Limen
di Andrea Summa
Un viaggio di mille miglia deve cominciare con un solo passo.
(Lao Tzu)
Quando gli esploratori giunsero a sud del continente si resero subito conto di quanto questa
piccola porzione di terra fosse ideale per la fondazione di un nuovo villaggio: una lunga vallata di
erba verde e fresca percorsa da un fiume abbondante e sempre in piena che si snoda sul limitare di
un vasto bosco di aceri, frassini e carpini nel quale di tanto in tanto ci si può imbattere in maestose
querce secolari.
Appena la carovana raggiunse il confine della vallata non ci furono dubbi. La luce del sole si
coricava dolcemente sulla ricca vegetazione, il vento soffiava sull'erba creando piccole onde che
viaggiavano per tutta la superficie della valle, ai loro occhi ogni cosa diveniva la promessa di una
vita migliore, di una rinascita. In quel luogo magnifico, nel quale già collocavano con la mente i
vasti frutteti e le capanne di legno con orti e recinti per gli animali, già vedevano davanti a loro il
caldo fuoco ardere nel camino mentre mogli e figli trascorrevano insieme le buie serate invernali o
giocavano a carte sotto le verande nelle calde serate estive. Quella terra era un foglio bianco sul
quale ognuno si sentì libero di disegnare i propri sogni.
La costruzione del villaggio cominciò non appena gli esploratori ebbero deciso quale fosse il punto
migliore dove collocare le abitazioni. Gli anziani decisero che le case sarebbero state costruite nei
pressi del fiume, abbastanza lontane da essere al sicuro da eventuali straripamenti e abbastanza
vicine da poter usufruire comodamente dell’acqua. Nell’arco di pochi giorni i preparativi furono
ultimati e si poterono avviare i lavori.
L’entusiasmo generale e la ricchezza delle risorse locali fecero sì che le prime abitazioni fossero
completate in pochi mesi. Sulla riva del fiume nacquero le capanne di chi si dedicava alla pesca,
venne costruito un maestoso ponte e a due anni dalla fondazione il villaggio godeva di ogni servizio
desiderabile, le prime case erano già diventate eleganti abitazioni a due piani ed ognuno viveva la
sua vita serenamente coltivando il proprio orto ed i vasti campi ed il disegno fu completo.
Ma, così come avviene di solito, lo spirito di libertà degli esploratori andò affievolendosi man mano
che questi invecchiarono e morirono lasciando il posto ai figli. Le generazioni si susseguirono e il
sogno della conquista divenne un'abitudine, un diritto scontato e dovuto ed ormai non c’era più
nessuno a ricordare ai giovani le gesta di coloro che avevano attraversato il continente per trovare
la magica terra in cui sarebbe stato possibile vivere in pace coltivando grano e amore, quella terra
dove sarebbe stato possibile crescere bene ed invecchiare felici, la stessa terra dove ora si trovava
la grande città di River.
La città crebbe nel tempo espandendosi e arricchendosi sempre di più. Negli anni le capanne di
legno divennero case di mattoni dai colori sgargianti, dalle baracche dei pescatori nacquero le
botteghe che divennero industrie d’ogni genere, il corso del fiume dalle limpide acque divenne la
strada di vascelli commerciali e i contadini diventarono artigiani e imprenditori e quando la città fu
abbastanza grande da generare potenti e avidi uomini d’affari nacquero i conflitti ed infine la
guerra. Una lunga guerra che durò per il tempo che la vita di un uomo non è in grado di conoscere
né per vissuto, né per sentito dire.
Giorno 1
“Il treno parte all’alba, la città di River dista due giorni da qui. Un tempo era una cittadina fiorente
posta sul lato settentrionale del fiume Nixa, oggi è solo un ammasso di macerie e strade deserte
dove le voci dei commercianti e delle coppiette di innamorati sono state sostituite dal frastuono
dei mitra e dal gelido silenzio della morte. Le guide non si addentrano nella città ma, mantenendoti
lontano dalle zone degli scontri, riuscirai a passarci dentro senza correre pericolo. Mi raccomando,
non fermarti, sii rapido e silenzioso e quando senti un colpo di fucile vai dalla parte opposta.
Cammina verso sud, fino al fiume, e attraversa il ponte che collega la città con il bosco, i soldati non
lo attraversano quindi lì sarai al sicuro. Da li in poi la strada è semplice e meravigliosa:
supera lo spaccio di Jeremy Hawk e imbocca l’unico sentiero che si addentra tra gli alberi. Nell’arco
di pochi minuti, nel folto del bosco, alla tua sinistra, potrai vedere la piccola capanna del
taglialegna Tom. Prosegui senza fermarti e costeggia la graziosa casa dei Lanninton immersa tra gli
alberi e preceduta da un incantevole giardino di rampicanti e cespugli di fiori, dai colori e profumi
più vari, che la signora Lanninton cura con incredibile scrupolosità. Supera l’orticello adiacente la
casa e prosegui sempre dritto per il sentiero. Da qui in poi è solo la natura a regnare incontrastata.
Ti consiglio di soffermarti ad osservare, alla luce del sole che filtra tra le fronde altissime dei
frassini, i piccoli e grandi animali intenti a procacciarsi il cibo o che si fermeranno ad osservarti
incuriositi, da lontano. Senti l’odore della terra umida e delle piante, degli alberi e delle foglie
cadute sul sentiero. Se vuoi, fermati e ascolta, osserva e respira questo rifugio lontano dal mondo e
dalle difficoltà, dove la tranquillità è una realtà da accettare e non un sogno da inseguire.
Quando comincerai a sentire la fatica della camminata, e la luce del sole lascerà il posto a quella
rossa del tramonto, ti ritroverai in una grande radura tra gli alberi in mezzo alla quale vedrai una
casa antica e graziosa, una casa di due piani con il tetto spiovente nel centro del quale è posta la
grande finestra della soffitta. È la casa di Sofia, la casa che ti sta aspettando per ospitarti, le pareti
sono in legno color panna e il tetto è di un verde molto scuro, ma nel complesso risulta molto
elegante anche se porta visibili su di sé i segni del tempo. Non sentirai altri suoni se non quelli del
bosco, la città sarà lontana così come la gente che la popola. Se noti bene, sono certo, scorgerai
una luce oltre la tenda della prima finestra del piano terra. La signora Sofia sarà di certo nel salotto
a ricamare alla luce della lanterna. Avanza senza timore e bussa alla porta.”
Indugiai a lungo sul limitare della radura, nella mano destra tenevo la pesante valigia, nella sinistra
il foglio che il fabbro Gordon mi aveva lasciato con le sue indicazioni così particolareggiate. Era un
uomo eccentrico, non potevo aspettarmi nulla di diverso. Lessi nuovamente la descrizione della
casa confrontandola con ciò che avevo davanti agli occhi e trovando le rispettive conferme,
compresa la luce della finestra al piano terra, l’unica ad essere illuminata.
Indossavo una giacca di stoffa scura su una camicia bianca, pantaloni dello stesso tipo e colore e
delle scarpe eleganti. Avrei preferito un abbigliamento più consono al viaggio e immaginai che
chiunque si sarebbe accorto dal mio aspetto di quanto fossi stanco, ma l’intento di apparire
ragazzo a modo fu più forte della necessità di indossare vestiti confortevoli anche se,
probabilmente, ora sembravo più trasandato di quanto sarebbe stato indossando altro. Piegai il
foglio e, dopo aver scartato i miei dubbi circa l’abbigliamento, mi risolsi ad accostarmi alla porta
della casa, posai la valigia e con un po’ di timore bussai tre volte sul legno.
Il tramonto lasciava il posto alla sera più velocemente di quanto potessi immaginare, solo da
quando ero arrivato alla radura fino a quando avevo bussato alla porta mi era sembrato che il sole
si fosse mosso seguendo ogni mio passo calando rapidamente e lasciando il posto alla luce della
luna. Dopo alcuni secondi di silenzio finalmente si sentirono dei rumori provenire dall’interno
dell’appartamento, tirai un sospiro a metà tra il sollievo e l’ansia del nuovo incontro. La porta si aprì
e dietro di questa comparve la figura di un'anziana signora, dai capelli bianchi ma con una luce
estremamente viva e giovane negli occhi e un sorriso semplice e gentile. Indossava un abito scuro,
l'abito tipico delle donne che hanno passato la loro vita a lavorare nei campi ed ora si sono ritirate
conservando dentro di loro i principi ai quali le società di un tempo erano legate.
- Vi siete smarrito? - L’anziana signora non sembrava preoccupata per la mia visita improvvisa ed il
tono della sua voce era cortese, quasi divertito nel notare il mio aspetto.
- Sono Fren Willburn, mi manda il fabbro Gordon, sto cercando la signora Sofia - feci di tutto per
mascherare l’imbarazzo di una presentazione dall'atmosfera così inusuale rispetto a quelle alle
quali ero abituato nella rapida, schematica e composta vita di città. La voce mi tradì di tanto in
tanto nel tentativo di esporre chi fossi mentre ripescavo nella mente le parole che mi ero
ripromesso di utilizzare per esprimere il messaggio più chiaramente possibile ma che ora
faticavano a venire a galla.
- Oh Gordon, sì sì sì - le labbra della signora si piegarono in un sorriso mentre apriva del tutto la
porta per farmi entrare. - Mi ha parlato di te, ho cercato di spiegargli che non doveva mandarti in
questo postaccio per assistere una povera vecchia ma non ha voluto sentire ragioni. Entra, lascia
pure le valigie qui, le riprenderai dopo.
Sofia gesticolava come se cercasse di accogliermi al meglio nell'evidente entusiasmo della novità,
questo mi intenerì lasciando che il velo opaco delle aspettative scivolasse via liberando così
l’oggettività della realtà.
Mi limitai a seguire le sue indicazioni posando le valigie e guardandomi attorno. L’ingresso della
casa era meno ampio di quanto avessi immaginato vedendola dall'esterno ma comunque spazioso,
c’erano due porte, una sul lato destro dell’ingresso e un’altra più piccola sulla parete di fronte,
accanto a un'elegante scala che portava al primo piano. Al lato sinistro dell’ingresso un arco dava
su un breve corridoio dal quale potevo scorgere un salottino illuminato. Sia il corridoio che
l’ingresso erano in penombra, accarezzati delicatamente dalla luce di una lanterna posta su un
comodino alla fine della scala mentre il resto della casa era completamente al buio ad eccezione
del salotto. In generale la casa era molto accogliente ed elegante con diversi quadri appesi alle
pareti ed arredata con mobili in legno scuro sui quali erano posati fantasiosi ricami di pizzo che
facevano da tappeto ad oggetti di ogni tipo, ogni singolo ripiano di ogni mobile era gremito di
manufatti, arnesi e utensili accumulati con il passare del tempo nell’evidente intento di abbellire
l’abitazione o semplicemente riposti e caduti in disuso divenendo articoli da arredamento. Seguii
Sofia attraverso il corridoio ed entrai nel salotto.
C’era un camino basso e profondo, subito alla mia sinistra un alto orologio a pendolo ticchettava
scandendo il tempo, un piccolo tavolo quadrato con sopra un lume acceso stava sotto la finestra
che dava sul piazzale, le tende leggere, di stoffa ricamata, erano chiuse e una grande credenza
dominava la parete destra della stanza. Davanti al camino un divano dal gusto antico, all’apparenza
molto comodo, divideva la stanza in due zone e la rendeva apparentemente più piccola. La luce
calda del lume creava un’atmosfera raccolta e, a parte il tavolo e ciò che lo circondava, gli angoli
più remoti della stanza rimanevano immersi nella penombra.
- Accomodati. Immagino sarai stanco. - La donna mi invitò a sedere e, dopo essersi assicurata che il
suo invito fosse stato accolto, fece lo stesso scuotendo la testa con aria pensierosa. - Farti fare tutta
questa strada, attraversare la città ed il bosco. Da quanto sei in viaggio?
- Da questa mattina. - Risposi tranquillamente mentre finalmente cominciai a sentirmi più a mio
agio.
- Hai avuto difficoltà ad attraversare River? - Nel fare questa domanda il suo viso si riempì di
preoccupazione.
- Nessuna difficoltà, ho seguito le indicazioni del fabbro Gordon e non ho avuto problemi - dissi
abbozzando un sorriso nel tentativo di tranquillizzarla. Poi tirai un sospiro. - Vorrei bere se non vi
dispiace - dissi con tono pacato, rapito dalla luce pesante e calda della lampada e da
quell’atmosfera accogliente che amplificava la mia stanchezza facendomi rendere conto, solo ora,
di quanto desiderassi riposare.
- Te la prendo subito. - Rispose velocemente alzandosi dalla sedia ed avviandosi oltre il corridoio.
Approfittai di quel momento di solitudine per studiare l’ambiente che mi circondava, il mio sguardo
si andò a posare sui diversi oggetti sparsi per la stanza, perlopiù cianfrusaglie, nessuna foto, notai
che nella stanza era assente il lampadario o una qualsiasi forma di illuminazione artificiale, cosa
che mi sorprese non poco e, mentre vagavo con l’immaginazione riflettendo su questo curioso
dettaglio, Sofia comparve nuovamente nel salotto con in una mano una brocca piena d’acqua e
nell’altra un bicchiere che posò sul tavolo per poi rimettersi a sedere. - Sei stato molto fortunato ad
arrivare fin qui senza nemmeno un graffio, devi essere un ragazzo in gamba - condivise con me le
sue impressioni riprendendo il discorso precedentemente interrotto e versando l’acqua nel
bicchiere che mi apprestai ad afferrare. Mandai giù un sorso e sorrisi in risposta ai modi della
donna.
- Dicono che io lo sia, ma starà a voi giudicare se mi reputate in gamba o meno.
A queste parole la donna sembrò compiaciuta ed un moto d’orgoglio si fece strada dentro di me,
consapevole di aver centrato l’approccio giusto per stabilire un buon rapporto con la padrona di
casa.
Lasciai il bicchiere dopo averlo avidamente svuotato e non potei fare a meno di tornare ad
osservare ciò che mi circondava. - Voi, signora Sofia, vivete da sola in questa casa?
La donna annuì. - Porto avanti questa casa da sola da molto tempo, le mie ossa sono vecchie ma
non abbastanza deboli da impedirmi di badare a me e alla mia proprietà.
Nelle sue parole potevo leggere una nota di fierezza e combattività e mi resi conto di provare una
certa simpatia istintiva nei suoi confronti. Mentre pensavo questo mi accorsi che la stavo fissando
con insistenza e distolsi subito lo sguardo, mi strofinai gli occhi appesantiti dalla luce avvolgente
del lume.
- E non avete mai pensato di trasferirvi in una città? Non posso credere che andiate ogni giorno allo
spaccio del fiume per comprare il cibo, è un sacco di strada. E come fate a mantenervi?
Economicamente intendo, percepite un qualche sussidio? - Nel tentativo di superare l’imbarazzo la
incalzai con una sfilza di domande che riversarono fuori da me in maniera spontanea, superando il
filtro della compostezza per mezzo della stanchezza.
- Oh, no no no - rispose subito accarezzando un paio di volte la superficie liscia del tavolo. - Non ho
bisogno di andare in città ogni giorno, ci vado una volta al mese e compro quello che mi serve dallo
spaccio sul fiume. C’è un orto dietro casa, sono una donna anziana, mi accontento di poco. La terra
mi dà il necessario per vivere, io me ne prendo cura e lei mi dà ortaggi in quantità. Per quanto
riguarda i soldi ho messo da parte qualcosina nel tempo, e per quel poco che mi resta da vivere i
miei risparmi basteranno fino alla fine.
La ascoltai osservado la sua mano, la pelle morbida e lucida, grinzosa come se al di sotto vi fosse
rimasta poca carne. Ancora una volta venne alla luce la sua combattività e intraprendenza.
- Non chiedo aiuto a nessuno, quindi non devo nulla a nessuno, i lavori di casa li faccio da me. disse.
Credetti di essere stato scortese con le mie domande ma la donna rispose ad ognuna di esse senza
scomporsi.
- Quindi non c’è proprio nessuno che vi aiuti. - Conclusi.
Lei scosse nuovamente il capo. - In realtà di tanto in tanto il taglialegna Tom mi ha offerto il suo
aiuto, ma fino ad oggi ho sempre rifiutato, è una persona… - la voce di Sofia sembrò prendere
un’inclinazione più seria lasciando in sospeso la frase e subito dopo si zittì.
Il suo sguardo era fisso sulla superficie del tavolo come se stesse navigando tra i suoi pensieri.
Rimasi in bilico su quella lunga pausa, imbarazzato dal silenzio, ma fortunatamente dopo qualche
interminabile secondo sembrò tornare in sé.
- Tutto bene? - Non potei evitare di chiedere e lei mi guardò sorridendo.
- Sì sì, pensavo che domani dovrò sistemare una cosa in cucina, me ne ero completamente
dimenticata ed ora mi era tornata in mente.
Sorrisi a mia volta, tranquillizzato. - Potrò farlo io se mi dite qual è il problema.
Sofia si oppose con decisione. - No, ora è tardi e tu hai fatto un lungo viaggio, domani penseremo a
domani, oggi pensiamo ad oggi. - A questo punto si alzò dalla sedia prendendo il lume tra le mani. Ti mostro la tua stanza.
Non aggiunsi nulla a quelle parole limitandomi a seguirla in silenzio.
Sofia si diresse verso l’ingresso e salì le scale facendomi strada, man mano che avanzava la luce del
lume scivolava sulle pareti e sul mobilio svelando i dettagli dell’arredamento come un velo di seta
che scivola sospinto dal vento mostrando i contorni degli oggetti sui quali si posa per poi ricadere
oltre. Il primo piano era composto da un lungo corridoio con alle estremità due finestre, alla
sinistra della scala un corrimano in legno creava una piccola balconata dalla quale ci si poteva
affacciare sull’ingresso. In tutto potei contare quattro porte: una alla destra della scala, una alla
sinistra della balconata e due sulla parete opposta. L’arredamento, a differenza del piano inferiore,
era povero: un singolo comodino nel centro del corridoio, sotto un grande quadro raffigurante una
scena di pesca. La luce inondò il corridoio scintillando sul legno verniciato delle porte e
illuminando la carta da parati a fantasie floreali di color verde chiaro su sfondo beige.
- Domani ti farò vedere tutta la casa, adesso credo tu voglia riposare - disse mentre apriva il
cassetto del piccolo comodino a ridosso del muro prendendo un mazzo di chiavi che fecero rumore
battendo una sull’altra. - Da questa parte.
Restai in silenzio seguendo l’anziana donna, trascinato dal corso dei miei pensieri che viaggiavano
cibandosi delle novità che man mano si svelavano alla mia vista. Una strana sensazione di disagio
aleggiò nella mia mente quando mi resi conto di non comprendere a pieno quella anziana donna
così intraprendente, fu come avvertire una presenza minacciosa ma attribuii alla stanchezza le mie
emozioni rimandando le congetture a quando sarei stato più lucido e riposato.
Sofia si fermò davanti alla porta alla destra della scala, cercò una chiave tra quelle del mazzo e la
infilò nella serratura ruotandola un paio di volte per poi estrarla ed aprire. - Ti sistemerai qui sopra,
era la soffitta ma, non avendola mai usata, è diventata una stanza per gli ospiti. Non che abbia mai
avuto ospiti ma il mio buon padre ci teneva particolarmente.
La porta dava direttamente su una scala stretta e piuttosto ripida che saliva verso destra, mi
affacciai guardando verso l’alto, la luce della luna attraversava la porta superiore che era aperta e
illuminava debolmente la salita.
- Sali pure, ti prendo le lenzuola. Non sapevo quando saresti arrivato.
Non risposi, mi limitai ad annuire con un sorriso forzato e salii nel buio, con un po’ di difficoltà, fino
a quando, giunto alla fine dei gradini, mi ritrovai in una piccola stanza. Con sollievo mi resi conto
che sulla parete c’era l’interruttore della luce, lo pigiai senza alcuna aspettativa e, contrariamente a
quanto avessi immaginato, due luci, poste rispettivamente sulla parete che avevo di fronte e su
quella a destra, si accesero. Il soffitto della stanza era piuttosto basso, per un terzo spiovente verso
il piazzale antistante alla casa. Al centro della parete più lunga si trovava un’ampia finestra che
andava dal pavimento fino al basso soffitto, mi ci accostai guardando fuori e mi soffermai ad
osservare il cielo stellato e le sagome delle chiome degli alberi. Il piazzale era appena illuminato
dalla luce della luna ed il bosco appariva come una macchia nera e sinistra, sul lato destro della
stanza c’era un letto singolo con un materasso senza lenzuola e con a fianco un comodino, su
quello sinistro invece si trovava un piccolo scrittoio molto elegante, con la sua sedia, sul quale era
posto un lume e alla destra della finestra c’era una cassettiera in legno. L’arredamento era molto
povero ma anche in questo caso risultava efficace nel creare un’atmosfera calda ed accogliente alla
luce gialla e debole delle vecchie lampadine.
Sofia salì le scale a fatica, lentamente, con in mano una pila di coperte pulite. Quando arrivò nella
stanza avevo già aperto la valigia, pronto a disfare i bagagli. - Ecco qua - disse superando l’ultimo
gradino con un po’ di sforzo. - Spero che ti piaccia. La stanza è piccolina ma c’è tutto quello che
serve.
Annuii sorridendo con cortesia. - Mi piace molto, mi piace moltissimo anche questa finestra - dissi
indicandola - e non ho bisogno d’altro, vi ringrazio c’è davvero tutto quello che serve.
Sofia sorrise soddisfatta posando le lenzuola sul materasso. - Bene, bene. Buona notte allora,
domani mattina non c’è bisogno che ti svegli presto, riposa pure quanto desideri e se dovesse
servirti qualcosa la mia stanza è quella alla sinistra della scala, però ho il sonno leggero e faccio
fatica ad addormentarmi, quindi preferisco non sentire rumori o essere svegliata la notte - si fece
un po’ più seria nel riferire queste indicazioni e dopo essersi assicurata con un'occhiata che non
mancasse nulla, si avviò nuovamente verso le scale.
Rimasi in attesa, aspettando di sentire il rumore della porta che si chiudeva e solo allora tirai un
sospiro profondo, come se questo racchiudesse in sé le informazioni necessarie per decidere da
dove avrei dovuto cominciare a sistemarmi. Ero stanco, ma non abbastanza da riuscire a mettermi
a dormire senza aver preso confidenza con il nuovo ambiente. Sistemai il letto rivestendolo con le
coperte pulite e poi, cercando di non fare rumore, aprii lentamente i cassetti del largo mobile e
cominciai a disfare la valigia. Quando ebbi finito di sistemare le mie cose mi sentii soddisfatto e
finalmente mi lasciai cadere sul letto rimbalzando appena all’urto.
Contemplai la stanza a lungo, osservai il soffitto, mi lasciai trasportare dalle sfumature di luce
cercando di cogliere e gustare quella piacevole ed entusiasmante sensazione del trovarsi in un
posto nuovo che tanto si conciliava con i miei gusti. Lasciai che i pensieri si alternassero nella mia
mente e li osservai scorrere fino a quando mi rilassai a tal punto che la stanchezza prese il
sopravvento e mi addormentai senza nemmeno avere la preoccupazione di togliermi i vestiti.
(Un cucchiaino posato nella polvere, sul tavolo)
Giorno 2
La notte scura attenuò i suoi colori ed il cielo si tinse di viola sfumando sempre di più fino al
luminoso azzurro del giorno rischiarato dall’astro infuocato. Mi svegliai che il sole era già alto nel
cielo, avvertivo su di me il fastidioso e opprimente senso di calore dei vestiti sulla pelle, mi misi a
sedere sul letto, confuso, restando immobile per alcuni secondi prima che la mia mente riuscisse
finalmente ad abbandonare del tutto il torpore onirico ricollegandosi alla realtà che mi circondava.
Mi sollevai con indolenza avvicinandomi alla finestra e guardai fuori, la luce del sole sul mio volto
era calda e la giornata luminosa, il cielo era sereno ed il piazzale deserto.
Mentre mi svestivo degli abiti del viaggio notai che sulla cassettiera era stata posizionata una
bacinella con dell’acqua ed un asciugamani, Sofia doveva essere entrata mentre dormivo e mi sentì
in colpa per essere rimasto così a lungo, evidentemente troppo a lungo, nell’abbraccio del riposo.
Immersi le mani nell’acqua della bacinella, era fresca, e nella calura del mattino bastò quello a
rinvigorire il mio corpo facendomi svegliare del tutto, mi sciacquai la faccia e le braccia per poi
asciugarmi e indossare abiti puliti. Prima di uscire dalla stanza guardai ancora una volta fuori dalla
finestra e a mente lucida potei apprezzare maggiormente quella calma luminosa che mi si
presentava d’innanzi, respirai a fondo per gustare il momento in ogni suo piccolo dettaglio per poi
dirigermi giù per le scale.
