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Alle vittime degli incidenti sul lavoro
e ai morti di malattie professionali
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Ringrazio il Dott. V. D'Andria, medico nefrologo dell'Ospedale
Martini di Torino e tutti i componenti del reparto dialisi.
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Premessa
dell'autore
La tragedia dimenticata delle morti sul lavoro e le malattie professionali.
La storia che mi trovo a narrare in questo libro è anche quella di migliaia di operai,
che - oggi come ieri – attraverso il lavoro si sono trovati e si trovano a perdere la vita .
Molte le moglie, molti i figli che aspettano il ritorno dal lavoro di un marito, di un
padre . A spezzare quest'attesa però, purtroppo, arriva quasi ogni giorno la notizia di
una tragedia consumata sul lavoro.
Ad altre famiglie, toccano in sorte drammi diversi ma non meno dolorosi : il contatto
con prodotti nocivi e velenosi è la causa di malattie professionali, quasi sempre tumori
Si tratta di malattie che lentamente conducono alla morte, tra ricoveri ospedalieri e
interventi dolorosi, compresa – a volte – l'asportazione di organi.
La mia storia – esattamente come quella di tanti, a cui mi stringo in piena solidarietà –
non vuole essere un lamento. Al contrario, vuole servire da aiuto e da monito a chi per
primo entra nel mondo del lavoro, portando alla luce ciò che questo, spesso nel
silenzio, costringere a vivere migliaia di persone e famiglie innocenti.
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MORTI BIANCHE E MALATTIE PROFESSIONALI
10 ottobre 2010 - Da una pagine di Televideo
MORTI SUL LAVORO, 3 AL GIORNO
Nel 2009 ogni giorno, comprese, tre persone hanno perso la vita sul lavoro : su 790 mila infortuni, 1050 lavoratori sono morti e 886 sono deceduti per malattie
professionali nell'industria.
Lo riporta da Modena L' A N M I L (Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi del
lavoro ), in occasione della 60\ma giornata nazionale per le vittime sul lavoro.
I numeri - per il presidente A N M I L, Franco Bettoni – continuano ad essesere
impressionanti.
9 Ottobre 2011 - Da una Pagina Televideo :
980 Vittime Nel 2010. ANMIL : “ QUASI 800 MILA INFORTUNI ”
Nel 2010 sono stati 980 i morti sul lavoro. 775. 374 sono gli infortuni denunciati e 42.
347 le malattie professionali. E' la denuncia d' A N M I L ( Associazione Mutilati e
Invalidi sul lavoro ).
Ecco l'umiliazione che subiscono coloro che perdono la vita attraverso il lavoro.
3 Aprile 2009 - Pagina Televideo Mediaset, ore 18.50 :
Sicurezza lavoro, 14 arresti - A Bari falsavano i Controlli
La guardia di Finanza di Barletta ha arrestato 14 persone con le accuse di
concussione e corruzione, abuso e falso in atto d'ufficio. Accertamenti e ispezioni nei
luoghi di lavoro sarebbero state “ ammorbidite con tangenti tra i 3500 e 5000 euro a
funzionari pubblici .
Le tre persone in carcere, gli altri undici sono ai domiciliari, sono ispettori della
direzione provinciale del lavoro di Bari, già arrestati e poi scarcerati lo scorso
gennaio.
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Questa è una delle tante pagine amare che non avrei voluto trascrivere,
purtroppo è la realtà di chi durante la lavorazione, adoperava prodotti velenosi a
contatto con vernici.
Troppi tumori in fabbrica
Da un articolo pubblicato sulla Stampa di Torino il 7 Marzo 1999
LE TESTIMONIANZE IN SCENA
“ Sul lenzuolo è stato stampato l'impronta di mio marito. Il suo corpo trasudava quei
colori incancellabili ”
Sono Assunta Baima vedova Franco. Mio marito è morto di cancro il 25 Maggio
1971, all'età di 53 anni.
I primi sintomi si sono manifestati con bruciori al basso ventre e ai reni.
Contemporaneamente ha cominciato ad orinare sangue. Fu ricoverato per la prima
volta nel 1968, ma solo nel 1970, nell'ospedale Molinette di Torino, il professor Sesia
scoprì la neoplasia . Quando la malattia fu scoperta, fu troppo tardi.
Quando lavorava mio marito non mangiava. Io lo spingevo a mangiare, ma lui mi
rispondeva che non sentiva appetito, che aveva sempre in bocca il sapore di benzidina.
Mi diceva: “ E' come avere della benzina in bocca, ancora più forte, però ”. Quel
sapore gli asciugava continuamente la bocca e gola.
Mio marito aveva informato il medico di fabbrica della sua situazione, ma il medico
gli aveva detto che andava bene così.
Gli capitava anche, a mio marito, di perdere urina sia durante la notte che durante il
giorno senza accorgersene.
Sulle mia lenzuola e sul cuscino conservo ancora l'impronta del corpo di mio marito.
Infatti, pur lavandosi e facendosi il bagno prima di coricarsi, durante la notte tutti quei
colori che aveva in corpo uscivano, trapassavano il pigiama, intridevano le lenzuola.
Le macchie che stampavano sulle lenzuola non erano più cancellabili.
Negli ultimi giorni mio marito non aveva più una gocci di sangue; gli avevano fatto
persino dieci trasfusioni in un solo giorno.
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La sofferenza
Quando da un letto d'ospedale
piano piano riesco ad alzarmi,
avvicinandomi ad una finestra
guardo il cielo e le persone
passeggiare. Tutto mi sembra
nuovo, in lontananza un bimbo
gioca.
Con il pensiero lo raggiungo
augurandogli di non incontrare
mai la sofferenza.
Sabino Ferrante
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Tram che collegava Torremaggiore – San severo
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Morire
lentamente
Mi ricordo essere stato un bambino che sorrideva, giocava, correva senza pensieri
anche se la guerra mi aveva segnato profondamente fino a farmi capire la differenza
tra il bene e il male . Poi, diventare un giovanotto con una speranza tale da rendermi
fiducioso verso il cammino della vita e alla ricerca di un lavoro .
Settembre 1953. Il tram fermo davanti alla scuola elementare sembrava addormentato.
Erano le ore 20 di sera, e la strada che conduceva al tram era deserta . Il tempo di
salutare mio padre e il mezzo iniziò lentamente la sua corsa . Bastarono pochi minuti
per allontanarmi da ricordi a me cari .
Rivolsi lo sguardo verso la finestra della scuola – prima elementare -, mentre
l'abbraccio di mia madre mi aveva bloccato la parola.
Il tram mi condusse a San Severo e li salii sul treno per Torino. Viaggio lungo e
faticoso, durante il quale rimasi con i miei pensieri. Con la mente passavo in rassegna
il pensiero di questa grande città, il Maestro quando ci parlava del Monviso dove
nasce il fiume Po ed il suo lungo percorso, e della grande fabbrica di automobili di
nome FIAT.
Ecco finalmente Torino, città meravigliosa : Insegnamento e cultura i suoi principali
valori.
All'epoca si cantava la famosa canzone “Terra straniera quanta malinconia”, a tal
proposito dissi tra me e me : non ho attraversato l'Oceano, sono in Italia, terra che mi
appartiene.
Mai avrei pensato che quella canzone mi appartenesse perchè meridionale.
Altro rispetto che merita questa città, e quello che chiedono le lapidi dei Martiri. Se ne
possono vedere in ogni angolo della città : i nomi di uomini e donne che con il loro
sacrificio ci donarono la libertà. Nel leggere i nomi dei martiri si resta scioccati :molti
di loro furono fucilati dai fascisti all'inizio del 1945, quando era imminente la
liberazione e la fine della guerra.
E' sempre importante ricordare ciò che gli altri dimenticano.
E per me dimenticare Mirafiori resta impossibile, come per chi – alla pari del
sottoscritto – venne assunto li in qualità di operaio. Mi ricordo il giorno : 7 novembre
1955.
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Non vorrei qui ripetere le stesse cose già scritte nel mio primo libro(SudNord: destinazione FIAT, 2004) ma sento ancora urgente e necessaria una
riflessione sul perchè io non riesca a dimenticare Mirafiori.
Ci sono notti in cui, durante il sonno, mi ritrovo nuovamente dentro la fabbrica
tanto è lo spavento che al momento del sussulto che mi sveglia, mi ritrovo a
guardarmi dentro e a dirmi : ' E' stato solo un brutto sogno'. Ciò che testimonia
un intervistato da Clara Caroli per il quotidiano “ La Repubblica” del 16
gennaio 2012 ( articolo “ Alla linea di Mirafiori un film per capire la realtà
della fabbrica”), viene a triste conferma di ciò che sto raccontando.
“Mio padre lavorava alla FIAT – si legge – quando facevo il primo turno
arrivava a casa e si addormentava al tavolo della cucina. Conosco bene i ritmi
alienati e le condizioni di lavoro bestiali degli addetti alla catena di
montaggio”. E poi la cosa più inquietante : “Passano i secoli ma da 'Tempi
Moderni ' non è cambiato niente”.
