chiamare il mio nome e l’ho vista: con il suo camice appena ritirato e quel sorriso capace di illuminare anche la più cupa corsia d’ospedale. Quel giorno mentre mi spiegava il comportamento che avrei dovuto tenere in reparto e mi rileggeva il codice etico, mi dicevo «Ma quanto è carina!?». Quando poi siamo passate ‘dalla teoria alla pratica’, è stata capace di spazzare via tutti i miei timori in pochissimo tempo, mi ha guidata e rassicurata in ogni istante passato insieme a lei e oggi posso dire che, se sono entrata a far parte del gruppo dei volontari, buona parte del merito è suo. Purtroppo non condividiamo il turno ma è un po’ come se lei fosse sempre lì con me. Ogni volta che disinfetto le mani, come mi ha raccomandato di fare sempre; ogni volta che entro ed esco da una stanza; ogni volta che delicatamente busso a una porta e chiedo se hanno bisogno di me. Quante volte l’abbiamo fatto insieme… Le prime volte io stavo dietro di lei a guardare come faceva e pensavo: Non ce la farò mai! Dopo qualche turno ci siamo invertite i ruoli e se avevo un attimo di titubanza, lei mi dava una ‘spintarella’ di incoraggiamento. Spero che la mia avventura in Associazione duri il più a lungo possibile, ma indipendentemente da questo, porterò sempre con me il ricordo di Laura, così minuta da aver paura che il vento se la porti via ma con un sorriso davvero immenso e un cuore enorme. Grazie Laura. Elena Z. Accetto il rischio di uscire dal tema. Tuttavia, a chi mi chiede chi sia stata la persona più significativa e importante per me all'interno dell'Associazione, d'istinto e all'istante rispondo: l'Associazione! Questo strano soggetto formato da decine di individui, persone distanti per età, esperienza, interessi, carattere, eppure così vicine in quanto tutte accomunate dal desiderio di dare ognuno il proprio, sia pur piccolo, contributo al perseguimento di quanto non sempre la realtà dà per scontato: il sorriso di un bambino. Sono profondamente grata a tutti questi innominati ‘compagni di viaggio’ per il loro aiuto, per il loro sforzo, per la loro passione. 56 La mia esperienza in Associazione è iniziata solo da pochi mesi. Eppure sento già così forte il senso di appartenenza, la condivisione del progetto, l'orgoglio di fare parte del gruppo. Sì, è a questa macchina che funziona 24 ore su 24, l'Associazione stessa, che devo riconoscere il merito di essere stata realmente determinante per me. Una macchina diventata persona grazie a un puzzle di decine di cuori pulsanti all'unisono. Eleonora Conosco Mile da tanti anni e lei mi parlava del suo ruolo di volontaria all’interno dell’Associazione Amici della Pediatria con entusiasmo. Grazie a lei, al suo parlare con gli occhi oltre che con le parole del suo essere volontaria prima e membro del direttivo dopo, ho deciso di avvicinarmi in punta di piedi a questo mondo. Mile mi conosce bene e ha capito che il mio approccio all’Associazione doveva essere diverso da quello del volontario che entra nelle stanze, potevo dare il mio contributo facendo parte del Direttivo. Ricordo come fosse ieri l’Assemblea in cui si sarebbe eletto il nuovo direttivo: erano presenti una trentina di soci e fra quelli ne conoscevo veramente tre o quattro oltre a Mile e Luca. Un po’ intimidita e con un po’ di vergogna mi sono presentata al gruppo e ho proposto la mia candidatura, spiegando perché volessi entrare in Associazione. Sono stata eletta e con entusiasmo ho iniziato questo fantastico percorso. Conosco Mile da anni, ma credo di aver scoperto in lei un lato molto generoso, volto agli altri e al prossimo. Con tanta passione e dedizione e con il suo immancabile sorriso segue l’Associazione non dimenticando mai il suo obiettivo principale: il sorriso e il benessere del bambino. Sinceramente noi del Direttivo ci chiediamo dove lei trovi tutte quelle energie: ma ogni tanto dormirà visto che le mail arrivano a tarda ora? Come vorrei avere metà delle sue energie e idee - ne ha veramente tante e sono contagiose, perché in questo modo sprona un po’ tutti noi a pensare a nuovi progetti e alimenta lo spirito di collaborazione. Il suo entusiasmo è contagioso ed è riuscita a creare un bel gruppo. Ho avuto modo di conoscere, grazie a lei, dei volontari veramente in gamba che portano all’interno del Direttivo le loro esperienze e il loro essere volontari. Mile mi ha coinvolto in questa Associazione e grazie a lei e allo spirito con cui vedo i volontari entrare nelle stanze sono riuscita ad affrontare, se pur parzialmente, la malattia. Grazie Mile e grazie colleghi del Direttivo. 57 Giovanna Elena Ho voluto iniziare il mio percorso nell'Associazione spinta da un qualcosa che avevo dentro da tempo. Ricordo il periodo della formazione che ogni volta mi appassionava sempre più e la sera in cui abbiamo conosciuto le persone che avrebbero fatto da tutor all'interno del reparto, sono stata colpita da una signora non più molto giovane, dai capelli lunghi, non molto alta ma con un sorriso ed uno sguardo così sereno a tal punto che mi sono accorta di fissarla continuamente. È stato come se l’avessi scelta e chiamata a me, infatti, come per magia, sono stata affidata a lei per il percorso di tutoraggio. Quando ho iniziato lei, con carattere forte e determinato, mi ha introdotta nel mondo del volontariato spronandomi, insegnandomi come mi dovevo comportare, le grandi e piccole attenzioni nei confronti dei bambini, facendomi capire fin dove mi potevo spingere. L'ammiravo come riusciva e riesce ad approcciarsi ai bambini, a parlare con i genitori, trova sempre le parole giuste per ogni situazione. Fortunatamente mi ritrovo con lei nello stesso turno del Mercoledì e anche ora che sono stata ‘arruolata’ come volontaria, sto imparando molto da lei, io persona molto timida, mi stupisco a volte come sto riuscendo a mettermi in gioco. Grazie a Eliana che stando sempre al mio fianco mi diceva: «Adesso entri tu in stanza e gestisci tu la situazione». Ho riposto molta fiducia in lei e lei in me e questo mi rende davvero felice, mi piace quando adesso mi sento dire: «Vai Elena, pensaci tu.». Stefania Una persona per me significativa nell’Associazione è stata Bruna, la mia tutor, la persona che mi ha accompagnato e a cui mi appoggio tuttora in questa mia avventura iniziata da poco. È una persona molto espansiva sia a livello fisico, iniziando dal caldo saluto con baci e abbracci ma anche nel parlare e nei modi di fare. Ho iniziato questa avventura un po’ titubante perché non ho mai fatto esperienze del genere e non sapevo se ne sarei stata all’altezza. Bruna mi ha capito subito e mi ha spronato giorno dopo giorno ad avere fiducia in me stessa. Con lei mi sono riscoperta: non pensavo di essere così forte e sensibile nello stesso tempo! Con lei mi sono aperta, come si può fare solamente con una persona estranea che non giudica, raccontando i miei pensieri e le mie emozioni. Quando ho avuto il colloquio conclusivo del tutoraggio con la psicologa la prima persona che ho chiamato è stata Bruna: io ero felicissima come se avessi vinto la lotteria, mentre per lei era solo una conferma. Finito il 58 tutoraggio sono stata assegnata al turno di Bruna e con le altre volontarie, siamo veramente un bel gruppo affiatato. L’unica cosa negativa è che ora si è presa un periodo di pausa dal turno e quindi non ci vediamo più regolarmente, ma ci sentiamo e frequentiamo anche fuori dall’ospedale e so che per qualsiasi dubbio o anche solo per parlare è sempre disponibile per me. Grazie Bruna. 59 I diversi ruoli in Associazione Barbara La mia attività svolta all’interno dell’Associazione: Volontaria Sono ormai due anni che faccio parte dell’Associazione e, nel tempo, ho sicuramente acquisito più sicurezza e dimestichezza con il mio ruolo. La mia borsa di tela con il logo dell’Associazione, al cui interno tengo il tesserino di riconoscimento, il tesserino per il parcheggio, fazzoletti di carta e crema per le mani, è sempre pronta nel cruscotto della mia fedele 500. All’arrivo in ospedale, subito dopo aver parcheggiato, vado a ritirare il camice verde e successivamente faccio il mio ingresso in reparto. È sempre piacevole ritrovare le mie colleghe di turno: ci scambiano un affettuoso saluto, ci domandiamo come è trascorsa la settimana ed io, essendo l’ultima del turno a entrare, vengo informata su eventuali sostituzioni urgenti da effettuarsi. Dopo la firma sul registro delle presenze e un’occhiata al diario del giorno comincio con il giro delle camere solitamente dal reparto trapianti. Le giornate non sono mai identiche, a seconda delle varie esigenze posso fermarmi a giocare con i nostri piccoli ospiti, posso intrattenermi con i loro genitori, o sostituirmi a questi ultimi se hanno bisogno o necessità di allontanarsi dalla stanza, oppure trascorrere del tempo nella Stanza delle Nuvole in compagnia dei bambini che possono circolare nel reparto. Ciò che non deve mancare mai, oltre alla nostra disponibilità a offrire un po’ di sostegno è il sorriso e la solidarietà per chi sta affrontando momenti spesso particolarmente difficili. Per tutelare al meglio la salute dei nostri piccoli a volte per entrare in alcune stanze è necessario osservare alcune precauzioni come indossare un ulteriore camice, una mascherina e dei guanti. È sempre comunque buona norma lavarsi o disinfettarsi le mani ogni volta che si lascia una camera. Verso le 11.00, sia per ricaricare le batterie che per un aggiornamento sull’andamento della mattinata, mi concedo un caffè al bar della Marianna in compagnia di una collega per poi riprendere l’attività in reparto sino alla fine del turno. C’è una mansione che, purtroppo, mi mette in difficoltà e che cerco sempre di evitare: scrivere i nomi dei nostri piccoli pazienti sui cartoncini colorati che vengono poi posizionati sulle porte delle stanze. Non ho alcuna predisposizione al disegno e quindi, conoscendo bene il mio limite, per non penalizzare nessuno con le mie scarse ‘opere’, lascio che questo compito venga svolto dalle mie colleghe sicuramente più fantasiose ed artisticamente capaci di me. 60 Daria Il tutor di Amici della Pediatria è un volontario, in servizio da almeno un anno, a cui viene affidato un aspirante volontario per affiancarlo nel muovere i primi passi all’interno del reparto. Il tutor di Amici della Pediatria prende per mano, sostiene, incoraggia, vigila. Il tutor di Amici della Pediatria non sceglie chi affiancare, così come l’aspirante volontario non sceglie il proprio tutor: il binomio si crea sulla scorta di coloro che vengono individuati, dal Coordinatore dei volontari, come persone idonee a rivestire questo ruolo e dalla concordanza di giorni e tempi tra le disponibilità dei tutor e degli aspiranti volontari. Al tutor non viene chiesto nulla di straordinario se non di condividere la quotidianità della vita in reparto con l’aspirante volontario. È davvero preziosa per il volontario tutor questa possibilità che gli viene offerta: è addomesticare ed essere addomesticato, è creare dei legami… come direbbe la volpe al Piccolo Principe, è un modo per ampliare gli orizzonti, è un tempo per verificarsi, è un tempo per ridirsi il perché della scelta di svolgere volontariato in un reparto ospedaliero di Pediatria, è la possibilità di essere testimone di come anche nella malattia la vita non perda il suo valore. Il volontario tutor non è geloso della propria esperienza ed è orgoglioso di colui che gli è stato affidato quando si accorge di potergli lasciare la mano perché cammina con passo deciso e sicuro: spalanca le braccia e si prepara ad accogliere un nuovo aspirante volontario. Giovanna Il mio ruolo nell’Associazione Amici della Pediatria è quello di Volontaria. Il mio turno inizia il venerdì mattina, dopo aver ritirato il camice verde, salgo in reparto; nella Sala Smile (il nostro studio) solitamente trovo già i miei colleghi; firmo la mia presenza, metto la maglietta, tesserino di riconoscimento con allegate le chiavi, camice, disinfettante