Anno XII - Numero 19 - 22 marzo 2006 La storia dell’opera Il travagliato cammino di un libretto reputato facile A Pag. 6 La protagonista storica La sfortunata Maria Stuarda, Regina di Scozia A Pag. 8e9 La Regina rivale Elisabetta I, inedito modello di sovranità A Pag. 11 Scozzesi ed Inglesi Vizi e virtù dei due popoli da sempre in contrasto A Pag. 13 MARIA STUARDA di Gaetano Donizetti Maria Stuarda 2 Il La Stagione 2006 al Teatro Costanzi Parla il direttore d’orchestra Riccardo Frizza S Un’opera senza Ouverture, ma con preludio di clarinetto ul podio di questa Maria Stuarda è il giovane maestro Riccardo Frizza, bergamasco di nascita, ma già cittadino del mondo, cittadino della musica. Per lui si tratta del debutto con quest’opera. Maestro Frizza, a quale grado di maturità compositiva è giunto Donizetti in quest'opera? «Maria Stuarda è uno dei capolavori del Donizetti a metà della carriera compositiva: si vede come lui abbia nel 1834, già le idee molto chiare con una struttura ben delineata, anche se non è ancora come quella della sua maturità. Si sentono nella sua musica ancora echi di Mayr, per quanto riguarda certi passaggi e accompagnamenti, e soprattutto di Rossini, per i tutti orchestrali, i ritmi e le parti drammatiche, che sono anche assimilabili ad un primo Verdi». Come mai in quest'opera manca la classica sinfonia di apertura? «Questo è un aspetto interessante: nonostante l'usanza dell'epoca, che prevedeva la consueta ouverture, quest'opera si apre con un preludio in cui il clarinetto è protagonista, secondo uno stilema tipicamente ro- mantico, che potremmo definire preverdiano». Nel suo repertorio Lei ha affrontato soprattutto il Donizetti buffo. Quali sono le particolari difficoltà direttoriali di un'opera seria come Maria Stuarda? «Le difficoltà in quest'opera sono tante, sia per l'esigenza di un'aderenza allo stile dell'epoca, sia per la necessità di conferire il giusto risalto alle voci. Questo è belcanto puro ed abbiamo la fortuna di avere due grandi prime donne come protagoniste». Come descrive Donizetti i diversi caratteri di Maria Stuarda e di Elisabetta? «Per Maria, Donizetti ha scritto melodie di carattere belliniano, cantabili, con un accompagnamento nudo, tale da non far ~ ~ La Copertina ~ ~ Ritratto di Maria Stuarda, opera di Jehan Decouyrt, discepolo di François Clouet. Il ritratto fu dipinto probabilmente introno al 1574 durante la prigionia di Maria Stuart, infatti non riporta insegne regali. Direttore responsabile Il G iornale dei G randi Eventi Andrea Marini Via Courmayeur, 79 - 00135 Roma e-mail: [email protected] Editore A. M. Stampa Tipografica Renzo Palozzi Via Vecchia di Grottaferrata, 4 - 00047 Marino (Roma) Direzione Redazione ed Amministrazione Registrazione al Tribunale di Roma n. 277 del 31-5-1995 © Tutto il contenuto del Giornale è coperto da diritto d’autore Ko dak Le fotografie sono realizzate in digitale con fotocamera Kodak DC290 mai perdere l'aplomb al personaggio. La voce di Elisabetta è stata trattata invece con maggiore varietà ritmica, con un andamento più mosso e vario, con esplosioni perentorie che ben affermano il potere espresso dal personaggio. Naturalmente, nell’opera del fatto storico è stata ripresa solo l'ultima vicenda, ma la musica rende bene, con un'attenzione particolare, quasi "storica", la complessità psicologica e la sostanziale diversità dei due personaggi». Sia per Lei che per la Signora Devia, quest'opera è un debutto. Che tipo di lavoro comune è stato compiuto? «Quando ci siamo incontrati con Mariella abbiamo messo a confronto le idee che avevamo maturato separatamente sullo spartito, trovando subito una piena identità di vedute. Il lavoro di ricerca che abbiamo portato avanti è stato quindi indirizzato nel senso del recupero di tutte le possibilità belcantistiche dell'opera». Recentemente Lei ha diretto a Genova La Favorita, ultima opera di Donizetti. Le due opere hanno qualcosa in comune… «Infatti, il concertato finale del primo atto. Scritto da Donizetti per la prima versione di Maria Stuarda, fu successivamente sostituito con un altro, nel 1838, nella versione modificata, destinata al Teatro Alla Scala di Milano. Questo a causa dei consueti problemi con la censura. Nella Favorita di dieci anni dopo, Donizetti "riesuma" questo concertato e lo inserisce come finale del primo atto della Favorita, naturalmente con il testo differente. Questo significa che nonostante l'evoluzione compositiva maturata in un decennio, Donizetti continuava a considerare questo concertato un brano molto convincente. Per il resto la maturazione di Donizetti si svolge soprattutto a livello dell'orchestrazione, ma per raffrontare le due opere bisogna considerare una differenza importante, sostanziale, che le divide: la prima, Maria Stuarda era stata scritta per un pubblico italiano, in due atti, mentre Favorita fu scritta per il pubblico francese, con quattro atti ed un balletto». An. Cio. Giornale dei Grandi Eventi 21 - 28 Aprile LA LEGGENDA DI SAKÙNTALA di Franco Alfano Direttore e Regista Gianluigi Gelmetti Scene Maurizio Varamo Interpreti Francesca Patanè, David Rendall, Elena Cassian, Anna Rita Taliento, Orlin Anastassov 30 Maggio - 6 Giugno IL TURCO IN ITALIA di Gioachino Rossini Direttore Donato Renzetti Regia Stefano Vizioli Interpreti Carlo Lepore, Angeles Blancas Gulin, Dario Schmunck, Paolo Rumetz, Mario Cassi, Nadia Pirazzini, Davide Cicchetti Stagione Estiva Terme di Caracalla dal 24 giugno a 9 agosto LA VESTALE (balletto), MADAMA BUTTERFLY, AIDA, TURANDOT 14 - 22 Novembre TRISTAN UND ISOLDE di Richard Wagner Gianluigi Gelmetti Henning Brockhause David Rendall, Janice Baird, Marianne Cornetti Direttore Regia Interpreti 7 - 14 Novembre Direttore Interpreti ~~ CARMEN di Georges Bizet Alain Lombard Rinat Shaham, Vincenzo La Scola, Giorgio Surian, Anna Laura Longo La Locandina ~ ~ Teatro Costanzi, 23 – 30 marzo 2006 MARIA STUARDA Musica di Gaetano Donizetti Libretto di Giuseppe Bardari tratto dal dramma Maria Stuart (Weimar, 14.6.1800) di Friedrich Schiller nella traduzione di Andrea Maffei Revisioni del libretto di Pietro Salatino e Callisto Bassi Prima Rappresentazione: Milano, Teatro Alla Scala, 30.12.1835 Maestro concertatore e Direttore Maestro del Coro Regia e Costumi Scene Disegno Luci Riccardo Frizza Andrea Giorgi Francesco Esposito Italo Grassi Patrizio Maggi Personaggi / Interpreti Elisabetta (S) Maria Stuarda (S) Roberto (T) Talbolt (B) Cecil (B) Anna (Ms) Marianna Pentcheva / Enkelejda Shkosa (26, 28, 30/3) / Mariella Devia / Maria Carola (26, 29/3) / Dario Schmunch / Claudio Di Segni (28, 30/3) Roberto Costi (26, 29/3 Enrico Turco Dario Solari Esther Andaloro ORCHESTRA E CORO DEL TEATRO DELL’OPERA Allestimento del Teatro Donizetti di Bergamo I Il Giornale dei Grandi Eventi l libretto forte, con il famoso scontro verbale delle due protagoniste nel secondo atto, ha sempre reso difficile la vita alla Maria Stuarda di Gaetano Donizetti, tragedia lirica in tre atti che dopo un cammino travagliato trovò la sua prima rappresentazione al Teatro Alla Scala di Milano il 30 dicembre 1835, protagonista il grande soprano Maria Malibran. Maria Stuarda A Roma l’opera è stata rappresentata una sola volta, il 14 maggio 1970, in un allestimento del Teatro Comunale di Firenze. La direzione in quella occasione fu affidata a Bruno Bartoletti, mentre interpreti furono Montserrat Caballè, Anna Reynolds, Juan Oncina, Corrina Vozza, Giulio Fioravanti. Questa volta, nell’allestimento del Teatro Doni- zetti di Bergamo, il podio è affidato al maestro Riccardo Frizza, al suo debutto con quest’opera. Debutto che è anche per la protagonista, il soprano Mariella Devia,che recentemente, in gennaio, abbiamo ascoltato come ottima Donna Anna nel Don Giovanni di Mozart che ha aperto questa stagione. L’opera si rifà, con ampia licenza poetica, al- l’ultimo periodo della vita di Maria Stuarda, la sfortunata Regina di Scozia, fatta imprigionare e poi decapitare per ordine della cugina, la Regina Elisabetta d’Inghilterra. La vicenda si ricollega agli eterni contrasti tra scozzesi ed inglesi, i primi cristiani ed i secondi protestanti. Ruggine vecchia, che pare non trovare pace neppure sotto la Union Jack. 3 Le Repliche giovedì 23 marzo, ore 20,30 (prima) sabato 25 marzo, ore 18,00 domenica 26 marzo, ore 16,30 martedì 28 marzo, ore 20,30 mercoledì 29 marzo, ore 16,30 giovedì 30 marzo, ore 20,30 Maria Stuarda di Donizetti per la seconda volta a Roma L'azione si svolge in Inghilterra nella seconda metà del XVI secolo, all’interno del Palazzo di Westminster e nel Parco del Castello di Fotheringay a Northampton. ostilità, le rinfaccia il passato e l’accusa di essere stata prodiga di favori nei confronti di Leicester per ottenere il suo appoggio. A queste parole Maria reagisce con violenza e apostrofa Elisabetta con una raffica di insulti violenti. La sua sorte è ormai segnata con Elisabetta che giura vendetta. Da parte sua, Maria si sente finalmente liberata da un incubo. Leicester, Talbot ed