Era infatti disumano vedere, in catena di montaggio, tanti operai ridotti a dei
numeri, comandati come se fossero in rieducazione, e non al lavoro. L'unico
interessamento per la gerarchia FIAT era la produzione, che ogni giorno
doveva aumentare sempre di più. Cronometristi segnalavano ogni movimento
o calo dell'operaio nel corso della lavorazione.
Non bastasse la fatica, l'aria era irrespirabile e quindi una volta a casa c'era il
bisogno – vitale – di riposo assoluto. Persino parlare ai propri familiari
diventava faticoso.
Mi ricordo che durante la seconda Guerra Mondiale sui muri e sui manifesti si
poteva leggere la scritta : “ Attenzione il nemico ci ascolta”. Alla FIAT questa
scritta non esisteva, ma la paura di confidarsi coi compagni di lavoro era
giustificata.
Il 7 novembre del 1955 era un giorno fortunato : entravo a far parte della
grande famiglia FIAT, dominato – allora – dal prof. Vittorio Valletta, grande
' inquisitore ' , padre padrone nascosto nell'ombra dietro a una patina di
buonismo.
Per il Devoto Oli, infatti, si definisce ' inquisizione ' una inchiesta speciale,
condotta con una procedura arbitraria o comunque lesiva dei diritti, della
libertà e della dignità dell'individuo.
Per far parte della ' grande famiglia ' era necessario il certificato penale con la
dicitura ' risulta nulla ', quella di buona condotta del paese nativo, oltre
all'informativa dei Carabinieri – sezione di Torino – che puntualmente si
presentarono presso la mia abitazione. Non bastasse, serviva anche il Nulla
Osta dell'ufficio Del Lavoro E della Massima Occupazione di Torino, una
specie di ' permesso di soggiorno ' per noi che arrivavamo dal meridione o i
padani del Nord Est. “ Lo stesso permesso di soggiorno che oggi viene
richiesto agli extra comunitari”.
Pur consapevole di un lavoro sicuro, non ci fu da parte mia nessun entusiasmo
per l'assunzione in FIAT. Quel lavoro lo conoscevo già, l'avevo all'impresa
Girardi . Per la FIAT, era usuale subappaltare lavori alle imprese, dove operai '
stranieri – all'epoca così venivano considerate le persone meridionali –
venivano assunti per lavorare senza libretto di lavoro ( al nero ), compreso il
sottoscritto.
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La paga ovviamento la decideva l'impresario, così come non esisteva nessuna
protezione antinfortunistica per l'esecuzione dei lavori.
Ho lasciato il mio paese con tristezza, con negli occhi troppe immagini di
maltrattamenti e sfruttamenti, specie nel mondo agricolo. Parlare con i
braccianti all'epoca, per noi ragazzi era come collegarsi a Internet.
Il loro esempio era infatti molto utile. Restare al mio paese era impossibile ..
essere difensore dei ceti deboli e poveri ( pur essendo io altrettanto ), perciò
fare domanda di arruolamento volontario ( nelle ? ) restava un sogno.
La nostra Costituzione, all'articolo 3, ci dice: Tutti i cittadini hanno pari
dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzioni di sesso, di
razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e
sociali. E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine
economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei
cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva
partecipazione all'organizzazione politica, economica e sociale del paese. Si
tratta dei tanti articoli scritti col sangue di uomini e donne impegnati nella
lotta di liberazione. Ma questo articolo della nostra Costituzione non è mai
stato rispettato da chi di dovere, sin dal dopoguerra, e nemmeno oggi nel
Terzo Millennio si intravedono miglioramenti, anzi è peggio giorno dopo
giorno.
Era la mia prima notte a Torino. Dopo essermi finalmente addormentato,
verso le due fui svegliato da un rumore che non mi era affatto familiare : la
sirena di un' autoambulanza.
Fu a questo punto che, impossibilitato a prendere sonno, decisi di alzarmi e,
fattesi l'alba, mi misi a girovagare perle strade della grande città che si
svegliava. Solo all'ora li vidi, i tram pieni di operai che si recavano in fabbrica
per lavorare. Era tutta una città in movimento. Capii che Torino era una città
dentro Mirafiori.
Ritornando alla FIAT, non tutti sapevano realmente quali fossero le condizioni
di lavoro cui gli operai dovevano sottostare in fabbrica. La paura di perdere il
posto, persino per via di letture di quotidiani non graditi ai dirigenti FIAT, era
costante e si rischiava – oggi si direbbe – mobbing .
Dimenticare Mirafiori, dopo aver contratto una malattia professionale, resta
impossibile. Quello che più mi addolora oggi e leggere ancora su organi di
stampa di gravi discriminazioni nei confronti degli operai, di gente che lavora .
Il 4 febbraio 2012, navigando in Internet, mi sono soffermato a leggere la
pagina web del quotidiano L'Unità. L'articolo, a firma del giornalista Massimo
Franesi, riportava così :
“ La serie infinita di discriminazioni subite dalla Fiom nelle fabbriche FIAT è
senza precedenti nella storia della democrazia italiana, e riporta alla
memoria i reparti confini degli anni cinquanta”.
Per me è stato un tuffo al cuore. Anni cinquanta, che brutti ricordi .
I commenti dei visitatori della pagine erano molteplici. Tra questi, uno di un
utente, Savino Ricci, che scrive :
“ La FIAT non è mi stata un industria democratica e rispettosa dello Stato
italiano, ancora meno dei suoi dipendenti, sempre trattati da nemici,
politicamente, economicamente e perfino quando gli abbiamo comprato le
automobili più difettosi, altrimenti non vendibili sul mercato. Un impero
costruito sulla speculazione
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e sui ricatti sul piano politico ed economico, vissuto sempre di grandi e
massicci finanziamenti con denaro pubblico e senza condizioni, attraverso la
corruzione politica e ricatti permanenti ad ogni livello, forma di mafia senza
bombe né pistole ma con moltissimi morti in più che le tradizionali mafie.
Io non compro più auto FIAT consociate, già da moltissimi anni preferisco a
parità di soldi una auto usata Volkswagen, rispetta i soldi del compratore ed i
suoi lavoratori senza nessun confronto.
Conosco molto bene queste affermazioni che Savino Ricci ha documentati
perfettamente sin dagli anni Cinquanta, ed è molto doloroso che nel 2013 ci sia
ancora qualche personaggio che si crede padrone assoluto della FIAT,
adoperando un sistema barbaro che si credeva appartenesse al passato, agli
anni Cinquanta appunto.
Non conosco come si lavora alla Wolkswagen. Per questo ho consultato un
amico di nome C. che ha lavorato nella fabbrica tedesca dal 1963 al 1966 e
tornò in Italia per motivi familiari . Mi confermò che li non esisteva alcuna
discriminazione, che il rispetto per l'operaio era totale, bastava fare il proprio
lavoro. Ritornato in Italia, poi, fece domanda proprio alla FIAT dove fu
assunto in qualità di operaio.
Fu scioccato, scandalizzato, dal vedere quale disparità esistesse tra il lavoro in
fabbrica in Germania e quello in Italia. Disciplina ferria, al limite del
mobbing : discriminazioni, ritmi massacranti di lavoro . Durante l'era '
vallettiana ' ,la FIAT – con sistemi lesivi della dignità dell'individuo –
divenne una potenza intoccabile .
Senza contare l'altra faccia della medaglia : a questo rigore alienante spesso si
contrapponeva una disorganizzazione gestionale, in cui tanti dirigenti, negli
anni Cinquanta “ la gerarchia FIAT ” tentava in tutti i modi di espellere dalla
fabbrica quel sindacato più attivo in difesa dei lavoratori . Come ai giorni
d'oggi , nel 1955 , la Fiom rifiutò di firmare un accordo che riguardava i tempi
di lavorazione e per questo motivo – per lunghi anni – fu esclusa da
qualsiasi , dico qualsiasi , trattativa aziendale .
Oggi sessantanni dopo, la storia tristemente si rinnova .
Febbraio 2012 . Durante uno dei tanti ricoveri ospedalieri , mi ritrovo come
vicino di letto un signore sardo , B. F. , nato in un bel paese in provincia di
Nuoro , classe 1934 .
Dopo aver passato insieme le prime giornate alle Molinette , mi domanda
come mai mi trovo li . Gli racconto la mia storia lavorativa , gli dico dei
ricoveri periodici a cui la malattia professionale mi ha costretto .
Lui mi ascolta , poi mi guarda e dice :
“ Adesso ti racconto la mia ”.
si vede che è molto orgoglioso del suo passato , nonostante la gravità delle sua
fanciullezza .
Iniziò a raccontare : Sono nato senza conoscere mio padre. Per questo porto il
nome di mia madre. Non mi sono mai vergognato, anche se in paese mi
chiamavano ' bastardo '. Mia madre non aveva mezzi per mantenermi ( per
rispetto suo e della sua famiglia, preferisco non addentrarmi in altri
particolari . S. f. ) e così mi affidò
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a un padrone facoltoso per fare in modo che avessi almeno qualcosa da
mangiare .
