La socializzazione dell’arbitrio Alcune note sulla gestione autoritaria dei movimenti migratori di Iside Gjergji «Lo spettacolo è universale come la merce. Ma poiché il mondo della merce è fondato su un’opposizione di classi, la merce diventa gerarchica. L’obbligo per la merce, e dunque per lo spettacolo che dà forma al mondo della merce, di essere allo stesso tempo universale e gerarchica sfocia in una gerarchizzazione universale. Ma per il fatto che questa gerarchizzazione deve restare inconfessata, si traduce in valorizzazioni gerarchiche inconfessabili, perché irrazionali, nel mondo della razionalizzazione senza ragione. È questa gerarchizzazione che crea ovunque razzismi» . ♦ Premessa L’obiettivo che questo saggio si prefigge è quello di “scendere” dal livello astratto della norma giuridica per provare a spiegare - “sgomitando” tra le folle e tra le file degli immigrati alcuni processi nonché ragioni, della loro discriminazione istituzionale in Italia. L’analisi non riguarderà, pertanto, le innumerevoli leggi sull’immigrazione, che si sono succedute nel corso degli ultimi ventiquattro anni, ma si focalizzerà più in basso, ad un livello intermedio, nell’intento di rendere visibili gli svolgimenti quotidiani del rapporto che si instaura tra la popolazione immigrata e la pubblica amministrazione. Passerò pertanto al setaccio quell’interminabile sottobosco di ordini amministrativi, in specie le circolari amministrative, da cui scaturiscono molto spesso le azioni concrete degli apparati esecutivi/amministrativi in tema d’immigrazione. È proprio l’uso abnorme delle circolari amministrative quali dispositivi generali e ordinari nella gestione quotidiana dei movimenti migratori, infatti, ad aver dato vita ad un particolare fenomeno che possiamo anche definire fenomeno di governo per circolari. Tale fenomeno richiede, nell’ambito di questa corale riflessione circa le cause, lo sviluppo e le manifestazioni del razzismo istituzionale contemporaneo, un approccio analitico di tipo diagnostico. Un approccio che mi è apparso utile estendere anche al più recente fenomeno del “regionalismo giuridico/amministrativo” in materia d’immigrazione. Le circolari amministrative, espressione di un diritto interstiziale Il perenne carattere “emergenziale” attribuito all’immigrazione ed il convincimento diffuso circa la “politicità” di tale fenomeno sociale hanno da sempre giustificato l’affidamento esclusivo della sua gestione agli organi esecutivi e all’autorità di polizia, cioè a quegli organi che - come spesso si sostiene - «più direttamente interpretano la volontà ‘politica’ dello Stato»1. G. Debord, Il declino e la caduta dell’economia spettacolare-mercantile, in G. Debord, Il pianeta malato, Nottetempo, Roma, 2007, p. 22. 1 F. Bricola, Forme di tutela “ante-delictum” e profili costituzionali della prevenzione, in Id., Politica criminale e scienza del diritto penale, il Mulino, Bologna, 1997, nota 258, p. 98. Cfr. anche A. Caputo, Immigrazione, diritto penale, sicurezza, in “Questione giustizia”, n. 2-3/2004, pp. 359-379. L’immigrazione è considerata «un problema di ordine ♦ 1 La centralità assunta dal potere esecutivo/amministrativo nella gestione dei movimenti migratori in Italia si è tradotta nella centralità degli atti amministrativi e, in particolare, delle circolari amministrative, le quali hanno assunto nel tempo il carattere di vere e proprie fonti del diritto obiettivo2. Si può dire che l’effettiva condizione giuridica e, in generale, le reali politiche migratorie in Italia sono desumibili non tanto dagli strumenti normativi tradizionali (leggi, decreti legislativi, decreti legge) quanto, piuttosto, dalle innumerevoli circolari amministrative emanate dagli apparati esecutivi e amministrativi dello Stato. Vi è, dunque, un evidente nesso tra l’attuale condizione giuridica e sociale della popolazione immigrata e le circolari amministrative. Prima di avviare il percorso analitico finalizzato ad esaminare tale nesso, mi soffermerò su alcune precisazioni di carattere giuridico, atte a specificare, anche sul piano meramente definitorio, il valore e il significato da attribuire alle circolari amministrative. Si tratta di capire, insomma, se le circolari possono o meno produrre “diritto”. Con il termine “circolare” sono generalmente indicati non un’unica categoria, ma una pluralità di atti amministrativi. Tuttavia è possibile individuare nella prassi alcune circolari a “contenuto tipico” che sono state denominate anche “circolari in senso stretto”. Si tratta di atti attraverso cui l’amministrazione fornisce indirizzi in via generale e astratta relativi alle modalità con cui devono comportarsi i propri dipendenti e i propri uffici3. È questa categoria di circolari ad essere qui oggetto di studio. Da un punto di vista strettamente giuridico il tema delle circolari è assai vasto e, soprattutto, molto complesso. In generale, le circolari amministrative non sono considerate formalmente fonti di diritto pubblico, né dall’ordinamento generale, né dalla dottrina e neanche dalla giurisprudenza. Negli ultimi anni, però, c’è stata un’inversione di tendenza: alcune recenti previsioni legislative sembrano attribuire ad esse un certo rilievo giuridico diretto o indiretto - non trascurabile. Molto significative sono, in tal senso, le disposizioni contenute nella legge n. 839/1984 («Norme sulla Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana e sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana») che prevede l’obbligatoria pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale delle circolari esplicative dei provvedimenti legislativi, oppure nella legge n. 241/1990 («Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi») che introduce l’obbligo di pubblicazione di «direttive, programmi, istruzioni, circolari, ed ogni atto che disponga, in generale, sulla organizzazione, sulle funzioni, sugli obiettivi, sui procedimenti di una pubblica amministrazione, o nei quali si determini l’interpretazione di norme giuridiche o si dettino disposizioni per la loro applicazione» (art. 26). Il processo di pubblicizzazione delle circolari amministrative denota l’avvio di un processo di “emersione” delle circolari da quella zona “oscura” e (spesso) “segreta”4 in cui pubblico, se non proprio bellico. Da affidare sempre più alle polizie e agli eserciti, alle marine militari e ai servizi segreti, alle carceri e ai moltiplicandi centri di detenzione», P. Basso, F. Perocco, Gli immigrati in Europa, in Idd. (a cura di), Gli immigrati in Europa. Disuguaglianze, razzismo, lotte, Franco Angeli, Milano, 2003, p. 7. 2 Due saggi fondamentali sul tema dell’incidenza delle circolari amministrative nella disciplina dell’immigrazione sono: G. Bucci, Una circolare per circolare. A proposito delle politiche sull’immigrazione, in “Costituzionalismo.it”, n.1/2004 (www.costituzionalismo.it) e Id., Eguaglianza, immigrazione e libertà di circolazione nell’era della mondializzazione dell’economia, in Aa.Vv., Studi in onore di G. Ferrara, vol. I, Giappichelli, Torino, 2005, pp. 393-492. L’A. analizza approfonditamente alcune recenti circolari sull’immigrazione ed evidenzia lucidamente i nessi, teorici e pratici, tra questi atti amministrativi e l’attuale condizione sociale e giuridica degli immigrati di nazionalità straniera in Italia. 3 Cfr. E. Casetta, Manuale di diritto amministrativo, Giuffrè, Milano, 2000, p. 479. 4 Occorre specificare, infatti, che le circolari amministrative, in specie quelle provenienti dagli organi esecutivi centrali, sono state tradizionalmente considerate atti amministrativi aventi carattere - quanto meno - “riservato”, se non proprio “segreto”. Anche ora che diversi provvedimenti legislativi tentano di rendere trasparente e “democraticamente controllabile” il sistema di governo per circolari, si può osservare come le circolari effettivamente pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale (o anche sui siti web ufficiali del governo, dei ministeri o altri enti pubblici) 2 solitamente “circolano”, nel tentativo di renderle visibili e soggette ad un controllo esterno, ma appare evidente, nel contempo, che proprio tale processo rivela anche talune contraddizioni relative all’effettivo valore assunto dalle circolari nell’ordinamento generale. Il processo di “emersione” delle circolari rischia cioè di legittimare, implicitamente, l’idea che le circolari amministrative, in quanto diretta espressione di organismi statuali (amministrativi), siano dotate di un autonomo valore giuridico5, oppure che le scelte operate per il tramite delle circolari abbiano un carattere intrinsecamente “cogente”. È come se, in qualche modo, alle circolari venisse riconosciuta una prerogativa nella creazione di “interpretazioni autentiche” o, addirittura, una sorta di funzione integrativa nella produzione di norme giuridiche6. In determinati casi, inoltre, gli studiosi segnalano l’esistenza di decreti modificativi di circolari e viceversa, oppure di decreti emanati per stabilire l’interpretazione “autentica” delle circolari. Gli esempi di questo tipo non sono attualmente numerosi, ma «possono essere considerati come la punta di un iceberg e testimoniano come gli stessi, pur nella loro eccezionalità, facciano emergere la sostanza del potere che viene esercitato dall’autorità amministrativa nel momento dell’adozione di circolari normative»7. La forza e il carattere “dispositivo” delle circolari amministrative si manifesta, dunque, prepotentemente, nella prassi amministrativa. È in questo ambito che alle circolari viene attribuita una forza cogente pari - se non addirittura superiore - alle stesse disposizioni legislative. In base alle osservazioni, infatti, gli operatori amministrativi sembrano sempre di più indotti ad agire pressoché esclusivamente sulla base delle circolari, disinteressandosi totalmente delle leggi8. Ciò che si constata, dunque, è che dal punto di vista formale tutte le posizioni teoriche convergono verso una rimozione delle circolari dal novero delle fonti del diritto obiettivo, ma dal punto di vista sostanziale, ossia del diritto vivente, non si può dire altrettanto9. È proprio in questa contrapposizione tra il dato formale e il dato reale - o meglio tra l’“essere” e l’“apparire” delle circolari - che occorre ricercare anche le ragioni della loro “invisibilità” e “inafferrabilità” anche in sede giudiziaria. Essendo formalmente (e astrattamente) considerate atti interni della pubblica amministrazione, cioè atti che non producono effetti sui soggetti estranei alla pubblica amministrazione, le circolari sfuggono spesso anche al vaglio giurisdizionale. Viene frequentemente esclusa dalla giurisprudenza, infatti, sia la possibilità di impugnazione diretta della circolare sia la possibilità che la circolare costituiscano soltanto una piccolissima percentuale rispetto alla quantità reale di circolari prodotte quotidianamente dalla pubblica amministrazione. La maggior parte delle circolari amministrative rimangono, di fatto, occulte. Cfr., sul punto, M.P. Chiti, Circolare, Enciclopedia Giuridica, Treccani, Roma, 1988, p. 3. 