Anna, dama di compagnia di Maria, sono afflitti per l'esito dell'incontro, mentre Cecil ed i cortigiani enfatizzano il loro sostegno ad Elisabetta. La Trama Atto I: Nel Palazzo di Westminster i cortigiani attendono Elisabetta, Regina d'Inghilterra, che entra perplessa per la proposta di matrimonio ricevuta dal Re di Francia: ella è infatti segretamente innamorata del cortigiano Roberto conte di Leicester. Il sacerdote Lord Giorgio Talbot le chiede un atto di clemenza verso Maria Stuarda, Regina di Scozia, accusata di alto tradimento e detenuta a Fotheringay, ma il gran tesoriere Lord Guglielmo Cecil le consiglia di non avere pietà. Talbot confida a Leicester di essersi recato da Maria e di aver ricevuto da lei una lettera ed un ritratto per lui. Commosso, Leicester si ripromette di aiutare la sfortunata Regina, di cui è segretamente innamorato, e mostra ad Elisabetta la lettera di Maria, sperando di muoverla a compassione. Elisabetta avvampa di gelosia per il suo favorito, ma non rifiuta di incontrare la Stuarda. Atto II: Nel parco di Fotheringay, Maria, controllata dalle guardie, osserva con gioia la natura e rimpiange con nostalgia la patria francese di quando era sposa del Re Francesco II. Giunge Leicester per prepararla all'incontro con la Regina d'Inghilterra e spiegarle che sarà sufficiente un atto di sottomissione per riottenere la libertà perduta. Arriva Elisabetta, scortata da Lord Talbot e dal fedele Cecil, principale fautore del partito che vuole la condanna a morte della Stuarda. Maria si prostra davanti ad Elisabetta, ma questa la tratta con Atto III: Cecil convince Elisabetta a firmare la condanna a morte per la Stuarda. La Regina è ancora indecisa sul da farsi, quando giunge Leicester. Vedendolo, Elisabetta abbandona ogni riserva e firma la condanna. Leicester tenta di far revocare l'ordine, ma riesce solo ad esacerbare la Regina che sfoga la sua gelosia intimandogli di assistere all'esecuzione. Intanto a Fotheringay Maria teme per la sorte di Leicester, quando giungono Talbot e Cecil per notificarle la condanna. Rimasta sola con Talbot, che le ha fatto pervenire un crocefisso, Maria si confessa per l'ultima volta. Nei pressi del luogo dell'esecuzione, la dama Anna ed i servi attendono mestamente l'arrivo di Maria, che alla fine compare vestita a lutto ed intona con i presenti una preghiera. Quando arriva Cecil con le guardie ed informa Maria che la regina Elisabetta le concede di veder realizzati i suoi ultimi desideri, la Stuarda risponde perdonando i nemici. Leicester, invece, pronuncia parole veementi contro l'iniquità della sentenza, ma Maria, ricordandogli di perdonare e non coltivare sentimenti d'odio, si congeda da tutti e procede serenamente verso il carnefice. Paccocelere Internazionale. 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Enkelejda Shkosa è nata a Tirana nel 1969; dopo gli studi presso il Conservatorio della sua città natale, si è perfezionata presso l’Accademia delle Belle Arti. Trasferitasi in Italia, si è diplomata nel 1995 al Conservatorio G. Verdi di Milano e nello stesso anno ha vinto il Marianna Pentcheva primo premio nel Concorso Internazionale "Lejla Gencer" di Istanbul. Ha debuttato in seguito nei principali Teatri italiani ed esteri: presso il Rossini Opera Festival di Pesaro, il Regio di Torino (dove si è esibita tra l’altro nella Maria Stuarda), a Bergamo e Bologna, al Teatro di San Carlo di Napoli. La troviamo quindi a Montecarlo, Monaco di Baviera, Parigi, Londra, Amsterdam, Lisbona, Madrid, Lipsia, USA, Dresda, Strasburgo, Bruxelles e Vienna. Dario Schmunck, Claudio Di Segni e Roberto Costi S Il Conte di Leicester, oggetto della contesa amorosa i esibiranno nel ruolo di Roberto di Leicester i tenori Dario Schmunck (23, 25 marzo), Claudio di Segni (28, 30 marzo) e Roberto Costi (26, 29 marzo). Dario Schmunck, nato a Buenos Aires, nel 1999 ha vinto il Concorso Internazionale di Canto "Franco Corelli". Dopo il suo debutto viene chiamato in diversi teatri austriaci e tedeschi, dove si è esibito in Maria de Rohan e Maria Stuarda di Donizetti, Falstaff di Verdi, L´equivoco stravagante di Rossini, Der Rosenkavalier di R. Strass. E’ stato successivamente a Lisbona, al Teatro Verdi di Trieste, alla Staatsoper di Vienna, al Teatro La Fenice di Venezia, a Londra. Claudio Di Segni si è diplomato presso il Conservatorio di S. Cecilia, proseguendo gli studi con il M° Morelli e presso il Mozarteum di Salisburgo. Ha vinto concorsi importanti (il concorso internazionale Toti Dal Monte, il concorso Mattia Battistini di Rieti, il concorso Briccialdi di Terni). Ha cantato con regolarità al Teatro dell’Opera di Roma, debuttando nel 1988 nel Poliuto di Doninzetti come protagonista. Nel 1989 ha cantato nella prima assoluta di Charlotte Corday di Ferrero, poi in Falstaff, ne I dialoghi delle Carmelitane, nel Rigoletto, nella Bohème, in Adina. Nel giugno 2005 si è esibito nel ruolo di Nicia nella Thais di Massenet. Roberto Costi ha debuttato nel 2001 al Teatro Bellini di Catania nella Messa da Requiem di Pacini diretto dal maestro Donato Renzetti. Ha inDario Schmunck terpretato il Duca di Mantova in Rigoletto al Teatro Basso di Ascoli Piceno sotto la direzione del M° Rota; è stato Rodolfo ne La Bohème a Milano, a Catania, in Giappone; Edgardo nella Lucia di Lammermoor al Teatro di Palm Beach in Florida. Conduce anche un’intensa attività concertistica, sia in Italia che all’estero. . Nel 2005 ha cantato nel ruolo di Pinkerton nella Madama Butterfly, durante la stagione estiva del Teatro dell’Opera di Roma. 5 Mariella Devia e Maria Carola P Maria Stuarda, cugina e vittima di Elisabetta resteranno la voce a Maria Stuarda i soprano Mariella Devia (23, 25, 28, 30 marzo) e Maria Carola (26, 29 Marzo). Mariella Devia, nata a Chiusavecchia (Imperia) si è diplomata in canto al Conservatorio Santa Cecilia di Roma. Soprano di fama mondiale, è interprete acclamata nei maggiori teatri lirici ed enti concertistici del mondo, raggiungendo, soprattutto con la Lucia di Lamermoor una delle massime espressioni del belcanto, lavorando con i massimi direttori mondiali. Al Teatro dell’Opera di Roma ha cantato nel Tancredi e recentemente come Donna Anna nel Don Giovanni. Maria Carola si è diplomata in violino presso il ConMariella Devia servatorio di Avellino. Successivamente ha intrapreso lo studio del canto, conseguendo il diploma con il massimo dei voti. Nella stagione lirica 2004 la troviamo all’Opera di Roma per l’Elettra di Strauss, sotto la direzione del Will Humburg e la regia Henning Brockhaus. Nello stesso anno durante la stagione estiva alle Terme di Caracalla, ha debuttato come Leonora ne Il Trovatore di G. Verdi, sotto la direzione di Alain Lombard e la regia di Paul Curran. Enrico Turco L Talbot, consigliere di Maria Stuarda a voce di Talbot sarà quella del basso Enrico Turco. Nato a Genova, ha studiato presso il Conservatorio Santa Cecilia di Roma, dove si è diplomato con il massimo dei voti, laureandosi nello stesso tempo in Storia della musica presso l’Università “La Sapienza”. E’ stato vincitore di numerosi concorsi lirici: nel 1987 del Concorso per voci liriche “Giacomo Lauri Volpi” di Latina; nel 1988 del terzo Concorso Internazionale “Maria Callas, Voci nuove per la lirica”, indetto dalla Rai e del Mariella Devia e Enrico Turco Concorso per giovani cantanti lirici della Comunità Europea “Sperimentale di Spoleto”, città dove ha debuttato nel Don Carlo. Dal 1988 è presente nelle stagioni dei maggiori Teatri italiani ed esteri. Pagina a cura di Diana Sirianni – Foto di Corrado M. Falsini 6 Maria Stuarda Il Giornale dei Grandi Eventi La storia dell’opera N Il travagliato cammino di Maria Stuarda el 1834 Donizetti, reduce dai trionfi del Torquato Tasso (1833) e di Lucrezia Borgia (1833), tornò a Napoli dopo un anno di assenza. La fortuna sembrava decisamente dalla sua parte: il buon successo della prima fiorentina al Teatro alla Pergola di Rosmonda d’Inghilterra (27 febbraio 1834), la nomina di professore di contrappunto e composizione al Conservatorio napoletano San Pietro a Majella e persino un invito di Rossini a scrivere un opera per Parigi (il futuro Marino Faliero, ndr). In questo clima estremamente positivo, la realizzazione del nuovo impegno con la città partenopea dovrà rivelarsi molto faticosa. Il 12 aprile 1834 Donizetti firmò un contratto con la Compagnia d’Industria e Belle Arti, che aveva la gestione dei Teatri Reali di Napoli, per la composizione di una nuova opera da darsi il 6 luglio al San Carlo per il compleanno della regina madre Maria Isabella di Spagna. Scartati i soggetti di Maria Tudor, il Pelagio e la possibile revisione de Il conte d’Essex, Donizetti optò per la schilleriana Maria Stuarda testo teatrale messo in scena a Weimar il 14 giugno 1800, nella traduzione italiana di Andrea Maffei. Tra mille difficoltà La difficoltà iniziarono sin dalla scelta del librettista, poiché il compositore cercò la collaborazione dell’inaffidabile Felice Romani. Dopo vane