Avevo otto anni e il mio lavoro consisteva nel portare le pecore al pascolo . Il
il mio padrone era molto cattivo, autoritario . Il mio pasto consisteva in pane
e formaggio, più raramente un po' di verdura che nasceva nei campi, e a ia
madre mezzo litro di latte . In confronto agli altri bambini mi ritenevo
fortunato . Ma un giorno scappai, ritornando da mia madre . Non sopportavo
più di essere maltrattato, picchiato per un pezzo di pane e formaggio .
Il padrone venne a casa mia per convincere per convincere la mamma a farmi
tornare alla masseria . Siccome non avevo le scarpe, fece un accordo con lei :
tornato a lavorare per lui mi avrebbe comprato le scarpe e trattato bene .
Purtroppo la prima condizione venne rispettata, la seconda no.
Scappai di nuovo, ma lui mi ' ricomprò ' con la promessa di qualche piatto di
pasta . Ritornai alla masseria ma le cose peggiorarono, appena entrato nella
loro casa, il padrone mi picchiò togliendomi le scarpe e mandato via a calci .
Fui affidato ad un altro padrone, presso il quale trovai finalmente un po' di
serenità .
Gli anni passavano e io facevo lavori saltuari fino a quando non compii
ventisei anni, età alla quale emigrai in Germania, per cercare lavoro alla
Mercedes Benz . La fabbrica si trovava in una bella cittadina, Sindefing,
distante solo diciotto chilometri da Stoccarda . Certo, sentivo la mancanza
dell'Italia, e il problema della lingua mi complicava la vita . Un giorno decisi
di recarmi al Consolato italiano, perchè stava per scadere il mio contratto
quinquennale .
Fu li che vidi . Il manifesto .
La scritta, a chiare lettere, era colma di promesse .
' ITALIANI, RITORNATE IN ITALIA . LA FIAT VI ASSUME '
Altri manifesti erano presenti presso i circoli di ritrovo degli operai italiani .
Così , pur trovandomi ancora in Germania, feci domanda di assunzione alla
FIAT e dopo due settimane ebbi la risposta , con la convocazione per la visita
medica . La mia assunzione in FIAT avvenne nel settembre 1967 .
La destinazione Mirafiori .
L'imbatto con l'ambiente FIAT per me fu devastante . Quanto mi mancava il
rispetto con cui lavoravo alla Mercedes... già dal primo giorno fui messo a
scaricare dei pezzi abbastanza pesanti alla catena di montaggio .
Rivolgendomi al capo, chiesi un paio di guanti .Lui mi gelò : ' Appena arrivato
e già pretendi cose che non ti aspettano '.
La differenza tra Mercedes e la FIAT era enorme . A Torino mi trovavo
costantemente sorvegliato da sceriffi che si nascondevano dietro alle colonne
per spiare gli operai .
Multe e sospensioni dal lavoro , se un operaio si permetteva di oltrepassare la
linea di demarcazione .
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Mi stavo pentendo di essere tornato in Italia . Avevo lasciato una fabbrica,
un'azienda, in cui il lavoro veniva valorizzato per amore dell'Italia, laddove
invece discriminazioni e mancanza di rispetto erano all'ordine del giorno .
Resistetti alla FIAT per ben venticinque anni e nel 1992 finalmente andai in
pensione, conservando bruttissimi ricordi .
Poi mi dice una cosa che mi rimane impressa : se avessi avuto delle pecore di
sua proprietà, avrebbe preferito il loro belare piuttosto che trovarsi di fronte a
esseri umani tanto spregevoli . Nella stanza dell'ospedale siamo ora io B. e A.
Tre ex operai tutti colpiti dalla stessa malattia . Neoplasia vascicale .
E' stata una coincidenza oppure una realtà di cui si è sempre cercato di
nascondere la verità di cosa è successo alla FIAT ?
1966 . Terminata l'era Valletta ( per anni presidente ed amministratore delegato
della FIAT ), a dirigere la fabbrica arrivo direttamente l'avvocato Giovanni
Agnelli, nipote del fondatore della FIAT .
L'Avvocato . Già .
Mentre tecnologie e fatturato avanzavano rapidamente verso un unico
obbiettivo – la creazione di capitale - , gli operai come sempre erano costretti a
durissime lotte per poter vedersi riconoscere i propri diritti .
Nella mia mente, scorre sempre una domanda che avrei voluto porre
all'Avvocato, qualora mai me lo fosse trovato di fronte.
Gli avrei chiesto perchè non avesse cambiato sistema, quello del suo
predecessore, un famigerato modello fatto di discriminazioni, lavoro
sovrumano, controllo semi poliziesco interno ed esterno alla fabbrica . Perche
non si accorse mai – o non si volle mai accorgere – che gli operai erano ormai
stanchi di troppi soprusi ?
Il vocabolario – Devoto Oli, segnala come ' sopruso ' un ' abuso della propria
autorità o di una posizione di superiorità o forza per imporre la propria
volontà a danno dei diritti altrui ; prepotenza o vessazione '. Soprusi .
Esattamente.
Perchè L'Avvocato – uomo colto, intelligente – piuttosto che rivolgersi agli
operai cercando di risolvere i problemi con il dibattito preferì affidarsi a una
specie di ' cricca ' che comprendeva personaggi incompetenti ed arrivisti che
per di più danneggiavano la stessa azienda . Si arrivò così a d una specie di
privazione della “ libertà” dentro la fabbrica, che in Italia prima di allora aveva
avuto precedenti solo con la repressione nazifascista . Non fu solo la FIAT ad
adottare certi metodi . Per colpa di questi, dai primi anni Sessanta in poi, si
arrivò a uno scontro sociale con tutto il movimento operaio che portò in un
triste baratro l'intero paese .
L'anno che viviamo – 2013 – è in questo senso simile a un ' ritorno al passato '.
Quando il capitale, nelle sue incarnazioni, è costretto a fare i conti con qualche
rivendicazione dei lavoratori cerca di colpire in tutti i modi . Nel 1958 la FIAT
( nella persona dei suoi dirigenti ) tentò in tutti i modi di portare al
disfacimento del sindacato Fiom guidando la nascita di un nuovo sindacato la
SIDAL. All'epoca – ma non è così ancora oggi...? –
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era facile trovare personaggi disposti a vendere la propria dignità per i propri
interessi dei padroni .
Così CISL, UIL e SIDAL erano sponsorizzati in officina, mentre la FIOM
veniva penalizzata come coloro che le portavano il voto.
La malattia professionale
Vorrei potermi svegliare una mattina, e dire che è stato un brutto sogno.
8 aprile 1988 . Primavera inoltrata .
Il sole illuminava la città di Torino mentre i colori della natura si mescolavano
tra loro. Gli alberi fioriti contribuivano anch'essi ad abbellire la città . Quel
giorno ero diretto all'ospedale Molinette per sottopormi a una visita medica
urologica per qualcosa di sospetto riscontrato da una precedente ecografia .
Entrai in ospedale non particolarmente preoccupato ( era per me la prima ).
Dopo essermi sottoposto a visita medica tramite cistoscopia da sveglio, rimasi
scioccato . In un attimo arrivai a sentirmi una nullità . Avevo cinquantun anni e
fino ad allora la vita mi sorrideva, ma quella terribile visita mi fece perdere la
forza di muovermi . Uscito dall'ospedale avevo perso l'orientamento. Non
riuscivo più a ricordare la strada per tornare a casa, decisi quindi di prendere
un mezzo di trasporto che mi portò nella parte opposta della città .
Non mi accorgevo più dell'esistenza del sole, e nemmeno delle persone che mi
sfioravano per la strada. Ritornai a casa dicendo che mi ero prenotato per un
intervento di poco conto, cercando di nascondere dentro di me la verità sulla
visita medica che mi era stata effettuata .
8 luglio 1988, il giorno del mio ricovero presso l'ospedale Molinette .
Durò tre giorni . Mi diagnosticarono una neoplasia vescicale, prevedendo un
ritorno in ospedale dopo quattro o cinque mesi, e assolutamente non oltre . La
diagnosi non mi spavento al momento .
Non conoscevo il significato della parola neoplasia . L'unica preoccupazione
era quella per un secondo ricovero, credevo che tutto si fosse risolto con il
primo .
Non fu così e il problema non svanì nemmeno con il secondo ricovero . Il
dottore che mi seguiva parlò di ricoveri periodici, perchè la malattia era
insanabile e quindi ogni quattro o cinque mesi avrei dovuto sottopormi a
cistoscopia per controllare la malattia . Mi toccarono dolorose sedute di
chemioterapia, ma questa non ebbe nei miei confronti un risultato
determinante .
Ad ogni ricovero dovevo effettuare raggi x al torace, a volte ecografie, un
esame citologico, elettrocardiogramma, quindi incominciarono le Tac con
liquido di contrasto .
Marzo 2012 .
I ricoveri ospedalieri subiti sono diventati settantadue ( settanta in anestesia
totale e due schienali ).