ed eccomi sono pronta per la nuova giornata. Iniziamo a visionare il diario dell’Associazione, dove troviamo informazioni importanti sui degenti ed anche segnalazioni per noi volontari ed educatori. Il passo successivo è quello di fare il breafing mattutino con il caposala che ci fornisce in dettaglio il quadro del reparto di quel giorno, passandoci informazioni importanti sull’approccio o meno al bambino. Terminato il breve incontro si parte con il giro, ci dividiamo, due al piano primo Trapianti e due al piano secondo Chirurgia pediatrica Oncologia: la procedura sta nel bussare, salutare, presentarci e chiedere se la mamma/papà o il bambino necessitano della nostra presenza, riferendo che per qualsiasi bisogno noi ci siamo. A volte sulla porta troviamo oltre al nome del bambino dei disegni, stanno a indicare a noi volontari che in quella stanza bisogna avere degli 61 accorgimenti prima di entrare, l’utilizzo dei guanti oppure la mascherina, per salvaguardare il bambino. Con i degenti piccolissimi solitamente ci si sta poco, le mamme fanno pause brevissime, un caffè superveloce, non vogliono lasciare il loro piccolo/a. Quando l’ospite è più grande si propongono giochi e se può uscire si va insieme nella Stanza delle Nuvole per spaziare di più: si gioca, si colora, si preparano i nomi per i nuovi arrivati con relative borse di benvenuto, se c’è una festività imminente si collabora per le varie creazioni di addobbi o altro, insomma c’è da sbizzarrirsi. Ultimato il giro, ci si ritrova per aggiornarci, sulle sostituzioni fatte o da farsi, quest’ultime vengono riportate poi sul diario per i colleghi di giornata. Arrivati a fine turno si segna l’ora d’uscita sul libro presenze e ci si dà appuntamento al venerdì successivo. Laura Io: Volontaria nell’Associazione Amici della Pediatria La preparazione al turno comincia il giorno precedente, controllando che la sacca di tela bianca con il simpatico sorriso di AdP contenga tutto quello che serve: t-shirt pulita e stirata, badge di identificazione e cordini portabadge, chiave della Smile, zoccoli bianchi come quelli degli operatori sanitari. Eh sì, arrivando dall’ufficio mi capita di indossare decolleté tacco 12, quindi mi sono organizzata con apposito cambio di calzature… Il martedì pomeriggio arrivo in turno e benché le situazioni che si presentano possono essere, e di fatto sono, ogni volta molto diverse, i gesti ormai rituali che compiamo sono diventati una prassi consolidata : il ritiro del camice verde, l’arrivo alla sala Smile, i saluti con colleghe/colleghi del turno – volontari ed educatori, la firma del registro presenze, il briefing e scambio di informazioni e consegne che completano la necessaria lettura del Diario. Le attività prendono il via dalle esigenze immediate raccolte da chi ci ha preceduto; il giro delle stanze al 1° e al 2° piano della nostra Torre 2 si alternano a giochi e/o laboratori che nascono nella Stanza delle Nuvole o nel Salotto. Durante il turno settimanale che ognuno di noi svolge, le attività sono scandite da precise regole e procedure, quindi previste e prevedibili, eppure al tempo stesso assolutamente sorprendenti in termini di bimbi che si incontrano, di genitori con cui ci si relaziona e si parla, momenti di gioco spontaneo che si vengono a creare accanto a quelli di gioco strutturato e pensato per raggiungere determinati obiettivi. La creatività e la fantasia di bimbi, genitori, nonni ti sorprendono e hanno il potere di trasformare il pomeriggio in momenti di condivisione ed emozione che hanno un valore immenso. 62 Liliana E così un bel giorno sono diventata una volontaria dell’Associazione Amici della Pediatria. Il ruolo lo sentivo dentro da sempre, da subito sono entrata nella parte; mi pareva di seguire un copione che già conoscevo, ogni particolare mi era noto. In breve tempo ho dimenticato la vita com’era prima senza, per quella dopo con. Oggi è parte della mia vita. E sono passati dodici anni. In realtà non è stato proprio così. Se quel ruolo l’ho assunto dentro in modo da sentirlo naturale, un sostegno non indifferente mi è stato dato dall’Associazione. Dal primo momento si è presa cura di me. Mi ha dato le regole: come si deve entrare in reparto, le norme, i ruoli, l’atteggiamento, le indicazioni da seguire. Poi, sempre la formazione. Ho avuto modo così di sentire riflessioni sulla fragilità e prossimità nella relazione d’aiuto, sullo scambio tra il dare e l’avere, che non è unidirezionale. E quelle parole le sento anche oggi. Le parole belle, che fanno parte del percorso: presenza leggera, umanità, vicinanza, incontro. Sono una volontaria consapevole. Credo si sia capito il piacere di questo ruolo. È uno sbocco del cuore. Ovviamente l’empatia non è sempre della medesima intensità. È capitato, capita, di ricevere ringraziamenti. «Spero di rivederla la prossima settimana», mi ha detto un papà l’ultima volta che sono stata in reparto. Sono riuscita a distrarre e a fare sorridere la sua bimba con le filastrocche: «Occhio bello, suo fratello, la chiesina, il campanello, din don din don». «Ancora, ancora, lei», mentre io indicavo le parti del viso nominate facendo la faccia buffa. Quando è entrata l’infermiera, il gioco si è concluso. Sono stata contenta: ho pensato alla parola restituzione. Oggi, alla routine di me volontaria appartengono gesti usuali, come sistemare le borse nel solito appendiabiti, sempre allo stesso posto, togliere la maglietta e lavarla, per riporla asciutta, stirata e piegata insieme con le altre cose che mi servono. Ma ho anche il privilegio della conoscenza di altre persone, i miei colleghi di turno sono le più vicine, ma lo scambio di calore umano è anche con gli altri, con i quali condivido la scelta di fare parte della stessa Associazione. E lo dico con un senso di Orgoglio. Loredana Sono una volontaria all’interno dell’Associazione Amici della Pediatria. Il volontario sta a fianco dei bambini e famigliari per tutto il periodo di degenza, offrendo piccole prestazioni di aiuto, ascoltando, giocando e 63 facendo compagnia. Disponibile ma non invadente e offre una presenza discreta. Per me essere volontaria è una scelta che sento, vivo e svolgo con serietà, impegno ma soprattutto con il cuore. Ha cambiato il mio modo di vivere la quotidianità e ho imparato ad apprezzare il valore di ogni singolo giorno. Il mercoledì per me è sacro, è il giorno del mio turno! Sono solo tre ore settimanali e ho iniziato con la pausa pranzo per poi passare in un secondo tempo al pomeriggio. Ci sono dei gesti diventati piccoli rituali come il preparare con cura la borsa accertandomi che non manchi nulla, il salutare i miei figli aspettando la fatidica domanda: «A che ora torni?». Dopo quattro anni... L’inforcare il motorino destinazione Ospedale Papa Giovanni XIII ora, ospedale Riuniti di Bergamo prima. Il ritiro del camice, il firmare la presenza e l’informarsi delle necessità del giorno, il saluto alle compagne di turno che sono diventate nel tempo: amiche, consigliere e collaboratrici indispensabili. Ecco sono piccoli gesti di momenti certi. Non so invece in reparto cosa mi aspetterà, cosa farò, chi incontrerò... Mai un giorno è uguale all’altro. Facciamo il giro delle stanze per chiedere ai bambini se hanno voglia di giocare un po', non sempre hanno voglia di giocare ma noi siamo lì a disposizione. Ci sono dei momenti dove le semplici attività ludiche con i bambini diventano un prezioso momento di sincero affetto che ci ripaga infinite volte di un piccolo sorriso che doniamo loro. Ci sono le sostituzioni, per dare la possibilità ai familiari di prendersi una piccola pausa, piccoli momenti per loro, per staccare, prendendoci cura del bambino in loro assenza. Per qualsiasi bisogno ed esigenza siamo lì. Siamo lì per loro, siamo lì per stare con loro con discrezione e rispetto. C’è una frase di Patch Adams che dice: «Se curi una malattia si vince o si perde, se si cura una persona si vince qualunque esito abbia la terapia». Ecco questo per me è veramente speciale. Ho iniziato a fare la volontaria perché volevo aiutare gli altri, ma oggi sono consapevole che ciò che ricevo è molto più di ciò che riesco a dare. Manuela Il lunedì mattina il mio turno in Associazione inizia alle 11.30 e finisce alle 14.30 ma io alle 10.30/11 posteggio la mia auto ed entro in ospedale. Vado a prendere il camice, mi fermo per un caffè alla Marianna e salgo al 2° piano Torre 2. Prima di aprire la Sala Smile do un’occhiata nella Stanza delle Nuvole e mando un salutino a bimbi e colleghe. Entro, mi vesto, firmo il registro presenze e vado a lavarmi le mani. Cerco un collega o un 64 educatore per il passaggio delle consegne e leggo il nostro diario segnandomi per le sostituzioni necessarie. Se servo, inizio con le sostituzioni, altrimenti vado in sala giochi o nelle camere dove non è ancora passato nessuno per conoscere bimbi e genitori. Nel turno del pranzo in genere abbiamo parecchie sostituzioni per i genitori dei bimbi lungodegenti che vanno in mensa. Alle 14.30 lavo le mani saluto bimbi e colleghe, restituisco il camice e torno a casa. Marco Qualche anno fa sono entrato a far parte di un’Associazione che si occupa di bambini ricoverati in ospedale. Avevo già il mio bel daffare a gestire tutto quello che mi capitava in reparto, quando, un bel giorno, mi hanno proposto, senza neanche diritto di replica (o quasi), di entrare a far parte del Consiglio Direttivo dell’Associazione stessa. Oddio, ho pensato, faccio fatica a fare il volontario, figuriamoci il consigliere!!!! Sarà stata la mia incoscienza, o l’inconsapevolezza del ruolo che mi accingevo a ricoprire, fatto sta che ho accettato la candidatura e sono stato eletto. Poco tempo dopo mi sono ritrovato nel bel mezzo della prima riunione. Fortunatamente insieme a me c’era anche Milena (mal comune mezzo gaudio) e la sua presenza mi è stata di grande conforto perché il mio primo mandato (triennale) non è stato del tutto positivo. Il clima che si respirava in quelle riunioni era tutt’altro che familiare, c’erano poche occasioni per proporre idee nuove e quasi tutti gli argomenti all’ordine del giorno erano già stati decisi dalla vecchia Presidente e dal vecchio primario. Io, praticamente, arrivavo a giochi fatti. E che ci vengo a fare a questi incontri se non posso dire e decidere niente? Quante volte mi hai sentito fare questa domanda, vero Mile? Le cose sono andate decisamente meglio quando alla Presidenza sono arrivati rispettivamente Cesare (per un anno circa) e poi Milena. Loro mi hanno ridato quell’entusiasmo, quella voglia di mettermi in gioco, di fare che deve essere alla base dello stare all’interno del Consiglio. Ho così potuto scoprire anche l’altra faccia della medaglia, quella parte di Associazione che decide, organizza, gestisce e coordina un gruppo di persone molto diverse tra loro, ma con un obiettivo comune. Grazie a loro e al fatto di essere consigliere scopro ogni giorno cosa vuol dire mandare avanti un’Associazione come la nostra, so quante difficoltà s’incontrano quotidianamente, come sia difficile mantenersi autonomi e acquisire competenze in materia fiscale per una corretta e trasparente gestione delle risorse finanziarie, trovare ogni anno idee nuove per migliorare la formazione dei volontari e proporre progetti innovativi per migliorare la qualità della vita dei nostri bimbi. È proprio un gran lavoro!!! Lavoro, peraltro, svolto gratuitamente. Il consigliere è una persona votata dai soci, che partecipa alle riunioni del Consiglio Direttivo, che propone, che decide, che discute, che partecipa agli 65 eventi che l’Associazione organizza o che i sostenitori organizzano per l’Associazione, che ascolta i pareri, le idee, le proposte ed anche le critiche, a volte, dei volontari e le riporta in Consiglio con l’intento di migliorare sempre l’attività dell’Associazione. Ci si riunisce una volta al mese (o mese e mezzo) e l’attuale gruppo di consiglieri è formato da