richieste - avanzate anche tramite Giovanni Ricordi - Donizetti si avvalse del diciassettenne calabrese Giuseppe Bardari, studente di legge alla sua prima e unica esperienza come librettista. L’attesa di una concreta risposta dal Romani, che non arrivò mai, provocò un notevole ritardo e fece slittare per ben due volte la prima. Il Teatro San Carlo di Napoli all’inizio dell’800 Così, solo in agosto ebbero inizio le prove, anch’esse piuttosto tormentate. Il 23 ottobre una zuffa tra le due prime donne Giuseppina De Begnis (Maria) e Anna Del Sere (Elisabetta), durante il famoso duetto del secondo atto in cui la Stuarda apostrofa Elisabetta “figlia impura di Bolena”, costrinse la Del Sere a ritirarsi e a rimanere per due settimane a letto. Seguirono pesanti battibecchi tra le cantanti e solo per intervento di Donizetti la pace fu ristabilita. Le prove proseguirono, ma l’opera era destinata a non andare in scena per un problema ben più serio. Il 19 luglio il libretto del Bardari, sottoposto al vaglio della censura, non ottenne risposta. Dopo un mese di Il Soprano Maria Malibran silenzio il principe Torella, presidente della società che gestiva i Teatri Reali, nell’incertezza ordinò di procedere alla realizzazione di scene e costumi. Il 4 settembre il censore Francesco Ruffa comunicò al librettista che per evitare una bocciatura avrebbe dovuto approntare notevoli cambiamenti. Bardari e Donizetti si misero immediatamente a lavoro e il 6 settembre si tenne una stupenda prova generale. Tutto sembrava pronto quando il 7 settembre il principe Torella ricevette la notizia che Maria Suarda non aveva passato il vaglio della censura. Una vera e propria catastrofe. In assenza di motivazioni ufficiali circolò un suggestivo aneddoto: la moglie di Ferdinando II, la regina Maria Cristina di Savoia, moglie del re Ferdinando II e che morirà due anni dopo, nell’assistere alla prova generale era svenuta durante la scena della confessione. Il fatto, totalmente privo di fondamento, fu alimentato dalla voce che fosse stata proprio la Regina a porre il veto al testo per la sua discendenza dalla Stuarda. Molto verosimilmente, invece, il divieto giunse direttamente dal re Ferdinando II. Gli studiosi concordano che i soggetti tragici all’epoca venissero considerati poco adatti ai galà o alle celebrazioni reali. Senza dubbio poi la tragedia di Maria Suarda non si adattava all’occasione per cui era stata originariamente concepita, ovvero il compleanno della regina madre Maria Isabella di Spagna, vedova di Francesco I. A ciò deve aggiungersi che questo libretto era in contrasto con l’indirizzo politicoreligioso del Regno di Napoli, poiché appellava una Regina come “vil bastarda”, metteva direttamente sulla scena il sacramento della confessione e si chiudeva con l’esecuzione di una Sovrana. Proibita la Maria Stuarda, si doveva necessariamente trovare una soluzione alternativa. Si decise allora di conservare la musica di Donizetti e di cambiare totalmente il soggetto. La prima scelta cadde su Giovanna Gray, come riporta il giornale napoletano “L’Omnibus” nel numero del 13 settembre, che per la somiglianza con il testo di Stuarda avrebbe consentito di conservare buona parte del libretto del Bardari nonché l’utilizzo degli stessi costumi e delle scene. Il soggetto sembrava perfetto: Lady Jane Gray pur proclamata regina non era mai stata incoronata, né aveva alcuna parentela con i membri della Famiglia Reale napoletana. Anche questa volta, però, la censura fu implacabile e il 18 settembre giunse una nuova bocciatura: si trattava pur sempre di una Regina! Alla fine si optò per un libretto totalmente nuovo, non legato alle vicende della corona inglese. Ambientato nella Firenze medievale il testo era tratto da un fatto storico riportato nelle Istorie fiorentine da Machiavelli. Buondelmonte, approntato in tutta fretta dal siciliano Pietro Salatino, il quale aveva già collaborato con Donizetti nel 1832 per Sancia di Castiglia, narrava dell’amore contrastato di due giovani appartenenti a famiglie rivali, Guelfe e Ghibelline. Un soggetto talmente lontano nel tempo da superare il severo vaglio della censura. Finalmente l’opera andò in scena il 18 ottobre 1834 e fu accolta con favore. Donizetti fu invitato a firmare un altro contratto per tre opere, ma questa volta il previdente compositore pose come clausola che i testi fossero preventivamente approvati dalla censura. Maria Stuarda, invece, andò in scena alla Scala di Milano il 29 dicembre 1835, con Maria Malibran nel ruolo della protagonista, ma anche nella più moderna città scaligera l’opera fu proibita dopo solo sei recite. Claudia Capodagli Il Maria Stuarda Giornale dei Grandi Eventi N 7 L’accentuata drammaturgia di Donizetti Uno scontro di donne nella trama e sulla scena el settembre 1834 al San Carlo si provava Maria Stuarda quando accadde un episodio alquanto curioso. Giuseppina Ronzi che vestiva i panni della Stuarda nell’invettiva contro la regina Elisabetta («Figlia impura di Bolena/ Parli tu di disonore? Meretrice, indegna, oscena/ In te cada il mio rossore./ Profanato è il soglio inglese/ Vil bastarda dal tuo pié») fu talmente convincente che la collega Anna Del Sere, interpretando l’atteggiamento come un insulto personale, si gettò sulla rivale strappandole i capelli. Scoppiò una rissa e la Rozzi, alquanto robusta, ebbe la meglio. Il giorno dopo intervenne la censura per richiedere pesanti tagli al testo (inclusi i versi sopraindicati) e l’opera saltò. Contrasto di passioni L’aneddoto è interessante, al di là del folcloristico litigio fra le due primedonne (non fu né il primo né l’ultimo nella storia della lirica) perché inquadra il tema centrale dell’opera donizettiana: lo scontro fra le due grandi figure femminili. Uno scontro di passioni, più che politico, com’è nello stile del miglior Donizetti. Con geniale abilità il musicista contrappone Elisabetta, Regina d’Inghilterra all’apice del suo potere a Maria Stuarda al momento cruciale della sua sconfitta di donna. Ed il senso dello scontro incombe in tutta l’opera dandole un “colore vocale” particolare. Il primo atto è segnato dalla vocalità drammatica, tagliente di Elisabetta. Il terzo dalla dolcezza espressiva di Maria. Il secondo gioca sulla contrapposizione tra le due antagoniste, con il violento scontro già citato. Drammaturgia accentuata Nel teatro serio italiano, l’apporto principale di Donizetti consiste in una visione più moderna della struttura formale. Proseguendo sulla strada avviata da Rossini, il musicista bergamasco accentuò le ten- Maria Stuarda verso l’esecuzione, in un quadro di J.P. Laslett (1871) sioni interne, creò una maggiore dialettica drammaturgica fra le varie forme chiuse, edificò ampie architetture sceniche collegando elementi differenti grazie ad un unico piano narrativo (si pensi alla straordinaria scena della pazzia in Lucia di Lammermoor). Donizetti seppe sondare con intelligenza i moti dell’animo umano, esasperò le passioni, giocando sui sentimenti estremi (l’amore che degenera in follia, in delirio), costruì opere nelle quali passioni individuali sono al centro di avvenimenti storici o pseudostorici di forte impatto emotivo. In questo senso Donizetti anticipò il grande teatro “politico” di Verdi. Maria Stuarda rientra perfettamente in questo settore. Donizetti partì da una vicenda storica, con figure autentiche, ma si interessò più ai rapporti umani che alla politica, alla ragion di Stato. Rapporti nei quali la musica può giocare un ruolo drammaturgico ed espressivo maggiore. La partitura (si ricordi la data di creazione, 1834: ci si avvicinava a quella Lucia di Lammermoor che rappresenta l’indiscutibile capolavoro donizettiano nell’ambito serio, l’apice della sua maturità drammaturgica e musicale) è ricca di elementi interessanti. Nel primo atto, ad esempio, vale la pena citare il duetto fra Elisabetta e Leicester, interamente costruito fra opposte posizioni: l’ira violenta della Regina e l’atteggiamento dell’uomo tutto a favore di Maria. Contrasti che il compositore rende con indiscutibile abilità creativa in virtù di felici scelte tematiche e soprattutto di “colori” strumentali e vocali appropriati. Il secondo atto propone, in apertura, Maria la cui prima aria è di notevole bellezza e di raffinata dolcezza. Il finale del secondo atto con il terribile scontro fra le due donne costituisce certamente uno dei momenti fondamentali non solo sul piano drammaturgico, ma anche sotto il profilo musicale. E’ una sfida di temperamenti e di scritture vocali. «D’ora in avanti – ha scritto Egidio Saracino nella sua guida all’ascolto di Donizetti (Mursia, Milano, 1984) – la storia del melodramma, fino a Turandot e Liù, verrà alimentata da quanto di terribilmente crudele e nel contempo di immensamente sublime convivono nell’eterno fem-minino». Il terzo atto è dominato da Maria. Si pensi alla sua struggente confessione resa a Talbot, oppure, al finale culminante con la sua esecuzione. Lì Donizetti inserisce anche un “Inno alla