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Durante uno dei tanti ricoveri, mi fu sostituito internamente parte dell'uretere
sinistro e in un altro ricovero si ruppe il laser ( lo strumento di controllo per
ureteri e reni ). Lo strumento si ruppe durante il controllo dell'uretere destro in
questo caso dovettero forare il rene destro dall' esterno e posizionare un
catetere provvisorio dietro la schiena .
Nel pieno dei ricoveri, un giorno il dottore che mi seguiva guardando le lastre
mi informò che bisognava asportare il rene destro . Subii l'intervento nel
settembre 2007.
L'asportazione venne luogo in una struttura convenzionata con l'ASL . Il
nefrologo asseri in seguito che si tratto di un intervento molto faticoso, per via
della posizione del rene .
Sembrava che tutto andasse bene, purtroppo il giorno seguente subentrò una
emoragia interna e non essendoci rianimazione in questo ospedale, fui
trasportato nel pomeriggio in autoambulanza all' ospedale Molinette con
poche speranze di sopravvivenza .
La perdita del sangue era quasi totale, così secondo il dott . Ceruti che invitò
mia moglie a firmare per autorizzare un altro intervento dopo una serie di
trasfusioni . Io ero sotto anestesia, non mi accorgevo di ciò che mi accadeva
intorno . Il secondo intervento fu molto doloroso . Rimasi sei giorni in
rianimazione con prognosi riservata, e senza speranza di sopravvivenza .
Dal settembre 2007 ho proseguito con nuovi ricoveri per controllare il rene
sinistro sino all'aprile 2012, quando è arrivata un'altra triste notizia : la
necessità di asportare il rene sinistro e andare in dialisi .
In attesa di subire l'asportazione del secondo rene, dialogare con il lettore
attraverso la pagine scritta forse più facile per spiegare condizioni e modi del
lavoro negli Anni cinquanta .
Personalmente, posso solo raccontare l'esperienza in FIAT dal punto di vista di
un dipendente .
All'epoca, per un giovane privo di prospettive al proprio paese, essere assunto
in FIAT rappresentava un traguardo massimo che poteva essere raggiunto .
Nessun operaio però arrivava in fabbrica con una conoscenza già approfondita
dei materiali da utilizzare durante la lavorazione e così non c'era conoscenza
dei rischi o meno che si potevano correre anche dal punto di vista della salute .
I prodotti che utilizzavamo per pulire cabine di verniciatura erano solvente al
nitro, solvepol, tricloro, olio plastico . Tutti i contenitori di questi prodotti
erano contrassegnati da un triangolo rosso, con il teschio e la scritta “pericolo”.
E' vero . C'era la garanzia di avere un posto fisso di lavoro, ma eravamo t
seguiti dalla morte, che attraverso la malattia professionale stava cancellando
le nostre esistenze.
Sarebbe stato ridicolo all'epoca anche solo parlare di sicurezza degli operai, in
un mondo dove le parole d'ordine “sfruttamento” e “incremento del capitale”.
Ricordo che la prevenzione antinfortunistica veniva affidata a qualche operaio
della manutenzione che con una bella medaglia appuntata sul petto con la
scritta “prevenzione antinfortunistica ( a prova che quello era il suo compito )
girovagare per la fabbrica aspettando il passar delle ore e il ritorno a casa .
Uno di questi 'manutentori ', tale P. abitava per caso nel mio stesso caseggiato
e allo stesso piano
A completare tutto c'era il fumo. Come anche il rumore dei convogliatori che
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transitavano sulle nostre teste e lo scarico dei carrelli che trasportavano il
materiale alle catene di montaggio . Fu così che la morte un giorno bussò alla
mia abitazione, senza farsi vedere . La malattia professionale incominciava a
propagarsi dentro di me . Sono venticinque anni che cerco di fronteggiarla,
cosa non riuscita a tanti miei compagni di lavoro che hanno pagato con la vita
l'insaziabilità di un mondo corrotto .
Non è facile sopravvivere a settantadue ricoveri ospedalieri ( ce ne saranno
degli altri ). Ma vivere è bello, anche se periodicamente è una vita trascorsa in
quella che ormai è la mia seconda casa, l'ospedale Molinette di Torino, oggi
con la dialisi, presso l'ospedale Martini .
Sono passati molti anni; eppure, durante il sonno mi capita talvolta di tornare a
sognare la grande fabbrica, e lo spavento dura fino al mio risveglio . Non
furono i ritmi di lavoro duri e disumani a spaventarmi; piuttosto, quel sistema
di comando e sorveglianza continua dentro e fuori la fabbrica, attraverso
personaggi ben vicini al sistema .
Esistono dolorosi documenti e testimonianze atroci di come la FIAT , sin dal
Dopoguerra e durante la mia permanenza, ha sempre adottato sistemi
repressivi se non discriminatori nei confronti dei suoi operai che non
accettavano ( e ancora oggi non accettano, in molti casi ) di essere sfruttati .
Il lupo cambia il pelo ma non il vizio . Vecchio proverbio, già, ma sempre
valido .
Ed ecco che spunta il titolo, giugno 2012 : “ La FIAT condannata per
discriminazioni nei confronti degli operai”.
Esaminiamo poi un altro punto cardine .
L'identità del territorio .
Una realtà che la FIAT ha cancellato completamente . Non mettete la testa
sotto la sabbia . Torino si è paralizzata per anni a livello economico come
realtà operaia e industriale, e questo ha portato l'economia a convogliarsi in
un'unica direzione, tralasciando risorse che avrebbero potuto essere utili alla
città e a tutto il paese .
Morti bianche in prima pagine
E' triste leggere sui quotidiani, o ascoltare ai telegiornali, di operai che
muoiono sul lavoro . Così ad esempio, su Cronaca Qui del 27 giugno 2012,
riportava in prima pagine “Il triste primato degli infortuni sul lavoro : si muore
in fabbrica e nei cantieri”. Aggiungo: ci sono altri morti silenziose che non
fanno notizia, per esempio quelle causate dal lavoro a contatto con prodotti
velenosi e che alla lunga degenerano in malattie professionali che lentamente e
tra atroci dolori conducono alla morte .
Ci siamo mai chiesti quale sarebbe stato il destino dei lavoratori e ceti deboli
ed indifesi, in assenza di uomini coraggiosi che si oppongono alle ingiustizie?
E pensare che per preservare quei pochi diritti acquisiti , molti lavoratori
pagarono con la vita .
Oggi il capitale cerca altrove popolazioni povere ed indifese da sfruttare .
18
E' cambiato tutto, non è cambiato niente .
Siamo nel terzo Millennio, eppure ancora oggi la FIAT continua ad adoperare
vecchi sistemi stile Anni Cinquanta, discriminazioni nei confronti dei suoi
dipendenti di cui fui io steso testimone in quegli anni passati .
Erano – dicono, ma è ironico a pensarci – gli anni del famoso 'miracolo
economico'. Molti furono gli italiani che emigrarono in Europa, altri
attraversarono addirittura l'Oceano . E chi giungeva qui, a Torino, lo faceva
perchè aveva un unico desiderio : essere assunto in FIAT .
Da uno scritto dal libro di Giuseppe Mungo intitolato –
Hanno fatto di noi dei Migranti ( L'ARMATTAN – “ MEMORIE” )
La mia infanzia è stata segnata dalla migrazione, quasi un forzato esilio,
causato dalla miseria che, negli Anni Cinquanta del xx secolo, regnava nel Sud
d'Italia .
Da allora, denuncio l'ingiustizia del mancato sviluppo socioeconomico del
Meridione, connesso all'incuria dei dirigenti locali e nazionali, che non hanno
saputo offrire sufficienti opportunità di crescita a tale parte del paese.
E' la loro indifferenza che ha costretto, e ancora obbliga, migliaia di cittadini
all'esodo dalla terra natia .
Sono consapevole che le parole, talvolta aspre, con cui esprimo la mia
denuncia, potrebbero urtare certi elettori, ma sono la conseguenza delle
sofferenze patite e delle dure esperienze vissute personalmente .
Giuseppe Mungo, oggi è un cittadino francese .
Gli anni dell' emigrazione in massa furono dolorosi per molte famiglie .
Padri, fratelli, fidanzati si trovarono ad accettare – per 'portare a casa il pane'lavori massacranti e non di rado anche nocivi per la salute .
Più tardi . Dopo il 1955, la FIAT iniziò a modernizzare i propri sistemi di
lavoro . Erano gli anni di nuove tecnologie e, forse, di nuove speranze . La più
luminosa delle quali, quella di condizioni di lavoro più umane .
La mia malattia non è ereditaria . E' stata contratta a causa del lavoro alla FIAT
Mirafiori, e riconosciuta nel Duemila dal Tribunale di Torino sezione lavoro .