una componente di volontari (6), una rappresentante dei genitori (1), due soci non volontari (che sono una sorta di ‘occhio esterno non contaminato’), la tesoriera e la presidente. Far parte del consiglio è molto più interessante perché il gruppo è ben assortito (lo è stato anche il precedente) e anche i nuovi arrivati sembrano apprezzare l’atmosfera delle riunioni. Ed è istruttivo conoscere di volta in volta sempre qualcosa di nuovo che ruota attorno all’Associazione. È un’esperienza che consiglio di fare vivamente a tutti i volontari, almeno una volta. Prendere delle decisioni non è mai facile, in questi anni lo abbiamo constatato di persona, il ‘metterci la faccia’ è una responsabilità, si ha un impegno in più, ma tutto questo ti fa crescere, sia come volontario che come persona. Con un buon gioco di squadra i risultati arrivano tenendo sempre presente ciò che Cesare ci ha insegnato: Quando prenderete una decisione pensate al bene di chi la state prendendo. Non potrete mai sbagliare. Margherita Impara a fare l’uomo «Oggi vado in ospedale». «Perché? Non stai bene?». Sono battute che mi capita di scambiare con qualche amico che, in modo del tutto comprensibile e naturale, considera l’ospedale solo come il luogo della malattia e della cura, qualche amico che non sa, mentre io do per scontato che sappia… Allora spiego: «Scusa. Sì, sto bene. Vado in ospedale come volontaria». Da 11 anni sono volontaria, da 10 sono tutor, da qualche anno sono referente di giornata. Sono comunque volontaria. Tutti nell’Associazione siamo volontari. Ancora oggi è difficile spiegare e raccontare, persino a mio padre, che è medico e che talvolta me lo chiede incuriosito, cosa faccio come volontaria… forse perché non si tratta di fare, ma di esserci, di esserci per prendersi cura, di esserci in punta di piedi, di esserci come terzi, di esserci come presenza leggera. Tutti i giorni sono volontaria: è uno status della mia persona. Il lunedì è il giorno in cui agisco il mio essere volontaria. Durante la settimana mi preparo a quelle tre ore che passo in USC di Pediatria, Centro di Ematologia e Oncologia Pediatrica, USSD Epatologia, Gastroenterologia e Trapianti Pediatrici (che nomi difficili, per dire che sto in mezzo a piccoli eroi malati!); durante la settimana rielaboro quelle tre ore che ho passato nei reparti. 66 Non mi riesce proprio di descrivere un rituale fisso: ogni volta è diverso! Ogni volta ti capita qualcosa: ti capita di giocare con un bimbo allegro e spensierato; ti capita la fatica di un adolescente con cui scatta per miracolo la relazione; ti capita il neonato che piange, inondandoti il camice verde di lacrime e facendoti stringere il cuore; ti capita il genitore che vuole sfogarsi o che semplicemente cerca un interlocutore nel silenzio della sua stanza buia; ti capita il medico o l’infermiera che, appena arrivi, ti catapulta urgentemente a sostituire una mamma o un papà; ti capita il compagno di turno che ha bisogno di condividere e di essere ascoltato… e tu accetti quello che capita. Sei lì per quello! Sei lì. Ecco cosa significa essere volontario: essere lì … lì dove il tempo non è tuo e non è per te, lì dove il tempo scorre in modo diverso o non scorre o scorre velocissimo, lì dove le tue questioni personali non entrano e da dove non dovrebbero uscire pesi troppo grandi, ma solo regali per la tua vita, lì dove comprendi che il tuo dolore è relativo, lì dove capisci che accanto al curare del personale medico c’è il prendersi cura, che rende bella l’esistenza, lì dove girano storie di uomini veri, lì dove non conta quanti anni hai o che professione fai, perché lì sei uomo alla ricerca di altri uomini, lì dove s’impara a fare l’uomo. Non è un’avventura semplice né scontata… quando sei lì, però, sai di non essere solo: sei parte di un gruppo, che è con te e ti accompagna. Ecco perché prima di entrare indossi maglietta e camice, ti procuri il disinfettante e ti lavi le mani, firmi il registro e leggi il diario della settimana, incontri infermieri ed educatori che ti aggiornano sulla situazione del momento… Sono riti? Certo sono passaggi obbligati, ma non un peso: ogni volta assumono un significato nuovo e sono passi importanti che ti preparano alla relazione, ti fanno respirare, ti staccano dalle corse frenetiche della quotidianità. Ripeto che non mi riesce proprio di descrivere un rituale fisso: ogni volta è diverso! Quando ci provo, mi sento ripetere: «Che brava!». Resto convinta che, finché non sei sul campo, non capisci fino in fondo. Non è questione di essere bravi, perché quando esci dai reparti dovresti dire GRAZIE: ti senti appiccicati addosso non i difetti delle persone incrociate, come diceva Seneca, ma i loro pregi, la loro energia, la loro bellezza, la loro voglia di vivere. Ti senti più uomo. Mariangela È martedì e sono quasi le 9.00 del mattino, ho finito di lavorare e l’ospedale mi aspetta, di corsa mi dirigo verso lo spogliatoio all'armadietto 141, dentro ci sono i miei vestiti, la maglietta dell’Associazione, tesserino e chiavi, mi cambio in fretta e via in macchina verso casa. 67 Lascio la macchina e prendo la bicicletta (abito di fronte all’ospedale) e in due minuti sono lì. Vado a prendere il camice e salgo in reparto, Torre 2 piano 2, firmo il registro delle presenze e leggo il diario per sapere se ci sono comunicazioni, comunque chiedo alle compagne di turno che sono arrivate prima di me se c’è qualcosa che devo sapere. Se non ci sono urgenze, ci prendiamo un caffè alla macchinetta e poi si parte. Solitamente ci dividiamo così: due di noi stanno di sopra e due scendono nei Trapianti da basso, si bussa alle porte dove è permesso entrare e si chiede se il genitore ha bisogno di una sostituzione, si cerca di capire se ha voglia anche solo di parlare un po’ o se il bambino vuole fare qualcosa, magari giocare, leggere, fare una partita a carte. C’è anche chi ti ‘prenota’ per un orario particolare allora ci si accorda. Se in quel momento nessuno ha bisogno, la Stanza delle Nuvole è sempre trafficata e qualcosa da fare si trova: nomi da scrivere e mettere sulle porte, qualcosa da colorare, qualche genitore che ha voglia di fare quattro chiacchiere e così il tempo vola via, sono già arrivate le 12.30 circa e, quindi, è quasi ora di ritornare a casa. Consegno il mio camice e vado a riprendere la mia bicicletta sentendomi un po’ più ricca di prima. Mariella La tutor Quando tempo fa, qualcuno mi ha telefonato e mi ha proposto di fare la tutor e devo dire che sono rimasta sorpresa e nello stesso tempo impaurita. Ho chiesto spiegazioni perché non sapevo bene che ruolo potessi avere e la cosa all'inizio mi ha spaventata perché ho capito subito che avrei avuto una responsabilità. Accidenti che paura! Ma poi, pensandoci, mi ha fatto piacere perché mi sono sentita ‘considerata’: qualcuno apprezzava il mio modo di fare e di essere! È un compito molto difficile e impegnativo, ma mi piace il fatto di poter far capire agli altri quanto sia importante fare del bene e quanto l'esperienza di volontariato ti arricchisca dentro. Non mi sento superiore per via dell’esperienza accumulata durante la mia missione, ma mi sento orgogliosa di poter trasmettere la mia passione nel voler far del bene. Accompagno il futuro nuovo volontario nel nostro viaggio e quello che mi dà maggior piacere è il fatto di essere riconosciuta sempre per il grande valore che do a quello che faccio. Milena PRESIDENTE Faccio mente locale nei ricordi e nelle date, vediamo se ce la faccio: nel 2004 divento volontaria Amici della Pediatria, nel 2006 contemporaneamente segretaria e consigliera e nel 2008 anche tesoriera. Nel 2009 mi rendo conto che l'impegno è importante in questi quattro ruoli e decido a malincuore di lasciare il turno in corsia per dedicare le mie 68 energie a tutto il lavoro organizzativo e amministrativo. Sono dispiaciuta, ma prometto a me stessa di non perdere mai di vista la corsia, i reparti, gli operatori sanitari, ma soprattutto bambini e famiglie, anzi ora potrò avere uno sguardo più attento. Nel 2012 divento Presidente: mamma mia che emozione, mi tremavano le gambe; erano già tre anni che mi sentivo dire che dovevo diventarlo! Ed eccomi qui nel mio nuovo ruolo che di fatto incarna un po' tutti gli altri già ricoperti e sono certa mi permetterà di avere uno sguardo completo proprio grazie ai percorsi già fatti e ai ruoli ricoperti in questi anni. Presidente, che parola importante, rappresenta un incarico (comunque volontario) per il quale sei guardata, osservata e, a volte, anche giudicata. Cosa fa il Presidente degli Amici della Pediatria? Tanteeeeee cose… forse fare una ‘lista della spesa’ aiuta: rappresento l'Associazione sia dentro l’ospedale sia fuori, sul territorio incontro e collaboro con diverse persone o gruppi: Consiglio Direttivo, Assemblea dei soci, volontari, Direzione ospedaliera, operatori sanitari, educatori, coordinatore dei volontari, referenti di giornata dei volontari, gli aspiranti volontari, i tutor incontro e coinvolgo: soci, sostenitori, aziende, privati e famiglie mantengo il contatto con: istituzioni, banche, fondazioni, associazioni mi occupo della contabilità e della segreteria sempre in contatto e collaborazione con la segretaria-tesoriera scrivo lettere e mail di diversa natura e ai destinatari sono i sopracitati mi occupo della newsletter, del web e dei social network creo la grafica, realizzo fotografie e organizzo gli eventi dell'Associazione internamente e supervisiono quelli esterni, nell’intento di salvaguardare il corretto utilizzo del nome e dell'immagine dell'associazione acquisto materiale, giochi, libri, ecc… per gli spazi ludici, la segreteria e per il reparto Sulla mia testa c’è quella spada chiamata: Legge. E già, quando si assume il ruolo di Presidente si diventa anche il legale rappresentante dell’Associazione con tutti gli oneri che ne derivano. Tante volte mi sento chiedere: «Quanto tempo dedichi alle attività dell’Associazione?». Non so dare una risposta, non so quantificare il tempo 69 in modo preciso, ma la borsa con tutte le mie cartelline perfettamente organizzate in settori è sempre con me e quindi mi capita di occuparmi di alcune questioni durante la mattinata o il pomeriggio, per la maggior parte la sera e la notte, oltre il sabato e la domenica. A volte è tardi, sono stanca della giornata lavorativa, oppure fuori piove e vorresti solo stare sul divano a leggere un libro, ma dedicarmi a qualcuna di queste attività non è mai un peso, perché so che sto facendo qualcosa per, come dico io, i nostri bimbi e quindi pufff tutto diventa più leggero e si concretizza in nuove azioni. C'è una cosa nella quale mi impegno molto ed ho deciso che merita ogni mia attenzione possibile: avere uno sguardo che vede, guarda ed osserva tutto il mondo che si chiama Amici della Pediatria… Il caro Cesare me lo ha insegnato: il Presidente deve essere attento e vigile, anche se non è sempre semplice, è però molto importante. Dedico a questo davvero il massimo delle mie energie, perché ogni componente dell’Associazione si senta parte di un gruppo dove è pensato. Tempo fa una ex-volontaria mi disse: «Se diventerai Presidente preparati alla solitudine, perché è questo il destino di chi ricopre certi ruoli». Devo ammettere che, fortunatamente, per quel che mi riguarda non è andata così… ho iniziato il mio quarto anno e posso affermare di non essermi mai sentita sola, anzi la vita attorno al Presidente è davvero affollata a testimonianza concreta che un gioco di squadra permette, insieme, di raggiungere gli obiettivi. Stefania Volontaria, tutor, referente, vicepresidente, volontaria… ho iniziato con volontaria e ho terminato con volontaria perché questa figura racchiude tutte le altre, non sarei mai stata tutor, ora referente e vicepresidente se non avessi avuto la fortuna di iniziare a essere una volontaria dell’Associazione Amici della Pediatria di Bergamo. Sono una volontaria dell’Associazione e negli anni mi sono evoluta come del resto si è evoluta l’Associazione. Partiamo dalla figura del tutor che è nata dopo diversi anni che ero nell’Associazione. Quando mi hanno chiesto di diventarlo, dopo averci riflettuto un attimo, ho intrapreso con tanto entusiasmo questa nuova avventura. Proprio ripensando alla mia esperienza personale fin dalla prima volta in reparto, questa figura mi è sembrata subito utilissima. Il compito del tutor è quello di accompagnare il nuovo volontario in reparto per almeno otto settimane, dimostrargli sul ‘campo’ quanto appreso negli incontri teorici, ma soprattutto di passagli l’entusiasmo e la passione necessaria per fare volontariato. 