Anno XII - Numero 19 - 22 marzo 2006
La storia dell’opera
Il travagliato cammino
di un libretto reputato facile
A Pag.
6
La protagonista storica
La sfortunata Maria Stuarda,
Regina di Scozia
A Pag.
8e9
La Regina rivale
Elisabetta I, inedito modello
di sovranità
A Pag.
11
Scozzesi ed Inglesi
Vizi e virtù dei due popoli
da sempre in contrasto
A Pag.
13
MARIA STUARDA
di Gaetano Donizetti
Maria Stuarda
2
Il
La Stagione 2006
al Teatro Costanzi
Parla il direttore d’orchestra Riccardo Frizza
S
Un’opera senza Ouverture,
ma con preludio di clarinetto
ul podio di questa
Maria Stuarda è il
giovane maestro Riccardo Frizza, bergamasco
di nascita, ma già cittadino del mondo, cittadino
della musica. Per lui si
tratta del debutto con quest’opera.
Maestro Frizza, a quale
grado di maturità compositiva è giunto Donizetti
in quest'opera?
«Maria Stuarda è uno dei capolavori del Donizetti a metà
della carriera compositiva: si
vede come lui abbia nel 1834,
già le idee molto chiare con una
struttura ben delineata, anche
se non è ancora come quella della sua maturità. Si sentono nella sua musica ancora echi di
Mayr, per quanto riguarda certi passaggi e accompagnamenti,
e soprattutto di Rossini, per i
tutti orchestrali, i ritmi e le parti drammatiche, che sono anche
assimilabili ad un primo Verdi».
Come mai in quest'opera
manca la classica sinfonia
di apertura?
«Questo è un aspetto interessante: nonostante l'usanza dell'epoca, che prevedeva la consueta ouverture, quest'opera si
apre con un preludio in cui il
clarinetto è protagonista, secondo uno stilema tipicamente ro-
mantico, che potremmo definire
preverdiano».
Nel suo repertorio Lei ha affrontato soprattutto il Donizetti buffo. Quali sono le
particolari difficoltà direttoriali di un'opera seria come Maria Stuarda?
«Le difficoltà in quest'opera sono tante, sia per l'esigenza di
un'aderenza allo stile dell'epoca, sia per la necessità di conferire il giusto risalto alle voci.
Questo è belcanto puro ed abbiamo la fortuna di avere due
grandi prime donne come protagoniste».
Come descrive Donizetti i
diversi caratteri di Maria
Stuarda e di Elisabetta?
«Per Maria, Donizetti ha scritto melodie di carattere belliniano, cantabili, con un accompagnamento nudo, tale da non far
~ ~ La Copertina ~ ~
Ritratto di Maria Stuarda,
opera di Jehan Decouyrt, discepolo di
François Clouet.
Il ritratto fu dipinto probabilmente introno al
1574 durante la prigionia di Maria Stuart, infatti non riporta insegne regali.
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Il G iornale dei G randi Eventi
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mai perdere l'aplomb al personaggio. La voce di Elisabetta è
stata trattata invece con maggiore varietà ritmica, con un
andamento più mosso e vario,
con esplosioni perentorie che
ben affermano il potere espresso dal personaggio. Naturalmente, nell’opera del fatto storico è stata ripresa solo l'ultima vicenda, ma la musica rende bene, con un'attenzione
particolare, quasi "storica", la
complessità psicologica e la sostanziale diversità dei due personaggi».
Sia per Lei che per la Signora Devia, quest'opera è un
debutto. Che tipo di lavoro
comune è stato compiuto?
«Quando ci siamo incontrati
con Mariella abbiamo messo a
confronto le idee che avevamo
maturato separatamente sullo
spartito, trovando subito una
piena identità di vedute. Il lavoro di ricerca che abbiamo
portato avanti è stato quindi
indirizzato nel senso del recupero di tutte le possibilità belcantistiche dell'opera».
Recentemente Lei ha diretto a Genova La Favorita, ultima opera di Donizetti. Le
due opere hanno qualcosa
in comune…
«Infatti, il concertato finale del
primo atto. Scritto da Donizetti
per la prima versione di Maria
Stuarda, fu successivamente sostituito con un altro, nel 1838,
nella versione modificata, destinata al Teatro Alla Scala di Milano. Questo a causa dei consueti problemi con la censura.
Nella Favorita di dieci anni dopo, Donizetti "riesuma" questo
concertato e lo inserisce come finale del primo atto della Favorita, naturalmente con il testo differente. Questo significa che nonostante l'evoluzione compositiva maturata in un decennio,
Donizetti continuava a considerare questo concertato un
brano molto convincente. Per
il resto la maturazione di Donizetti si svolge soprattutto a
livello dell'orchestrazione, ma
per raffrontare le due opere bisogna considerare una differenza importante, sostanziale,
che le divide: la prima, Maria
Stuarda era stata scritta per
un pubblico italiano, in due atti, mentre Favorita fu scritta
per il pubblico francese, con
quattro atti ed un balletto».
An. Cio.
Giornale dei Grandi Eventi
21 - 28 Aprile
LA LEGGENDA DI SAKÙNTALA
di Franco Alfano
Direttore e Regista
Gianluigi Gelmetti
Scene
Maurizio Varamo
Interpreti
Francesca Patanè, David Rendall,
Elena Cassian, Anna Rita Taliento, Orlin Anastassov
30 Maggio - 6 Giugno
IL TURCO IN ITALIA
di Gioachino Rossini
Direttore
Donato Renzetti
Regia
Stefano Vizioli
Interpreti
Carlo Lepore, Angeles Blancas Gulin, Dario Schmunck,
Paolo Rumetz, Mario Cassi, Nadia Pirazzini, Davide Cicchetti
Stagione Estiva
Terme di Caracalla
dal 24 giugno a 9 agosto
LA VESTALE (balletto), MADAMA BUTTERFLY,
AIDA, TURANDOT
14 - 22 Novembre
TRISTAN UND ISOLDE
di Richard Wagner
Gianluigi Gelmetti
Henning Brockhause
David Rendall, Janice Baird, Marianne Cornetti
Direttore
Regia
Interpreti
7 - 14 Novembre
Direttore
Interpreti
~~
CARMEN
di Georges Bizet
Alain Lombard
Rinat Shaham, Vincenzo La Scola,
Giorgio Surian, Anna Laura Longo
La Locandina ~ ~
Teatro Costanzi, 23 – 30 marzo 2006
MARIA STUARDA
Musica di Gaetano Donizetti
Libretto di Giuseppe Bardari
tratto dal dramma Maria Stuart (Weimar, 14.6.1800)
di Friedrich Schiller nella traduzione di Andrea Maffei
Revisioni del libretto di Pietro Salatino e Callisto Bassi
Prima Rappresentazione: Milano, Teatro Alla Scala, 30.12.1835
Maestro concertatore
e Direttore
Maestro del Coro
Regia e Costumi
Scene
Disegno Luci
Riccardo Frizza
Andrea Giorgi
Francesco Esposito
Italo Grassi
Patrizio Maggi
Personaggi / Interpreti
Elisabetta (S)
Maria Stuarda (S)
Roberto (T)
Talbolt (B)
Cecil (B)
Anna (Ms)
Marianna Pentcheva /
Enkelejda Shkosa (26, 28, 30/3) /
Mariella Devia /
Maria Carola (26, 29/3) /
Dario Schmunch /
Claudio Di Segni (28, 30/3)
Roberto Costi (26, 29/3
Enrico Turco
Dario Solari
Esther Andaloro
ORCHESTRA E CORO DEL TEATRO DELL’OPERA
Allestimento del Teatro Donizetti di Bergamo
I
Il
Giornale dei Grandi Eventi
l libretto forte, con il
famoso scontro verbale delle due protagoniste nel secondo atto, ha
sempre reso difficile la
vita alla Maria Stuarda di
Gaetano Donizetti, tragedia lirica in tre atti che
dopo un cammino travagliato trovò la sua prima
rappresentazione al Teatro Alla Scala di Milano il
30 dicembre 1835, protagonista il grande soprano
Maria Malibran.
Maria Stuarda
A Roma l’opera è stata
rappresentata una sola
volta, il 14 maggio 1970,
in un allestimento del
Teatro Comunale di Firenze. La direzione in
quella occasione fu affidata a Bruno Bartoletti,
mentre interpreti furono
Montserrat Caballè, Anna Reynolds, Juan Oncina, Corrina Vozza, Giulio
Fioravanti.
Questa volta, nell’allestimento del Teatro Doni-
zetti di Bergamo, il podio è affidato al maestro
Riccardo Frizza, al suo
debutto con quest’opera.
Debutto che è anche per
la protagonista, il soprano Mariella Devia,che
recentemente, in gennaio, abbiamo ascoltato
come ottima Donna Anna nel Don Giovanni di
Mozart che ha aperto
questa stagione.
L’opera si rifà, con ampia licenza poetica, al-
l’ultimo periodo della vita di Maria Stuarda, la
sfortunata Regina di Scozia, fatta imprigionare e
poi decapitare per ordine della cugina, la Regina Elisabetta d’Inghilterra. La vicenda si ricollega agli eterni contrasti
tra scozzesi ed inglesi, i
primi cristiani ed i secondi protestanti. Ruggine vecchia, che pare non
trovare pace neppure
sotto la Union Jack.
3
Le Repliche
giovedì 23 marzo, ore 20,30 (prima)
sabato 25 marzo, ore 18,00
domenica 26 marzo, ore 16,30
martedì 28 marzo, ore 20,30
mercoledì 29 marzo, ore 16,30
giovedì 30 marzo, ore 20,30
Maria Stuarda di Donizetti per la seconda volta a Roma
L'azione si svolge in Inghilterra nella seconda
metà del XVI secolo, all’interno del Palazzo di
Westminster e nel Parco del Castello di Fotheringay a Northampton.
ostilità, le rinfaccia il passato e l’accusa di
essere stata prodiga di favori nei confronti
di Leicester per ottenere il suo appoggio. A
queste parole Maria reagisce con violenza e
apostrofa Elisabetta con una raffica di insulti violenti.
La sua sorte è ormai segnata con Elisabetta che giura vendetta.
Da parte sua, Maria si sente finalmente liberata da un incubo.
