Le novelle di Giovanna Adamo Caparello
Una piccola felicità
È il 1954.
Al teatro San Carlo di Napoli va i n scena l’opera di Ildebrando Pizzetti La figlia di Jorio
con libretto di Gabriele D’Annunzio e musiche di Alberto Franchetti; Giangiacomo
Feltrinelli fonda a Milano l’omonima casa editrice; Mario Soldati vince il premio
Strega con Le lettere da Capri; Alberto Moravia pubblica Il disprezzo e i Racconti
romani; Goffredo Parise Il prete bello e Pier Paolo Pasolini La meglio gioventù.
Escono nelle sale cinematografiche: La strada di Federico Fellini, Senso di Luchino
Visconti, Cronache di poveri amanti di Carlo Lizzani, Un americano a Roma di Steno
(con Alberto Sordi) e L’oro di Napoli di Vittorio De Sica.
Alla mostra del cinema di Venezia, il Leone d’oro è assegnato a Castellani per Giulietta
e Romeo.
Al festival del cinema di Berlino, l’Orso d’oro va a Comencini per Pane, amore e
fantasia.
Lucio Fontana pubblica il Manifesto tecnico dello spazialismo.
Giorgio Consolini e Gino Latilla vincono il Festival di Sanremo con “Tutte le mamme”
Il 3 gennaio - Nasce la televisione italiana: «La RAI Radiotelevisione Italiana inizia oggi
il suo regolare servizio di trasmissioni televisive». È lo storico incipit di Fulvia Colombo,
la decana di tutte le "signorine buonasera".
Bella, la storica rivista femminile che dal 1944 racconta il mondo in rosa a 360 gradi,
pubblica le prime novelle di Giovanna Adamo Caparello.
Questa la cornice culturale nazionale in cui si collocano le storie di Giovanna, che,
custode di antichi valori, si avvicina alla scrittura in punta di penna.
Eppure, nel decennio a cavallo tra gli anni ‘50 e ’60, l’Italia è caratterizzata da profonde trasformazioni di ordine sociale, economico e culturale che proiettano il nostro
paese in quella “età dell’oro” da tutti conosciuta come boom o miracolo economico.
È la nascita dei consumi di massa: si passa rapidamente dalla bicicletta alla Vespa e alle auto familiari, dalla radio alla televisione nelle case.
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Il mondo in fermento raccontato dal cinema, dalla pubblicità, dall’arte e dalla fotografia,
delinea un’Italia fertile, creativa, piena di aspettative, in grado di riprendersi e
decollare a livello mondiale dopo il disastro della dittatura e della guerra.
È l’Italia di Carosello (1957) che diventa specchio della nuova società dei consumi,
spostando le esigenze degli Italiani dall’asse dei bisogni primari a quello dei bisogni
superflui.
Carosello rappresenta, certo più di qualsiasi altro programma televisivo, un elemento
di forte messa in crisi della cultura contadina: il modello che propone nei suoi spot è
quello della vita della città industrializzata e vicina al mito americano imperante, il
target di riferimento è quello del ceto medio urbano; questo modello e i consumi ad
esso correlati entrano così potentemente e prepotentemente nell'immaginario
collettivo come aspirazione ad una superiore qualità della vita.
È l’Italia della Dolce vita di Fellini che, dopo le maggiorate nostrane, belle more
dall’incarnato olivastro, fianchi larghi e seno prosperoso (vedi la Lollo e la
Loren), introduce con la Ekberg un modello nordico che diventa il nuovo sex symbol
italiano.
Tra le nuove mode dilaga il twist, un nuovo modo di ballare, dimenando il corpo, che
scandalizza subito i moralisti.
Mentre nel 1964, anno di grandi fermenti culturali e sociali, esplode in Italia il rock
roll come sfida ai valori degli adulti ed emblema del mito dell'America e del mondo
libero tout court, c’è il boom della Barbie.
In questo decennio la donna si trova in un periodo di transizione, a metà tra il forte
conservatorismo e l’innovazione della sua figura. È innegabile comunque il fatto che
ora le donne vengano prese in considerazione e si riconosce loro il ruolo di
lavoratrici.
Le donne sono ormai presenti in tutti i settori industriali e del terziario e rappresentano il 27% della manodopera occupata. Mobilità e guadagno conferiscono loro
maggior autonomia grazie anche alla comparsa degli elettrodomestici che
diminuiscono il carico dei lavori di casa.