Avevo diciassette anni e, assunto come operaio presso Mirafiori continuai a
svolgere il lavoro che avevo svolto l'anno precedente alla mia entrata alla FIAT
( passato presso l'impresa Girardi ). Per altro, mi ritrovavo a utilizzare gli stessi
prodotti : solvente al nitro, solvepol, tricloro, olio plastico per pulire cabine di
verniciatura, antirombo e forni di essiccazione con temperature che andavano
oltre i trecento gradi centigrati . Inoltre ci capitava di adoperare anche acido
bollente per la pulizia delle griglie poste nella cabina di verniciatura come
pavimento ; talvolta era necessario intervenire sui bagni galvanici, e anche li si
respirava cromo ad alte temperature .
La Malattia professionale si presenta dopo anni, e lentamente, e può essere
letale in poco tempo . All'epoca, le norme di sicurezza non esistevano, oppure
19
non venivano applicate . Il solo criterio che regolava il mondo del lavoro,
specialmente in fabbrica, era l'urgenza di produrre . Qualsiasi infortunio si
verificasse, specialmente uno di quelli molto gravi, era subito 'coperto' con
strane testimonianze . L'infortunato veniva portato via dal posto di lavoro
( forse si voleva evitare il fermo giudiziario dell'attrezzo che aveva causato
l'incidente ? ).
E' quindi qui comincia la mia storia di convivenza forzata con la mia malattia
professionale, una condizione che oggi appartiene a migliaia di lavoratori ed è
causa di numerose morti ogni anno .
Ritorno con la mente al 1988, anno in cui – nel mese di luglio – entrai per la
prima volta all'Ospedale Molinette di Torino per essere ricoverato .
Dopo l'accettazione con la trascrizione dei miei dati personali, fui
accompagnato in una stanza in cui erano ricoverati cinque pazienti e mi recai
verso il letto che mi era stato assegnato, salutando malinconicamente gli altri
pazienti ricoverati .
La visione più angosciosa era quelle delle sacche di plastica appese ai loro
letti. Attraverso lavaggi interni mediante la flebo, nelle sacche confluiva il
sangue misto al prodotto che serviva a completare il lavaggio della parte
urologica .
Cercai di parlare con loro, ma avendo questi subito l'intervento chirurgico,
richiamavano gli infermieri e i dottori con il loro lamento di dolore .
Per questi ultimi, era un continuo andirivieni giorno e notte .
Il giorno che precedeva l'intervento, subii la preparazione per entrare in sala
operatoria . L'attesa fu durissima . Durante la notte non riuscivo a dormire .
Temevo l'arrivo del mattino. Puntualmente, alle ore sette arrivarono due
infermieri con un letto da trasporto che sarebbe servito a condurmi in sala
operatoria .
Iniziai a sentirmi dentro di me un tremolio, avrei voluto piangere di nascosto .
Per non tormentare i miei familiari, però, li salutai sforzandomi in un falso
sorriso mentre gli altri ricoverati mi augurarono di tornare presto . Alzai solo la
mano in un cenno di ringraziamento, cercando di nascondere la commozione .
Ci sbagliavamo .
Prima di continuare con lo scritto, vorrei ricordare i centocinquanta dipendenti
FIAT che nel 1980 si suicidarono durante la cassa integrazione, convinti di
aver perso il lavoro.
No, non ci eravamo sbagliati, perchè ancora oggi, nonostante tutto il passato,
la FIAT continua a tenere gli stessi metodi discriminatori e intimidatori degli
anni cinquanta .
Oppure il susseguirsi di personaggi ben scelti dal capitale per dirigere
l'azienda, personaggi da sempre ostili nei confronti degli operai, gente che
attua un vile ricatto per dimostrare la propria potenza .
Già nel 1955 Giuseppe Di Vittorio, grande sindacalista e difensore dei diritti di
tutti i lavoratori, denunciava discriminazioni ed intimidazioni nei confronti di
operai che non accettavano di essere sfruttati, cosa che invece si sta
verificando nuovamente nel terzo millennio .
Spesso, si parla di ' autunno caldo '. Ma per me , tutte le stagioni sono calde .
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Specie se riguardano i lavoratori .
Terminato la seconda guerra mondiale, sin da ragazzo – durante, appunto, le
quattro stagioni – ho sempre assistito e partecipato a manifestazioni di
protesta a supporto dei lavoratori ( che all'epoca erano braccianti agricoli ) che
lottavano per difendersi dallo sfruttamento e dalla mancanza di occupazione,
mali di cui i padroni era i principali responsabili .
Dopo tanti eventi disastrosi, verificatesi con il passare degli anni ( e dal
dopoguerra in poi ) il 14 ottobre 1980 a Torino capi ed impiegati della FIAT ( i
cosiddetti colletti bianchi ) organizzarono una marcia di protesta , la cosiddetta
' marcia dei quarantamila '. A quella marcia non parteciparono solo i colletti
bianchi, ma anche tantissimi operai . La FIAT fu occupata dagli operai che
subirono la cassa integrazione . Non vorrei entrare nei particolari .Dico solo
che secondo me, e non solo, quella marcia dei quarantamila distrusse la dignità
e i diritti di un mondo del lavoro costruito con anni di lotte .
Perchè, da dove nacque la famosa marcia dei quarantamila ?
Da inizio anni cinquanta, la FIAT aumentava la propria espansione produzione
giorno dopo giorno, avendo bisogno di sempre operai ( all'epoca si parla di
quindicimila o ventimila all'anno ).
Dopo aver passato circa sei anni con i materiali tossici citati in precedenza, mi
venne offerto di far parte della squadra di pronto intervento per la
manutenzione dei convogliatori che trasportavano materiali .
All'epoca , “officina 29” di cui facevo parte, raggruppava meccanici, elettricisti
e tubisti . Grazie al mio ingresso nella squadra ebbi la possibilità di essere
presente in tutte le officine ogni qual volta fosse richiesta la nostra presenza
per un intervento urgente .
Periodicamente venivano istallati nuovi impianti automatici per la
lavorazione .
Operazione pericolosa, a lungo termine, poiché metteva a repentaglio migliaia
di posti di lavoro, creando scenari nei quali non fosse più necessaria la
presenza dell'operaio . Già nei primi anni Sessanta, l FIAT iniziava studiare
come disfarsi dei lavoratori in esubero, a favore dell'automatizzazione delle
catene di montaggio . E pensare che così tanti contadini, gente della terra, del
Sud, avevano lasciato le campagne e la propria casa per trasferirsi al Nord ed
essere assunti dalla FIAT . Come sempre fu il Meridione a pagare, offrendo le
proprie braccia e le proprie generazioni alla produttività del paese .
Tra i tantissimi esempi che potrei citare di ciò che avveniva in quegli anni in
FIAT, mi preme segnalare due, significativi di come preparassero una 'fabbrica
senza operaio'.
All'epoca Mirafiori era suddivisa in officine numerate . Tra queste, c'era la
cosiddetta “ officina 17”. Qui “centinaia” di lavoratori erano addetti alle
saldatrice a mano . Ebbene, in quel periodo era in fase di costruzione un
enorme impianto di automazione che serviva a saldare tutte le parti dell'auto
utilizzando la solo presenza di due operai . Sembrava il soggetto di un film di
fantascienza . Si poteva osservare questo grande marchingegno – mi ricordo
che venne ribattezzato “Andrea Doria”, come la famosa nave .
Un altro caso è quello che riguarda le cabine di verniciatura .
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Qui si verniciavano le scocche a mano, impiegando molti operai, fino
all'avvento delle cabine elettrostatiche . Anche queste automatiche, il che portò
alla vera e propria ' estinzione ' di una figura così qualificata come quella
dell'operaio verniciatore .
'Tutto questo, insieme a molti altri esempi compreso il “ licenziamento” e
dopo la cassa integrazione dei ventiduemila operai inservibili per colpa
dell'automazione, fu la molla che portò alla famosa marcia dei quarantamila'.
Sono passati più di sessant'anni, ma il sistema discriminatorio messo in piedi
dalla FIAT nei confronti dei suoi lavoratori nei confronti dei suoi lavoratori –
ribadisco, dei suoi lavoratori, gli stessi che avrebbe dovuto tutelare e
proteggere, anche nei propri interessi – continua ad essere presente e ben
radicato, sprezzante dei diritti più limpidi e fondamentali inerenti al lavoro .
Ma si sa, per il capitale questi sono e restano problemi astratti.
Un' altro scandalo, spesso nascosto sotto la sabbia dell' omertà, è quello delle
metriche di misurazione scientifica dei tempi presso le fabbriche FIAT. Un
sistema, quello denominato T M C = Misurazione Cronometrica del Tempo di
Lavoro, ( e successivamente T M C 2 ) esportato direttamente dall'estero, dagli
Stati Uniti ( fu una diretta conseguenza degli studi tayloristici ).
Tayloristici, ( è la massima efficienza di produzione che un operaio deve
produrre secondo il metodo capitalistico così da considerarsi con il ritmo delle
macchine ).
Riassumendo, la velocità di esecuzione del tempo di lavoro veniva calcolato
secondo dei riferimenti matematici che assegnavano un tempo base alle varie
operazioni che andavano a comporre una tranche di lavoro , esattamente come
se l'operaio fosse parte di un meccanismo, un ingranaggio, e non una persona
in carne e ossa con la propria dignità e i propri diritti .