Leicester, Talbot ed Anna, dama di compagnia di Maria, sono
afflitti per l'esito dell'incontro, mentre Cecil ed i cortigiani enfatizzano il loro sostegno ad Elisabetta.
La Trama
Atto I: Nel Palazzo di Westminster i cortigiani attendono Elisabetta, Regina d'Inghilterra, che entra perplessa per la proposta
di matrimonio ricevuta dal Re di Francia: ella è infatti segretamente innamorata del cortigiano Roberto conte di Leicester.
Il sacerdote Lord Giorgio Talbot le chiede un atto di clemenza
verso Maria Stuarda, Regina di Scozia, accusata di alto tradimento e detenuta a Fotheringay, ma il gran tesoriere Lord Guglielmo Cecil le consiglia di non avere pietà.
Talbot confida a Leicester di essersi recato da Maria e di aver
ricevuto da lei una lettera ed un ritratto per lui. Commosso,
Leicester si ripromette di aiutare la sfortunata Regina, di cui è
segretamente innamorato, e mostra ad Elisabetta la lettera di
Maria, sperando di muoverla a compassione. Elisabetta avvampa di gelosia per il suo favorito, ma non rifiuta di incontrare la Stuarda.
Atto II: Nel parco di Fotheringay, Maria, controllata dalle
guardie, osserva con gioia la natura e rimpiange con nostalgia
la patria francese di quando era sposa del Re Francesco II.
Giunge Leicester per prepararla all'incontro con la Regina
d'Inghilterra e spiegarle che sarà sufficiente un atto di sottomissione per riottenere la libertà perduta.
Arriva Elisabetta, scortata da Lord Talbot e dal fedele Cecil,
principale fautore del partito che vuole la condanna a morte
della Stuarda.
Maria si prostra davanti ad Elisabetta, ma questa la tratta con
Atto III: Cecil convince Elisabetta a firmare la condanna a
morte per la Stuarda. La Regina è ancora indecisa sul da farsi,
quando giunge Leicester. Vedendolo, Elisabetta abbandona
ogni riserva e firma la condanna. Leicester tenta di far revocare l'ordine, ma riesce solo ad esacerbare la Regina che sfoga la
sua gelosia intimandogli di assistere all'esecuzione.
Intanto a Fotheringay Maria teme per la sorte di Leicester,
quando giungono Talbot e Cecil per notificarle la condanna.
Rimasta sola con Talbot, che le ha fatto pervenire un crocefisso, Maria si confessa per l'ultima volta.
Nei pressi del luogo dell'esecuzione, la dama Anna ed i servi
attendono mestamente l'arrivo di Maria, che alla fine compare
vestita a lutto ed intona con i presenti una preghiera.
Quando arriva Cecil con le guardie ed informa Maria che la regina Elisabetta le concede di veder realizzati i suoi ultimi desideri, la Stuarda risponde perdonando i nemici. Leicester, invece, pronuncia parole veementi contro l'iniquità della sentenza,
ma Maria, ricordandogli di perdonare e non coltivare sentimenti d'odio, si congeda da tutti e procede serenamente verso
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Il
Giornale dei Grandi Eventi
Maria Stuarda
Marianna Pentcheva e Enkelejda Shkosa
I
Elisabetta I,
Regina d’Inghilterra
l ruolo di Elisabetta I sarà interpretato da Mariana Pentcheva (23, 25, 29
marzo) e Enkelejda Shkosa (26, 28, 30 marzo). Mariana Pentcheva, nata in Bulgaria, ha studiato presso il Conservatorio di Sofia. Dal 1991 ha
cantato in alcune fra le maggiori istituzioni musicali di tutto il mondo con
direttori quali Chailly, Gatti, Jurowski, Karabchevsky, Krivine, Kuhn, Muti, Neschling, Oren e Pesko. In Italia è salita sul
palcoscenico della Scala, del San Carlo di Napoli, del Massimo di Palermo, del Rossini
Opera Festival di Pesaro, del Comunale di Bologna, dell’Arena di Verona. Al Teatro dell’Opera di Roma ha già cantato ne La fiamma.
Enkelejda Shkosa è nata a Tirana nel 1969;
dopo gli studi presso il Conservatorio della
sua città natale, si è perfezionata presso l’Accademia delle Belle Arti. Trasferitasi in Italia,
si è diplomata nel 1995 al Conservatorio G.
Verdi di Milano e nello stesso anno ha vinto il
Marianna Pentcheva
primo premio nel Concorso Internazionale
"Lejla Gencer" di Istanbul. Ha debuttato in seguito nei principali Teatri italiani ed esteri: presso il Rossini Opera Festival di Pesaro, il Regio di Torino (dove si è esibita tra l’altro nella Maria Stuarda), a Bergamo e Bologna,
al Teatro di San Carlo di Napoli. La troviamo quindi a Montecarlo, Monaco di Baviera, Parigi, Londra, Amsterdam, Lisbona, Madrid, Lipsia,
USA, Dresda, Strasburgo, Bruxelles e Vienna.
Dario Schmunck, Claudio Di Segni e Roberto Costi
S
Il Conte di Leicester, oggetto
della contesa amorosa
i esibiranno nel ruolo di Roberto di Leicester i tenori Dario Schmunck (23, 25 marzo), Claudio di Segni (28, 30 marzo) e Roberto Costi (26, 29 marzo).
Dario Schmunck, nato a Buenos Aires, nel 1999 ha vinto il Concorso
Internazionale di Canto "Franco Corelli". Dopo il suo debutto viene
chiamato in diversi teatri austriaci e tedeschi, dove si è esibito in Maria de Rohan e Maria Stuarda di Donizetti, Falstaff di Verdi, L´equivoco
stravagante di Rossini, Der Rosenkavalier di R. Strass. E’ stato successivamente a Lisbona, al Teatro Verdi di Trieste, alla Staatsoper di Vienna, al Teatro La Fenice di Venezia, a Londra.
Claudio Di Segni si è diplomato presso il Conservatorio di S. Cecilia,
proseguendo gli studi con il M° Morelli e presso il Mozarteum di Salisburgo. Ha vinto concorsi importanti (il concorso internazionale Toti Dal Monte, il concorso Mattia Battistini di Rieti, il concorso Briccialdi
di Terni). Ha cantato con regolarità
al Teatro dell’Opera di Roma, debuttando nel 1988 nel Poliuto di Doninzetti come protagonista. Nel 1989 ha
cantato nella prima assoluta di Charlotte Corday di Ferrero, poi in Falstaff,
ne I dialoghi delle Carmelitane, nel Rigoletto, nella Bohème, in Adina. Nel
giugno 2005 si è esibito nel ruolo di
Nicia nella Thais di Massenet.
Roberto Costi ha debuttato nel 2001
al Teatro Bellini di Catania nella
Messa da Requiem di Pacini diretto
dal maestro Donato Renzetti. Ha inDario Schmunck
terpretato il Duca di Mantova in Rigoletto al Teatro Basso di Ascoli Piceno sotto la direzione del M° Rota; è stato Rodolfo ne La Bohème a Milano, a Catania, in Giappone; Edgardo nella Lucia di Lammermoor al Teatro di Palm Beach in Florida.
Conduce anche un’intensa attività concertistica, sia in Italia che all’estero. . Nel 2005 ha cantato nel ruolo di Pinkerton nella Madama Butterfly, durante la stagione estiva del Teatro dell’Opera di Roma.
5
Mariella Devia e Maria Carola
P
Maria Stuarda, cugina
e vittima di Elisabetta
resteranno la voce a Maria Stuarda i soprano Mariella Devia
(23, 25, 28, 30 marzo) e Maria Carola (26, 29 Marzo). Mariella
Devia, nata a Chiusavecchia (Imperia) si è diplomata in canto
al Conservatorio Santa Cecilia di Roma. Soprano di fama mondiale,
è interprete acclamata nei maggiori teatri lirici ed enti concertistici
del mondo, raggiungendo,
soprattutto con la
Lucia di Lamermoor
una delle massime
espressioni
del
belcanto, lavorando con i massimi
direttori mondiali.
Al Teatro dell’Opera di Roma ha
cantato nel Tancredi e recentemente
come Donna Anna
nel Don Giovanni.
Maria Carola si è
diplomata in violino presso il ConMariella Devia
servatorio di Avellino. Successivamente ha intrapreso lo studio del canto, conseguendo
il diploma con il massimo dei voti. Nella stagione lirica 2004 la troviamo all’Opera di Roma per l’Elettra di Strauss, sotto la direzione del
Will Humburg e la regia Henning Brockhaus. Nello stesso anno durante la stagione estiva alle Terme di Caracalla, ha debuttato come
Leonora ne Il Trovatore di G. Verdi, sotto la direzione di Alain Lombard e la regia di Paul Curran.
Enrico Turco
L
Talbot, consigliere di
Maria Stuarda
a voce di Talbot sarà quella del basso Enrico Turco. Nato a
Genova, ha studiato presso il Conservatorio Santa Cecilia di
Roma, dove si
è diplomato con il
massimo dei voti,
laureandosi nello
stesso tempo in Storia della musica
presso l’Università
“La Sapienza”. E’
stato vincitore di
numerosi concorsi
lirici: nel 1987 del
Concorso per voci
liriche
“Giacomo
Lauri Volpi” di Latina; nel 1988 del terzo Concorso Internazionale “Maria
Callas, Voci nuove
per la lirica”, indetto dalla Rai e del Mariella Devia e Enrico Turco
Concorso per giovani cantanti lirici della Comunità Europea “Sperimentale di Spoleto”, città dove ha debuttato nel Don Carlo. Dal 1988 è presente nelle stagioni dei maggiori Teatri italiani ed esteri.
Pagina a cura di Diana Sirianni – Foto di Corrado M. Falsini
6
Maria Stuarda
Il
Giornale dei Grandi Eventi
La storia dell’opera
N
Il travagliato cammino di Maria Stuarda
el 1834 Donizetti,
reduce dai trionfi
del Torquato Tasso (1833) e di Lucrezia Borgia (1833), tornò a Napoli
dopo un anno di assenza.