70 Queste otto settimane sono cadenzate da un iter che accomuna tutti i tutor e di conseguenza tutti i nuovi volontari: prima di incontrarsi in reparto, solitamente il tutor e il nuovo volontario hanno avuto l’opportunità di incontrarsi a una riunione informativa in modo da essersi non solo visti ma anche un po’ ‘misurati’. Il primo giorno in reparto, si legge il codice etico, rimarcando quali sono i nostri doveri di volontari e si fa un giro per il reparto per vedere come si suddivide e dove si trova chi e cosa, si sale al quarto piano per conoscere la sede dell’Associazione. Dalla volta successiva s’inizia il giro delle stanze per vedere bisogni e necessità, si fanno delle sostituzioni e il tutor è sempre in compagnia del nuovo volontario e poi verso la sesta o settima settimana, si valuta se il nuovo volontario è in grado di potersi gestire da solo. A quel punto il tutor resta qualche passo indietro, senza perderlo mai di vista. Nel frattempo il tutor sente o incontra le coordinatrici dei volontari e fa loro una relazione sul percorso fatto, raccontando certezze, dubbi, perplessità. Alla fine di queste otto giornate di compresenza con il tutor, il nuovo volontario è chiamato a sostenere un ulteriore colloquio con la coordinatrice/psicologa dei volontari e se verrà considerato idoneo, indosserà la maglietta dell’Associazione, riceverà le chiavi della Sala Smile e pagherà la quota associativa. Fare il tutor è un’esperienza molto bella e lo consiglio a tutti coloro che da un po’ di tempo sono nell’Associazione perché è un modo per rispolverare certe regole/comportamenti /attenzioni che un volontario vecchio finisce per dare un po’ per scontate, ma che scontate, invece, non sono mai. In questi ultimi anni mi è stato chiesto di fare la referente di giornata. Mi avevano detto «provvisoriamente, per un paio di mesi» e in realtà sono passati due anni… La referente di giornata è il trait d’union tra l’Associazione e i volontari di quella giornata: raccoglie i bisogni e le proposte dei volontari della sua giornata, gli eventi o le necessità particolari come per esempio i doppi turni, le disponibilità dei suoi volontari e comunica poi tutto alla coordinatrice. La referente di giornata s’incontra una volta al mese con il GCV, Gruppo Coordinamento Volontari composto da tutti i 7 volontari referenti di giornata, la presidente dell’Associazione, gli educatori ed il presidente della Cooperativa degli educatori. A quel tavolo si portano le proposte, i bisogni e le necessità dei volontari della propria giornata, si organizza la programmazione dei laboratori e delle attività da svolgere in quel periodo, si trattano problematiche del reparto che riguardano direttamente i volontari. Infine la referente informa i propri volontari di giornata su quanto emerso dalla riunione. 71 La referente di giornata come il tutor sono figure che sono state istituite per garantire il miglior benessere possibile ai volontari. Vicepresidente: premetto che sono solo al mio secondo mandato come consigliera nell’Associazione e ho deciso di intraprendere questa nuova avventura quattro anni fa un po’ per curiosità, un po’ perché era in atto nell’Associazione una serie di cambiamenti e l’idea già da un po’ mi ‘frullava per la testa’ e quindi, quando mi è stato offerto il ruolo di consigliere ho accettato con entusiasmo e anche con un po’ di timore. A metà percorso del primo triennio, mi è stato chiesto se volevo fare la vicepresidente, ci ho pensato molto ed infine ho accettato con tanto orgoglio. Quando ho accettato di entrare nel Consiglio avevo un po’ di timore, quando ho accettato di fare la vicepresidente avevo 1000, che dico?, 10000 paure e ansie. Il compito della vicepresidente sarebbe quello di sostituire la presidente nel caso di una sua assenza/impedimento o cessazione di incarico, ma chi conosce la nostra Associazione, mi sa dire chi sarebbe in grado di sostituire la nostra attuale Presidente?!! 72 I principi guida dell’Associazione Non perdere mai di vista il benessere del bambino/genitori Migliorare l’assistenza in reparto Gioco di squadra Sensibilizzazione opinione pubblica/istituzioni Formazione continua dei volontari Formazione continua operatori sanitari Benessere dei volontari Serietà e senso di appartenenza Non ci sostituiamo all’ospedale ma siamo a sussidio ed integrazione Innovazione Aggiornamento Autonomia (politica e religiosa) Ponderabilità delle proprie risorse Ho scelto la sensibilizzazione opinione pubblica/istituzioni Barbara Non perdere di vista il bene del bambino e della famiglia Circa due settimane fa durante il mio turno nel reparto Trapianti ho vissuto un’esperienza che mi ha profondamente toccata. Ero entrata nella stanza di una bimba nata prematura per fare visita a lei e alla sua mamma con la quale mi trattengo spesso a chiacchierare piacevolmente. La piccola viene alimentata con un sondino e la mamma, con il parere favorevole dei medici, sta provando a darle il latte con il biberon per stimolare la suzione. Quella mattina, dopo diversi tentativi infruttuosi, la mamma era un po’ scoraggiata e allora le ho suggerito, approfittando della mia presenza nella stanza, di prendersi una pausa e di andare a bersi un caffè. Poco dopo l’allontanamento della signora, la bimba ha cominciato a respirare un po’ affannosamente e io, d’istinto, l’ho sollevata dal lettino, l’ho presa in braccio tenendola in posizione eretta e così facendo ho favorito un suo rigurgito di latte. Con la piccola in braccio ancora in difficoltà, ho immediatamente suonato il campanello e in brevissimo tempo è arrivata un’infermiera che è intervenuta prontamente. Ero preoccupata e molto dispiaciuta di vedere quella cucciolina in difficoltà e anche quando l’infermiera, visto che la situazione si era normalizzata, si è allontanata sono restata con lei in braccio in posizione eretta sino al ritorno della mamma. Con l’infermiera, tornata per controllare la situazione, abbiamo informato dell’accaduto la signora che si è dispiaciuta per me, per la preoccupazione che avevo vissuto, e temeva che potessi in futuro evitare di tornare nella 73 loro stanza. L’ho subito rassicurata: ero molto contenta di essere stata d’aiuto, vigile e attenta nel momento del bisogno. Daria Sensibilizzare l’opinione pubblica La montagna è grande maestra di vita: è silenziosa e non impone le sue lezioni a nessuno però abbraccia con la sua immensa saggezza e spalanca orizzonti sempre nuovi a chi sceglie di esplorarla Da nove anni nell’Istituto Comprensivo in cui lavoro viene attivato il progetto SolidarMente, una proposta pensata per gli studenti, le loro famiglie, i docenti e tutti coloro che vivono la scuola, come occasione di crescita personale e di riflessione sui bisogni degli altri. L’idea ambiziosa è quella di offrire nell’arco degli undici anni di frequenza della scuola - nei tre diversi ordini - la possibilità di conoscere undici realtà diverse che operano in modo gratuito e per il bene di persone e/ o situazioni particolari. È già qualche anno che, in fase progettuale, viene valutata l’opportunità di sostenere per un intero anno scolastico l’Associazione Amici della Pediatria, ma le situazioni contingenti hanno più volte portato a dare priorità ad altre realtà. È giugno 2014 quando ho la netta percezione che l’anno scolastico 2014-2015 sarebbe stato quello giusto per far entrare Amici della Pediatria in modo capillare non solo in tutto l’Istituto - 1600 studenti -, ma nell’intera cittadina. Nascono le prime idee, ma prima di stendere il progetto, per poi seguire l’iter burocratico richiesto dalla scuola, mi sono consultata con il direttivo dell’Associazione per capire se la proposta potesse interessare, ma soprattutto se ci fosse disponibilità nel supportare e seguire la scuola nell’intero percorso formativo, dove l’obiettivo prioritario non è il raccogliere oggetti o denaro, ma è il conoscere e riconoscere bisogni specifici per sviluppare poi atteggiamenti di partecipazione e intervento attivo. È luglio 2014 quando ricevo il nullaosta e il pieno sostegno da parte del direttivo. Non ci sono parole per descrivere cosa sia successo da ottobre a oggi nell’IC Solari: - I bambini, i ragazzi e gli adulti hanno accolto con entusiasmo la proposta fatta e si sono messi in profondo ascolto di una realtà così vicina a loro, ma forse così immensamente distante. Hanno ascoltato, 74 hanno fatto riflessioni profonde e si sono interrogati sulla vita, sulla sofferenza e sulla morte. Hanno riflettuto sul significato dell’essere volontari da una prospettiva molto particolare. - I bambini i ragazzi e gli adulti si sono poi interrogati su come partecipare la loro presenza ai bambini ricoverati, alle loro famiglie, ai tanti medici, infermieri e volontari che ogni giorno si prendono cura di loro: ecco allora che i più piccoli hanno creato letterine colorate per abbellire le stanze degli amici ricoverati; in tutte le scuole si è organizzata una raccolta di giochi e materiale didattico nuovi; alcuni adolescenti si sono trasformati in renne della solidarietà e hanno scorrazzato in lungo e in largo per la cittadina alla ricerca di sponsor della solidarietà; alcuni bambini hanno organizzato un mercatino dell’usato e l’intero ricavo lo hanno devoluto all’Associazione; alcune ditte hanno deciso di fare donazioni spontanee; in una ditta gli operai hanno deciso di autotassarsi per sostenere il progetto; alcuni esercizi commerciali sono diventati punti di raccolta fondi; alcune famiglie hanno condiviso di rinunciare ai doni di Natale preferendo contribuire in modo significativo all’acquisto di strumentazione per la cura dei bambini. È davvero straordinario quanto il bene sia contagioso e come questa esperienza testimoni, ancora una volta, che anche i piccoli possono fare cose grandi! Non posso nascondere di aver vissuto momenti di disorientamento di fronte a impegni condivisi, concordati ma poi disattesi da parte dell’Associazione. Alcuni colleghi mi hanno chiesto: «Ma chi te lo fa fare? Stai cercando di tamponare e di proteggere con tutta te stessa quest’Associazione, ma… non è meglio lasciare perdere?». Mi ha fatto male, molto male, sentirmelo dire perché è stata toccata una delle dimensioni più significative della mia vita. Mi sono fermata e mi sono chiesta se e perché sia importante che un’Associazione come Amici della Pediatria debba investire tempo e risorse nell’aiutare a conoscere e a sensibilizzare rispetto a uno spaccato così particolare di realtà, ma soprattutto se tale investimento debba partire fin dalla tenera età. Mi risponde la maestosità e la saggezza della montagna: «Se vuoi costruire un mondo a misura di bambino devi partire proprio da loro: spalanca i loro orizzonti, sveglia in loro il senso del vero, il senso del bene e il senso della meraviglia; sii guida sicura e credibile nel loro cammino… e quando saranno adulti non potranno che aprirsi alla pienezza della vita e non fare altrimenti!». 