CASANA 18-21:- 14-04-2010 6:21 Pagina 18 CASANA 18-21:- 14-04-2010 6:21 Pagina 19 Arte e Cultura Quando Hayez dipingeva Maria Stuarda al patibolo di Lorenzo Bagnara Manifesto politico e sociale della Milano romantica. Domenica 8 febbraio 1587, il giorno fissato per l’esecuzione presso il castello di Fotheringhay, Maria Stuart entrò nel salone con aria tranquilla, indossando un abito scuro. Quando il boia le presentò le sue scuse, ella disse: “Vi perdono con tutto il cuore, perché ora spero che porrete fine a tutte le mie angustie”. Sul patibolo le sue dame, Elizabeth Curle e Jane Kennedy, l’aiutarono a spogliarsi rivelando un sottabito rosso cremisi. Una volta bendata e distesa sul ceppo pronunciò le parole: “In manus tuas, Domine, commendo spiritum meum”. La decapitazione fu molto dolorosa: la testa della regina si staccò dal corpo solo ad un secondo colpo di scure. Dopo la morte, la sovrana subì l’umiliazione della ostensio davanti alla folla; inoltre, quando gli esecutori si avvicinarono al corpo senza vita per togliere gli ultimi ornamenti, prima che venisse imbalsamato, la gonna di Maria iniziò a muoversi e da sotto uscì il suo piccolo cane, che ella era riuscita a nascondere sotto le lunghe vesti. La regina di Scozia moriva così all’età di 44 anni. Elisabetta I d’Inghilterra, colei che ne aveva firmato la condanna alla pena capitale, morì nubile e senza discendenza nel 1603, cosicchè Giacomo Stuart, l’unico figlio di Maria, divenne il nuovo monarca inglese; si avverava così il motto della sovrana scozzese: En ma Fin gît mon Commencement, “Nella mia fine è il mio principio”. La vicenda di Mary Stuart affascina le menti di scrittori, poeti e artisti tra settecento e ottocento che ne fanno un personaggio prediletto del Romanticismo. Il dramma omonimo di Friedrich Schiller, pubblicato nel 1800, viene tradotto in Italia da Pompeo Ferrario nel 1819. A fronte Francesco Hayez, “Maria Stuarda condotta al patibolo” (particolare). Milano, Banca Cesare Ponti Spa. “Maria Stuart” è ampiamente commentata in quegli anni da Silvio Pellico sul “Conciliatore” e da Alessandro Manzoni. È insomma un testo molto noto che trova una sua divulgazione anche attraverso diverse espressioni artistiche. Donizetti lo sceglie come tema di un’opera eminentemente politica, rappresentata in prima assoluta alla Scala il 30 dicembre 1835: raccontando gli ultimi tre giorni della lunga prigionia, durata ben diciotto anni, della regina cattolica di Scozia precedenti la sua decapitazione decretata da Elisabetta (definita nel libretto “tiranna”), l’opera mira a denunciare soprattutto la crudeltà del potere assoluto. Un pensiero tipicamente schilleriano, quindi, nel quale è forte il messaggio liberale e massonico. In pittura le prime trasposizioni delle tristi vicende della sovrana sono documentate in Francia già al Salon del 1808 ad opera degli artisti François Fleury Richard e Jean Baptiste Vermay, mentre in Italia la fortuna figurativa del tema ha inizio proprio con la presente opera di Francesco Hayez (1791 –1882), oggi proprietà della Banca Cesare Ponti. Il dipinto (pubblicato nel catalogo ragionato dell’Hayez edito nel 1994 a cura di Fernando Mazzocca) venne presentato per la prima volta all’Accademia di Belle Arti di Brera nel 1827. L’artista, nato a Venezia nel 1791, era stato stato chiamato a Milano nel 1822 come insegnante aggiunto alla cattedra di pittura tenuta da Luigi Sabatelli, dopo un percorso formativo cominciato nel 1806 ai corsi di Teodoro Matteini presso la Nuova Accademia di Belle Arti veneziana e proseguito prima a Roma nel 1809, sotto la guida di Antonio Canova e poi a Napoli, dove suo mecenate fu Gioacchino Murat. Committente della Maria Stuarda è il barone tedesco Ludwig von Seufferheld, la cui quadreria nel palazzo già Passalacqua in contrada del Morone a Milano comprenderà in seguito opere di Massimo D’Azeglio, di Giuseppe Molteni e di Felice Schiavoni. 