Nel 1963, Marisa Cinciari Rodano viene nominata vice presidente della camera ed è
la prima donna a ricoprire questo ruolo. La presenza di donne in politica rimane però
molto bassa, nessuna donna sarà infatti nominata ministro fino al 1976 (Tina
Anselmi).
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Tuttavia, già 1963, non mancano provvedimenti a favore delle donne: la legge n. 7
che abolisce la clausola del nubilato, ovvero il divieto di licenziamento per causa di
matrimonio, e la legge n. 66 che consente alla donna di accedere a tutte le cariche,
professioni, impieghi pubblici, compresa la magistratura.
Tale processo di emancipazione femminile prosegue in tutto il corso del Novecento
ed è tuttora in fieri
Tuttavia, malgrado la seconda metà del '900, grazie alla rapida trasformazione
della società italiana, abbia visto un consistente mutamento dell’identità
femminile e del ruolo sociale della donna che è ormai culturalmente emancipata,
scolarizzata e partecipe della vita pubblica, le protagoniste delle novelle di
Giovanna non ne sono contaminate: per loro la verginità è ancora un valore, la
castità una virtù e il matrimonio resta lo scopo della vita.
La sua raccolta di novelle, “Una piccola felicità”, restituisce a noi lettori del XXI
secolo la memoria di un mondo ormai lontano. Istantanee di vita in bianco e
nero, come i vecchi cari dagherrotipi, conservati con cura in fondo ad un
cassetto.
Nella novella si lavora per astrazione, la sua struttura a geometria fissa è delimitata
da un perimetro che impone alla storia un respiro breve laddove i personaggi sono
psicologicamente e socialmente tratteggiati per sineddoche.
Con la sua prosa semplice e piana (ma mai banale), in cui si innestano dialoghi che
attingono direttamente all’alfabeto umano della quotidianità, ella si fa portavoce di
valori collettivi svolgendo quasi una funzione pedagogica o consolatoria. Una sorta
di scrittura allo specchio, enfatizzata dall’uso della prima persona singolare e in cui
le tante donne degli anni ’50 e ’60 potevano riconoscersi e identificarsi.
Infatti, la struttura del racconto sentimentale è un modo per fare sentire al
sicuro la lettrice. La lettura diventa un momento di relax perché ella sa già di
essere garantita riguardo al finale, inevitabilmente felice. In questo si riproduce
un mito che ha radici lontane: nella cultura orale di cui la novella è diretta
discendente e nelle fiabe che si raccontano ai bambini: si continua a narrare una
stessa storia, già conosciuta, già familiare. L’atto della ri-narrazione funziona
come riaffermazione rituale di credenze popolari e di aspirazioni collettive
fondamentali. Come scrive Umberto Eco in difesa dello schema iterativo, il
piacere dell’iterazione è uno dei grandi fondamenti dell’evasione e del gioco. È
salutare, attrae, regala una sensazione di riposo e di distensione psicologica. Un
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piacere in cui la distrazione consiste nel sottrarsi alla tensione passato-presentefuturo, per ritirarsi in un istante, amato perché ricorrente.
Descrivere questo universo popolato da anime semplici con il loro carico di
dolori o piccole felicità in cui l’amore è declinato in tutte le sue accezioni: amore
coniugale, amore filiale, amore amicale… riveste in qualche modo la funzione
catartica di ridurre le tensioni o di fornire, inconsciamente, delle soluzioni.
Le sue eroine sono quasi sempre povere e romantiche, ma coraggiose e decise,
per regalare speranze e a volte illusioni a gente semplice che ha bisogno di sogni.
Dina, Ines, Ada, Giovanna così come le donne senza nome che via via rivestono i
vari ruoli quali la seconda madre, la signora bionda, la donna di ieri, la sconosciuta
rispondono ad un archetipo femminile consolidato che racchiude in sé le funzioni
di moglie, madre e donna di casa. In questa pletora di figure femminile si
intravvede qua e là qualche donna che ricopre il ruolo di amante, di prostituta o
di donna sola in attesa di un figlio verso le quali, tuttavia, la nostra autrice riserva
sempre uno sguardo di sensibilità e di amore, scevro da qualsivoglia tentativo di
giudizio morale o di severità.
Le sue donne, strette in un’alleanza interclassista e intergenerazionale (mamma/figlia,
nonna/nipote, sorella/sorella) vegliano su un ordine di valori domestici che non deve essere
compromesso e che solo esse sanno difendere fino in fondo.