Il corridoio del primo piano era vuoto e la casa, ora, alla luce del sole, appariva più spaziosa e mi
resi conto di quanto ogni minimo particolare dell’arredamento fosse accuratamente studiato per
creare un preciso, caotico, ordine. Raggiunsi il salotto e anche qui non trovai nessuno e anche qui
la luce del giorno ridimensionava l’ambiente cambiandone completamente l’aspetto. Mosso dalla
curiosità decisi di cominciare da me il giro di perlustrazione, mi diressi all’ingresso, verso la piccola
porta alla sinistra della scala, ruotai la maniglia e la aprì affacciandomi all’interno, oltre la porta
c’erano delle scale strette e ripide che scendevano fino a quello che doveva essere lo scantinato, la
richiusi e mi diressi verso quella che si trovava alla destra dell’ingresso ritrovandomi così in una
luminosa cucina dal mobilio elegante e pratico e dai colori morbidi in tinta azzurra, colori che
venivano esaltati dalla luce del sole rendendo la stanza graziosa e accogliente. La cucina non era
particolarmente spaziosa ma neanche eccessivamente piccola, nel centro c’era un tavolo di legno
dipinto delle stesse tonalità dell’arredamento, sulla parete sinistra una grande stufa a legna che
fungeva anche da piano cottura, sulla parete opposta all’ingresso della stanza c’erano dei piccoli
mobili da cucina ad incastro che la percorrevano per i tre quarti ed una finestra che copriva quasi
la stessa porzione di parete dei mobili sui quali si trovava, la luce del sole passava attraverso delle
tendine leggere dalle fantasie colorate. C’erano altre due porte, una accanto alla stufa oltre la
quale si trovava il bagno e la seconda esattamente di fronte alla porta dalla quale ero entrato che
dava sul retro della casa.
Notai anche che all’interno della cucina c’erano diverse luci alle pareti e accanto alle porte i
rispettivi interruttori. Aggirai il tavolo studiando i dettagli della stanza e gli oggetti che la
arredavano e, accostatomi alla finestra, finalmente scorsi Sofia nell’orto: un ampio fazzoletto di
terra circondato da una bassa staccionata e coltivato con cura.
Era chinata sulle piante, alle mani dei guanti da lavoro ed infilato al braccio sinistro un cesto di
vimini, intenta a raccogliere ortaggi.
Aprii la porta che dava sul giardino e fui travolto dalla luce diretta del sole che all’inizio mi accecò
costringendomi a socchiudere gli occhi e voltare il capo ma bastarono pochi istanti perché la vista
si abituasse alla luce e raggiunsi la donna avvicinandomi alla staccionata.
- Buon giorno - salutai alzando il tono della voce per farmi sentire.
Sofia tornò in posizione eretta con un po’ di fatica, sul suo viso era evidente lo sforzo ma sorrise
subito dopo. - Ben svegliato.
Anche se non fece alcun riferimento all’orario mi sentì nuovamente in colpa.
- Sono mortificato, avrei voluto alzarmi presto oggi - non riuscì ad aggiungere altro mentre la
donna si avvicinava.
- Non ti preoccupare, hai fatto bene a dormire, almeno ti sei riposato.
Sorrisi confortato dall’atteggiamento materno della donna - non credevo che l’orto fosse così
grande.
Sofia si poggiò alla staccionata annuendo alle mie parole, con sconforto - ormai sono vecchia, lo
vedo ogni giorno più grande e più difficile da curare.
Sorrisi. - Sono qui per questo, lasciate che me ne occupi io e riposate, avete lavorato abbastanza
per oggi.
Mi fece un cenno con la mano per dissentire alla mia affermazione - non dire sciocchezze
giovanotto, non ho da riposare. Dunque - e mi indicò la terra alle sue spalle - sai riconoscere le
piante?
Risposi di sì.
- Bene, ci sono carote, cavolfiori, cipolle, lattughe, salvia. Entra e vedi da te come sono sistemati, il
pozzo è da quella parte - indicò adesso un sentiero che passava dal retro della casa e che
s’inoltrava nel bosco dalla parte opposta - segui la strada, è subito dopo i primi alberi, mentre gli
attrezzi sono lì - disse indicando questa volta un piccolo capannino di legno posto ad un angolo
dell’orto.
- Va bene, non preoccupatevi me ne occupo io. - Risposi inseguendo con lo sguardo le indicazioni
della donna.
- Se ti serve qualcosa chiedi pure. - Concluse infine lanciandomi un’ultima occhiata prima di
allontanarsi.
Sofia tornò in casa ed io rimasi da solo a contemplare la nuova strada che mi si presentava innanzi,
abituato com’ero alla vita di città questa dimensione di quiete e semplicità era un'esperienza
completamente nuova. Avevo svolto molti lavori per aiutare mio padre, ero sempre stato un tutto
fare fino a quando il fabbro Gordon mi prese a lavorare con sé.
Gordon era un uomo anziano e saggio, aveva le risposte a qualsiasi domanda e quando non voleva
darmi le risposte mi forniva sempre gli strumenti per trovarle. Un uomo incredibilmente umile che
lavorava per aiutare chi lo circondava, avrebbe potuto scalare le più alte vette del successo con la
sua conoscenza della vita e della natura umana ma reputava il potere un gioco inutile nel quale
gettare la propria esistenza.
Mi diceva spesso che la bellezza della natura è dovuta alla sua paradossale duplicità: essere
estremamente complessa e allo stesso tempo incredibilmente semplice. La perfezione contempla
la semplicità, quel sottile nesso logico alla base degli equilibri delle cose, un minuscolo ingranaggio,
una regola banale, un primordiale istinto di esistenza. Qualcosa di talmente semplice che l'essere
umano non è in grado di coglierla, la mente umana non è in grado di operare in una dimensione di
assoluta assenza di complessità, in quella forma pura, candida e unica, estremamente semplice che
è la perfezione della natura, un profumo leggero che si sente appena e che ci scoinvolge perchè
non riusciamo a comprenderlo; infatti l'uomo non può comprendere l'assoluta perfezione delle
cose ma può percepirla e la percezione è una forma di partecipazione che esclude la volontà di
controllo che è caratteristica degli esseri umani. Così nella volontà di comprendere tendiamo ad
aggiungere elementi alla nostra vita, inseguiamo i sogni invece di costruire realtà, viaggiamo per
trovare noi stessi quando basterebbe fermarsi, restare immobili e semplicemente <<partecipare>>
alla pura ed elegante armonia del cosmo, dovremmo togliere fino ad arrivare al centro di noi stessi,
alla base della vita per scoprirne la vera essenza.
A volte, quando scorgevamo un gatto passare davanti alla porta dell'officina o un uccello librarsi
alto nel cielo, Gordon mi chiedeva come facessero quegli animali, secondo me, a vivere
un'esistenza completa e nella giustizia della natura, usando la violenza laddove fosse necessaria
ma privandola del concetto di bene o di male, vivendo in gruppi, senza politica, senza soldi, senza
un’intelligenza sviluppata come la nostra, aggrappati al midollo della vita, apprezzando con
incredibile entusiasmo le conquiste più semplici, vivendo e sopravvivendo, dall’inizio alla fine
adattandosi alla natura, senza barattare la propria libertà. Un pensiero banale a cui nessuno osa
dare una reale risposta che non rappresenti una scusa.
Vendere il proprio tempo e il proprio lavoro equivale a vendere la propria libertà sottomettendosi
a un padrone, divenire, non più persone ma, semplici strumenti che richiedono una minima spesa
per essere conservati in vita e operativi. L uomo moderno è talmente abituato a questo sistema da
considerarlo naturale e normale me ciò avviene solo perchè noi permettiamo a qualcun altro di
tenere per sé le risorse di tutti, accettiamo il ricatto per poi ricevere quello che ci spetta a piccole
dosi come animali in una fattoria.
Una volta mi chiese cosa sarebbe successo se mi avessero tolto i soldi, il lavoro, la società, sarei
morto? No, non sarei morto, mi sarei lasciato morire inseguendo ciò che avevo perso, anziché
adattarmi alla libertà e vivere la mia vita secondo natura avrei inseguito ciò che avevo perso
credendo di aver perso tutto, mi sarei dato per sconfitto, avrei perso nel gioco della vita, ma la vita
non è un gioco, non si vince e non si perde, si vive e si migliora, ci si adatta e si creano nuovi
equilibri. L’essere umano è una creatura comoda, cerca quello che gli permette di utilizzare il
minimo sforzo, si muove nell’ambiente che conosce e questo ha permesso a gente senza scrupoli di
creare gerarchie immaginarie fondate sul potere economico, militare e religioso, poteri talmente
radicati e difficili da sgominare da far sì che, pur di non accettare che la sua vita scorre in maniera
sbagliata, l'uomo si accontenti del poco che gli viene dato, si convinca di avere ragione e plasmi la
sua realtà su quello che gli altri gli dicono essere la realtà, nutrendosi degli svaghi che la società gli
offre per non dover pensare e comprendere la profonda compromissione della propria esistenza.
Se gli si dice che i politici comandano allora è così, se gli si dice che per vivere servono i soldi allora
è così, se gli si dice che il cibo lo dà il datore di lavoro e non la natura allora per l’uomo civile deve
essere così, sono tutti troppo convinti di questo e troppo indolenti e comodi per cercare anche di
pensare una possibile alternativa.
Con il tempo arrivai a pensare che quell’intelligenza sviluppata che abbiamo rispetto agli animali in
parte fosse solo un problema, una sorta di stupidità più sviluppata della loro. Adesso invece mi
trovavo alla svolta che mi avrebbe permesso di applicare le parole del fabbro Gordon cercando di
togliere fino a raggiungere il centro della mia vita.
Mi misi subito a lavoro, entusiasta di questa nuova prospettiva e consapevole di aver dato inizio a
qualcosa di importante, un nuovo capitolo della mia storia.
Sofia venne a chiamarmi per il pranzo, nella foga della novità avevo lavorato con rinnovate energie
facendo in poche ore più di quanto lei avrebbe potuto in più giorni di lavoro. Sembrò soddisfatta
del mio fervore e questo mi fece presto dimenticare la fatica. Pranzammo in cucina e dopo il pasto
lei andò a riposare mentre io mi spostai nel salotto e mi stesi sul divano cominciando a prendere
confidenza con quella che sarebbe stata la mia nuova casa.
Quando l’orologio a pendolo scoccò le quattro aprii gli occhi realizzando di essermi addormentato.
La casa era silenziosa, il sole ancora alto nel cielo e ogni cosa era come assopita nella calura del
pomeriggio.
Mi spostai in cucina, trovai il barattolo del caffè e cominciai ad assemblare la caffettiera, accesi il
fuoco e misi la caffettiera sulla piastra. Dopo pochi minuti l’acqua del serbatoio cominciò a bollire e
l’aroma della calda bevanda scivolò fuori dal suo scrigno metallico riempiendo l’aria della stanza
con la sua piacevole e avvolgente fragranza. Mentre la caffettiera si riempiva rimasi immerso nei
miei pensieri. Ero poggiato al tavolo della cucina quando fui assalito da una forte e inaspettata
sensazione di disagio, scossi la testa quasi a voler scacciare quel vago senso di smarrimento che si
stava affacciando nella mia mente ed ebbi come l’impressione di sentire la voce di una giovane
donna, cercai di concentrarmi focalizzando l’attenzione su quel particolare e convincendomi, in
fine, che si trattasse di una mia fantasia generata dall’eccessivo silenzio e dal suono dell'acqua
nella caffettiera. Tranquillizzato preparai una tazzina con lo zucchero ma di colpo un altro rumore,
questa volta reale, nitido, mi fece sobbalzare. Alzai lo sguardo in direzione della porta e riuscì a
sentire distintamente la voce di una ragazza, come un sussurro portato dal vento che subito
svanisce. Una scarica di adrenalina percorse la spina dorsale e rimasi immobile, in ascolto.
Nuovamente quella voce mi raggiunse, ero certo che non si trattasse della voce di Sofia ed ero
altrettanto certo che in casa non ci fosse nessuno oltre a me e la donna.
Rapidamente raggiunsi la porta della cucina, la aprii ma non vidi nessuno, salii le scale e mi accostai
alla porta della camera di Sofia, la schiusi appena e vidi la donna riposare nel suo letto. Scesi
nuovamente al piano inferiore, questa volta quasi di corsa e ancora una volta sentii la voce
femminile provenire, adesso, dallo scantinato. Mi avvicinai alla piccola porta accostando l’orecchio
al legno ed il cuore battè con un tonfo quando la voce spezzò il silenzio ancora una volta, squillante
e definita.
- William, tesoro scendi la valigia della piccola dalla macchina, arrivo!
Con uno scatto posai la mano sulla maniglia e spalancai la porta ma, nel momento esatto in cui lo
feci, la sagoma di una donna mi investì, all'istintivo spavento per l'imminente impatto si accostò la
confusione più profonda quando avvertii la sagoma passarmi attraverso, come un vento caldo e
denso che mi trapassava la pelle. Stordito caddi a terra battendo la testa, ricordo solo il suono della
caffettiera e poi il buio.
Quando rinvenni mi trovavo steso sul divano, Sofia aveva avuto la forza di trascinarmi fin lì.
- Cos’è successo? - Chiesi istintivamente cercando di ricostruire mentalmente il motivo per cui mi
trovavo in quel luogo.
- Questo succede a lavorare tante ore sotto il sole senza neanche un cappello - rispose Sofia che
era seduta accanto a me, aveva spostato il tavolo e stava immergendo uno straccio in una bacinella
piena d'acqua.
- Ho visto una donna - cercai di mettermi seduto ma la mano di Sofia mi fermò costringendomi a
restare steso.
- Stai tranquillo Fren, è stato un colpo di sole, può capitare, la prossima volta starai più attento - mi
posò lo straccio bagnato sulla fronte.
Non risposi, cercai di ricordare e riaffiorarono alla mente le immagini di quella visione: una ragazza
bionda dai vestiti bizzarri, dei jeans da lavoratore e una maglietta molto attillata, aveva delle
scatole tra le mani. Mi chiesi se fosse possibile che la mia immaginazione avesse potuto dar vita ad
un’esperienza così reale, poteva essere stato davvero un colpo di sole, eppure stavo bene, non
sentivo altro se non il dolore alla testa dovuto all’urto.
(Barattoli di more nei profumi dell’estate)
Giorno 5
Nei giorni che seguirono all’incidente dello scantinato cercai di convincermi che l’esperienza che
avevo vissuto era stata una creazione della mia mente nonostante l’immagine della donna
continuasse a tormentarmi ogni qual volta il mio pensiero si trovasse a vagare nel trasporto della
fantasia.
Dopo tre giorni dall’inizio della mia nuova vita avevo già cominciato a prendere dimestichezza con
il lavoro e con la casa, non avevo osato riaprire la discussione con Sofia ma ero consapevole che
prima o poi quel momento sarebbe arrivato. In effetti il caso volle che non dovessi essere io a
decidere quando.
Eravamo seduti a tavola, nella piccola cucina, il sole era calato già da qualche ora e la notte era
particolarmente scura, fredda nonostante la stagione. Nuvole nere coprivano le stelle minacciando
tempesta e la luna si intravedeva appena quando queste, scivolando nell'aria, concedevano al
bosco un respiro di flebile luce.
Cenavamo alla luce di un lume posto al centro della tavola, mi ero già abituato a quel bagliore
soffuso al punto da ritenerlo quasi piacevole. Eravamo in silenzio, ascoltavamo entrambi il forte
vento che sibilava tra le fessure delle vecchie pareti in legno, tra le porte e le finestre. Il tempo
peggiorava minuto dopo minuto e Sofia era visibilmente preoccupata, immaginai che fosse per le
condizioni dell’orto e non ebbi il coraggio di rassicurarla data l’oggettività del rischio che la
staccionata o il capanno degli attrezzi cedessero. Il fischio del vento accompagnava le folate che
colpivano la casa con cadenza irregolare, cominciava piano, aumentava di intensità diventando via
via più acuto per poi placarsi nuovamente scomparendo per pochi secondi e poi ancora con diversa
intensità. La porta della cucina vibrava tra le cerniere dando a volte l’impressione che stesse per
cedere alla forza del vento, quasi piegandosi verso l’interno. Ogni volta i nostri sguardi preoccupati
si rivolgevano a quella parte e ogni volta accresceva la nostra allerta.
Restammo a lungo in silenzio e fu Sofia a parlare per riportare l’attenzione all’interno della casa.
- Domani andrò allo spaccio sul fiume, hai bisogno di qualcosa? - Chiese allontando da sé il piatto
ormai vuoto.
Mi sforzai di mandare giù in fretta il boccone per rispondere - In effetti mi servirebbero delle lame
per il rasoio ma è una cosa che posso sbrigare da me, se mi date una lista del necessario posso
andare io allo spaccio.
Sofia scosse la testa con convinzione. - Non se ne parla, conosco la strada e i modi per non
cacciarmi nei guai. Non si sa mai quello che può accadere vicino la città. Una povera vecchietta non
rappresenta una minaccia agli occhi di un soldato mentre tu potresti attirare l’attenzione.
Il suo discorso mi sembrò quadrare e mi limitai ad annuire in silenzio mentre finivo di consumare il
mio pasto alla flebile luce del lume.
All’improvviso un forte sibilo ci fece voltare nuovamente verso la porta che tremò terribilmente,
restammo entrambi in ascolto della miriade di suoni che si facevano spazio nella notte quando di
colpo qualcosa si abbatté con frastuono sulla parete della cucina, il suono fu così violento che
sobbalzammo sulle sedie. Mi alzai avvicinandomi con cautela alla finestra, guardai fuori ma nel
buio della notte non riuscì a distinguere nulla, il vento continuava a soffiare implacabile facendo
sbattere, ora, le ante delle finestre e facendone tremare i vetri, mi sforzai nuovamente di guardare
fuori.
Sofia si avvicinò a me con il lume tra le mani - cos’era?
Rimasi in silenzio scrutando l’oscurità e la donna provò a dare una sua versione.
- Il vento avrà fatto volare via il secchio o magari una cassa - disse preoccupata.
- Era troppo forte per essere un secchio o una cassa. Devo uscire a controllare - risposi
allontanandomi dalla cucina a passo svelto, verso l’ingresso. Afferrai il cappotto indossandolo.
- Non vorrai uscire la fuori?
La oltrepassai tornando in cucina - è solo vento - risposi sorridendo per tranquillizzarla.
Premetti l’interruttore della luce della cucina ma non accadde nulla, la donna mi restò accanto.
- Le luci del piano terra non funzionano, non le ho cambiate perché non le uso mai - nel suo tono
era possibile leggere una nota di rammarico come se si sentisse colpevole.
- Non fa niente - dissi prendendo la lanterna appesa accanto alla porta ed accendendola con un
fiammifero della cucina.
Sofia mi osservò senza dire una parola.
Quando aprì la porta del giardino una folata di vento gelido mi colse di sorpresa facendomi
indietreggiare di un passo, mi strinsi nel cappotto e uscii all’esterno richiudendo la porta dietro di
me.
Fuori era il buio ad avere la meglio sulla mia vista e nè la luce proveniente dalla finestra della
cucina nè la luce della lanterna sembravano riuscire ad illuminare a sufficienza ciò che mi
circondava. Sollevai la lanterna per guardare nella direzione dalla quale era provenuto il rumore
ma non riuscì a scorgere nulla, solo la sagoma confusa della casa e degli oggetti accatastati a
ridosso della parete. Cominciai a camminare lungo il muro guardando a terra nella speranza di
trovare qualcosa, il suono del vento sovrastava i pensieri e la preoccupazione montava dentro di
me a ogni passo. La lanterna oscillava tanto da rendermi difficile il semplice far luce per illuminare i
miei passi quando finalmente scorsi qualcosa. Poco lontano da me intravidi una sagoma ed il
respiro mi si smorzò in gola, rimasi impietrito mentre il vento mi spingeva da quella parte:
un'ombra nera, immersa nel buio, oscillava appesa ad un palmo da terra sbattendo contro la
parete con sordi tonfi, mi avvicinai ancora d’un passo sollevando una mano nel tentativo di
riparare gli occhi dal vento, cercando di guardare meglio e man mano che la luce si avvicinava
l’ombra nera rivelava le forme di un una persona, il cuore mi si fermò nel petto, sollevai
nuovamente la lampada, incredulo, e mi resi conto che le mie considerazioni erano state affrettate.
Il vento forte aveva sradicato i pali sui quali era teso il filo che Sofia utilizzava per stendere i panni
facendoli volare come dei proiettili contro la casa, quello che vedevo era proprio questo: uno dei
pali era stato divelto dal terreno abbattendosi sulla casa e trascinandosi dietro un pezzo del
secondo palo che era rimasto appeso al filo con sopra impigliato un abito di Sofia che, sospinto dal
vento, volava nell’aria come una bandiera. Mi rassicurai facendo un profondo respiro e mi resi
conto che il palo più grande aveva danneggiato la parete creando uno squarcio nel legno.
Tornai in casa a passo svelto ed il passaggio dall’esterno all’interno mi sembrò come passare dal
frastuono di un bombardamento alla quiete improvvisa. Sofia mi stava aspettando ansiosa.
- Allora cos’è stato?
Posai la lanterna al tavolo sfilandomi il cappotto ed abbandonandolo sulla spalliera della sedia.
- Si sono sganciati i pali della biancheria, il vento li ha scaraventati sulla casa bucando la parete del
bagno. - Cercai di parlare con tono pacato, di mascherare lo spavento di poco prima.
Alle mie parole Sofia si portò una mano davanti alla bocca - santo cielo avrebbe potuto rompere la
finestra mentre stavamo mangiando.
Mi sforzai di fare un sorriso - non è successo niente, domani mattina riparerò il danno. Adesso ci
metto qualcosa di provvisorio - presi i piatti dalla tavola posandoli nel lavandino. - In città non ho
mai visto un vento così forte - spiegai mentre Sofia si affacciava oltre la porta del bagno per vedere
con i suoi occhi quel che era successo, ancora apparentemente sconvolta.
- Questa casa ne ha viste di tutti i colori, ogni tanto succede che il tempo si guasti così - disse
tornando in cucina e piegando la tovaglia per poi riporla in un cassetto. - Nello scantinato troverai
tutto quello che ti occorre, la luce funziona lì - aggiunse con premura sottolineando quel dettaglio
e io mi limitai ad annuire bevendo un bicchiere d’acqua per poi riporre anche quello nel lavandino.
Qualche minuto dopo Sofia mi diede la buona notte avviandosi verso la sua stanza. Rimasi a lungo
in cucina ad ascoltare il vento, poi entrai nel piccolo bagno. Oltre la porta c’era una lunga vasca da
bagno, dopo questa, sulla parete, i sanitari e alla mia destra il lavandino. Il buco si trovava sotto
una piccola finestra che si affacciava sul retro della casa. Dopo aver ispezionato con attenzione
l’entità del danno cercai di rimuovere il palo che aveva trapassato la parete, tentai più volte ma
riuscii solo quando lo calciai con forza verso l’esterno con la suola del tallone. Constatai la necessità
di una riparazione urgente dato che il vento, soffiando, smuoveva le assi rotte esercitando una
forte pressione nell’incanalarsi attraverso l’ampia fessura. Il solo pensiero di dover scendere nello
scantinato mi fece tornare in mente l’immagine della giovane donna e un brivido percorse il mio
corpo.
Mi diressi verso la piccola porta accanto alla scala, posai la mano sulla maniglia e la feci ruotare
aprendo lentamente. La scala era buia e prima di addentrarmi tastai istintivamente la parete
trovando l’interruttore. La luce si accese. Il vento fuori continuava soffiare con violenza ma adesso
mi sentivo al sicuro tra le mura di casa e questa sensazione rese quel suono piacevole come una
musica rilassante in comunicazione con lo spirito. Scesi i gradini uno alla volta ritrovandomi in fine
in un ambiente diverso da quello che mi aspettavo: una piccola stanza dalle pareti bianche e mal
conservate, lo stucco era caduto in diversi punti e le macchie di umidità percorrevano il perimetro
del soffitto, la stanza doveva essere più ampia di venti passi per lato ma era talmente gremita di
scatole e vecchi mobili che sembrava grande la metà. Una moltitudine di scatoloni erano
accatastati sul lato sinistro, pieni di polvere e ragnatele, al ridosso della parete di fronte si
trovavano un paio di scaffali sui quali erano riposte altre scatole e oggetti da lavoro, anch’essi
impolverati. Al centro della stanza un tavolo rettangolare e qualche sedia impolverata mentre
nell’angolo opposto un armadietto e qualche mobile rovinato dal tempo.