Lascio parlare, in merito, un articolo dal titolo “ Misurazione scientifica dei
tempi e uso capitalistico delle macchine” pubblicato sul sito “Operai e teoria”
il 1 dicembre 2004 .
eccone un composto da alcuni estratti :
Questi metodi di misurazione del tempo di lavoro operaio divennero parte
della contrattazione a partire dagli accordi sindacali del 1968 e del 1971 (…)
L'uso di tabelle in sostituzione del giudizio soggettivo del tecnico venne visto
come un modo oggettivo e scentifico di fissare i ritmi e di creare dei limiti agli
“abusi” aziendali.
(….)
A partire dalla fine degli ' 80 e poi con gli accordi del ' 93 di Melfi e Pratola
Serra, la FIAT ha proposto – e imposto – una ' riforma ' dei sistemi tabellari
sostenendo che, essendo le condizioni di fabbrica cambiate (…) cioè essendo
il lavoro operaio meno faticoso grazie alle innovazioni impiantistiche,
bisognava compilare nuove tabelle . (…)
La questione della misurazione scientifica dei tempi di lavoro degli operai di
fabbrica e delle impostazione di intensi ritmi di produzione è stata al centro di
molti analisi, dibattiti e prese di posizioni dei sindacati di sinistra e tutta l'aria
di intellettuali che si occupa delle questioni del lavoro ( vedi Cosi, Reiser ).
(…)
La matrice T M C è stata disonestamente derivata dalla FIAT a partire dalla
metrica M T M con metodi scorretti e arbitrari (…) In queste tabelle si fa
astrazione da tutta una serie di dettagli : struttura fisica dell'operaio, abilità ed
esperienza nel lavoro, età, grado di affaticamento, sia giornaliero che
accumulato
22
nei mesi . Inoltre, non si stima quanto tempo l'operaio potrà lavorare a quei
ritmi prima di contrarre certe malattie professionali, senza parlare delle
condizioni ambientali ( caldo, freddo, ambiente inquinato, ecc ) in cui
l'operaio.
Insomma : nelle tabelle M T M l'operaio è considerato come uno strumento di
lavoro : non è un organismo ma semplicemente forza muscolare collegata a
braccia e gambe e certi sensori che gli permettono di vedere e sentire (…)
La macchina toglie il contenuto al lavoro operaio (…) ed in questo trasforma
l'operaio a pura appendice della macchina (…) tanto più il lavoro si allontana
dal suo carattere soggettivo tipico della manifattura tanto più possibile
pianificare i tempi . Nella manifattura e in tutti quei settori dove il sistema
delle macchine non viene introdotto, cioè il lavoro è tipo semi – artigianale, il
lavoro umano costruisce l'ossatura del processo produttivo (…) viceversa con
l'introduzione del sistema delle macchine, il lavoro umano diventa subordinato
a quello di un sistema automatico e per questo motivo diventa più ripetitivo ed
uniforme.
Torneremo più avanti su questo punto e su come sia stato un fattore
fondamentale nel portare alle rivolte operaie . Per il momento basta sapere che
la FIAT era permeata da questa visione / cultura “dell'operaio – macchina” e
che migliaia di lavoratori vedevano sacrificati i loro diritti sull'altare di questo
Moloch .
Con la mente torno al mese di aprile 2012, in cui fui ricoverato presso
l'ospedale Molinette per il solito controllo periodico riguardante il secondo
rene (l'altro mi era stato asportato nel 2007).
Dopo il controllo in anestesia totale, il dottor Ceruti mi comunicò che non era
più possibile proseguire con i controlli periodici ma bisognava (e anche
urgentemente) intervenire mediante l'asportazione del secondo rene, il che
avrebbe significato conseguente necessita di dialisi .
Per un momento rimasi senza parole . Subito chiesi al dottore se l'asportazione
fosse strettamente necessaria. Mi sembrava quasi di cercare di 'convincere' i il
dottore se era necessariamente asportarlo. Il suo mezzo sorriso imbarazzato fu
una risposta abbastanza eloquente.
Prima di dimettermi, fu compilato il modulo di prenotazione necessario per
l'intervento. Uscito dall'ospedale, mi soffermai ad ammirare un albero nella sua
fioritura primaverile. Tra me dissi : ' beato te. Nonostante le intemperie che ti
colpiscono, ogni primavera ti rigeneri '.
Guardandolo ancora una volta, lo lasciai con un piccolo sorriso, ricambiando
quello che lui involontariamente – mi offriva con la sua bella fioritura.
Passavano i giorni ma la mia mente era sempre occupata dalla telefonata che
sarebbe arrivata dall'ospedale per il ricovero. La data fu quella del 9 luglio
2012, al pomeriggio. L'intervento per l'asportazione sarebbe avvenuto tre
giorni dopo.
Anche in quel caso ci fu una preparazione fisica per affrontare la sala
operatoria. L'attesa della notte precedente l'intervento fu durissima, lunga,
sfiancante. Quando arrivarono i due infermieri per trasportarmi in sala
operatoria, trattenni la voglia di piangere che mi assalì. Non sarebbe stato
giusto, né di fronte ai miei familiari, né agli altri ricoverati che mi augurarono
di tornare presto.
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L'operazione anche in questo caso non fu facile, come mi spiegò il dottor
Ceruti successivamente. Nel decorso post operatorio fu avviato un trattamento
emodialico quotidiano con il catetere coassiale femorale posizionato sulla
coscia destra ; il 25 luglio mi toccò subire un ulteriore intervento al braccio
destro per il posizionamento della fistola.
Per chi non sapesse co'sè la fistola, ecco un appunto da un manuale
dell'ospedale Martini di Torino.
Per poter effettuare la dialisi, è necessario un flusso di sangue molto alto :
occorre quindi creare un accesso vascolare idoneo. Con un piccolo intervento
( il mio durò circa quattro ore S. F. ) eseguito in anestesia locale, si crea
quindi un collegamente permanente – fistola o anastomosi ( F. A. V. ) tra un
arteria e una vena. Si ottiene così un passaggio massivo di sangue
direttamente dall'arteria alla vena ed una arterializzazione di quest'ultima.
Le sedi prevalenti della fistola sono le braccia, a livello del polso o della
piega del gomito. L'infissione di due aghi permetterà di eseguire la dialisi
La sfortuna volle che dopo qualche mese di funzionamento, la fistola che mi
era stata praticata sul braccio destro smise di funzionare.
Quindi, per poter continuare ad essere dializzato, mi fu inserito
provvisoriamente una cannula nella vena giugulare destra. Dopo circa quaranta
giorni, mi venne ripristinata la fistola attraverso una protesi ( vena artificiale )
interno del braccio, e non appena questa iniziò a funzionare di nuovo, la
cannula giugulare mi fu rimossa.
E' fu così che nel mese di marzo 2013, gli interventi subiti diventarono
settantasette.
Il due agosto mi presento presso l'ospedale Martini per essere dializzato come
sempre. Ad un tratto, il dott. D' Andria, il medico che si apprestava a visitarmi,
si accorge che la fistola che mi era stata creata sul braccio destro, ha cessato di
funzionare.
Immediatamente vengo trasportato in sala operatoria per ripristinare un nuovo
percorso del sangue per essere dializzato. Attraverso un apertura nel collo, mi
fu inserito in una vena, un catetere a due vie chiamato CVC Tesio, che
permetta di prelevare e restituirmi il sangue in corso di dialisi.
In generale, per me la dialisi non era una parola astratta.
Sapevo della sua esistenza cos'era e come funzionava. Ciò che ignoravo era
quello che si provava d essere sottoposto. Non è solo come parlarne.
Nello specifico, io sono sottoposto ad emodialisi.
Per emodialisi si intente depurazione periodica del sangue che viene filtrato
per mezzo di una macchina. Il sangue viene prelevato dal corpo,normalmente
da un braccio previo confezionamento di un accesso vascolare ( fistola o
catetere venoso ) e pompato in un filtro esterno, viene depurato e quindi
restituito al paziente.
Il trattamento dura circa quattro ore per tre giorni alterni durante la settimana.
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25
(…)
Ritorno alla FIAT
La FIAT, all'epoca gestiva diversi reparti di punizione.
Oltre a gestire il “ reparto confine” o “ Stella Rossa” infatti, dove operai specializzati
con ideologia di sinistra venivano umiliati con lavori disumani, la FIAT aveva creato
in quello di Mirafiori : “ l'Officina 24”, anche in questo caso, operai specializzati che
non accettavano di essere sfruttati o anche semplicemente con idee differente da
quelle dei padroni, venivano mandati all'officina 24 alla pulizia dei gabinetti, dei
refettori o anche a ramazzare le officine.
Il “ reparto zero ”, invece, non era propriamente di carattere punitivo. Piuttosto,
specialmente durante le votazioni sindacali interne, quei lavoratori che a detta dei capi
appartenevano alla sinistra politica erano costretti a votare anche a mezzanotte
( avendo la FIAT preparato per loro un seggio speciale ). Altri lavoratori – sempre di
sinistra – venivano obbligati a restare a casa durante le votazioni avendo la giornata
pagata .