Di contro, gli uomini vengono inseriti in un ordine diverso: quello sociale
identificato nella professione che svolgono, oppure sono uomini assenti ma vivi
nel ricordo delle mogli e dei figli o ancora uomini che rappresentano il senso
patriarcale della famiglia, il peso dell’eredità familiare intesa non come eredità di
beni materiali quanto di beni infungibili: valori o disvalori, gesti, pensieri, tic,
pregiudizi, status sociale… Eppure anche gli uomini incarnano un modello
“virtuoso”: sono disposti a sacrificarsi per amore, hanno uno spiccato senso della
famiglia, sono rassicuranti e capaci di rispetto, dolcezza, comprensione e
redenzione…
Non c’è tensione di genere tra uomo e donna in questi racconti: entrambi condividono la
stessa visione del mondo, sia l’uno che l’altra cercano la loro realizzazione attraverso l’amore
aderendo al medesimo universo simbolico.
Invece l’universo infantile è popolato di orfani – di madre, di padre o di
entrambi. È tuttavia un dato importante che corrisponde ad un parametro
sociologico reale imputabile alla crudeltà della Guerra (terminata da poco) e
alle malattie diretta conseguenza di indigenza o scarsa igiene.
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Così alcune di queste 36 brevi storie di “piccole vite”, si inscrivono nella Storia più
grande. Quella passata però. La Storia con la S maiuscola entra con l’orrore della
Guerra che porta via figli, padri e mariti; lascia le donne sole a prendersi cura
della famiglia e restituisce uomini derelitti che ritornati al loro paese non trovano
che solitudine e cumuli di macerie.
È l’Italia delle macerie che segna l’incipit della novella La casa tra i monti: “ma il
quadro del mio caro paesetto bombardato, mezzo distrutto spense molta parte della
mia ansia di arrivare, attutì e paralizzò la grande gioia.” “Il mio caro paesetto”
quanto affetto in questa espressione semplice che sembra l’attacco di une lettera
d’amore. Un aggettivo e un diminutivo di uso quotidiano che pure ci restituiscono
il senso di appartenenza a questa terra, senso di appartenenza le cui radici partono
dalla testa e affondano robuste e profonde fino alle viscere, ben oltre il cuore.
Ed è ancora la Guerra che ne I due fratelli fa vivere la lacerazione, lo strappo. Recide
il cordone ombelicale. Doppiamente. Dalla madre e dalla terra-madre. In attesa della
ricongiunzione eterna sublimata nella breve e umile preghiera che chiosa la novella
“Dio! Ricongiungi la madre ai suoi figli, riporta la sposa al marito che attende,
fammi stare con loro, ridonami la pace, e che sia la pace eterna, se a Te
Signore è gradita”
E ancora l’umiltà e il profondo amore materno è esaltato nella novella L’umile
madre che ci regala – in poche righe - una commovente figura di mater
dolorosa. Ma che è anche il tentativo di raccontare una forma mentis che trova
la sua genesi – soprattutto nell’Italia meridionale e rurale- in un substrato
culturale arcaico e arcano dove la mentalità arretrata è legata soprattutto alla
questione femminile cristallizzata nell’archetipo della donna-madre con il volto
solcato dalle rughe, gli occhi senza futuro e nelle mani il peso del dolore e della
fatica senza requie.
Accanto alle famiglie tradizionalmente intese coesistono famiglie monoparentali tali
per destino o per necessità. Ed è ancora la Grande Storia che con le sue vicende di
emigrazione oltreoceano detta i ritmi dell’esistenza umana deviandone il percorso
come ne L’ospite inatteso, forse dal punto di vista formale la novella più compiuta
dell’intera raccolta, che ci regala la figura di una donna abbandonata ma non
rassegnata che sfidando i pregiudizi sociali, lei giovane e bella, si mette a lavorare e
riesce a far studiare le sue figlie.
Ed ecco che qui si innestano i primi timidi tentativi di apertura alla modernità con
donne emancipate e scolarizzate che smettono i panni della casalinga perfetta e
cercano di affermare la loro identità anche nella società superando i limiti angusti
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del focolare domestico, pur mantenendo inalterati i valori di riferimento. Perché,
nonostante tutto, il lavoro non è ancora visto come surrogato al mondo degli
affetti. Le donne che sono indipendenti chiedono comunque il sogno sublimato di
un amore che sanno non essere realistico come avverrà alla protagonista di
Appuntamento con lo sconosciuto.
C’è anche il tema della malattia mentale, vissuta ancora come vergogna sociale e
affrontato nel racconto Buon Anno!