morte” dalla orchestrazione cupa, struggente, piena di mistero e di tristezza. «La scena finale di Maria Stuarda – ha scritto William Ashbrook nel suo bello studio su Donizetti (“Donizetti” 2 voll. Edt, Torino 1986/87) – rientra fra le grandi realizzazioni perché Donizetti avvinto dal tragico destino di Maria ne ha saputo esprimere il dramma con una crudezza e una immediatezza bilanciate da momenti di effusione lirica che colpiscono l’ascoltatore con la forza della verità». Proibita dalla censura a Napoli, come si è già ricordato, Maria Stuarda approdò alla Scala il 30 dicembre 1835 per volere del soprano Maria Malibran, la quale si era innamorata del ruolo della Stuarda. Al debutto, tuttavia, la grande cantante si presentò in con- Gaetano Donizetti dizioni fisiche precarie e lo spettacolo ne risentì non poco, irritando il pubblico. La situazione, però, precipiò nelle repliche successive come si evince dalla cronaca fatta dal librettista Pietro Cominazzi anni dopo sul giornale “La Fama”: l’articolista segnalò «…la cavatina di Maria, il gran finale nel quale gli uditori impallidivano e fremevano al terribile “bastarda” gettato in volto ad Elisabetta e la scena finale, tre squarci sublimi, non inferiori alle pagine più elette scaturite dalla vena del grande maestro». E aggiunse: «Volle però sventura che due sere appena quell’opera fosse eseguita alla Scala. Tanta era la superba offesa recata ad orecchie aristocratiche da quel terribile bastarda che parecchie nobili persone si volsero al conte Hartig, governatore di Lombardia, perché facesse sostituire altre parole all’imprecazione: il conte aderì, ma il buon volere ruppe contro lo scoglio dell’artista (la Malibran) la quale recisamente rifiutossi e ripetè la seconda sera l’oltraggio. Allora il Governatore per evitare peggiori mali e certo di non vincere lottando, proibì che si dessero altre rappresentazioni di quell’opera… ». In pratica, come scrisse anche Donizetti in una sua lettera, Maria Stuarda chiuse dopo sei sere contrastate. Roberto Iovino 8 Maria Stuarda Il Giornale dei Grandi Eventi La tormentata esistenza dell'ultima Regina di I Maria Stuarda: una vita tra amori l tragico percorso di Maria Stuart ha origine nella sua ascesa incredibilmente rapida all'ombra dei grandi contrasti tra Riforma e Controriforma, in un tempo in cui si appresta a morire il mondo medievale e si affaccia l'epoca moderna. Ha, infatti, appena sette giorni di vita quando, il 14 dicembre 1542, alla morte del padre Giacomo V, diviene Regina di Scozia. Un regno immiserito dalle guerre, agitato da Lord cupi, selvaggi, che, nelle diatribe religiose tra cattolici o protestanti, sceglievano un versante o l'altro a seconda delle convenienze. In Inghilterra, Enrico VIII Tudor è un pericoloso vicino, che dal 1534, con l’”'Atto di Supremazia”, si è proclamato Capo della Chiesa d'Inghilterra, interrompendo il rapporto di sudditanza politica e religiosa verso la Chiesa di Roma. Quando nel 1547 il re di Francia Enrico II di Valois offre come pretendente alla mano della piccola Maria Regina di Scozia nel 1565 senza di fatto rivendicarla con le armi. Tale atto avventato e infantile, sebbene puramente formale, costituiva il presupposto di una tangibile minaccia per il potere di Elisabetta. Nel 1559, re Enrico II di Francia muore per un incidente in un torneo e Maria diviene Regina di Francia accanto a suo marito Francesco. Un anno dopo viene a mancare lo sposo malaticcio e per diritto d'anzianità Maria cede il trono all'ostile suocera, Caterina de' Medici. Dovrà così rimpatriare, giovane sovrana cattolica in una Scozia dove l'estremismo puritano del fanatico predicatore calvinista John Knox ha già convertito gran parte dei Lord. Francesco II di Francia e sua moglie Maria Stuart Maria suo figlio, il Delfino Francesco, la bimba viene subito spedita alla corte francese che rappresenta, in quegli anni, un felice connubio tra raffinatezza rinascimentale italiana e cultura cavalleresca gallica. In questo fertile humus, la bambina cresce in intelligenza, cultura e bellezza con uno sviluppo insolitamente precoce, tanto che a soli 14 anni sposerà il suo promesso, il debole Francesco, con una grandiosa cerimonia a Parigi. Nel 1558, alla morte di Maria la Cattolica, il trono inglese passa alla sua sorellastra Elisabetta Tudor, nata venticinque anni prima dal matrimonio di Enrico VIII con Anna Bolena, matrimonio non riconosciuto dal Papa. La successione di Elisabetta, che rimise subito in vigore l'Atto di Supremazia del 1534 e le riforme filo-protestanti del breve regno di Edoardo VI primogenito di Enrico VIII e predecessore di Maria la Cattolica, poteva così essere dichiarata illegittima dalle forze fedeli alla Chiesa di Roma, che avrebbero potuto rivendicare il trono per sua cugina, la sedicenne cattolica Maria Stuart, la quale, per mera vanità araldica, aveva aggiunto al proprio blasone la corona d'Inghilterra, Primi scandali Con l'aiuto del fratellastro Moray, la Stuart riesce comunque ad assestarsi sul trono di Edimburgo, intorno al quale raccoglie uno stuolo di artisti e letterati. Tra questi un tale Chastelard, si spinge ad imbarazzanti profferte amorose verso la Sovrana, facendo scoppiare il primo scandalo. Chastelard viene subito impiccato, e, dopo l'imbarazzante episodio, si aprono trattative internazionali per un nuovo, opportuno, matrimonio regale. Elisabetta I pone il veto sui pretendenti cattolici. Maria dichiara di accettare un marito gradito alla cugina, ma solo in cambio del diritto di succederle. Con grave smacco di Elisabetta, che aveva addirittura proposto il suo examante, Lord Leicester, Maria Stuart sceglie, nel 1565, Lord Henry Darnley, un grazioso ragazzo discendente dei Tudor. Inaspettatamente, il novello Rex Hiscotiae, comincia ad abusare del suo ruolo, prendendosi tali libertà da essere presto emarginato a Corte. Mentre degenerano così i rapporti tra i freschi sposi, è in vertiginosa ascesa nelle grazie di Maria un musico italiano, Davide Rizzio, che diventa in breve il confidente - forse l'amante - della Regina. Insieme ad alcuni Lord, il geloso Darnley, partecipa all'efferato assassinio di Rizzio, sotto gli occhi atterriti della moglie. Sconvolta, Maria saprà tuttavia ben dissimulare la sua rabbia, per rinsaldare la vacillante sovranità. Tragedia di una passione Allontanato Darnley, la Stuart si accende di sfrenata passione per un nuovo consigliere, il conte James di Bothwell: un guerriero amorale e violento, non privo tuttavia di una certa cultura. Bothwell sogna per sé la corona di Scozia: coinvolge diversi Lord e con Maria, di cui appena ricambia i sentimenti, studia freddamente l'eliminazione dell'ingombrante Darnley, che giace ammalato nel castello paterno di Glasgow. Maria, plagiata dall'amante, blandisce l'ingenuo marito e lo riporta a Edimburgo, dove - secon- I Genitori di Maria Stuarda: Giacomo V di S Il Maria Stuarda Giornale dei Grandi Eventi 9 Scozia e cospirazioni do il piano di Bothwell finirà dilaniato nell'esplosione del suo ostello. Compiuto il misfatto, la Regina, esausta, cade in uno stato di catatonica passività che le attira i sospetti generali. Darnley viene sepolto in fretta e si cerca d'imporre ovunque una cappa d'omertà. Le corti d'Europa, sebbene abituate all'assassinio politico, mal digeriscono simili spudoratezze. Elisabetta, memore di un'analoga esperienza, metterà la cugina inutilmente in guardia. Nel Marzo 1567 i due amanti, scandalosamente, si sposano, trattando il consenso con le autorità ecclesiastiche. I religiosi Protestanti pretendono, però, anche il rito Riformato. Le nubi si addensano sul capo dei regicidi, che si trasferiscono nel munito castello di Borthwick, assalito, pochi mesi dopo, dai Lords insorti. I due sposi reali fuggono. Bothwell raccoglie un esercito di mercenari e affronta i Lords, riuniti sotto lo stendardo bianco in cui campeggia l’immagine del cadavere di Darn- Scozia e Maria di Guisa ley e di suo figlio che grida vendetta. A Carberry Hill si viene a un accordo: l'esilio per Bothwell (morirà suicida, anni dopo, in un carcere danese) e il ritorno della Regina ad Edimburgo, che avverrà tra le minacciose grida del popolo: «burn the whore», «al rogo la puttana». Indomabile, Maria viene rinchiusa nel castello di Lochleven. Una volta scoperto il forziere di Bothwell, contenente le prove del regicidio, il 15 giugno 1567 Maria cede alle richieste dei Lords che comportano la sua abdicazione in favore del figlio di Darnley (il futuro Giacomo VI) con la reggenza del fratellastro Moray. In Scozia ha vinto la Riforma. Sedotto il giovane lord Douglas, Maria evade rocambolescamente da Lochleven, riparando presso la potente famiglia degli Hamilton, ad uno dei quali promette la sua mano. Con 6000 uomini affronta il reggente Moray, presso Langside, ma viene sbaragliata. Monta a cavallo e fugge, da sola, galoppando all'impazzata per boschi e campi per tre giorni, fino a Dundrennan, l'estremità del suo regno. La sua unica possibilità è rifugiarsi