Un altro ricordo mostruoso fu quando, nel 1956, fu istituito per la prima volta un
premio di produzione di lire quindicimila, e nel mio reparto operai ritenuti 'di sinistra'
(come se esserlo fosse un crimine, peraltro) erano tagliati fuori dalla consegna del
premio, pur facendo il proprio dovere lavorando.
Io mi proposi di fare una colletta, ma dovetti desistere di fronte alle minacce di
licenziamento. Per me fu molto triste vedere il segretario consegnare le buste con il
premio mentre altri operai, che pur avendo lavorato duramente, ne erano esclusi.
Credevo che con il passare degli anni il terzo millennio avesse appuntito le coscienze,
invece, gli attacchi agli operai continuano nel tempo.
Cos'è cambiato, dopo la marcia dei Quarantamila ?
Esisteva forse un valido motivo per licenziare qui ventiduemila o ventiquattromila
operai ? Erano forse tutti delinquenti ? Secondo me, il vero motivo resta sempre il
potere delle nuove tecnologie, e nello stesso tempo la necessità di disfarsi degli operai
in esubero, da considerarsi alla stregua di spugne da cucina, di quelle usa e getta .
Ieri e oggi : verso la fine degli anni Cinquanta / primi anni Sessanta la FIAT aveva un
solo scopo, l'aumento giornaliere della produzione di auto . Ai vertici dell'azienda però
non si rendeva conto ( o peggio non ci si VOLEVA rendere conto ) del malessere che
permeava il tessuto degli operai, principalmente per le condizioni di lavoro o per il
modo in cui venivano trattati .
In FIAT non c'era solo il “reparto confino” e le officine punitive .
Un altro sistema barbaro era incarnato dalla sorveglianza delle guardie private FIAT.
Una parte di essi, in divisa aveva il compito di girare per le officine munito di una
specie di orologio che calcolava il tempo della loro presenza nelle varie officine nel
corso della giornata. Queste guardie avevano fatto un giuramento, quindi era difficile
che tralasciassero qualche dettaglio nel corso delle loro ronde . Certo, esisteva sempre
qualcuno che si differenziava dagli altri . Altre guardie invece non portavano la
divisa, erano bensì in borghese : si diceva che agissero “nell'ombra”, di sottecchi,
pronti ad aggredire verbalmente qualsiasi operaio, specie quelli iscritti ai sindacati
valutati come “non graditi” dal sistema FIAT. 26
27
Era uno sporco gioco, quello della FIAT di mettere gli operai gli uni contro gli altri.
Purtroppo non era il solo esempio esempio di competitività ostile e clima di sospetto
tra i lavoratori. Non esisteva infatti solo tra gli operai, ma anche tra le guardie,
anch'esse vittime – loro malgrado – di un doppio gioco. Infatti, per qualche soldo di
aumento l'uomo non solo è capace di tradire i suoi simili ma anche se stesso e la sua
dignità.
Un altro ricordo mostruoso a proposito della FIAT mi riporta al tempo delle votazioni
interne per eleggere la commissione sindacale.
All'epoca, le squadre di manutenzione erano divise in reparti. Ogni qualifica aveva un
numero di reparto, per esempio: io appartenevo all'officina 29 reparto 298. I reparti si
suddividevano a secondo delle competenze possedute: convogliatori, tubisti,
meccanici, saldatori, elettricisti, e così via.
Ciò su cui c'è poca luce è quello che succedeva durante le votazioni.
Prima di tutto, nei reparti facevano visita i vari capi reparto cercando di convincere gli
operai a non votare la FIOM a vantaggio di CISL, UIL, e SIDAL. Se avesse vinto la
FIOM, facevano notare, brutte conseguenze avrebbero avuto ripercussioni su tutti noi.
Alla voce ' brutte conseguenze ' possiamo benissimo annoverare l'assenza di aumenti o
una differente gestione degli straordinari. La cosa più triste fu l'obbligo, per le squadre
di manutenzione, di votare tutte allo stesso seggio, reparto dopo reparto, accompagnati
dai capi. Sembrava una marcia militare.
E' anche vero che dopo l'inizio dei primi scioperi degli anni sessanta cominciò un
periodo di disordini nella fabbrica. Dopo anni di soprusi da parte delle gerarchie FIAT,
l'operaio gradatamente iniziava a risvegliarsi da anni di durezza e sfruttamenti imposti
dal padrone e della sua insaziabilità.
Usare violenza non risolve problemi di nessun genere, ma ancora oggi non saprei
rispondere se interrogato sul metodo migliore per risolvere i tanti, troppi problemi del
lavoro che ancora oggi crea chi sfrutta e discrimina.
Quanti brutti ricordi, rimangano impressi nella mia mente.
Non riuscirò mai a dimenticare Mirafiori. Oltre alla malattia che mi perseguita giorno
dopo giorno, il pensiero ritorna a quei momenti in cui esseri umani vendevano la
propria dignità per poche lire. “Capi”, o supposti tali, incapaci che cercavano di
emergere solo imponendo comandi spietati nei confronti degli operai, come dettato
dalla legge del padrone. Bastava seguire gli ordini di quest'ultimo per vedersi insigniti
dell'onore di ricevere, a fine anno, una mancia, la famosa ( famigerata ? ) ' busta nera '.
C' era una volta la FIAT.
No, non è il titolo di una nuova canzone. O almeno, la canzone esiste, ma non è una
novità : si canticchia già all'epoca del ' professor Valletta ', durante la mia permanenza
a Mirafiori negli anni cinquanta, un titolo che dura nel tempo, purtroppo sempre prima
in classifica con lo stesso triste ritornello : sfruttamento e discriminazioni.
C'era una volta la FIAT e non è una novità, dopo l'era Vallettiana tutte le ' orchestre ' e
i ' musici ' che sono subentrati al “ Professore” hanno mantenuto intatta la medesima,
tetra melodia, un ritornello che parla – sempre – appunto – di “sfruttamento e
discriminazione”.
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E' vero, la FIAT ha memorizzato l'Italia. Ma quale è stato il prezzo da pagare per la
pelle dei lavoratori? Ancora oggi il sottosuolo italiano grida vendetta per le violenze
continue che sono state inflitte a Madre Terra e, conseguentemente, ai suoi figli.
Troppi veleni sono stati ingeriti a forza da un suolo stanco e sfibrato. Troppi bambini –
Bambini – si sono ammalati di tumore di un progresso (?) e accumulo di capitali.
Nessuno dei responsabili ha tenuto presente – ha voluto essere presente – che quel
falso progresso e quell'accumulo erano l'altare su cui sacrificare vite su vite dei
dipendenti FIAT e non solo, persone e famiglie che pagarono e pagano ancora oggi il
prezzo infame della malattia professionale.
Un giorno mi sono chiesto: esiste anche il lavoro mercenario? E cosa significa,
esattamente la parola “ mercenario” ?
Facendo una ricerca, ho letto che “ il mercenario” è un individuo che a scopo di lucro
compie azioni per ordini di un padrone, ed ha precisi doveri nei confronti di chi lo
assume per distruggere coloro che vengono sottoposti al suo sistema”.
Oggi, dire che c'era una volta la FIAT intesa come Fabbrica Italiana Automobili
Torino, è diventato una realtà. Un dato di fatto. Una volta i nostri nonni passavano le
giornate a raccontare. Oggi, altri nonni, che una volta erano nipoti, possono raccontare
una storia triste. Quella di tanti mercenari che sono diventati i più ricchi dei cimiteri.
Mi ricordo ancora quanto i carichi di lavoro fossero disumani, le protezioni
antinfortunistiche erano praticamente inesistenti, per non parlare delle persecuzioni
dentro e fuori la fabbrica
Che amarezza, che umiliazioni considerando anche che tra quegli operai c'erano anche
persone valorose, italiani che avevano contribuito in prima linea a liberare la
loroTorino dai nazifascisti. Alcuni avevano combattuto tra le montagne del Piemonte o
tornavano dai campi di battaglia, altri da quelli di sterminio. Ma alla FIAT tutto ciò
non interessava. Il loro scopo era lo sfruttamento più intensivo e massimale della forza
lavoro, e poco importava se questo voleva dire discriminazioni e condizioni di lavoro
vergognose.
Siamo nel terzo Millennio, ora. Com'è la situazione?
Non sembra, a leggere il libro di Salvatore Cannavò “ C'era una volta la FIAT ”
Dal capitolo Vivere a Pomigliano :
“ Non lasciateci soli”. “ Siamo in galera” Non si può denunciare nemmeno un
infortunio”. E poi, “la Messa”. Sono i messaggi via Facebook che gli operai di
Pomigliano riassunti dalla FIAT nella nuova fabbrica Italia, mandano ai loro ex
colleghi rimasti fuori, solo perchè iscritti alla FIOM.