75 Giovanna La frase non perdere di vista il benessere di un bambino include tantissime tematiche, rapportate alla famiglia, significa farlo crescere con valori sani, nutrirlo, farlo vivere in una famiglia dove senta e si senta l’unione e l’affetto di tutti, una casa confortevole, insomma tutto ciò che lo possa portare ad una crescita serena; posso altrettanto affermare, che l 'Associazione Amici della Pediatria non manca di far sentire questi valori agli ospiti dell’ospedale. In particolare mi ricordo di un episodio che mi fa fatto risuonare questi valori. Un venerdì come tanti incontriamo nel corridoio esterno la mamma di una ragazza (molto conosciuta dai volontari) che ci informava della presenza della figlia in chirurgia pediatrica; appena ci ha viste ci ha abbracciato ed il viso gli si è illuminato, la sua richiesta immediata è stata quella di passare a salutare B. Premetto che il reparto dove si trovava non è di nostra competenza ma la risposta è stata subito «Sì». B. quando ci ha viste, nonostante non fosse nella sua forma migliore, è rimasta contentissima, ha chiacchierato con noi, e ci faceva presente che i volontari dell’Associazione gli mancavo tanto, essendo persone molto aperte solari e creative senza le quali il soggiorno in ospedale risultava pesante. Lei e la mamma si sentivano abbandonate, annoiate e sole. Terminata la visita le abbiamo salutate a malincuore, in quanto avevamo percepito il loro malessere, ma nello stesso tempo ho visto l’apprezzamento del malato e del genitore che nutre nei confronti del volontario di questa Associazione. Laura Uno dei principi fondamentali della nostra Associazione, direi anzi quello principale da cui si diramano poi tutti gli altri, è “non perdere di vista il benessere del bambino ricoverato e della sua famiglia”. Posto che ognuno di noi si adopera con continuità e al meglio delle proprie capacità per validare questo principio, vi racconto un episodio in particolare, abbastanza recente, che mi è rimasto impresso e che credo sia esemplificativo. Un martedì di qualche settimana fa, durante il turno, parlo con il collega educatore il quale, munito di laptop dell’Associazione, sta per recarsi in una stanza con l’intenzione di stabilire un contatto con una paziente dell’area Trapianti, arrivata da poco. Scopro che si tratta di una ragazza adolescente, qui con la madre, ed entrambe non parlano italiano. Sono russe. Qualche parola d’inglese la madre, forse…. Sperando di riuscire a riesumare qualcosa dalle reminiscenze dei miei studi di russo che risalgono, ahimè, a oltre 30 anni fa, mi offro di accompagnarlo. 76 Vedo che s’illumina, entusiasta e mi armo di coraggio mentre andiamo verso la stanza. La ragazzina è bionda, esile, molto timida, ma probabilmente, rettifico, certamente, anche molto spaventata. È vero che non spiaccica nemmeno una parola d’inglese (ma non lo studiano, nel loro Paese??) Saluto lei e la mamma nella loro lingua: «Ciao! Io mi chiamo Laura. Tu come ti chiami ?». Non riesco ad articolare molto più di questo in conversazione, ho dimenticato quasi tutto a causa del mancato uso di questa lingua e nel poco che ricordo sono anche ‘arrugginita’, ma serve a rompere il ghiaccio e vedo che ha un effetto benefico! Con l’aiuto del traduttore di Google, qualche altra parola in russo e un po’ d’inglese che la mamma si sforza di usare, scopriamo l’età della ragazzina e anche da dove vengono: catapultate da una città fredda del nord della Russia in una Italia sconosciuta dove a loro sembra estate. Riusciamo a farci raccontare com’è composta la loro famiglia, cani e pesci inclusi, com’è il clima nella loro zona, e ci mostrano sul telefono alcune foto della casa, della famiglia, del paesaggio. L’atmosfera nella stanza si è sciolta, alleggerita, la mamma è simpatica, espansiva, scherziamo sul confronto tra temperature Italia/Russia e sul fatto che la ragazzina da perfetta adolescente, adora stare incollata allo smartphone! Anche la ragazzina sorride e sembra apprezzare i nostri sforzi di comunicare. Riusciamo a capire cosa lei desidera fare, ovvero disegnare e fare braccialetti e le forniamo il materiale. Non è interessata a proposte di giochi, preferisce la lettura e quindi m’impegno a cercare nella nostra Biblioteca qualche libro in russo, non sono certa che ve ne siamo. La sensazione, uscendo dalla stanza tra i saluti, i loro sorrisi e ringraziamenti, è davvero quella di aver contribuito all’accoglienza di questa ragazza e di sua madre ritrovatesi in una realtà così diversa dalla loro e in una situazione clinica che spaventerebbe chiunque. Liliana Il Principio Trasformato da una Parola: la Formazione Avevo preso la decisione, volevo fare la volontaria. Ero motivata, me lo suggeriva il cuore e lo sosteneva la ragione. Avevo del tempo libero finalmente, non dovevo sprecarlo, dovevo realizzarlo. Quando entrai in ospedale, quello di Largo Barozzi a Bergamo, quello che veniva chiamato Maggiore, una mattina di fine ottobre del 2003, dodici anni fa all’incirca, ero d’umore incerto per l’incognita che mi aspettava. Chi avrei incontrato? Cosa mi avrebbero risposto? «Può indicarmi dove è la sede degli Amici della Pediatria?» chiesi a un’infermiera. «Non so», rispose, «provi ad andare da quella parte, a metà corridoio dovrebbe esserci l’ufficio!». C’era. Sentii subito parlare della 77 Formazione. «Per diventare volontaria deve seguire un corso di formazione e avere un colloquio finale», mi disse alla fine della chiacchierata una delle signore presenti. Me lo disse seccamente, senza tanti fronzoli. Era una psicologa, aveva il ‘pancione’ e molti anni meno di me. L’umore incerto scivolò nell’inquietudine. Salutai, presi accordi sulle date, uscii dall’ospedale. Quel giorno, quello che per me, nella mia mente, sarebbe stato di pacifica soluzione di un’aspirazione che mi riempiva la vita, si risolse in un momento di perplessità. Eppure mi consolai «Ok faremo il corso e sosterremo il colloquio». Punto. La formazione. Ovviamente conoscevo la parola, ma non era com’è oggi. Oggi la leggo con una valenza diversa, la interpreto come la colonna sonora di un film che si chiama Volontariato e di cui anch’io ho una parte, insieme con tanti altri. La formazione, come la spiega il vocabolario Zingarelli nella accezione figurata della parola è Maturazione delle facoltà psichiche e intellettuali dovuta allo studio e alla esperienza. Non male, anzi direi bene Ci siamo: i Principi che sono alla base dell’Associazione Amici della Pediatria riassunti in questa parola. Mi piace! Mi sono arricchita di conoscenze e mi sono lasciata plasmare da essa. Puntuale. Specialistica. Divertente. Intelligente. Parole ad hoc. Quando ripenso a me, in quella mattina di fine ottobre 2003, con la sicurezza dell’essere mamma e insegnante, mentre mi approcciavo verso un mondo che credevo di conoscere, quello dei bambini, dei ragazzi anche se ospedalizzati, vedo tutto il cammino fatto. Oggi provo un sentimento di gioia per avere accettato di passare attraverso la porta che si chiama Formazione ed essere arrivata qui. Loredana Non perdere di vista il bene del bambino e il supporto alle famiglie Per il sorriso di un bambino... Questa piccola frase è il fulcro e il senso della nostra Associazione. Quasi uno slogan, ma di certo non una frase fatta. Il sorriso di un bambino te lo devi guadagnare, ci devi saper fare, non è dato per scontato. Per cui il giorno che riuscii a strappare tre sorrisi in un colpo solo e per di più prolungati nel tempo ve lo voglio proprio raccontare... Ero da poco arrivata quando notai un bimbo dal visino annoiato, un po' triste, subito mi avvicinai a lui invitandolo a giocare, accettò subito la sfida a calcetto. Devo dire che me la cavo abbastanza bene, ma non sapevo chi avessi davanti. Giocava bene, tiri precisi, parate degne di Buffon, la partita era alla pari. Arrivarono i genitori e invitai anche loro, accettarono subito; il papà con il figlio e la mamma con me. 78 Eravamo talmente concentrati che non ci accorgemmo subito di avere anche un pubblico che faceva il tifo. Quante risate, pure alcune imprecazioni e qualche azione contestata, insomma una vera partita che alla fine fu vinta dalla coppia padre e figlio. C’era aria d'allegria, visi contenti, un momento di spensieratezza che aveva coinvolto tutta la famiglia. Per congedarci ci fu una stretta di mano e un abbraccio caloroso dove la mamma mi sussurrò all'orecchio che aveva sei figli e un calcetto a casa e giocavano sempre! Ecco svelato il motivo di cotanta bravura! Questo è un momento che custodirò con piacere nei miei ricordi felici che con altri costituiscono il grande tesoro di emozioni che mi vengono regalate ogni volta che accadono. Se un semplice gesto come una partita a calcetto può servire ad alleggerire il carico della sofferenza e può aiutare chi vive nella malattia a non pensare al disagio in cui si trova, anche solo per un momento, per me diventa qualcosa di veramente speciale che mi rende orgogliosa di appartenere a questa Associazione. Quel giorno ho centrato l’obiettivo, ho fatto goal! Manuela Non perdere di vista il bene del bambino e il supporto alle famiglie Questo è il principio che vivo maggiormente in reparto durante il mio turno settimanale. È il mio obiettivo ogni lunedì mattina. Non è sempre facile portarlo a termine con successo, ma quando i genitori o i bimbi me lo fanno notare, mi riempio d’orgoglio. Un po' di tempo fa in Oncologia ho faticato per conquistare la fiducia di un ragazzino non molto espansivo, ma alla fine ce l’ho fatta sia con lui sia con la sua mamma. Un lunedì, facendo il mio solito giro, sono passata a salutarlo ed era molto arrabbiato e triste. Ho cercato di chiacchierare un po’, di invogliarlo a giocare, ma mi sono ritrovata davanti un ‘muro’. Sono uscita amareggiata e ho pensato: tra un po' ci riprovo! Qualche minuti dopo, ho trovato la mamma in corridoio che mi ha spiegato i danni procurati dalla Chemio. Così sono ripassata da lui che, spinto dalla madre, mi mostra un raccoglitore di banconote e monete di altri Paesi del mondo. Ci siamo divertiti a scoprire le provenienze di quelle monete, passando un’ora tranquilla. Nel frattempo ho pensato che a casa avevo parecchia valuta straniera di pochissimo valore portata dai viaggi fatti con la mia famiglia e mi sono ripromessa di portargliela! La settimana successiva mi sono presentata col mio bel sacchettino di monete e anche qualche contante di carta. Mi ha fatto un sorriso enorme e mi ha anche dato un bacio. La mamma mi ha detto: «Allora è vero: gli angeli esistono». Mi ha abbracciato e baciato commossa. Io credo che la mia Associazione abbia il dovere di esistere per il sorriso o l’abbraccio anche solo di una mamma. 