Cominciai ad aprire i cassetti e le ante dei mobili alla ricerca di qualcosa che potesse tornarmi utile,
sentivo l’odore della polvere e del legno vecchio, rinsecchito e degradato. Finalmente trovai, in uno
dei cassetti, un martello e una scatola di chiodi ma, per vedere se c'era altro che potesse tornarmi
utile o forse per la semplice curiosità di scoprire qualcosa di antico e particolare, continuai la mia
ricerca fino a quando, nello scaffale inferiore di un armadietto, scorsi una serie di fogli che
catturarono la mia attenzione. Li raccolsi passandoci sopra la mano nel tentativo di togliere un pò
di polvere, fui costretto a trattenere il respiro per non inalarla, attesi qualche secondo e poi
osservai ciò che avevo trovato. Le pagine erano ingiallite, l'inchiostro scolorito, erano tutte scritte a
mano con grafia elegante e lineare, tra i vari documenti trovai anche alcune foto che sfogliai
rapidamente fino a quando un dettaglio mi costrinse a fermarmi. Rimasi paralizzato, incredulo
davanti a una foto che raffigurava una ragazza, un viso familiare, la mia mente ci mise un pò prima
di accettarlo ma la ragazza nella foto era la stessa che avevo visto alcuni giorni prima, una ragazza
con dei pantaloni chiari, una camicetta bianca e con un paio di occhiali scuri sui capelli. I pensieri
tornarono a ruotare vorticosamente nella mia testa, non riuscendo a trovare un filo logico che
potesse collocarli nella loro giusta posizione, piegai i fogli e li infilai in tasca, dovevo studiare con
calma quei documenti. Frettolosamente afferrai un pannello di legno che trovai accatastato su una
montagnola di cianfrusaglie e risalì le scale.
Non ci volle molto a riparare provvisoriamente la parete del bagno ma il lavoro assorbì i miei
pensieri facendomi quasi dimenticare quello che avevo trovato nello scantinato. Quando terminai
le riparazioni mi diressi finalmente in camera, stancamente salii le scale, accesi la luce, mi sedetti
sul letto e tirai fuori dalla tasca i fogli spiegandoli sul letto. Cercai la foto e quando la trovai
strabuzzai gli occhi portandomi una mano alla tempia e tirando un sospiro, stranito. La foto che
stavo guardando raffigurava la stessa ragazza ma ora indossava un abito lungo e vaporoso, e aveva
un’acconciatura elegante, il viso era uguale ma anche la foto appariva ora ingiallita e rovinata.
Mi alzai dal letto e mi misi a sedere alla scrivania, studiai ogni foto ed ogni pagina, cercai
l'immagine che avevo visto, tornai nello scantinato e misi a soqquadro il mobile, controllai di non
averla persa nel tragitto dal bagno alla camera ma nulla, la foto non c'era. Un senso di angoscia mi
avvolse, mi sentivo sconfortato e incapace di comprendere. C’era qualcosa di assurdo in tutto ciò.
La stanchezza e lo shock dell’esperienza avuta qualche giorno prima stavano ancora avendo i loro
influssi su di me portandomi a vedere ciò che mi circondava come una proiezione dei miei
pensieri? Presi una lettera e cominciai a leggere.
“Mia cara,
Stamane, mentre mi recavo presso la cara Agata, su per la montagna, mi sono imbattuta in un
gruppo di guerriglieri che marciavano verso River. Non saprei dire quali fossero le loro intenzioni
ma, seguendoli, li vidi accamparsi e preparare l’armi.
Fortunatamente nessuno di loro s’avvide della mia presenza e potei rientrare a casa per scrivervi
questa lettera che affiderò alle mani di mia figlia perché possa portarvela di persona.
Prevedo giorni funesti, pur non comprendendo la ragione della presenza di questo piccolo esercito,
di certo presagio di sciagura, e per questo vi prego con tutto il cuore di voler ospitare mia figlia
poiché la vostra casa è di certo più sicura, lontana dalle strade della città e so che voi potrete
prendervene cura.
Vi prego con tutto il cuore di voler accogliere la mia preghiera.
In fede
Susanna Mayer”
Studiai con attenzione il foglio alla ricerca di una data che però non trovai, rinunciai per un
momento al tentativo di comprendere il paradosso della foto, ora mi sentivo emozionato per il
ritrovamento di quel documento di chissà quanti anni prima, rileggendola riuscì quasi a scorgere la
figura di questa madre preoccupata e con l'immaginazione, seguì la giovane ragazza attraverso il
bosco, immaginai l’angoscia di un futuro incerto, probabilmente nella casa in cui ora mi trovavo.
Avrei voluto andare da Sofia a chiederle se era a conoscenza di quelle lettere e di quelle foto ma
era tardi e ricordai la raccomandazione di non disturbarla, così mi spogliai e mi stesi sul letto.
La stanchezza aveva abbandonato il mio corpo e anche il sonno sembrava avermi lasciato, spensi le
luci mettendomi sotto le coperte. Non riuscivo a chiudere gli occhi senza trovarmi d’avanti
l'impaurita Susanna che seguiva un manipolo di soldati o della ragazza che bussava timidamente
alla porta di questa casa, proprio quella che ora mi ospitava. Queste immagini si alternavano senza
tregua nella mia mente, ero immerso nel sibilo del vento che continuava a soffiare violento,
fischiando tra le pareti. Trascorsi diverso tempo senza riuscire ad addormentarmi, i pensieri
scorrevano come un fiume dal flusso calmo e regolare, mi lasciai scivolare con essi.
Ero completamente rilassato, cercai di muovermi ma non ci riuscii, come se i muscoli del mio corpo
fossero inchiodati al letto. Una leggera vibrazione cominciò a percorrermi, cercai di focalizzare la
mia attenzione su quel particolare e sentii i piedi vibrare e, lentamente, la sensazione cominciò a
diffondersi, ad attraversare le gambe e poi il busto, più saliva e più era forte e più divenivo
incapace di muovermi. Provai a sollevare il braccio ma non ne ebbi la forza. Mi sentivo sprofondare
in un'energia intangibile, immerso in essa, ero confuso, i pensieri ormai spenti, oscurati da un
vuoto colmato solo dalla terribile vibrazione che mi teneva incollato al letto fino a quando un
ronzio assordante ed improvviso di una sola frazione di secondo vibrò nelle mie orecchie
facendomi aprire gli occhi.
Rimasi immobile, la vibrazione era svanita, sostituita da una sensazione di leggerezza mai provata
prima. Mi guardai attorno, non riuscivo a concentrarmi su ciò che mi circondava, credetti di
sognare ma dentro di me ero consapevole di essere sveglio. Pensai di volermi alzare dal letto e
come per magia mi ritrovai a sollevarmi senza alcuno sforzo, senza avvertire il peso del corpo,
come se la mia volontà e la mia coscienza si fossero trasferite nella mia stessa immaginazione e
con questo fuori dal mio corpo fisico. Mi mossi nella stanza, con la forza dell'intento, fluttando
nell'aria, osservai il tavolo, la finestra, era tutto lì eppure appariva distante e intangibile, guardavo
ogni cosa con occhi diversi come se tutti i sensi fossero amplificati e mi resi conto della forte
instabilità della realtà nella quale mi trovavo, come se tutto attorno a me, da un momento all’altro,
potesse crollare, svanire o mutare. Guardai la porta, pensai di voler scendere le scale e mi ritrovai
nel corridoio del primo piano.
Davanti a una porta del corridoio se ne stava un ragazzo, mi assomigliava, ero io. Si voltò come se
fosse consapevole della mia presenza, eppure percepivo di non essere materialmente presente in
quel luogo, erano solo immagini. Il ragazzo infilò una chiave nella serratura della porta difronte la
stanza di Sofia, la girò e aprì, all’improvviso uno sparo e mi sentì risucchiato su per le scale, poi fu
come precipitare nel vuoto, il brivido della caduta libera, lo schianto, rimbalzai sul letto. Aprii gli
occhi, avevo il fiato corto ed il cuore che batteva all’impazzata, restai immobile alcuni secondi, mi
guardai attorno. Ero in camera e realizzai di aver sognato. Un sogno tanto nitido da sembrare reale,
troppo reale. Cercai di calmarmi, il vento soffiava ancora ma con meno forza. Mi alzai dal letto e le
ginocchia quasi cedettero, posai la mano al muro per non cadere, mi guardai attorno ancora una
volta, accesi la luce e mi misi a sedere sul letto ripensando a ciò che avevo visto. Istintivamente
guardai dalla porta, mi ci volle qualche secondo per convincermi, uscii dalla stanza e scesi le scale.
Il corridoio del primo piano era buio e io non avevo preso il lume, brancolai nell’ oscurità verso la
stanza di Sofia, ci volle un po’ prima che i miei occhi si abituassero all’assenza di luce riuscendo a
scorgere le sagome di quel che avevo davanti, mi accostai alla porta che avevo visto nel sogno,
posai la mano sulla maniglia, la feci ruotare e tirai verso di me ma era chiusa a chiave. Fui molto
deluso, tornai in camera, incapace di dormire, attendendo che il sonno venisse a cercarmi.
(Una lettera ingiallita: parole d’amore)
Giorno 6
Il mattino successivo mi svegliai di buon'ora, la notte passata era già un ricordo lontano eppure
ben presente nella mente, la luce del primo sole era chiara e fredda, come se i raggi non
riuscissero a filtrare attraverso l’aria gelida. Mi avvicinai alla finestra guardando fuori, la quiete che
avvertivo era assoluta: la nebbia del mattino scivolava tra gli alberi fino a ricoprire il piazzale, l’aria
pungente si faceva sentire anche in casa. Mi vestii e scesi al piano inferiore.
La mia attenzione fu subito catturata dalla porta difronte alla stanza di Sofia. Mi avvicinai, posai la
mano sulla maniglia e provai nuovamente ad aprirla con un’istintiva speranza che l’assurdo
susseguirsi degli eventi degli ultimi giorni avesse potuto modificare quel che avevo attorno allo
stesso modo di come aveva reso instabile ogni mia consapevolezza. Nuovamente fallii, era chiusa a
chiave.
Discesi la seconda rampa di scale gustando il silenzio del primo mattino e mi diressi verso la cucina.
Riempii un pentolino di acqua, misi la legna nello scomparto della stufa e dopo qualche minuto
riuscii ad accendere il fuoco. Avevo l’impressione che Sofia non si fosse ancora alzata, questo
faceva sembrare ogni cosa immersa nella quiete del sonno o almeno del risveglio. Uscii dalla porta
del retro, l’aria fresca mi fece svegliare del tutto, respirai a fondo e guardai verso il luogo dove la
sera prima si era schiantato il palo. Ora non sembrava più così sinistro, ne così lontano da
raggiungere, era semplicemente un palo con un lenzuolo appeso. L’umidità nell’aria era palpabile,
la avvertivo sulla pelle, la nebbia tutto intorno faceva sprofondare la natura in una quiete
sovrannaturale. Mi avvicinai al lenzuolo e lo presi tra le mani, era gelido e bagnato.
La tempesta della sera prima aveva fatto cedere alcuni passaggi della staccionata dell’orto, mi
avvicinai per verificare i danni poi il freddo cominciò a diventare eccessivo e rientrai in casa. Mi
avvicinai alla stufa e aprì lo sportellino della legna per riscaldarmi con il calore del fuoco mentre
l’acqua cominciava a bollire. Aiutandomi con uno strofinaccio versai l’acqua in una tazza e preparai
il tè.
Mi muovevo con cautela all’interno della casa, come se ogni minimo rumore potesse disturbare la
quiete dell’alba o il sonno di Sofia, andai in salotto e mi sedetti al tavolo, sorseggiavo il mio tè
guardando fuori dalla finestra, il calore del liquido contenuto nella tazza, a contrasto con il freddo
dell’aria e quello dei colori della casa, riuscì a riscaldare sia il mio corpo che il mio spirito, la nebbia
aveva già cominciato a ritirarsi ed il canto degli uccelli aveva già dato il la alla sinfonia del giorno.
Osservai a lungo la tazza che stringevo tra le mani, il vapore che si sollevava nell'aria volteggiando
sospinto dal mio respiro. Era come se in quel momento la mia notte non fosse finita e il mio giorno
non fosse cominciato, un intervallo nello scorrere della vita, una pausa intima e personale, fuori dal
tempo, così delicata da rischiare di essere spezzata dal rumore più tenero o da un movimento un
po’ più brusco, un denso fluire di sensazioni di quiete nell’ascolto del respiro, nel silenzio.
Mi sentì sollevato e riposato, la luce del primo sole mi riempì di energia. Decisi di riparare i danni
della sera precedente ma occorreva del materiale per farlo. Sapevo che Sofia sarebbe andata allo
spaccio del fiume a fare compere ma non avevo intenzione di sprecare la mattinata e sia l’aria
fresca che il cielo che cominciava schiarirsi mi invogliavano a passeggiare, inoltre non avrei potuto
lasciare che Sofia trasportasse del materiale ingombrante dal fiume alla casa. Così indossai il
cappotto ed uscii avviandomi per il sentiero.
Camminai a lungo godendo della vista del paesaggio che mi circondava, la mia attenzione era
naturalmente attratta da ogni cosa, vivendo quell’attimo da solo con la mia consapevolezza potei
soffermarmi su ciò che normalmente avrei obliato durante percorso: la bellezza degli alberi antichi
sembrava volermi raccontare la loro storia, il manto di foglie ed erba umida che ricopriva il terreno
del bosco era un soffice tappeto in contrasto con la superficie pietrosa del sentiero che sembrava il
letto di un fiume in secca tra due sponde di alberi e cespugli sui quali piccoli insetti si
arrampicavano con destrezza per bere le gocce di rugiada create sulle foglie, vivendo la loro
esistenza così paradossalmente diversa dalla mia.
Non c'era traccia di presenza umana per buona parte della strada poi, a circa mezz'ora da casa,
cominciai a intravedere gli spiazzi nel bosco dove il taglialegna Tom allestiva i suoi banchi da lavoro,
di tanto in tanto se ne scorgeva un altro nel quale erano accatastati i tronchi che l’uomo tagliava e
lavorava direttamente sul posto.
I raggi del sole riuscirono finalmente a raggiungermi e ne sentii il calore sul viso mentre l’aria del
mattino era ancora fredda e la nebbia era ormai scomparsa.
Quando raggiunsi la casa dei Lanninton mi fermai ad osservarla: le finestre erano aperte ed ebbi
come la sensazione che i suoi abitanti avessero già cominciato la loro giornata, cercai di guardare
oltre le finestre, curioso di scoprire i volti di chi ci viveva ma, non scorgendo nulla, proseguii verso il
fiume.
Man mano che avanzavo cominciavo a sentire i boati delle esplosioni e fui sorpreso dal
comprendere che il fuoco non si era fermato nemmeno un istante. Continuai a camminare
oltrepassando la casetta del taglialegna Tom, era grande poco più della mia stanza, non capivo
come un uomo potesse vivere in quello che sembrava essere più un nido che una casa. Notai del
fumo uscire dal piccolo comignolo di ferro che spuntava dal tetto, segno dell’attività dell’uomo che
vi abitava.
Finalmente raggiunsi il limitare del bosco, prima del fiume, dove si trovava lo spaccio di Jeremy
Hawk. Oltre il ponte la città fumante, disseminata di macerie e assediata dal frastuono dei mitra e
dei mortai. Quando fui vicino alla porta mi balenò in mente il dubbio che il negozio potesse essere
ancora chiuso ma fortunatamente quando spinsi la porta questa si aprì attivando un sistema di
squillanti campanellini appesi sull’uscio. All’interno una serie di alti scaffali oscuravano la vista del
bancone, mi addentrai nel locale osservando i ripiani sui quali erano esposti articoli di ogni genere,
per la casa e per il lavoro, da piccoli giocattoli in legno fino a un reparto di alimentari. Oltre gli
scaffali il bancone dietro al quale se ne stava Hawk: un signore di mezza età, dal fisico esile e lo
sguardo furbo del commerciante, indossava una camicia a righe e dei calzoni sostenuti da un paio
di bretelle scure, i suoi occhi neri mi fissavano da dietro un paio di occhialini rotondi. L’uomo non
spiccicò una parola.
Mi avvicinai al negoziante e posai le mani sul bancone.
- Buon giorno - esordii sorridendo, ma l’uomo non battè ciglio quindi proseguii - avrei bisogno di un
pannello di legno, cinque assi da mezzo metro e due pali da un metro e mezzo, della colla e una
mazzola.
L’uomo mi fissò ancora per alcuni secondi, senza parlare, prima di sorridere - tu devi essere il
ragazzo che vive nella radura - si bloccò nuovamente inciampando in qualche riflessione per poi
ripartire in modo inaspettato - immagino che da quelle parti riusciate a dormire tranquilli, non
arriva fin li il fracasso delle cannonate - scosse il capo - eh... brutta faccenda, in città non è rimasto
più nessuno, solo soldati. Fortuna che ci siete voi a mandare avanti questo negozio. - Disse
aggirado il bancone e dirigendosi verso gli scaffali.
Lo ascoltai divagare guardandomi attorno nel negozio, poi mi voltai verso di lui.
- Se è così dura perchè non ve ne andate? - Chiesi con tono pacato e il commerciante sorrise.
- E poi voi cosa fareste? Il commercio è importante, se una persona decide di passare la sua vita a
coltivare la terra dovrà pur reperire da qualche parte il materiale che gli è necessario, con il legno
dei boschi non ci fai il ferro per un’accetta ragazzo, bisogna sostenersi a vicenda. - Afferrò la
mazzola da uno scaffale e un grosso barattolo di colla da carpentiere da un altro andandoli a
posare sul bancone per poi tornare al suo posto.
Ne seguii i movimenti restando poggiato al bancone - Non avete problemi con i soldati? Sembra
quasi che da questa parte del fiume la guerra non sia arrivata.
Il commerciante si fece serio - ah, ti sbagli giovanotto, lo capirai con il tempo. In questo luogo… - si
avvicinò come se mi stesse per rivelare un segreto - esistono degli equilibri, il loro nemico è nella
città e loro restano nella città, non hanno motivo di venire qui se non gli diamo noi una ragione
per farlo - il tono della sua voce era di una serietà inquietante - quindi giovanotto, non dare mai ai
soldati una ragione per venire da questa parte del fiume e le cose continueranno ad andare bene,
almeno nella misura in cui vanno adesso.
Mi resi conto di non comprendere a pieno il significato delle sue parole.
- Non sognerei mai di mettermi nei guai con soldati, dovrei essere un folle.
L’uomo sorrise nuovamente pescando dalla parete alle sue spalle alcune assi di legno tra molte
altre che erano lì riposte, le trattenne in mano mostrandomele e al mio cenno di approvazione le
mise sul banco con un certo sforzo.
- Sei giovane e curioso, e per giunta sei un maschio di città, è praticamente impossibile che tu non
ti vada a ficcare nei guai con i soldati, ma speriamo nel meglio. Queste bastano? - Chiese
guardandomi.
- Bastano, sì.
Quindi battè i palmi sul bancone - questo è quello che mi hai chiesto, per i pali dovrai andare dal
taglialegna, non ti preoccupare è un po’ burbero ma quando si parla di lavoro è più efficiente di
una squadra di operai.
Feci per prendere i soldi dalla tasca ma l’uomo sollevò la mano destra intimandomi di non
muovermi, rimasi interdetto, immobile in quella posizione.
- In questa valle siamo in tutto sette persone, la nostra economia non ruota sui soldi, se fosse così
non avresti una casa dove andare e nemmeno un bosco in cui camminare, i soldi non si mangiano
e non si bevono ragazzo.
Lo fissai stranito - come fate a vivere senza soldi?
Lui sorrise. - Non mi pare che in questi giorni ti sia mancato cibo o altro.
Rimasi in silenzio cercando di formulare una risposta.
- Ecco, appunto. I soldi ti servono se sei tanto indolente da voler costringere qualcuno a fare il
lavoro al posto tuo, ma se il lavoro puoi farlo da te allora non ti servono i soldi, qui non si compra
nulla giovanotto, non compra nessuno. Portami qualcosa che ritieni pari al valore di ciò che vuoi
acquistare e potrai comprare quello che ti serve, portami ortaggi, disegni, legna, quello che ti pare.
Sorrisi divertito. - Ma il valore che io do a qualcosa non è lo stesso che date voi, è una questione
soggettiva.
L'uomo rise - siamo persone, non macchine, il valore di un oggetto è soggettivo, hai ragione, ma
solo quando lo utilizziamo per noi stessi, quando interagiamo con gli altri il valore di quell’oggetto
viene definito dalla via di mezzo tra quello che credo io e quello che credi tu. Di cosa credi che sia
fatta la realtà che ci circonda se non dal compromesso di quel che tu immagini e di quel che io
immagino? Per questa volta offro io, per le prossime volte sai come funziona.
Non mi ero mai sentito tanto perplesso quanto in quel momento, non sapevo se condividere o
meno il punto di vista del commerciante ma sentivo che continuare il discorso sarebbe stato una
perdita di tempo.
Salutai e mi uscii dal negozio ripensando alle sue parole. Quando arrivai alla capanna del
taglialegna Tom notai che dal comignolo non usciva più fumo. Mi avvicinai alla baracca, posai le
assi al muro e bussai alla porta ma non ebbi alcuna risposta, spiai dalla finestra ma non riuscii a
vedere nulla quindi mi incamminai nuovamente lungo il sentiero per tornare a casa.
Mentre costeggiavo la casa dei Lanninton notai che una ragazzina se ne stava dietro una finestra,
guardando fuori verso di me, mi fermai, le feci un cenno di saluto con la mano ma lei rimase
immobile, mi fissò per alcuni secondi prima di chiudere la tenda. Sorrisi e ricominciai a camminare.
Ad un certo punto del cammino, in lontananza tra gli alberi, scorsi un uomo seduto su un ceppo,
immaginai che si trattasse del taglialegna Tom e cambiai direzione per raggiungerlo.
- Signor Tom? - Chiesi avvicinandomi di qualche passo.
L’uomo se ne stava seduto dandomi le spalle, non rispose alla mia domanda, indossava un abito
scuro piuttosto elegante e fuorimoda, mi pareva impossibile che un taglia legna a lavoro potesse
vestire in quel modo e mentre pensavo a quel particolare un brivido mi percorse la schiena. Mi
avvicinai maggiormente.
- Siete mastro Tom? - Chiesi ora a voce più bassa essendogli alle spalle.
L’uomo si voltò verso di me, il viso tondo era incorniciato in due folte basette bianche e da
altrettanto folti mustacchi che ne coprivano quasi completamente le labbra. Non parlò ne sollevò
lo sguardo verso di me, seduto come stava sul quel ceppo si limitava a guardare verso di me, ma
non me, quasi fosse in attesa, come se non riuscisse a vedermi. Mi resi conto che probabilmente
avevo sbagliato persona, mossi la mano davanti al suo volto senza ottenere alcuna reazione.
- Chiedo scusa signore, sto cercando...
Mi bloccai di colpo quando sentì un rumore alle mie spalle, un suono meccanico che riconobbi
subito e che mi fece rabbrividire. Istintivamente lasciai cadere le assi che tenevo tra le mani
sollevando le braccia.
- Tieni le mani in vista! Voltati lentamente.
Nella mia mente avevo già realizzato quello che stava per accadere, allargai le braccia voltandomi
in direzione della voce. Un soldato, a una decina di passi da me, mi teneva sotto il tiro del suo
fucile.
- Chi c’è con te? - La voce del militare era secca e minacciosa.
Non risposi, inchiodato dalla paura.
- Rispondi ragazzo e non ti accadrà nulla, con chi stavi parlando?
Senza voltarmi feci cenno con la mano in direzione dell’uomo seduto alle mie spalle e il soldato
allungò il collo per osservare.
- Con chi? Chi si nasconde là?!
Voltai il capo e mi resi conto che l’uomo era sparito, rimasi sconcertato.
- C’era un uomo - dissi subito - un uomo in abito da sera, era seduto tra quegli alberi. - Cercai di
spiegare mentre realizzavo sempre di più che la situazione peggiorava in maniera precipitosa.
Il soldato sembrò adirarsi - Vuoi prendermi in giro? - Disse avanzando verso di me. - Adesso ti
insegno io cosa succede a scherzare con me!
Si fermò a pohi passi da me, sollevò il fucile e un ghigno sadico si dipinse sul suo volto mentre
prendeva la mira. Chiusi gli occhi terrorizzato, poi uno sparo, un suono fortissimo che mi costrinse
a chiudere gli occhi, le ginocchia si fecero molli e mi mancò il terreno sotto ai piedi, caddii sulle
ginocchia ma stranamente non avvertivo nessun dolore, con il cuore in gola aprii gli occhi e vidi il
soldato fissarmi con gli occhi sbarrati per poi cadere al suolo senza vita.