Come la storia della malattia confessata al capo che invita l'operaio a non andare in
infermeria e che alla fine, di fronte a una febbre evidente, offre una tachipirina.
Sono storie triste che non riesco a dimenticare, già scritte nel mio primo libro Sud –
Nord: destinazione nel 2004.
Era l'anno 1956 e nel mese di marzo mi trovavo a lavare le pareti di una mandata aria
con il tricloro, senaz protezione di nessun genere assieme ad un collega di nome
Giuseppe Grande, morto di tumore nel 1980 .
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Mentre eseguivo il mio lavoro fui colpito da un avvelenamento da tricloro e svenni
cadendo sul pavimento. Ringrazio che Giuseppe fosse presente, altrimenti sarei morto.
Giuseppe e altri compagni mi calarono con delle corde e mi adagiarono sul pavimento
mentre due pompieri presenti mi davano dell'ossigeno.
L'infermeria era a pochi metri, eppure nessuno si degnò di portarmici. Tantomeno in
ospedale. Rimasi sul pavimento per molto, molto tempo. Alle due o forse alle tre di
notte, arrivarono due capi reparti di nome C. e B. Io ero ancora disteso a terra, loro mi
gettarono solo uno sguardo e poi tornarono nel loro ufficio come non toccati
minimamente dell'accaduto. Verso le cinque del mattino, poi i pompieri mi fecero
alzare dal pavimento e mi fecero prendere posto su di una sedia. E, quando arrivò l'ora
di uscita, vale a dire le sei del mattino, raggiunsi lo spogliatoio con le mie gambe per
cambiarmi d'abito.
In corso Tazzoli, salii sul tram numero dieci. Vi salii, se pur indebolito. Per inciso, dei
due capi reparti nessuno mi venne a chiedere come stessi o se avessi la forza di
lasciare la fabbrica.
Con l'arrivo dei primi scioperi, all'inizio anni Sessanta, la situazione della FIAT
iniziava a farsi critica. Dopo tanti soprusi subiti, gli operai cominciavano a
domandarsi se fosse giusto sottostare ancora a taciti ricatti e sfruttamento in serie.
Come sempre accade in ogni conflitto, esistono personaggi che sono a destabilizzare,
a distruggere, ma io resto sempre dell'idea che fu la stessa FIAT in primis a decidere
quando e come disfarsi degli operai in eccesso : a Mirafiori non volava una mosca
senza il parere e l'assenso di quei pochi che determinavano il potere.
Fu così che – attraverso scioperi che parevano infiniti, una vera guerra di trincea – e
l'occupazione di fabbrica si arrivò alla celeberrima marcia “ dei quarantamila”.
Fu una marcia che riportò indietro nel tempo, a quando si lottava per ottenere quei
pochi diritti fondamentali necessari a nobilitare la condizione di lavoratori, diritti che
gli operai si guadagnavano duramente.
Dialisi
Una parola semplice, apparentemente; e che però ti cambia il modo di vivere. UN
giorno, una dottoressa mi disse: dialisi è vita. Vero, ma nel mio caso ha comportato un
grave prezzo da pagare. Ho subito troppi interventi per causa della malattia
professionale.
Dal Venticinque anni ( quasi ventisei ), vivo tra la sofferenza pensando a tanti miei
compagni di lavoro negli anni cinquanta, quasi tutti morti di tumore. Gente che aveva
progetti da realizzare. Figli da crescere. Una casa da comprare. La malattia
professionale li ha distrutti nel corpo e nell'anima.
Io nonostante tutti gli interventi, sono riuscito a sopravvivere. Sopravvivere per
raccontare: ho cercato di trasformare un destino in una missione. A tutela di chi di chi
non ce l'ha fatta, ma anche delle nuove generazioni. “Si lavora per vivere, non si vive
per lavorare”. Quant'è vero questo adagio.
Non augurarci a nessuno di dover dipendere da una macchina. Di poter dire e scrivere
frasi come 'la dialisi mi è diventata familiare'. Perchè in dialisi le ore raddoppiano, non
passano più.
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Talvolta guardo questa grande macchina, osservo le tubazioni in cui circola il sangue,
mi soffermo sul rumore della pompa che estrae il mio sangue per poi ristituirmelo.
Morire lentamente, per malattie professionali di cui si parla poco, è una sofferenza
silenziosa. Intellettuali, scrittori, giornalisti: nessuno ha mai deciso di rompere gli
schemi e l'omertà su questo argomento, nessuno è mai sceso tra la gente comune ad
ascoltare cosa è realmente successo.
L'amarezza più grande che provo, e che nemmeno tra – io chiamo così – i cosiddetti
“ capoccioni difensori degli operai” da me più volte personalmente interpellati senza
avere nessuna risposta. Oggi avendo maturato una cospicua pensione sono spariti dalla
circolazione, “ci sono alcunu che percorrono la stessa strada”. Gente che ha studiato e
che però puntualmente su questi temi casca dalle nuvole, oppure si nasconde a
orologeria durante i dibattiti, comizi e tavole rotonde.
So che la morte ogni giorno mi perseguita, e quando verrà a cercarmi, aro felice di
chiudere i miei occhi e ascoltare fermarsi i battiti del mio cuore. Non mi fa paura: la
paura è per i disonesti, per chi ha qualcosa da nascondere. Io, con la mia onestà, sarei
capace di sorridere.
Morire per il lavoro
A conferma di quanto scritto in questo libro, il 13 settembre del 2013 a Roma, in
Piazza San Pietro si è esposto sul tema del lavoro – e della sicurezza sul lavoro –
nientemeno che Papa Francesco. Lo riporto come l'ho letto su un giornale della
parrocchia di S. Rita di Torino.
“Vorrei raccontarvi una storia”.
E' la storia che racconta un midrash biblico di un rabbino del secolo XII.
Lui racconta la storia della costruzione della torre di Babele e dice che, per costruire
la torre di Babele, era necessario fare i mattoni. Che cosa significa questo? Andare ,
impastare il fango, portare la paglia,fare tutto... poi al forno.
E quando il mattone era fatto doveva essere portato su, per la costruzione della torre
di Babele. Un mattone era un tesoro, per tutto il lavoro che ci voleva farlo. Quando
cadeva un mattone era una tragedia nazionale e l'operaio colpevole era punito;un
mattone era tanto prezioso che se cadeva era un dramma.
Ma se cadeva un operaio non succedeva niente, era un'altra cosa.
Questo succede oggi: se gli investimenti nelle banche calano un po'... tragedia... come
si fa? Ma se muoiono di fame le persone, se non hanno la salute, non fa niente !
Questa è la nostra crisi di oggi. E la testimonianza di una Chiesa povera per i poveri
va contro questa mentalità.
Io credo che Dio abbia deciso di distruggere la Torre di Babele quando il valore di un
mattone è diventato più grande di quello della vita di un uomo.
Io non parlo per odio. Non odio nessuno, non è qualcosa che fa parte della mia storia
personale. Parlo per monito. Per coraggio – o almeno ci provo. E soprattutto per
amore. Per amore delle generazioni a venire, affinchè nella lotta di cui dovranno farsi
carico – quella contro possesso, alienazioni e svilimento della vita – non ci sia paura,
ma un po' più di speranza.
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Riporto di seguito un articolo comparso sul quotidiano “ La Repubblica”, in cui il
Presidente Giorgio Napolitano lancia l'allarme riguardo l'annosa piaga d elle morti sul
lavoro.
( Da “Repubblica”)
Roma – Meno morti sul lavoro ma ancora moltissimi, troppi. Il Presidente della
Repubblica commenta i nuovi dati sulle morti bianche. “ L'andamento decrescente del
drammatico fenomeno degli infortuni sul lavoro non deve fare abbassare la guardia su
quella che continua a essere una drammatica piaga sociale”. Queste le parole che
Giorgio Napolitano ha rivolto a Giorgio Bettoni, presidente dell'Anmil, Associazione
nazionale fra lavoratori mutilati e invalidi del lavoro, in occasione della 63esima
giornata per le morti bianche.
Nel suo messaggio il Presidente della Repubblica ha commentato i dati raccolti
dell'Anmil: Sono 790 i caduti sul lavoro nel 2012.
Le malattie professionali sono però spesse dimenticate, quando si riportano questi dati.
“ Morire lentamente” equivale comunque a morire.
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Sabino Ferrante è nato a Torremaggiore (Foggia) il 30 dicembre 1936. Dal 1953 vive e
lavora a Torino. Nel novembre del 1999, con il documentario il reduce di Pier
Milanese e Monica Affatato, ha partecipato in qualità di attore della sua stessa storia al
Festival del cinema Giovani di Torino. Successivamente la sua intervista è entrata a far
parte del documentario Tutto era FIAT di Mimmo Calopresti. Nel dicembre 2004 è
uscito il suo primo libro Sud – Nord: destinazione FIAT (Tirrenia Stampatori) e nel
2009 il suo secondo libro La mia scelta (Tirrenia Stampatori) e nel 2013 il suo terzo
libro :
L' Italia è un grande paese? ( Seneca Edizioni ).
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