79 Marco Sensibilizzare l’opinione pubblica e le istituzioni Sono in Consiglio Direttivo e fra i vari argomenti all’ordine del giorno si discute sul modo di trovare nuove idee e proposte per finanziare i progetti che l’Associazione sta portando avanti. È da qualche giorno che mi ‘frulla in testa’ una cosa e decido di sottoporla al Consiglio. Cercare di coinvolgere una realtà locale, famosa, ahimè, per altri motivi, ma che mi risulta che sia molto sensibile alla solidarietà e beneficenza: si tratta degli Ultras della Curva Nord dell’Atalanta. I visi dei vari consiglieri non mi hanno restituito lo stesso entusiasmo con il quale ho esternato la mia idea, ma non mi sono dato per vinto e tramite il marito di una mia compagna di turno al venerdì, io e Milena abbiamo incontrato una delegazione di tifosi composta dal capo ultrà e dai suoi fedelissimi compagni in un bar della Malpensata. Ricordo il viso impaurito di Milena appena messo piede nel bar. Questo incontro aveva lo scopo di conoscerci reciprocamente, far capire loro chi eravamo e cosa facevamo, il motivo che ci aveva spinto a contattarli ed il modo, se esisteva, di iniziare eventualmente una collaborazione. Anche da parte loro c’è stata fin da subito la volontà di farci capire chi erano, che cosa facevano, la reputazione che avevano per l’opinione pubblica bergamasca, la posizione scomoda di coloro che collaboravano con gli Ultras e i pregiudizi della gente nei confronti di un gruppo di persone che aveva, sì, commesso degli errori, ma che aveva sempre pagato in prima persona. Gente che puntualmente però dimenticava che ci sono anche altri aspetti, quelli positivi, quelli che non fanno notizia, quelli che non appaiono sui giornali tipo la sensibilità e la generosità nei confronti di chi ha bisogno e che gli Ultras hanno sempre dimostrato negli anni. La nostra collaborazione ha avuto inizio ufficialmente alla festa della Dea, nel luglio 2013, dove siamo stati invitati a partecipare, avendo a nostra disposizione un’area dedicata. Un evento, questo, che richiama ogni sera circa 10000 persone, tra cui moltissime famiglie e bambini e che ha nella sesta ed ultima serata il suo culmine con la consegna, alle varie associazioni, di quasi tutto il ricavato della festa. Qualche tempo dopo abbiamo invitato gli Ultras a venirci a trovare in reparto, per vedere di persona cosa facevano gli Amici della Pediatria. Si sono presentati in 40 persone (o forse di più) che in maniera educata, composta e rispettosa hanno visitato il reparto pediatrico dell’ospedale e hanno potuto verificare la serietà dell’Associazione che stavano aiutando. Ricordo l’emozione disegnata sui loro volti al termine della visita, la gratitudine per quello che avevano vissuto quella mattina, la richiesta di cosa potevano fare per aiutarci ulteriormente. Spettacolari! Devo dire, con un pizzico di orgoglio, che la nostra collaborazione continua, tanto è vero che siamo stati ancora loro ospiti in occasione della festa della Dea 2014 con ben due postazioni a disposizione, una dedicata all’Associazione e 80 una dedicata al gioco, con tanto di trucca-bimbi e una per i giochi d’altri tempi. Le nostre attività hanno avuto un impatto positivo anche all’interno del gruppo Ultras tanto è vero che c’è stata una sorta di sensibilizzazione tra di loro cui sono seguiti iniziative ed eventi a nostro favore. C’è stata una seconda visita in reparto altrettanto emozionante e che li ha visti protagonisti assieme a noi volontari di una festa di compleanno organizzata per una ragazzina degente in reparto. Sono molto contento di aver condiviso questa festa con i Ragazzi della Curva Nord. Grazie di cuore, Ultras, per tutto quello che avete fatto per noi e con tutta quella passione che solo i veri tifosi hanno dentro di loro, per aver dimostrato ancora una volta che esiste anche l’altra faccia della medaglia e per aver confermato una volta di più che quella sera in Consiglio avevo ‘visto giusto’. Margherita Serietà e senso di appartenenza Nella vita incontri persone di cui ti puoi fidare e altre sulle quali non puoi sempre contare, non perché siano cattive, ma perché costituzionalmente sono così. Dunque ci sono persone affidabili e altre meno: dipende dalla loro serietà e dalla loro precisione. Se affidi un incarico a qualcuno, devi essere certo che lo esegua; se chiedi un favore a qualcuno, desideri che te lo faccia; se chiedi informazioni o spiegazioni, vuoi che siano chiare e precise. È affidabile chi rispetta tempi e regole, chi non si lascia spaventare da fatica e impegni, chi mantiene la parola data, chi è preciso in ciò che fa per sé e per gli altri, perché all’altro ci tiene, desidera vederlo soddisfatto e contento e si sente gratificato se l’altro è riconoscente, in modo esplicito o indiretto. Gli Amici della Pediatria sono affidabili … Quando nasce in te la fiamma del volontariato, pensi: «Vado e faccio del bene, quando posso, quando voglio, come mi viene». Se poi hai in mente il volontariato con i bambini, dici a te stesso: «Mi diverto con loro, li faccio giocare, passo alcune ore spensierate». Erano questi i miei pensieri, le idee che mi giravano in testa undici anni fa. Poi, sin dai primi incontri di formazione, capisci che non stanno così le cose. Non ti avvicini da solo ai bambini, come e quando vuoi: esiste un gruppo con delle regole, con un codice etico, con una formazione obbligatoria, con dei turni, degli orari, dei giorni fissi. Se accetti il gruppo, accetti tutto. È questa la sua forza: precisione e rispetto delle norme fanno degli Amici della Pediatria un’Associazione affidabile. Ricordo un’aspirante volontaria di qualche anno fa, affidatami perché la accompagnassi come tutor in reparto. X (la chiameremo così!) arriva perennemente in ritardo, non di uno o due minuti, ma di mezz’ora – un’ora! La puntualità non è proprio il suo forte: passi una volta (C’era traffico), passi la seconda (Ho avuto un problema di lavoro), passi la terza (Mio figlio 81 non sta bene). Le capita proprio di tutto! Glielo faccio notare: X se la prende un pochino, un po’, un po’ tanto, come se non fosse una questione grave. «Vero», le dico, «ma il rispetto del proprio turno è un segnale di serietà nei confronti degli altri volontari e dell’Associazione, che garantisce una copertura giornaliera sicura alle famiglie. È un dettaglio, certo, ma spia di un generale senso di appartenenza». Dopo averci ragionato per una settimana, X mi dà ragione. X è tuttora una volontaria. Anni dopo mi si presenta una situazione analoga con Eleonora (nome di fantasia), una donna di mezza età, aspirante volontaria, con vari problemi personali. Eleonora aspetta il Lunedì per sfogarsi con me delle sue ansie: lungo i corridoi non fa che parlare di sé, qualunque realtà incrociamo nelle stanze. Inoltre si presenta una volta sì e una no, quando va bene, una sì e tre no quando c’è qualcosa di particolare, sempre rigorosamente in ritardo e senza giustificazioni valide. Frequenti sono le sue lamentele per la ‘lunga’ formazione affrontata e costante l’indifferenza alle mie indicazioni. «Al volontario non interessa la malattia del bambino», le ripeto in continuazione. Ma la curiosità è la sua molla vitale; è più forte di lei: deve sapere. La goccia che fa traboccare il vaso però è questa: incontriamo una mamma disperata nel corridoio, accanto alla barella di suo figlio pallidissimo, in attesa del ricovero. Prima di qualsiasi altra informazione Eleonora chiede: «Cosa ha suo figlio?». Fermi tutti. La prendo in disparte e le faccio notare che forse non fa per lei questa attività. Alla sua risposta «Mi pare educato e normale chiedere», sottolineo che nell’Associazione si fa squadra: «O accetti alcune indicazioni o non ci siamo». Eleonora non è mai diventata volontaria. Non si tratta di rigore eccessivo, ma di un grande rispetto nei confronti delle famiglie e di una particolare attenzione da parte dei volontari, che hanno un forte senso di appartenenza e seguono, perché le condividono, alcune linee guida, pienamente disponibili ad adeguarle ai tempi che evolvono, ma convinti che alla serietà non si potrà mai chiudere la porta. Mariangela Il benessere del bambino Credo che questo sia per me uno dei principi fondamentali, il bene di ogni piccolo o grande ospite e di conseguenza della sua famiglia. Ci sono parecchi episodi che mi vengono in mente per poter descrivere le tante volte in cui si è cercato di far star bene il bambino ma uno in particolare lo ricordo con piacere. Saranno passati circa tre anni eravamo ancora nell'ospedale vecchio e feci la conoscenza nel reparto trapianti di questo bambino di circa 9-10 anni, una lunga degenza, tutti lo conoscevano ed erano affezionati a lui e alla 82 mamma, quindi c'era una buona confidenza e qualsiasi cosa gli venisse in mente non si faceva problemi a chiederla. Una mattina era particolarmente brontolone sembrava essere proprio annoiato e la mamma era in difficoltà non sapeva più come prenderlo, così la mandai a prendersi un caffè, il bambino mi confidò che avrebbe voluto uscire dalla stanza e correre un po’ in corridoio ma purtroppo con l'ossigeno attaccato poteva stare al massimo su una sedia a rotelle. Così, parlando con l'infermiera, mi disse che potevamo uscire in corridoio e lui, tutto contento, accettò subito. Il corridoio era abbastanza sgombero così facemmo qualche corsetta con la sua Ferrari a due ruote, come la chiamava lui, si divertì un sacco e anch’io: penso che in quel momento non ci fosse migliore cura di quelle sue risate. Purtroppo lui non c'è più, però nella mia mente il suo sorriso e quello della mamma nel vederlo così felice non svanirà mai. Mariella Il sorriso e il lavoro di squadra Sono una volontaria del giovedì pomeriggio giorno dei matti si diceva un tempo e in effetti certe volte penso che siamo un po’ matte, ma eccezionali. Siamo una squadra ben organizzata e ognuna di noi ha una caratteristica che la distingue. Il nostro incontro in Smile è sempre fantastico, perché ognuna si racconta affascinando le altre con racconti a volte bizzarri. Dopo questo un caffè perché ci vuole proprio per iniziare il nostro viaggio in reparto. Anche qui ci riconosciamo per i nostri pittoreschi racconti e se potessimo guardarci dall’alto, ci verrebbe spontaneo dire che siamo proprio un bel gruppo, una bella squadra. Ebbene sì: squadra. Quando iniziamo il nostro giro in reparto ci organizziamo per bene. Ci dividiamo: due al primo piano e due al secondo; ci aiutiamo a vicenda, ci chiamiamo in caso di bisogno, ci confidiamo emozioni, racconti. È sempre fantastico perché con il sorriso affrontiamo ogni cosa. Forse il fatto di essere tutte insieme ci dà la carica giusta. A volte giochiamo tutte insieme con i bimbi e, allora, sento proprio il lavoro di squadra. Non riusciamo a dividerci neanche per cambiare turno, ormai siamo un gruppo tutto nostro. Mi auguro che sia sempre così, perché è un piacere per noi e sicuramente anche per i bimbi e le mamme. È sempre con il sorriso che si fa squadra e noi siamo una squadra assai variopinta che raffigura le manine colorate della nostra Associazione! Milena Non ci sostituiamo all’ospedale, ma ne siamo a sussidio e integrazione Siamo nel 2011 e sempre più spesso si sente parlare del Nuovo Ospedale… forse sta per divenire una realtà?! 83 In quell’anno cambia anche la Direzione dell'Ospedale. Fino a quel momento per l'Associazione significava solo conoscere nuovi nomi e volti a distanza, nessun contatto diretto, solo formalità attraverso comunicazioni scritte. Invece, proprio quell'anno, il cambiamento è duplice: convocazione di tutte le Associazioni per la conoscenza dei nuovi direttori! Ma che bella sorpresa, che grande novità! Da subito appare chiaro che ci troviamo di fronte a un trio (Direttore generale, sanitario e amministrativo) che sa bene chi ha di fronte, compresa più o meno la storia di ogni Associazione presente, consapevole e riconoscente del calore e dell’attenzione che il volontariato bergamasco offre alla struttura cittadina. Dichiarano estrema disponibilità al confronto e all'incontro per continuare a creare un ambiente ospedaliero attento agli aspetti sociali e al miglioramento delle condizioni di vita dei pazienti. A quella riunione ne seguono altre, soprattutto con il Direttore sanitario, la dott.ssa Laura Chiappa: un viso simpatico, una grinta invidiabile, attenta e spiritosa… per dirla alla mia maniera ‘insomma è sul pezzo’! Penso ed esclamo dentro di me: qualcosa sta cambiando, che bello! Gli appuntamenti che si sono susseguiti sono stati di reciproca conoscenza e confronto sui progetti che l'Associazione propone e finanzia. Scatta una reciproca promessa: vedersi periodicamente per una chiacchierata di scambio d’idee e per raccontarsi le azioni intraprese, gli obiettivi raggiunti e futuri. Ne sono lusingata! Ci attende un importante incontro: quello per definire se ci saranno e dove saranno gli spazi ludici per i bambini ricoverati. Devo fare una premessa doverosa e dolorosa: sì, va detto che la precedente direzione non aveva contemplato né gli spazi giochi né le sedi delle Associazioni che operano in ospedale, perché non ritenuti necessari alla struttura. Torniamo all'appuntamento: racconto l'importanza di questi spazi, delle attività, degli obiettivi raggiunti, delle proposte future, ecc… tutti momenti vissuti da ogni singolo bambino o ragazzo che andranno a integrarsi nella loro storia personale di crescita. La DS (Direttrice Sanitaria), come tutti la chiamano, è attenta, chiede e prende appunti, addirittura