1 Alle vittime degli incidenti sul lavoro e ai morti di malattie professionali 2 Ringrazio il Dott. V. D'Andria, medico nefrologo dell'Ospedale Martini di Torino e tutti i componenti del reparto dialisi. 3 Premessa dell'autore La tragedia dimenticata delle morti sul lavoro e le malattie professionali. La storia che mi trovo a narrare in questo libro è anche quella di migliaia di operai, che - oggi come ieri – attraverso il lavoro si sono trovati e si trovano a perdere la vita . Molte le moglie, molti i figli che aspettano il ritorno dal lavoro di un marito, di un padre . A spezzare quest'attesa però, purtroppo, arriva quasi ogni giorno la notizia di una tragedia consumata sul lavoro. Ad altre famiglie, toccano in sorte drammi diversi ma non meno dolorosi : il contatto con prodotti nocivi e velenosi è la causa di malattie professionali, quasi sempre tumori Si tratta di malattie che lentamente conducono alla morte, tra ricoveri ospedalieri e interventi dolorosi, compresa – a volte – l'asportazione di organi. La mia storia – esattamente come quella di tanti, a cui mi stringo in piena solidarietà – non vuole essere un lamento. Al contrario, vuole servire da aiuto e da monito a chi per primo entra nel mondo del lavoro, portando alla luce ciò che questo, spesso nel silenzio, costringere a vivere migliaia di persone e famiglie innocenti. 4 MORTI BIANCHE E MALATTIE PROFESSIONALI 10 ottobre 2010 - Da una pagine di Televideo MORTI SUL LAVORO, 3 AL GIORNO Nel 2009 ogni giorno, comprese, tre persone hanno perso la vita sul lavoro : su 790 mila infortuni, 1050 lavoratori sono morti e 886 sono deceduti per malattie professionali nell'industria. Lo riporta da Modena L' A N M I L (Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi del lavoro ), in occasione della 60\ma giornata nazionale per le vittime sul lavoro. I numeri - per il presidente A N M I L, Franco Bettoni – continuano ad essesere impressionanti. 9 Ottobre 2011 - Da una Pagina Televideo : 980 Vittime Nel 2010. ANMIL : “ QUASI 800 MILA INFORTUNI ” Nel 2010 sono stati 980 i morti sul lavoro. 775. 374 sono gli infortuni denunciati e 42. 347 le malattie professionali. E' la denuncia d' A N M I L ( Associazione Mutilati e Invalidi sul lavoro ). Ecco l'umiliazione che subiscono coloro che perdono la vita attraverso il lavoro. 3 Aprile 2009 - Pagina Televideo Mediaset, ore 18.50 : Sicurezza lavoro, 14 arresti - A Bari falsavano i Controlli La guardia di Finanza di Barletta ha arrestato 14 persone con le accuse di concussione e corruzione, abuso e falso in atto d'ufficio. Accertamenti e ispezioni nei luoghi di lavoro sarebbero state “ ammorbidite con tangenti tra i 3500 e 5000 euro a funzionari pubblici . Le tre persone in carcere, gli altri undici sono ai domiciliari, sono ispettori della direzione provinciale del lavoro di Bari, già arrestati e poi scarcerati lo scorso gennaio. 5 Questa è una delle tante pagine amare che non avrei voluto trascrivere, purtroppo è la realtà di chi durante la lavorazione, adoperava prodotti velenosi a contatto con vernici. Troppi tumori in fabbrica Da un articolo pubblicato sulla Stampa di Torino il 7 Marzo 1999 LE TESTIMONIANZE IN SCENA “ Sul lenzuolo è stato stampato l'impronta di mio marito. Il suo corpo trasudava quei colori incancellabili ” Sono Assunta Baima vedova Franco. Mio marito è morto di cancro il 25 Maggio 1971, all'età di 53 anni. I primi sintomi si sono manifestati con bruciori al basso ventre e ai reni. Contemporaneamente ha cominciato ad orinare sangue. Fu ricoverato per la prima volta nel 1968, ma solo nel 1970, nell'ospedale Molinette di Torino, il professor Sesia scoprì la neoplasia . Quando la malattia fu scoperta, fu troppo tardi. Quando lavorava mio marito non mangiava. Io lo spingevo a mangiare, ma lui mi rispondeva che non sentiva appetito, che aveva sempre in bocca il sapore di benzidina. Mi diceva: “ E' come avere della benzina in bocca, ancora più forte, però ”. Quel sapore gli asciugava continuamente la bocca e gola. Mio marito aveva informato il medico di fabbrica della sua situazione, ma il medico gli aveva detto che andava bene così. Gli capitava anche, a mio marito, di perdere urina sia durante la notte che durante il giorno senza accorgersene. Sulle mia lenzuola e sul cuscino conservo ancora l'impronta del corpo di mio marito. Infatti, pur lavandosi e facendosi il bagno prima di coricarsi, durante la notte tutti quei colori che aveva in corpo uscivano, trapassavano il pigiama, intridevano le lenzuola. Le macchie che stampavano sulle lenzuola non erano più cancellabili. Negli ultimi giorni mio marito non aveva più una gocci di sangue; gli avevano fatto persino dieci trasfusioni in un solo giorno. 6 La sofferenza Quando da un letto d'ospedale piano piano riesco ad alzarmi, avvicinandomi ad una finestra guardo il cielo e le persone passeggiare. Tutto mi sembra nuovo, in lontananza un bimbo gioca. Con il pensiero lo raggiungo augurandogli di non incontrare mai la sofferenza. Sabino Ferrante 7 Tram che collegava Torremaggiore – San severo 8 Morire lentamente Mi ricordo essere stato un bambino che sorrideva, giocava, correva senza pensieri anche se la guerra mi aveva segnato profondamente fino a farmi capire la differenza tra il bene e il male . Poi, diventare un giovanotto con una speranza tale da rendermi fiducioso verso il cammino della vita e alla ricerca di un lavoro . Settembre 1953. Il tram fermo davanti alla scuola elementare sembrava addormentato. Erano le ore 20 di sera, e la strada che conduceva al tram era deserta . Il tempo di salutare mio padre e il mezzo iniziò lentamente la sua corsa . Bastarono pochi minuti per allontanarmi da ricordi a me cari . Rivolsi lo sguardo verso la finestra della scuola – prima elementare -, mentre l'abbraccio di mia madre mi aveva bloccato la parola. Il tram mi condusse a San Severo e li salii sul treno per Torino. Viaggio lungo e faticoso, durante il quale rimasi con i miei pensieri. Con la mente passavo in rassegna il pensiero di questa grande città, il Maestro quando ci parlava del Monviso dove nasce il fiume Po ed il suo lungo percorso, e della grande fabbrica di automobili di nome FIAT. Ecco finalmente Torino, città meravigliosa : Insegnamento e cultura i suoi principali valori. All'epoca si cantava la famosa canzone “Terra straniera quanta malinconia”, a tal proposito dissi tra me e me : non ho attraversato l'Oceano, sono in Italia, terra che mi appartiene. Mai avrei pensato che quella canzone mi appartenesse perchè meridionale. Altro rispetto che merita questa città, e quello che chiedono le lapidi dei Martiri. Se ne possono vedere in ogni angolo della città : i nomi di uomini e donne che con il loro sacrificio ci donarono la libertà. Nel leggere i nomi dei martiri si resta scioccati :molti di loro furono fucilati dai fascisti all'inizio del 1945, quando era imminente la liberazione e la fine della guerra. E' sempre importante ricordare ciò che gli altri dimenticano. E per me dimenticare Mirafiori resta impossibile, come per chi – alla pari del sottoscritto – venne assunto li in qualità di operaio. Mi ricordo il giorno : 7 novembre 1955. 