presso la corte inglese. La Francia e la Spagna, non le perdonerebbero gli scandali e il matrimonio eretico con Bothwell. Le ultime illusioni si spezzano Giunta in Inghilterra nel 1568, Maria non viene ri- L’esecuzione di Maria Stuarda cevuta a Corte, ma ospitata nel castello di Bolton. Elisabetta I, (consigliata dal cinico primo ministro William Cecil), le propone, dapprima con tatto, di sottoporsi ad un'inchiesta per fugare ogni ombra d'infamia. Sottoposta a pressioni psicologiche, Maria è costretta ad accettare l'illecito processo, che sgretola la sua immagine morale. |«Insufficienza di prove», l'ambiguo verdetto che consentirà alla Tudor di tenere la cugina in una prigionia dorata dal 1569 al 1587, in vari castelli. La Stuart diviene così un simbolo antiprotestante per tutte le forze cattoliche europee che cospirano attivamente contro Elisabetta: i suoi tentativi giungono a lambire la corte inglese, compromettendo Leicester, Norfolk e Northumberland, ma vengono tempestivamente stroncati da Cecil e da Francis Walsingham, ministro della polizia. Nel 1585, il vaso è colmo. Per i ministri inglesi «the matter must come to an end», «è ora di chiudere la faccenda». Il ministro Walsingham organizza così una diabolica, fittizia congiura: al cospiratore cattolico Babington, affianca dei falsi congiurati che sovrappongono, all'evasione di Maria, il progetto di un attentato ad Elisabetta. Walsingham giunge allo scopo quando riesce a impadronirsi di una lettera in cui la Stuart, dopo mille esitazioni, dà il proprio consent ai congiurati per l'attentato. La condanna a morte è pronta, ma Elisabetta, temendo d'esporsi, esita a firmarla: i dieci membri del Consiglio di Stato colgono i sottintesi e, di comune responsabilità, mandano il boia al castello di Fotheringay, dove Maria si prepara con regale dignità alla decapitazione. La mattina dell'8 febbraio 1587, la Regina di F Scozia sale sul patibolo, allestito nella corte del castello. Guarda il crocifisso e pronuncia le parole:«Come le tue braccia, Gesù Cristo, sono aperte su questa croce, così accoglimi misericordioso e perdona tutti i miei peccati. Amen». Saranno necessari tre colpi d'ascia per separarle la testa dal busto. Elisabetta si dissocerà con forza dall'«abuso» dei suoi ministri e offrirà la successione al figlio di Maria, Giacomo VI, che dopo15 anni erediterà, unificandole per sempre, le corone d'Inghilterra e di Scozia. Andrea Cionci Maria Stuarda, Regina di Scozia iglia di Re Giacomo V e della Regina Maria di Scozia. Nata il 7 dicembre 1542 nel Linlithogow Palace in Scozia. Il 14 dicembre 1542 diviene Regina di Scozia alla morte del padre. Incoronata Regina di Scozia il 9 settembre 1543 al Castello di Stirling - Sposata il 24 aprile 1558 nella cattedrale di Notre Dame a Parigi con Francesco di Valois, divenuto poi Re di Francia con il nome di Francesco II. - Sposata il 29 luglio 1565 presso Holyrood Palace di Edimburgo con Enrico Stuart, Lord Darnley da cui ebbe un figlio James Stuart, nato il 19 giugno 1566 divenuto poi Giacomo VI, Re di Scozia e Giacomo I, Re di Inghilterra. - Sposata il 15 maggio 1567 presso Holyrood Palace di Edimburgo con James Hepburn, 4° Conte Bothwell, da cui ebbe due figli gemelli nati e morti nel luglio 1568. Cedette il trono in favore di suo fratello al Carberry Hill il 15 giugno 1567. Fu decapitata l’8 febbraio 1587 al Fotheringay Castle di Northampton. La sua salma fu traslata nella Abbazia di Westminster a Londra nel 1612. 10 «L Maria Stuarda Il Giornale dei Grandi Eventi Una dinastia sfortunata: gli Stuart Sangue e miseria nella Scozia del XVI secolo a corona ci è venuta da una donna e con una donna finirà», queste furono le ultime, profetiche parole di Giacomo V, re di Scozia e padre di Maria Stuart, pronunciate sul suo letto di morte, nel dicembre 1542. Una dinastia, quella degli Stuart, decisamente sfortunata: due re, Giacomo I e Giacomo III, furono assassinati, Giacomo II e Giacomo IV morirono sul campo di battaglia, Carlo I e Maria Stuarda finiranno sul patibolo. Gli Stuart dovettero lottare continuamente per mantenersi in precario equilibrio sul trono, sia contro i nemici esterni che contro quelli interni. In una lettera di Giacomo V alla sua futura sposa, Maria di Guisa, così egli scriveva: «Madame, ho appena ventisette anni e già la vita mi opprime con la mia corona. Orfano fin da bambino, sono stato prigioniero di nobili ambiziosi; Archibald, conte di Angus, suo fratello Gorge e tutti i suoi parenti in esilio continuano L Maria Stuarda con l’infante James ad aizzare il re d'Inghilterra contro di noi. Non c'è un solo membro della mia nobiltà che egli non abbia circuito con le sue promesse o comprato coi soldi. Non c'è nessuna volontà di sicurezza per la mia persona, né garanzia per la mia volontà e per le leggi di giustizia. Tutto questo mi fa paura Madame, e io attendo da voi forza e consigli.[…] I miei Baroni considerano veramente insopportabile un re che voglia fare veramente il re». Un paese inquieto, quello che risulta dalle stesse sincere parole di Giacomo V; una terra dominata da una stirpe di cava- lieri forte e selvaggia, arrogante e inflessibile che aveva come unico passatempo la guerra e la prevaricazione. Rinchiusi nei loro castelli-fortezza, questi feudatari ne fuoriuscivano solamente per sanguinose scorrerie ai danni dei vicini, con i quali riuscivano a mettersi d'accordo solamente quando si trattava di umiliare il comune sovrano, il Re, verso cui obbedienza e lealtà erano concetti del tutto sconosciuti. Non appena un sovrano aveva l'intenzione di regnare sul serio e introdurre ordine e disciplina, i Baroni, puntualmente, si rivoltavano in armi oppure lo facevano assassinare dal pugnale di un sicario. Il gregge come ricchezza feudale In una terra così governata, la povertà è quindi la condizione di vita ordinaria per il popolo: le guerre depauperano continuamente le città di ogni energia, che a causa dei frequenti incendi e saccheggi non possono mai raggiungere una solidità urbana e un benessere borghese. La gente vive miseramente, di caccia, di pesca e di pastorizia, come nei tempi patriarcali. L'apparato legislativo è almeno un secolo indietro rispetto alle conquiste della vicina Inghilterra: mentre nelle città costiere d'Europa proliferano le banche e le borse, nella Scozia del '500, la ricchezza è ancora misurata in base agli ettari di pascoli e al numero delle pecore. Lo stesso re Giacomo V, fonda tutto il suo patrimonio su diecimila pecore. Non ha un tesoro della Corona, non possiede un esercito, né una guardia del corpo a garanzia della propria incolumità e del suo potere: non sarebbe in grado di pagarla ed il parlamento, in cui sono i Baroni, i Lords a decidere, non approverà mai una legge che renda La congiura di Babington L’inganno che uccise Maria Stuarda a congiura di Babington che travolge Maria Stuarda ricorda sotto molti aspetti una pagina di Shakespeare: macchinazioni, missive segrete, intuizioni, violenze degne di un palcoscenico. Cecil e Walsingham, ministri di Elisabetta, preparano una trappola perfetta. Il loro piano mira a poter giustiziare legalmente l’ormai scomoda Regina cattolica. Il parlamento inglese vara nel 1584 un «atto per la sicurezza della regale persona della Regina» che, nell’eventualità di una congiura, avrebbe portato alla condanna a morte di chiunque vi avesse partecipato, anche solo nell’ideazione. Era dunque necessario permettere alla Stuarda, al Re strumenti di potere effettivo. I cattolici re di Scozia vivono grazie a una parte delle modeste rendite del clero e grazie a prestiti da parte della Francia o del Papato. Questa eterna miseria rende la Scozia continuamente oggetto di palleggiamenti da una potenza straniera all'altra: chi combatte contro il Re e per il protestantesimo viene pagato da Londra, chi combatte per gli Stuart e il cattolicesimo, viene pagato da Parigi, Madrid e Roma. Tutti pagano volentieri per il sangue scozzese e soprattutto la Francia cerca di rafforzare militarmente la Scozia ai danni dell'Inghilterra, che naturalmente reagisce di conseguenza. E' questo il mondo duro e brutale in cui la piccola Maria Stuarda, il 7 dicembre 1542, inizia la sua avventura umana legando indissolubilmente il proprio destino a quello della sua Patria. Andrea Cionci di recente soggetta ad un regime carcerario che le impediva di ricevere o scrivere lettere, di poter nuovamente cospirare per la propria liberazione. Detto fatto, la prigioniera trasferita nel castello di Chartley, ricevette dopo mesi di isolamento una lettera cifrata da Parigi. È il suo agente: Morgan che annoverava ignaro, tra i fedelissimi di cui si serve, spie di Walsingham! Geniale il sistema per permette alle lettere di entrare e uscire dal castello-prigione: queste arrivavano nascoste nelle botti di birra che settimanalmente erano consegnate a Chartley e i cui vuoti venivano poi puntualmente restituiti con le risposte! Sono i suoi carcerieri a inven- tarlo. Walsingham, capo della polizia, leggeva