5 Tale rischio sussiste anche nell’ipotesi in cui le circolari forniscano delle interpretazioni delle disposizioni legislative. Anche in tali casi, infatti, si rischia di legittimare un (insussistente) potere di supremazia della pubblica amministrazione nell’interpretazione delle disposizioni legislative. 6 Nella dottrina sviluppatasi durante il periodo fascista si sosteneva spesso che le circolari fossero una delle fonti più autorevoli per l’interpretazione delle leggi. In alcuni casi, addirittura, alcuni autori hanno coerentemente sostenuto che la «funzione essenziale delle circolari è […] quella di produrre norme giuridiche»: cfr. M. Piacentini, Le circolari come fonti di diritto obiettivo, in “Rivista di diritto pubblico”, 1942, II, p. 252. 7 R. Tarchi, Le circolari ministeriali con particolare riferimento alla prassi, in U. De Siervo (a cura di), Norme secondarie e direzione dell’amministrazione, il Mulino, Bologna, 1992, p. 48. 8 Cfr., in tal senso, U. Allegretti, Le rôle de la pratique dans la formation du droit public en Italie, in Aa.Vv., Studi in memoria di V. Bachelet, II, Giuffrè, Milano, 1987, p. 10. 9 Ciò che si constata, dunque, è un grande divario tra quello che può definirsi «il diritto teorico (rappresentato dal connubio tra dottrina e giurisprudenza), orientato ancora (e forse necessariamente) ad affermare la prevalenza di un astratto dover essere, frutto di una ricognizione dei principi che regolano il sistema delle fonti del diritto e l’organizzazione del governo e della pubblica amministrazione oltre che, in certi casi […], dei profili connessi alla tutela dei diritti individuali, ed il diritto vivente, costituito dalla prassi, nel quale può essere identificato “l’essere” del problema, ovvero il modo in cui l’ordinamento si mostra e si sviluppa in concreto, anche in contrasto con le regole formali che lo disciplinano», R. Tarchi, Le circolari ministeriali con particolare riferimento alla prassi, cit., p. 235. 3 si configuri «quale atto presupposto del provvedimento lesivo che ne abbia fatto puntuale applicazione»10. Esiste, pertanto, non solo un problema di definizione organica delle circolari amministrative (in particolare delle circolari a carattere dispositivo), ma anche un problema di tutela giurisdizionale dagli effetti prodotti dalle circolari. Queste sono attualmente situate in una zona di confine tra il diritto vigente e la prassi, ossia si frappongono come «un diaframma tra le disposizioni legislative e la loro concreta applicazione»11. Si può parlare, insomma, di una sorta di infra-diritto, prodotto esclusivamente da fonti interne alla pubblica amministrazione. Quello dell’infra-diritto amministrativo è – come si vedrà in seguito – un universo in continua espansione, composto da atti amministrativi (oppure, come si verifica più spesso di recente, da atti collocati tra il “non del tutto amministrativo” e il “non ancora legge”) che, pur non essendo annoverati formalmente tra le fonti del diritto, si “occultano” negli interstizi di queste assumendone le sembianze. Le attuali politiche migratorie in Italia si esprimono essenzialmente attraverso le circolari amministrative, ossia attraverso un diritto interstiziale. Ciò evidenzia, anzitutto, anche nel campo del diritto la volontà delle istituzioni di non conferire una piena soggettività giuridica agli immigrati, e pone inoltre all’interprete seri interrogativi sull’attuale organizzazione del potere, sull’uso di forme para-normative nel suo esercizio e, in generale, sul processo di trasformazione dello stato, il quale è ben lungi dall’abbandonare, a causa della cosiddetta “globalizzazione”, le sue funzioni di governo e di controllo12. Ancora una volta, quindi, le politiche migratorie sembrano rivelarsi una importante chiave di lettura complessiva delle politiche pubbliche del nostro tempo. Immigrazione e comando amministrativo: breve storia di una relazione antica Le questioni sin qui analizzate vanno considerate come la premessa imprescindibile per una valutazione globale del “modello italiano” di gestione dell’immigrazione. Senza tale premessa non sarebbe possibile affermare, infatti, al di là delle caratteristiche, più o meno razziste, delle singole “disposizioni” contenute nelle circolari amministrative, che è il sistema di governo per circolari ad essere intrinsecamente e irrevocabilmente razzista. Ai soggetti e ai segmenti di popolazione, la cui esistenza è prevalentemente determinata e scandita mediante circolari amministrative, vengono di fatto negate, in primis, tutte quelle garanzie formali e procedurali (e, di conseguenza, anche sostanziali) che l’ordinamento giuridico riconosce – generalmente e astrattamente - a tutti. Si tratta, insomma, di soggetti “gestiti”, “disciplinati” e “tutelati” da un sottosistema normativo di tipo amministrativo che, in quanto tale, non può che fornire una pseudoprotezione giuridica. Si dà origine, così, ad una situazione in cui non è più possibile applicare le TAR Molise, Campobasso, sent. 15 gennaio 2007, n. 12. M.P. Chiti, Circolare, cit., p. 3. 12 Al contrario, queste funzioni si vanno rafforzando in nuove articolazioni: alcune vengono delegate ad organismi sovranazionali; altre sono affidate a governi locali organizzati in modo sempre più autoritario (nel caso italiano è sufficiente richiamare lo svuotamento subìto dalle assemblee elettive a favore dell’accentramento dei poteri nelle mani dei sindaci e “governatori” regionali) in nome del cosiddetto “federalismo”; altre ancora sono portate avanti attraverso vecchie e nuove forme di infra-diritto. Ma il segno comune di questa nuova articolazione del potere è quello della crescente capacità di sottrarsi preventivamente al controllo democratico e delle assemblee elettive, nonché al controllo di costituzionalità e al sindacato degli organi giudiziari. Per un’analisi esaustiva della trasformazione dello stato nell’era della globalizzazione cfr. P. Barrucci, Economia globale e sviluppo locale. Per una dialettica della modernità avanzata, Felici, Pisa, 1998; R. Bellofiore, Lo stato e le metamorfosi della globalizzazione: dalla crisi del fordismo alla nuova economia, in “Giano. Pace, ambiente, problemi globali”, n. 37/2001; L Cavallaro, Lo stato dei diritti. Politica economica e rivoluzione passiva in occidente, Vivarium, Napoli, 2005; D. Harvey, La guerra perpetua. Analisi del nuovo imperialismo, il Saggiatore, Milano, 2006; G. Bucci, La sovranità popolare nella trappola delle reti multilevel, in “Costituzionalismo.it”, n. 1/2008. 10 11 4 categorie giuridiche tradizionali (o moderne). E questo è esattamente ciò che si è realizzato nei confronti della popolazione immigrata in Italia. In Italia, infatti, per lungo tempo, (quasi) l’intera disciplina dell’immigrazione è stata affidata alle “disposizioni” di carattere generale contenute nelle circolari ministeriali, in particolare in quelle del ministero dell’Interno, da sempre organo deputato alla gestione dei movimenti migratori. La prima legge in tema di immigrazione, del resto, è stata approvata soltanto nel 1986, vale a dire ben 38 anni dopo l’entrata in vigore della Costituzione del 1948. Questa lacuna normativa13 è stata colmata da una ricca congerie di circolari ministeriali, le quali sono state considerate come le “vere” - oltre che le uniche - fonti della disciplina dell’immigrazione (specie con riferimento ai diritti civili, sociali e politici). Tali circolari hanno costituito, nel corso del tempo, un corpus normativo complesso e dettagliato, in grado di incidere considerevolmente in ogni ambito e settore della vita e del lavoro degli immigrati in Italia. Anche oggi che la legislazione sulla condizione degli immigrati può dirsi (quasi) completa, l’attività di proliferazione di circolari ministeriali in tema di immigrazione non è cessata, o almeno diminuita. Al contrario, in questi ultimi anni si registra addirittura un incremento nell’utilizzo delle circolari ministeriali come strumento privilegiato di “integrazione” e di “interpretazione” della disciplina dell’immigrazione. La continua creazione di “regole nuove” e di “interpretazioni autentiche” attraverso le circolari ministeriali produce, inevitabilmente, un forte condizionamento nelle modalità e nei tempi di applicazione della stessa legislazione in vigore. Si è rilevato infatti che, nell’ambito delle politiche migratorie, si è venuta a creare una sorta di «quasi-disciplina interstiziale, legibus soluta, derivante da fonti non legislative»14 che ha determinato un «sovvertimento del rapporto tra leggi e prassi, con il prevalere di quest’ultima addirittura come fonte di diritto»15. Il legame tra circolari e condizione giuridica degli stranieri in Italia, però, è un legame antico. Si instaura con la nascita dello stato italiano, per saldarsi poi, in modo significativo, durante il periodo fascista16. Attraverso le circolari diramate in questo periodo si dettavano, non solo i tempi e le modalità di attuazione delle leggi e dei regolamenti, ma si legittimava anche il consolidamento di prassi non previste dalla normativa in vigore, e spesso contrastanti con essa17. Gli studiosi rilevano, in particolare, un frequente utilizzo delle circolari come strumenti privilegiati nell’affermazione e nello sviluppo di politiche esplicitamente discriminatorie, oltre che nella conduzione della lotta politica contro alcune determinate categorie di soggetti: stranieri, ebrei, zingari, oppositori politici. Le misure persecutorie e discriminatorie nei confronti di questi particolari segmenti di popolazione sono state disposte, infatti, prima ancora di essere formalmente stabilite dalle leggi, mediante le circolari amministrative18. La formale constatazione della lacuna normativa ha portato alcuni studiosi ad affermare (erroneamente) che in Italia non siano esistite “vere” politiche migratorie prima degli anni novanta. 14 G. Ghezzi, Il lavoratore extracomunitario in Italia: problemi giuridici e sindacali, in “Politica del diritto”, n. 2/1982, p. 195. 15 L. Pepino, P.L. Zancheta, L’Italia degli stranieri: il controllo amministrativo e penale, in “Questione Giustizia”, n. 3/1989, p. 658. Cfr., in tal senso, anche G. Cerminara, Prassi discutibili e incerte prospettive per il soggiorno degli stranieri in Italia, in “Questione Giustizia”, n. 1/1987, p. 21. 16 Per un’analisi più dettagliata della condizione giuridica degli stranieri nel periodo liberale e fascista, espressa anche mediante circolari amministrative, cfr. I. Gjergji, Il trattenimento dello straniero in attesa di espulsione: una “terra di nessuno” tra ordine giuridico e fatto politico, in “Costituzionalismo.it”, n. 3/2006. 17 Cfr. F. Pastore, Migrazioni internazionali e ordinamento giuridico, Annali XIV, in Storia d’Italia, a cura di L. Violante, Einaudi, Torino, 1998, pp. 1035-1036. L’A. evidenzia come anche l’istituto del “permesso di soggiorno” sia stato introdotto nella prassi dalle circolari ministeriali del periodo fascista e non, quindi, dalle disposizioni legislative all’epoca vigenti. 