In lontananza, tra gli alberi, un altro gruppo di soldati urlava e correva nella mia direzione,
improvvisamente al suono delle voci si unì un rombo assordante e un aereo sfrecciò nel cielo, si
sentirono dei fischi sempre più forti e subito dopo una serie di esplosioni, una dopo l’altra, fecero
sollevare la terra attorno a me. Portai le mani al volto per proteggermi dai detriti, mi sollevai da
terra e comiciai a correre ma un nuovo boato esplose alle mie spalle e l’onda d’urto mi sbalzò via
facendomi cadere nuovamente, mi alzai ancora, stordito, in una pioggia di terra, e nel frastuono
assordante ripresi a correre.
Corsi a perdi fiato fino a quando, stremato, mi dovetti fermare. Mi guardai alle spalle, non vidi
nessuno così mi accasciai al suolo per riprendere fiato, il cuore batteva come un tamburo,
sembrava stesse per uscirmi dal petto, guardai nuovamente in dietro, poi mi rialzai. Passarono
diversi minuti prima che riuscissi a ritrovare il sentiero e ne fui talmente felice che accelerai il passo
zoppicando verso casa, incurante del dolore.
Sofia mi stava aspettando sotto la porta, con le mani al volto, nei suoi occhi potevo leggere la
paura e la preoccupazione. Mi sentì terribilmente in colpa ma allo stesso tempo ero felice di essere
tornato a casa.
- Mi dispiace, avevi ragione. Avrei dovuto ascoltarti. - Cercai di giustificarmi frettolosamente.
Sofia corse verso di me posandomi le mani sulle spalle - ho sentito delle esplosioni ne bosco, cos’è
accaduto, sei ferito? Santo cielo ma cosa ti è passato per la mente!
Le sue parole erano colme di dolore.
- Sto bene, non mi è accaduto nulla ma c’è mancato poco.
La donna ritrasse le mani invitandomi ad entrare in casa.
- Grazie al cielo, l’importante è che stai bene. Quando mi sono alzata non ti ho trovato in casa e mi
sono subito preoccupata.
Entrammo in cucina e mi lasciai cadere sulla sedia tirando un sospiro di sollievo mentre Sofia
riempiva un bicchiere d’acqua.
- Ero andato allo spaccio sul fiume, volevo comprare il materiale per riparare il muro, io.. io non
avrei mai potuto immaginare.
Mi diede il bicchiere e si sedette, tranquillizzata. Mi osservò e sorrise, il suo sguardo si fece quasi
materno
- Fren c’è una guerra là fuori, cosa non potevi immaginare? Di imbatterti in un gruppo di soldati? Di
trovarti in mezzo a una sparatoria? D’ora in poi, fidati di me.
Annuii alle sue parole, lo sguardo perso nel vetro del bicchiere. Aveva maledettamente ragione,
pensai.
- Adesso però non avere pena, l’importante è tu stia bene. Togliti questi vestiti e fai un bagno
caldo, intanto preparerò il pranzo.
Nuovamente la mia risposra si risolse nel silenzio, ero furioso con me stesso per essermi cacciato in
una situazione così pericolosa, dentro di me sapevo di non avere colpe, sapevo che era stato un
caso, ma allo stesso tempo non riuscivo a non pensare di essermela cercata andando contro i
consigli di Sofia.
Rimasi a lungo a riflettere su ciò che era accaduto, ancora incredulo. Quando mi immersi nell’acqua
calda fu come lavarmi di dosso la paura e la rabbia che avevo provato, chiusi gli occhi e mi
abbandonai all'abbraccio dell’acqua lasciandomi cullare dal suo suono del liquido che si increspava
in piccole onde ad ogni minimo movimento.
Rimasi a mollo fino a quando il mio stomaco non cominciò a brontolare stuzzicato dal profumo che
proveniva dalla cucina. Uscì dalla vasca, mi asciugai e mi vestii. Sofia aveva già disposto la tavola ed
il pranzo era quasi pronto.
- Mi avevi detto che facevi le compere con i tuoi risparmi. - dissi con tono serio mentre mi sedevo a
tavola. - Il negoziante dello spaccio mi ha detto che non usate i soldi per fare acquisti.
Sofia si prese qualche secondo prima di rispondere - Credevo non avresti capito. - Disse portando i
piatti in tavola. - Vedi, tanti anni trascorsi in solitudine, a vivere tra di noi, hanno fatto in modo che
trovassimo un nostro equilibrio per tirare avanti, cosa dovremmo farcene dei soldi in questo
posto? Ci diamo una mano a vicenda, tutto qui.
Non replicai a questa spiegazione, presi il cucchiaio e mandai giù un boccone di minestra.
- Il commerciante mi ha detto che vivono in tutto sette persone qui. Voi, lui, il taglialegna e chi
altro? Chi vive nella casa dei Lanninton?
Sofia sorrise mettendosi a sedere. - I Lanninton, chi dovrebbe viverci?
Rise divertita ed io sorrisi a mia volta scuotendo il capo - lo so, ma non li ho mai visti, ho visto solo
una ragazza questa mattina, alla finestra, piuttosto carina anche.
Sofia mi guardò perplessa - Non ci sono ragazze nella casa dei Lanninton avrai visto sicuramente la
piccolina, ha quasi quattro anni. Vive con la madre, una persona un po’ scontrosa, molto religiosa.
Posai il cucchiaio puntando i gomiti sul tavolo e unendo i pugni cercando di collegare tra loro
quelle informazioni.
- Quanti anni ha la madre?
Sofia continuava a mangiare fermandosi solo per rispondere.
- Sarà una decina d’anni più piccola di me immagino, o poco più.
La osservai pensieroso - no, sono certo di aver visto una ragazza, né una bambina, né una donna.
Sofia fece spallucce - ti sarai sbagliato o non saprei trovare altra spiegazione. Adesso mangia o si
raffredderà la minestra.
Ignorai le ultime parole della donna - Sofia stanno accadendo cose strane. - Dissi serio.
A questo punto sembrò comprendere l’importanza del mio tono e lasciò il cucchiaio ponendosi in
ascolto.
- Oggi ho visto un uomo nel bosco.
- Il taglialegna? - Replicò lei.
Scossi nuovamente il capo. - Credo di no, il taglialegna è solito andarsene in giro in abito da sera?
Certo potrebbe anche essere ma è assurdo! - Poggiai la schiena alla spalliera della sedia. - Aveva
delle folte basette e grandi baffi.
Sofia sollevò le mani al cielo sconfortata - Santo cielo Fren, non conosco questa persona ne le altre,
continui a dirmi di vedere gente ma come hai detto tu stesso siamo in sette a vivere qui il suo! - La
sua voce vibrava di preoccupazione. - Ora ti dico quello che penso, non ti sei ancora abituato a
stare qui, la tua vita è passata dalla frenesia della città alla calma dei boschi, è normale che la tua
immaginazione sia ancora legata alla vita dei luoghi in cui hai vissuto fino ad ora, non è facile
cambiare in maniera così radicale il proprio stile di vita Fren, datti un po’ di tempo. La guerra, il
colpo di sole dell’altro giorno.
La fissai. - Non è stato un colpo di sole.
Sofia si bloccò come se non si aspettasse una risposta del genere - Fren...
Sollevai una mano per farle capire che non volevo affrontare l’argomento, poi ripresi a mangiare
continuando tra un boccone e l’altro. - Chi sono le altre due persone che vivono qui?
Sofia si sistemò sulla sedia riprendendo il cucchiaio tra le mani - uno è il signor Lanninton e l’altro
sei tu Fren.
mi limitai ad annuire. - Quindi parlate tutti di me come se ci vivessi da sempre. - dissi con tono
polemico per sottolineare la contraddizione di quell’affermazione e allo stesso tempo ponendo fine
ad ogni discussione.
Una volta terminato il pasto mi diressi in camera per rivestirmi.
(Una lampada e il suo ragno tessitore)
Giorno 20
Nei giorni che seguirono dovetti riparare tutto ciò che la tempesta aveva danneggiato, Sofia
acquistò per me il materiale da lavoro e potei sistemare la staccionata e il buco nella parete del
bagno, tirai via le piante che erano state rovinate dalla furia del vento e cercai di soccorrere quelle
che potevano essere salvate. Il lavoro impegnava tutto il mio tempo, scoprii inoltre che le ante di
alcune finestre erano state danneggiate e dovetti riparare anche quelle e per ogni cosa che
sistemavo ne trovavo un'altra messa peggio. La casa era antica ed evidentemente non aveva mai
ricevuto una reale manutenzione, il mio lavoro consisteva in un vero e proprio restauro. Cominciai
a sistemare, da cima a fondo, ogni angolo dell’edificio al punto che il mercante Jeremy prese a
venire lui stesso a trovarci portandoci il materiale che di volta in volta mi era necessario e che Sofia
non poteva trasportare, in cambio riceveva ceste di ortaggi o scatole di oggetti che durante il
lavoro saltavano fuori da vecchi scaffali impolverati e che io stesso selezionavo attentamente e
destinavo al baratto. Sofia era entusiasta dei cambiamenti che stavo apportando, tante piccole
cose, che era ormai abituata a vedere rotte, tornarono alla loro forma originaria dando alla casa un
fascino rinnovato.
Dopo aver sistemato crepe, finestre e difetti vari decisi che era giunto il momento di ringiovanire la
casa in maniera definitiva ridipingendo la facciata. Il lavoro mi permetteva di non pensare e,
fortunatamente, c'era sempre qualcosa da fare: la mattina mi prendevo cura dell’orto, il
pomeriggio lavoravo in casa mentre la sera facevo compagnia a Sofia che ricamava alla luce del
lume, cominciai a dedicarmi appassionatamente alla lettura dei testi che lei mi regalava e che
custodiva gelosamente nella sua stanza.
Quella mattina avevo cominciato togliere via gli strati più superficiali di colore dalla facciata della
casa, passai l’intera giornata a rimuovere la vernice screpolata dal legno e non riuscii a terminare il
lavoro, quando giunse sera dovetti rientrare e raggiunsi Sofia nel salotto trovandola immersa nel
suo lavoro, intenta a ricucire, alla luce del lume, una camicia con ago e filo.
- Non si vede più nulla la fuori, dovrò riprendere domani mattina. Magari ci metterò una lampadina
per poter continuare anche dopo il tramonto.
Sofia sollevò lo sguardo dalla camicia sorridendomi, senza dire nulla.
- Credevo di riuscire a finire in giornata invece sono riuscito a fare meno di un quarto della facciata.
- Dissi lasciandomi cadere sul divano. Poi mi voltai e la osservai - dovresti farmi dare un’occhiata
alle stanze di sopra, sono sempre chiuse a chiave, ci saranno metri di polvere.
Sofia arrestò il suo lavoro e mi guardò. - Non devi pretendere troppo da te Fren, hai rimesso a
nuovo praticamente qualunque cosa, lavori da mattina a sera, sembra quasi che tu abbia paura di
star fermo. Riposa questa sera, domani riprenderai a pulire la facciata - sorrise - se continui così
finirà che quando avrai sistemato tutto qui ti ritroverai a voler tirar su le case abbattute della città.
- rise divertita rimettendosi a cucire e io mi distesi sul divano, pensieroso.
- Perché le stanze di sopra sono chiuse a chiave? - Chiesi abbandonando la testa sul soffice
schienale del divano.
Sofia non distolse l’attenzione dal suo lavoro rispondendo distrattamente. - Perché non le usa
nessuno da tanti anni, non c’è motivo di tenerle aperte.
Io continuavo a fissare il soffitto seguendo con lo sguardo i movimenti delle ombre proiettate dalla
luce tremolante del lume.
- E cosa c’è dentro?
Non ebbi il tempo di finire la domanda che Sofia cacciò un piccolo grido soffocato, mi girai di scatto
preoccupato e vidi che si era punta con l’ago, mi guardò come per rassicurarmi.
- C’è uno studio, un tempo lo usava mio padre ma da quando non c’è più è rimasto chiuso.
Tornai a rilassarmi, disteso sul divano, ascoltando le sue parole senza vederla.
- Potrei usarlo io. - Replicai mentre nella mia testa già si dipingevano immagini di me seduto ad
un'elegante scrivania.
- Credevo che la tua stanza ti andasse bene. - la sua voce era calma e ormai familiare, scivolava
nella mia mente così come le ombre danzanti scivolavano sulle pareti.
- Certo, la mia stanza mi va più che bene ma sarebbe bello avere un luogo dove poter passare il
tempo in alternativa alla soffitta, mi sentirei più libero anche di prendermi una pausa dal lavoro.
Non vedevo il volto di Sofia ma ero certo che stava considerando la mia richiesta e infatti dopo
poco rispose.
- Va bene, se può servirti e se ne senti il bisogno domani ti aprirò lo studio. - Accettò ma dal suo
tono potevo intuire che lo stava dicendo controvoglia. Mi ritenni comunque soddisfatto e mi alzai
dal divano.
- E nell’altra stanza invece cosa c’è?
Sofia scosse il capo, questa volta con decisione - è solo un ripostiglio Fren, domani ti darò le chiavi
dello studio, sono certa che ti divertirai a curiosare in giro, c’è molta vecchia robaccia lì dentro, ti
darò una mano a sistemarla. - Mi guardò sorridendo, poi sollevò la camicia - ho finito e credo che
sia giunta ora di andare a letto, non sono giovane e scattante come te Fren, mi raccomando non
fare tardi.
Afferrai la camicia sorridendo alle sue parole poi la osservai allontanarsi fino a quando non la sentii
salire le scale.
L’idea di poter finalmente vedere lo studio mi entusiasmava, nuovamente mi ritrovai a fantasticare
e di colpo mi tornò alla mente l’immagine di quel ragazzo al piano di sopra che apriva la porta della
stanza e mi sentii turbato al punto di decidere di ritirarmi a mia volta in camera.
Salii le scale fino alla soffitta e posai la camicia sulla sedia, lo sguardo cadde sulla foto che avevo
trovato alcune settimane prima e che avevo lasciato sulla scrivania, osservai la ragazza lasciandomi
trasportare dal filo dei miei pensieri nel silenzio della casa dormiente fino a quando, guardando
fuori dalla finestra, non scorsi qualcosa. Mi avvicinai al vetro e guardai verso il basso, in direzione
degli alberi, c’erano delle luci nel bosco, non molto distanti da casa. Restai immobile ad osservare,
pensai subito ad un gruppo di soldati poi il pensiero andò a Sofia, se i soldati stavano arrivando
dovevo avvertirla, dovevamo scappare.
Lasciai la foto e scesi le scale di corsa, mi precipitai fino alla porta della stanza di Sofia ma quando
stavo per bussare mi resi conto che non potevo essere certo del fatto che il mio timore fosse
fondato e che avrei rischiato di spaventare Sofia senza motivo, così scesi al piano inferiore
cercando, questa volta, di non fare rumore. Mi avvicinai alla porta e feci per uscire ma non sapevo
cosa avrei trovato nel bosco e non ero abbastanza impavido da avventurarmi senza la minima
possibilità di difendermi così andai in cucina, aprii un cassettone e tirai fuori un coltellaccio ben
affilato. Tornato all’ingresso aprii la porta con cautela, cercando di non spezzare il silenzio e feci lo
stesso quando la richiusi anche se non potei evitare il suono del meccanismo della serratura.
Fuori la notte era limpida e fresca, il cielo era denso di stelle e la luce della luna era abbastanza
forte da permettermi di spostarmi senza brancolare nel buio. Cominciai a camminare nel piazzale,
tenendomi basso, con il coltello stretto nella mano, cercando di focalizzare il punto dal quale mi
era sembrato provenissero le luci. Più mi avvicinavo più ero portato ad allargarmi verso destra,
istintivamente, come a voler aggirare l’obbiettivo. Quando fui sul limitare del bosco mi nascosi
dietro il tronco di un grande albero, sentivo distintamente delle voci provenire da quella parte, una
scarica di adrenalina percorse la spina dorsale e il cuore cominciò a pompare sangue sempre più
rapidamente. Continuai ad avanzare, chino sulle ginocchia, spostandomi di albero in albero e man
mano che mi avvicinavo le voci erano sempre più nitide, voci maschili, voci femminili, risate, fino a
quando fui abbastanza vicino da riuscire a vedere: legato tra due alberi c’era un filo al quale erano
appesi due lampioni di carta, di quelli utilizzati nelle feste patronali, che illuminavano una lunga
tavolata alla quale erano sedute una decina di persone. Mi sembrò decisamente bizzarro e
quantomai inaspettato il trovare quella gente lì e per giunta nel cuore della notte ma ancora più
inaspettato fù lo scorgere a capotavola l’uomo che avevo visto alcune settimane prima, quando per
poco non fui freddato da un colpo a brucia pelo, rideva assieme agli altri e tutti bevevano e
chiacchieravano amabilmente. Mi avvicinai di qualche passo, ormai non più nascosto dagli alberi,
la tavola era piena degli avanzi di una cena appena conclusa. Chi erano quelle persone? Cosa ci
facevano lì, nel bosco, a quell’ora della notte? Questi pensieri abbandonarono la mia mente solo
quando presi consapevolezza del fatto che al tavolo c’erano anche donne e bambini, non erano né
ladri né soldati così mi avvicinai ancora, abbastanza da rientrare nel loro campo visivo.
Tutti gioivano e brindavano e il suono delle risate e delle chiacchiere riecheggiava nel bosco
quando all’improvviso calò un silenzio di tomba e allo stesso momento tutti si voltarono verso di
me. Fui assalito dal terrore nel vedere i loro volti cupi, mi fissavano i loro sguardi densi di odio,
donne, bambini, l’uomo seduto a capotavola, rimasi impietrito ma durò solo un’istante, come un
flash, perché l'istante successivo mi resi conto che in realtà continuavano a ridere e chiacchierare e
che neanche si erano accorti della mia presenza, ebbi un momento di confusione nel quale
barcollai appena, poi una donna si accorse di me e mi venne incontro sollevando le mani al cielo e
ridendo
- Oh finalmente! Ma quanto ci hai messo. - Mi si accostò ridendo, incurante della mia perplessità.
Aveva i capelli legati dietro la nuca, un abito scuro e lungo, stretto alla vita - dallo a me, grazie. E la
prossima volta che ti dico qualcosa non metterci così tanto. - Disse con tono di rimprovero.
Restai basito, incapace di parlare e di reagire mentre la donna mi sfilava il coltello di mano. La
guardai tornare dal gruppo.
- Su, prendete tutti un pezzo di crostata Mi avvicinai mentre la donna tagliava il dolce ma nessuno mi guardava, un forte disagio mi
attanagliava. Una bambina fece cadere una posata vicino a me, mi chinai per raccoglierla ma ci
arrivò prima lei.
- Ciao - la salutai sforzandomi di sorridere ma quella non mi degnò di uno sguardo, prese la posata
e tornò a sedere come se non ci fossi. Mi avvicinai alla donna che aveva preso il coltello - chiedo
scusa, cosa.. cosa succede qui? - ma neanche lei rispose ne mi guardò. - Chiedo scusa - cercai
nuovamente di avere la sua considerazione, questa volta con più convinzione ma nulla, nessuno di
loro sembrava riuscire a sentirmi o a vedermi.
L’uomo seduto a capotavola si alzò battendo con la forchetta contro il bicchiere per richiamare
l’attenzione su di sé. Rimasi a guardare come uno spettatore incredulo, impotente, non presente,
incapace di interagire con ciò che lo circonda.
L’uomo parlò. - Sono felice di passare quest’ultima serata insieme a tutta la famiglia, il signore ci
ha concesso la gioia di vivere nella sua grazia, in salute e senza mai aver bisogno di nulla. È giunto il
momento di ricongiungerci al nostro padre e salvatore.
A questo punto la donna dai capelli raccolti versò del vino in dei bicchieri sistemati su un vassoio,
poi mise la mano nel grembiule estraendo una piccola scatola di ferro dalla quale estrasse delle
piccole pasticche che distribuì in ognuno dei bicchieri mentre l’uomo continuava a parlare.
- Non c’è guerra là dove siamo diretti e prima che l’ultima ora risuoni sulla terra raccogliendo le
anime dei peccatori noi ci garantiremo per primi l’accesso al regno dei cieli.
La donna cominciò a distribuire i bicchieri a tutti i presenti e l’uomo sollevò il suo - Che il signore ci
tenga in grazia e ci accolga nella sua dimora, brindiamo alla nostra famiglia e alla salvezza delle
nostre anime. - E detto questo bevve tutto d’un sorso e si sedette. Le donne fecero bere il vino ai
bambini che lo sorseggiarono con riluttanza, forzati dalle madri, il più piccolo non aveva più di un
anno e poi bevvero a loro volta. Di colpo i lampioni si spensero, un inarrestabile moto di panico mi
pervase, mi sentii precipitare, chiusi gli occhi con forza e strinsi le spalle preparandomi
all'imminente impatto.
Aprì gli occhi, urlai di terrore, ero nel mio letto. Il cuore batteva forte e rapido, mi guardai attorno
recuperando il respiro a stento, tutto era tranquillo. Mi alzai dal letto portandomi le mani tra i
capelli, mi sedetti nuovamente sul materasso prendendo qualche secondo per calmarmi e per
ristabilizzare il respiro. Quando finalmente mi sentii più tranquillo mi accostai alla finestra
guardando verso il bosco ma non vidi nulla. Presi la brocca d’acqua dalla scrivania versandone un
po’ nel bicchiere, tirai un lungo sorso e feci un respiro profondo per poi sdraiarmi nuovamente nel
letto tentando di non pensare a ciò che avevo visto, nella sola speranza di addormentarmi quanto
prima, invano.
(Luce di mattino, luce di tramonto)
Giorno 26
Dopo quella nottata fui colto da una terribile febbre, passai un lungo periodo costretto a letto
mentre Sofia si prendeva cura di me, era come se il mio corpo avesse deciso di fermarsi e per
molto tempo fu così.
Soffrii terribilmente il lento scorrere dei minuti, delle ore e dei giorni nel dolore della febbre alta,
nauseato e confuso, insopportabile a me stesso nel mio stato, arrivato fin qui per aiutare e ora
bisognoso di infinite cure. Lentamente, nell’alternarsi dei giorni e delle notti la temperatura del
mio corpo andò abbassandosi fino a quando, una mattina, aprendo gli occhi mi sentii meglio.
Gettai di lato le coperte, soffocato com’ero dal caldo afoso, mi misi seduto e lentamente mi alzai e
mi vestii. La luce del sole era forte e illuminava la stanza diffondendosi dalla grande finestra, il
lungo periodo passato a letto aveva fatto sì che l’alternarsi delle mie ore di sonno e di veglia fosse
stato radicalmente modificato e mi sentii confuso quando per la prima volta dopo tanto tempo
scesi al piano terra.
Immaginai che dovesse essere ora di pranzo e mi diressi in cucina. Bastò quel breve tragitto per
darmi la volontà di scrollarmi completamente di dosso i residui della malattia e respirare
nuovamente l’attività del mio corpo. A questo pensiero mi sentii subito meglio.
Aprii lo scomparto del un mobile della cucina, afferrai il contenitore dei biscotti e mi sedetti al
tavolo ascoltando il silenzio della casa al quale ormai ero abituato. Aprii il coperchio della scatola,
mangiai qualche biscotto e quelli bastarono a soddisfare il mio stomaco non avendo alcuna
intenzione, in quel momento, di mettermi ai fornelli. Ripensai a come i lunghi giorni di malattia ora
non sembrassero più così atroci e come la sofferenza provata in quell’arco di tempo sembrasse non
essere mai esistita. Compresi allora come fossi stato ingenuo fino a quel momento a dare per
scontati i momenti di tranquillità, senza viverli intensamente come siamo naturalmente portati a
vivere quelli di sofferenza. A seguito di questa banale ma significativa riflessione giurai a me stesso
che da quel giorno avrei tenuto sempre a mente questo piccolo ma fondamentale dettaglio della
vita, ovvero che il bene e il male si alternano dentro di noi e che ogni ciclo è destinato ad
estinguersi e ricominciare ma non avrei dimenticato la gioia nei momenti di dolore e non avrei
obliato dalla mia mente la sofferenza nei momenti di tranquillità, solo così, decisi, il mio equilibrio
si sarebbe evoluto, vivendo il bene e il male come le diverse parti di una lega di metallo che
formano il metallo stesso e non possono prescindere una dall’altra.