La fortuna sembrava decisamente dalla sua parte:
il buon successo della prima fiorentina al Teatro alla Pergola di Rosmonda
d’Inghilterra (27 febbraio
1834), la nomina di professore di contrappunto e
composizione al Conservatorio napoletano San
Pietro a Majella e persino
un invito di Rossini a
scrivere un opera per Parigi (il futuro Marino Faliero, ndr). In questo clima
estremamente positivo, la
realizzazione del nuovo
impegno con la città partenopea dovrà rivelarsi
molto faticosa. Il 12 aprile
1834 Donizetti firmò un
contratto con la Compagnia d’Industria e Belle
Arti, che aveva la gestione dei Teatri Reali di Napoli, per la composizione
di una nuova opera da
darsi il 6 luglio al San
Carlo per il compleanno
della regina madre Maria
Isabella di Spagna. Scartati i soggetti di Maria Tudor, il Pelagio e la possibile revisione de Il conte
d’Essex, Donizetti optò
per la schilleriana Maria
Stuarda testo teatrale
messo in scena a Weimar
il 14 giugno 1800, nella
traduzione italiana di
Andrea Maffei.
Tra mille difficoltà
La difficoltà iniziarono
sin dalla scelta del librettista, poiché il compositore cercò la collaborazione dell’inaffidabile
Felice Romani. Dopo vane richieste - avanzate
anche tramite Giovanni
Ricordi - Donizetti si avvalse del diciassettenne
calabrese Giuseppe Bardari, studente di legge alla sua prima e unica
esperienza come librettista. L’attesa di una concreta risposta dal Romani, che non arrivò mai,
provocò un notevole ritardo e fece slittare per
ben due volte la prima.
Il Teatro San Carlo di Napoli all’inizio dell’800
Così, solo in agosto ebbero inizio le prove, anch’esse piuttosto tormentate. Il 23 ottobre una
zuffa tra le due prime
donne Giuseppina De
Begnis (Maria) e Anna
Del Sere (Elisabetta), durante il famoso duetto
del secondo atto in cui la
Stuarda apostrofa Elisabetta “figlia impura di Bolena”, costrinse la Del Sere a ritirarsi e a rimanere
per due settimane a letto.
Seguirono pesanti battibecchi tra le cantanti e
solo per intervento di
Donizetti la pace fu ristabilita. Le prove proseguirono, ma l’opera era destinata a non andare in
scena per un problema
ben più serio. Il 19 luglio
il libretto del Bardari,
sottoposto al vaglio della
censura, non ottenne risposta. Dopo un mese di
Il Soprano Maria Malibran
silenzio il principe Torella, presidente della società che gestiva i Teatri
Reali, nell’incertezza ordinò di procedere alla
realizzazione di scene e
costumi. Il 4 settembre il
censore Francesco Ruffa
comunicò al librettista
che per evitare una bocciatura avrebbe dovuto
approntare
notevoli
cambiamenti. Bardari e
Donizetti si misero immediatamente a lavoro e
il 6 settembre si tenne
una stupenda prova generale. Tutto sembrava
pronto quando il 7 settembre il principe Torella
ricevette la notizia che
Maria Suarda non aveva
passato il vaglio della
censura. Una vera e propria catastrofe. In assenza di motivazioni ufficiali circolò un suggestivo
aneddoto: la moglie di
Ferdinando II, la regina
Maria Cristina di Savoia,
moglie del re Ferdinando
II e che morirà due anni
dopo, nell’assistere alla
prova generale era svenuta durante la scena
della confessione. Il fatto,
totalmente privo di fondamento, fu alimentato
dalla voce che fosse stata
proprio la Regina a porre
il veto al testo per la sua
discendenza dalla Stuarda. Molto verosimilmente, invece, il divieto giunse direttamente dal re
Ferdinando II. Gli studiosi concordano che i
soggetti tragici all’epoca
venissero considerati poco adatti ai galà o alle celebrazioni reali. Senza
dubbio poi la tragedia di
Maria Suarda non si adattava all’occasione per cui
era stata originariamente
concepita, ovvero il compleanno della regina madre Maria Isabella di
Spagna, vedova di Francesco I. A ciò deve aggiungersi che questo libretto era in contrasto
con l’indirizzo politicoreligioso del Regno di
Napoli, poiché appellava
una Regina come “vil bastarda”, metteva direttamente sulla scena il sacramento della confessione e si chiudeva con
l’esecuzione di una Sovrana.
Proibita la Maria Stuarda,
si doveva necessariamente trovare una soluzione alternativa. Si decise allora di conservare la
musica di Donizetti e di
cambiare totalmente il
soggetto. La prima scelta
cadde su Giovanna Gray,
come riporta il giornale
napoletano “L’Omnibus”
nel numero del 13 settembre, che per la somiglianza con il testo di
Stuarda avrebbe consentito di conservare buona
parte del libretto del Bardari nonché l’utilizzo degli stessi costumi e delle
scene. Il soggetto sembrava perfetto: Lady Jane
Gray pur proclamata regina non era mai stata incoronata, né aveva alcuna parentela con i membri della Famiglia Reale
napoletana. Anche questa volta, però, la censura
fu implacabile e il 18 settembre giunse una nuova bocciatura: si trattava
pur sempre di una Regina! Alla fine si optò per
un libretto totalmente
nuovo, non legato alle vicende della corona inglese. Ambientato nella Firenze medievale il testo
era tratto da un fatto storico riportato nelle Istorie
fiorentine da Machiavelli.
Buondelmonte, approntato in tutta fretta dal siciliano Pietro Salatino, il
quale aveva già collaborato con Donizetti nel
1832 per Sancia di Castiglia, narrava dell’amore
contrastato di due giovani appartenenti a famiglie rivali, Guelfe e Ghibelline. Un soggetto talmente lontano nel tempo
da superare il severo vaglio della censura. Finalmente l’opera andò in
scena il 18 ottobre 1834 e
fu accolta con favore. Donizetti fu invitato a firmare un altro contratto
per tre opere, ma questa
volta il previdente compositore pose come clausola che i testi fossero
preventivamente approvati dalla censura. Maria
Stuarda, invece, andò in
scena alla Scala di Milano il 29 dicembre 1835,
con Maria Malibran nel
ruolo della protagonista,
ma anche nella più moderna città scaligera l’opera fu proibita dopo solo sei recite.
Claudia Capodagli
Il
Maria Stuarda
Giornale dei Grandi Eventi
N
7
L’accentuata drammaturgia di Donizetti
Uno scontro di donne nella trama e sulla scena
el settembre 1834 al
San Carlo si provava Maria Stuarda
quando accadde un episodio alquanto curioso. Giuseppina Ronzi che vestiva i
panni della Stuarda nell’invettiva contro la regina Elisabetta («Figlia impura di
Bolena/ Parli tu di disonore?
Meretrice, indegna, oscena/ In
te cada il mio rossore./ Profanato è il soglio inglese/ Vil bastarda dal tuo pié») fu talmente convincente che la
collega Anna Del Sere, interpretando l’atteggiamento come un insulto personale, si gettò sulla rivale
strappandole i capelli.
Scoppiò una rissa e la Rozzi, alquanto robusta, ebbe
la meglio. Il giorno dopo
intervenne la censura per
richiedere pesanti tagli al
testo (inclusi i versi sopraindicati) e l’opera saltò.
Contrasto di passioni
L’aneddoto è interessante,
al di là del folcloristico litigio fra le due primedonne
(non fu né il primo né l’ultimo nella storia della lirica) perché inquadra il tema
centrale dell’opera donizettiana: lo scontro fra le due
grandi figure femminili.
Uno scontro di passioni,
più che politico, com’è nello stile del miglior Donizetti. Con geniale abilità il musicista contrappone Elisabetta, Regina d’Inghilterra
all’apice del suo potere a
Maria Stuarda al momento
cruciale della sua sconfitta
di donna. Ed il senso dello
scontro incombe in tutta
l’opera dandole un “colore
vocale” particolare. Il primo atto è segnato dalla vocalità drammatica, tagliente di Elisabetta. Il terzo dalla dolcezza espressiva di
Maria. Il secondo gioca sulla contrapposizione tra le
due antagoniste, con il violento scontro già citato.
Drammaturgia accentuata
Nel teatro serio italiano,
l’apporto principale di Donizetti consiste in una visione più moderna della
struttura formale. Proseguendo sulla strada avviata
da Rossini, il musicista bergamasco accentuò le ten-
Maria Stuarda verso l’esecuzione, in un quadro di J.P. Laslett (1871)
sioni interne, creò una
maggiore dialettica drammaturgica fra le varie forme chiuse, edificò ampie
architetture sceniche collegando elementi differenti
grazie ad un unico piano
narrativo (si pensi alla
straordinaria scena della
pazzia in Lucia di Lammermoor). Donizetti seppe sondare con intelligenza i moti
dell’animo umano, esasperò le passioni, giocando
sui sentimenti estremi (l’amore che degenera in follia,
in delirio), costruì opere
nelle quali passioni individuali sono al centro di avvenimenti storici o pseudostorici di forte impatto
emotivo. In questo senso
Donizetti anticipò il grande
teatro “politico” di Verdi.
Maria Stuarda rientra perfettamente in questo settore. Donizetti partì da una
vicenda storica, con figure
autentiche, ma si interessò
più ai rapporti umani che
alla politica, alla ragion di
Stato. Rapporti nei quali la
musica può giocare un ruolo drammaturgico ed
espressivo maggiore.
La partitura (si ricordi la
data di creazione, 1834: ci si
avvicinava a quella Lucia di
Lammermoor che rappresenta l’indiscutibile capolavoro donizettiano nell’ambito
serio, l’apice della sua maturità drammaturgica e
musicale) è ricca di elementi interessanti.
Nel primo atto, ad esempio, vale la pena citare il
duetto fra Elisabetta e Leicester, interamente costruito fra opposte posizioni: l’ira violenta della Regina e l’atteggiamento dell’uomo tutto a favore di
Maria. Contrasti che il
compositore rende con indiscutibile abilità creativa
in virtù di felici scelte tematiche e soprattutto di
“colori” strumentali e vocali appropriati.
Il secondo atto propone,
in apertura, Maria la cui
prima aria è di notevole
bellezza e di raffinata dolcezza.
Il finale del secondo atto
con il terribile scontro fra
le due donne costituisce
certamente uno dei momenti fondamentali non
solo sul piano drammaturgico, ma anche sotto il profilo musicale. E’ una sfida
di temperamenti e di scritture vocali.