18 Emblematica appare in tal senso la circolare del ministero dell’Educazione nazionale del 1° settembre 1938, che anticipa (seppur di pochi giorni) le disposizioni contenute nel regio decreto 5 settembre 1938, n. 1390, recante «Disposizioni per la difesa della razza nella scuola fascista». Questa circolare, oltre ad anticipare le razziste disposizioni legislative nei confronti della popolazione ebraica, dà conto, nel contempo, dell’uso abituale 13 5 Altre circolari, come quelle sull’internamento, il confinamento, l’invio nei campi di concentramento, l’espulsione degli ebrei19, degli stranieri e degli zingari sono state particolarmente importanti nella costruzione concreta della prassi quotidiana delle polizie e dell’amministrazione pubblica in generale. La funzione e la portata delle circolari amministrative sugli stranieri, sia del periodo liberale che fascista, non può essere compresa, però, se non si tiene conto della funzione e della portata di tali atti amministrativi nell’esperienza coloniale dell’Italia liberale e fascista20. Gli ordini amministrativi sono stati il paradigma di governo dei popoli colonizzati, ossia il nomos del dominio europeo nelle colonie21. Sono stati proprio il dinamismo dell’agire burocratico e le prassi amministrative che hanno sostenuto e messo in atto le elaborazioni ideologiche del colonialismo22. Del resto, lo stesso modello generale dell’ordinamento liberale, fondato sulla ripartizione dei poteri e sulla supremazia della legge astratta e generale, non è mai stato effettivamente realizzato nelle colonie. Ogni decisione e provvedimento riguardante tali territori era essenzialmente espressione della funzione amministrativa, anche perché – si affermava - sarebbe stato «assurdo mantenervi le forme parlamentari, i distinti poteri od alcuno di quei meccanismi che ne formano il nostro vanto»23. Le colonie erano quindi delle circolari come strumento quotidiano privilegiato nell’esercizio del potere: «[…] Per quanto concerne il corpo insegnante, si è vietato, con la circolare n. 12336 del 9 corrente mese [recte: agosto], che si allega in copia, il conferimento delle supplenze e degli incarichi per il nuovo anno scolastico, nelle scuole elementari e medie, ad insegnanti di razza ebraica. Lo stesso criterio di esclusione sarà adottato nei confronti degli aspiranti ad incarichi universitari, quando si tratterà di approvare le proposte già avanzate al riguardo, ai sensi delle disposizioni in vigore, dalle Università del Regno. Per quanto concerne gli scolari, è stato disposto, con circolare n. 12495 del 18 agosto u.s. (allegata in copia), il divieto di iscrizione ad ogni ordine di scuole degli studenti stranieri ebrei anche se abbiano frequentato le nostre scuole negli anni precedenti. Con circolari n. 12380 del 12 agosto u.s. e n. 12608 del 24 successivo (allegate in copia) è stato disposto il divieto di adozione nelle scuole medie ed elementari di libri di testo di autori di razza ebraica, precisando le modalità con cui dovrà procedersi alla eventuale sostituzione di testi già adottati dal Consiglio dei professori dei singoli Istituti. Per quanto riguarda la partecipazione di studiosi italiani a congressi e manifestazioni culturali all’estero, si è disposto, con circolare n. 5680 in data 3 agosto u.s. (allegata in copia) diretta ai rettori delle Università, che solo i cittadini di razza italiana potranno, sia a titolo ufficiale che privato, prendervi parte. Si è infine disposto, a mezzo della circolare n. 12336 in data 9 agosto (pure unita in copia), il censimento di tutto il personale dipendente, ai fini dell'appartenenza o meno alla razza ebraica: il personale è tenuto a riempire e sottoscrivere la scheda di censimento, di cui si unisce qui un esemplare. Si è anche provveduto, con circolari dirette alle autorità scolastiche dipendenti, ad illustrare i fini e l'importanza della rivista "La Difesa della Razza", in modo da diffonderla tra la gioventù studiosa ed invitare questa ad interessarsi ai problemi della tutela della stirpe», ACS, Ministero dell’Interno, Direzione Generale per la Demografia e la Razza (1938-1943), b. 4, f. 15, sf .c. 19 Cfr. E. Collotti, Il fascismo e gli ebrei. Le leggi razziali in Italia, Laterza, Roma-Bari, 2006. 20 Il razzismo e la discriminazione razziale nelle colonie non erano inizialmente codificati in leggi e regolamenti, ma permeavano tutte le circolari e le direttive governative, sin dall’epoca liberale. Soltanto con la guerra d’Etiopia e la fondazione dell’Impero, la discriminazione razziale si trasformò da prassi e “disposizioni” amministrative in sistema giuridico. 21 H. Arendt, Le origini del totalitarismo, Edizioni di Comunità, Roma, 1989, p. 258, sottolinea che: «durante i primi decenni dell’imperialismo vennero scoperti due nuovi strumenti, uno per l’organizzazione politica, la razza, e l’altro per la dominazione su popoli stranieri, la burocrazia. Senza la razza al posto della nazione, la corsa alla conquista dell’Africa e la frenesia dell’investimento sarebbero probabilmente rimaste allo stadio di casuale “danza della morte e del commercio” (Joseph Conrad), tipica di ogni caccia all’oro. Senza la burocrazia come surrogato del governo, i possedimenti britannici in India sarebbero probabilmente rimasti abbandonati all’avventatezza dei “violatori di legge” senza cambiare il clima politico di un’intera epoca». 22 Cfr. N. Labanca, La storiografia italiana sulle istituzioni coloniali, in A. Mazzacane (a cura di), Oltremare. Diritto e istituzioni dal Colonialismo all’età postcoloniale, Cuen, Napoli, 2006, pp. 205-233. 23 A. Brunialti, Assab. La prima colonia italiana, in “Nuova Antologia”, Seconda Serie, XXXIV, fasc. 13 (1° luglio 1882), p. 137. Per uno sguardo più approfondito sul tema cfr. G. Cazzetta, Predestinazione geografica e colonie degli europei. Il contributo di Attilio Brunialti, in “Quaderni fiorentini”, XXXIII/XXXIV, (2004-2005), pp. 115-168; P. Costa, Il fardello della civilizzazione. Metamorfosi della sovranità nella giuscolonialistica italiana, in “Quaderni fiorentini”, XXXIII/XXXIV, (2004-2005), pp. 169-257. 6 considerate «come semplici obbietti di dominio da parte dello Stato»24, in quanto occorreva realizzare «una vigorosa tutela dell’ordine, della buona fede e della sicurezza dei commerci»25. Le sperimentazioni delle forme para-normative nell’esercizio del potere nelle colonie furono in seguito ampiamente utilizzate durante il fascismo anche nel territorio nazionale. In questo periodo, infatti, si realizzò l’espropriazione della funzione legislativa del parlamento da parte degli apparati amministrativi che accentuarono ulteriormente il carattere gerarchico della loro struttura organizzativa. La geometria organizzativa dell’amministrazione, che si ispirava essenzialmente al modello militare, consentì l’utilizzo massiccio della circolare come dispositivo di controllo sociale26. Tramite le circolari venivano impartiti ordini direttamente esecutivi e rapidi (valicando ogni mediazione e contraddittorio): si stabilivano tempi e modalità delle disposizioni legislative, si predisponevano prassi discriminanti e segreganti nei confronti di intere popolazioni e determinate categorie di soggetti, si stabilivano regole per imbavagliare la stampa e reprimere ogni dissenso: le circolari di questo periodo rappresentavano quindi un formidabile strumento di oppressione sociale e politica. Nel dopoguerra, al radicale mutamento del quadro giuridico-istituzionale, non è corrisposto - come si sarebbe auspicato - un profondo cambiamento nella disciplina giuridica degli stranieri (e neanche nella struttura organizzativa della pubblica amministrazione). L’intera impalcatura normativa della loro condizione giuridica fu affidata, nuovamente, alle circolari amministrative, nonostante l’art. 10 della Costituzione del 1948 abbia solennemente stabilito (proprio al fine di escludere la possibilità che la condizione giuridica dello straniero possa essere legittimamente regolamentata da fonti non legislative) che «la condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali» (comma 2). Sin dall’inizio si stabilirono mediante circolari una serie di regole che disciplinavano molti aspetti della vita e del lavoro degli immigrati in Italia. Nella maggior parte di tali circolari possono rinvenirsi “disposizioni” atte a determinare una posizione subalterna e inferiorizzata dell’immigrato nella società italiana. Un esempio significativo è fornito dalle “disposizioni” emanate tramite circolare del Ministero degli Affari Esteri, del 28 dicembre 1970, recante «Norme per l’ingresso, il soggiorno e il transito degli stranieri in Italia». Questa La citazione è di S. Romano ed è rinvenibile in U. Allegretti, Profilo di storia costituzionale italiana. Individualismo e assolutismo nello stato liberale, il Mulino, Bologna, 1989, p. 257. 25 A. Brunialti, Assab. La prima colonia italiana, cit., p. 136. Se si tiene conto di questa prospettiva, ossia della (originaria) composizione amministrativa dell’orizzonte giuridico coloniale, inizia a risultare insufficiente, per non dire fuorviante, lo stesso concetto di “stato di eccezione”, così come spesso (anche di recente) viene inteso e teorizzato. Per “stato di eccezione” si intende quel fenomeno giuridico che nasce come tecnica di governo dell’emergenza, che rappresenta cioè la «sospensione della costituzione (o di quelle norme costituzionali che proteggono le libertà individuali)» in situazioni emergenziali (G. Agamben, Stato di eccezione, Bollati Boringhieri, Torino, 2003, p. 21). L’esperienza giuridica coloniale, piuttosto che alla logica dell’emergenza, sembra rinviare «alla logica dell’interesse» (D. Costantini, L’eccezione coloniale, in “D.E.P. – Deportate, Esuli, Profughe”, n. 7/2007, pp. 265), del privilegio e del profitto. Rinvia, cioè, alla logica della normalità e della quotidianità della pratica di dominio disegualitaria - realizzata principalmente per via amministrativa - che accompagna da sempre l’orizzonte giuridico moderno, composto da un doppio livello normativo, di cui uno visibile, eguale ed astratto, e l’altro invisibile, diseguale e concreto. Ciò che si verifica nell’esperienza coloniale non è altro che l’emersione in superficie del livello normativo invisibile (espressione prevalentemente della funzione amministrativa), il quale va a sostituire in ogni aspetto e funzione quello visibile (espressione della funzione legislativa). Non si è, quindi, propriamente in una zona di “non-diritto” (espressione che appare carica di ambiguità), ma in una zona in cui il livello normativo celato (ed inconfessabile della civiltà moderna) si eleva a diritto. 