così in tempo reale la corrispondenza e attendeva pazientemente che la Stuarda si sbilanciasse al punto di appoggiare un disegno omicida. Perché ciò avvenisse c’era bisogno di qualcuno di cui la prigioniera si fidasse. Non per caso nei pressi del castello di Chartley viveva un giovane nobile, idealista e cattolico, da sempre sostenitore della regina scozzese: Antony Babington. Il giovane è audace, cerca fra i suoi amici qualcuno che lo aiuti a liberare la Stuarda. Crea così un piccolo gruppo di avventurosi romantici tra i quali si insinuarono spie di Walsingham che dovevano convincere Ba- bington e gli altri ad un’impresa ancora più grande: uccidere la protestante Elisabetta! In maggio alle spie fu assegnata un’altra missione: convincere i confidenti di Maria Stuarda per una pressione sulla scozzese affinchè con poche righe scritte esorti La Regina Maria di Scozia i congiurati all’are alla Stuarda i dettagli zione, all’assassinio di della congiura che egli, Elisabetta. Walsingham poco saggio, mise nero doveva procurarsi la su bianco. Maria Stuarda prova tangibile del coinsi trattenne davanti al covolgimento della Cattoliraggio espresso nella letca. Per questa via però il tera e rispose impudenministro non ottenne temente tradendo la pronulla di sufficientemente pria adesione. E’ la prova esplicito e dunque cercò sufficiente per portarla al un alternativa. Lo stesso patibolo. Babington venne spinto dagli infiltrati a confidaMaria Elena Latini Il Maria Stuarda Giornale dei Grandi Eventi 11 La rivale Regina d’Inghilterra L Elisabetta I, inedito modello di sovranità a regina Elisabetta I d’Inghilterra (1533 – 1603) reinventò radicalmente il ruolo del sovrano di sesso femminile, in una ineguagliata dimostrazione di emancipazione, circa quattrocento anni prima della liberazione della donna. L’eccezionalità della sua storia emerge già a partire dalla complessa vicenda che la portò al potere. Suo padre, Enrico VIII (1509-1547), è rimasto celebre per la sua ossessione di procreare un erede maschio e per la sua crudeltà verso le donne che fallirono in questo loro compito. La sua perseveranza diede, però, alla fine i suoi frutti: nel ventinovesimo anno del suo regno, la terza moglie Jane Seymour morì dando ad Enrico l’unico figlio legittimo, il futuro Edoardo VI. Ironia della sorte, Edoardo morì dopo essere stato sul trono per soli sei anni. Così, undici anni dopo la morte di Enrico, la corona d’Inghilterra non solo passò ad una donna, ma a tre di fila (prima a Lady Jane Grey, poi a Maria Tudor ed infine ad Elisabetta). Una Regina con un carattere da Re Nell’Inghilterra del XVI secolo avere un erede maschio era un imperativo imposto dalla cultura più che dalla legge. Legge che non vietava espressamente il potere Sovrano fosse esercitato da una donna. Tale imperativo era sostenuto dai potenti Protestanti che caldeggiavano la Riforma anglicana, per i quali, come scrive la storica inglese Anne McLaren, un Sovrano donna era una prospettiva improponibile. Consideravano le donne inferiori sia razionalmente che spiritualmente; ed una Regina non avrebbe mai potuto rappresentare la guida di ascendenza di- Elisabetta I vina che essi vedevano nel loro sovrano, una guida capace di agire come un baluardo contro il Papa. Tuttavia, ad un certo momento gli aspetti religiosi della successione diventarono più urgenti dei pregiudizi nei confronti del sesso femminile. Nel 1558 i Protestanti finirono col supportare l’ascesa al trono di Elisabetta, anche se invece di nominarla “Capo Supremo” della Chiesa Protestante, come suo padre era stato prima di lei, la chiamarono “Supremo Governatore”. Il secondo elemento assai curioso della storia di Elisabetta è la questione del suo mancato matrimonio e della sua perseveranza nel rimanere nubile (tanto da passare alla storia come “Vergin Queen”, la “Regina Vergine”). Per anni, l’élite Protestante cercò di persuadere Elisabetta a sposarsi. Ovviamente, se lei si fosse unita in matrimonio ancora giovane, avrebbe potuto ragionevolmente dare alla luce un erede maschio, ma anche qualora questo non fosse accaduto, un marito avrebbe tratto i suoi sostenitori fuori dall’imbarazzo, a condizione che egli fosse un “buon” Protestante. Dalle donne che erano succedute al trono per proprio diritto dinastico, ci si aspettava che gover- nassero unitamente ai loro mariti, con un ruolo subordinato. Ma Elisabetta I ruppe con la tradizione. «Si propose di governare come suo padre», scrive McLaren, «ed era ben attrezzata per questo ruolo. Era finemente educata sotto ogni punto di vista: aveva grandi conoscenze nel campo della politica estera e conosceva sei diverse lingue. Aveva molta esperienza dell’ambiente in cui operava, e comprese quali erano le questioni importanti per «P i suoi sostenitori. Inoltre aveva una personalità forte, e uno straordinario controllo emotivo. Soprattutto, capì che mettendo al mondo o nominando un erede maschio, o anche sposandosi, si sarebbe esposta ad una possibile usurpazione del trono o ad essere messa in secondo piano. Era abbastanza brillante per fare qualcosa in modo meccanico, senza coinvolgimento personale, ma rimase incrollabilmente “single”». L'immagine di Elisabetta si avvale, quindi, di due direttrici di percorso, connesse tra loro: la sublimazione della femminilità e l'acquisizione di qualità maschili. Rinunciando al matrimonio e alla maternità, Elisabetta finì infatti per esercitare un potere che nella sua realtà storica era maschile. A ben vedere, queste due possibilità di autorappresentazione di Elisabetta finiscono per essere ricomprese nell’ambito di una terza immagine della Regina. Più volte infatti Elisabetta giustificò il rifiuto del matrimonio dichiarando di essere già impegnata in un vincolo matrimoniale di ben più alto valore, non fisico e materiale, ma politico e spirituale. La Regina si presentava quindi come simbolo della Monarchia e del popolo inglese, incarnazione asessuata, né femminile né maschile, rappresentazione simbolica dello Stato, asessuata e immortale. Diana Sirianni «Le lettere dello scrigno» La sfrenata passione di Maria Stuarda nelle sue poesie our luy depuis j'ai mesprise l'honnoeur/ Ce qui nous peust seul pourvoir de bonheur». Sono i primi due versi di una delle poesie d'amore dedicate da Maria Stuarda al suo amante, James di Bothwell. Ritenute unanimemente autentiche, queste poesie fanno parte della raccolta di documenti nota come le Lettere dello scrigno, che conservate da Bothwell in uno scrigno d'argento regalatogli da Maria, (che a propria volta aveva ricevuto in dono dal suo primo marito, Francesco II di Francia), furono ritrovate nel castello di Edimburgo dopo la battaglia di Carberry Hill, in cui i baroni sconfissero la coppia regicida e costrinsero all'esilio il conte di Bothwell. Tali documenti costituirono le prove più importanti della connivenza della Regina nell'omicidio del suo secondo marito, Lord Darnley. Sono stati così tramandati i testi delle lettere di Maria, da Glasgow, in cui le Regina si rodeva dal rimorso nel vedere come Darnley cadesse ingenuamente nel tranello delle sue blandizie, inconsapevole delle trame che si stavano tessendo sul suo capo. Infatti, non appena Darnley fu convinto dalla Stuart a ritornare a Edimburgo, secondo il piano di Bothwell, la sua casa fu fatta saltare in aria. Ma, accanto a queste lettere gonfie di rimorso e di tormento, nello scrigno vi erano anche le eleganti e raffinate poesie, scritte in francese, che testimoniano l'ardente passione della Regina per il suo amante: una passione così assoluta da trascinare Maria Stuarda verso la china del delitto. Riportiamo la traduzione italiana di uno di questi sonetti: «Da allora per lui ho in sprezzo l'onore, /la sola cosa che ci dia felicità. Per lui metto a repentaglio grandezza e coscienza, /per lui ho lasciato parenti e amici,/ ogni altro riguardo è tralasciato. Per lui stimo un nulla tutti gli amici,/ e auguro bene ai nemici. Per lui ho messo a repentaglio nome e coscienza,/ per lui voglio rinunciare al mondo,/ voglio morire perché lui cammini. Per lui voglio cercare la grandezza,/ e tanto farò finché riconoscerà veramente che l'unico mio bene, / l'unica mia soddisfazione è di ubbidirlo e servirlo lealmente. Per lui mi attendo ogni buona sorte, / per lui voglio mantenermi sana e viva, / per lui voglio seguire ogni virtù, / e sempre così immutata mi troverà». A. C. Jack Kerouac C ROM A . U N G R A N D E V I A G G I O. Scopri il suo spazio interno, il più grande della categoria, affidati alla sua sicurezza certificata 5 stelle EuroNCAP, ascolta i motori Multijet da 200, 150 e 120 CV tutti con filtro AntiParticolato. www.fiat.it Perché con Croma non è importante solo dove vai, ma come ci arrivi. Tratto da Sulla strada di Jack Kerouac, Arnoldo Mondadori Editore Consumi: da 6,1 a 9,7 l/100 km (ciclo combinato). Emissioni: CO2 da 160 a 229 g/km. DOBBIAMO A N D A R E E NON FERMARCI F I N C H É N O N S I A M O A R R I VA T I . DOVE ANDIAMO? NON LO SO, MA DOBBIAMO