9 Non vorrei qui ripetere le stesse cose già scritte nel mio primo libro(SudNord: destinazione FIAT, 2004) ma sento ancora urgente e necessaria una riflessione sul perchè io non riesca a dimenticare Mirafiori. Ci sono notti in cui, durante il sonno, mi ritrovo nuovamente dentro la fabbrica tanto è lo spavento che al momento del sussulto che mi sveglia, mi ritrovo a guardarmi dentro e a dirmi : ' E' stato solo un brutto sogno'. Ciò che testimonia un intervistato da Clara Caroli per il quotidiano “ La Repubblica” del 16 gennaio 2012 ( articolo “ Alla linea di Mirafiori un film per capire la realtà della fabbrica”), viene a triste conferma di ciò che sto raccontando. “Mio padre lavorava alla FIAT – si legge – quando facevo il primo turno arrivava a casa e si addormentava al tavolo della cucina. Conosco bene i ritmi alienati e le condizioni di lavoro bestiali degli addetti alla catena di montaggio”. E poi la cosa più inquietante : “Passano i secoli ma da 'Tempi Moderni ' non è cambiato niente”. Era infatti disumano vedere, in catena di montaggio, tanti operai ridotti a dei numeri, comandati come se fossero in rieducazione, e non al lavoro. L'unico interessamento per la gerarchia FIAT era la produzione, che ogni giorno doveva aumentare sempre di più. Cronometristi segnalavano ogni movimento o calo dell'operaio nel corso della lavorazione. Non bastasse la fatica, l'aria era irrespirabile e quindi una volta a casa c'era il bisogno – vitale – di riposo assoluto. Persino parlare ai propri familiari diventava faticoso. Mi ricordo che durante la seconda Guerra Mondiale sui muri e sui manifesti si poteva leggere la scritta : “ Attenzione il nemico ci ascolta”. Alla FIAT questa scritta non esisteva, ma la paura di confidarsi coi compagni di lavoro era giustificata. Il 7 novembre del 1955 era un giorno fortunato : entravo a far parte della grande famiglia FIAT, dominato – allora – dal prof. Vittorio Valletta, grande ' inquisitore ' , padre padrone nascosto nell'ombra dietro a una patina di buonismo. Per il Devoto Oli, infatti, si definisce ' inquisizione ' una inchiesta speciale, condotta con una procedura arbitraria o comunque lesiva dei diritti, della libertà e della dignità dell'individuo. Per far parte della ' grande famiglia ' era necessario il certificato penale con la dicitura ' risulta nulla ', quella di buona condotta del paese nativo, oltre all'informativa dei Carabinieri – sezione di Torino – che puntualmente si presentarono presso la mia abitazione. Non bastasse, serviva anche il Nulla Osta dell'ufficio Del Lavoro E della Massima Occupazione di Torino, una specie di ' permesso di soggiorno ' per noi che arrivavamo dal meridione o i padani del Nord Est. “ Lo stesso permesso di soggiorno che oggi viene richiesto agli extra comunitari”. Pur consapevole di un lavoro sicuro, non ci fu da parte mia nessun entusiasmo per l'assunzione in FIAT. Quel lavoro lo conoscevo già, l'avevo all'impresa Girardi . Per la FIAT, era usuale subappaltare lavori alle imprese, dove operai ' stranieri – all'epoca così venivano considerate le persone meridionali – venivano assunti per lavorare senza libretto di lavoro ( al nero ), compreso il sottoscritto. 10 11 La paga ovviamento la decideva l'impresario, così come non esisteva nessuna protezione antinfortunistica per l'esecuzione dei lavori. Ho lasciato il mio paese con tristezza, con negli occhi troppe immagini di maltrattamenti e sfruttamenti, specie nel mondo agricolo. Parlare con i braccianti all'epoca, per noi ragazzi era come collegarsi a Internet. Il loro esempio era infatti molto utile. Restare al mio paese era impossibile .. essere difensore dei ceti deboli e poveri ( pur essendo io altrettanto ), perciò fare domanda di arruolamento volontario ( nelle ? ) restava un sogno. La nostra Costituzione, all'articolo 3, ci dice: Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione all'organizzazione politica, economica e sociale del paese. Si tratta dei tanti articoli scritti col sangue di uomini e donne impegnati nella lotta di liberazione. Ma questo articolo della nostra Costituzione non è mai stato rispettato da chi di dovere, sin dal dopoguerra, e nemmeno oggi nel Terzo Millennio si intravedono miglioramenti, anzi è peggio giorno dopo giorno. Era la mia prima notte a Torino. Dopo essermi finalmente addormentato, verso le due fui svegliato da un rumore che non mi era affatto familiare : la sirena di un' autoambulanza. Fu a questo punto che, impossibilitato a prendere sonno, decisi di alzarmi e, fattesi l'alba, mi misi a girovagare perle strade della grande città che si svegliava. Solo all'ora li vidi, i tram pieni di operai che si recavano in fabbrica per lavorare. Era tutta una città in movimento. Capii che Torino era una città dentro Mirafiori. Ritornando alla FIAT, non tutti sapevano realmente quali fossero le condizioni di lavoro cui gli operai dovevano sottostare in fabbrica. La paura di perdere il posto, persino per via di letture di quotidiani non graditi ai dirigenti FIAT, era costante e si rischiava – oggi si direbbe – mobbing . Dimenticare Mirafiori, dopo aver contratto una malattia professionale, resta impossibile. Quello che più mi addolora oggi e leggere ancora su organi di stampa di gravi discriminazioni nei confronti degli operai, di gente che lavora . Il 4 febbraio 2012, navigando in Internet, mi sono soffermato a leggere la pagina web del quotidiano L'Unità. L'articolo, a firma del giornalista Massimo Franesi, riportava così : “ La serie infinita di discriminazioni subite dalla Fiom nelle fabbriche FIAT è senza precedenti nella storia della democrazia italiana, e riporta alla memoria i reparti confini degli anni cinquanta”. Per me è stato un tuffo al cuore. Anni cinquanta, che brutti ricordi . I commenti dei visitatori della pagine erano molteplici. Tra questi, uno di un utente, Savino Ricci, che scrive : “ La FIAT non è mi stata un industria democratica e rispettosa dello Stato italiano, ancora meno dei suoi dipendenti, sempre trattati da nemici, politicamente, economicamente e perfino quando gli abbiamo comprato le automobili più difettosi, altrimenti non vendibili sul mercato. Un impero costruito sulla speculazione 12 e sui ricatti sul piano politico ed economico, vissuto sempre di grandi e massicci finanziamenti con denaro pubblico e senza condizioni, attraverso la corruzione politica e ricatti permanenti ad ogni livello, forma di mafia senza bombe né pistole ma con moltissimi morti in più che le tradizionali mafie. Io non compro più auto FIAT consociate, già da moltissimi anni preferisco a parità di soldi una auto usata Volkswagen, rispetta i soldi del compratore ed i suoi lavoratori senza nessun confronto. Conosco molto bene queste affermazioni che Savino Ricci ha documentati perfettamente sin dagli anni Cinquanta, ed è molto doloroso che nel 2013 ci sia ancora qualche personaggio che si crede padrone assoluto della FIAT, adoperando un sistema barbaro che si credeva appartenesse al passato, agli anni Cinquanta appunto. Non conosco come si lavora alla Wolkswagen. Per questo ho consultato un amico di nome C. che ha lavorato nella fabbrica tedesca dal 1963 al 1966 e tornò in Italia per motivi familiari . Mi confermò che li non esisteva alcuna discriminazione, che il rispetto per l'operaio era totale, bastava fare il proprio lavoro. Ritornato in Italia, poi, fece domanda proprio alla FIAT dove fu assunto in qualità di operaio. Fu scioccato, scandalizzato, dal vedere quale disparità esistesse tra il lavoro in fabbrica in Germania e quello in Italia. Disciplina ferria, al limite del mobbing : discriminazioni, ritmi massacranti di lavoro . Durante l'era ' vallettiana ' ,la FIAT – con sistemi lesivi della dignità dell'individuo – divenne una potenza intoccabile . Senza contare l'altra faccia della medaglia : a questo rigore alienante spesso si contrapponeva una disorganizzazione gestionale, in cui tanti dirigenti, negli anni Cinquanta “ la gerarchia FIAT ” tentava in tutti i modi di espellere dalla fabbrica quel sindacato più attivo in difesa dei lavoratori . Come ai giorni d'oggi , nel 1955 , la Fiom rifiutò di firmare un accordo che riguardava i tempi di lavorazione e per questo motivo – per lunghi anni – fu esclusa da qualsiasi , dico qualsiasi , trattativa aziendale . Oggi sessantanni dopo, la storia tristemente si rinnova . Febbraio 2012 . Durante uno dei tanti ricoveri ospedalieri , mi ritrovo come vicino di letto un signore sardo , B. F. , nato in un bel paese in provincia di Nuoro , classe 1934 . Dopo aver passato insieme le prime giornate alle Molinette , mi domanda come mai mi trovo li . Gli racconto la mia storia lavorativa , gli dico dei ricoveri periodici a cui la malattia professionale mi ha costretto . Lui mi ascolta , poi mi guarda e dice : “ Adesso ti racconto la mia ”. si vede che è molto orgoglioso del suo passato , nonostante la gravità delle sua fanciullezza . Iniziò a raccontare : Sono nato senza conoscere mio padre. Per questo porto il nome di mia madre. Non mi sono mai vergognato, anche se in paese mi chiamavano ' bastardo '. Mia madre non aveva mezzi per mantenermi ( per rispetto suo e della sua famiglia, preferisco non addentrarmi in altri particolari . S. f. ) e così mi affidò 13 a un padrone facoltoso per fare in modo che avessi almeno qualcosa da mangiare . Avevo otto anni e il mio lavoro consisteva nel portare le pecore al pascolo . Il il mio padrone era molto cattivo, autoritario . Il mio pasto consisteva in pane e formaggio, più raramente un po' di verdura che nasceva nei campi, e a ia madre mezzo litro di latte . In confronto agli altri bambini mi