26 «La nozione di “circolare” proviene, come molte altre del diritto amministrativo moderno, dalla tecnica militare; è un’abbreviazione di “ordine circolare”, cioè dell’ordine che il portaordini recava in giro ai vari comandanti di reparto o capi di ufficio, dando poi ragguaglio del ricevimento al comandante che lo avesse impartito; se l’ordine era rappresentato documentalmente, i comandanti riceventi potevano anche, con la firma, dichiarare di averne presa visione o di averne ricevuta copia. Questa tecnica passò poi nelle amministrazioni non militari, restando immutato il vocabolario», M.S. Giannini, Circolare, Enciclopedia del Diritto, Giuffrè, Milano, 1964, VII, p. 1. 24 7 circolare costituiva all’epoca il tentativo di una unificazione e riorganizzazione delle disposizioni amministrative prodotte in questa materia. Rappresentava, cioè, una sorta di “testo unico sull’immigrazione” ante litteram. In particolare, è contenuta nella circolare la deroga al principio costituzionale, previsto dall’art. 16 della Costituzione, in base al quale lo straniero regolarmente soggiornante può muoversi e lasciare liberamente il territorio nazionale. La suddetta circolare, infatti, nel porre limitazioni a tale principio generale, giustifica così la decisione: «Le restrizioni vigenti in alcuni Stati (Bulgaria, Romania, U.R.S.S.) circa il movimento dei nostri connazionali nei loro territori hanno indotto il Governo italiano ad applicare misure limitative della libertà di circolazione nei confronti dei loro cittadini. Questi ultimi, pertanto, anche se autorizzati a risiedere in Italia (compresi gli appartenenti alle Rappresentanze diplomatiche, agli uffici consolari o ad enti commerciali), non potranno recarsi in determinate località o zone del territorio nazionale senza preventivo benestare delle Autorità competenti, a meno che tali località non siano espressamente indicate nel visto di ingresso. Inoltre, al momento di lasciare il territorio italiano dovranno munirsi di un “visto d’uscita” indicante tassativamente il giorno ed il valico di frontiera»27. Un esempio ancor più significativo è nella Sezione VI, recante «Norme relative ai visti per speciali categorie di persone», nella quale dopo i criteri di rilascio del visto per a) rifugiati; b) apolidi; c) marittimi e membri di equipaggi aerei; d) marittimi “rifugiati”, vengono specificati i criteri anche per una specialissima categoria: e) gli zingari. Ecco cosa si disponeva nella circolare: «Gli Uffici all’estero porranno la massima cura al fine di evitare il rilascio di visti d’ingresso ad individui o nuclei familiari che possano, poi, risultare componenti di carovane o gruppi di nomadi. A meno, infatti, che essi non siano in grado di dimostrare il contrario, tali gruppi o carovane non hanno titolo per essere considerati beneficiari delle convenzioni abolitive del visto d'ingresso, né può venire ad essi rilasciato direttamente un visto di breve soggiorno, dato il carattere turistico e non lavorativo di tale visto. Particolari cautele dovranno essere osservate nei riguardi di persone originarie dei Paesi del Medio Oriente e dell’Africa Settentrionale». Le decisioni arbitrarie emanate mediante circolari non sono affatto rare e si sono susseguite costantemente nel tempo. È emblematica, ad esempio, la circolare del ministero dell’Interno, del 28 giugno 1991, mediante la quale si stabiliva, del tutto illegittimamente, che fossero espulsi tutti i cittadini albanesi che - nonostante in possesso del permesso di soggiorno per “motivi di lavoro” (condizione che in teoria avrebbe dovuto garantire la parità di trattamento con i lavoratori italiani) - si fossero «arbitrariamente» (!) allontanati dai centri di accoglienza: «In sintonia con direttiva commissario straordinario governo ministro Boniver datata 17.6 u.s. concernente cittadini albanesi ospiti strutture accoglienza, disponesi che at coloro che arbitrariamente allontanansi tali centri debet essere revocato permesso di soggiorno valido anche per motivi lavoro. Sarà cura SS.LL. provvedere at inserimento C.E.D. nominativi Il linguaggio persuasivo e argomentativo inserito nel corpo del testo c.d. “normativo” delle circolari rappresenta una delle loro peculiarità più rilevanti. Il linguaggio “libero” e non ritualizzato adottato nelle circolari amministrative finisce per attribuire a queste - come sarà meglio argomentato di seguito - anche una maggiore capacità “pedagogica”. 27 8 stranieri in argomento et conseguenti adempimenti finalizzati at procedure espulsive […]». Molte delle attuali disposizioni normative sugli immigrati hanno origine proprio nelle circolari ministeriali degli anni ‘60-’70: dal legame indissolubile tra contratto di lavoro e titolo di soggiorno, alle limitazioni al ricongiungimento familiare, alle deboli (o inesistenti) tutele giuridiche, alle impronte digitali e così via. Le leggi sull’immigrazione emanate dal 1986 in poi, infatti, non sono state altro che una ratifica o una normalizzazione a posteriori delle “disposizioni” già diramate tramite circolari28. Le circolari ministeriali sull’immigrazione, ancora oggi, non hanno affatto perso il loro carattere dispositivo e, di conseguenza, conservano un ruolo essenziale nella gestione dei movimenti migratori in Italia. Nei siti ministeriali, nelle riviste giuridiche specializzate, nonché nei vari corsi di formazione sul diritto dell’immigrazione, alle circolari amministrative viene riservato uno spazio sempre più ampio. Anche alcune associazioni, movimenti o sindacati hanno quasi rinunciato, ormai, a rivendicare nei loro comunicati “una legge più giusta” o “una legge conforme ai principi costituzionali”, privilegiando invece la rivendicazione di interventi amministrativi: ovvero si reclama una circolare per guarire29 (ossia per garantire l’accesso degli stranieri ai servizi sanitari), una circolare per lavorare30 (per garantire il diritto a lavorare anche nelle more del rilascio/rinnovo del permesso di soggiorno), …una circolare per circolare31 (per garantire la mobilità fisica nelle more del rilascio/rinnovo del permesso di soggiorno), ecc. Tale “svolta” nelle strategie di lotta dei movimenti per i diritti della popolazione immigrata viene spesso giustificata adducendo come motivazione l’oggettiva difficoltà ad ottenere in parlamento una maggioranza “sensibile” ai diritti degli immigrati. Per evitare, dunque, che le discriminazioni stabilite per legge (o per via delle ambiguità e delle innumerevoli contraddizioni contenute nelle leggi) o mediante circolari vengano perpetrate per lungo tempo, si tenta la “realistica” strada del cambiamento per via amministrativa32. Ciò comporta, inevitabilmente, non soltanto la legittimazione sociale e politica del fenomeno della regolamentazione per circolari «di una materia costituzionalmente sensibile, come quella relativa ai diritti degli stranieri»33, ma anche l’implicito avvallo e riconoscimento pubblico di quelle nuove «forme del governo politico e del controllo sociale nelle società occidentali»34, che stanno conducendo sempre di più verso «una drastica compressione degli spazi di libertà, frequenti violazioni delle garanzie giuridiche, modifiche striscianti delle Costituzioni»35, di Cfr. M. Pastore, Nuova legge sugli stranieri extracomunitari: disciplina innovativa o razionalizzazione dell’esistente, in “Questione giustizia”, n. 2/1990, p. 345. 29 Cfr., tra tante, circolare n. 5/2000 e 3/2007 del ministero della Sanità. Si tratta di circolari che specificano in modo dettagliato i requisiti per aver accesso ai servizi sanitari oltre che le prestazioni sanitarie garantite alle varie categorie di immigrati. 30 Cfr., tra tante, circolare del 20 febbraio 2007 del ministero dell’Interno. Con questa circolare si riconoscono anche ai cittadini stranieri in fase di rilascio/rinnovo del permesso di soggiorno i diritti di chi risiede regolarmente. 31 Cfr. circolare del 29 giugno 2004, rinnovata in seguito per ogni periodo di vacanza o di festività. L’ultima circolare che reitera le disposizioni contenute nella circolare menzionata risale al 1° agosto 2008 e si dichiara avrà validità fino al 31 gennaio 2009. Si tratta di circolari che autorizzano il reingresso in Italia, oltre che il transito nell’area Schengen, dei cittadini stranieri nelle more del rinnovo del permesso di soggiorno. Tale fase, com’è noto, dura per lunghi mesi, rendendo, di conseguenza, assai difficile l’esistenza degli immigrati in Italia, compresa la loro uscita dal territorio italiano. Le circolari sopramenzionate intervengono nel tentativo di rimediare proprio a tale situazione. 32 Molto più “pratico”, quindi, rivolgersi al ministro “sensibile” (o “amico”) che può risolvere la situazione in pochi minuti, bypassando la sede parlamentare, con una semplice circolare. 33 G. Bucci, Una Circolare per circolare, cit. 34 A. Burgio, Guerra, scenari della nuova grande trasformazione, DeriveApprodi, Roma, 2004, p. 124. 35 Ibid. 28 9 quel mondo, cioè, «che raramente conquista gli onori della cronaca, fatto di leggi incostituzionali, di circolari e regolamenti riservati, […] di violazioni delle tutele, dei diritti e delle libertà fondamentali, di nuove pratiche di controllo e di discriminazione»36. La funzione “pedagogica” delle circolari Spesso si afferma che le circolari amministrative (sia a carattere “dispositivo” che “interpretativo”) sono strumenti indispensabili per uniformare le prassi amministrative. Questa affermazione, in generale, andrebbe verificata scientificamente, ma con riferimento al settore dell’immigrazione è, senza dubbio, inesatta. L’incessante produzione di circolari amministrative in questo specifico settore dà origine – specie da quando esistono specifiche leggi sull’immigrazione - ad un livello giuridico parallelo a quello formale e, in sostanza, altrettanto “legittimo”. La “legittimità” di questa (abusiva, se ci atteniamo ai criteri formali dichiarati) fonte giuridica deriva sia dal prestigio dell’autorità che emana le circolari (il ministro o altre importanti autorità), sia dal grado (formale e sostanziale) di subordinazione dell’operatore dell’amministrazione pubblica agli ordini impartiti dai propri superiori. La co-esistenza di due fonti giuridiche parallele, parimenti legittime, che spesso esprimono contenuti opposti (o semplicemente non coincidenti), crea, di fatto, le condizioni in cui l’operatore pubblico può legittimamente decidere di applicare una disposizione piuttosto che un’altra. L’operatore tende, infatti, a trasferire il contenuto della sua (discrezionale) decisione in una delle diverse prescrizioni e procedure “legali” stabilite dalle diverse fonti giuridiche che disciplinano il settore. Se si tiene poi conto del fatto che le circolari, non essendo soggette ad alcuna procedura formale, vengono anche prodotte con una maggiore frequenza, si comprende come la discrezionalità degli operatori pubblici tenda a crescere ulteriormente. Il vorticoso turnover di ordini e “disposizioni normative”, con frequenza assai rapida, dà luogo infatti ad una situazione di totale incertezza circa l’orizzonte giuridico in cui sia gli immigrati che, per altro verso, i dipendenti pubblici sono costretti a muoversi. Nell’incertezza acquisisce forza l’arbitrio del singolo o di gruppi che effettivamente esercitano il potere. Nell’agire quotidiano degli operatori pubblici la