A N D A R E . Il Maria Stuarda Giornale dei Grandi Eventi C’ 13 L’integrazione tra scozzesi ed inglesi Vizi e virtù di due popoli in contrasto da secoli è voluto, quattrocento anni dopo, il regno di una seconda Elisabetta per ricucire infine, se non - cosa impossibile - la testa della povera Maria Stuarda sulle sue spalle, almeno le altre ferite inferte dalla prima Grande Elisabetta al rapporto con gli Scozzesi. E’ gurare la rinata Assemblea Legislativa del vecchio regno dei Pitti. E’ la festa della devolution, la vastissima autonomia - anche fiscale - concessa da Blair nel 2001. Tutti s’aspettavano un’esplosione di nazionalismo, e invece a parte tre fischi e qualche streakers - sapete ,quei matti che si denudano La corona reale di Scozia del 1540 con lei infatti, la temibile Regina Vergine ( ? ), che comincia com’è noto - il processo politico che condurrà la Scozia a perdere la sua sovranità e la sua indipendenza, cancellate prima dall’unione personale delle due Corone nella dinastia degli Stuart, e infine a inizio Settecento, dall’Atto di Unione che sopprimeva il Parlamento di Edimburgo. Ed invece, trecento anni dopo, ecco lì la discendente - con sangue al 98 per cento tedesco - sia di Elisabetta che di Maria Stuarda, percorrere in carrozza il Royal Mile della capitale scozzese per andare a inau- fulmineamente per protesta - Sua Maestà la Regina delle Isole Britanniche viene ricevuta a Holyrood con la stessa deferenza e cordialità che le riserva Westminster. Gli scozzesi, insomma, hanno imparato la lezione. E soprattutto, hanno scoperto il petrolio. Cioè sono diventati ricchi. Ironie della storia. E della geografia. Per secoli gli ex sudditi di Maria Stuarda hanno fatto la figura dei parenti poveri e cafoni di quegli snob di angli del sud dell’isola. Quando poi nella verde Inghilterra sono sbarcati i Normanni, agli occhi di questi vichinghi francesizza- ti le tribù del Nord apparivano appena leggermente più evolute delle greggi di pecore a cui badavano: ricordate come i raffinati e crudeli cavalieri normanni trattavano William Wallace, alias Mel Gibson, e i suoi “barbari” seguaci ? Beh, adesso il petrolio del Mare del Nord ha rovesciato la storia, e i cinque milioni di scozzesi, dieci volte meno numerosi dei vicini inglesi, si godono alla grande l’improvvisa ricchezza. Leggi e tasse se le fanno su misura, senza dover chiedere più il permesso ai boriosi MP, Membri del Parlamento di Westminster. La faccenda è andata tanto avanti che ora sono gli inglesi a lamentarsi di non avere una patria tutta loro, un parlamento tutto loro, e anche un Santo di esclusiva proprietà. La celebrazione di San Giorgio, da sempre protettore dell’Inghilterra, è infatti caduta in disuso sotto l’accusa di non essere “politically correct”: troppe le razze e le tribù dell’odierna Gran Bretagna per permettere il monopolio della protezione a un cavaliere di dubbia appartenenza alla martirologia cristiana. Non è giusto, protestano adesso i nazionalisti inglesi. Il Santo che uccide il drago rappresenta la nostra tradizione e la sua data sul calendario deve tornare a essere celebrata. Non basta. Perché la Scozia deve avere un Parlamento tutto suo, e l’Inghilterra invece quello di Westminster, che legifera per l’intera Gran Bretagna? Obiezione giusta in linea di principio ma non abbastanza da convincere quei pragmatici degli in- terruttori elettrici, nel reale castello di Windsor, un cartellino ingiunge allo staff di non scordare di spegnere la luce, uscendo dalle stanze. E fodere e tappezzerie, nei saloni della reggia di Buckingham, non si cambiano quando logore: si rammendano. Gli scozzesi al contrario sono veri spendac- glesi a raddoppiare le funzioni. Quando i conservatori hanno proposto un’altra Camera dei deputati, perfino gli inglesi più sciovinisti hanno detto no. Va bene esaltare le tradizioni, ma solo se gratis. Sempre diffidenti verso le intrusioni dello Stato, i sudditi meridionali di Elisabetta detestano buttar via le sterline. Non ho mai capito perché la fama di tirchi si sia attaccata agli scozzesi invece che ai cugini inglesi. Perfino la Regina, com’ è noto, guarda al penny. Vicino agli in- cioni. Si rovinano per gli amici. Soprattutto al bar. Chi ama i thriller edimburghesi di Ian Rankin sa bene che l’ispettore Rebus non si fa mancare niente, quanto a gradazione alcolica. Benché piazzati a Nord, gli scozzesi sono tipica gente del sud: affabile e chiacchierona, suscettibile e un po’ sbruffona, ospitale e generosa. Senza badare al borsellino. Purché l’ospite, si capisce, non sia un inglese. Antonio Caprarica Corrispondente Rai da Londra e Parigi 14 Maria Stuarda Il N Giuseppe Bardari, Pietro Salatino e Calisto Bassi ell’arco della produzione donizettiana, il rapporto con i librettisti fu in continua evoluzione, fino al raggiungimento di una forma caratteristica di melodramma. Tuttavia, ai margini di questo tipo di rapporto, si collocarono alcune personalità che incisero scarsamente in questo processo evolutivo musicale. A tal proposito, si può ripercorrere la storia del libretto che diede vita all’opera lirica “Maria Stuarda”, tratta dalla tragedia di Friedrich Shiller. Il libretto dell’opera venne affidato allo sconosciuto esordiente, il calabrese Giuseppe Bardari (1817?-1861), il quale, seppur sedicenne, aveva già rivelato buone qualità di poeta. Sarà questa l’unica esperienza librettistica per il Bardari, il quale intraprenderà poi la professione di avvocato e in seguito verrà nominato giudice istruttore a Vibo Valenzia. Indaga- to per la sua condotta durante i moti del ’48, fu successivamente sollevato dall’incarico, divenendo all’epoca dell’ingresso di Garibaldi a Napoli, prefetto di polizia della città partenopea. Considerando la sua inesperienza, dunque, il Donizetti decise di affiancare il Bardari nella stesura del libretto, che suscitò subito pesanti interventi della censura, tanto che la Maria Stuarda venne cancellata dal cartellone del S.Carlo il 6 luglio 1834. La necessaria conseguente revisione del libretto fu affidata a Pietro Salatino (di nascita siciliana e giovane studente di diritto a Napoli) che modificò, fra le altre cose, il titolo in Buondelmonte (dalle Istorie fiorentine del Machiavelli). Prima che l’opera andasse in scena (il 18 ottobre 1834), Donizetti scrisse all’amico Ferretti: «Stuarda fu proibita, il cielo sa perché! Basta tacer si dè, che il Re lo impose!... che fa maestro, aiuto…gri- L La vera “prima” alla Scala il 30 dicembre 1835 Giornale dei Grandi Eventi Vicissitudini di un libretto perseguitato dava allor l’impresa…e quel baron fottuto rispose: ci vuol spesa. Se mille e quattrocento ducati dar dovete, seicento ne aggiungete, che aita a voi darò. Ciò fatto in pochi detti, vien fuori Buondelmonte e mastro Donizetti, straccia e poi rifà…Duetto e cori nuovi, di già son impastati…». D’altra parte, Salatino si rivolse, (con una lettera) ai lettori, lamentando il poco tempo (soli cinque giorni) imposto per portare a compimento la revisione del libretto: «…ben pochi giorni mi vennero concessi per mandare a fine un’opra, che ben altro tempo richieda per giungere a vantare alquanta mediocrità. Queste circostanze…impegneranno la tua bontà a compatire la imperfezione, che troverai nel mio lavoro…». L’opera, così modificata, non ottenne che un successo di favore e non andò oltre le sei rappresentazioni. Quasi certamente i consensi che ne derivarono andarono alla partitura di Donizetti, grazie alle straordinarie prestazioni sonore del soprano Giuseppina Ronzi e del mezzosoprano Anna Delserre, cantanti che, con i loro pettegolezzi, misero a dura prova la pazienza del musicista proprio nei giorni più difficili della “Maria Stuarda”. Donizetti scrisse in proposito al Ferretti: «Non so se sai che la Ronzi sparlando di me e credendomi lunge, diceva: “Donizetti protegge quella puttana della Delserre”, ed io risposi inaspettato: “Io non proteggo alcuna di voi, ma puttane erano quelle due (regine n.d.a.) e due puttane siete voi…” si persuase, o s’avvilì o s’acquietò… non più parlò, si seguitò, ella cantò, poi non s’andò». Il 30 dicembre 1835 Maria Stuarda tornò di nuovo al Teatro alla Scala con il suo vero titolo, dopo un’ulteriore revisione del libretto ad opera di Calisto Bassi (1800-1860). Il Bassi, figlio d’arte (il padre era un noto buffo napoleta- no) e grande appassionato di teatro, visse lungamente a Milano, dove fu poeta e direttore di scena del Teatro alla Scala. I suoi libretti lo mostrano esperto nell’elaborare storie secondo i modi comuni per l’epoca: dunque, un personaggio idoneo ad elaborare un simile riadattamento. In particolare, il suo intervento si limitò a rivedere la “poesia” in modo da non compromettere la partitura. Tuttavia, anche nel Lombardo-Veneto, dopo sei recite, la polizia intervenne per far togliere dal cartellone l’opera. Così Donizetti comunicò a Bardari la notizia: «La Stuarda dopo sei sere a Milano fu proibita, e nel momento più felice…». Detronizzati i Borboni e cessati conseguentemente