ritenevo fortunato . Ma un giorno scappai, ritornando da mia madre . Non sopportavo più di essere maltrattato, picchiato per un pezzo di pane e formaggio . Il padrone venne a casa mia per convincere per convincere la mamma a farmi tornare alla masseria . Siccome non avevo le scarpe, fece un accordo con lei : tornato a lavorare per lui mi avrebbe comprato le scarpe e trattato bene . Purtroppo la prima condizione venne rispettata, la seconda no. Scappai di nuovo, ma lui mi ' ricomprò ' con la promessa di qualche piatto di pasta . Ritornai alla masseria ma le cose peggiorarono, appena entrato nella loro casa, il padrone mi picchiò togliendomi le scarpe e mandato via a calci . Fui affidato ad un altro padrone, presso il quale trovai finalmente un po' di serenità . Gli anni passavano e io facevo lavori saltuari fino a quando non compii ventisei anni, età alla quale emigrai in Germania, per cercare lavoro alla Mercedes Benz . La fabbrica si trovava in una bella cittadina, Sindefing, distante solo diciotto chilometri da Stoccarda . Certo, sentivo la mancanza dell'Italia, e il problema della lingua mi complicava la vita . Un giorno decisi di recarmi al Consolato italiano, perchè stava per scadere il mio contratto quinquennale . Fu li che vidi . Il manifesto . La scritta, a chiare lettere, era colma di promesse . ' ITALIANI, RITORNATE IN ITALIA . LA FIAT VI ASSUME ' Altri manifesti erano presenti presso i circoli di ritrovo degli operai italiani . Così , pur trovandomi ancora in Germania, feci domanda di assunzione alla FIAT e dopo due settimane ebbi la risposta , con la convocazione per la visita medica . La mia assunzione in FIAT avvenne nel settembre 1967 . La destinazione Mirafiori . L'imbatto con l'ambiente FIAT per me fu devastante . Quanto mi mancava il rispetto con cui lavoravo alla Mercedes... già dal primo giorno fui messo a scaricare dei pezzi abbastanza pesanti alla catena di montaggio . Rivolgendomi al capo, chiesi un paio di guanti .Lui mi gelò : ' Appena arrivato e già pretendi cose che non ti aspettano '. La differenza tra Mercedes e la FIAT era enorme . A Torino mi trovavo costantemente sorvegliato da sceriffi che si nascondevano dietro alle colonne per spiare gli operai . Multe e sospensioni dal lavoro , se un operaio si permetteva di oltrepassare la linea di demarcazione . 14 Mi stavo pentendo di essere tornato in Italia . Avevo lasciato una fabbrica, un'azienda, in cui il lavoro veniva valorizzato per amore dell'Italia, laddove invece discriminazioni e mancanza di rispetto erano all'ordine del giorno . Resistetti alla FIAT per ben venticinque anni e nel 1992 finalmente andai in pensione, conservando bruttissimi ricordi . Poi mi dice una cosa che mi rimane impressa : se avessi avuto delle pecore di sua proprietà, avrebbe preferito il loro belare piuttosto che trovarsi di fronte a esseri umani tanto spregevoli . Nella stanza dell'ospedale siamo ora io B. e A. Tre ex operai tutti colpiti dalla stessa malattia . Neoplasia vascicale . E' stata una coincidenza oppure una realtà di cui si è sempre cercato di nascondere la verità di cosa è successo alla FIAT ? 1966 . Terminata l'era Valletta ( per anni presidente ed amministratore delegato della FIAT ), a dirigere la fabbrica arrivo direttamente l'avvocato Giovanni Agnelli, nipote del fondatore della FIAT . L'Avvocato . Già . Mentre tecnologie e fatturato avanzavano rapidamente verso un unico obbiettivo – la creazione di capitale - , gli operai come sempre erano costretti a durissime lotte per poter vedersi riconoscere i propri diritti . Nella mia mente, scorre sempre una domanda che avrei voluto porre all'Avvocato, qualora mai me lo fosse trovato di fronte. Gli avrei chiesto perchè non avesse cambiato sistema, quello del suo predecessore, un famigerato modello fatto di discriminazioni, lavoro sovrumano, controllo semi poliziesco interno ed esterno alla fabbrica . Perche non si accorse mai – o non si volle mai accorgere – che gli operai erano ormai stanchi di troppi soprusi ? Il vocabolario – Devoto Oli, segnala come ' sopruso ' un ' abuso della propria autorità o di una posizione di superiorità o forza per imporre la propria volontà a danno dei diritti altrui ; prepotenza o vessazione '. Soprusi . Esattamente. Perchè L'Avvocato – uomo colto, intelligente – piuttosto che rivolgersi agli operai cercando di risolvere i problemi con il dibattito preferì affidarsi a una specie di ' cricca ' che comprendeva personaggi incompetenti ed arrivisti che per di più danneggiavano la stessa azienda . Si arrivò così a d una specie di privazione della “ libertà” dentro la fabbrica, che in Italia prima di allora aveva avuto precedenti solo con la repressione nazifascista . Non fu solo la FIAT ad adottare certi metodi . Per colpa di questi, dai primi anni Sessanta in poi, si arrivò a uno scontro sociale con tutto il movimento operaio che portò in un triste baratro l'intero paese . L'anno che viviamo – 2013 – è in questo senso simile a un ' ritorno al passato '. Quando il capitale, nelle sue incarnazioni, è costretto a fare i conti con qualche rivendicazione dei lavoratori cerca di colpire in tutti i modi . Nel 1958 la FIAT ( nella persona dei suoi dirigenti ) tentò in tutti i modi di portare al disfacimento del sindacato Fiom guidando la nascita di un nuovo sindacato la SIDAL. All'epoca – ma non è così ancora oggi...? – 15 era facile trovare personaggi disposti a vendere la propria dignità per i propri interessi dei padroni . Così CISL, UIL e SIDAL erano sponsorizzati in officina, mentre la FIOM veniva penalizzata come coloro che le portavano il voto. La malattia professionale Vorrei potermi svegliare una mattina, e dire che è stato un brutto sogno. 8 aprile 1988 . Primavera inoltrata . Il sole illuminava la città di Torino mentre i colori della natura si mescolavano tra loro. Gli alberi fioriti contribuivano anch'essi ad abbellire la città . Quel giorno ero diretto all'ospedale Molinette per sottopormi a una visita medica urologica per qualcosa di sospetto riscontrato da una precedente ecografia . Entrai in ospedale non particolarmente preoccupato ( era per me la prima ). Dopo essermi sottoposto a visita medica tramite cistoscopia da sveglio, rimasi scioccato . In un attimo arrivai a sentirmi una nullità . Avevo cinquantun anni e fino ad allora la vita mi sorrideva, ma quella terribile visita mi fece perdere la forza di muovermi . Uscito dall'ospedale avevo perso l'orientamento. Non riuscivo più a ricordare la strada per tornare a casa, decisi quindi di prendere un mezzo di trasporto che mi portò nella parte opposta della città . Non mi accorgevo più dell'esistenza del sole, e nemmeno delle persone che mi sfioravano per la strada. Ritornai a casa dicendo che mi ero prenotato per un intervento di poco conto, cercando di nascondere dentro di me la verità sulla visita medica che mi era stata effettuata . 8 luglio 1988, il giorno del mio ricovero presso l'ospedale Molinette . Durò tre giorni . Mi diagnosticarono una neoplasia vescicale, prevedendo un ritorno in ospedale dopo quattro o cinque mesi, e assolutamente non oltre . La diagnosi non mi spavento al momento . Non conoscevo il significato della parola neoplasia . L'unica preoccupazione era quella per un secondo ricovero, credevo che tutto si fosse risolto con il primo . Non fu così e il problema non svanì nemmeno con il secondo ricovero . Il dottore che mi seguiva parlò di ricoveri periodici, perchè la malattia era insanabile e quindi ogni quattro o cinque mesi avrei dovuto sottopormi a cistoscopia per controllare la malattia . Mi toccarono dolorose sedute di chemioterapia, ma questa non ebbe nei miei confronti un risultato determinante . Ad ogni ricovero dovevo effettuare raggi x al torace, a volte ecografie, un esame citologico, elettrocardiogramma, quindi incominciarono le Tac con liquido di contrasto . Marzo 2012 . I ricoveri ospedalieri subiti sono diventati settantadue ( settanta in anestesia totale e due schienali ). 