discrezionalità si manifesta sotto un duplice profilo: 1) come discrezionalità rispetto alla decisione di implementare la disposizione legislativa oppure l’ordine amministrativo contenuto nelle circolari, e 2) come discrezionalità rispetto alla possibilità di scegliere tra gli ordini contenuti in varie circolari37. La chiave per comprendere l’esistenza di regole e procedure assai diverse per il rilascio/rinnovo dei permessi di soggiorno da parte delle questure o per il rilascio di molte altre documentazioni e atti da parte di altri uffici pubblici sta proprio qui. Il sistema di governo per circolari dei movimenti migratori - lungi dal produrre uniformità delle prassi operative quotidiane degli enti pubblici - ha creato le condizioni favorevoli per l’oggettiva dilatazione della discrezionalità (o meglio dell’arbitrio) nell’agire degli operatori pubblici. Questo fenomeno produce rilevanti ripercussioni sulla condizione giuridica, economica e sociale degli immigrati in Italia, che sono sempre di più alla mercé delle decisioni discrezionali/arbitrarie dell’impiegato o del funzionario pubblico di turno: Ibid. Su questo punto occorre specificare che le circolari, non essendo vincolate a procedure e a regole formali, non hanno il potere di abrogare formalmente le circolari precedentemente emanate. Oltre a ciò, occorrerebbe aggiungere che le modalità di trasmissione delle circolari dagli uffici centrali agli uffici periferici non sono standardizzate e, perciò, può accadere che le circolari non giungano effettivamente a tutti gli uffici periferici. La consapevolezza di ciò, però, conforta la discrezionalità del singolo operatore, il quale potrebbe sentirsi libero di ignorare il contenuto (l’ordine) di una circolare, affermando semplicemente di non averla mai ricevuta (oppure di averla ricevuta in ritardo). 36 37 10 «La discrezionalità lasciata al personale delle questure e dei consolati favorisce gli episodi di corruzione. La discrezionalità lasciata alle questure locali comporta anche un altro fenomeno, che […] caratterizza la politica dell’immigrazione in Italia: la differenziazione territoriale. Cosa implica tutto questo in termini di diritti politici? Che essi si ottengono più facilmente in certi posti che in altri, che ad essi si arriva per passaggi discrezionali talvolta inquinati dalla corruzione e dai rackets»38. Nell’ambito degli uffici pubblici si registra, inoltre, una sorta di gerarchia dei saperi in materia di immigrazione, dovuta anche al maggiore peso attribuito alle circolari diramate dal ministero dell’Interno. Le circolari di questo ministero vengono considerate, di norma, più “qualificate” ed “autorevoli” rispetto a quelle emanate dagli altri ministeri o autorità locali, ovvero sono quelle che, sul piano dell’effettività, godono di un’osservanza superiore. Ciò spinge gli operatori pubblici di vari enti, alle prese con varie e complesse problematiche in materia di immigrazione, a cercare spesso il supporto degli operatori degli Uffici immigrazione delle questure - periferiche diramazioni del ministero dell’Interno - per l’esatta individuazione e risoluzione del problema giuridico (e non solo giuridico) in tema di immigrazione: «Dalle ricerche condotte nelle città campione, emerge un dato costante: gli stranieri, le associazioni di volontariato, le stesse pubbliche amministrazioni, si trovano spesso a confrontarsi con “regole” fissate non dal testo unico o dal regolamento di attuazione, ma da circolari amministrative (principalmente) del Ministero dell’Interno. E infatti spesso il personale delle pubbliche amministrazioni, più che interpretare la legge interpreta le circolari ministeriali»39. Le questure svolgono così, di fatto, un ruolo guida nella gestione amministrativa (locale) dei movimenti migratori, o meglio, può affermarsi che esse siano diventate, a livello periferico, dei centri di irradiazione della volontà governativa nella gestione dei movimenti migratori. Le circolari ministeriali e anche le “libere” interpretazioni di esse fornite da parte degli operatori delle questure rappresentano, quindi, una sorta di prontuario generale (valido ed utile per l’operato di ogni ufficio pubblico) che, oltre ad avere evidenti ripercussioni sull’applicazione effettiva di molte disposizioni legislative, svolgono anche una funzione “rassicurante” nei confronti dell’operato del dipendente pubblico, affrancandolo spesso sia dalla fatica dell’apprendimento di una disciplina complessa, sia dalla responsabilità di assumere decisioni autonome. In altre parole, a decidere su ogni aspetto della vita dell’immigrato/a o a regolare i rapporti di questo/a con la pubblica amministrazione è sempre l’autorità di polizia (anche quando magari deve ottenere il libretto sanitario o iscriversi nelle liste dei disoccupati), la quale gode, a sua volta, di una ampia discrezionalità interpretativa proprio in virtù del doppio (o multiplo) livello del sistema normativo istituito dalla incessante produzione di circolari. Altro importante esito di questo sistema di governo dei movimenti migratori è la progressiva identificazione di molti operatori della pubblica amministrazione con i loro colleghi delle questure. La consapevolezza di eseguire “ordini diretti” del ministro dell’Interno, o di altre autorità di polizia, produce non di rado presso gli operatori pubblici la sensazione di essere investiti di un “potere speciale” che si traduce concretamente in acritica adesione alle interpretazioni da questi “imposte” o “consigliate”. Una mediatrice culturale – che ha svolto gran parte della sua attività presso alcune ASL – ha raccontato, infatti, che quando incontrano gli immigrati, gli operatori pubblici «si sentono un po’ tutti poliziotti»: G. Zincone, Uno schermo contro il razzismo: per una politica dei diritti utili, Donzelli, Roma 1994, p.74. Rapporto di ricerca, Dal permesso di soggiorno alla carta di soggiorno. I nodi problematici di un percorso di integrazione, a cura dell’A.S.G.I., finanziata dalla Commissione per le politiche di integrazione degli immigrati, 2000, p. 20. 38 39 11 «…è una materia complessa [la disciplina giuridica della condizione degli immigrati –n.] e i dirigenti solitamente non hanno tempo per approfondirla. Inoltre, purtroppo ma comprensibilmente, visti i tempi in cui viviamo, spesso i cittadini stranieri non denunciano le violazioni subite, hanno... direi paura. E le violazioni continuano senza sosta. C’è anche un senso di “paura” generalizzato negli operatori. Non temono le conseguenze penali in cui incorrono nel negare un diritto, ma chissà cosa... si sentono un po’ tutti poliziotti e verificano accuratamente questioni relative alla vita privata degli stranieri che non dovrebbero riguardarli affatto. Mi è capitato spesso di assistere a procedure amministrative alquanto dubbie, dove singoli operatori o dirigenti o che so io, telefonavano in questura o prefettura per segnalare dubbi e cercare conforto per procedimenti del proprio ente»40. Quando si tratta di immigrati, infatti, molti uffici pubblici si trasformano - di colpo - in succursali delle questure. Spesso tale repentina metamorfosi è rivelata anche dal linguaggio da “interrogatorio” adottato nei confronti degli immigrati. Nelle parole di un immigrato intervistato ciò emerge con estrema chiarezza: «[…] è diventato difficile il rapporto con gli impiegati degli uffici pubblici. Ti chiedono di tutto. Cose senza senso. Per l’iscrizione in biblioteca mi hanno chiesto il permesso di soggiorno. Non bastava la carta di identità. Ho chiesto spiegazioni e l’addetto mi ha risposto: “lo prevede una nuova circolare”. Una volta, perfino il controllore dei pullman mi ha fatto il “terzo grado”: “dove abiti? che lavoro fai? dove stai andando? […] Anche il vicino di casa, all’inizio, ha inventato incredibili scuse per entrare in casa. Diceva che sentiva dei rumori strani provenire di notte dal mio appartamento. L’ho lasciato entrare. Ha dato un’occhiata a tutte le stanze e poi se ne è andato. Da allora non si lamenta più di alcun rumore. […] E così ti senti controllato ovunque, al lavoro, a casa, in biblioteca…». La capacità delle circolari amministrative di influenzare il pensare e l’agire dell’operatore pubblico e di condizionare il suo rapporto con i cittadini immigrati, si evince anche dallo sfogo di un avvocato, affidato alla mailing list di una nota associazione nazionale che si occupa dei diritti degli immigrati: «[…] Più il tempo passa e più vedo che i dipendenti pubblici (in genere) se non gli si scodella davanti la circolare che spiega per filo e per segno tutto, ma proprio tutto, tutto, tuttissimo, non fanno niente e neppure cercano le novità legislative o provano a interpretare la norma con un minimo di buon senso. No, ci devono essere ordini dall’alto, ordini chiari e precisi. Quindi dovrò rispondere con una raffica di articoli di legge che siano talmente precisi da convincere sia lei [l’impiegata dell’ufficio anagrafe –n.] sia il distretto sanitario»41. Le circolari sull’immigrazione svolgono, dunque, una non trascurabile funzione “pedagogica”. Gli operatori della pubblica amministrazione desumono infatti la visione della condizione giuridica degli immigrati, caratterizzata dall’inferiorità, prevalentemente dal contenuto delle circolari più che da quello delle disposizioni legislative e, non di rado, interpretando in senso ulteriormente restrittivo il contenuto di tali “ordini amministrativi”, pongono in essere comportamenti xenofobi ed ostili, fomite di soprusi e violenze. La mediatrice culturale, così come altri soggetti di seguito citati, sono stati intervistati da chi scrive nell’ambito di una ricerca più ampia sulla funzione delle circolari amministrative nella gestione dei movimenti migratori in Italia. 41 Mailing-list ASGI, 2 luglio 2007. 