E in uno scenario di “non luoghi” in cui i paesi e le città sono indicati con le loro
iniziali ma di cui riconosciamo e accettiamo le piazze, le case, gli ospedali perché
appartengono ad una visione familiare - vissuta o trasmessa attraverso ricordi e
memorie -, si inscrive una vicenda ambientata in un piccolo paese di montagna in
cui è fortemente radicato un culto mariano che appartiene alla nostra pietà
popolare o ancora l’esplicito riferimento allo zuccherificio di S. Eufemia,
diventato ormai esempio di archeologia industriale. Sono gli unici due richiami in questa raccolta - che corrispondono a luoghi con precise coordinate
geografiche.
Ci sono i grandi amori che “fanno dei giri immensi e poi ritornano” come cantava
Venditti in una bella canzone. C’è l’amore che rinuncia all’amore come nella
novella L’ultimo appuntamento, in cui il senso di colpa della protagonista per la
sua vita passata non permette alla sua coscienza di impegnarsi in una relazione e
quindi in un matrimonio…
C’è l’amore che si ritrova dopo vent’anni, intatto perché custodito nel cuore
dei protagonisti, come nelle novelle Presto mi sposerò / Thea, l’inglesina. E
ancora la perentorietà favolistica di certi attacchi che trasformano alcune
storie in belle fiabe dove al posto delle fate c’è la provvidenza e la fede come
nella novella Una bambina, a metà strada tra La piccola fiammiferaia e Sara
Grewe reginella prigioniera. Sì, la fede è una delle cifre stilistiche che
caratterizza molte delle novelle. Fede non bigotta ma pietas e compassione…
Le figure femminili, pur nella loro semplicità, sono donne forti non sottomesse
né rassegnate, capaci di amare ma ancor più di perdonare. E c’è sempre un
messaggio di speranza che attraverso la riproposizione dell’intramontabile mito
dell’amore romantico – con qualche piccola variazione sul tema - ha nutrito
l’immaginario femminile di generazioni di lettrici, avvicinandole comunque alla
lettura e svolgendo in tal senso una importante funzione sociale dal punto di vista
dell’apprendimento, o perlomeno della familiarizzazione con la lingua italiana
soprattutto nei ceti medio-bassi.
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Ad ogni modo, quella raccontata da Giovanna Adamo Caparello nelle sue novelle è
forse l’ultima generazione di “madri amorevoli e spose servizievoli” prima del grande
movimento femminista.
Il 1965 è un anno di grandi novità nel costume e nella moda. Nasce la minigonna,
creazione della geniale disegnatrice di moda Mary Quant, che avrebbe
rivoluzionato completamente il modo di vestire delle donne, segno inconfutabile
dell'esigenza da parte del gentil sesso di esprimersi in maniera più autonoma e
indipendente. Si inaugura a Roma Il Piper, locale che diventa un riferimento, per
l’Italia intera, della nuova cultura musicale.
I Beatles arrivano per la prima volta in Italia e si esibiscono al velodromo Vigorelli di
Milano, al Palasport di Genova e al Teatro Adriano di Roma; Vittorio De Sica vince
l’Oscar con Ieri, oggi e domani; si inaugura il traforo del Monte Bianco alla presenza
dei Presidenti De Gaulle e Saragat.
Alla lira viene assegnato l’Oscar della moneta.
Si apre a Taranto il più grande centro siderurgico d’Europa.
È l’anno in cui cresce esponenzialmente il mercato dell’editoria. Con 350 lire,
alle edicole, l’italiano si porta a casa gli Oscar, i grandi libri della letteratura, da
Proust a Balzac, da Hemingway a Kafka, e legge tanti giornali (il 1965 segna la
nascita del Sole 24ore). Si tocca, in rapporto alla popolazione, il massimo storico
della lettura. È la generazione, quella degli anni tra il 1965 e il 1975, che ha letto
più in Italia.
Con grande umiltà e con grande saggezza, volendo probabilmente rimanere fedele
ad una sua idea di scrittura che forse non incontra più le norme editoriali e le logiche
di un mercato in costante evoluzione, Giovanna ripone la penna e la sua “Tessera di
scrittrice” n. 320/3, in un cassetto e decide di vivere la sua “novella” più bella perché
mai pubblicata se è vero come dice Nazim Hikmet: Il più bello dei mari/è quello
che non navigammo./Il più bello dei nostri figlinon è ancora cresciuto./I più
belli dei nostri giorni/non li abbiamo ancora vissuti./E quello/che vorrei dirti
di più bellonon te l'ho ancora detto.
Giovanna Villella
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