«D’ora in avanti – ha scritto
Egidio Saracino nella sua
guida all’ascolto di Donizetti (Mursia, Milano, 1984)
– la storia del melodramma, fino a Turandot e Liù, verrà alimentata da quanto di terribilmente crudele e nel contempo
di immensamente sublime
convivono nell’eterno fem-minino».
Il terzo atto è dominato da
Maria. Si pensi alla sua
struggente confessione resa
a Talbot, oppure, al finale
culminante con la sua esecuzione. Lì Donizetti inserisce anche un “Inno alla
morte” dalla orchestrazione cupa, struggente, piena
di mistero e di tristezza.
«La scena finale di Maria
Stuarda – ha scritto William
Ashbrook nel suo bello studio su Donizetti (“Donizetti” 2 voll. Edt, Torino
1986/87) – rientra fra le
grandi realizzazioni perché
Donizetti avvinto dal tragico
destino di Maria ne ha saputo
esprimere il dramma con una
crudezza e una immediatezza
bilanciate da momenti di effusione lirica che colpiscono l’ascoltatore con la forza della verità».
Proibita dalla censura a
Napoli, come si è già ricordato, Maria Stuarda approdò alla Scala il 30 dicembre 1835 per volere del
soprano Maria Malibran, la
quale si era innamorata del
ruolo della Stuarda. Al debutto, tuttavia, la grande
cantante si presentò in con-
Gaetano Donizetti
dizioni fisiche precarie e lo
spettacolo ne risentì non
poco, irritando il pubblico.
La situazione, però, precipiò nelle repliche successive come si evince dalla cronaca fatta dal librettista
Pietro Cominazzi anni dopo sul giornale “La Fama”:
l’articolista segnalò «…la
cavatina di Maria, il gran finale nel quale gli uditori impallidivano e fremevano al terribile “bastarda” gettato in
volto ad Elisabetta e la scena
finale, tre squarci sublimi,
non inferiori alle pagine più
elette scaturite dalla vena del
grande maestro». E aggiunse: «Volle però sventura che
due sere appena quell’opera
fosse eseguita alla Scala. Tanta era la superba offesa recata
ad orecchie aristocratiche da
quel terribile bastarda che parecchie nobili persone si volsero al conte Hartig, governatore di Lombardia, perché facesse sostituire altre parole all’imprecazione: il conte aderì,
ma il buon volere ruppe contro
lo scoglio dell’artista (la Malibran) la quale recisamente rifiutossi e ripetè la seconda sera l’oltraggio. Allora il Governatore per evitare peggiori
mali e certo di non vincere lottando, proibì che si dessero altre rappresentazioni di quell’opera… ». In pratica, come
scrisse anche Donizetti in
una sua lettera, Maria
Stuarda chiuse dopo sei sere contrastate.
Roberto Iovino
8
Maria Stuarda
Il
Giornale dei Grandi Eventi
La tormentata esistenza dell'ultima Regina di
I
Maria Stuarda: una vita tra amori
l tragico percorso di
Maria Stuart ha origine nella sua ascesa incredibilmente rapida all'ombra dei grandi contrasti tra Riforma e Controriforma, in un tempo
in cui si appresta a morire
il mondo medievale e si
affaccia l'epoca moderna.
Ha, infatti, appena sette
giorni di vita quando, il
14 dicembre 1542, alla
morte del padre Giacomo
V, diviene Regina di Scozia. Un regno immiserito
dalle guerre, agitato da
Lord cupi, selvaggi, che,
nelle diatribe religiose tra
cattolici o protestanti, sceglievano un versante o
l'altro a seconda delle
convenienze.
In Inghilterra, Enrico VIII
Tudor è un pericoloso vicino, che dal 1534, con
l’”'Atto di Supremazia”, si
è proclamato Capo della
Chiesa d'Inghilterra, interrompendo il rapporto
di sudditanza politica e
religiosa verso la Chiesa
di Roma.
Quando nel 1547 il re di
Francia Enrico II di Valois
offre come pretendente
alla mano della piccola
Maria Regina di Scozia nel 1565
senza di fatto rivendicarla con le armi. Tale atto
avventato e infantile, sebbene puramente formale,
costituiva il presupposto
di una tangibile minaccia
per il potere di Elisabetta.
Nel 1559, re Enrico II di
Francia muore per un incidente in un torneo e
Maria diviene Regina di
Francia accanto a suo marito Francesco. Un anno
dopo viene a mancare lo
sposo malaticcio e per diritto d'anzianità Maria cede il trono all'ostile suocera, Caterina de' Medici.
Dovrà così rimpatriare,
giovane sovrana cattolica
in una Scozia dove l'estremismo puritano del fanatico predicatore calvinista
John Knox ha già convertito gran parte dei Lord.
Francesco II di Francia e sua moglie Maria Stuart
Maria suo figlio, il Delfino Francesco, la bimba
viene subito spedita alla
corte francese che rappresenta, in quegli anni, un
felice connubio tra raffinatezza rinascimentale
italiana e cultura cavalleresca gallica. In questo
fertile humus, la bambina
cresce in intelligenza, cultura e bellezza con uno
sviluppo insolitamente
precoce, tanto che a soli
14 anni sposerà il suo
promesso, il debole Francesco, con una grandiosa
cerimonia a Parigi.
Nel 1558, alla morte di
Maria la Cattolica, il trono inglese passa alla sua
sorellastra Elisabetta Tudor, nata venticinque anni prima dal matrimonio
di Enrico VIII con Anna
Bolena, matrimonio non
riconosciuto dal Papa. La
successione di Elisabetta,
che rimise subito in vigore l'Atto di Supremazia del
1534 e le riforme filo-protestanti del breve regno
di Edoardo VI primogenito di Enrico VIII e predecessore di Maria la Cattolica, poteva così essere
dichiarata illegittima dalle forze fedeli alla Chiesa
di Roma, che avrebbero
potuto rivendicare il trono per sua cugina, la sedicenne cattolica Maria
Stuart, la quale, per mera
vanità araldica, aveva aggiunto al proprio blasone
la corona d'Inghilterra,
Primi scandali
Con l'aiuto del fratellastro Moray, la Stuart riesce comunque ad assestarsi sul trono di Edimburgo, intorno al quale
raccoglie uno stuolo di artisti e letterati. Tra questi
un tale Chastelard, si
spinge ad imbarazzanti
profferte amorose verso
la Sovrana, facendo scoppiare il primo scandalo.
Chastelard viene subito
impiccato, e, dopo l'imbarazzante episodio, si
aprono trattative internazionali per un nuovo, opportuno, matrimonio regale. Elisabetta I pone il
veto sui pretendenti cattolici. Maria dichiara di
accettare un marito gradito alla cugina, ma solo in
cambio del diritto di succederle.
Con grave smacco di Elisabetta, che aveva addirittura proposto il suo examante, Lord Leicester,
Maria Stuart sceglie, nel
1565, Lord Henry Darnley, un grazioso ragazzo
discendente dei Tudor.
Inaspettatamente, il novello Rex Hiscotiae, comincia ad abusare del suo
ruolo, prendendosi tali libertà da essere presto
emarginato a Corte. Mentre degenerano così i rapporti tra i freschi sposi, è
in vertiginosa ascesa nelle
grazie di Maria un musico italiano, Davide Rizzio, che diventa in breve
il confidente - forse l'amante - della Regina.
Insieme ad alcuni Lord, il
geloso Darnley, partecipa
all'efferato assassinio di
Rizzio, sotto gli occhi atterriti della moglie. Sconvolta, Maria saprà tuttavia ben dissimulare la sua
rabbia, per rinsaldare la
vacillante sovranità.
Tragedia di una passione
Allontanato Darnley, la
Stuart si accende di sfrenata passione per un nuovo consigliere, il conte James di Bothwell: un guerriero amorale e violento,
non privo tuttavia di una
certa cultura.
Bothwell sogna per sé la
corona di Scozia: coinvolge diversi Lord e con Maria, di cui appena ricambia i sentimenti, studia
freddamente l'eliminazione dell'ingombrante
Darnley, che giace ammalato nel castello paterno
di Glasgow.
Maria, plagiata dall'amante, blandisce l'ingenuo marito e lo riporta a
Edimburgo, dove - secon-
I Genitori di Maria Stuarda: Giacomo V di S
Il
Maria Stuarda
Giornale dei Grandi Eventi
9
Scozia
e cospirazioni
do il piano di Bothwell finirà dilaniato nell'esplosione del suo ostello.
Compiuto il misfatto, la
Regina, esausta, cade in
uno stato di catatonica
passività che le attira i sospetti generali. Darnley
viene sepolto in fretta e si
cerca d'imporre ovunque
una cappa d'omertà.
Le corti d'Europa, sebbene abituate all'assassinio
politico, mal digeriscono
simili spudoratezze. Elisabetta, memore di un'analoga esperienza, metterà la cugina inutilmente
in guardia.
Nel Marzo 1567 i due
amanti, scandalosamente, si sposano, trattando il
consenso con le autorità
ecclesiastiche. I religiosi
Protestanti pretendono,
però, anche il rito Riformato.
Le nubi si addensano sul
capo dei regicidi, che si
trasferiscono nel munito
castello di Borthwick, assalito, pochi mesi dopo,
dai Lords insorti. I due
sposi reali fuggono.
Bothwell raccoglie un
esercito di mercenari e affronta i Lords, riuniti sotto lo stendardo bianco in
cui campeggia l’immagine del cadavere di Darn-
Scozia e Maria di Guisa
ley e di suo figlio che grida vendetta. A Carberry
Hill si viene a un accordo:
l'esilio per Bothwell (morirà suicida, anni dopo, in
un carcere danese) e il ritorno della Regina ad
Edimburgo, che avverrà
tra le minacciose grida
del popolo: «burn the whore», «al rogo la puttana».
Indomabile, Maria viene
rinchiusa nel castello di
Lochleven. Una volta
scoperto il forziere di
Bothwell, contenente le
prove del regicidio, il 15
giugno 1567 Maria cede
alle richieste dei Lords
che comportano la sua
abdicazione in favore del
figlio di Darnley (il futuro Giacomo VI) con la
reggenza del fratellastro
Moray.