40 12 Accanto all’energia ideologica di tipo razzista contenuta negli ordini amministrativi, appare chiaro, dunque, che il sistema di governo per circolari innesta anche altri inquietanti processi: ovvero l’inquadramento “poliziesco” (o “militare”) del rapporto tra burocrazia (periferica) e popolazione immigrata e la capillare diffusione dell’arbitrio. Immigrazione e (infra)diritto di prossimità: cronaca di una storia recente La riarticolazione del rapporto tra diritto e politica che si stabilisce con l’emersione del “comando amministrativo” su un piano “visibile”42 si constata anche in un altro recente fenomeno giuridico: quello del diritto di prossimità43. Si tratta di un fenomeno complesso e multiforme che ridefinisce in chiave federalista e (quasi) amministrativa il diritto pubblico (ivi compreso quello dell’immigrazione). Il primo significativo passo istituzionale in questa direzione è stato intrapreso con i Patti territoriali per la sicurezza varati in diverse città44. In alcuni casi, come a Roma, si è giunti ad una seconda generazione di Patti per la sicurezza, nel tentativo di rimodulare e aggiornare gli obiettivi specifici previsti nei primi45. Questi Patti rappresentano, dichiaratamente, «un significativo avanzamento sul piano delle politiche integrate dello stato con i diversi livelli delle autonomie territoriali, con particolare riguardo al raccordo delle attività di controllo del territorio proprie delle forze di polizia con le competenze degli enti locali»46. Essi rinviano dunque esplicitamente al principio di sussidiarietà, alla cosiddetta multilevel governance e rappresentano un decisivo salto di qualità nel più ampio, e già avviato, processo di federalismo. Nel primo Patto per Roma sicura, infatti, si parla esplicitamente di «azione congiunta e sinergica di più livelli di governo […], nonché la promozione, anche in via sussidiaria, di interrelazioni finalizzate ad avvicinare, sempre più, i dispositivi di prevenzione alla percezione dei cittadini». Per la realizzazione delle attività «congiunte» (e «sinergiche») dei Patti vengono mobilitati finanziariamente – tramite la creazione di “fondi speciali” - gli enti locali (regione, provincia, comune) che, assieme ai prefetti, sono gli attori e gli esecutori principali dei Patti. Per la fase attuativa sono solitamente arruolate, oltre alle forze di pubblica sicurezza, anche le polizie locali47, alle quali vengono assegnati compiti La “visibilità” del comando amministrativo può riscontrarsi, come s’è già detto, sia nella maggiore considerazione e spazio riservato alle circolari amministrative nei recenti provvedimenti legislativi sia nella loro pubblica rivendicazione da parte della cosiddetta “società civile”. 43 Per la nozione di diritto di prossimità cfr. L. Baiada, Patti per la sicurezza, diritto prossimativo, in “Il Ponte”, n. 7/2007, pp. 36-43; Id., Diritto di prossimità, filiera della sicurezza, in “Questione giustizia”, n. 5/2007, pp. 10131020. 44 Il primo Patto per la sicurezza è stato siglato a Napoli nel mese di novembre 2006. Nei mesi successivi l’iniziativa è stata realizzata a Roma, Milano, Torino, Cagliari, Catania, Genova, Bari, Bologna, ecc.. 45 Il secondo Patto per Roma sicura è stato siglato il 29 luglio 2008. 46 Cfr. “Patto per Roma Sicura - 1”, in www.interni.it. 47 La struttura organizzativa delle polizie municipali ed il loro concreto funzionamento hanno subìto rilevanti modifiche durante gli anni novanta. Il modello gestionale adottato è quello di derivazione manageriale/aziendalistica. D. Teobaldo, Le conseguenze inattese della cultura del risultato. Alcuni spunti di riflessione sullo scarso rendimento in un’agenzia del controllo sociale, in “Gli Stranieri”, n. 6/2007, p. 642, rileva, a questo proposito, che: «i tentativi di scandire tempi e metodi dei flussi produttivi, come se si trattasse di processi sintetizzabili in grafici e tabelle possibilmente senza lasciare margine ad un’approssimazione, non hanno tenuto nel dovuto conto, tra l’altro, la cultura organizzativa specifica della polizia, determinando un’alterazione delle dinamiche del controllo sociale formale causata dall’adattamento di fondo dei concetti come la soddisfazione del cliente ed il recupero della produttività. È ciò che accade, ad esempio, quando, coerentemente con i processi descritti, si diffondono meccanismi tipici dell’economia di mercato, che spingono gli operatori a mettersi in concorrenza tra loro, a suon di verbali e accertamenti, per corrispondere alle logiche quantitative». L’A. sottolinea, inoltre, che «il fenomeno dell’immigrazione è un banco di prova capace di verificare i limiti di alcune impostazioni aziendalistiche e delle derivate relative misure di prestazione». A tal proposito, l’A. prende in considerazione il caso concreto di una struttura organizzativa operante nel contesto di una grande città del Nord e così osserva: «in primo luogo osserviamo come le reazioni apparentemente sproporzionate alla reale dannosità della condotta degli immigrati 42 13 decisamente più ampi ed incisivi (rispetto ai tradizionali compiti amministrativi) per il «controllo integrato del territorio», per il contrasto della «illegalità» e perfino «dei comportamenti di inciviltà»48. Nel secondo Patto per Roma sicura vengono reclutati anche i vigili del fuoco, il corpo forestale, la polizia provinciale, gli istituti di vigilanza privata e le associazioni di volontariato. Il tutto con la finalità di «creare una rete civica informativa». I Patti territoriali per la sicurezza, che sono anche gli ultimi di una lunga serie di patti proposti e siglati negli ultimi anni49 (Patto di stabilità, Patto con gli italiani, Patto fra generazioni, Patto per l’Italia, Patto tra cittadini e istituzioni, ecc.), rientrano proprio nel modello politico e istituzionale del federalismo50. Tale modello, assolutamente trionfante in Italia a partire dagli anni novanta, è coerente col sempre più enfatizzato modello di governance51, ossia con quel sistema di governo che, ispiratosi direttamente alle regole e alle strutture organizzative dell’impresa privata, tende a confinare il processo decisionale all’interno «di un perimetro ristrettissimo di attori (élites politiche e tecnocratiche, magnati e grandi manager, padroni dei mezzi di comunicazione)»52, sottraendolo così al controllo della cosiddetta sovranità popolare. Il terreno in cui si sono finora sperimentati i Patti è quello della “sicurezza” urbana, che si considera minacciata dal «fenomeno» della «mendicità organizzata», dell’«accattonaggio», della «contraffazione e dell’abusivismo commerciale», dello «sfruttamento della prostituzione»53. Il pericolo più grande, però, alla sicurezza urbana pare provenire dalle «popolazioni senza territorio»54, nei cui confronti si decide di predisporre non affiorano anche perché le informazioni statistiche sono spesso disponibili soltanto sotto forma di dati rigorosamente aggregati, utili a preservare lo status quo e solitamente esibiti nelle grandi occasioni. Gli stranieri non vengono identificati, realmente, come clienti e la qualità e l’efficacia dell’operato delle forze dell’ordine vengono interpretate in rapporto alle pressioni istituzionali ed alle istanze dei gruppi di più forte pressione sociale. In un simile quadro di riferimento la definizione del rapporto tra utenti e amministrazione attraverso l’introduzione e l’applicazione irriflessiva di meccanismi di mercato, come la valorizzazione della produttività individuale o di reparto, può aggravare la situazione, conducendo ad azioni inique e parziali quando non vessatorie». 48 Cfr. “Patto per Bari sicura” in www. interni.it. 49 Cfr. L. Baiada, Patti per la sicurezza, diritto prossimativo, cit., p. 42. 50 S. d’Albergo, I federalismi tra autonomie comunitarie e poliarchie istituzionali, in “Fenomenologia e Società”, n. 3/2002, p. 48, osserva che «la ripresa di capacità autonoma del capitalismo internazionale volta – come già nella fase di avvio della “modernità” – a imporre il primato della libertà economica su ogni altra libertà, sta trovando come corrispettivo istituzionale più appropriato un modello che risulta funzionale al mantenimento di una coerenza organica tra le esigenze di sviluppo più o meno instabile del capitalismo, e le esigenze di comando “politico” tuttora necessarie per governare il tipo di “complessità” emerso a partire dagli anni ’70, che aveva allarmato i teorici della “governabilità” abilmente presentatisi come teorici della “complessità”. È sintomatico infatti che l’aderenza del federalismo istituzionale alla realtà in atto del sistema reticolare che attraversa territori e sistemi istituzionali, sia stato descritto in termini di “concentrazione di potere non centralizzato” […] da chi parlando di sistemi “reticolari”, ha precisato che questi sono il risultato della necessità capitalistica di “compensare” sul piano della “concentrazione di potere, di decisione strategica” quel fortissimo “decentramento richiesto dalla messa al lavoro di risorse cognitive e affettive”». 51 La parola governance è entrata nel lessico contemporaneo alla fine degli anni ottanta attraverso i «discorsi della Banca Mondiale, ripresi [poi] dalle altre agenzie di cooperazione, dal FMI e dal Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo», B. Cassen, Il tranello della “governance”, in “Le Monde diplomatique”, Giugno 2001. Cfr., sul punto, anche P. Bilancia, voce Governance, in M. Flores (a cura di), Diritti umani, Utet, Torino, 2007. 52 A. Burgio, Per Gramsci. Crisi e potenza del moderno, DeriveApprodi, Roma, 2007, p. 14. 53 Cfr. “Patto per Roma sicura - 1”. Nel “Patto per Roma sicura - 2”, invece, i fenomeni da eliminare progressivamente sono: 1) lo sfruttamento della prostituzione di strada (solo quella di strada!); 2) il caporalato che utilizza il lavoro clandestino (solo il caporalato!); 3) l’accattonaggio con impiego di minori e di disabili; 4) la vendita di merci contraffatte e l’abusivismo commerciale; 5) lo spaccio di droga e l’abuso di superalcolici; 6) la ricettazione della refurtiva; 7) il furto di beni esposti alla pubblica fede; 8) la violazione delle norme antinfortunistiche. 54 Cfr. “Patto per Roma sicura 1 e 2”, “Patto per Bologna Sicura”, ecc. 14 «interventi risolutivi», perché le città soffrono principalmente «della presenza di numerosi cittadini extracomunitari irregolari e di nomadi»55. Le esplicite espressioni razziste che permeano le formule giuridiche dei Patti necessitano di qualche parola in più. La locuzione più inquietante, che «apre una botola su paurose ipotesi»56, è proprio quella di “popolazioni senza territorio”. Il riferimento è diretto senza dubbio alle popolazioni rom, ma l’espressione utilizzata è talmente larga da comprendere, potenzialmente, molte altre popolazioni: ad esempio, il popolo kurdo, il popolo saharawi, tutti gli apolidi, ecc.. Potrebbe ricomprendere, così, anche tutti i “migranti”. In fondo, la locuzione “popolazioni senza territorio” si collega senza difficoltà al termine “migrante”, in quanto ambedue le espressioni, colme dell’accezione sognante e malinconica57, evocano l’immagine di uomini liberi di decidere e di scegliere, di coloro che sono costantemente in movimento, che mai si fermano in un posto (perché, appunto, migranti). Ambedue le espressioni, tese a negare una dimensione spaziale dell’esistenza delle popolazioni immigrate, annullano, implicitamente, la legittimità sia della eventuale rivendicazione di un loro radicamento sul territorio sia della, conseguente, rivendicazione della tutela giuridica fornita dal diritto stabilito in quel territorio: «il diritto è potere sui luoghi»58, la sua prevedibilità e rivendicazione è legata imprescindibilmente allo spazio. Proprio per queste popolazioni, qualificate giuridicamente per l’assenza di uno spazio, o di un “territorio di appartenenza”, si predispongono ora “norme speciali” contenute specificatamente nei Patti territoriali per la sicurezza. A questo inquietante assetto “semantico” e “normativo”, delineato nei Patti territoriali per la sicurezza, occorre aggiungere anche la previsione che le attività delle forze di Polizia, e in particolare dei poliziotti e dei carabinieri di quartiere – figure introdotte dal Patto con gli italiani – saranno fondate sul modello di prevenzione e contrasto non solo di «comportamenti delinquenziali», ma anche «solo incivili». L’ordinamento, com’è noto, fornisce chiari e validi strumenti per individuare e punire un comportamento delinquenziale, ma non vale altrettanto per la qualificazione di un comportamento “incivile”. Tale “lacuna” sarà colmata, a quanto pare, dai nuovi “legislatori” locali (sindaci, “governatori” e prefetti), i quali dovranno stabilire, di volta in volta, cos’è “civile” e cosa non lo è. Il Patto per Milano sicura, siglato poche settimane dopo l’adozione del «Protocollo d’intesa per la realizzazione del piano strategico emergenza Rom nella città di Milano», si distingue per il linguaggio assai esplicito59 («emergenza Rom», «concentrazione monoetnica», ecc.) e per la previsione più dettagliata del piano di installazione, a cura di società private, di un immenso impianto di video-sorveglianza nelle zone «a rischio» e «lungo le vie che vi accedono». Nel Patto per Torino sicura60 viene attribuita, invece, grande rilevanza Cfr. “Patto per Milano sicura”, in www.interni.it. L. Baiada, Patti per la sicurezza, diritto prossimativo, cit., p. 37. 