Il lungo periodo di malattia mi era servito a riflettere su quanto di strano era accaduto nelle
settimane trascorse a River, su ogni visione, ogni incontro, ripercorsi la mia strada fino a quel punto
cercando di mettere insieme la rete di informazioni che avevo accumulato creando così la base per
la ricerca di una soluzione. Ebbi finalmente modo di pormi delle domande concrete, di definire le
incognite e ora era giunto il momento di trovare le risposte. Decisi che avrei cercato di scoprire
cosa stava succedendo e che avrei tenuto Sofia fuori da tutto questo dato che sembrava ostinarsi a
non voler prendere sul serio quanto le raccontavo.
Terminato il mio modesto pasto, ed estinto il flusso delle mie riflessioni, riposi il barattolo di
biscotti e uscii dalla cucina. Sofia non era in casa, questo mi rincuorò non dovendo dare spiegazioni
per le mie successive azioni e non essendo costretto a sorbire la preoccupazione della donna
riguardo l’essermi appena ripreso dalla malattia.
Uscii di casa e percorsi il piazzale a passo svelto, ero deciso e determinato ad andare fino in fondo
nella mia ricerca, tastai con la mano la tasca posteriore dei pantaloni per assicurarmi di avere con
me quello che mi serviva, quindi imboccai il sentiero camminando in direzione della città.
Il cielo era limpido, il calore del sole del primo pomeriggio era amplificato dal vento caldo che
aleggiava nel bosco. Dopo diverso tempo raggiunsi finalmente la casa dei Lanninton e lì mi fermai.
Il cancelletto di legno era aperto così lo oltrepassai. Il vialetto di ghiaia dell’ingresso era lungo poco
meno di dieci passi, costeggiato a sinistra e a destra da due file di aiuole coltivate a fiordalisi,
papaveri e violaciocche oltre le quali si trovava un prato ben curato, recintato da una bianca
staccionata che proseguiva per tutto il perimetro dell'abitazione. L’ingresso della casa era arretrato
di un paio passi rispetto alla facciata, l’intera casa era dipinta di bianco, la porta aveva nel centro
un rettangolo di vetro, lavorato con fantasie floreali che la percorreva, per un quarto.
Non c’era nessuno all’esterno della casa ne scorgevo nessuno dalle finestre così bussai alla porta,
attesi a lungo senza ricevere una risposta, bussai nuovamente e quando stavo ormai per desistere
la porta si aprì. Ad accogliermi fu una bambina dal il viso angelico e i capelli castani.
Mi sorrise e io mi chinai appena verso di lei.
- Buon giorno piccolina, c’è tua madre? - Dissi alla bambina sorridendo a mia volta ma una mano la
ritrasse lontano da me e al suo posto comparve una donna adulta, sui sessant’anni.
Aveva lunghi capelli grigi acconciati con uno chignon dietro la nuca, il viso sottile e a punta portava
i segni dello scorrere del tempo, era una donna esile, dalle mani delicate. Mi fissò per alcuni
secondi prima di parlare.
- Posso esservi d’aiuto? - Disse con tono diffidente e distaccato.
Annuii alla sua domanda con un sorriso cortese. - Buon giorno signora, sono Fren Willburn, abito
nella radura, spero di non disturbarvi. Volevo farvi qualche domanda.
La donna continuò a fissarmi, ora incuriosita, fino al momento in cui una luce balenò nei suoi occhi
e l’espressione del suo voltò mutò da diffidente a stupita tanto da farle portare una mano alle
labbra.
- Tutto bene? - Chiesi preoccupato aggrottando la fronte.
- Si! - Si affrettò a rispondere - accomodati, accomodati, entra pure.
Quel cambiamento repentino nel suo comportamento mi mise a disagio, mi limitai a seguirne le
istruzioni entrando in casa.
L’interno dell’abitazione era molto luminoso e le stanze ampie ed eleganti. Anche se l’arredamento
poteva sembrare povero mi accorsi subito dell’incredibile ordine e della cura dei dettagli che la
signora Lanninton riservava al suo focolare. Il colore delle stanze e della mobilia risaltava la luce del
sole tanto da rendere l’atmosfera più luminosa dell’esterno ma anche più fredda, l’ampio ingresso
fungeva anche da salotto. Appena entrati, sulla sinistra, un piccolo e lungo gradino oltre il quale si
trovavano delle poltrone e un divano disposti attorno ad un basso tavolino con sopra poggiato un
vaso di fiori freschi.
- Sedetevi, pure. - Mi indicò il divano per poi sedersi a sua volta davanti a me.
Mi osservava, mi fissava, cercai di non farci caso e cominciai a parlare con un po’ di fatica nel
tentativo di distogliere l’attenzione dai suoi modi ora sospettosi, ora invadenti.
- Non vi porterò via molto tempo signora Lanninton, volevo solo chiedervi alcune informazioni
riguardo a questo posto.
La donna annuì ma ebbi l'impressione che non mi stesse ascoltando, rimasi per un istante
interdetto poi continuai - qualche settimana fa vidi una ragazza affacciata da una delle finestre di
questa casa e non eravate voi, ne la bambina. Mi è stato detto che vivono in tutto sette persone in
questo bosco così mi sono incuriosito, era una vostra parente?
La donna sembrò ridestarsi dai suoi pensieri ascoltando la mia domanda ed alzò le spalle - viviamo
da sole in questa casa, da tanto tempo ormai, solo io e la mia bambina.
Io annuii portando la mano alla tasca dei pantaloni ed estraendo la foto che avevo trovato nello
scantinato di casa.
- Avete mai visto questa ragazza? - Chiesi mostrandole la foto.
Lei la prese e la osservò con attenzione per poi scuotere il capo - no, non la conosco.
Rimasi un istante in silenzio prima di proseguire - è sicura di non conoscerla? Ho trovato questa
foto nella casa della Signora Sofia.
La donna guardò con maggiore attenzione ma non seppe darmi nuove risposte, quindi mi alzai
sorridendo.
- Molto bene, la ringrazio per la disponibilità signora Lanninton.
Lei si alzò a sua volta. - Chiamami Marta. - Disse con tono cordiale.
- Va bene, Marta, siete stata molto gentile.
A questo punto mi fece strada fino alla porta di casa accompagnandomi fuori la porta, ma quando
stavo per incamminarmi sul vialetto sentii la sua mano sulla mia spalla, mi voltai e la osservai
cercando di interpretare il significato di quel gesto, lei mi guardava con gli occhi lucidi.
- Gli somigli incredibilmente. - Disse infine, persa nei suoi pensieri. - Quanto gli somigli, due gocce
d’acqua.
La guardai perplesso sentendomi sempre più a disagio - Di chi state parlando?
La donna si sforzava di trattenere la commozione - al ragazzo che amai da giovane.
Compresi dal suo tono che stava per rivelarmi qualcosa quindi mi avvicinai nuovamente
attendendo che si spiegasse.
- Ero una ragazzina e vivevo in questa casa, un giorno lo vidi passare davanti al viale, lui sollevò mi
guardò, restò fermo nel viale a guardarmi poi mi salutò e io mi nascosi dalla vergogna. Lo
osservavo sempre quando passava, di nascosto, da dietro la tenda ma non ebbi mai il coraggio di
uscire e rincorrerlo per abbracciarlo. - A questo punto una lacrima scese sulla guancia della donna poi quando finalmente mi decisi lui non passò mai più, conobbi mio marito ma non dimenticai mai
lo sguardo di quel ragazzo, lo stesso tuo sguardo.
Non sapevo cosa dire in risposta a quella storia poi le parole uscirono spontaneamente dalle mie
labbra senza quasi pensarci.
- La settimana scorsa ho visto una ragazza affacciata da questa finestra e non eravate voi, ne la
bambina.
La donna scosse il capo e tirò un sospiro ancora presa, evidentemente, dai suoi pensieri e dalla
commozione - non c’è nessun altro. - Si limitò a rispondere con voce bassa, come se fosse stanca e
sconfortata.
Ci salutammo e mi avviai nuovamente sulla strada in direzione di River.
Quando uscii dalla casa dei Lanninton la luce del giorno andava già affievolendosi, il sole calava
tingendo l’aria di sfumature scure e facendo allungare le ombre sul terreno, rimasi ancora una
volta incantato da quel momento a metà tra il giorno e la notte, quando ogni cosa era uguale
eppure diversa, quando la realtà luminosa diventava un’oscura incognita, gradualmente, come se
la natura stesse per mettersi sotto le coperte, le coperte di una buia notte.
L’aria era calda, un vento leggero spirava da ovest e ogni folata era accompagnata dal suono delle
chiome degli alberi che vibravano smuovendo le foglie. Camminai verso la casa del taglialegna nel
silenzio rumoroso del bosco di River. Già da lontano potei scorgere, tra gli alberi, la luce debole
della lanterna filtrare dalla finestrella della casa dell’uomo. Dalla piccola cappa del camino si
levavano sbuffi di fumo. Mi accostai alla porte battendo tre colpi sul legno.
- Chi è?
Una voce profonda e burbera si fece strada dall’interno della casa spezzando il filo dei miei pensieri
e sovrastando i suoni del bosco.
- Sono Fren Willburn signore, ospite della signora Sofia.
A queste parole un rumore di passi oltre la porta seguito da suoni ferrosi e meccanici come se una
serie di ingranaggi fossero stati attivati, uno dopo l’altro, fino a quando la porta non si schiuse e
oltre quella comparve la figura di un uomo basso e robusto dalla folta barba ispida. Nei suoi occhi
neri era possibile leggere una vita di sospetti e solitudine, quell’uomo mi incuteva timore fin dal
primo sguardo e quasi balbettando ripresi la mia presentazione.
- Salve, vorrei rubarle qualche minuto se è possibile.
L’uomo restò in silenzio per alcuni secondi prima di rispondere bruscamente.
- Ora non lavoro, non hai visto l’ora ragazzo? Torna domani.
Sorrisi scuotendo il capo al malinteso - no, non sono qui per la legna, vorrei farle qualche domanda
riguardo questa ragazza. - Gli allungai la foto.
L’uomo prese il ritratto tra le mani ruvide e callose e la osservò a lungo, il suo volto pieno d’astio
sembrò rasserenarsi e una nota di amarezza comparve nella sua espressione. Senza dire nulla aprì
la porta facendomi entrare.
La casa del taglialegna Tom era ancora più piccola di quanto da fuori avrei potuto immaginare, una
vera e propria capanna. Tutta l’abitazione si riduceva a una piccola stanza nella quale c’era il
minimo indispensabile per vivere. La luce della lanterna appesa al centro del basso soffitto bastava
appena ad illuminare la piccola tana. Al centro della stanza, sotto la lanterna, un tavolino quadrato
di legno grezzo, sul lato destro una grande stufa a legna, pesante e scura nel cui serbatoio
bruciavano i tizzoni riscaldando anche le piastre utilizzate per cucinare. A ridosso della parete
opposta all’ingresso un piccolo letto disfatto mentre sulla parete sinistra un alto armadio in legno,
nient’altro. Questa era la casa del taglialegna Tom: una piccola stanza nel bosco di River, come se il
bosco fosse la sua casa e quella la sua piccola tana.
L’uomo si chinò davanti alla stufa aprendo lo sportellino e facendo scivolare all’interno alcune
tavole, poi pose una teiera di ferro sulla piastra prima di sedersi al tavolo e indicarmi la sedia di
fronte a lui con la grossa mano da lavoratore.
- Dove hai preso quella foto? - Il tono piatto e diffidente.
Mi sedetti prima di rispondere. - Nella casa di Sofia.
L’espressione del taglialegna non mutò.
- Cosa vuoi sapere?
A quella domanda sentii un brivido salire dentro di me, aveva le risposte che cercavo, conosceva
quella ragazza e forse mi avrebbe aiutato, così spiegai - ho trovato per caso questa foto nello
scantinato di casa, era assieme a delle lettere risalenti all’inizio della guerra. Ho pensato che
magari qualcuno di voi poteva conoscerla.
L’uomo rimase in silenzio ad ascoltarmi, lo sguardo puntato sulla foto e dopo che ebbi parlato
mugugnò qualcosa di incomprensibile prima di rispondere - all’inizio della guerra - disse con tono
sarcastico - c’è mai stato un periodo di pace? - Poi si fece serio e proseguì - conosco questa ragazza,
anche se in questa foto è molto diversa da come la ricordavo.
Così il taglialegna sembrò abbattere il muro dell’astio e anche quello della mia immaginazione nei
suoi confronti. Avendolo sempre immaginato come uno scontroso solitario ora scoprivo la sua
parte umana e sensibile, un residuo d’amore legato indissolubilmente al suo spirito e sopravvissuto
al tempo trascorso in solitudine nei boschi. Nonostante il tono permanesse quasi minaccioso e
prepotente era viva nei suoi occhi la scintilla della passione.
Restò in silenzio alcuni istanti prima di proseguire. - Questa ragazza si chiama Lara, io ero un
giovane lavoratore, aiutavo mio padre nei boschi e non avevo ne tempo ne voglia di lasciarmi
andare agli svaghi dei ragazzi di città. La guerra dilagava in ogni angolo e noi vivevamo nella paura
che ci avrebbe raggiunti, giorno dopo giorno aspettandone la fine. Ma la guerra non finì e noi ci
abituammo al suono dei fucili e delle bombe così come al canto degli uccelli e del vento tra gli
alberi. Un giorno, mentre trasportavamo la legna dal campo alla casa, vedemmo passare una
carrozza scura diretta alla casa nella radura, non vidi Lara se non la settimana successiva: ero nel
bosco, a caccia di conigli, e mi ero avvicinato alla radura fu allora che la vidi, era una ragazza
giovane, poco più piccola di me e me ne innamorai, tornai ogni giorno per molte settimane nella
speranza di vederla ancora ma sembrava essere scomparsa fino a quando un giorno non venne a
bussare alla mia porta, in cerca di mio padre per acquistare della legna, poi... - l'uomo arrestò il suo
racconto e una smorfia di dolore si dipinse sul suo viso - poi avvenne quel che avvenne e non la
vidi mai più.
Ascoltai con attenzione le parole dell’uomo ripercorrendo con l’immaginazione la trama del suo
racconto.
- Cos’è che avvenne? - Chiesi incuriosito da quelle parole così criptiche ma lui si alzò dirigendosi
alla porta.
- Non avvenne niente.
- Come sarebbe a dire niente?
- Niente. - Ripetè con una specie di ringhio sommesso.
Si alzò dalla sedia e tornò alla stufa dandomi le spalle e non mi rivolse più la parola, capii dal suo
tono che la conversazione era finita e lasciai la casa del taglialegna con più dubbi e domande di
quelli che avevo al mio arrivo.
Il tramonto aveva lasciato il posto alla notte, dovevo affrettarmi a rientrare a casa e fu quello che
feci. Il tempo sembrava scorrere in maniera irregolare, alle volte il giorno sembrava non finire mai,
altre volte la notte sembrava calare in un battito di ciglia.
Quando arrivai a casa trovai Sofia in cucina intenta a preparare la cena, mi salutò affettuosamente
senza aggiungere nulla. La osservai insospettito ed ebbi come la sensazione che stesse evitando
volontariamente di farmi domande sulla mia giornata, questo suo comportamento mi turbò
particolarmente ma non ebbi la volontà di chiederne il motivo, così dopo la cena andai in camera e
mi misi a letto.
Durante la notte mi svegliai per il troppo caldo, avevo una gran sete. Scesi le scale, entrai in cucina
e sul tavolo della trovai tre liquidi colorati su un piatto di cartone, una goccia di rosso cadde in un
secchio generando un flebile bagliore e si estese come fumo denso colorando l’acqua, poi,
all’improvviso, un lenzuolo bianco, il vento e l'immagine di un pozzo sospeso a mezz'aria che saliva
verso il cielo, ci guardai dentro e scivolai, risucchiato nel cielo, tra le nuvole, al sibilo della mia
velocità, in caduta libera. Pochi secondi e poi il suolo, in piedi davanti a un cancello immerso nella
notte, un cigolio sinistro e un sentiero di candele a indicarmi la strada. Camminai sospeso a un
palmo da terra, senza suono il mio passo, camminai tra gli alberi antichi e fiaccole accese mi
indicarono il luogo: al centro di uno spiazzo del giardino un piccolo mattone lavorato, con scritte
incomprensibili incise. Scavai nella terra sotto quello, scavai tanto da trovare il vuoto e caddii in
una stanza nel centro della quale stava una piccola lapide: “ In memoria di Lara che ha aperto la
porta alle nostre coscienze.”
La casa di Sofia, le scale, il corridoio al primo piano. Ancora quel ragazzo che mi fissa e infila la
chiave nella porta, ruota la maniglia e sorride facendo un passo avanti nella luce. Un ticchettio
continuo nella mia testa, il suono di un'onda nel mare come gocce che cadono al suolo, la pioggia,
piove!” mi svegliai.
(Un tenero vagito nel silenzio)
Giorno 27
Aprii gli occhi ed ero nella mia stanza, il tetto spiovente della soffitta generava uno scroscio
continuo, stava piovendo e la luce del mattino era bianca d’alba. Mi misi a sedere sul letto
ripensando alle immagini di quel sogno, mi accostai alla finestra e mi resi conto, dalla luce del
giorno nascente, che doveva essere molto presto. Il sole ancora non si era del tutto levato e la
pioggia scendeva copiosa creando un muro d’acqua oltre la parete. Il suono della pioggia sul tetto
era costante e sufficiente a riempire il silenzio della casa. Di certo Sofia era a letto.
Mi vestii e scesi al piano inferiore, la porta dello studio era aperta, finalmente. Mi avvicinai e
sbirciai all’interno, aprii del tutto la porta ed entrai nella stanza.
Lo studio era buio, una sottile striscia di luce percorreva il pavimento filtrando tra le fessure delle
tende di due grandi finestre, tutto l’arredamento era coperto da lenzuoli bianchi e la stanza
appariva sinistra e desolante. Mi avvicinai alla finestra, afferrai un lembo della pesante stoffa e la
tirai, la luce del giorno inondò la stanza rivelandone l'ampiezza. La grande vetrata si affacciava sugli
alberi del bosco, sul lato destro della casa. Tirai anche le tende della seconda finestra, sulla parete
accanto, e la stanza divenne ancora più luminosa.
Lo studio si estendeva per l’angolo destro della casa, la seconda finestra si affacciava sul retro, era
possibile vedere sia l’orto che il sentiero fino al pozzo. Cominciai a tirare via i lenzuoli
dall'arredamento, uno dopo l’altro, con cura ed entusiasmo. Ogni lenzuolo svelava mobili eleganti e
raffinati, davanti la finestra che si affacciava sul retro si trovava una grande e massiccia scrivania in
legno, elegante e di pregiata fattura, curata nei dettagli, con uno scrittoio incastonato sul piano,
sulla parete a destra della scrivania una libreria che ne percorreva tutta la lunghezza contenente
un'incredibile quantità di libri per la maggior parte usurati dal tempo, con le copertine ingiallite o
sbiadite, cimeli del tempo che inesorabile li aveva logorati. Subito a sinistra della porta di ingresso
nella porzione di muro che andava dalla porta alla libreria era sistemato un salotto elegante
composto da un piccolo divano a ridosso della parete e due poltrone difronte a questo con al
centro un tavolino di legno scuro. Sulla parete alla destra della porta un quadro raffigurante un
uomo adulto. La finestra che si affacciava sul lato destro della casa era sporgente rispetto alla
parete e dava vita a una piccola nicchia con un piccolo divano incassato a ridosso della vetrata.
Non potevo credere che una stanza così bella fosse rimasta inutilizzata per così tanto tempo,
guardai dalla finestra, pioveva ancora a dirotto e nel piazzale si erano formate ampie pozzanghere
nelle quali zampillavano le gocce mostrando l'intensità della pioggia. Mi misi a curiosare tra i vari
scaffali, leggendo i titoli della moltitudine di libri presenti la maggior parte dei quali trattavano di
botanica o antropologia c'erano quaderni scritti a mano contenenti annotazioni mediche,
un’interminabile collezione di romanzi, dai classici a titoli che non avevo mai sentito prima di
allora. In quella libreria c’era di tutto. Mi sedetti sul divano guardandomi attorno, percorsi con lo
sguardo ogni centimetro della stanza appena scoperta e mi sentii a casa, poi raccolsi le lenzuola da
terra ed uscii chiudendo la porta.
Quel giorno la pioggia concesse solo una piccola tregua, momento di cui approfittai per controllare
l’orto, preoccupato che le piante potessero risentire di quell’acqua così abbondante. Armato di
gambali di gomma uscii nel cortile e mi misi a lavoro. Verso l’ora di pranzo riprese a piovere e fui
costretto a rientrare, gli stivali erano completamenti pieni di fango quasi da far sì che risultasse
faticoso anche il semplice sollevare i piedi per camminare, dovetti restare un pò sotto la pioggia
per ripulire le suole strofinandole a terra prima di poter entrare in cucina dove finalmente incontrai
Sofia.
- Ho notato che hai fatto pulizia nello studio. - Mi disse vedendomi entrare.
Io sorrisi sedendomi e cercando di sfilare i gambali per indossare gli scarponcini - Ho solo tolto le
lenzuola, servirà un po’ di olio di gomito per togliere la polvere che c’è li dentro. - Non la guardai
ma intuivo che stava sorridendo.
- Vedo che ti sei rimesso in forze, ieri sei stato via tutto il giorno. Il signor Tom mi ha detto che sei
passato a trovarlo.
Annuii - si, non sono mai stato così in forze. - Utilizzai le sue parole per rispondere distrattamente
intento com’ero nella manovra di sfilare gli stretti gambali.
Lei si voltò verso di me e per un istante ne incrociai lo sguardo prima di alzarmi e portare i gambali
fuori della porta della cucina. - Fren, cos’è che stai cercando?
Richiusi la porta guardandola in modo interrogativo.
Lei si avvicinò di un passo per poi proseguire. - Devi capire che non è sempre un bene andare a
scavare nel passato soprattutto perché questo può ferire chi ti sta attorno, non l’hai notato con il
signor Tom e con la signora Lanninton?
Mi bloccai di colpo, come poteva sapere della mia visita dalla signora Lanninton?
- Sei stata a parlare con la signora Lanninton? Cosa c’è, adesso sono anche controllato?
Sofia si risentì visibilmente da quella mia risposta e io mi pentì di essere stato così brusco.
- No Fren - proseguì la donna - è un bene che tu conosca le persone con cui adesso vivi, ed è
normale che io mi trovi a parlare con loro quando vado oltre il bosco - fece un sospiro amareggiato
- l’unico consiglio che posso darti è quello di vivere il presente e ciò che hai attorno, se insegui il
passato finirai per perderti.
Non volli ascoltare le sue parole, non ora che il passato bussava così insistentemente alla mia vita,
non ora che in quella casa il passato sembrava chiamarmi a gran voce.
Quella breve conversazione bastò ad innervosirmi facendomi passare l’appetito così mi alzai
scusandomi con Sofia e mi diressi nello studio.
Tra la moltitudine di libri presenti nella grande libreria non sapevo proprio quale scegliere così
presi il primo che mi capitò davanti e mi sedetti sul divano. Il titolo del libro era “Vita e morte,
cultura degli indiani d’america” cominciai a leggere e il tempo scivolò via tra una pagina e l’altra, il
suono della pioggia era un sottofondo rilassante e così precipitai negli abissi più profondi della mia
amata solitudine con attorno tutto ciò che potevo desiderare.
Quando il sole cominciò a calare mi trovavo ancora nello studio, immerso nella lettura che fu
interrotta solo dal suono di un'automobile che mi costrinse a rivolgere la mia attenzione all'esterno
della casa. Per la prima volta sentivo quel rumore dopo molto tempo, corsi nel corridoio salendo
fino alla mia stanza per affacciarmi dalla finestra, pensai ai soldati, poi guardai verso il piazzale: una
macchina scura era parcheggiata all’esterno. L’autista scese dal veicolo per primo, aprì l’ombrello e
si avvicinò allo sportello del passeggero facendo scendere una bambina e un uomo adulto, non
riuscii a scorgere il volto dell'uomo ma mi accorsi che Sofia aveva già aperto la porta per accoglierli.
Lanciai il libro sul letto e scesi rapidamente le scale fino al corridoio, solo allora sentii la voce
dell’uomo, era profonda e familiare, la riconobbi immediatamente e mi precipitai giù per le scale. A
quella vista il cuore mi si riempì di gioia.
- Gordon!
Quando mi vide l’uomo aprì le braccia cordiale. - Sono venuto a vedere cosa combina il mio allievo
migliore. - Disse ridendo e gli strinsi la mano.
Sofia era accanto a noi sorridente. - Questa è Clara - disse indicando la bambina che timidamente
sorrise mentre l’autista della macchina scendeva i bagagli portandoli nell’ingresso.
- Questo è Fren, il ragazzo di cui ti ho parlato e questa è la signora Sofia. - Gordon ci presentò alla
piccola Clara che non disse nulla, visibilmente in imbarazzo.