In Scozia ha vinto la
Riforma.
Sedotto il giovane lord
Douglas, Maria evade rocambolescamente da Lochleven, riparando presso la potente famiglia degli Hamilton, ad uno dei
quali promette la sua mano. Con 6000 uomini affronta il reggente Moray,
presso Langside, ma viene sbaragliata. Monta a
cavallo e fugge, da sola,
galoppando all'impazzata per boschi
e campi per
tre giorni, fino a Dundrennan, l'estremità del
suo regno.
La sua unica
possibilità è
rifugiarsi
presso la corte inglese. La
Francia e la
Spagna, non
le perdonerebbero gli
scandali e il
matrimonio
eretico con
Bothwell.
Le ultime
illusioni
si spezzano
Giunta in Inghilterra nel
1568, Maria
non viene ri-
L’esecuzione di Maria Stuarda
cevuta a Corte, ma ospitata nel castello di Bolton.
Elisabetta I, (consigliata
dal cinico primo ministro
William Cecil), le propone, dapprima con tatto,
di sottoporsi ad un'inchiesta per fugare ogni
ombra d'infamia. Sottoposta a pressioni psicologiche, Maria è costretta
ad accettare l'illecito processo, che sgretola la sua
immagine morale. |«Insufficienza di prove», l'ambiguo verdetto che consentirà alla Tudor di tenere la cugina in una prigionia dorata dal 1569 al
1587, in vari castelli. La
Stuart diviene così un
simbolo antiprotestante
per tutte le forze cattoliche europee che cospirano attivamente contro
Elisabetta: i suoi tentativi
giungono a lambire la
corte inglese, compromettendo
Leicester,
Norfolk e Northumberland, ma vengono tempestivamente stroncati da
Cecil e da Francis Walsingham, ministro della
polizia.
Nel 1585, il vaso è colmo.
Per i ministri inglesi «the
matter must come to an
end», «è ora di chiudere la
faccenda».
Il ministro Walsingham
organizza così una diabolica, fittizia congiura: al
cospiratore cattolico Babington, affianca dei falsi
congiurati che sovrappongono, all'evasione di
Maria, il progetto di un
attentato ad Elisabetta.
Walsingham giunge allo
scopo quando riesce a
impadronirsi di una lettera in cui la Stuart, dopo
mille esitazioni, dà il proprio consent ai congiurati
per l'attentato.
La condanna a morte è
pronta, ma Elisabetta, temendo d'esporsi, esita a
firmarla: i dieci membri
del Consiglio di Stato colgono i sottintesi e, di comune
responsabilità,
mandano il boia al castello di Fotheringay, dove
Maria si prepara con regale dignità alla decapitazione.
La mattina dell'8 febbraio 1587, la Regina di
F
Scozia sale sul patibolo,
allestito nella corte del
castello. Guarda il crocifisso e pronuncia le parole:«Come le tue braccia,
Gesù Cristo, sono aperte su
questa croce, così accoglimi
misericordioso e perdona
tutti i miei peccati. Amen».
Saranno necessari tre
colpi d'ascia per separarle la testa dal busto.
Elisabetta si dissocerà
con forza dall'«abuso»
dei suoi ministri e offrirà la successione al figlio di Maria, Giacomo
VI, che dopo15 anni erediterà, unificandole per
sempre, le corone d'Inghilterra e di Scozia.
Andrea Cionci
Maria Stuarda, Regina di Scozia
iglia di Re Giacomo V
e della Regina Maria
di Scozia.
Nata il 7 dicembre 1542 nel
Linlithogow Palace in Scozia.
Il 14 dicembre 1542 diviene
Regina di Scozia alla morte
del padre.
Incoronata Regina di Scozia il 9 settembre 1543 al
Castello di Stirling
- Sposata il 24 aprile 1558
nella cattedrale di Notre
Dame a Parigi con Francesco di Valois, divenuto poi
Re di Francia con il nome di
Francesco II.
- Sposata il 29 luglio 1565
presso Holyrood Palace di
Edimburgo con Enrico
Stuart, Lord Darnley da
cui ebbe un figlio James
Stuart, nato il 19 giugno
1566 divenuto poi Giacomo
VI, Re di Scozia e Giacomo
I, Re di Inghilterra.
- Sposata il 15 maggio 1567
presso Holyrood Palace di
Edimburgo con James Hepburn, 4° Conte Bothwell, da
cui ebbe due figli gemelli
nati e morti nel luglio 1568.
Cedette il trono in favore di
suo fratello al Carberry Hill
il 15 giugno 1567.
Fu decapitata l’8 febbraio
1587 al Fotheringay Castle
di Northampton.
La sua salma fu traslata
nella Abbazia di Westminster a Londra nel 1612.
10
«L
Maria Stuarda
Il
Giornale dei Grandi Eventi
Una dinastia sfortunata: gli Stuart
Sangue e miseria nella Scozia del XVI secolo
a corona ci è venuta da una
donna e con una
donna finirà», queste furono le ultime, profetiche
parole di Giacomo V, re
di Scozia e padre di Maria Stuart, pronunciate
sul suo letto di morte, nel
dicembre 1542.
Una dinastia, quella degli
Stuart, decisamente sfortunata: due re, Giacomo I
e Giacomo III, furono assassinati, Giacomo II e
Giacomo IV morirono sul
campo di battaglia, Carlo
I e Maria Stuarda finiranno sul patibolo.
Gli Stuart dovettero lottare continuamente per
mantenersi in precario
equilibrio sul trono, sia
contro i nemici esterni
che contro quelli interni.
In una lettera di Giacomo
V alla sua futura sposa,
Maria di Guisa, così egli
scriveva: «Madame, ho appena ventisette anni e già la
vita mi opprime con la mia
corona. Orfano fin da bambino, sono stato prigioniero
di nobili ambiziosi; Archibald, conte di Angus, suo
fratello Gorge e tutti i suoi
parenti in esilio continuano
L
Maria Stuarda con l’infante James
ad aizzare il re d'Inghilterra
contro di noi. Non c'è un
solo membro della mia nobiltà che egli non abbia circuito con le sue promesse o
comprato coi soldi. Non c'è
nessuna volontà di sicurezza per la mia persona, né garanzia per la mia volontà e
per le leggi di giustizia. Tutto questo mi fa paura Madame, e io attendo da voi forza
e consigli.[…] I miei Baroni
considerano veramente insopportabile un re che voglia
fare veramente il re».
Un paese inquieto, quello
che risulta dalle stesse
sincere parole di Giacomo V; una terra dominata da una stirpe di cava-
lieri forte e selvaggia, arrogante e inflessibile che aveva
come unico passatempo la guerra e la
prevaricazione.
Rinchiusi nei loro
castelli-fortezza,
questi feudatari ne
fuoriuscivano solamente per sanguinose scorrerie ai
danni dei vicini, con
i quali riuscivano a
mettersi d'accordo
solamente quando
si trattava di umiliare
il comune sovrano, il Re,
verso cui obbedienza e
lealtà erano concetti del
tutto sconosciuti.
Non appena un sovrano
aveva l'intenzione di regnare sul serio e introdurre ordine e disciplina, i
Baroni, puntualmente, si
rivoltavano in armi oppure lo facevano assassinare
dal pugnale di un sicario.
Il gregge come
ricchezza feudale
In una terra così governata, la povertà è quindi la
condizione di vita ordinaria per il popolo: le
guerre depauperano continuamente le città di
ogni energia, che a causa
dei frequenti incendi e
saccheggi non possono
mai raggiungere una solidità urbana e un benessere borghese.
La gente vive miseramente, di caccia, di pesca
e di pastorizia, come nei
tempi patriarcali.
L'apparato legislativo è almeno un secolo indietro
rispetto alle conquiste della vicina Inghilterra: mentre nelle città costiere
d'Europa proliferano le
banche e le borse, nella
Scozia del '500, la ricchezza è ancora misurata in
base agli ettari di pascoli e
al numero delle pecore.
Lo stesso re Giacomo V,
fonda tutto il suo patrimonio su diecimila pecore. Non ha un tesoro della Corona, non possiede
un esercito, né una guardia del corpo a garanzia
della propria incolumità
e del suo potere: non sarebbe in grado di pagarla
ed il parlamento, in cui
sono i Baroni, i Lords a
decidere, non approverà
mai una legge che renda
La congiura di Babington
L’inganno che uccise Maria Stuarda
a congiura di Babington che travolge Maria Stuarda
ricorda sotto molti aspetti una pagina di Shakespeare: macchinazioni,
missive segrete, intuizioni, violenze degne di un
palcoscenico. Cecil e
Walsingham, ministri di
Elisabetta, preparano
una trappola perfetta. Il
loro piano mira a poter
giustiziare legalmente
l’ormai scomoda Regina
cattolica. Il parlamento
inglese vara nel 1584 un
«atto per la sicurezza della
regale persona della Regina» che, nell’eventualità
di una congiura, avrebbe
portato alla condanna a
morte di chiunque vi
avesse partecipato, anche solo nell’ideazione.
Era dunque necessario
permettere alla Stuarda,
al Re strumenti di potere
effettivo.
I cattolici re di Scozia vivono grazie a una parte
delle modeste rendite del
clero e grazie a prestiti da
parte della Francia o del
Papato.
Questa eterna miseria
rende la Scozia continuamente oggetto di palleggiamenti da una potenza
straniera all'altra: chi
combatte contro il Re e
per il protestantesimo
viene pagato da Londra,
chi combatte per gli
Stuart e il cattolicesimo,
viene pagato da Parigi,
Madrid e Roma. Tutti pagano volentieri per il sangue scozzese e soprattutto la Francia cerca di
rafforzare militarmente
la Scozia ai danni dell'Inghilterra, che naturalmente reagisce di conseguenza.
E' questo il mondo duro e
brutale in cui la piccola
Maria Stuarda, il 7 dicembre 1542, inizia la sua
avventura umana legando indissolubilmente il
proprio destino a quello
della sua Patria.