57 Ambedue le espressioni (“popolazioni senza territorio” e “migranti”) sembrano quasi evocare i versi di Bohémiens en voyage di Charles Baudelaire (si tiene a precisare, tuttavia, che a Baudelaire non sfuggivano affatto le ragioni politiche ed economiche delle condizioni di vita dei Bohémiens en voyage: La profetica tribù dalle pupille ardenti/ ieri si è messa in strada, portando i suoi piccoli/ sul dorso, o offrendo ai loro fieri appetiti/il tesoro sempre pronto delle mammelle pendule/ Gli uomini vanno a piedi sotto le armi lucenti/ lungo i carri dove i parenti stanno rannicchiati,/ lasciando vagare sul cielo i loro occhi appesantiti/ dal cupo rimpianto delle chimere assenti./ Dal fondo del suo ridotto sabbioso, il grillo/ che li guarda passare, raddoppia la sua canzone;/ cibele, che li ama, accresce le sue verzure,/ fa colare la roccia e fiorire il deserto/ davanti a questi viaggiatori, per i quali è aperto/ l’impero familiare delle tenebre future. Cfr. G. Montesano, Il ribelle in guanti rosa, Mondadori, Milano, 2007). 58 N. Irti, Nichilismo giuridico, Laterza, Roma-Bari, 2004, pp. 9-10. 59 Non mancano, però, nel Patto per Milano sicura frasi ambigue (ma assai rivelatrici), in cui si definiscono gli immigrati rom: «nomadi che si sono stabilmente insediati nel territorio» (la frase completa è la seguente: «La città di Milano, quale polo attrattivo per il benessere offerto, soffre della presenza di numerosi cittadini extracomunitari irregolari e di nomadi, che si sono stabilmente insediati nel territorio»). 60 Cfr. “Patto per Torino sicura”, in www.interni.it. 55 56 15 all’archiviazione informatica di dati da parte del Comune, da trasmettere alla prefettura e al Centro elaborazione dati interforze. Tale generalizzata rilevazione (o schedatura?) si dichiara essere diretta al «supporto delle attività decisionali» e ad «analisi orientative integrate dell’andamento dei fenomeni di criminalità e di disordine urbano diffuso». L’orizzonte giuridico dei Patti per la sicurezza appare quindi, essenzialmente, espressione di un diritto interstiziale, seppur, per alcuni aspetti, differente da quello costituito dalle circolari amministrative. Il diritto dei Patti - che si colloca in terreni ambigui e limacciosi - è, se possibile, ancor più indefinibile e inafferrabile, perché si situa in una zona tra il “non del tutto amministrativo” e il “non ancora legge”. Il fenomeno tendenziale del “regionalismo giuridico/amministrativo” in materia di immigrazione e di ordine pubblico, emerso con vigore nei Patti territoriali per la sicurezza, non è da considerarsi un avvenimento improvviso. A farne da preludio è stato un eccezionale dinamismo politico/amministrativo dei sindaci, i quali con le loro ordinanze su lavavetri, mendicanti, “accattoni”, ecc. hanno inaugurato nei confronti della popolazione immigrata una stagione di razzismo istituzionale senza precedenti nella storia repubblicana. A tale fenomeno, infatti, vanno ascritte: 1) le ordinanze del sindaco di Firenze contro i cosiddetti lavavetri (seguite in breve tempo da altri sindaci); 2) le ordinanze del sindaco di Vicenza sui “mendicanti”, 3) le ordinanze dei sindaci di Cittadella, di Thiene, di Azzano Decimo, aventi come finalità l’impedimento dell’iscrizione anagrafica dei cittadini immigrati (poveri) nei territori comunali61; 4) le circolari del sindaco di Caravaggio e di altri 43 sindaci della provincia di Bergamo, aventi come obiettivo l’impedimento delle celebrazioni dei matrimoni in cui almeno uno degli sposi sia non regolarmente presente in Italia62; 5) la circolare del sindaco di Milano sulle iscrizioni per l’anno 2008/2009 alle scuole dell’infanzia, atta ad impedire l’iscrizione dei minorenni figli di immigrati, i cui genitori non siano in possesso di un regolare permesso di soggiorno63; 6) la circolare del sindaco di Azzano Decimo volta ad escludere dall’erogazione dei contributi assistenziali gli immigrati (comunitari e non comunitari)64. Le sopramenzionate ordinanze prevedono l’iscrizione all’anagrafe dei cittadini stranieri previa presentazione di documenti che attestino un reddito minimo (circa 5 mila euro), un contratto di lavoro e un alloggio adeguato. Si rileva, a questo proposito, che l’ordinamento non prevede alcuna competenza ordinaria e generale (e nemmeno straordinaria) del sindaco di intervenire nella disciplina giuridica dell’anagrafe e dello stato civile, che restano sempre competenze esclusive dello stato. 62 Nella circolare del sindaco leghista del comune di Caravaggio (Bg) si legge: «è intollerabile che uno straniero clandestino appena sposato con una cittadina italiana immediatamente dopo ottenga d’ufficio il ricongiungimento familiare», anche perché «quando uno straniero vuole sposare una italiana o un italiano vuole sposare una straniera, quasi sempre si tratta di matrimoni di comodo», cfr. www.globalproject.it. 63 A seguito della diramazione della suddetta circolare, il direttore scolastico regionale per la Lombardia, in coerenza con l’indirizzo del ministro dell’Istruzione, ha avviato il procedimento di revoca della parità a decorrere dall’anno scolastico 2008/2009 (anno cui fa riferimento la circolare del comune) per le scuole dell’infanzia del comune di Milano. Nella nota del direttore si rileva che «costituisce illegittimo atto discriminatorio e violativo dell’ordinamento, fare riferimento in via generale alla situazione della mancanza del permesso di soggiorno per negare la possibilità di presentare la domanda di iscrizione a chi ne faccia richiesta». Anche il Tribunale di Milano, adito da una donna immigrata, ha affermato il carattere discriminatorio della circolare del sindaco di Milano. Cfr., L. Fazio, Milano discrimina i bambini stranieri, “Il manifesto”, 12 febbraio 2008. 64 Con ordinanza n. 4 del 23 gennaio 2008 il sindaco leghista del comune di Azzano Decimo ha dato disposizione ai competenti servizi comunali di limitare l’erogazione dei contributi e delle prestazioni assistenziali previsti dalla legislazione nazionale e regionale (tra cui il reddito base di cittadinanza) nei confronti degli immigrati (comunitari e extracomunitari), disponendo nel contempo che in caso di avvenuta erogazione dei medesimi, venga sistematicamente data segnalazione agli uffici di polizia per l’attivazione di eventuali procedimenti di allentamento. Il sindaco di Azzano Decimo si era già distinto in passato per la promozione di ordinanze e provvedimenti apertamente discriminatori, tra cui la decisione di sanzionare l’uso del velo islamico (ordinanza poi annullata dal prefetto di Pordenone e in seguito definitivamente bocciata dal TAR del Friuli Venezia Giulia). 61 16 Con l’approvazione da parte del parlamento del cosiddetto “pacchetto sicurezza”, che sul fronte dell’ordine pubblico e dell’immigrazione attribuisce ora poteri decisamente ampi a sindaci e prefetti, non si fa altro che “normalizzare” un processo già in atto e per alcuni versi sufficientemente consolidato. Si fornisce cioè, da un lato, la cornice giuridico-istituzionale al processo di segmentazione territoriale del diritto pubblico e, dall’altro lato, si legittimano socialmente tutte quelle prassi razziste (“abusivamente”) introdotte da diverse amministrazioni locali. Una sorta di razionalizzazione postuma del razzismo. Si istituzionalizza, dunque, l’attività “legislativa” dei sindaci/sceriffi, nata sull’onda dell’ “emergenza” e costruita su una inquietante alchimia tra media, politica istituzionale e imprenditoria. Il giuridico neoliberale come sede “naturale” dell’affermazione dell’ideologia razzista Dalle considerazioni fin qui sviluppate emerge con chiarezza come vi sia in atto in Italia una nuova offensiva dell’ideologia razzista65 e come tale ideologia rintracci il suo “naturale” terreno di sviluppo principalmente nelle “nuove” forme del giuridico neoliberale/postmoderno, così come queste si sono rese “visibili” di recente. Il giuridico neoliberale, infatti, appare sempre di più spogliato dei suoi tratti più peculiari: ossia dell’universalità e dell’astrattezza. Queste caratteristiche, tipiche del giuridico moderno (o liberale), iniziano ora a difettare non solo dal lato del contenuto, ma anche dal lato della forma (anche se - occorre sottolinearlo – le nuove forme del giuridico neoliberale/postmoderno non mancano di emulare le forme e la semantica della legistica o del giuridico moderno, risultando però, molto spesso, dei banali e imbarazzanti “simulacri”66). Il “nuovo” diritto – generato da soggetti e procedure diversi da quelli tradizionali (o moderni) - si caratterizza, appunto, per la sua più immediata aderenza ai fatti, per la sua adeguatezza allo scopo, per le modalità formative snelle e flessibili e, soprattutto, per la sua capacità di predisporre regole operanti in spazi e tempi sempre più compressi e differenziati. Sulla base di questa prospettiva non è affatto azzardato parlare di sistema normativo justin-time. Il modello produttivo ed organizzativo della fabbrica integrata just in time appare emblematico dei diversi aspetti del processo formativo del giuridico dell’era neoliberale. Ambedue i processi – sia quello produttivo di merci che quello produttivo di “norme” - sono accomunati, in primo luogo, da una significativa compressione spaziale e temporale67 e, in secondo luogo, dagli effetti che producono tali processi sulla gran parte dei soggetti (lavoratori Per ideologia razzista si intende qui quel fenomeno che legittima l’asservimento di uomini o popoli, oppure la loro riduzione allo stato di assoluta inferiorità (economica, politica, sociale e giuridica). Sul punto cfr. F. Fanon, Razzismo e cultura, in Id., Scritti politici, Vol. I, DeriveApprodi, Roma, 2006, pp. 52 e ss.. 66 Sulla sovrabbondanza del “simulacro” nel “postmoderno”, cfr. F. Jameson, Postmodernismo ovvero la logica culturale del tardo capitalismo, Fazi, Roma, 2007. 