- Fren - disse Sofia - porta le valigie nella mia stanza e poi raggiungici in salotto.
Annuii e senza indugiare feci come mi era stato detto. Raccolsi le valige e salii le scale fino al
corridoio. Per la prima volta entrai nella stanza di Sofia e non potei fare a meno di guardarmi
attorno spinto dalla curiosità. La stanza era ampia ma arredata in maniera incredibilmente povera,
fui rimasi sorpreso nel notare come era diversa dal resto della casa: un letto matrimoniale nel
centro e un armadio per gli abiti, non c’erano specchi ne quadri ne oggetti di alcun tipo, solo una
finestra con le ante semi chiuse, quella stanza era desolante. Fui colto da un moto di angoscia e mi
interrogai sul perché fosse arredata così male, anzi non fosse arredata affatto.
Tornai al piano inferiore e trovai Sofia assieme agli ospiti nel salotto, seduti al divano. Mi unii al
gruppo sedendomi con loro.
- Allora Fren... - esordì il fabbro - come ti trovi qui? Sofia mi ha detto che sei stato una ventata di
aria nuova in questa vecchia casa, mi ha detto che lavori come un bue da aratro.
Risi a quelle parole annuendo. - Cerco di fare quello che posso per dare una mano, mi trovo bene.
Lui sorrise compiaciuto - non avevo dubbi, ti conosco bene, per questo ti ho mandato qui ad
assistere la mia cara amica.
Sofia intervenne - Gordon non ha mai sbagliato una valutazione da quando lo conosco, non avevo
dubbi sul fatto che fossi un bravissimo ragazzo e questo me l’hai dimostrato.
Il suo tono sembrava più affettuoso del solito, come se fosse emozionata dalla presenza dei nuovi
ospiti. La bambina restò seduta composta e in silenzio, la guardai ma lei abbassò subito lo sguardo
così mi rivolsi al suo accompagnatore.
- Vi fermerete qui mastro Gordon?
Lui scosse il capo - sono venuto solo ad accompagnare Clara che starà un po’ con voi, io me ne
andrò dopo cena.
Ma a queste parole Sofia si oppose con fermezza. - Ma no, piove a dirotto. Resterai qui per la notte
e domani andrai via.
Gordon non si fece pregare ed acconsentì.
- Starà in camera mia per questa notte, io dormirò sul divano. - Dissi ricercando l'approvazione
della donna.
Sofia si alzò. - Bene, va a sistemare la tua stanza per ospitare mastro Gordon, io sistemerò Clara in
camera mia e poi vi preparerò una cenetta coi fiocchi.
Gordon rise - oh non vedo l’ora.
La serata trascorse tranquillamente tra chiacchiere e risate, Gordon ci informò sulla situazione
drammatica che aveva trovato in città, poi ci ammaliò con le sue storie avvincenti, anche la
bambina sembrò sbloccarsi ridendo e partecipando ai suoi racconti con entusiasmo, riempiendolo
di domande con la curiosità spontanea e sincera dei bambini. La cena durò a lungo e quella visita
rinvigorì il mio spirito allontanando dalla mia mente tutti i pensieri. La piccola Clara andò a dormire
e noi tre restammo in salotto a bere del vino che Sofia aveva stappato per l’occasione, quando
arrivò l’ora di dormire andai ad assicurarmi che nella mia stanza tutto fosse in ordine e mi ritirai
nello studio sedendomi al divano e riprendendo a leggere, incapace di dormire.
La casa era tornata silenziosa e la pioggia continuava a scendere incessantemente. Un lume, posto
sul tavolino, proiettava la sua luce sulle pagine del libro che tenevo tra le mani, sprofondai ancora
una volta nella lettura lasciando che il mio sguardo scivolasse piacevolmente sulle righe.
Gordon bussò alla porta e la schiuse appena.
- Posso?
Lo feci entrare chiudendo il libro e invitandolo ad accomodarsi.
- Quindi questo è il tuo rifugio. - Constatò guardandosi attorno e annuendo soddisfatto.
- Sì, da oggi. Ci credi che questa stanza è rimasta chiusa per anni?
Sorrise mettendosi a sedere. - Beh direi che è proprio tagliata su misura per te, ti si addice.
Spostai il lume in modo tale da non avere la luce tra di noi. - Ho sistemato la soffitta al meglio,
manca qualcosa?
Lui scosse il capo - no, è tutto perfetto, davvero, ma non sono qui per questo.
Lo guardai incuriosito. - E per cosa?
Sorrise paterno - per vedere come stai, come stai davvero.
Compresi quello che voleva dire e di colpo mi ritrovai a parlare con il mio maestro di vita, con colui
che probabilmente poteva capirmi più di chiunque altro.
- Accadono cose strane in questa casa, in questo posto. Mi trovo bene ma faccio strani sogni, a
volte credo di non riuscire a distinguere la realtà dalla mia immaginazione.
L’espressione sul suo volto si fece preoccupata. - Che tipo di cose? - Chiese con fare serio.
- Non saprei come spiegartelo. A volte mi sembra di incontrare gente, mi sembra di vivere in un
sogno.
Gordon tirò un sospiro poggiando la schiena alla poltrona - è possibile che questo nuovo ambiente
ti abbia un po’ traumatizzato, la guerra, la solitudine...
lo interruppi subito - è la stessa cosa che mi ha detto Sofia, ma non è così, so che non è così. È
come se il passato mi stesse parlando, lo so che è assurdo ma è come se questo posto avesse
qualcosa da raccontarmi e io non stessi riuscendo a cogliere il messaggio. Comunque non ha
importanza. - Dissi rassegnato.
- Certo che ha importanza - intervenne prontamente - vedi Fren, capita alle volte di trovare dei
messaggi in ciò che ci circonda ma non è l’ambiente a mandarceli, siamo noi che nel nostro
profondo siamo consapevoli di alcune cose che non riusciamo ad accettare in maniera cosciente e
quindi facciamo in modo di vedere questi messaggi in ciò che ci sta attorno. Ognuno di noi è in
costante comunicazione con sé stesso, con la parte più intima e personale di sè stesso, solo che nel
tempo abbiamo smesso di fidarci delle nostre sensazioni, ci siamo affidati alle esperienze esterne
troncando la comunicazione con il nostro io profondo. Se potessimo tornare ad ascoltare il nostro
istinto e fidarci della nostra immaginazione e della nostra percezione scopriremmo quanto siano
grandi le nostre capacità e potremmo migliorare il mondo in cui viviamo in maniera concreta - fece
una piccola pausa - però non siamo in grado di farlo, abbiamo dimenticato questo processo e spinti
dal giudizio degli altri abbiamo cominciato a diffidare di noi stessi, abbiamo cominciato a
discriminare la nostra immaginazione e a giudicare noi stessi in maniera negativa smettendo di
avere ambizioni che non fossero adeguate ai limiti che la società ci ha imposto, che non fossero
inserite perfettamente tra le strade che la società ci ha offerto. - La sua voce era calma e profonda
e si legava perfettamente con il suono della pioggia, nella notte.
- Quindi - dissi - come posso fare ad ascoltare le mie sensazioni in maniera tale da non farle
diventare esperienze negative?
Lui sorrise. - Non si tratta di esperienze negative Fren, non esistono le esperienze negative. Devi
entrare in un’ottica precisa per poterlo capire, noi obbediamo a leggi che sono state dettate da
uomini come noi, ci confrontiamo con le macchine che abbiamo creato, ambiamo alla loro
perfezione ma dimentichiamo che quella perfezione è la riproduzione meccanica delle nostre
capacità e dimentichiamo che alla fine siamo animali e che in realtà sottostiamo solo ed
esclusivamente alle leggi della natura e non a quelle della società, che ci piaccia o meno, che ci
crediamo o meno. Non siamo noi a scegliere questo. In natura tutto è inserito in un perfetto
equilibrio e anche la negatività che noi attribuiamo ad un’esperienza non è la conseguenza casuale
di un comportamento ma è uno strumento fondamentale che abbiamo a disposizione per
migliorarci, è il nostro corpo, il nostro inconscio e la nostra coscienza che, collaborando, ci avvisano
che qualcosa non va nel nostro comportamento o nella nostra vita o in un determinato evento e ci
aiutano a catalogare quel qualcosa come nocivo per il nostro equilibrio. Si apprende tramite
l’esperienza. Solo facendo esperienza del bene e del male puoi trovare il punto di equilibrio che
non esisterebbe senza uno di questi due elementi. Per questo il bene e il male sono solo concetti
dell’uomo, in natura esiste solo equilibrio. Immagina che tu conosca già la risposta a quello che stai
cercando, ma non vuoi accettarla, perché non rientra nelle leggi della società, non rientra nello
standard di realtà al quale sei abituato ma appartiene al mondo della natura, capire questo vuol
dire abbandonare le proprie certezze per abbracciarne altre. L’unico modo per salvare il mondo,
Fren, è salvare sé stessi e ci si può salvare solo tornando alla natura.
Sorrisi - devo andare a vivere su un albero e nutrirmi banane?
Gordon rise. - Tornare alla natura vuol dire ricominciare ad ascoltarla, comprendere la vera essenza
di noi stessi. Rispettare la natura vuol dire rispettare te stesso Fren, imparare, anzi ricordare, come
si fa a fidarsi di se stessi, della propria immaginazione e della propria percezione, recuperare valori
perduti e dare la giusta importanza alle giuste cose, rivoluzionare la propria scala di valori
riscoprendo le cose più semplici della nostra vita, quelle cose semplici che sono i pilastri della vita
stessa.
ascoltai in silenzio le sue parole. - Non capisco, cosa dovrei fare? Come posso credere a tutto
questo?
Sorrise nuovamente. - E chi ha detto che devi crederci? Fren - si avvicinò appena - tu non devi
credere a ciò che ti dico, tu devi sperimentare la tua verità. Fidati di te, fidati di quello che ti
circonda e avrai le tue risposte, vedrai e valuterai tu stesso gli effetti del cambiamento. Se ottieni la
consapevolezza di quello che ti circonda allora quella consapevolezza sarà anche in ciò che ti
circonda, per questo tenderai nel tuo cammino a seguire la strada che ti porterà ad avere le
risposte perché sarai tu stesso a seminarle sulla via o a nasconderle e renderle introvabili, e se
saprai vivere nel presente troverai i messaggi che ti servono, perché tu sai dove sono e volenti o
nolenti ci andrai a sbattere. A te sta la volontà di fidarti di te stesso o il continuare a giudicarti
secondo la falsa morale della società. Liberati da questa schiavitù Fren, costruisci la tua strada da
solo e non camminare su quelle già pronte che ti vengono offerte, perché ognuno di noi ha
necessità diverse e ha un ruolo diverso, ognuno di noi sa quali siano queste necessità, tutto sta
nell’accettarlo o nell’ignorarlo.
Tirai un sospiro, pensieroso. - Rifletterò e cercherò le mie risposte.
A questo punto Gordon si alzò avviandosi verso la porta.
- Ricorda Fren: non devi fare niente di impegnativo, devi solo leggere quello che ti circonda, devi
cogliere i messaggi in cui ti imbatterai e accettarli, accetta la tua indipendenza e non temere la tua
libertà. - E detto questo uscì dalla stanza lasciandomi da solo con i miei pensieri, al suono della
pioggia, alla luce del lume.
(La piccola finestra impolverata)
Giorno 28
Quella notte mi addormentai sul divano, cullato dal suono della pioggia, trasportato dal costante
flusso dei pensieri che orbitavano attorno a un assillante interrogativo.
Quando la luce del sole mi costrinse ad aprire gli occhi avevo gli arti dolenti per la posizione
scomoda, un po’ a fatica mi rialzai e muovendo le braccia cercai di svegliare i muscoli per lasciar
fluire meglio il sangue e far cessare il fastidioso formicolio che li appesantiva. La pioggia della
giornata precedente aveva lasciato il posto alla nebbia del mattino, il cielo era coperto di nuvole
bianche e luminose ed il grigiore nell’aria non risultava sgradevole ma piuttosto faceva scivolare il
bosco in una silenziosa calma ombrosa. Cercai di abituarmi alla luce chiara socchiudendo appena
gli occhi, poi mi avvicinai alla finestra e guardai fuori. Come sempre la calma regnava incontrastata
sulla casa della radura. Aprii la porta dello studio e scesi al piano inferiore. La freschezza di quella
giornata grigia ma allo stesso tempo luminosa sembrò dissetarmi l’anima, avevo imparato col
tempo a nutrirmi di questi piccoli dettagli e delle sensazioni che generavano, ne restavo rapito ogni
qual volta si presentasse l’occasione, ogni volta come la prima volta.
Ero particolarmente felice, cercai di ricordare ciò che avevo sognato durante la notte ma nella
mente si affacciarono solo sensazioni e nessuna immagine, quando scesi al primo piano compresi il
motivo della mia gioia, infatti in cucina Sofia preparava il caffè conversando allegramente con
Gordon. Fui sorpreso di quanto quella presenza, quell’attività in casa di primo mattino, mi facesse
stare bene, il sentire una risata, il profumo del caffè che riempiva l’aria, sentivo il calore della casa,
della famiglia. Quando entrai in cucina Sofia stava versando il caffè fumante nelle tazzine e Gordon
stava accendendo la sua pipa nella luce candida del mattino.
Entrai in cucina salutandoli e Sofia mi porse la tazza.
- Ti avevo sistemato il divano ieri sera, non hai dormito lì. la sua voce sembrava quasi più giovane,
più vivace di quanto non l’avessi mai sentita.
- Mi sono addormentato nello studio. - Risposi sereno respirando a fondo l’aroma del caffè che da
solo bastò a svegliarmi completamente.
Gordon sorrise e ricambiai quel sorriso con sincerità.
- Hai dormito bene questa notte?
Lui annuì senza nulla aggiungere, soffiando uno sbuffo di fumo che disegnò nell'aria una piccola
nuvola che si avvolse lentamente su se stessa. Restammo in silenzio a sorseggiare il nostro caffè,
un silenzio piacevole e tranquillo.
Terminata la colazione mostrai a Gordon l'orto, gli spiegai in che modo lo curavo e gli raccontai
delle migliorie che avevo apportato alla casa dissertando sulle difficoltà che avevo incontrato
all'inizio e sulle soluzioni che avevo trovato per facilitare il lavoro e di cui andavo particolarmente
fiero. Lui rimase ad ascoltarmi con interesse per tutto il tempo ponendomi a sua volta delle
domanda. Poi, quando la nebbia si diradò e la luce del sole cominciò a filtrare tra le nuvole, ci
incamminammo verso il pozzo e ancora oltre, passeggiammo lungo il sentiero, dove non mi ero
spinto durante le mie esplorazioni della zona. Costeggiammo un piccolo ruscello, ci muovemmo tra
gli alti alberi e i loro profumi, immersi completamente nella natura. Camminammo a lungo
scoprendo luoghi incredibili, angoli di bosco incontaminati dove il tempo sembrava essersi
fermato, ogni tanto ci fermavamo e, seduti su una roccia o sulla sponda del ruscello, gustavamo il
canto degli uccelli che si mischiava al suono dell’acqua che scorreva tra i sassi, nell’aria fresca e
pulita del bosco di River.
Quella passeggiate mi diede la possibilità di raccontare al fabbro le mie esperienze, di ascoltare le
sue opinioni e i suoi consigli, poi mi aggiornò su ciò che accadeva nella mia città e nella sua
bottega. Rientrammo per l’ora di pranzo, Sofia aveva già cucinato e stava aspettando noi per
servire a tavola mentre la piccola Clara giocava allegramente accanto all'orto.
Anche il pranzo durò a lungo, come nei giorni di festa, un pranzo abbondante alla fine del quale,
assieme al caffè, gustammo un'ottima crostata che Sofia aveva preparato in mattinata. Quando
scoccarono le tre Sofia mise a letto la piccola mentre Gordon andò in salotto a fumare la sua pipa
e vi rimase fino a quando il suono dell'auto tornò a farsi sentire nel piazzale della casa.
Ci salutammo con la promessa di una nuova visita.
La partenza di Gordon fece sprofondare nuovamente la casa nel silenzio ma quel silenzio non
sarebbe durato perchè oltre alla gioia della sua visita Gordon aveva lasciato anche la piccola Clara.
Sorrisi a questo pensiero, adesso potevo tornare a scavare tra ricordi della casa, andai nello studio
e ripresi ad aprire ante e cassetti riportando alla luce ciò che il tempo aveva custodito. Man mano
che cercavo tiravo fuori documenti antichi, oggetti di ogni genere e addirittura, avvolto in un
panno impolverato, un antico fucile da caccia. Cominciai a mettere tutto quello che trovavo sul
pavimento al centro dello studio e una volta finito mi sedetti a terra con il mio tesoro.
La varietà del materiale che avevo trovato sembrava raccontarmi la vita e il carattere della persona
a qui un tempo era appartenuto, mi sembrò di vederlo, nell’insieme dei suoi averi, ogni oggetto era
raffinato ed elegante, il fucile mi affascinava, ero attratto da quell’arma, lo imbracciai puntandolo
nella stanza, ne osservai le curate incisioni, lo aprii per comprenderne il meccanismo, poi lo misi da
parte e tornai sugli altri oggetti. C’erano molti quaderni e libretti dalle pagine sbiadite, alcuni dei
quali ormai illeggibili. Trovai un raccoglitore di foto, le cartucce del fucile riposte in un piccolo
contenitore, un orologio da taschino d’argento, una grande quantità di documenti e una pipa in
legno, anche questa finemente lavorata. Scartai quello che non mi interessava riponendolo in una
scatola e portai sulla scrivania quegli oggetti che, da quel momento, decisi sarebbero diventati miei
essendo ormai inutilizzati e privi di proprietario. Disposi tutto ordinatamente, avevo l’impressione
di onorare la memoria del proprietario di quegli oggetti riportandoli in vita, sentivo quasi il dovere
di farlo come se questo fosse un gesto di rispetto nei suoi confronti.
Mi sedetti alla scrivania e cominciai a studiarli con calma uno ad uno. Presi tra le mani l’album
fotografico e ne aprii la copertina, la prima foto raffigurava una famiglia in posa davanti alla casa
nella quale mi trovavo ora: una donna, un uomo, un ragazzo e una bambina, la foto era antica e
sbiadita, i volti non erano riconoscibili. Istintivamente indietreggiai il capo stranito per poi
avvicinare nuovamente la foto per studiarla meglio e mi resi conto che i volti erano stati cancellati
con qualcosa di appuntito, incuriosito e inquietato voltai pagina e anche le persone raffigurate
nella foto successiva avevano i volti oscurati. Continuai a voltare le pagine velocemente, una dopo
l’altra, e tutte le foto ritraevano momenti di vita quotidiana o foto di famiglia, tutte sbiadite dal
tempo e tutte avevano i volti cancellati. Sentii un brivido salire lungo la schiena, man mano che
giravo le pagine una sensazione di vertigine mi attanagliava, chiusi l’album e cominciai a cercare tra
i quaderni fino a quando non mi capitò tra le mani un piccolo libricino dalla copertina in pelle, lo
aprii ricercandone l’intestazione:
” a E.N. con affetto, per la ricorrenza del suo compleanno. 20 Marzo...”
L'anno era illeggibile, studiai con attenzione la grafia elegante e dalle linee ampie, il diario era
rovinato in molte parti, alcune pagine strappate, altre rovinate dal tempo, in alcuni punti c’erano
intere righe cancellate da rapidi scarabocchi della penna. Voltai pagina e cominciai a leggere:
“
25 Marzo
Non avrei pensato, nel giorno del mio arrivo a River, che avrei potuto tenere un diario delle mie
giornate, non sono solito perdermi in simili passatempi ma, dati gli ultimi eventi, credo che questo
possa aiutarmi. E' importante trovare il modo di studiare i miei pensieri in momenti dì minore
coinvolgimento emotivo rispetto ai fatti che ho intenzione di riportare. Già da qualche tempo
continuava a tornarmi in mente l'idea di costruire uno spazio di lucidità e avendo ritrovato questo
diario non ho altro da attendere.
Portare avanti la casa non è cosa semplice, soprattutto dopo che...”
A questo punto la pagina era stata strappata, si potevano leggere solo alcune parole all’inizio di
ogni rigo ma non era possibile intuire il contenuto del testo. Passai alla pagina successiva e tornai a
leggere, più leggevo e più mi rendevo conto che c’era qualcosa che non andava fino a quando
trovai un dettaglio che catturò la mia attenzione:
“
24 Giugno
L’ho incontrato di nuovo, ormai comincio ad abituarmi alla sua presenza, non sono ancora certo di
quanto questo possa rappresentare un bene o un male ma sono consapevole del fatto che ormai
devo fare i conti con queste persone. Fino ad ora non mi hanno...” a questo punto il racconto
diventava illeggibile, per poi riprendere “...ho parlato con il commerciante Jeremy Hawk di questi
incontri e le sue parole mi sono state di grande conforto, probabilmente hanno ragione dovrei...”
ancora un’interruzione “... sento gli spari fin qui, scoprirò cosa c’è oltre il varco, continua ad
indicarmelo, sento che lì è...”
Man mano che leggevo potevo sentire il cuore battermi nel petto come un tamburo, mi alzai, presi
l’album e il diario e uscii dallo studio sbattendo la porta, involontariamente. Scesi frettolosamente
le scale e andai in cucina ma Sofia non c'era così mi spostai in salotto trovandola a ricamare,
seduta sulla sedia, mentre Clara giocava sul pavimento davanti al divano.
- Vorrei che tu dessi un’occhiata a questi. - Dissi con aria di sfida posando il materiale sul tavolino.
In qualche modo sentivo che Sofia era a conoscenza di ogni dettaglio di quella storia.
- Di cosa si tratta? - Mi chiese lei, evidentemente scossa dal mio atteggiamento.
Aprii l’album delle foto. - E' un po’ macabro tutto questo, non trovi?
Lei guardò le foto sgomenta. - Santo cielo, dove hai trovato questa roba?
Poi presi il diario tra le mani - e questo è il diario di qualcuno che è vissuto in questa casa e che...
Sofia mi interruppe. - Ora calmati Fren, non c’è bisogno che ti agiti in questo modo, non capisco
per quale motivo mi stai facendo vedere queste cose.
Tirai un sospiro e mi sedetti, spazientito. - Vorrei che tu mi raccontassi la storia di questa casa
Sofia, chi abitava qui? Da quanto tempo va avanti la guerra? Chi sono le persone in queste foto?
La donna scosse il capo amareggiata - Sono anziana Fren, ma non abbastanza da saperti dire
quando è cominciata questa guerra. - Osservò la piccola giocare - Clara và in cucina a sistemare la
farina sulla tavola così mi aiuterai a preparare, io ti raggiungo subito. - La bambina fece come le era
stato detto e si diresse oltre il corridoio saltellando, immersa nel suo mondo di giochi. Sofia mi
guardò e aprì l’album fotografico - Questa è la mia famiglia Fren, questi sono mio padre e mia
madre, questa sono io e questo è mio fratello maggiore Peter. - Spiegò indicandomi man mano i
suoi parenti.
Rimasi sconcertato. - Per quale motivo i volti sono stati rovinati in questo modo? - La incalzai
subito ma lei sorrise, un sorriso amaro e rassegnato.
- Hai interpretato male Fren, sò che è difficile da capire ma devi ascoltarmi. Ero una bambina
quando mio fratello e mio padre partirono per la guerra, come molti non fecero più ritorno e io
crebbi con mia madre. Insieme cercavamo di riempire il vuoto creato dall'assenza dei nostri cari e
ogni giorno era una sofferenza, ogni giorno speravamo di rivederli alla porta e, alla sera,
sfogliavamo questo raccoglitore di foto. - fece una pausa, la commozione le fece tremare la voce ma con il passare del tempo fummo costrette a lottare per non perdere le speranze, ogni parola,
ogni gesto che ci riportava alla mente mio padre e mio fratello scatenava un’angoscia profonda che
ci prosciugava l’anima. Riuscimmo, con il tempo, a vivere in pace ignorando la sofferenza e con nel
cuore la speranza di rivederli. Avevo appena sedici anni quando persi anche mia madre, era andata
allo spaccio del fiume e quella sera non tornò a casa. Rimasi sveglia tutta la notte, il giorno dopo
andai a cercarla e purtroppo la trovai, morta, uccisa da un’esplosione.
Ero una bambina Fren, pensa a come potevo sentirmi, avevo perso tutta la mia famiglia, ero
rimasta da sola, impaurita e confusa. Avevo già conosciuto il dolore della perdita e in qualche
modo mia madre mi aveva trasmesso la sua forza. Per lei, per mio padre e per mio fratello decisi di
essere coraggiosa e mi convinsi che dovevo andare avanti, che avrei dovuto farcela. Ogni sera
guardavo queste foto ma con il passare dei giorni e delle settimane questo mi faceva sempre più
male, sapevo che prima o poi avrei dovuto mettere da parte i miei cari, volevo ricominciare, volevo
una nuova vita e il loro ricordo era un dolore troppo profondo da sopportare.