Andrea Cionci
di recente soggetta ad un
regime carcerario che le
impediva di ricevere o
scrivere lettere, di poter
nuovamente cospirare
per la propria liberazione. Detto fatto, la prigioniera trasferita nel castello di Chartley, ricevette
dopo mesi di isolamento
una lettera cifrata da Parigi. È il suo agente: Morgan che annoverava
ignaro, tra i fedelissimi
di cui si serve, spie di
Walsingham! Geniale il
sistema per permette alle
lettere di entrare e uscire
dal
castello-prigione:
queste arrivavano nascoste nelle botti di birra che
settimanalmente erano
consegnate a Chartley e i
cui vuoti venivano poi
puntualmente restituiti
con le risposte! Sono i
suoi carcerieri a inven-
tarlo. Walsingham, capo
della polizia, leggeva così in tempo reale la corrispondenza e attendeva
pazientemente che la
Stuarda si sbilanciasse al
punto di appoggiare un
disegno omicida. Perché
ciò avvenisse c’era bisogno di qualcuno di cui la
prigioniera si fidasse.
Non per caso nei pressi
del castello di Chartley
viveva un giovane nobile, idealista e cattolico,
da sempre sostenitore
della regina scozzese:
Antony Babington. Il
giovane è audace, cerca
fra i suoi amici qualcuno
che lo aiuti a liberare la
Stuarda. Crea così un
piccolo gruppo di avventurosi romantici tra i
quali si insinuarono spie
di Walsingham che dovevano convincere Ba-
bington e gli altri
ad un’impresa ancora più grande:
uccidere la protestante Elisabetta!
In maggio alle spie
fu assegnata un’altra missione: convincere i confidenti di Maria Stuarda
per una pressione
sulla scozzese affinchè con poche
righe scritte esorti La Regina Maria di Scozia
i congiurati all’are alla Stuarda i dettagli
zione, all’assassinio di
della congiura che egli,
Elisabetta. Walsingham
poco saggio, mise nero
doveva procurarsi la
su bianco. Maria Stuarda
prova tangibile del coinsi trattenne davanti al covolgimento della Cattoliraggio espresso nella letca. Per questa via però il
tera e rispose impudenministro non ottenne
temente tradendo la pronulla di sufficientemente
pria adesione. E’ la prova
esplicito e dunque cercò
sufficiente per portarla al
un alternativa. Lo stesso
patibolo.
Babington venne spinto
dagli infiltrati a confidaMaria Elena Latini
Il
Maria Stuarda
Giornale dei Grandi Eventi
11
La rivale Regina d’Inghilterra
L
Elisabetta I, inedito modello di sovranità
a regina Elisabetta
I
d’Inghilterra
(1533 – 1603) reinventò radicalmente il
ruolo del sovrano di sesso femminile, in una ineguagliata dimostrazione
di emancipazione, circa
quattrocento anni prima
della liberazione della
donna.
L’eccezionalità della sua
storia emerge già a partire dalla complessa vicenda che la portò al potere.
Suo padre, Enrico VIII
(1509-1547), è rimasto celebre per la sua ossessione di procreare un erede
maschio e per la sua crudeltà verso le donne che
fallirono in questo loro
compito. La sua perseveranza diede, però, alla fine i suoi frutti: nel ventinovesimo anno del suo
regno, la terza moglie Jane Seymour morì dando
ad Enrico l’unico figlio
legittimo,
il
futuro
Edoardo VI. Ironia della
sorte, Edoardo morì dopo essere stato sul trono
per soli sei anni. Così,
undici anni dopo la morte di Enrico, la corona
d’Inghilterra non solo
passò ad una donna, ma
a tre di fila (prima a
Lady Jane Grey, poi a
Maria Tudor ed infine
ad Elisabetta).
Una Regina con un
carattere da Re
Nell’Inghilterra del XVI
secolo avere un erede
maschio era un imperativo imposto dalla cultura
più che dalla legge. Legge che non vietava
espressamente il potere
Sovrano fosse esercitato
da una donna. Tale imperativo era sostenuto
dai potenti Protestanti
che caldeggiavano la
Riforma anglicana, per i
quali, come scrive la storica inglese Anne McLaren, un Sovrano donna
era una prospettiva improponibile. Consideravano le donne inferiori
sia razionalmente che
spiritualmente; ed una
Regina non avrebbe mai
potuto rappresentare la
guida di ascendenza di-
Elisabetta I
vina che essi vedevano
nel loro sovrano, una
guida capace di agire come un baluardo contro il
Papa.
Tuttavia, ad un certo
momento gli aspetti religiosi della successione
diventarono più urgenti
dei pregiudizi nei confronti del sesso femminile. Nel 1558 i Protestanti
finirono col supportare
l’ascesa al trono di Elisabetta, anche se invece di
nominarla “Capo Supremo” della Chiesa Protestante, come suo padre
era stato prima di lei, la
chiamarono “Supremo
Governatore”.
Il secondo elemento assai curioso della storia di
Elisabetta è la questione
del suo mancato matrimonio e della sua perseveranza nel rimanere nubile (tanto da passare alla
storia come “Vergin
Queen”, la “Regina Vergine”). Per anni, l’élite Protestante cercò di persuadere Elisabetta a sposarsi.
Ovviamente, se lei si fosse unita in matrimonio
ancora giovane, avrebbe
potuto ragionevolmente
dare alla luce un erede
maschio, ma anche qualora questo non fosse accaduto, un marito avrebbe tratto i suoi sostenitori
fuori dall’imbarazzo, a
condizione che egli fosse
un “buon” Protestante.
Dalle donne che erano
succedute al trono per
proprio diritto dinastico,
ci si aspettava che gover-
nassero unitamente ai loro
mariti, con un
ruolo subordinato.
Ma Elisabetta
I ruppe con la
tradizione. «Si
propose di governare come
suo
padre»,
scrive McLaren, «ed era ben
attrezzata per
questo ruolo.
Era finemente
educata sotto
ogni punto di
vista:
aveva
grandi conoscenze nel campo della politica estera e conosceva sei diverse lingue.
Aveva molta esperienza
dell’ambiente in cui operava, e comprese quali erano
le questioni importanti per
«P
i suoi sostenitori. Inoltre
aveva una personalità forte,
e uno straordinario controllo emotivo. Soprattutto,
capì che mettendo al mondo
o nominando un erede maschio, o anche sposandosi,
si sarebbe esposta ad una
possibile usurpazione del
trono o ad essere messa in
secondo piano. Era abbastanza brillante per fare
qualcosa in modo meccanico, senza coinvolgimento
personale, ma rimase incrollabilmente “single”».
L'immagine di Elisabetta si avvale, quindi, di
due direttrici di percorso, connesse tra loro: la
sublimazione della femminilità e l'acquisizione
di qualità maschili. Rinunciando al matrimonio e alla maternità, Elisabetta finì infatti per
esercitare un potere che
nella sua realtà storica
era maschile.
A ben vedere, queste
due possibilità di autorappresentazione di Elisabetta finiscono per essere ricomprese nell’ambito di una terza immagine della Regina. Più
volte infatti Elisabetta
giustificò il rifiuto del
matrimonio dichiarando
di essere già impegnata
in un vincolo matrimoniale di ben più alto valore, non fisico e materiale, ma politico e spirituale. La Regina si presentava quindi come
simbolo della Monarchia
e del popolo inglese, incarnazione asessuata, né
femminile né maschile,
rappresentazione simbolica dello Stato, asessuata e immortale.
Diana Sirianni
«Le lettere dello scrigno»
La sfrenata passione di
Maria Stuarda nelle sue poesie
our luy depuis j'ai mesprise
l'honnoeur/ Ce qui nous peust
seul pourvoir de bonheur».
Sono i primi due versi di una delle poesie
d'amore dedicate da Maria Stuarda al suo
amante, James di Bothwell.
Ritenute unanimemente autentiche, queste poesie fanno parte della raccolta di
documenti nota come le Lettere dello scrigno, che conservate da Bothwell in uno
scrigno d'argento regalatogli da Maria,
(che a propria volta aveva ricevuto in dono dal suo primo marito, Francesco II di
Francia), furono ritrovate nel castello di
Edimburgo dopo la battaglia di Carberry
Hill, in cui i baroni sconfissero la coppia
regicida e costrinsero all'esilio il conte di
Bothwell. Tali documenti costituirono le
prove più importanti della connivenza
della Regina nell'omicidio del suo secondo marito, Lord Darnley.
Sono stati così tramandati i testi delle lettere di Maria, da Glasgow, in cui le Regina si rodeva dal rimorso nel vedere come
Darnley cadesse ingenuamente nel tranello delle sue blandizie, inconsapevole
delle trame che si stavano tessendo sul
suo capo. Infatti, non appena Darnley fu
convinto dalla Stuart a ritornare a Edimburgo, secondo il piano di Bothwell, la
sua casa fu fatta saltare in aria.
Ma, accanto a queste lettere gonfie di rimorso e di tormento, nello scrigno vi erano anche le eleganti e raffinate poesie,
scritte in francese, che testimoniano l'ardente passione della Regina per il suo
amante: una passione così assoluta da trascinare Maria Stuarda verso la china del
delitto.
Riportiamo la traduzione italiana di uno
di questi sonetti:
«Da allora per lui ho in sprezzo l'onore, /la
sola
cosa
che
ci
dia
felicità.
Per lui metto a repentaglio grandezza e coscienza, /per lui ho lasciato parenti e amici,/
ogni altro riguardo è tralasciato.
Per lui stimo un nulla tutti gli amici,/ e auguro bene ai nemici.
Per lui ho messo a repentaglio nome e coscienza,/ per lui voglio rinunciare al mondo,/
voglio morire perché lui cammini.
Per lui voglio cercare la grandezza,/ e tanto
farò finché riconoscerà veramente che l'unico mio bene, / l'unica mia soddisfazione è di
ubbidirlo e servirlo lealmente.
Per lui mi attendo ogni buona sorte, / per lui
voglio mantenermi sana e viva, / per lui voglio seguire ogni virtù, / e sempre così immutata mi troverà».
A. C.
Jack Kerouac
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Tratto da Sulla strada di Jack Kerouac, Arnoldo Mondadori Editore
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DOBBIAMO A N D A R E
E NON FERMARCI
F I N C H É N O N S I A M O A R R I VA T I .
DOVE ANDIAMO?
NON LO SO,
MA DOBBIAMO A N D A R E .