67 R. Finelli, Globalizzazione, postmoderno e “marxismo dell’astratto”, in Aa.Vv., Pensare con Marx. Ripensare Marx. Teorie per il nostro tempo, Edizioni Alegre, Roma, 2008, pp. 180 e ss., sottolinea che la «rivoluzione tecnologica, legata alle macchine informatiche, consente una nuova organizzazione del tempo e dello spazio, dando vita a quella che è stata chiamata correttamente una nuova ‘compressione spazio-temporale’ del mondo capitalistico. Una riorganizzazione del tempo e dello spazio che appunto ha offerto all’americanismo la possibilità storica di sviluppare una nuova tipologia del processo di accumulazione capace di confrontarsi e di aggirare tutte le rigidità dell’accumulazione fordista. La flessibilità e la mobilità, la maggiore velocità del tempo di rotazione del capitale, al pari tempo di rotazione dei consumi e delle durate dei beni, divengono infatti i nuovi criteri con cui organizzare l’intero mondo economico: rispettivamente i processi produttivi e la tipologia dei prodotti, i mercati del lavoro, perché di mercati e non di un solo mercato del lavoro bisogna parlare». L’A. definisce americanismo l’idealtipo della globalizzazione, ossia la «generalizzazione a tutti i paesi del globo, con gradi diversi ovviamente di sviluppo e sottosviluppo, del medesimo modello di produzione, distribuzione e consumo di merci, della medesima ricerca di profitto, della medesima invasività e diffusione del mercato e della medesima attitudine a trasformare i rapporti umani in rapporti quantificabili e mediati dal denaro». 65 17 e cittadini) coinvolti. Gli operai delle fabbriche integrate just in time e i cittadini disciplinati dal diritto neoliberale territorialmente integrato (Patti territoriali) sono sostanzialmente esclusi da ogni processo decisionale, anche se (mediaticamente) il processo viene rappresentato come maggiormente inclusivo e partecipativo, sia dei lavoratori che dei cittadini. Nella fabbrica integrata, contrariamente a quanto si vuol far credere68, si rafforza il potere della direzione d’impresa sui lavoratori (comando sul lavoro); in ambito pubblico, al di là dei proclami sulla necessità di portare le istituzioni “più vicine al territorio”, la decisione è affidata ad amministrazioni sempre più autoritarie che governano il territorio in collusione con lobbies e poteri forti locali e sovra-locali. Inoltre, sia i lavoratori che i cittadini si muovono in un orizzonte decisionale e giuridico caratterizzato da una totale incertezza. Il vorticoso e convulso succedersi di “regole” – trasformate, riformate e abrogate assai rapidamente da queste insindacabili «officine giuridiche»69 - produce, inevitabilmente, una condizione di totale sottomissione di tutti i soggetti agli ordini dell’autorità di turno. L’immediatezza dell’intervento normativo, nonché la sua frantumazione geografica, porta all’impossibilità di unificare e definire l’esperienza giuridica, che acquisisce di conseguenza tratti schizofrenici. Il turnover costante di regole di fatto “cogenti” che non valgono a lungo e in più luoghi contemporaneamente porta alla delegittimazione de facto del sistema giuridico formalmente vigente. La stessa concezione dell’autorità diviene, in questo modo, assolutistica, premoderna70. Il giuridico neoliberale non pone, infatti, la legge al di sopra di tutto (la legge intesa come risultato della mediazione politica dei partiti e degli istituti di rappresentanza), ma l’autorità che esercita il potere effettivo. Al consolidamento della concezione assolutistica dell’autorità concorre anche il nuovo sistema di rapporti interni alla pubblica amministrazione, il quale, inevitabilmente, finisce per avere rilevanti ripercussioni anche sui rapporti che la pubblica amministrazione instaura con l’esterno. La pubblica amministrazione è stata sottoposta negli ultimi anni a profonde trasformazioni normative ed organizzative, in gran parte «protese a favorire il processo di privatizzazione del pubblico impiego»71. Queste riforme – introdotte negli anni del trionfo neoliberista72 – si fondano essenzialmente «sulla passiva ricezione […] della dottrina del New Public Management, così come in questi tempi propagandata dall’OCSE, sostenuta dalla Banca mondiale, ostentata dal Fondo monetario internazionale»73. Il modello amministrativo imposto da queste istituzioni internazionali è quello nord-americano, «fondato sulla strisciante omogeneizzazione tra pubblico e privato, sulla indistinzione di ambiti di riferimento tra «[…] la fabbrica integrata non è né neutrale né trasparente: essa riflette un’immagine di sé capovolta e nell’inversione tende a occultare i rapporti di potere. L’occultamento è il prodotto della nuova struttura organizzativa, che è concreta, reale, ma che, nascondendo il comando della direzione sotto l’apparenza di un ordine imposto dalla dinamica degli ‘ordini’ che dal consumatore risalirebbero lungo la linea di produzione, induce a ‘vedere all’inverso’. Questo effetto strutturale, che propongo di chiamare effetto kanban, veicola tutta la logica della partecipazione alle finalità dell’impresa; media l’esigenza dell’autoattivazione; sostiene l’idea dell’azienda come comunità di produttori al servizio del consumatore; induce a credere che si stia entrando in un mondo caratterizzato dalla ‘democrazia in fabbrica’», L. Fiocco, L’effetto kanban nell’organizzazione del lavoro alla Fiat di Melfi, in “Chaos”, n. 10/1997. 69 L’espressione è di N. Irti, Nichilismo giuridico, cit., p. 7. 70 Secondo la concezione moderna «l’autorità è di solito definita come il diritto o il potere di emanare comandi obbligatori. Il potere effettivo di costringere altri ad un dato comportamento non basta a costituire autorità. L’individuo che è, o ha, un’autorità deve avere ricevuto il diritto di emanare dei comandi obbligatori, di modo che altri individui siano obbligati ad obbedire. Tale diritto o potere può venire conferito ad un individuo soltanto da un ordinamento normativo. L’autorità è quindi originariamente la caratteristica di un ordinamento normativo», H. Kelsen, Teoria generale del diritto e dello Stato, Etas, Milano, 1954, p. 389. 71 C. De Fiores, “I pubblici impiegati sono al servizio della nazione”? Brevi considerazioni sulla dimensione costituzionale del pubblico impiego tra privatizzazione del rapporto di lavoro e revisione del Titolo V, in “Diritto pubblico”, n. 1/2006, p. 183. 72 «I processi economici hanno un rilievo politico e tendono a dispiegare un’efficacia costituente sul terreno degli assetti istituzionali e ordinamentali», A. Burgio, Per Gramsci, cit., p. 19. 73 C. De Fiores, “I pubblici impiegati sono al servizio della nazione”?, cit., p. 183. 68 18 amministrazioni centrali e periferiche, sul collateralismo dei rapporti tra potere politico e amministrazione (come dimostra l’introduzione dello spoil system), sull’ostentazione delle logiche aziendalistiche»74. Lo schema operativo della dottrina del New Public Management (e anche della dottrina della governance della pubblica amministrazione) è centrato sul rafforzamento dei poteri decisionali della figura del dirigente, plasmata sulle prerogative del manager dell’impresa privata. In un sistema organizzativo in cui il dirigente pubblico è anche il “datore di lavoro”, la subordinazione e l’ossequiosità dei dipendenti rispetto agli ordini impartiti tende a crescere. Questo oggettivo stato di dipendenza materiale trasforma gli ordini dei dirigenti, o dell’autorità amministrativa di turno, in paradigmi del giuridico nell’agire quotidiano degli operatori della pubblica amministrazione. Il dirigente (o l’autorità amministrativa) arriva così a detenere un duplice potere: quello di disporre e quello di ordinare. Ciò crea le condizioni per la formazione di un potere informe, inafferrabile e diffuso e, nel contempo, immenso e fortemente autoritario. Il tutto - va da sé - trae origine dall’intensificazione della gerarchia, che ora si manifesta come il tratto più importante della vita lavorativa dei dipendenti pubblici. Dalla gerarchia sul lavoro deriva la paura di sanzioni di vario tipo, dal declassamento al licenziamento, e «dalla paura scaturisce un ordine sociale interno, differente da quello del contesto generale, che può essere descritto senza esagerazione come feudale»75. Si può affermare, in altre parole, che si sta realizzando una socializzazione, su larga scala e con diffusione capillare, dell’arbitrio, della logica del “capo”. L’arbitrio diviene così il nuovo paradigma del giuridico. Sulla base di questa prospettiva, si può affermare che le forme del giuridico neoliberale si adattano con estrema facilità alle esigenze dell’attuale sistema economico, il quale, per esistere, necessita di uno schema di riproduzione coerente, efficiente e non ostacolabile dai tempi e dalle istanze del “confronto democratico” (tradizionale) e, dunque, richiede la materializzazione di un «regime di accumulazione sotto forma di norme, consuetudini, leggi, reti di regolazione ecc., che garantisca l’unità del processo, cioè la coerenza dei comportamenti individuali con lo schema di riproduzione»76. Il modello economico del tardo capitalismo si fonda, quindi, su pratiche politiche e forme giuridiche che gli consentono di preservare la sua estrema dinamicità e di acquisire, contemporaneamente, «sembianze sufficientemente ordinate per funzionare in modo coerente»77. Le forme del giuridico neoliberale, direttamente penetrate e definite dall’economico, – sperimentate finora in maggior misura sulla popolazione immigrata - si prestano con estrema facilità ad accogliere contenuti normativi che consentono di riprodurre ancor più efficacemente l’asservimento o l’inferiorizzazione assoluta di individui, classi e popoli, strumenti necessari per la riproduzione dell’attuale sistema economico e politico78. Ivi, p. 184. C. Robin, Paura. La politica del dominio, Università Bocconi Editrice, Milano, 2005, p. 253. 76 D. Harvey, La crisi della modernità. Riflessioni sulle origini del presente, il Saggiatore, Milano, 1997, p. 152. 77 Ibid. 78 L. Ferrajoli, Libertà di circolazione e di soggiorno. Per chi?, in M. Bovero (a cura di), Quale libertà. Dizionario minimo contro i falsi liberali, Laterza, Roma-Bari, 2004, p. 181, rileva, a questo proposito, che: «i nuovi lavoratori immigrati […], soprattutto se clandestini, non hanno diritti, e sono perciò esposti al massimo sfruttamento. Il fenomeno non è nuovo. Sempre le diverse generazioni delle classi operaie sono state formate e alimentate da flussi migratori: dall’emigrazione dalle campagne che fece nascere il primo proletariato industriale in Inghilterra; da quella italiana e irlandese negli Stati Uniti tra la fine dell’Ottocento e il primo Novecento; dal Sud al Nord dell’Italia nel nostro secondo dopoguerra. Sempre i nuovi venuti sono stati oggetto di discriminazioni e messi in concorrenza con il vecchio proletariato. Ma oggi lo sfruttamento e l’oppressione sociale si avvalgono anche delle disuguaglianze giuridiche che intervengono, nello status civitatis, tra cittadini e stranieri». 74 75 19