16 Durante uno dei tanti ricoveri, mi fu sostituito internamente parte dell'uretere sinistro e in un altro ricovero si ruppe il laser ( lo strumento di controllo per ureteri e reni ). Lo strumento si ruppe durante il controllo dell'uretere destro in questo caso dovettero forare il rene destro dall' esterno e posizionare un catetere provvisorio dietro la schiena . Nel pieno dei ricoveri, un giorno il dottore che mi seguiva guardando le lastre mi informò che bisognava asportare il rene destro . Subii l'intervento nel settembre 2007. L'asportazione venne luogo in una struttura convenzionata con l'ASL . Il nefrologo asseri in seguito che si tratto di un intervento molto faticoso, per via della posizione del rene . Sembrava che tutto andasse bene, purtroppo il giorno seguente subentrò una emoragia interna e non essendoci rianimazione in questo ospedale, fui trasportato nel pomeriggio in autoambulanza all' ospedale Molinette con poche speranze di sopravvivenza . La perdita del sangue era quasi totale, così secondo il dott . Ceruti che invitò mia moglie a firmare per autorizzare un altro intervento dopo una serie di trasfusioni . Io ero sotto anestesia, non mi accorgevo di ciò che mi accadeva intorno . Il secondo intervento fu molto doloroso . Rimasi sei giorni in rianimazione con prognosi riservata, e senza speranza di sopravvivenza . Dal settembre 2007 ho proseguito con nuovi ricoveri per controllare il rene sinistro sino all'aprile 2012, quando è arrivata un'altra triste notizia : la necessità di asportare il rene sinistro e andare in dialisi . In attesa di subire l'asportazione del secondo rene, dialogare con il lettore attraverso la pagine scritta forse più facile per spiegare condizioni e modi del lavoro negli Anni cinquanta . Personalmente, posso solo raccontare l'esperienza in FIAT dal punto di vista di un dipendente . All'epoca, per un giovane privo di prospettive al proprio paese, essere assunto in FIAT rappresentava un traguardo massimo che poteva essere raggiunto . Nessun operaio però arrivava in fabbrica con una conoscenza già approfondita dei materiali da utilizzare durante la lavorazione e così non c'era conoscenza dei rischi o meno che si potevano correre anche dal punto di vista della salute . I prodotti che utilizzavamo per pulire cabine di verniciatura erano solvente al nitro, solvepol, tricloro, olio plastico . Tutti i contenitori di questi prodotti erano contrassegnati da un triangolo rosso, con il teschio e la scritta “pericolo”. E' vero . C'era la garanzia di avere un posto fisso di lavoro, ma eravamo t seguiti dalla morte, che attraverso la malattia professionale stava cancellando le nostre esistenze. Sarebbe stato ridicolo all'epoca anche solo parlare di sicurezza degli operai, in un mondo dove le parole d'ordine “sfruttamento” e “incremento del capitale”. Ricordo che la prevenzione antinfortunistica veniva affidata a qualche operaio della manutenzione che con una bella medaglia appuntata sul petto con la scritta “prevenzione antinfortunistica ( a prova che quello era il suo compito ) girovagare per la fabbrica aspettando il passar delle ore e il ritorno a casa . Uno di questi 'manutentori ', tale P. abitava per caso nel mio stesso caseggiato e allo stesso piano A completare tutto c'era il fumo. Come anche il rumore dei convogliatori che 17 transitavano sulle nostre teste e lo scarico dei carrelli che trasportavano il materiale alle catene di montaggio . Fu così che la morte un giorno bussò alla mia abitazione, senza farsi vedere . La malattia professionale incominciava a propagarsi dentro di me . Sono venticinque anni che cerco di fronteggiarla, cosa non riuscita a tanti miei compagni di lavoro che hanno pagato con la vita l'insaziabilità di un mondo corrotto . Non è facile sopravvivere a settantadue ricoveri ospedalieri ( ce ne saranno degli altri ). Ma vivere è bello, anche se periodicamente è una vita trascorsa in quella che ormai è la mia seconda casa, l'ospedale Molinette di Torino, oggi con la dialisi, presso l'ospedale Martini . Sono passati molti anni; eppure, durante il sonno mi capita talvolta di tornare a sognare la grande fabbrica, e lo spavento dura fino al mio risveglio . Non furono i ritmi di lavoro duri e disumani a spaventarmi; piuttosto, quel sistema di comando e sorveglianza continua dentro e fuori la fabbrica, attraverso personaggi ben vicini al sistema . Esistono dolorosi documenti e testimonianze atroci di come la FIAT , sin dal Dopoguerra e durante la mia permanenza, ha sempre adottato sistemi repressivi se non discriminatori nei confronti dei suoi operai che non accettavano ( e ancora oggi non accettano, in molti casi ) di essere sfruttati . Il lupo cambia il pelo ma non il vizio . Vecchio proverbio, già, ma sempre valido . Ed ecco che spunta il titolo, giugno 2012 : “ La FIAT condannata per discriminazioni nei confronti degli operai”. Esaminiamo poi un altro punto cardine . L'identità del territorio . Una realtà che la FIAT ha cancellato completamente . Non mettete la testa sotto la sabbia . Torino si è paralizzata per anni a livello economico come realtà operaia e industriale, e questo ha portato l'economia a convogliarsi in un'unica direzione, tralasciando risorse che avrebbero potuto essere utili alla città e a tutto il paese . Morti bianche in prima pagine E' triste leggere sui quotidiani, o ascoltare ai telegiornali, di operai che muoiono sul lavoro . Così ad esempio, su Cronaca Qui del 27 giugno 2012, riportava in prima pagine “Il triste primato degli infortuni sul lavoro : si muore in fabbrica e nei cantieri”. Aggiungo: ci sono altri morti silenziose che non fanno notizia, per esempio quelle causate dal lavoro a contatto con prodotti velenosi e che alla lunga degenerano in malattie professionali che lentamente e tra atroci dolori conducono alla morte . Ci siamo mai chiesti quale sarebbe stato il destino dei lavoratori e ceti deboli ed indifesi, in assenza di uomini coraggiosi che si oppongono alle ingiustizie? E pensare che per preservare quei pochi diritti acquisiti , molti lavoratori pagarono con la vita . Oggi il capitale cerca altrove popolazioni povere ed indifese da sfruttare . 18 E' cambiato tutto, non è cambiato niente . Siamo nel terzo Millennio, eppure ancora oggi la FIAT continua ad adoperare vecchi sistemi stile Anni Cinquanta, discriminazioni nei confronti dei suoi dipendenti di cui fui io steso testimone in quegli anni passati . Erano – dicono, ma è ironico a pensarci – gli anni del famoso 'miracolo economico'. Molti furono gli italiani che emigrarono in Europa, altri attraversarono addirittura l'Oceano . E chi giungeva qui, a Torino, lo faceva perchè aveva un unico desiderio : essere assunto in FIAT . Da uno scritto dal libro di Giuseppe Mungo intitolato – Hanno fatto di noi dei Migranti ( L'ARMATTAN – “ MEMORIE” ) La mia infanzia è stata segnata dalla migrazione, quasi un forzato esilio, causato dalla miseria che, negli Anni Cinquanta del xx secolo, regnava nel Sud d'Italia . Da allora, denuncio l'ingiustizia del mancato sviluppo socioeconomico del Meridione, connesso all'incuria dei dirigenti locali e nazionali, che non hanno saputo offrire sufficienti opportunità di crescita a tale parte del paese. E' la loro indifferenza che ha costretto, e ancora obbliga, migliaia di cittadini all'esodo dalla terra natia . Sono consapevole che le parole, talvolta aspre, con cui esprimo la mia denuncia, potrebbero urtare certi elettori, ma sono la conseguenza delle sofferenze patite e delle dure esperienze vissute personalmente . Giuseppe Mungo, oggi è un cittadino francese . Gli anni dell' emigrazione in massa furono dolorosi per molte famiglie . Padri, fratelli, fidanzati si trovarono ad accettare – per 'portare a casa il pane'lavori massacranti e non di rado anche nocivi per la salute . Più tardi . Dopo il 1955, la FIAT iniziò a modernizzare i propri sistemi di lavoro . Erano gli anni di nuove tecnologie e, forse, di nuove speranze . La più luminosa delle quali, quella di condizioni di lavoro più umane . La mia malattia non è ereditaria . E' stata contratta a causa del lavoro alla FIAT Mirafiori, e riconosciuta nel Duemila dal Tribunale di Torino sezione lavoro . Avevo diciassette anni e, assunto come operaio presso Mirafiori continuai a svolgere il lavoro che avevo svolto l'anno precedente alla mia entrata alla FIAT ( passato presso l'impresa Girardi ). Per altro, mi ritrovavo a utilizzare gli stessi prodotti : solvente al nitro, solvepol, tricloro, olio plastico per pulire cabine di verniciatura, antirombo e forni di essiccazione con temperature che andavano oltre i trecento gradi centigrati . Inoltre ci capitava di adoperare anche acido bollente per la pulizia delle griglie poste nella cabina di verniciatura come pavimento ; talvolta era necessario