19 CASANA 18-21:- 14-04-2010 6:21 Pagina 20 Al grande dipinto viene riservata un’accoglienza trionfale: sulla “Gazzetta di Milano” Francesco Pezzi ne tesse le lodi per ben quattro pagine, pubblicando anche uno stralcio della “Storia del Regno di Scozia sotto Maria Stuarda e Giacomo VI” per dimostrare la corrispondenza precisa del quadro con il testo di William Robertson, tradotto per la prima volta in Italia già nel 1779. Pezzi osserva come lo spettatore contemporaneo potesse ammirare “affetti, sentimenti, passioni, espressi col cuor del pennello”. La composizione vede al centro la regina cattolica, “vestita con un abito bruno, ma con attillatura ed eleganza” ed “un Agnus Dei attaccato al collo con una catena di pastiglie odorose, la corona alla cintura e in mano un Crocifisso”. Il palco è stato “alzato nella medesima Sala dove era stata giudicata, sollevato alquanto sopra il pavimento, e coperto, come ancora una sedia un cuscino, ed il ceppo d’un panno nero”. Sulla destra si riconoscono “i Conti di Shrewsbury e di Kent [...] accompagnati da varj gentiluomini delle Contee circonvicine”, mentre dietro la regina vediamo “il cav. Andrea Melvil, suo Maggiordomo”, con le mani giunte, a cui era stato concesso di poterla accompagnare al patibolo insieme a “tre de’ suoi servitori, e due delle cameriere”, Elizabeth Curle e Jane Kennedy. Sopra il palco invece il consigliere della regina “Robert Beale lesse il Decreto dell’esecuzione a gran voce”. François Clouet, “Ritratto di Maria Stuart, regina di Scozia, in età avanzata”. Chantilly, Musée Condé. A fronte Francesco Hayez, “Maria Stuarda condotta al patibolo”. Milano, Banca Cesare Ponti Spa. 20 Il virtuosismo dell’Hayez sta proprio nella raffinata regia compositiva dell’affollata scena. L’orchestrazione generale avviene anche tramite un scelta cromatica giocata sulle dissonanze date da colori di recente invenzione come il blu di cobalto (commercializzato a partire dal 1807) presente nell’abito della damigella o elementi quasi anamorfici, come lo specchio posto in alto a destra per poter permettere anche alla folla retrostante di assistere all’esecuzione, che crea una linea diagonale di rottura con il ritmo dei peducci della copertura. La ricchezza di particolari sembra riflettere quello che nel 1842 sarà il pensiero di Pietro Estese Salvatico ne “L’educazione del pittore storico odierno”, secondo il quale gli artisti dovevano avere una preparazione storico-antiquariale che li mettesse in grado di riprodurre fedelmente la meccanica degli avvenimenti, i personaggi, i luoghi, i costumi e gli altri accessori. Del grande quadro è nota una versione su tavola risalente al 1826, oggi in collezione privata, un “modelletto” che presenta però notevoli varianti. Nonostante la composizione generale sia pressoché identica, totalmente diverse sono le fisionomie dei volti, che trovano nella stesura finale una precisa connotazione ritrattistica. È sempre il Pezzi a sottolinearne questa peculiarità: “l’Hayez vi ha riprodotto alcune teste d’altri suoi quadri precedenti e fra le altre quella del Carmagnola, affettuosa e mesta ad un tempo. Vi sono pure le immagini parlanti di persone conosciute fra noi”. La presenza in questo caso davvero corale di ritratti di personalità contemporanee come il conte Alfonso Porro Schiaffinati, protagonista della cultura milanese, amico di artisti e cultore egli stesso di musica, pittura e letteratura, già modello dell’Hayez per il Carmagnola, raffigurato nell’uomo sulla scala dietro la Stuarda, sarà rievocata anche dal pittore stesso nelle proprie “Memorie” dove affermerà di aver fatto uso di “varie teste di quei personaggi ch’io aveva preso da alcuni amici che s’eran compiaciuti di servirmi da modello”. Lo spesso pittore si ritrae nel nobile con il capo scoperto ed il colletto a lattuga nel gruppo degli astanti a destra. Hayez tratta il tema della vita della regina scozzese già in altre due opere, l’ “Incontro con Elisabetta nel parco di Fotheringhay” e l’ “Incontro con Leicester verso il supplizio”, “abbozzetti ad olio” che vengono presentati a Brera insieme al dipinto in esame, per poi produrre nuovamente un grande olio nel 1832, “Maria Stuarda che