Chiusi a chiave lo studio di mio padre e poco alla volta riuscii a dimenticarli e con loro il mio dolore.
Lentamente e faticosamente riuscii a cominciare una nuova vita fino a quando un giorno non mi
capitò nuovamente tra le mani questo raccoglitore e vedendo le foto si risvegliò in me la sofferenza
distruggendo tutto il lavoro che avevo fatto per riuscire a vivere serenamente. Così, quella sera,
decisi che non avrei più potuto sopportare quella vista, non ero abbastanza forte per tener fronte a
tutta la sofferenza che mi colpiva quando vedevo i loro occhi e decisi di cancellare quei volti in
modo che nel tempo non avrebbero più potuto farmi del male con il loro ricordo. Ero una bambina
Fren, ripensandoci oggi quel gesto fù un grande errore ma pensa a come potevo sentirmi in quel
momento e sono sicura che riuscirai a capire.
La guardai negli occhi, erano arrossati dalle lacrime e mi sentii terribilmente in colpa per aver
rievocato in lei ricordi così drammatici.
- Mi dispiace, non avrei mai potuto immaginare una cosa del genere.
Lei fece un sorriso forzato. - Non preoccuparti, è successo tanto di quel tempo fa che oramai non
ha più importanza.
Annuii senza aggiungere altro, in quel momento si affacciò la piccola Clara dal corridoio
richiamando, impazientemente, l'attenzione di Sofia.
Lasciai il salotto con il raccoglitore tra le mani, adesso mi sembrava così pesante, carico dei miei
sensi di colpa. Andai nello studio e lo riposi nella scatola, assieme agli oggetti che avevo scartato,
poi scesi nuovamente in cucina e aiutai Sofia e Clara a preparare la cena.
(Non temo, vado e guardo)
Giorno 29
Il giorno seguente mi alzai appena dopo l'alba, ormai il mio corpo aveva assimilato i ritmi della vita
tranquilla di campagna e la mia mente era già proiettata verso quello che avrei dovuto fare. La
giornata era fredda, dalla finestra potevo vedere grandi nuvole grigie che si stagliavano. Mi vestii
velocemente e scesi le scale. Come sempre, a quell’ora, Sofia dormiva. Aprii la porta di casa
scontrandomi con l'aria gelida del mattino, più fredda di quanto avessi immaginato, così indossai il
cappotto e mi diressi lungo il sentiero. Man mano che camminavo mi stringevo nel cappotto, quasi
tremante a causa del passaggio repentino dal calore della casa all'esterno. Camminai velocemente,
superai la casa del taglialegna, dal comignolo usciva il solito sbuffo di fumo che saliva tra le fronde
degli alberi, tirai dritto fino a quando non raggiunsi lo spaccio del signor Jeremy.
Aprii la porta del negozio facendo suonare il meccanismo a campanelline e cercai di rilassare i
muscoli contratti per il freddo. L’interno del negozio era caldo al punto che mi sentì arrossare le
guance, superai il corridoio di scaffali raggiungendo il bancone dietro il quale stava seduto il
commerciante.
- Buon giorno signor Jeremy.
L’uomo sollevò il capo in mia direzione. - Buon giorno a te. Alzato presto oggi, eh? - Rise, poi mi
squadrò. - Giornata fresca.
Sorrisi al suo sarcasmo. - Gelida più che fresca, qui sembra che ogni giorno sia una stagione
diversa.
Rise di gusto per poi posare le mani sul bancone. - Cosa ti serve ragazzo?
Scossi la testa - non sono qui per fare acquisti - ed estrassi dalla tasca il diario che avevo trovato il
giorno prima- Ieri ho trovato questo diario e vorrei sapere se lei conosce il proprietario. Le iniziali
sono E.N. - Dissi aprendo la pagina e indicando la dedica - credo abbia vissuto nella casa di Sofia.
Il commerciante prese il libretto e cominciò a sfogliarne le pagine con interesse. - E' ridotto
davvero male ed è anche molto vecchio - poi fece spallucce - non credo di aver mai conosciuto
nessuno qui con queste iniziali, mi dispiace. Ma se mi lasci questo diario posso darti in cambio un
pacco di farina e un po’ di frutta.
Lo guardai stranito. - No, no... non sono venuto per scambiarlo e non capisco lei cosa possa
farsene.
Non mi guardò, rimase assorto nello studio del diario per poi posarlo sul bancone. - Ho tutta una
raccolta di materiale datato, c’è gente disposta a comprare anche quello sai? Cos’altro posso fare
per te?
Sollevai la mano come per fermarlo anche se quel gesto era destinato a focalizzare la
concentrazione sulla mia richiesta dato il suo divagare. - Signor Jeremy - scandii lentamente le
parole - in questo diario c'è scritto il suo nome - cercai tra le pagine quella in cui l’uomo veniva
nominato e glie la mostrai - vede? C’è scritto chiaramente che questo ragazzo è stato qui e sembra
anche che foste in confidenza. l’uomo lesse con attenzione ma negò nuovamente per poi sorridere come colto da un’improvvisa
illuminazione - Questo Jeremy non sono io - spiegò tornando a sfogliare il diario - io ho questo
nome perché così si chiamava mio nonno, quindi la persona che stai cercando è mio nonno e il
ragazzo era un amico di mio nonno e mio nonno purtroppo ci ha lasciati molti anni fa. - Srotolò la
sua spiegazione in maniera quasi fulminea.
Battei il pugno sul bancone per la disperazione. - Non è possibile! Lei ha qualche diario, qualche
lettera di suo nonno alla quale posso dare un’occhiata?
Sorrise nuovamente. - Devo controllare ma dovresti lasciarmi quel diario per avere in cambio ciò
che mi chiedi.
Sentivo la rabbia montare dentro di me e strinsi i pugni, stizzito per la delusione, ma compresi che
dovevo rassegnarmi e cercai di rilassarmi. Tirai un sospiro per calmarmi. - Ci penserò, per il
momento va bene così.
L’uomo lasciò il diario sul bancone con riluttanza e poi sorrise cordiale. - Se ci ripensi sai dove
trovarmi.
Lasciai il negozio del signor Jeremy immergendomi nel gelo del mattino e intrapresi nuovamente il
sentiero, amareggiato per non aver trovato risposte, ancora una volta.
Il vento si faceva man mano più forte e l’aria si era scurita, guardai verso l’alto e, oltre le chiome
degli alberi, vidi neri nuvoloni che minacciavano un brusco temporale, accelerai il passo cercando
di proteggermi dal vento con il cappotto. Mi inoltrai tra gli alberi seguendo il sentiero quando un
lampo illuminò il bosco per un istante e, pochi secondi dopo, un tuono squarciò l’aria con un boato
fragoroso che durò a lungo, fu come se il cielo stesse per crollare all'improvviso. Accelerai
maggiormente il passo e dopo un pò un nuovo lampo nel cielo e subito dopo ancora un altro
tuono, nell'aria gelida si sentiva il profumo della pioggia, quell'odore di terra e acqua così
caratteristico. Alzai gli occhi al cielo per cercare di capire quanto tempo avrei avuto a disposizione
prima che cominciasse a piovere ma finalmente mi resi conto di essere vicino. Riuscii a scorgere il
piazzale della casa e vidi che vi era parcheggiata un'automobile grigia di un modello mai visto
prima, da lontano non riuscivo a distinguere nitidamente i dettagli ma accanto al veicolo se ne
stava un uomo con una maglietta nera a mezze maniche, mi avvicinai maggiormente e potei
vederlo nitidamente, vestito in quel modo nonostante il freddo. Notai che sul braccio destro aveva
tatuato un disegno come quelli che avevo visto nelle illustrazioni del libro sulle tribù indiane.
Arrivai sul piazzale e il cuore mi si arrestò nel petto quando dalla porta di casa uscì la ragazza
bionda che avevo visto nello scantinato tempo prima. All’improvviso un altro lampo, per una
frazione di secondo la luce accecante mi costrinse a chiudere gli occhi e quando fù svanita la
macchina non c’era più, così come i due ragazzi. Rimasi paralizzato, incapace di pensare, mi guardai
attorno ma non c’era nessuno, poi di colpo un nuovo tuono mi fece sobbalzare, ebbi un momento
di debolezza e cominciò a girarmi la testa, ogni cosa attorno a me cominciò a ruotare
vorticosamente, portai le mani alle tempie nel tentativo di fermare quel turbinìo di immagini, mi
sentivo al centro di un uragano, decine di lampi di luce mi accecavano e tuoni assordanti
rimbombavano dentro di me, ogni cosa ruotava sempre più velocemente, sentivo la nausea
montare nello stomaco, gli occhi mi facevano male, facevo fatica a respirare, incapace di
muovermi. Guardai difronte a me, nel caos di suoni e bagliori, e vidi la piccola Clara stesa a terra in
una pozza di sangue. Urlai terrorizzato e chiusi gli occhi stringendomi la testa tra le mani sempre
più forte, il vortice di immagini e suoni era sempre più veloce, ebbi paura di morire, il mio cranio
stava per scoppiare quando all'improvviso un suono morbido e definito azzittì il delirio, un sigolo
suono simile a quello generato da una goccia che cade nel fondo di un pozzo e dopo il silenzio.
Aprii gli occhi, ero immobile sul piazzale di casa, la testa mi pulsava, la gola arsa, mi ci vollero alcuni
secondi per capire dove mi trovavo, il cielo era azzurro e limpido, un sole cocente illuminava ogni
cosa, la natura intorno a me era quieta e l’unico suono che sentivo era il cinguettio degli uccelli. Il
caldo mi attanagliava, stavo sudando. Portai le mani al cappotto e lo slacciai lasciandolo cadere a
terra, feci qualche passo in avanti barcollando pericolosamente, un senso di nausea e di vertigine
mi teneva inchiodato alla confusione. Guardai la casa, cercai di camminare verso la porta e sentii
un ronzìo lontano, lo ascoltai, si fece sempre più forte, sempre più forte fino a diventare un rombo
assordante, alzai lo sguardo al cielo nel momento esatto in cui un aereo passò sopra la mia testa,
sentii distintamente il terribile sibilo e in preda ad una scarica di adrenalina cominciai a correre
verso la porta di casa, poi un’esplosione fortissima alle mie spalle che mi scagliò rovinosamente
sugli scalini della veranda.
Ci fu il buio, sentii qualcuno piangere, aprii gli occhi cercando di mettere a fuoco quello che avevo
intorno.
Ero steso sul divano del salotto, la piccola Clara era seduta sulla poltrona e stava piangendo, cercai
di muovermi ma un dolore lancinante al busto mi impedì di farlo, poi arrivò Sofia.
- Grazie al cielo, grazie al cielo sei vivo! - Si chinò posando a terra una bacinella d’acqua e con un
panno mi asciugò la fronte.
All’inizio non fui in grado di parlare, guardai l’espressione sconvolta della donna, aveva gli occhi
lucidi e con gesti frenetici cercava di capire come aiutarmi e tranquillizzare Clara allo stesso tempo.
Mi sforzai di parlare. - Cos’è successo? - Sofia bagnò il panno nella bacinella. - Cos’è successo? Ripetei con un filo di voce senza avere risposta, poi persi i sensi.
Quando ripresi conoscenza mi trovavo ancora steso sul divano, vidi accanto a me il taglialegna Tom
chino sulle ginocchia che mi guardò mugugnando qualcosa.
- Nella sfortuna sei stato incredibilmente fortunato ragazzo, a quest’ora potresti essere sotto terra.
Con grande sforzo cercai di sollevarmi fallendo miseramente.
- Non muoverti troppo o ti salteranno via i punti. - Mi rimproverò.
Sentii nuovamente un dolore lancinante al fianco che mi fece stringere i denti e ringhiare dal
dolore.
- Resta a riposo, per un po’ non potrai ballare. - Disse per poi sollevarsi da terra. Sofia gli si accostò
ringraziandolo più volte, l’uomo non si scompose. - Se gli saltano i punti venitemi subito a
chiamare, in caso contrario appena si sentirà in forze che venga lui da me, non posso star qui a
perder tempo.
Sofia lo ringraziò nuovamente accompagnandolo alla porta. Congedato il taglialegna tornò da me
sedendosi sulla poltrona che era stata avvicinata al divano.
- Come ti senti? - Mi chiese preoccupata.
Io mi sforzai di rispondere - ho visto l’aereo ma non sono riuscito a spostarmi.
Mi passò la mano sulla fronte con dolcezza. - Non preoccuparti, l’importante è che non sia
successo l’irreparabile, adesso riposa. Più tardi ti porterò la cena.
Mi svegliai che era già sera, Sofia aveva avvicinato il tavolino al divano e aveva lasciato lì il vassoio
con la cena, evidentemente non aveva voluto svegliarmi. Mi alzai combattendo contro il dolore,
portai la mano al fianco fasciato, feci un passo in avanti ma una forte fitta mi fece barcollare e per
poco non rovesciai il tavolino. Con cautela attraversai il corridoio usando i mobili come sostegno,
salii le scale e raggiunsi la mia stanza, fiaccato da quel breve tragitto, ancora confuso da ciò che era
successo. Mi misi davanti allo specchio e cercai di sollevare le bende per poter vedere la ferita: una
profonda lacerazione partiva dal ventre arrivando fin sotto il braccio destro, rimasi scioccato dal
vedere quanto fosse grande, mi misi a letto e stremato e dolorante mi addormentai.
(Un nome come l’alba nella notte)
Giorno 30
Passai la giornata cercando di far finta che il dolore non esistesse, cercai di ignorare l’ingombrante
ferita che mi portavo addosso ma ogni piccolo movimento causava dolori atroci. Per la maggior
parte del tempo dovetti rimanere steso e nonostante la volontà di essere attivo alla fine della
giornatà ero esausto. Quando arrivò il buio mi misi a letto, sfinito.
Non potevo muovermi tra le coperte, ogni minimo gesto comportava dolorose fitte al fianco così
restai immobile cercando di rilassare completamente i muscoli e svuotare la mente dai pensieri e
dalle immagini che la affollavano. Non sò bene quanto tempo passò ma ad un certo punto un
presentimento si fece strada dentro di me, una sensazione che avevo ben presente, una vibrazione
che avevo già sperimentato in passato. Sentii il mio corpo vibrare a partire dalle gambe e, non
potendomi muovere, mi lasciai trasportare. La vibrazione si allargò dalle gambe al busto, non ebbi
timore ne dolore, un senso di tranquillità assoluta mi invase. Il mio corpo era un contenitore pieno
di energia vibrante, piacevoli brividi mi percorsero fino a quando un ronzìo cominciò ad avvicinarsi
alle mie orecchie, un suono sottile e costante, un suono lontano che man mano diveniva sempre
più forte, sempre più vicino fino al momento in cui sentii qualcosa urtarmi la spalla.
Aprii gli occhi, non compresi subito ciò che stava accadendo, un muro di legno stava sopra di me.
Stranamente non mi sentii allarmato, posai le mani sulla superficie e mi resi conto che era tangibile
e materiale, ruotai la testa e rimasi immobile dalla paura quando realizzai di essere sospeso nel
vuoto. Cercai di voltarmi dando le spalle alla parete e, guardando verso il basso, vidi il mio letto e
un ragazzo che dormiva. Osservai la scrivania, la sedia, era tutto come ricordavo di averlo lasciato,
non era una sogno, non sapevo cosa fosse. Aiutandomi con le braccia cercai di spostarmi nell’aria e
riuscii ad avvicinarmi al letto, lentamente, come se stessi nuotando in un mare inconsistente. Nel
letto c'ero io, il mio corpo sereno e dormiente, ero solo aria senza peso, un'idea fuori dal mio
corpo fisico. Nuotai nella stanza e mi avvicinai alla porta con l’intenzione di aprirla ma non ce ne fu
bisogno perché ci passai attraverso. Trasportato da questa sensazione di estasi esplorai la casa
cominciando a prendere confidenza con i movimenti, un senso di euforia e gioia mi pervasero in
quell’esperienza straordinaria, nuotando nel nulla della mia consapevolezza, fino a quando non
raggiunsi la porta dell’ingresso, ci passai attraverso e, con mia grande sorpresa, al centro del
piazzale illuminato dalla luna scorsi un uomo che mi fissava.
Esitai ad avvicinarmi ma quello mi fece cenno con la mano e io mi feci strada nell’aria fino a lui. Era
un uomo adulto ma, stranamente, per quanto potessi osservarlo, non riuscivo a distinguerne i
lineamenti del volto. Attorno a noi tutto era come sempre, ogni cosa era al suo posto. Guardai
l’uomo per alcuni secondi ma quello non disse nulla fino a quando non fui io a parlare.
- E' un sogno questo? - Dissi queste parole ma lo feci senza emettere alcun suono. L’uomo scosse il
capo e io continuai - dove mi trovo? - Continuava a fissarmi, sapevo che mi fissava anche senza
scorgerne gli occhi.
- Sei dove sei sempre stato, sei dentro di te. - Rispose con tranquillità.
- Questo è dentro di me? Come può essere?
L'uomo sorrise. - Ogni cosa è dentro di te così come tu sei dentro ogni cosa. Ogni cosa è un
frammento del tutto e così come i frammenti di uno specchio ogni cosa contiene il tutto. Ora sei
nel tutto dentro di te.
Senza pensare continuai. - Perché sono qui?
Lo strano personaggio si mise a camminare dandomi le spalle. - Perché tu hai voluto essere qui,
non trovando le risposte fuori hai cominciato a cercarle dentro, hai intrapreso inconsapevolmente
la giusta strada e sei arrivato in questa dimensione semplicemente perchè volevi arrivarci.
Non capii ma non chiesi spiegazioni, mi limitai a raggiungerlo. - Sarai tu a darmi le risposte?
L’uomo scosse il capo alzando gli occhi al cielo e indicandomi le stelle. - Non ci sono risposte
perché non ci sono domande, c’è solo la comprensione del tutto per mezzo dell’esperienza e della
percezione. Comprendere il meccanismo equivale a possedere tutte le risposte e tutte le domande
quindi domande e risposte non hanno più ragione di esistere.
Adesso avevo l'impressione di cominciare a capire il suo ragionamento ma prima che potessi fargli
una nuova domanda quello scomparve nel nulla. Alzai gli occhi al cielo e guardai le stelle, sentii un
irrefrenabile impulso di esplorare, fissai il cielo e cominciai a salire, sempre più velocemente
catapultato a grande velocità nello spazio vuoto fino a quando raggiunsi una sorta di piccolo
pianeta, un luogo dal quale era possibile osservare la Terra, ero attratto da quel posto come se la
conoscessi alla perfezione, vi arrivai e trovai nuovamente quell’uomo.
- Cos’è questo posto? - Chiesi distrattamente, rapito dalla visione della Terra nella sua infinita
bellezza.
- La tua energia proviene da qui. - Disse lui.
- La mia energia non appartiene alla Terra? - Lo guardai.
Scosse il capo nuovamente. - La tua essenza ha avuto origine in questo luogo e in ogni luogo,
l'energia è come un fiume la cui acqua zampilla assumendo forme diverse per poi rituffarsi nel
grande corso. Prima che l'energia di cui sei composto fluisse verso la Terra è stata in questo luogo
per molto tempo. Ogni volta che la tua energia si disperde si lega un pò di più alla Terra fluendo in
nuove forme.
Rimasi in silenzio alcuni secondi prima di continuare. - Quindi sono intrappolato sulla Terra?
Ancora una volta negò la mia affermazione. - Tu vuoi essere intrappolato sulla terra.
Osservai adesso il luogo in cui mi trovavo: deserto, arido ma estremamente familiare al punto da
darmi una sensazione di estrema tranquillità. - Quindi lo scopo della mia esistenza è quello di
ritornare all'origine?
Lui si mise le mani nelle tasche e si spostò accanto a me ad osservare la Terra. - Lo scopo originale
della tua esistenza era quello di esplorare e conoscere per ritornare evoluto.
Mi voltai verso di lui. - E ora qual è il mio obbiettivo?
Ma l’uomo scomparve ancora. Mi sentivo felice, estasiato, mi sentivo rinnovato. Passai molto
tempo su quella piccola sfera sospesa nello spazio fino a quando non sentii il bisogno di tornare
sulla Terra. Viaggiai nel vuoto prendendo velocità, sempre di più fino a quando non raggiunsi
nuovamente il mio pianeta. Volai sulla città di River, scesi di quota e mi soffermai ad osservare due
soldati barricati oltre una parete, poi raggiunsi il fiume e sorvolai il bosco fino alla radura. Sulle
scale dell'ingresso di casa era seduto l’uomo che mi aveva accompagnato. Mi avvicinai.
- Spiegami chi sono e perché ho quelle visioni.
L’uomo tacque a lungo prima di parlare. - Tu sei energia, come ogni cosa, tu sei una parte del tutto,
uguale al tutto e che contiene il tutto.
- Io sono uguale ad una sasso? - Dissi ironico.
L’uomo annuì. - La tua comunità di cellule è organizzata in modo tale da farti apparire differente e
da darti funzioni e capacità differenti ma se osservi la parte più piccola di cui è composta ogni cosa
allora vedrai che quella parte è uguale per tutto: la parte più piccola di cui sei composto è uguale
alla parte più piccola di cui è composto un sasso o qualsiasi altra cosa ed essere. Tu sei diverso
perché convinto di esserlo, sei uguale perché fatto della stessa energia.
A quel punto mi resi conto di conoscere la persona con cui stavo parlando e sorrisi. - E le visioni?
L’uomo proseguì pacato - L’energia di cui sei composto ha la stessa età del tutto, dato che nulla si
crea e nulla si distrugge la tua energia è stata trasformata nel tempo, un tempo che tu non sei in
grado di immaginare ed è sempre stata presente fin dal principio. Tu hai vissuto nell’assoluto del
tempo e dello spazio fin da quando questo assoluto è esistito.
Lo guardai perplesso - Ma questo cosa centra?
Senza indugiare continuò a spiegare. - Il tutto è in equilibrio con sè stesso, ogni azione viene
equilibrata e compensata dal suo opposto, tu sei l’ago della bilancia e i pesi posti sui piatti, lo
scorrere del tempo che tu conosci non è quello della natura ma quello dell’uomo, tu ora non sei in
grado di comprendere il tempo della natura. Stai vivendo a cavallo del tutto, osservando il tutto
dentro di te e non c’è tempo dove ti trovi.
- E cosa dovrei fare?
- Esplorare e apprendere, essere il peso e l’ago della bilancia. - Scomparve nuovamente.
Sentii un brivido dentro di me ma la sensazione era confusa, guardai la finestra della mia stanza
come se un presentimento stesse tormentando il mio corpo fisico. La luce della cucina si accese,
volai verso la finestra e vidi Sofia. Entrai in cucina sorpassando la parete, mi accosti alla donna e mi
resi conto che non poteva vedermi, la osservai aprire un cassetto ed estrarne un grande coltello,
un moto di panico mi sopraffece, un'incomprensibile paura mi invase, volevo fermarla ma non ne
avevo il potere, le toccai il braccio, ne sentivo la consistenza ma quando cercai di afferrarlo gli
passai attraverso.
Sofia prese il lume e, con il coltello in mano, si avviò per le scale. Non potevo credere a quello che
stava succedendo, Sofia voleva uccidermi mentre dormivo! La seguii fino al piano superiore ma con
mia grande sorpresa vidi che non svoltò a destra ma si diresse verso la sua camera. In preda al
panico volai fino alla mia stanza, mi avvicinai al mio corpo, ci volai contro ed un sussulto mi fece
rimbalzare sul letto. Aprii gli occhi, ero sconcertato. Mi sentivo incredibilmente felice, stavo quasi
per piangere dall’emozione, stentavo a credere all'esperienza che avevo vissuto. Cercai di
muovermi ma il mio corpo sembrava paralizzato, come addormentato, lentamente mi sforzai di
muovere le dita delle mani e dei piedi che cominciarono a svegliarsi, poi con fatica si ridestò anche
il resto del corpo.
Di colpo mi balenò in mente l’immagine di Sofia con il coltello, feci per alzarmi di scatto ma una
forte fitta al fianco mi fece urlare dal dolore, strinsi i denti contorcendomi sul letto, mi sentii
mancare ma mi feci forza con un respiro profondo e, dolorante, riuscii a sollevarmi dal letto. Mi
avviai giù per le scale il più velocemente possibile, comunque troppo lentamente, reggendomi alla
parete. Arrivato nel corridoio zoppicai verso la porta della stanza di Sofia, la spalancai, avevo il fiato
corto, il cuore che batteva all’impazzata, ma nella stanza, illuminate dalla luce della luna, Sofia e
Clara dormivano una accanto all’altra e sembravano serene. Tirai un sospiro di sollievo e chiusi la
porta poggiandomi con la schiena contro la parete per riposare, respirai a fondo più volte cercando
di tranquillizzarmi, posai la mano sul fianco e vidi che stavo perdendo sangue.