intervenire sui bagni galvanici, e anche li si respirava cromo ad alte temperature . La Malattia professionale si presenta dopo anni, e lentamente, e può essere letale in poco tempo . All'epoca, le norme di sicurezza non esistevano, oppure 19 non venivano applicate . Il solo criterio che regolava il mondo del lavoro, specialmente in fabbrica, era l'urgenza di produrre . Qualsiasi infortunio si verificasse, specialmente uno di quelli molto gravi, era subito 'coperto' con strane testimonianze . L'infortunato veniva portato via dal posto di lavoro ( forse si voleva evitare il fermo giudiziario dell'attrezzo che aveva causato l'incidente ? ). E' quindi qui comincia la mia storia di convivenza forzata con la mia malattia professionale, una condizione che oggi appartiene a migliaia di lavoratori ed è causa di numerose morti ogni anno . Ritorno con la mente al 1988, anno in cui – nel mese di luglio – entrai per la prima volta all'Ospedale Molinette di Torino per essere ricoverato . Dopo l'accettazione con la trascrizione dei miei dati personali, fui accompagnato in una stanza in cui erano ricoverati cinque pazienti e mi recai verso il letto che mi era stato assegnato, salutando malinconicamente gli altri pazienti ricoverati . La visione più angosciosa era quelle delle sacche di plastica appese ai loro letti. Attraverso lavaggi interni mediante la flebo, nelle sacche confluiva il sangue misto al prodotto che serviva a completare il lavaggio della parte urologica . Cercai di parlare con loro, ma avendo questi subito l'intervento chirurgico, richiamavano gli infermieri e i dottori con il loro lamento di dolore . Per questi ultimi, era un continuo andirivieni giorno e notte . Il giorno che precedeva l'intervento, subii la preparazione per entrare in sala operatoria . L'attesa fu durissima . Durante la notte non riuscivo a dormire . Temevo l'arrivo del mattino. Puntualmente, alle ore sette arrivarono due infermieri con un letto da trasporto che sarebbe servito a condurmi in sala operatoria . Iniziai a sentirmi dentro di me un tremolio, avrei voluto piangere di nascosto . Per non tormentare i miei familiari, però, li salutai sforzandomi in un falso sorriso mentre gli altri ricoverati mi augurarono di tornare presto . Alzai solo la mano in un cenno di ringraziamento, cercando di nascondere la commozione . Ci sbagliavamo . Prima di continuare con lo scritto, vorrei ricordare i centocinquanta dipendenti FIAT che nel 1980 si suicidarono durante la cassa integrazione, convinti di aver perso il lavoro. No, non ci eravamo sbagliati, perchè ancora oggi, nonostante tutto il passato, la FIAT continua a tenere gli stessi metodi discriminatori e intimidatori degli anni cinquanta . Oppure il susseguirsi di personaggi ben scelti dal capitale per dirigere l'azienda, personaggi da sempre ostili nei confronti degli operai, gente che attua un vile ricatto per dimostrare la propria potenza . Già nel 1955 Giuseppe Di Vittorio, grande sindacalista e difensore dei diritti di tutti i lavoratori, denunciava discriminazioni ed intimidazioni nei confronti di operai che non accettavano di essere sfruttati, cosa che invece si sta verificando nuovamente nel terzo millennio . Spesso, si parla di ' autunno caldo '. Ma per me , tutte le stagioni sono calde . 20 Specie se riguardano i lavoratori . Terminato la seconda guerra mondiale, sin da ragazzo – durante, appunto, le quattro stagioni – ho sempre assistito e partecipato a manifestazioni di protesta a supporto dei lavoratori ( che all'epoca erano braccianti agricoli ) che lottavano per difendersi dallo sfruttamento e dalla mancanza di occupazione, mali di cui i padroni era i principali responsabili . Dopo tanti eventi disastrosi, verificatesi con il passare degli anni ( e dal dopoguerra in poi ) il 14 ottobre 1980 a Torino capi ed impiegati della FIAT ( i cosiddetti colletti bianchi ) organizzarono una marcia di protesta , la cosiddetta ' marcia dei quarantamila '. A quella marcia non parteciparono solo i colletti bianchi, ma anche tantissimi operai . La FIAT fu occupata dagli operai che subirono la cassa integrazione . Non vorrei entrare nei particolari .Dico solo che secondo me, e non solo, quella marcia dei quarantamila distrusse la dignità e i diritti di un mondo del lavoro costruito con anni di lotte . Perchè, da dove nacque la famosa marcia dei quarantamila ? Da inizio anni cinquanta, la FIAT aumentava la propria espansione produzione giorno dopo giorno, avendo bisogno di sempre operai ( all'epoca si parla di quindicimila o ventimila all'anno ). Dopo aver passato circa sei anni con i materiali tossici citati in precedenza, mi venne offerto di far parte della squadra di pronto intervento per la manutenzione dei convogliatori che trasportavano materiali . All'epoca , “officina 29” di cui facevo parte, raggruppava meccanici, elettricisti e tubisti . Grazie al mio ingresso nella squadra ebbi la possibilità di essere presente in tutte le officine ogni qual volta fosse richiesta la nostra presenza per un intervento urgente . Periodicamente venivano istallati nuovi impianti automatici per la lavorazione . Operazione pericolosa, a lungo termine, poiché metteva a repentaglio migliaia di posti di lavoro, creando scenari nei quali non fosse più necessaria la presenza dell'operaio . Già nei primi anni Sessanta, l FIAT iniziava studiare come disfarsi dei lavoratori in esubero, a favore dell'automatizzazione delle catene di montaggio . E pensare che così tanti contadini, gente della terra, del Sud, avevano lasciato le campagne e la propria casa per trasferirsi al Nord ed essere assunti dalla FIAT . Come sempre fu il Meridione a pagare, offrendo le proprie braccia e le proprie generazioni alla produttività del paese . Tra i tantissimi esempi che potrei citare di ciò che avveniva in quegli anni in FIAT, mi preme segnalare due, significativi di come preparassero una 'fabbrica senza operaio'. All'epoca Mirafiori era suddivisa in officine numerate . Tra queste, c'era la cosiddetta “ officina 17”. Qui “centinaia” di lavoratori erano addetti alle saldatrice a mano . Ebbene, in quel periodo era in fase di costruzione un enorme impianto di automazione che serviva a saldare tutte le parti dell'auto utilizzando la solo presenza di due operai . Sembrava il soggetto di un film di fantascienza . Si poteva osservare questo grande marchingegno – mi ricordo che venne ribattezzato “Andrea Doria”, come la famosa nave . Un altro caso è quello che riguarda le cabine di verniciatura . 21 Qui si verniciavano le scocche a mano, impiegando molti operai, fino all'avvento delle cabine elettrostatiche . Anche queste automatiche, il che portò alla vera e propria ' estinzione ' di una figura così qualificata come quella dell'operaio verniciatore . 'Tutto questo, insieme a molti altri esempi compreso il “ licenziamento” e dopo la cassa integrazione dei ventiduemila operai inservibili per colpa dell'automazione, fu la molla che portò alla famosa marcia dei quarantamila'. Sono passati più di sessant'anni, ma il sistema discriminatorio messo in piedi dalla FIAT nei confronti dei suoi lavoratori nei confronti dei suoi lavoratori – ribadisco, dei suoi lavoratori, gli stessi che avrebbe dovuto tutelare e proteggere, anche nei propri interessi – continua ad essere presente e ben radicato, sprezzante dei diritti più limpidi e fondamentali inerenti al lavoro . Ma si sa, per il capitale questi sono e restano problemi astratti. Un' altro scandalo, spesso nascosto sotto la sabbia dell' omertà, è quello delle metriche di misurazione scientifica dei tempi presso le fabbriche FIAT. Un sistema, quello denominato T M C = Misurazione Cronometrica del Tempo di Lavoro, ( e successivamente T M C 2 ) esportato direttamente dall'estero, dagli Stati Uniti ( fu una diretta conseguenza degli studi tayloristici ). Tayloristici, ( è la massima efficienza di produzione che un operaio deve produrre secondo il metodo capitalistico così da considerarsi con il ritmo delle macchine ). Riassumendo, la velocità di esecuzione del tempo di lavoro veniva calcolato secondo dei riferimenti matematici che assegnavano un tempo base alle varie operazioni che andavano a comporre una tranche di lavoro , esattamente come se l'operaio fosse parte di un meccanismo, un ingranaggio, e non una persona in carne e ossa con la propria dignità e i propri diritti . Lascio parlare, in merito, un