gli interventi censori a Napoli, l’opera potè felicemente essere rappresentata al S.Carlo a partire dal 22 aprile 1865. Claudia Fagnano La Regina di Scozia approda a Milano a severa censura napoletana e la successiva trasformazione in Buondelmonte, avevano impedito a Maria Stuarda di raggiungere il palcoscenico. L’epiteto “vil bastarda” - che un misero riscatto sarebbe potuto essere per la sventurata Regina di Scozia nei confronti della rivale Elisabetta - aveva scandalizzato la censura. Se è vero che la storia di questa cattolicissima regina di Scozia è tutta tinta di rosa, per uno strano gioco del destino fu ancora la volontà di una donna a quasi tre secoli di distanza a decidere delle sorti, in questo caso teatrali, di Maria Stuarda. La donna in questione era il famoso mezzosoprano Maria Malibran. La cantante si era interessata all’opera all’indomani del divieto napoletano. Scritturata per la stagione di carnevale 1835-36 alla Scala di Milano, propose l’opera donizettiana a quel teatro. «Mi sono recata a Westminster Abbey per copiare il costu- Teatro alla Scala all’inizio dell’800 me di Maria e di apportò alcuni cambiaElisabetta», ebbe a dire in menti allo spartito e una celeberrima lettera compose anche una nuodell’agosto 1835 conserva Sinfonia d’apertura, vata presso il Museo teamentre Calisto Bassi trale della Scala. La direoperò alcune modifiche zione accettò immediatadel libretto. Il ruolo di mente e il 9 novembre il Elisabetta, inizialmente libretto, sottoposto alla affidato a Sofia dell’Ocacensura milanese, ottenSchoberlechner, passò ne un’approvazione poi a Giacinta Toso-Puzprovvisoria. Donizetti zi. L’opera andò in scena il 29 dicembre 1835, nel cast oltre alla Malibran e alla Puzzi-Toso, anche Domenico Reina nei panni di Leicester, Ignazio Marini in quelli di Talbot e Pietro Novelli in quelli di Cecil. L’opera fu accolta freddamente per le pessime condizioni vocali delle due prime donne e in tutta la compagnia solo Reina ottenne il consenso della critica. Il 12 gennaio 1836 dopo solo sei repliche la censura milanese revocò il permesso provvisorio e l’o- pera fu tolta dal cartellone. La ragione del nuovo veto è da ricollegarsi al secco rifiuto della Malibran di apportare le modifiche all’invettiva di Maria a Elisabetta. Purtroppo il secondo divieto condizionò pesantemente la diffusione della Maria Stuarda nei teatri dell’epoca: Napoli poté riascoltarla solo dopo il 1865, Milano addirittura nel 1971 e a Roma l’opera non fu mai rappresentata in tutto l’Ottocento. Tra le produzioni di un certo rilievo, meritano di essere ricordate quella di Bergamo il 12 ottobre 1958 e quella del 1967, in piena “Donizetti-renaissance”, al Maggio Musicale Fiorentino con Leyla Gencer e Shirley Verret come protagonisti. Cla. Cap. Il Cultura Giornale dei Grandi Eventi 15 Dal 22 al 26 aprile a Santa Cecilia S Il Belcanto di Edita Gruberova, tra Mozart e Strauss erate da non perdere, per gli appassionati del Belcanto, quelle in programma sabato 22, lunedì 24 e mercoledì 26 aprile, nella Stagione Sinfonica del- Edita Gruberova l'Accademia di Santa Cecilia: torna il soprano Edita Gruberova, in un programma dedicato a Mozart e a Strauss. Sul podio dell'orchestra dell'Accademia Vladimir Jurowski, il giovane e l ormai affermatissimo, direttore russo che proprio a Santa Cecilia ha mostrato negli anni scorsi le sue straordinarie qualità. Il programma è di quelli che solo un'artista come la Gruberova è in grado di offrire. Tra le pochissime cantanti al mondo dotata di un’estensione vocale che le permette di raggiungere con (apparente) facilità il fa sovracuto, la Gruberova è anche straordinaria interprete di un repertorio lirico che spazia da Mozart a Strauss, da Bellini a Hans Werner Henze e sfodererà in sequenza i suoi tre cavalli di battaglia, che le hanno garantito ovunque successi trionfali. La cullante aria mozartiana da concerto “Vorrei spiegarvi o Dio” K 418 (brano che Burt Lancaster fa ascoltare ad Helmut Ber- Il lunedì alle ore 17 nel foyer Indagando l’armonia al Teatro dell’Opera l Teatro dell’Opera di Roma allarga il suo spazio di riferimento culturale e sottolinea il proprio ruolo di centro di approfondimento nella Capitale, ospitando fino a maggio, il lunedì alle ore 17 nel foyer, un ciclo di lezioni multidisciplinari sul tema dell’Armonia del Mondo. 3 aprile - prof. Pierluigi Petrobelli musicologo e storico della musica, sull’armonia di poesia e musica nelle complesse “alchimie” del Medioevo. 10 aprile - prof. Piero Morpurgo, storico della cultura, che parlerà e mostrerà le immagini dell’Armonia nella storia dell’arte. 8 maggio - prof. Giorgio Monari, musicista e musicologo, con una lezione sul “coro” come spazio simbolico dell’Armonia. 15 maggio - prof. Franco Piperno (15 maggio), musicologo e storico della musica, che parlerà di come Armonia e politica si siano incontrate o abbandonate nel Rinascimento. 22 maggio - prof. Giampiero Moretti, filosofo, studioso di estetica, esaminerà quale sia la vicenda dell’Armonia dalla sua esaltazione romantica fino alla sua crisi novecentesca. 29 maggio - prof. Giacomo Marramao, filosofo della politica, che valorizzerà la nozione di Armonia per una riflessione su una dimensione “alta” della politica nel mondo contemporaneo. ger nel Gruppo di Famiglia in un interno di Luchino Visconti), è già di per sé un piccolo capolavoro, ma all’arrivo di quel fa non si può che lasciarsi andare allo stupore e alla gioia dell’ascolto. Ancora di Mozart è “Martern aller Arten” (Ogni tortura possibile), l’aria in cui Konstanze esprime tutto il suo disprezzo verso il Pascià che l’ha rapita nel Ratto dal Serraglio, pirotecnica e fulminante come solo una donna furibonda può e sa essere. Infine, lo smisurato “Rondò di Zerbinetta” dalla Arianna a Nasso di Richard Strauss, raffinatissimo V omaggio al teatro musicale settecentesco - e dunque a Mozart -, in cui il Soprano di coloratura, di carattere frivolo ma dotato di saggia leggerezza, dà una cinica lezione d’amore all’Arianna (il Soprano drammatico) Vladimir Jurowski abbandonata a la squisita, porcellanata, Nasso da Teseo. Per conSuite Il Borghese Gentiluocedere alla Gruberova un mo di Strauss, altro omagpo’ di meritato riposo fra gio del grande autore di un pezzo e l’altro, JurowSalome, Elektra e del Roskij alternerà i brani vocasenkavalier alla musica del li con due Ouverture moSecolo dei Lumi. zartiane (Nozze di Figaro e A. C. Ratto dal Serraglio), e con Novità in libreria Tra analisi ed humour vizi e virtù del popolo inglese icini e distanti dagli altri europei, vittime dell’antipatia di chi li giudica snob, ma oggetto di ammirazione per chi li riconosce come campioni dell’anticonformismo e dell’amore per la libertà: gli inglesi suscitano da sempre la curiosità dei continentali. L’attaccamento a tradizioni che ci appaiono anacronistiche, il classismo ma pure il rispetto della cosa pubblica, il senso della privacy, resistono senza scosse nella terra dove prosperano in milioni di copie le riviste di gossip, dove è nato il culto delle celebrities, coabitano cinquanta comunità etniche differenti, si mettono all’asta le lettere intime di principi e principesse e l’ubriachezza molesta diventa un fenomeno di massa. Insomma, è proprio il caso di chiedersi, come suggerisce il titolo dell’ultimo libro di Antonio Caprarica : “Dio ci salvi dagli inglesi …O no !?” Caprarica, volto e firma storica della RAI da Londra, per dovere d’ufficio li ha frequentati ogni giorno per quasi un decennio. Adesso se n’è volato a Parigi, ad applicare il suo microscopio ai francesi, ma dei suoi giorni nella “verde Inghilterra” traccia in questo volume un diario aggiornatissimo e scanzonato, passando in rassegna i molteplici aspetti della vita nel Regno: la Famiglia Reale, naturalmente, ma anche quella del Primo Ministro; la Londra di Dickens, che appare ancora in qualche scorcio, assieme a quella dei Beatles e delle Spice Girles; Diana e Camilla; i riti della Old England e quelli della nuova Cool Britannia; i Lord e i commoners; le gloriose università e le comunità dei nuovi immigrati … Senza nascondere la sua anglofilia ma senza mai rinunciare al tratto umoristico, e molto british, che è la cifra delle sue corrispondenze televisive, Caprarica conferma in questo libro le sue doti di narratore oltre che di giornalista di razza (inviato di guerra in Afghanistan, Iraq, Israele, è stato corrispondente del TG1 per il Medio Oriente, e poi successivamente capo delle Sedi RAI a Mosca e Londra). Il racconto dei suoi anni inglesi è gustoso e divertente, oltre che ricco di analisi suggestive. Caprarica le accompagna con informazioni e aneddoti di prima mano, meticolosamente registrati da un osservatore che ha avuto il privilegio di accedere a luoghi esclusivi come i salotti di Buckingham Palace. Se volete anche voi stringere la mano alla Regina, non vi resta che leggerlo. Antonio Caprarica - “Dio ci salvi dagli inglesi …O no !?” – Ediz. Sperling & Kupfer - Pag. 240 - Euro 18. Al. Cal.