Il
Maria Stuarda
Giornale dei Grandi Eventi
C’
13
L’integrazione tra scozzesi ed inglesi
Vizi e virtù di due popoli in contrasto da secoli
è
voluto,
quattrocento anni dopo, il regno di una seconda Elisabetta per
ricucire infine, se non
- cosa impossibile - la
testa della povera
Maria Stuarda sulle
sue spalle, almeno le
altre ferite inferte dalla prima Grande Elisabetta al rapporto
con gli Scozzesi. E’
gurare la rinata Assemblea Legislativa
del vecchio regno dei
Pitti. E’ la festa della
devolution, la vastissima autonomia - anche
fiscale - concessa da
Blair nel 2001. Tutti
s’aspettavano un’esplosione di nazionalismo, e invece a parte
tre fischi e qualche
streakers - sapete ,quei
matti che si denudano
La corona reale di Scozia del 1540
con lei infatti, la temibile Regina Vergine (
? ), che comincia com’è noto - il processo politico che condurrà la Scozia a perdere la sua sovranità
e la sua indipendenza, cancellate prima
dall’unione personale
delle due Corone nella
dinastia
degli
Stuart, e infine a inizio Settecento, dall’Atto di Unione che
sopprimeva il Parlamento di Edimburgo.
Ed invece, trecento
anni dopo, ecco lì la
discendente - con sangue al 98 per cento tedesco - sia di Elisabetta che di Maria Stuarda, percorrere in carrozza il Royal Mile
della capitale scozzese per andare a inau-
fulmineamente per
protesta - Sua Maestà
la Regina delle Isole
Britanniche viene ricevuta a Holyrood
con la stessa deferenza e cordialità che le
riserva Westminster.
Gli scozzesi, insomma, hanno imparato
la lezione. E soprattutto, hanno scoperto
il petrolio. Cioè sono
diventati ricchi.
Ironie della storia. E
della geografia. Per
secoli gli ex sudditi di
Maria Stuarda hanno
fatto la figura dei parenti poveri e cafoni
di quegli snob di angli del sud dell’isola.
Quando poi nella verde Inghilterra sono
sbarcati i Normanni,
agli occhi di questi
vichinghi francesizza-
ti le tribù del Nord
apparivano appena
leggermente più evolute delle greggi di
pecore a cui badavano: ricordate come i
raffinati e crudeli cavalieri normanni trattavano William Wallace, alias Mel Gibson, e i suoi “barbari”
seguaci ? Beh, adesso
il petrolio del Mare
del Nord ha rovesciato la storia, e i
cinque milioni
di
scozzesi,
dieci volte meno numerosi
dei vicini inglesi, si godono alla grande
l’improvvisa
ricchezza.
Leggi e tasse
se le fanno su
misura, senza
dover chiedere più il permesso ai boriosi
MP,
Membri
del
Parlamento di
Westminster.
La faccenda è
andata tanto
avanti che ora
sono gli inglesi a lamentarsi
di non avere
una patria tutta loro, un
parlamento
tutto loro, e
anche un Santo di esclusiva
proprietà. La celebrazione di San Giorgio,
da sempre protettore
dell’Inghilterra, è infatti caduta in disuso
sotto l’accusa di non
essere
“politically
correct”: troppe le
razze e le tribù dell’odierna Gran Bretagna
per permettere il monopolio della protezione a un cavaliere
di dubbia appartenenza alla martirologia cristiana. Non è
giusto,
protestano
adesso i nazionalisti
inglesi. Il Santo che
uccide il drago rappresenta la nostra tradizione e la sua data
sul calendario deve
tornare a essere celebrata.
Non basta. Perché la
Scozia deve avere un
Parlamento tutto suo,
e l’Inghilterra invece
quello di Westminster, che legifera per
l’intera Gran Bretagna? Obiezione giusta in linea di principio ma non abbastanza da convincere quei
pragmatici degli in-
terruttori elettrici, nel
reale castello di Windsor, un cartellino ingiunge allo staff di
non scordare di spegnere la luce, uscendo
dalle stanze. E fodere
e tappezzerie, nei saloni della reggia di
Buckingham, non si
cambiano quando logore: si rammendano.
Gli scozzesi al contrario sono veri spendac-
glesi a raddoppiare le
funzioni. Quando i
conservatori
hanno
proposto un’altra Camera dei deputati,
perfino gli inglesi più
sciovinisti hanno detto
no. Va bene esaltare le
tradizioni, ma solo se
gratis.
Sempre diffidenti verso le intrusioni dello
Stato, i sudditi meridionali di Elisabetta
detestano buttar via le
sterline. Non ho mai
capito perché la fama
di tirchi si sia attaccata
agli scozzesi invece
che ai cugini inglesi.
Perfino la Regina,
com’ è noto, guarda al
penny. Vicino agli in-
cioni. Si rovinano per
gli amici. Soprattutto
al bar. Chi ama i thriller edimburghesi di
Ian Rankin sa bene
che l’ispettore Rebus
non si fa mancare
niente, quanto a gradazione alcolica. Benché piazzati a Nord,
gli scozzesi sono tipica gente del sud: affabile e chiacchierona,
suscettibile e un po’
sbruffona, ospitale e
generosa. Senza badare al borsellino. Purché l’ospite, si capisce,
non sia un inglese.
Antonio Caprarica
Corrispondente Rai
da Londra e Parigi
14
Maria Stuarda
Il
N
Giuseppe Bardari, Pietro Salatino e Calisto Bassi
ell’arco
della
produzione donizettiana, il rapporto con i librettisti fu
in continua evoluzione,
fino al raggiungimento
di una forma caratteristica di melodramma. Tuttavia, ai margini di questo tipo di rapporto, si
collocarono alcune personalità che incisero
scarsamente in questo
processo evolutivo musicale. A tal proposito, si
può ripercorrere la storia
del libretto che diede vita all’opera lirica “Maria
Stuarda”, tratta dalla tragedia di Friedrich Shiller.
Il libretto dell’opera venne affidato allo sconosciuto esordiente, il calabrese Giuseppe Bardari
(1817?-1861), il quale,
seppur sedicenne, aveva
già rivelato buone qualità di poeta. Sarà questa
l’unica esperienza librettistica per il Bardari, il
quale intraprenderà poi
la professione di avvocato e in seguito verrà nominato giudice istruttore
a Vibo Valenzia. Indaga-
to per la sua condotta
durante i moti del ’48, fu
successivamente sollevato dall’incarico, divenendo all’epoca dell’ingresso di Garibaldi a Napoli,
prefetto di polizia della
città partenopea.
Considerando la sua inesperienza, dunque, il
Donizetti decise di affiancare il Bardari nella
stesura del libretto, che
suscitò subito pesanti interventi della censura,
tanto che la Maria Stuarda venne cancellata dal
cartellone del S.Carlo il 6
luglio 1834. La necessaria conseguente revisione del libretto fu affidata
a Pietro Salatino (di nascita siciliana e giovane
studente di diritto a Napoli) che modificò, fra le
altre cose, il titolo in
Buondelmonte (dalle Istorie fiorentine del Machiavelli). Prima che l’opera
andasse in scena (il 18 ottobre 1834), Donizetti
scrisse all’amico Ferretti:
«Stuarda fu proibita, il cielo sa perché! Basta tacer si
dè, che il Re lo impose!...
che fa maestro, aiuto…gri-
L
La vera “prima” alla Scala il 30 dicembre 1835
Giornale dei Grandi Eventi
Vicissitudini di un libretto perseguitato
dava allor l’impresa…e
quel baron fottuto rispose:
ci vuol spesa. Se mille e
quattrocento ducati dar dovete, seicento ne aggiungete, che aita a voi darò. Ciò
fatto in pochi detti, vien
fuori Buondelmonte e mastro Donizetti, straccia e
poi rifà…Duetto e cori
nuovi, di già son impastati…». D’altra parte, Salatino si rivolse, (con una
lettera) ai lettori, lamentando il poco tempo (soli
cinque giorni) imposto
per portare a compimento la revisione del libretto: «…ben pochi giorni mi
vennero concessi per mandare a fine un’opra, che ben
altro tempo richieda per
giungere a vantare alquanta mediocrità. Queste circostanze…impegneranno la
tua bontà a compatire la
imperfezione, che troverai
nel mio lavoro…». L’opera, così modificata, non
ottenne che un successo
di favore e non andò oltre le sei rappresentazioni. Quasi certamente i
consensi che ne derivarono andarono alla partitura di Donizetti, grazie
alle straordinarie prestazioni sonore del soprano
Giuseppina Ronzi e del
mezzosoprano
Anna
Delserre, cantanti che,
con i loro pettegolezzi,
misero a dura prova la
pazienza del musicista
proprio nei giorni più
difficili della “Maria
Stuarda”. Donizetti scrisse in proposito al Ferretti: «Non so se sai che la
Ronzi sparlando di me e
credendomi lunge, diceva:
“Donizetti protegge quella
puttana della Delserre”, ed
io risposi inaspettato: “Io
non proteggo alcuna di voi,
ma puttane erano quelle
due (regine n.d.a.) e due
puttane siete voi…” si persuase, o s’avvilì o s’acquietò… non più parlò, si
seguitò, ella cantò, poi non
s’andò».
Il 30 dicembre 1835 Maria Stuarda tornò di nuovo al Teatro alla Scala
con il suo vero titolo,
dopo un’ulteriore revisione del libretto ad
opera di Calisto Bassi
(1800-1860). Il Bassi, figlio d’arte (il padre era
un noto buffo napoleta-
no) e grande appassionato di teatro, visse lungamente a Milano, dove
fu poeta e direttore di
scena del Teatro alla
Scala. I suoi libretti lo
mostrano esperto nell’elaborare storie secondo i
modi comuni per l’epoca: dunque, un personaggio idoneo ad elaborare un simile riadattamento. In particolare, il
suo intervento si limitò
a rivedere la “poesia” in
modo da non compromettere la partitura.
Tuttavia, anche nel
Lombardo-Veneto, dopo sei recite, la polizia
intervenne per far togliere dal cartellone l’opera. Così Donizetti comunicò a Bardari la notizia: «La Stuarda dopo sei
sere a Milano fu proibita, e
nel momento più felice…».
Detronizzati i Borboni e
cessati
conseguentemente gli interventi censori a Napoli, l’opera
potè felicemente essere
rappresentata al S.Carlo
a partire dal 22 aprile
1865.