articolo dal titolo “ Misurazione scientifica dei tempi e uso capitalistico delle macchine” pubblicato sul sito “Operai e teoria” il 1 dicembre 2004 . eccone un composto da alcuni estratti : Questi metodi di misurazione del tempo di lavoro operaio divennero parte della contrattazione a partire dagli accordi sindacali del 1968 e del 1971 (…) L'uso di tabelle in sostituzione del giudizio soggettivo del tecnico venne visto come un modo oggettivo e scentifico di fissare i ritmi e di creare dei limiti agli “abusi” aziendali. (….) A partire dalla fine degli ' 80 e poi con gli accordi del ' 93 di Melfi e Pratola Serra, la FIAT ha proposto – e imposto – una ' riforma ' dei sistemi tabellari sostenendo che, essendo le condizioni di fabbrica cambiate (…) cioè essendo il lavoro operaio meno faticoso grazie alle innovazioni impiantistiche, bisognava compilare nuove tabelle . (…) La questione della misurazione scientifica dei tempi di lavoro degli operai di fabbrica e delle impostazione di intensi ritmi di produzione è stata al centro di molti analisi, dibattiti e prese di posizioni dei sindacati di sinistra e tutta l'aria di intellettuali che si occupa delle questioni del lavoro ( vedi Cosi, Reiser ). (…) La matrice T M C è stata disonestamente derivata dalla FIAT a partire dalla metrica M T M con metodi scorretti e arbitrari (…) In queste tabelle si fa astrazione da tutta una serie di dettagli : struttura fisica dell'operaio, abilità ed esperienza nel lavoro, età, grado di affaticamento, sia giornaliero che accumulato 22 nei mesi . Inoltre, non si stima quanto tempo l'operaio potrà lavorare a quei ritmi prima di contrarre certe malattie professionali, senza parlare delle condizioni ambientali ( caldo, freddo, ambiente inquinato, ecc ) in cui l'operaio. Insomma : nelle tabelle M T M l'operaio è considerato come uno strumento di lavoro : non è un organismo ma semplicemente forza muscolare collegata a braccia e gambe e certi sensori che gli permettono di vedere e sentire (…) La macchina toglie il contenuto al lavoro operaio (…) ed in questo trasforma l'operaio a pura appendice della macchina (…) tanto più il lavoro si allontana dal suo carattere soggettivo tipico della manifattura tanto più possibile pianificare i tempi . Nella manifattura e in tutti quei settori dove il sistema delle macchine non viene introdotto, cioè il lavoro è tipo semi – artigianale, il lavoro umano costruisce l'ossatura del processo produttivo (…) viceversa con l'introduzione del sistema delle macchine, il lavoro umano diventa subordinato a quello di un sistema automatico e per questo motivo diventa più ripetitivo ed uniforme. Torneremo più avanti su questo punto e su come sia stato un fattore fondamentale nel portare alle rivolte operaie . Per il momento basta sapere che la FIAT era permeata da questa visione / cultura “dell'operaio – macchina” e che migliaia di lavoratori vedevano sacrificati i loro diritti sull'altare di questo Moloch . Con la mente torno al mese di aprile 2012, in cui fui ricoverato presso l'ospedale Molinette per il solito controllo periodico riguardante il secondo rene (l'altro mi era stato asportato nel 2007). Dopo il controllo in anestesia totale, il dottor Ceruti mi comunicò che non era più possibile proseguire con i controlli periodici ma bisognava (e anche urgentemente) intervenire mediante l'asportazione del secondo rene, il che avrebbe significato conseguente necessita di dialisi . Per un momento rimasi senza parole . Subito chiesi al dottore se l'asportazione fosse strettamente necessaria. Mi sembrava quasi di cercare di 'convincere' i il dottore se era necessariamente asportarlo. Il suo mezzo sorriso imbarazzato fu una risposta abbastanza eloquente. Prima di dimettermi, fu compilato il modulo di prenotazione necessario per l'intervento. Uscito dall'ospedale, mi soffermai ad ammirare un albero nella sua fioritura primaverile. Tra me dissi : ' beato te. Nonostante le intemperie che ti colpiscono, ogni primavera ti rigeneri '. Guardandolo ancora una volta, lo lasciai con un piccolo sorriso, ricambiando quello che lui involontariamente – mi offriva con la sua bella fioritura. Passavano i giorni ma la mia mente era sempre occupata dalla telefonata che sarebbe arrivata dall'ospedale per il ricovero. La data fu quella del 9 luglio 2012, al pomeriggio. L'intervento per l'asportazione sarebbe avvenuto tre giorni dopo. Anche in quel caso ci fu una preparazione fisica per affrontare la sala operatoria. L'attesa della notte precedente l'intervento fu durissima, lunga, sfiancante. Quando arrivarono i due infermieri per trasportarmi in sala operatoria, trattenni la voglia di piangere che mi assalì. Non sarebbe stato giusto, né di fronte ai miei familiari, né agli altri ricoverati che mi augurarono di tornare presto. 23 L'operazione anche in questo caso non fu facile, come mi spiegò il dottor Ceruti successivamente. Nel decorso post operatorio fu avviato un trattamento emodialico quotidiano con il catetere coassiale femorale posizionato sulla coscia destra ; il 25 luglio mi toccò subire un ulteriore intervento al braccio destro per il posizionamento della fistola. Per chi non sapesse co'sè la fistola, ecco un appunto da un manuale dell'ospedale Martini di Torino. Per poter effettuare la dialisi, è necessario un flusso di sangue molto alto : occorre quindi creare un accesso vascolare idoneo. Con un piccolo intervento ( il mio durò circa quattro ore S. F. ) eseguito in anestesia locale, si crea quindi un collegamente permanente – fistola o anastomosi ( F. A. V. ) tra un arteria e una vena. Si ottiene così un passaggio massivo di sangue direttamente dall'arteria alla vena ed una arterializzazione di quest'ultima. Le sedi prevalenti della fistola sono le braccia, a livello del polso o della piega del gomito. L'infissione di due aghi permetterà di eseguire la dialisi La sfortuna volle che dopo qualche mese di funzionamento, la fistola che mi era stata praticata sul braccio destro smise di funzionare. Quindi, per poter continuare ad essere dializzato, mi fu inserito provvisoriamente una cannula nella vena giugulare destra. Dopo circa quaranta giorni, mi venne ripristinata la fistola attraverso una protesi ( vena artificiale ) interno del braccio, e non appena questa iniziò a funzionare di nuovo, la cannula giugulare mi fu rimossa. E' fu così che nel mese di marzo 2013, gli interventi subiti diventarono settantasette. Il due agosto mi presento presso l'ospedale Martini per essere dializzato come sempre. Ad un tratto, il dott. D' Andria, il medico che si apprestava a visitarmi, si accorge che la fistola che mi era stata creata sul braccio destro, ha cessato di funzionare. Immediatamente vengo trasportato in sala operatoria per ripristinare un nuovo percorso del sangue per essere dializzato. Attraverso un apertura nel collo, mi fu inserito in una vena, un catetere a due vie chiamato CVC Tesio, che permetta di prelevare e restituirmi il sangue in corso di dialisi. In generale, per me la dialisi non era una parola astratta. Sapevo della sua esistenza cos'era e come funzionava. Ciò che ignoravo era quello che si provava d essere sottoposto. Non è solo come parlarne. Nello specifico, io sono sottoposto ad emodialisi. Per emodialisi si intente depurazione periodica del sangue che viene filtrato per mezzo di una macchina. Il sangue viene prelevato dal corpo,normalmente da un braccio previo confezionamento di un accesso vascolare ( fistola o catetere venoso ) e pompato in un filtro esterno, viene depurato e quindi restituito al paziente. Il trattamento dura circa quattro ore per tre giorni alterni durante la settimana. 