chiede di poter partecipare a un'attività per viverla di persona, condividendone senza dubbio l'importanza e il grande valore. Un giorno decidiamo di mandarle un invito a essere madrina per consegnare ai bambini l'attestato di artisti post laboratorio estivo L'arte non va in vacanza. Eccola, la vediamo arrivare nel corridoio della Pediatria e con entusiasmo, gioia e fierezza consegnare gli attestati, chiedendo ai bambini di raccontarle di questa esperienza creativa. Eravamo in tanti quel pomeriggio insieme ai bambini: genitori, operatori sanitari, educatori e volontari. Posso certamente affermare che si è vissuto un momento, un 84 tempo di vita, vero e unico, forse per qualche attimo tutti i presenti si sono scordati di essere in ospedale. Al termine di questo piccolo evento la DS mi ha guardata dicendomi: «Grazie per questa emozione… avevo mille cose da fare, come sempre, avrei voluto chiamarti e dirti che dovevo disdire la mia presenza, ma questo momento mi ha regalato molto ed ora collego tutti i nostri discorsi!» Successivamente sono stata convocata per decidere degli spazi individuati: le premesse non sono servite, è chiaro a tutti che questi spazi sono fondamentali e necessari all'ospedalizzazione di bambini e ragazzi… quindi mappe alla mano con architetto e geometra e si definiscono: due spazi ludici al piano 2 della Torre 2, quelli che oggi sono il Salotto e la Stanza delle Nuvole. Poi si guardano i progetti d'arredo. Ci abbiamo lavorato per circa un anno e mezzo… un lavoro di gruppo che non avevo raccontato nei dettagli alla DS, ognuno ha messo un tassello, dai bambini alle mamme, dalla fisioterapista alla mediatrice culturale, ecc… siamo davvero tantissimi! La DS apre il progetto e leggo sul suo volto lo stupore e l'approvazione, infatti esclama: «Ma che bel lavoro di squadra: si vede, si sente o sbaglio?» L'OK su quel plico è arrivato in pochi istanti con tanti complimenti e il desiderio di vederlo presto realizzato: yuppie per i nostri bimbi!! Stefania Il benessere del volontario L’Associazione tiene molto al benessere del volontario e, infatti, tutte le regole scritte nel codice etico sono fatte apposta per salvaguardare in primis il suo benessere e poi quello di tutte le persone che gli sono accanto. Poco dopo la mia entrata in Associazione conobbi una bimba che, purtroppo ciclicamente, tornava da noi, e incontrandola una, due, quattro, dieci volte tutti quegli insegnamenti ricevuti nella mia breve formazione andarono in soffitta. La Presidente in carica al tempo si accorse o seppe di questa mia situazione e mi invitò ad un colloquio dove mi fece notare le mie fragilità e i rischi che correvo se avessi continuato con quel comportamento, mi spiegò quanto quello che a me pareva un atteggiamento protettivo verso la bimba e la sua famiglia potesse nuocere a me e alla famiglia stessa. Al momento uscii dal colloquio molto risentita ma poi, ci ragionai con calma e compresi che la Presidente aveva perfettamente ragione. Questa chiacchierata mi ha permesso di capire tante cose, ma soprattutto di essere consapevole del mio essere volontaria dentro una grande famiglia che porta avanti un gioco di squadra e risponde prontamente a ogni richiesta fatta dalle famiglie o dai bambini stessi. Ancora oggi mi ritrovo spesso a ripensare a quel colloquio al quale, forse, devo la mia presenza in Associazione dopo tanti anni. 85 Ho imparato… Barbara Per 35 anni ho lavorato come impiegata in un Istituto di Credito e negli ultimi anni sentivo il desiderio di lasciare il mio lavoro per dedicarmi a una attività che mi gratificasse da un punto di vista umano. Il desiderio di indirizzarmi verso il volontariato in ospedale e in particolare nei reparti di Pediatria, è emerso sia per il piacere di stare con i bambini sia per un’esperienza che avevo vissuto quando mio figlio, a meno di un mese di vita, fu ricoverato nell’allora Ospedale Riuniti per una sospetta meningite poi, fortunatamente, esclusa. Il percorso di formazione intrapreso con l’iniziale corso, con i colloqui con la psicologa, il periodo di affiancamento a una tutor, sono stati per me momenti molto importanti perché mi hanno permesso di comprendere che il desiderio di sentirmi utile era davvero sincero e profondo. Questa esperienza ha reso possibile una mia realizzazione personale anche al di fuori della famiglia, mi ha dato la possibilità di esprimere sentimenti di solidarietà, di comprensione e amore per il prossimo che ancora non ero riuscita a vivere e di cui avevo un profondo bisogno. Credo che anche il rapporto con mio figlio si sia arricchito: ho acquisito una maggiore capacità di ascolto e di messa in discussione. Daria Ho imparato ad apprezzare tutto quello che ho. Ho imparato a gustare ogni istante della vita vissuta e che mi viene donata. Ho imparato a trovare tempo: tempo per ridere e tempo per piangere, tempo per giocare e tempo per attendere, tempo per cantare e tempo per ascoltare. Ho imparato che il tempo più prezioso è quello donato. Ho imparato che vivere non è sopravvivere. Ho imparato che gli eroi esistono. Ho imparato che la felicità la si può trovare anche in un’esperienza di profondo dolore. Ho imparato che ogni persona nei momenti più duri della vita ha risorse che forse non sapeva di avere. Ho imparato che la fede fa la differenza nel vivere e affrontare la sofferenza e la morte. Ho imparato a cercare le parole giuste. Ho imparato a trovare me stessa. Ho imparato l’importanza del saper andare oltre. Ho imparato a fidarmi. Ho imparato la bellezza del fare squadra. 86 Ho imparato la gioia di essere riconosciuta, attesa, desiderata. Ho imparato a non piangermi addosso. Ho imparato a vedere il bicchiere mezzo pieno. Ho imparato il valore della condivisione. Ho imparato il valore di un sorriso. Ho imparato a non dar nulla per scontato. Ho imparato il valore di un dono inatteso. Ho imparato a dare un nome alle stelle. Ho imparato a non smettere di sognare. Ho imparato a vivere. Giovanna Da questa esperienza in Associazione mi porto via il legame della fratellanza, incontro persone che non conosco, con problematiche gravi o meno gravi, e mi ritrovo lì insieme a loro, per breve tempo, ma in quel tempo ci uniamo per giocare, parlare, ascoltare, proprio come dei fratelli. Nella mia vita quotidiana porto con me una visione diversa della vita, do più importanza all’ascolto, all’osservazione e il giusto peso alle problematiche futili del quotidiano. Liliana Dal mio volontariato in Associazione mi porto via le storie. Gli esempi. Tanti visi e, dietro, uomini e donne dell’Associazione. Il lavoro di squadra. Il ricordo del vecchio ospedale. Il nuovo ospedale con le streets e le vie sospese e gli alberi di palme. E potrei continuare per un bel pezzo e troverei limitato il tempo e i fogli per elencare ogni cosa. Perché succede così: quando s’incomincia, un ricordo ne muove un altro, poi tutti insieme si contendono la ribalta e si affollano. Non ce n’è uno che sembri meno importante dell’altro. O forse c’è, ma sono quelli che si preferisce tenere un po’ nascosti, sono privati, solo per sé. Ci sono anche quelli e me li porto con me. Come le grandi gioie, ma di più i grandi dolori, sono solo miei! E se dovessi chiedermi cosa ho imparato, direi che: ho imparato a leggere la sofferenza. Ho imparato, ho apprezzato la dignità dell’essere umano, il suo piegarsi alla malattia anche nella piccola età, con il coraggio di continuare e la speranza di vincere. Ho capito come sia giusto ridimensionarci e dare alle cose il giusto peso e stabilire le priorità. E la meraviglia di vedere un bimbo malato che al di là del momento del dolore fisico, resta sempre un bimbo, con le caratteristiche di un bimbo, con la voglia di giocare, con le sue curiosità, con i capricci. E pur se ovvio, ma tanto vero è quanto sia bello, non trovo un altro aggettivo che possa rendere il pensiero, lo stare bene in salute; come sia indispensabile seguire scrupolose norme igieniche, la prevenzione. Quindi grandi cose mi porto via dal mio Volontariato con gli Amici della Pediatria. 87 Laura Esattamente come è vero il motto scout una volta, scout per sempre (e ne sono fermamente convinta, per esperienza personale), così mi ritrovo a pensare che volontario in un’Associazione come Amici della Pediatria non significa fare qualcosa, ma è un modo di essere. In questo senso non riesco a vestire e svestire i panni della volontaria, ma sento di esserlo dentro e fuori l’attività associativa. Devo dire che ho portato molto di me, della mia esperienza, dei miei studi e interessi dentro il mio essere volontaria negli AdP. Similmente, quello che ho imparato e continuo a imparare grazie alle sessioni di formazione - iniziale e permanente - e nel corso dell’attività in Reparto, cerco di applicarlo nella vita di tutti i giorni. Sì, ok, ci vuole qualche esempio concreto… Azzardo una breve lista, che di certo non si può considerare esaustiva: o L’ascolto, possibilmente attivo; o Il rispetto dell’altro, dei suoi tempi, dei suoi spazi; o L’attenzione e il rispetto per la privacy altrui; o Ultimo in questo elenco improvvisato, ma forse più importante – almeno per me – una maggiore capacità di ridimensionare i problemi personali, ovvero saperli collocare nella giusta prospettiva, assegnando le corrette priorità, riuscendo con maggiore lucidità a distinguere le cose veramente importanti da quelle futili e ad apprezzare ogni piccolo momento del prezioso dono che è la vita. Loredana Tante sono le emozioni, le sensazioni che mi regala l'essere volontaria. Tante storie, tanta vita, tanto dolore, tanta sofferenza, ma anche tanta gioia, tanto amore, tante amicizie. È difficile da capire se non lo vivi, se non sei al fianco di questi piccoli grandi eroi. Eroi nel vero senso della parola che combattono, che reagiscono, che ci insegnano il valore della vita. Mi ha dato la forza di lottare per superare le difficoltà. Mi ha dato la certezza che la speranza è l’ultima a morire. Mi ha dato la capacità di prestare attenzione alla quotidianità, alle piccole cose, ai piccoli gesti, ai silenzi che dicono più di mille parole. Ed ho scoperto che ciò che ricevo è molto più di ciò che riesco a dare e che dopo il verbo amare il verbo aiutare è il più bello del mondo! Manuela Quando ho iniziato la formazione per la mia Associazione ero felicissima, entusiasta e dicevo a tutte le persone che incontravo l’avventura 88 da me iniziata. Ogni volta che incontravo qualcuno che mi diceva «Ciao Manu, come stai? Simone come sta?». Io rispondevo «Tutto bene. Sai… ho iniziato una cosa bellissima» e cominciavo a raccontare tutte le cose apprese in Associazione. Durante le otto uscite in reparto la mia tutor Stefania mi ha detto una frase che, allora, mi ha lasciato interdetta: «Non sa quasi nessuno che faccio parte degli Amici della Pediatria» e ho pensato: «Ma come????!! Una cosa così speciale e non la dici a nessuno????». Ora, dopo due anni, capisco cosa volesse dirmi. Lo dici a tutti quando non ne fai ancora parte, ma da quando l’Associazione è una parte di me, essendo ‘mia’, non mi serve sbandierarlo ai quattro venti. In cosa mi ha cambiato questa avventura? Mi ha fatto rendere consapevole di quanto sono fortunata, mi ha dato una sensibilità e una forza che prima non avevo, mi ha fatto crescere come donna e come mamma, mi ha fatto avere un sorriso ‘ebete’ ogni volta che un bambino mi guarda. Mi ha fatto ‘guardare’ i bimbi diversamente abili senza paura di non sapere cosa dire o cosa fare. Insomma mi ha fatto crescere tantissimo. Dimenticavo: è servita anche a mio figlio, chissà perché tutti i brutti voti a scuola, la richiesta del permesso per andare alle feste, le scarpe nuove da calcio, i vestiti nuovi… saltano fuori tutti i lunedì pomeriggio! Il lunedì per me è un giorno speciale, è una ricarica di sorrisi ed emozioni che mi ‘spinge’ per l’intera settimana. Marco Ho imparato a dare il giusto valore alle cose Ho imparato ad andare ‘oltre’ Ho imparato che si può sorridere anche nel dolore Ho imparato a trasformare il dolore di una perdita in una gioia del ricordo Ho imparato a quanto è importante condividere Ho imparato che se vuoi fare del bene, devi stare bene Ho imparato a osservare Ho imparato ad ascoltare Ho imparato a mettermi in gioco Ho imparato a scrivere di me (forse…….) Ho imparato ad aspettare Ho imparato a non piangermi addosso Ho imparato a rispettare i tempi Ho imparato a non prendermi sul serio Ho imparato che non si smette mai di imparare. 