Claudia Fagnano
La Regina di Scozia approda a Milano
a severa censura
napoletana e la
successiva trasformazione
in
Buondelmonte, avevano
impedito a Maria Stuarda
di raggiungere il palcoscenico. L’epiteto “vil bastarda” - che un misero
riscatto sarebbe potuto
essere per la sventurata
Regina di Scozia nei confronti della rivale Elisabetta - aveva scandalizzato la censura. Se è vero
che la storia di questa
cattolicissima regina di
Scozia è tutta tinta di rosa, per uno strano gioco
del destino fu ancora la
volontà di una donna a
quasi tre secoli di distanza a decidere delle sorti,
in questo caso teatrali, di
Maria Stuarda. La donna
in questione era il famoso mezzosoprano Maria
Malibran. La cantante si
era interessata
all’opera all’indomani del divieto napoletano. Scritturata
per la stagione
di
carnevale
1835-36
alla
Scala di Milano, propose l’opera donizettiana a quel teatro. «Mi sono recata a Westminster Abbey per
copiare il costu- Teatro alla Scala all’inizio dell’800
me di Maria e di
apportò alcuni cambiaElisabetta», ebbe a dire in
menti allo spartito e
una celeberrima lettera
compose anche una nuodell’agosto 1835 conserva Sinfonia d’apertura,
vata presso il Museo teamentre Calisto Bassi
trale della Scala. La direoperò alcune modifiche
zione accettò immediatadel libretto. Il ruolo di
mente e il 9 novembre il
Elisabetta, inizialmente
libretto, sottoposto alla
affidato a Sofia dell’Ocacensura milanese, ottenSchoberlechner, passò
ne
un’approvazione
poi a Giacinta Toso-Puzprovvisoria. Donizetti
zi. L’opera
andò in scena il 29 dicembre 1835,
nel cast oltre
alla
Malibran e alla
Puzzi-Toso,
anche Domenico Reina nei panni
di Leicester,
Ignazio Marini in quelli
di Talbot e
Pietro Novelli in quelli di Cecil. L’opera fu accolta freddamente per le
pessime condizioni vocali delle due prime donne e in tutta la compagnia solo Reina ottenne il
consenso della critica. Il
12 gennaio 1836 dopo solo sei repliche la censura
milanese revocò il permesso provvisorio e l’o-
pera fu tolta dal cartellone. La ragione del nuovo
veto è da ricollegarsi al
secco rifiuto della Malibran di apportare le modifiche all’invettiva di
Maria a Elisabetta. Purtroppo il secondo divieto
condizionò pesantemente la diffusione della Maria Stuarda nei teatri dell’epoca: Napoli poté riascoltarla solo dopo il
1865, Milano addirittura
nel 1971 e a Roma l’opera
non fu mai rappresentata
in tutto l’Ottocento. Tra
le produzioni di un certo
rilievo, meritano di essere ricordate quella di Bergamo il 12 ottobre 1958 e
quella del 1967, in piena
“Donizetti-renaissance”,
al Maggio Musicale Fiorentino con Leyla Gencer
e Shirley Verret come
protagonisti.
Cla. Cap.
Il
Cultura
Giornale dei Grandi Eventi
15
Dal 22 al 26 aprile a Santa Cecilia
S
Il Belcanto di Edita Gruberova, tra Mozart e Strauss
erate da non perdere, per gli appassionati del Belcanto,
quelle in programma sabato 22, lunedì 24 e mercoledì 26 aprile, nella
Stagione Sinfonica del-
Edita Gruberova
l'Accademia di Santa Cecilia: torna il soprano
Edita Gruberova, in un
programma dedicato a
Mozart e a Strauss. Sul
podio dell'orchestra dell'Accademia Vladimir
Jurowski, il giovane e
l
ormai affermatissimo,
direttore russo che proprio a Santa Cecilia ha
mostrato negli anni scorsi le sue straordinarie
qualità.
Il programma è di quelli
che solo un'artista come la Gruberova è in
grado di offrire. Tra
le pochissime cantanti al mondo dotata di
un’estensione vocale
che le permette di
raggiungere con (apparente) facilità il fa
sovracuto, la Gruberova è anche straordinaria interprete di
un repertorio lirico
che spazia da Mozart
a Strauss, da Bellini a
Hans Werner Henze
e sfodererà in sequenza i suoi tre cavalli di battaglia, che le
hanno garantito ovunque successi trionfali. La
cullante aria mozartiana
da concerto “Vorrei spiegarvi o Dio” K 418 (brano che Burt Lancaster fa
ascoltare ad Helmut Ber-
Il lunedì alle ore 17 nel foyer
Indagando l’armonia
al Teatro dell’Opera
l Teatro dell’Opera di Roma allarga il suo spazio
di riferimento culturale e sottolinea il proprio ruolo di centro di approfondimento nella Capitale,
ospitando fino a maggio, il lunedì alle ore 17 nel
foyer, un ciclo di lezioni multidisciplinari sul tema
dell’Armonia del Mondo.
3 aprile - prof. Pierluigi Petrobelli musicologo e
storico della musica, sull’armonia di poesia e musica nelle complesse “alchimie”
del Medioevo.
10 aprile - prof. Piero Morpurgo, storico della cultura, che parlerà e mostrerà le immagini dell’Armonia nella storia dell’arte.
8 maggio - prof. Giorgio Monari, musicista e musicologo, con una lezione sul “coro” come
spazio simbolico dell’Armonia.
15 maggio - prof. Franco Piperno (15 maggio), musicologo e storico della musica, che parlerà di come Armonia e politica si siano
incontrate o abbandonate nel Rinascimento.
22 maggio - prof. Giampiero Moretti, filosofo, studioso di estetica, esaminerà quale sia la vicenda dell’Armonia dalla sua esaltazione
romantica fino alla sua crisi novecentesca.
29 maggio - prof. Giacomo Marramao, filosofo della
politica, che valorizzerà la nozione di Armonia per una riflessione su una dimensione “alta” della politica nel mondo contemporaneo.
ger nel Gruppo di Famiglia
in un interno di Luchino
Visconti), è già di per sé
un piccolo capolavoro,
ma all’arrivo di quel fa
non si può che lasciarsi
andare allo stupore e alla
gioia dell’ascolto. Ancora
di Mozart è “Martern aller Arten” (Ogni tortura
possibile), l’aria in cui
Konstanze esprime tutto
il suo disprezzo verso il
Pascià che l’ha rapita nel
Ratto dal Serraglio, pirotecnica e fulminante come
solo una donna furibonda può e sa essere. Infine,
lo smisurato “Rondò di
Zerbinetta” dalla Arianna
a Nasso di Richard
Strauss, raffinatissimo
V
omaggio al teatro
musicale settecentesco - e dunque a Mozart -, in
cui il Soprano di
coloratura, di carattere frivolo ma
dotato di saggia
leggerezza, dà
una cinica lezione d’amore all’Arianna (il Soprano drammatico) Vladimir Jurowski
abbandonata a
la squisita, porcellanata,
Nasso da Teseo. Per conSuite Il Borghese Gentiluocedere alla Gruberova un
mo di Strauss, altro omagpo’ di meritato riposo fra
gio del grande autore di
un pezzo e l’altro, JurowSalome, Elektra e del Roskij alternerà i brani vocasenkavalier alla musica del
li con due Ouverture moSecolo dei Lumi.
zartiane (Nozze di Figaro e
A. C.
Ratto dal Serraglio), e con
Novità in libreria
Tra analisi ed humour
vizi e virtù del popolo inglese
icini e distanti dagli altri europei,
vittime dell’antipatia di chi li
giudica snob, ma oggetto di ammirazione per chi li riconosce come
campioni dell’anticonformismo e dell’amore per la libertà: gli inglesi suscitano
da sempre la curiosità
dei continentali. L’attaccamento a tradizioni che
ci appaiono anacronistiche, il classismo ma pure
il rispetto della cosa pubblica, il senso della privacy, resistono senza
scosse nella terra dove
prosperano in milioni di
copie le riviste di gossip,
dove è nato il culto delle
celebrities,
coabitano
cinquanta comunità etniche differenti, si mettono
all’asta le lettere intime
di principi e principesse
e l’ubriachezza molesta diventa un fenomeno di massa. Insomma, è proprio il
caso di chiedersi, come suggerisce il titolo dell’ultimo libro di Antonio Caprarica : “Dio ci salvi dagli inglesi …O no !?”
Caprarica, volto e firma storica della
RAI da Londra, per dovere d’ufficio li
ha frequentati ogni giorno per quasi un
decennio. Adesso se n’è volato a Parigi,
ad applicare il suo microscopio ai francesi, ma dei suoi giorni nella “verde Inghilterra” traccia in questo volume un
diario aggiornatissimo e scanzonato,
passando in rassegna i molteplici aspetti della vita nel Regno: la Famiglia Reale, naturalmente, ma anche quella del
Primo Ministro; la Londra di Dickens,
che appare ancora in qualche scorcio,
assieme a quella dei Beatles e delle Spice Girles; Diana e Camilla; i riti della
Old England e quelli della nuova Cool
Britannia; i Lord e i commoners; le gloriose università e le comunità dei nuovi immigrati …
Senza nascondere la sua
anglofilia ma senza mai
rinunciare al tratto umoristico, e molto british,
che è la cifra delle sue
corrispondenze televisive, Caprarica conferma
in questo libro le sue doti di narratore oltre che
di giornalista di razza
(inviato di guerra in Afghanistan, Iraq, Israele, è
stato corrispondente del
TG1 per il Medio Oriente, e poi successivamente capo delle Sedi RAI a Mosca e Londra). Il racconto
dei suoi anni inglesi è gustoso e divertente, oltre che ricco di analisi suggestive. Caprarica le accompagna con informazioni e aneddoti di prima mano, meticolosamente registrati da un osservatore che ha avuto il privilegio di accedere a luoghi esclusivi come i salotti di
Buckingham Palace. Se volete anche voi
stringere la mano alla Regina, non vi resta che leggerlo.
Antonio Caprarica - “Dio ci salvi dagli
inglesi …O no !?” – Ediz. Sperling &
Kupfer - Pag. 240 - Euro 18.
Al. Cal.
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