24 25 (…) Ritorno alla FIAT La FIAT, all'epoca gestiva diversi reparti di punizione. Oltre a gestire il “ reparto confine” o “ Stella Rossa” infatti, dove operai specializzati con ideologia di sinistra venivano umiliati con lavori disumani, la FIAT aveva creato in quello di Mirafiori : “ l'Officina 24”, anche in questo caso, operai specializzati che non accettavano di essere sfruttati o anche semplicemente con idee differente da quelle dei padroni, venivano mandati all'officina 24 alla pulizia dei gabinetti, dei refettori o anche a ramazzare le officine. Il “ reparto zero ”, invece, non era propriamente di carattere punitivo. Piuttosto, specialmente durante le votazioni sindacali interne, quei lavoratori che a detta dei capi appartenevano alla sinistra politica erano costretti a votare anche a mezzanotte ( avendo la FIAT preparato per loro un seggio speciale ). Altri lavoratori – sempre di sinistra – venivano obbligati a restare a casa durante le votazioni avendo la giornata pagata . Un altro ricordo mostruoso fu quando, nel 1956, fu istituito per la prima volta un premio di produzione di lire quindicimila, e nel mio reparto operai ritenuti 'di sinistra' (come se esserlo fosse un crimine, peraltro) erano tagliati fuori dalla consegna del premio, pur facendo il proprio dovere lavorando. Io mi proposi di fare una colletta, ma dovetti desistere di fronte alle minacce di licenziamento. Per me fu molto triste vedere il segretario consegnare le buste con il premio mentre altri operai, che pur avendo lavorato duramente, ne erano esclusi. Credevo che con il passare degli anni il terzo millennio avesse appuntito le coscienze, invece, gli attacchi agli operai continuano nel tempo. Cos'è cambiato, dopo la marcia dei Quarantamila ? Esisteva forse un valido motivo per licenziare qui ventiduemila o ventiquattromila operai ? Erano forse tutti delinquenti ? Secondo me, il vero motivo resta sempre il potere delle nuove tecnologie, e nello stesso tempo la necessità di disfarsi degli operai in esubero, da considerarsi alla stregua di spugne da cucina, di quelle usa e getta . Ieri e oggi : verso la fine degli anni Cinquanta / primi anni Sessanta la FIAT aveva un solo scopo, l'aumento giornaliere della produzione di auto . Ai vertici dell'azienda però non si rendeva conto ( o peggio non ci si VOLEVA rendere conto ) del malessere che permeava il tessuto degli operai, principalmente per le condizioni di lavoro o per il modo in cui venivano trattati . In FIAT non c'era solo il “reparto confino” e le officine punitive . Un altro sistema barbaro era incarnato dalla sorveglianza delle guardie private FIAT. Una parte di essi, in divisa aveva il compito di girare per le officine munito di una specie di orologio che calcolava il tempo della loro presenza nelle varie officine nel corso della giornata. Queste guardie avevano fatto un giuramento, quindi era difficile che tralasciassero qualche dettaglio nel corso delle loro ronde . Certo, esisteva sempre qualcuno che si differenziava dagli altri . Altre guardie invece non portavano la divisa, erano bensì in borghese : si diceva che agissero “nell'ombra”, di sottecchi, pronti ad aggredire verbalmente qualsiasi operaio, specie quelli iscritti ai sindacati valutati come “non graditi” dal sistema FIAT. 26 27 Era uno sporco gioco, quello della FIAT di mettere gli operai gli uni contro gli altri. Purtroppo non era il solo esempio esempio di competitività ostile e clima di sospetto tra i lavoratori. Non esisteva infatti solo tra gli operai, ma anche tra le guardie, anch'esse vittime – loro malgrado – di un doppio gioco. Infatti, per qualche soldo di aumento l'uomo non solo è capace di tradire i suoi simili ma anche se stesso e la sua dignità. Un altro ricordo mostruoso a proposito della FIAT mi riporta al tempo delle votazioni interne per eleggere la commissione sindacale. All'epoca, le squadre di manutenzione erano divise in reparti. Ogni qualifica aveva un numero di reparto, per esempio: io appartenevo all'officina 29 reparto 298. I reparti si suddividevano a secondo delle competenze possedute: convogliatori, tubisti, meccanici, saldatori, elettricisti, e così via. Ciò su cui c'è poca luce è quello che succedeva durante le votazioni. Prima di tutto, nei reparti facevano visita i vari capi reparto cercando di convincere gli operai a non votare la FIOM a vantaggio di CISL, UIL, e SIDAL. Se avesse vinto la FIOM, facevano notare, brutte conseguenze avrebbero avuto ripercussioni su tutti noi. Alla voce ' brutte conseguenze ' possiamo benissimo annoverare l'assenza di aumenti o una differente gestione degli straordinari. La cosa più triste fu l'obbligo, per le squadre di manutenzione, di votare tutte allo stesso seggio, reparto dopo reparto, accompagnati dai capi. Sembrava una marcia militare. E' anche vero che dopo l'inizio dei primi scioperi degli anni sessanta cominciò un periodo di disordini nella fabbrica. Dopo anni di soprusi da parte delle gerarchie FIAT, l'operaio gradatamente iniziava a risvegliarsi da anni di durezza e sfruttamenti imposti dal padrone e della sua insaziabilità. Usare violenza non risolve problemi di nessun genere, ma ancora oggi non saprei rispondere se interrogato sul metodo migliore per risolvere i tanti, troppi problemi del lavoro che ancora oggi crea chi sfrutta e discrimina. Quanti brutti ricordi, rimangano impressi nella mia mente. Non riuscirò mai a dimenticare Mirafiori. Oltre alla malattia che mi perseguita giorno dopo giorno, il pensiero ritorna a quei momenti in cui esseri umani vendevano la propria dignità per poche lire. “Capi”, o supposti tali, incapaci che cercavano di emergere solo imponendo comandi spietati nei confronti degli operai, come dettato dalla legge del padrone. Bastava seguire gli ordini di quest'ultimo per vedersi insigniti dell'onore di ricevere, a fine anno, una mancia, la famosa ( famigerata ? ) ' busta nera '. C' era una volta la FIAT. No, non è il titolo di una nuova canzone. O almeno, la canzone esiste, ma non è una novità : si canticchia già all'epoca del ' professor Valletta ', durante la mia permanenza a Mirafiori negli anni cinquanta, un titolo che dura nel tempo, purtroppo sempre prima in classifica con lo stesso triste ritornello : sfruttamento e discriminazioni. C'era una volta la FIAT e non è una novità, dopo l'era Vallettiana tutte le ' orchestre ' e i ' musici ' che sono subentrati al “ Professore” hanno mantenuto intatta la medesima, tetra melodia, un ritornello che parla – sempre – appunto – di “sfruttamento e discriminazione”. 28 E' vero, la FIAT ha memorizzato l'Italia. Ma quale è stato il prezzo da pagare per la pelle dei lavoratori? Ancora oggi il sottosuolo italiano grida vendetta per le violenze continue che sono state inflitte a Madre Terra e, conseguentemente, ai suoi figli. Troppi veleni sono stati ingeriti a forza da un suolo stanco e sfibrato. Troppi bambini – Bambini – si sono ammalati di tumore di un progresso (?) e accumulo di capitali. Nessuno dei responsabili ha tenuto presente – ha voluto essere presente – che quel falso progresso e quell'accumulo erano l'altare su cui sacrificare vite su vite dei dipendenti FIAT e non solo, persone e famiglie che pagarono e pagano ancora oggi il prezzo infame della malattia professionale. Un giorno mi sono chiesto: esiste anche il lavoro mercenario? E cosa significa, esattamente la parola “ mercenario” ? Facendo una ricerca, ho letto che “ il mercenario” è un individuo che a scopo di lucro compie azioni per ordini di un padrone, ed ha precisi doveri nei confronti di chi lo assume per distruggere coloro che vengono sottoposti al suo sistema”. Oggi, dire che c'era una volta la FIAT intesa come Fabbrica Italiana Automobili Torino, è diventato una realtà. Un dato di fatto. Una volta i nostri nonni passavano le giornate a raccontare. Oggi, altri nonni, che una volta erano nipoti, possono raccontare una storia triste. Quella di tanti mercenari che sono diventati i più ricchi dei cimiteri. Mi ricordo ancora quanto i carichi di lavoro fossero disumani, le protezioni antinfortunistiche erano praticamente inesistenti, per non parlare delle persecuzioni dentro e fuori la fabbrica Che amarezza, che umiliazioni considerando anche che tra quegli operai c'erano anche persone valorose, italiani che avevano contribuito in prima linea a liberare la loroTorino dai nazifascisti. Alcuni avevano combattuto tra le montagne del Piemonte o tornavano dai campi di battaglia, altri da quelli di sterminio. Ma alla FIAT tutto ciò non interessava. Il loro scopo era lo sfruttamento più intensivo e massimale della forza lavoro, e poco importava se questo voleva dire discriminazioni e condizioni di lavoro vergognose. Siamo nel terzo Millennio, ora. Com'è la situazione? Non sembra, a leggere il libro di Salvatore Cannavò “ C'era una volta la FIAT ” Dal capitolo Vivere a Pomigliano : “ Non lasciateci soli”. “ Siamo in galera” Non si può denunciare nemmeno un infortunio”. E poi, “la Messa”. Sono i messaggi via Facebook che gli operai di Pomigliano riassunti dalla FIAT nella nuova fabbrica Italia, mandano ai loro ex colleghi rimasti fuori, solo perchè iscritti alla FIOM. Come la storia della malattia confessata al capo che invita l'operaio a non andare in infermeria e che alla fine, di fronte a una febbre evidente, offre una tachipirina. Sono storie triste che non riesco a dimenticare, già scritte nel mio primo libro Sud – Nord: destinazione nel 2004. Era l'anno 1956 e nel mese di marzo mi trovavo a lavare le pareti di una mandata aria con il tricloro, senaz protezione di nessun genere assieme ad un collega di nome Giuseppe Grande, morto di tumore nel 1980 . 