89 Margherita 1. Elemento centrale della mia vita è il tempo o, meglio, la misurazione del tempo. Sono sempre di corsa, con l’orologio alla mano, attenta all’ora e al minuto. Entro in reparto, dove il tempo scorre veloce, scorre lento, scorre senza lancette, scorre in un modo tutto suo. Lì non ho bisogno dell’orologio. Mi pare di fare tutto con estrema calma: vivo il presente, senza pensare al prima e al dopo, al passato e al futuro; colgo l’attimo, per goderlo fino in fondo. L’anima si rilassa; il corpo si rilassa. Talvolta mi capita, quando sono di corsa, di dire a me stessa: «Non lasciarti vincere dal tempo; sei tu che lo riempi e gestisci, come in reparto». E allora l’anima si rilassa; il corpo si rilassa. Faccio tutto con calma. 2. Elemento centrale della mia vita è la famiglia, genitori e sorelle. Anni fa, dandoli per scontati, erano le ultime persone per le quali avrei rinunciato alle mie ‘cose’, alle mie passioni, ai miei interessi. Entro in reparto, dove prioritario è l’altro, dove l’azione del prendersi cura implica il mettere da parte le mie ‘cose’. Ora è spontaneo, naturale, logico mettere al centro gli altri, compresi e in primo luogo i miei familiari: il prendersi cura senza curare (a questo pensa mio padre, medico) è parte costante della mia giornata. La mamma ha bisogno di aiuto, di risvegliare i suoi interessi, di sentirsi amata e importante, di riempire il tempo, di fare ciò che da sola non riesce più a fare. Mi sento con lei esattamente come con i bimbi dell’ospedale, piena di energie e risorse. Tempo fa, origliando alla porta dello studio di mio papà, al telefono con un’amica medico, l’ho sentito affermare: «Credo che la forza le venga da quello che fa il lunedì in ospedale». Non gli ho mai detto di averlo ascoltato (dovrei confessare che lo spiavo!), ma sono fiera della sua intuizione. 3. Elemento centrale della mia vita è la soluzione quotidiana dei problemi nel modo più efficace e rapido possibile: odio lasciare le cose in sospeso e odio le lungaggini. Entro in reparto, dove la malattia, come un mostro vorace, divora le quisquiglie quotidiane: chi se ne importa se il boiler è rotto, se devi rifare la serratura, se scadono le bollette da pagare? C’è ben altro qui! Talvolta, quando non dormo per qualcosa che mi assilla o sono nervosa per qualche banale dettaglio, mi viene in mente la grazia che mi circonda perché sto bene, la forza dei genitori che sorridono anche nel dolore, la gratitudine, nonostante tutto, di una mamma che sa di avere poche speranze per il figlio… e allora tutto diventa relativo e sorrido alla vita, che vale sempre la pena di essere vissuta, in qualsiasi situazione. 90 Mariangela Da mamma voglio parlare dell'esempio di vita che mi danno e mi hanno dato tante mamme conosciute in ospedale in situazioni veramente drammatiche. Arrivata a casa alcune volte mi immedesimo nella loro condizione e mi chiedo se capitasse a me cosa farei? Come reagirei? Troverei anch'io la forza che hanno loro? Una cosa è certa, vedere queste situazioni mi ha aiutato ad apprezzare di più quello che ho, il quotidiano e le piccole cose che nella loro condizione vengono a mancare e a non prendermela più di tanto per tanti problemi che a volte, a differenza di come ero prima, adesso riesco a considerare da un altro punto di vista. Mariella La mia esperienza di volontariato mi ha dato più forza nell'affrontare il dolore: il grande dolore che ho provato quando ho perso mio padre. Dopo la sua perdita, invece, di poter pensare di fermarmi per un po'di tempo, ho pensato che dovessi andare in Pediatria sapendo quanto avessero bisogno di aiuto e ipotizzando che nell’aiutare i bimbi potevo aiutare, nel contempo, anche me. Nello stesso tempo ritengo che questa esperienza abbia aperto ancora di più il mio cuore verso questi esseri innocenti che dovrebbero giocare felici e, invece, hanno già conosciuto la sofferenza che ingiustamente li accompagna nel periodo più bello della loro vita! Milena Il valore del Tempo Il valore dell'Ascolto Dedicare per Dedicarsi Ascoltare per Ascoltarsi Ho una vita ‘piena’, una vita intensa, una vita carica di ‘tanto’, forse tutto! Nella mia storia personale dall'anno 2000 in poi ho avvalorato il giusto peso del tempo e dell'ascolto; questo valore è cresciuto con gli Amici della Pediatria. Tempo e Ascolto sono due elementi focali di ogni momento dentro e fuori l'Associazione. Sintetizzando una delle nostre regole: «Quando sei qui, sei qui!» e quindi vivi quel tempo nell'ascolto di uno sguardo, di una richiesta, di un problema, di una gioia, di un gesto… e molto altro! Quando sono fuori non riesco a fare altrimenti. 91 Stefania Sono tanti anni che faccio parte di questa Associazione e ormai mi è entrata dentro, fa parte della mia vita e del mio essere. Se mi fermo a pensare a come ero e a come sono oggi sicuramente parte del mio cambiamento è dato dal vivere un pezzo della mia vita proprio dentro l’Associazione. L’incontro con tante persone diverse, dai bimbi alle loro famiglie, volontari, dottori, infermieri: tutti; con la voglia di farcela di questi piccoli eroi, di combattere contro la malattia, trovando anche nei momenti peggiori la forza per ricominciare, hanno cambiato la prospettiva delle mie priorità e il modo di vivere la vita. Ho imparato l’importanza dell’ascolto, l’amore per la vita e per l’altro, il fermarmi e apprezzare le cose che ho, cercare di vedere sempre il positivo, vivere il momento nella totalità. Grande importanza ha avuto anche tutta la formazione ricevuta, che non solo mi è servita dentro il reparto, ma anche nella quotidianità della mia vita fuori dall’Associazione, prima di tutto con mio figlio. D’altro canto è anche vero che vivere così a contatto con situazioni di malattia grave, non mi permette di dare il giusto peso alle lamentele che sento da parte di chi mi circonda fuori dall’ospedale a meno che non siano più che serie. Mi rendo conto che devo fare uno sforzo su di me per non cercare di sminuirle, perché come mi è stato insegnato per ognuno è importante il proprio dolore, come la propria malattia. 92 Federico Bergonzi Nato a Legnano nel 1934, consegue la maturità classica presso il Liceo Manzoni di Milano, si laurea nel 1959 presso l'Università di Milano, nel 1961 si specializza e nel 1967 prende la Libera Docenza in Clinica Pediatrica. Dal 1960 al 1967 interno alla Divisione Pediatrica dell'Ospedale Maggiore di Milano, diretta dal prof. Ferdinando Cislaghi, diventa poi Primario Pediatra prima all'Ospedale di Cuggiono, fino al 1972, poi all'Ospedale Consorziale di Treviglio e Caravaggio, fino al 1987; e quindi agli Ospedali Riuniti di Bergamo, fino al 1999. Dal 1974, chiamato dall'Assessorato alla Sanità della Regione Lombardia, ha fatto parte di Commissioni e Gruppi di studio sulla salute materno-infantile (che hanno dato forma e sostanza alla Legge Regionale n. 16: La tutela della partoriente e la tutela del bambino in ospedale), la medicina scolastica e la programmazione del Piano Sanitario Regionale. Dal 1990 è stato Professore a contratto presso la Clinica Pediatrica di Brescia Attento, per sensibilità, formazione e scelta, a declinare il ruolo dirigenziale come chiamata a un più di responsabilità, di tensione a capire e a tradurre in pratiche, in buone pratiche, quanto messo in moto dal dibattito scientifico e culturale, assume come obbiettivo l'umanizzazione dei reparti pediatrici, per assicurare al bambino ricoverato un'assistenza globale in grado di farsi carico degli aspetti psicologici, affettivi e relazionali, oltre che clinici, legati alla malattia e al ricovero. Negli anni '70, sollecitato da studi ed esperienze provenienti dai Paesi più avanzati e dalle indicazioni dell'OMS sul passare dal curare al prendersi cura, e convinto assertore della priorità della prevenzione e del compito anche formativo che spetta ai servizi per la salute, è tra i primi in Italia ad 'aprire' i reparti di pediatria e neonatologia, con servizi adeguati, alla presenza costante di un genitore, o di persona affettivamente significativa per il bambino; a promuovere concretamente il rooming in e l'allattamento materno; a volere una collaborazione con la neuropsichiatria infantile (prof R. Negri, a Treviglio) e il servizio di psicologia (Dr E. Strologo, a Bergamo); a trovare spazi, all'interno del reparto, per la scuola, il gioco, la biblioteca di lettura, il teatro, il volontariato, come attività che integrano il piano terapeutico e contribuiscono al benessere dei pazienti (e famigliari). Nell'ottica del medico come farmaco, ha attivato i Gruppi Balint, un percorso di formazione sul campo che si propone di migliorare le capacità del medico di stabilire con il paziente una relazione capace di cura in sé, nella consapevolezza che ogni pratica clinica - dalla visita ai vari interventi sanitari, dalla diagnosi alla somministrazione di esami e farmaci - sta dentro 93 una relazione che può ridurre sofferenza, disagio, ignoranza, anziché generarli, come può succedere, o sottovalutarli. A Bergamo, dal 1987, segue personalmente il cantiere del nuovo reparto di Pediatria; sostiene l'istituzione del Dipartimento Materno-Infantile; nel 1990, organizza il Congresso Internazionale "Il pediatra e i trapianti d'organo: indicazioni e assistenza" (con G. Locatelli, T. Barbui, G. Mecca, L. Parenzan a comporre il comitato scientifico); fonda l'Associazione 'Amici della Pediatria' per accogliere e rispondere umanamente ai tanti problemi e bisogni legati a una Pediatria che, già con un'eccellente sezione di Oncologia, aprirà poi anche a quella per i Trapianti Pediatrici (con il Prof Gridelli), con pazienti che giungono da ogni parte del territorio nazionale e non solo. Anche molti dei temi (il reparto aperto, il gioco in ospedale, la pediatria e l'immigrazione, la mediazione culturale, l'infanzia maltrattata e abusata, il consenso informato in età pediatrica, il problema del dolore e della fine) scelti per convegni, seminari, giornate di studio e formazione (in qualità ora di Primario, ora di presidente della sezione Lombarda della Società Italiana di Pediatria, ora di Presedente della Società Chirurgica Bergamasca) dicono della sua capacità di cogliere le domande poste dai cambiamenti sociali, di prestarvi ascolto, e di cercare risposte, soluzioni, pratiche che, scientificamente fondate, vadano e conducano verso una mai dismessa dimensione umana dell'essere medico e del servizio sanitario, con una predilezione, cura e rispetto radicale testimoniati a chi è in età bambina e adolescenziale. Affetto dal 1990 da una patologia tumorale, ultima maestra nella sua formazione permanente, ha fatto il medico fino alla fine. Morto nel 2000, lo ricorda la biblioteca per bambini e ragazzi (perché anche le storie fanno bene alla salute) a lui dedicata nel 2001, ora nella Pediatria dell'Ospedale Giovanni XXIII. 94 Indice Amici della Pediatria non si nasce, si diventa pag. 2 Gli oggetti che documentano l’appartenenza All’Associazione pag. 21 Gli oggetti dei nuovi volontari pag. 34 Dedica a una persona importante pag. 39 Persone speciali per i nuovi volontari pag. 55 I diversi ruoli in Associazione pag. 60 I principi guida dell’Associazione pag. 73 Ho imparato… pag. 86 Federico Bergonzi pag. 93 95 ...grazie a quanti hanno viaggiato con noi a vario titolo e continueranno a farlo... Associazione “Amici della Pediatria” Onlus c/o Azienda Papa Giovanni XXIII - Bergamo www.amicidellapediatria.it