protesta dinanzi agli Sceriffi la propria innocenza nell’atto in cui viene letta la sentenza di morte” attualmente in collezione privata milanese. Anche di questa tela è nota una versione di dimensioni minori, oggi nelle raccolte braidensi, realizzata nel 1827 per mitigare l’impazienza del committente, il conte torinese Gaetano Bertolazzone d’Arache, che dovette attendere per cinque anni il completamento dell’opera vera e propria. Quest’ultima tuttavia non incontrerà lo stesso successo di critica ottenuto dal primo dipinto: esposta in una mostra nelle sale dell’Accademia Albertina di Torino, ver- Arte e Cultura CASANA 18-21:- 14-04-2010 6:21 Pagina 21 rà così attaccata da Felice Romani: “questo eterno argomento della Maria Stuarda, ormai replicato in Italia a sazietà, forse più ancora della Francesca da Rimini ... sembra aver stancato la fantasia del pittore”. La connotazione sociale di queste pitture era stata messa in luce nel 1830 dal pavese Defendente Sacchi nel “Carattere civile delle Belle Arti”: “s’ingannano que’ che credono che si possa denominare veramente storia ogni composizione d’arte in cui siano svolti avvenimenti o casi di uomini o di nazioni [...] indole precipua della pittura civile è di rappresentare il fare dell’umana convivenza nel secolo di cui si toglie [...] questo è quanto pare conseguire l’Hayez fra i viventi [...] egli toccò la vera pittura storica nelle varie tele le miserie di Carmagnola [...] tale pure potè appalesarsi [...] nella morte di Maria Stuarda”. Secondo il critico, maggior sostenitore dell’Hayez e allievo del celebre filosofo Romagnosi, già nel 1829 la battaglia romantica risultava ormai vinta. La pittura era chiamata ad assolvere un’alta funzione educativa. Sacchi notava infatti come “finalmente le Veneri, gli Adoni, gli Amori, le Minerve, le Psiche, i Ganimede, le barbe venerande e spaventose di Giove e di Plutone, in fine tutte le pazze e laide avventure della mitologia, sono sbandite dalla savia pittura del secolo XIX, e più non vengono a infestare le sale delle belle arti, a contaminare d’incresciose ricordanze, di sconce avventure, i sensi e i cuori di coloro che amano consolarsi coi cari ricreamenti del bello”. Egli salutava quindi il definitivo superamento, almeno a Milano, del repertorio classico e mitologico, cui era subentrata “coi gravi suoi ammae- Arte e Cultura stramenti la storia, a pingere le azioni generose dei padri nostri, ad innalzare col loro esempio gli animi alla virtù”. La figura del pittore storico venne dunque ad assumere una enorme importanza e una funzione che, nel caso di Hayez, verrà consacrata dall’autorità di Giuseppe Mazzini. Durante l’esilio londinese, l’uomo politico pubblicò infatti sulla London and Westminster Review del 1841 un saggio sulla Pittura moderna italiana, che rimane la testimonianza più significativa sul Romanticismo storico. Hayez, scrive Mazzini “non è pagano, né cattolico, né eclettico, né materialista: è un grande pittore idealista italiano del secolo XIX. È il capo della scuola di Pittura Storica, che il pensiero Nazionale reclamava in Italia: l’artista più inoltrato che noi conosciamo nel sentimento dell’Ideale che è chiamato a governare tutti i lavori dell’Epoca. La sua ispirazione emana direttamente dal Popolo; la sua potenza direttamente dal proprio Genio: non è settario nella sostanza; non è imitatore nella forma [...] Là è grande e solo: lo storico della razza umana, e non di qualcuna delle sue individualità preminenti. Nessuno, fin qui, tra i pittori, ha sentito come lui la dignità della creatura umana, non quale brilla agli occhi di tutti sotto la forma del potere, del grado, della ricchezza o del genio, ma quale si rivela agli uomini di fede e di amore [...] artista completo per quel tanto che i tempi lo permettono che assimila, per riprodurlo in simboli, il pensiero dell’epoca, quale esso s’agita compresso nel seno della nazione; che armonizza il concetto e la forma; idealizza le sue figure senza falsarle; crea protagonisti, non tiranni; fa molto sentire e molto pensare”. 21