29 Mentre eseguivo il mio lavoro fui colpito da un avvelenamento da tricloro e svenni cadendo sul pavimento. Ringrazio che Giuseppe fosse presente, altrimenti sarei morto. Giuseppe e altri compagni mi calarono con delle corde e mi adagiarono sul pavimento mentre due pompieri presenti mi davano dell'ossigeno. L'infermeria era a pochi metri, eppure nessuno si degnò di portarmici. Tantomeno in ospedale. Rimasi sul pavimento per molto, molto tempo. Alle due o forse alle tre di notte, arrivarono due capi reparti di nome C. e B. Io ero ancora disteso a terra, loro mi gettarono solo uno sguardo e poi tornarono nel loro ufficio come non toccati minimamente dell'accaduto. Verso le cinque del mattino, poi i pompieri mi fecero alzare dal pavimento e mi fecero prendere posto su di una sedia. E, quando arrivò l'ora di uscita, vale a dire le sei del mattino, raggiunsi lo spogliatoio con le mie gambe per cambiarmi d'abito. In corso Tazzoli, salii sul tram numero dieci. Vi salii, se pur indebolito. Per inciso, dei due capi reparti nessuno mi venne a chiedere come stessi o se avessi la forza di lasciare la fabbrica. Con l'arrivo dei primi scioperi, all'inizio anni Sessanta, la situazione della FIAT iniziava a farsi critica. Dopo tanti soprusi subiti, gli operai cominciavano a domandarsi se fosse giusto sottostare ancora a taciti ricatti e sfruttamento in serie. Come sempre accade in ogni conflitto, esistono personaggi che sono a destabilizzare, a distruggere, ma io resto sempre dell'idea che fu la stessa FIAT in primis a decidere quando e come disfarsi degli operai in eccesso : a Mirafiori non volava una mosca senza il parere e l'assenso di quei pochi che determinavano il potere. Fu così che – attraverso scioperi che parevano infiniti, una vera guerra di trincea – e l'occupazione di fabbrica si arrivò alla celeberrima marcia “ dei quarantamila”. Fu una marcia che riportò indietro nel tempo, a quando si lottava per ottenere quei pochi diritti fondamentali necessari a nobilitare la condizione di lavoratori, diritti che gli operai si guadagnavano duramente. Dialisi Una parola semplice, apparentemente; e che però ti cambia il modo di vivere. UN giorno, una dottoressa mi disse: dialisi è vita. Vero, ma nel mio caso ha comportato un grave prezzo da pagare. Ho subito troppi interventi per causa della malattia professionale. Dal Venticinque anni ( quasi ventisei ), vivo tra la sofferenza pensando a tanti miei compagni di lavoro negli anni cinquanta, quasi tutti morti di tumore. Gente che aveva progetti da realizzare. Figli da crescere. Una casa da comprare. La malattia professionale li ha distrutti nel corpo e nell'anima. Io nonostante tutti gli interventi, sono riuscito a sopravvivere. Sopravvivere per raccontare: ho cercato di trasformare un destino in una missione. A tutela di chi di chi non ce l'ha fatta, ma anche delle nuove generazioni. “Si lavora per vivere, non si vive per lavorare”. Quant'è vero questo adagio. Non augurarci a nessuno di dover dipendere da una macchina. Di poter dire e scrivere frasi come 'la dialisi mi è diventata familiare'. Perchè in dialisi le ore raddoppiano, non passano più. 30 Talvolta guardo questa grande macchina, osservo le tubazioni in cui circola il sangue, mi soffermo sul rumore della pompa che estrae il mio sangue per poi ristituirmelo. Morire lentamente, per malattie professionali di cui si parla poco, è una sofferenza silenziosa. Intellettuali, scrittori, giornalisti: nessuno ha mai deciso di rompere gli schemi e l'omertà su questo argomento, nessuno è mai sceso tra la gente comune ad ascoltare cosa è realmente successo. L'amarezza più grande che provo, e che nemmeno tra – io chiamo così – i cosiddetti “ capoccioni difensori degli operai” da me più volte personalmente interpellati senza avere nessuna risposta. Oggi avendo maturato una cospicua pensione sono spariti dalla circolazione, “ci sono alcunu che percorrono la stessa strada”. Gente che ha studiato e che però puntualmente su questi temi casca dalle nuvole, oppure si nasconde a orologeria durante i dibattiti, comizi e tavole rotonde. So che la morte ogni giorno mi perseguita, e quando verrà a cercarmi, aro felice di chiudere i miei occhi e ascoltare fermarsi i battiti del mio cuore. Non mi fa paura: la paura è per i disonesti, per chi ha qualcosa da nascondere. Io, con la mia onestà, sarei capace di sorridere. Morire per il lavoro A conferma di quanto scritto in questo libro, il 13 settembre del 2013 a Roma, in Piazza San Pietro si è esposto sul tema del lavoro – e della sicurezza sul lavoro – nientemeno che Papa Francesco. Lo riporto come l'ho letto su un giornale della parrocchia di S. Rita di Torino. “Vorrei raccontarvi una storia”. E' la storia che racconta un midrash biblico di un rabbino del secolo XII. Lui racconta la storia della costruzione della torre di Babele e dice che, per costruire la torre di Babele, era necessario fare i mattoni. Che cosa significa questo? Andare , impastare il fango, portare la paglia,fare tutto... poi al forno. E quando il mattone era fatto doveva essere portato su, per la costruzione della torre di Babele. Un mattone era un tesoro, per tutto il lavoro che ci voleva farlo. Quando cadeva un mattone era una tragedia nazionale e l'operaio colpevole era punito;un mattone era tanto prezioso che se cadeva era un dramma. Ma se cadeva un operaio non succedeva niente, era un'altra cosa. Questo succede oggi: se gli investimenti nelle banche calano un po'... tragedia... come si fa? Ma se muoiono di fame le persone, se non hanno la salute, non fa niente ! Questa è la nostra crisi di oggi. E la testimonianza di una Chiesa povera per i poveri va contro questa mentalità. Io credo che Dio abbia deciso di distruggere la Torre di Babele quando il valore di un mattone è diventato più grande di quello della vita di un uomo. Io non parlo per odio. Non odio nessuno, non è qualcosa che fa parte della mia storia personale. Parlo per monito. Per coraggio – o almeno ci provo. E soprattutto per amore. Per amore delle generazioni a venire, affinchè nella lotta di cui dovranno farsi carico – quella contro possesso, alienazioni e svilimento della vita – non ci sia paura, ma un po' più di speranza. 31 Riporto di seguito un articolo comparso sul quotidiano “ La Repubblica”, in cui il Presidente Giorgio Napolitano lancia l'allarme riguardo l'annosa piaga d elle morti sul lavoro. ( Da “Repubblica”) Roma – Meno morti sul lavoro ma ancora moltissimi, troppi. Il Presidente della Repubblica commenta i nuovi dati sulle morti bianche. “ L'andamento decrescente del drammatico fenomeno degli infortuni sul lavoro non deve fare abbassare la guardia su quella che continua a essere una drammatica piaga sociale”. Queste le parole che Giorgio Napolitano ha rivolto a Giorgio Bettoni, presidente dell'Anmil, Associazione nazionale fra lavoratori mutilati e invalidi del lavoro, in occasione della 63esima giornata per le morti bianche. Nel suo messaggio il Presidente della Repubblica ha commentato i dati raccolti dell'Anmil: Sono 790 i caduti sul lavoro nel 2012. Le malattie professionali sono però spesse dimenticate, quando si riportano questi dati. “ Morire lentamente” equivale comunque a morire. 32 Sabino Ferrante è nato a Torremaggiore (Foggia) il 30 dicembre 1936. Dal 1953 vive e lavora a Torino. Nel novembre del 1999, con il documentario il reduce di Pier Milanese e Monica Affatato, ha partecipato in qualità di attore della sua stessa storia al Festival del cinema Giovani di Torino. Successivamente la sua intervista è entrata a far parte del documentario Tutto era FIAT di Mimmo Calopresti. Nel dicembre 2004 è uscito il suo primo libro Sud – Nord: destinazione FIAT (Tirrenia Stampatori) e nel 2009 il suo secondo libro La mia scelta (Tirrenia Stampatori) e nel 2013 il suo terzo libro : L' Italia è un grande paese? ( Seneca Edizioni ). 33