Tornato in camera tamponai la ferita e cercai di fasciarla più stretta che potevo per non rischiare di
perdere troppo sangue poi mi cambiai con non poca difficoltà, scesi nello studio e mi sedetti alla
finestra, restando lì a pensare a quanto successo in quell’arco di tempo indefinito.
(Sorride. Ha due occhi di cristallo)
Giorno 31
Ero ancora seduto nel salotto quando il sole si fece posto nel cielo immergendo la natura nella
luce, gli occhi stanchi, la mente serena, ancora estasiato dalla scopertà di una realtà che doveva
essere tale a tutti i costi, intento a lottare contro la razionalità popolare che cospargeva di dubbi le
mie esperienze. Sapevo che era accaduto, talmente reale da non permettere di essere messo in
discussione, questa consapevolezza apriva davanti a me un mondo inesplorato ed incredibilmente
vasto che mai avrei immaginato di scoprire e del quale avevo sempre ignorato l’esistenza. Mi
sentivo un privilegiato, sentivo la meraviglia del dono che mi era stato concesso, che io avevo
concesso a me stesso.
Un rumore alle mie spalle mi allontanò da questi pensieri, voltandomi vidi la piccola Clara,
immobile, davanti all’ingresso del salotto, con i capelli arruffati dalla notte e il viso ancora
assonnato. Si stropicciò gli occhi con le mani e vedendola sorrisi.
- Ben svegliata. - Le parole si trascinarono fuori dalle mie labbra con una tranquillità che mi
sorprese.
La piccola avanzò nel salotto prendendo man mano vitalità e quasi saltellò per arrivare alla
poltrona sulla quale si arrampicò mettendosi a sedere.
- Perché sei qui? - Mi chiese con la vocina squillante.
Sorrisi nell’osservare i suoi modi infantili. - Dove dovrei essere?
Lei scosse il capo energicamente facedo svolazzare le ciocche di capelli. - Perché sei qui nella casa
di Sofia?
- La aiuto - dissi sollevando appena il mento come a cercare di capire dove volesse arrivare.
- Sofia non ha bisogno di aiuto. - Disse allegramente - Sofia sa fare tutto, è molto brava, non ha
bisogno di nessun aiuto.
Annuii sorridendo. - Ma Sofia è molto anziana, ci sono lavori che non può fare.
- Quali lavori? Chiese incuriosita dalle mie parole.
- Ad esempio sistemare la casa, riparare le pareti, coltivare l’orto.
La bambina rise divertita. - Ma Sofia coltiva l’orto ogni giorno, anche adesso. Il fabbro le ha dato la
casa, lei fa tutto quello che serve.
Aggrottai la fronte, perplesso. - Cosa vuol dire che il fabbro le ha dato la casa?
Lei annuì - e Sofia l’ha data a me e hanno costruito River poi è arrivato Jeremy e il taglialegna Tom
e i soldati e alla fine la povera signora Lanninton. - La bambina mosse il capo su e giù
energicamente.
- Come sai tutte queste cose?
Alzò le spalle. - Così.
- E sai anche perché ci sono i soldati? - Clara fece di sì con la testa ma non aggiunse altro, così
continuai - e tu perché sei qui?
- Perché Sofia ha chiesto al Fabbro di farmi venire, deve fare una cosa con me.
Mi voltai appena in sua direzione sporgendo in avanti il busto, lentamente, per non strattonare la
ferita - e cosa deve fare?
Strinse nuovamente le spalle.
- Dove sono i tuoi genitori?
Sorrise cominciando a far altalenare le gambe sotto la poltrona. - Sofia sta dormendo, papà è in
città.
Rimasi interdetto - Sofia è tua madre?
Lei annuì. - E io sono la tua mamma. - disse ridendo.
Quando compresi che stava solo giocando risi della mia stessa ingenuità, poi sentii una porta
sbattere e ci voltammo entrambi, mi accostai alla finestra e vidi Sofia che si allontanava verso il
bosco, restai ad osservarla fino a quando la sua immagine non si perse tra glia alberi.
- Hai fame? - Chiesi alla piccola alzandomi con un po’ di sforzo e lei annuì. - Allora va a vestirti,
intanto preparerò la colazione.
Senza dire nulla saltò giù dalla poltrona e con la sua camminata saltellante si avviò oltre il
corridoio.
Rimasi ancora qualche minuto immobile, cercando di raccogliere le energie data la notte passata in
bianco, poi mi diressi in cucina e cominciai a preparare la colazione.
Clara non ci mise molto a cambiarsi e quando tornò presi dal ripiano la scatola dei biscotti e la misi
sul tavolo, lei ne afferrò uno e cominciò a mangiare avidamente.
- Non è un po’ triste la stanza di Sofia? - Chiesi mettendo la teiera sulla piastra rovente.
- Perchè? - Chiese lei.
- Beh, perché non è curata come il resto della casa.
La piccola si strinse nuovamente nelle spalle senza rispondere. Mi misi a sedere intanto che l’acqua
si riscaldava, la osservai a lungo.
- Tu conosci tutti qui a River?
Fece segno di sì con la testa.
- E non ti sembrano un po’ strane le persone che vivono qui?
Scosse il capo. - Ognuno è come deve essere.
Quella risposta mi sorprese. - Cosa vuol dire?
Lei diede un altro morso al biscotto rispondendo con la bocca piena. - Che se una persona è così è
perché c’è un motivo, sennò Sofia poi come fa?
Incrociai le braccia al petto poggiando la schiena alla sedia e cercando di studiare quella bambina
così particolare.
- Come fa a fare cosa?
Non mi guardava negli occhi, la sua attenzione era tutta per il biscotto che teneva tra le mani. - A
sistemare la casa. - disse lei come se fosse un’affermazione ovvia.
- Non capisco.
Lei sbuffò poi sembrò illuminarsi come se avesse avuto un’idea. - Tu perché sei così? - mi chiese.
- Non lo sò. - Risposi io.
- Sei così perché devi essere così, sei qui perché devi essere qui.
Sorrisi. - Ma io non sono costretto a stare qui e se sono come sono è perché ho fatto delle
esperienze che mi hanno portato ad esserlo.
Lei sorrise trionfante. - Ecco, e loro sono così perché hanno fatto delle esperienze.
Aggrottai la fronte, non potevo credere al fatto che stavo intrattenendo una simile conversazione
con una bambina ma volli insistere e continuai.
- Non devo essere così per forza, le persone possono cambiare.
Lei fece segno di sì con la testa. - Però se cambia uno poi devono cambiare tutti. - Aggiunse con
fare convinto.
- E perchè mai?
Lei si strinse nelle spalle.
- Vuoi dire che non si può cambiare?
E nuovamente fece segno di non sapere.
La discussione fù interrotta dal suono della teiera che fischiava, mi alzai e versai il liquido fumante
nelle tazze, le portai sul tavolo e vi immersi il porta aromi, mi soffermai ad osservare l’acqua che si
colorava tra gli sbuffi di vapore.
- Tu non capisci. - Disse Clara all’improvviso e la guardai interrogativo.
- Cosa non capisco?
- Tu non capisci, ma non fa niente, sei simpatico lo stesso.
Sorrisi facendo un’espressione lusingata - Beh, ti ringrazio.
Sorrise a sua volta imitando la mia espressione per poi avvicinare a sè la tazza e bere.
Dopo la colazione Clara si mise a giocare in salotto mentre io cambiai le bende alla ferita. Mi resi
conto che il danno arrecato la notte precedente era minimo e nonostante il dolore non avevo
compromesso il lavoro del taglialegna così decisi di provare a riprendere il mio lavoro di restauro.
Mi armai di secchio e pennello e ripresi a dipingere la facciata di casa. Riuscivo ad utilizzare il
braccio sinistro a patto di non muovere il busto, fu estremamente faticoso e mi dovetti fermare
molte volte ma a fine giornata ero riuscito a completare il lavoro. Sofia stette via tutto il giorno e
ritornò solo a sera inoltrata.
Quando rientrò ero in cucina, intento a pelare le patate per la cena mentre Clara era seduta al
tavolo con un grande quaderno e una manciata di pastelli colorati, intenta a disegnare.
La guardai e mi resi conto che aveva un’espressione preoccupata.
- Cosa succede?
Rimase in silenzio alcuni istanti, poi sorrise. - Niente, sono un po’ stanca. - Si avvicinò alla bambina
baciandole il capo. - Ho visto che hai finito di dipingere la facciata, hai fatto davvero un bel lavoro.
Sorrisi riprendendo a preparare per la cena. - Ho approfittato della bella giornata, sì. Tu invece? Sei
uscita presto oggi.
Tirò un sospiro profondo in risposta alla mia domanda. - Dovevo sbrigare delle commissioni.
Risi divertito - commissioni? Qui a River?
Lei aggrottò la fronte. - Certo, la signora Lanninton ha chiesto un consulto per scegliere alcune
stoffe per la casa, e poi l’ho aiutata a farne delle tende.
Mi resi conto che la mia affermazione era stata avventata e non aggiunsi altro, poi si avvicinò.
- Vedo che stai meglio ma non dovresti stancarti, il signor Tom ha detto che devi riposare.
- Mi fa male ma è sotto controllo, quel taglialegna se la cava con la medicina.
Sofia si mise comoda sulla sedia, accanto a Clara. - Il signor Tom è molto bravo in queste cose, in
tanti anni ha imparato a occuparsi anche di medicina grazie ai soldati.
La osservai mentre mettevo le patate nella padella. - Il taglialegna è stato in guerra?
Lei annuì facendo alzandosi nuovamente e facendo spostare Clara per apparecchiare la tavola. - il
signor Tom è qui per i soldati, arrivò in città da piccolo con i primi commercianti, poi quando
arrivarono i soldati il padre costruì la capanna nel bosco e da allora fa parte della nostra piccola
comunità.
Ascoltai in silenzio, con interesse - Strano... - mugugnai appena - e la signora Lanninton?
Sofia sistemò la tovaglia sul tavolo lanciandola come una rete da pesca che piano si adagiò sulla
superficie. - Oh lei ha sempre vissuto qui ma dopo la guerra non si è più ripresa dalla perdita del
marito ed è invecchiata molto.
Rimasi di spalle a Sofia, ascoltando con attenzione le sue parole. - Ed io… perché sono qui? - Chiesi
cercando di non manifestare il mio atteggiamento sospettoso, il breve silenzio che ne seguì
confermò i miei dubbi.
- Che razza di domanda è questa? Tu sei qui per aiutarmi. Hai motivo di pensare diversamente?
Sorrisi scuotendo il capo - no, no. Scusami solo un po’ stanco per giornata intensa, questa notte
non ho neanche dormito, non mi spiego come faccio a stare ancora in piedi. - Dissi ridendo.
Quella sera cenammo in silenzio, solo la piccola Clara sembrava avere abbastanza energie da poter
spostare una montagna ma rimase tutto il tempo con il quadernone aperto accanto al piatto
colorando e parlando tra sé e sè durante la cena.
Più tardi, dopo aver sistemato la cucina raggiunsi Sofia che intanto si era spostata nel salotto e mi
sedetti sul divano.
- Eri preoccupata quando sei rientrata, cos’è successo?
Lei mi osservò. - Fren, quando ti ho detto che sei qui per darmi una mano, intendevo per davvero
che io ho bisogno del tuo aiuto e della tua presenza. Mi trovo ad affrontare scelte difficili ed ho
bisogno della tua partecipazione. - La sua voce era seria ma comunque tranquilla.
- Di quali scelte parli? se posso aiutarti ne sarò felice.
Lei fece segno di no con il capo, rattristata. - Quando sarà il tempo lo saprai, per ora ho bisogno
che tu sia qui.
Sollevai la mano destra in aria per poi lasciarla ricadere come a voler manifestare la mia
rassegnazione. - Hai bisogno solo della mia presenza? Perché?
Lei continuò a guardarmi. - No, tu partecipi attivamente alla nostra vita Fren ed è questo che mi
serve, ormai sono vecchia ma sò cosa è giusto e cosa è sbagliato, il problema è che vivendo da sola
non ho la capacità di prendere in considerazione le esigenze di chi mi circonda e tu sei qui per
aiutarmi, per aiutarmi a capire quale sia la strada giusta da intraprendere rispetto alle decisioni che
a breve mi troverò a dover affrontare.
Le sue parole mi preoccuparono - Non capisco, è una cosa così grave? Perché dovrei modificare le
tue scelte? Insomma dimmi quello che sta succedendo e basta.
Abbassò lo sguardo. - A volte bisogna fare dei sacrifici Fren, per salvaguardare qualcosa di più
grande e fino alla fine si spera di non doverlo fare. Ma ci sono dei limiti.
Feci un respiro profondo e sentii un moto di rabbia salire dentro di me. Mi alzai nervoso facendomi
male al fianco, Sofia fece per aiutarmi ma le intimai di fermarsi. - Non ci capisco più niente! sono
stanco di tutti questi segreti, di queste parole non dette. - Lei rimase in silenzio, si limitò a
guardarmi. - Sono stanco fisicamente e mentalmente! Stanco delle visioni, dei segreti, di.. di.. di
tutta questa follia! - Quasi mi misi a urlare contro Sofia ma quando ne incrociai lo sguardo triste mi
fermai e mi lasciai cadere nuovamente sul divano, rassegnato. Il mio comportamento di colpo mi
sembrò egoistico e mi pentii di aver reagito in quel modo senza aver cercato di interpretare la
difficoltà che poteva esserci dall’altra parte, ma la mia mente era sull’orlo del baratro e sfinito mi
rialzai. - Adesso sono stanco, domani parleremo con calma. - E senza altro aggiungere mi avviai in
camera.
(Un seme nella terra del suo vaso)
Giorno 39
Nei giorni che seguirono io e Sofia non riprendemmo il discorso, di giorno lavoravo alla
sistemazione della casa, la sera accudivo la piccola Clara aiutandola nello studio e diventando suo
compagno di giochi. Il taglialegna Tom passò una sola volta per controllare la ferita. Nonostante le
difficoltà ero riuscito nell’arco di poco tempo a rimettere in sesto l'edificio, una volta finito con la
sistemazione della casa mi dedicai completamente alla cura dell’orto e cominciai a leggere i testi
custoditi nello studio. Passavo lì la maggior parte delle mie giornate, riflettendo e studiando,
ricercando in quelle pagine di storia le risposte che non trovavo dentro di me.
I giorni passarono tranquillamente fino a quando, un pomeriggio, mentre ero nello studio intento a
leggere, mi sembrò di notare qualcosa di strano. Il tempo era sereno, il cielo non era
particolarmente luminoso e l’aria era fresca come se fosse autunno ma ebbi l'impressione che da
un momento all'altro la temperatura fosse cambiata così come la luce nella stanza. Distolsi
l’attenzione dal libro guardandomi attorno, c’era qualcosa intorno a me che mi trasmetteva
tensione, feci un respiro profondo e tornai a leggere ma un rumore fortissimo e improvviso, al
piano inferiore, mi colse di sorpresa e per poco non caddì dalla sedia per lo spavento. Accorsi in
direzione della porta, la aprì ma mi bloccai quando sentii una voce maschile provenire
dall'ingresso. Nella mente balenò una sola parola, lucida e definita: soldati.
Chiusi la porta con cautela girando la chiave nella serratura e cominciai a riflettere. Immaginai Sofia
e Clara nascoste da qualche parte al piano inferiore, guardai dalla finestra ma non riuscii a scorgere
nessuno. Rimasi immobile per non fare rumore, mi guardai attorno e lo sguardo si posò
sull’involucro del fucile da caccia, lo fissai a lungo e alla fine decisi che era mio compito tenere al
sicuro Sofia e la piccola. Velocemente estrassi il fucile dal panno, trovai la scatola delle cartucce e
mi accostai alla porta, in ascolto. Caricato il fucile girai lentamente la chiave nella serratura e
abbassai la maniglia, spiando fuori, non c’era nessuno. Aprii la porta e uscii nel corridoio con il
fucile puntato davanti a me. Quando raggiunsi le scale mi affacciai appena al piano inferiore ma
ancora non vidi nulla se non la porta di casa che era aperta.
Il cuore batteva rapidamente e dovevo trattenere il fiato per ascoltare il silenzio alla ricerca di
rumori che indicassero qualche presenza. Mi spostai verso la scala e con il fucile puntato cominciai
a scendere lentamente i gradini, quasi strisciavo contro il muro tenendo saldamente l’arma tra le
mani tremanti. Quando arrivai all’ultimo gradino sentii dei passi provenire dal salotto, erano lì e si
dirigevano verso di me. Era il momento, pensai, dovevo prenderli di sorpresa e cacciarli via. Scivolai
accanto alla scala portandomi sul muro accanto al corridoio, appena dietro l’angolo il nemico. Li
sentivo sempre più vicini, aspettai qualche secondo ancora, ero bloccato, non riuscivo a decidermi
e alla fine contai fino a tre, feci un respiro profondo e svoltai l’angolo di scatto alzando il fucile per
puntarlo ma in questo rapido movimento mi scontrai contro chi veniva da quella parte, l’urto fu
violento e cademmo entrambi a terra.
- Ahia! - Una voce femminile esclamò dal dolore. - Ma che diavolo fai?!
Rimasi spiazzato, di fronte a me non c'era nessun soldato ma la ragazza dai capelli biondi che avevo
visto nelle mie visioni. Mi alzai di scatto, guardingo, sollevai il fucile ma lei rise alzando le mani con
fare scherzoso.
- Ehi vacci piano cowboy, hai visto Clara? La stavo cercando ma… - poi si bloccò osservandomi - ma
insomma, che ti prende? - Scosse il capo - tu devi essere Fren, Gordon mi aveva detto che ti avrei
trovato qui. Non ti ha detto che sarei venuta? - Chiese superandomi e dirigendosi in cucina.
Abbassai il fucile e, stranito, la seguii. Mi guardai attorno alla ricerca di Sofia e Clara ma non le vidi.
La cucina era piana di scatoloni accatastati sul tavolo e sul pavimento, la ragazza ne aprì uno e
cominciò a tirare fuori oggetti e arnesi che non avevo mai visto prima.
- Conosci mastro Gordon? - chiesi squadrandola.
Lei non mi guardò ma continuò a tirare fuori oggetti dalle scatole. - Mastro Gordon? - disse ridendo
divertita - in tanti modi l’ho sentito chiamare ma così mai. Quindi devo immaginare che non ti
abbia parlato di me, strano. - Sembò delusa, smise di armeggiare con le scatole e mi si avvicinò
tendendomi la mano. - mi chiamo Sofia.
Aggrottai la fronte stringendole la mano senza troppa convinzione. - Cosa ci fai qui?
Si strinse nelle spalle tornando a scartare pacchi e pacchetti. - La fuori non è più un mondo dove
vivere, temo che questo sia l’unico posto dove si può restare in pace. La guerra è ovunque e son
dovuta scappare via. Gordon mi ha detto che ti sei preso cura della casa, ti ringrazio ma credo
dovremmo rinnovarla un po’, metterla un po’ a nuovo. Non ti sa di vecchio? - Disse ora
guardandomi e arricciando il naso. - Beh a giudicare da come sei vestito scommetterei che ti piace
così com'è.
Istintivamente mi guardai i vestiti realizzando la notevole differenza tra i miei e i suoi ma la mente
tornò sui suoi passi e sollevai il fucile ancora una volta verso la donna.
- Tu non seri reale! Dove sono Clara e Sofia? - Chiesi con tono minaccioso ma lei sorrise.
- Cerca di calmarti, sono la madre di Clara. Sicuramente starà esplorando la casa, è un castello
rispetto a dove stavamo prima.
Continuavo a tenerla sotto tiro ma senza capire il perchè, avvertivo la sua presenza come una
minaccia eppure quella ragazza non aveva nulla di minaccioso. Ero confuso e in parte spaventato.
- La madre di Clara?
All’improvviso una sirena si fece strada in lontananza, un'auto raggiunse il piazzale a gran velocità e
dalla finestra filtrarono le luci dei lampeggianti, la ragazza guardò fuori e cambiò espressione, sul
suo viso si dipinse una smorfia di odio.
- Quella maledetta Lanninton mai che si faccia gli affari suoi.
Subito dopo bussarono alla porta e la ragazza uscii dalla cucina. Dalla finestra potevo vedere un
soldato con indosso un'uniforme nera, sentii la ragazza ridere dall’ingresso e poco dopo l’uomo si
allontanò tornando alla sua vettura, fece inversione nel piazzale ed imboccò il sentiero alzando
dietro di lui un gran polverone.
Aspettai che la ragazza tornasse in cucina ma quando la porta si aprì, con mio stupore, vidi Sofia, la
mia Sofia. Restai basito, col fucile puntato verso la donna che mi aveva accolto, non sapevo cosa
fare.
- Fren.. ma che diamine combini! - Esclamò spaventata, ma in un momento di lucidità decisi di fare
un tentativo.
- Chi era alla porta? - Chiesi abbassando il fucile e cercando di non far trasparire la mia confusione.
La donna mi guardò perplessa come se non avesse compreso la domanda.
- Non sei andata ad aprire la porta? - Chiesi nuovamente.
Lei scosse il capo avanzando nella cucina. - No Fren, devi aver sentito male. Fai sparire quell’arma
da questa casa prima che qualcuno si faccia male.
Mi rimproverò ma io non riuscii a rispondere, la cucina era tornata come prima, gli scatoloni erano
scomparsi dal tavolo. Mi sedetti portandomi una mano alla testa, sentii le lacrime agli occhi.
- Fren che succede? - Chiese guardandomi negli occhi e posandomi una mano sui capelli con fare
affettuoso.
Rassegnato mi feci forza per reprimere la frustrazione e con un respiro profondo impedii
all'emozione di sopraffarmi.
- Niente, non succede niente. - dissi stizzito. Qualcosa era scattato dentro di me, una rabbia
esasperata. Mi alzai e mi allontanai.
Lasciai che la porta dello studio sbattesse alle mie spalle, posai il fucile al muro e cominciai a tirare
fuori le scatole di documenti che avevo conservato tempo prima rovesciandone il contenuto sulla
scrivania. Cominciai a ispezionare gli atti di proprietà della casa, le foto, i quaderni. Tutte le date
erano cancellate, ogni volta che pensavo di aver trovato un passaggio risolutivo la pagina
successiva era strappata o resa illeggibile, sentivo di impazzire, stavo per convincermi di aver ormai
perso la ragione, cercai ovunque, rovesciai fuori dai mobili ogni cosa, svuotai ogni scaffale dai suoi
libri gettandoli a terra, con furia, incurante del dolore al fianco, cercando disperatamente di capire,
di trovare un indizio illuminante, lo studio era diventato irriconoscibile, ogni cosa era fuori posto e
io ossessivamente sfogliavo le pagine leggendo più e più volte cercando qualcosa che non avessi
ancora visto fino a quando, a notte inoltrata, stremato mi addormentai.
Quando riaprii gli occhi era notte fonda, la casa era calma e silenziosa. Sofia sembrò non essersi
preoccupata della mia assenza, come se non le importasse, come se non volesse capire o che,
avendo capito, non avesse alcun interesse nell’aiutarmi.
Stordito dal sonno scomposto e scomodo mi misi a sedere sul pavimento e osservai il caos che
avevo generato attorno a me, disperato mi avvicinai alla finestra, la mia mente era sgombra da
pensieri o talmente colma da essere incapace di visualizzarli uno per uno. Guardai all’esterno,
verso il bosco e desiderai di farla finita con la confusione che avevo dentro di me.
Mentre guardavo fuori qualcosa si mosse tra gli alberi, guardai meglio credendolo frutto della mia
immaginazione ma i cespugli si mossero ancora, un'ombra nera si muoveva lentamente sul lato
della casa. Istintivamente mi abbassai per non essere visto e di nascosto guardai fuori, verso il
basso. Mi sembrò quasi di poterla vedere distintamente, nel buio della notte, ebbi l’impressione di
scorgerne la testa e il corpo, era un uomo accovacciato che camminava tra gli alberi, o forse un
animale. Strizzai le palpebre sfregandovi sopra la mano per assicurarmi che non fosse una nuova
allucinazione. Di colpo, mentre ero intento ad osservare, la testa dell’uomo si voltò in mia
direzione e alla luce della luna potei vedere lo scintillìo dei suoi occhi che mi fissavano, indietreggiò
lentamente immergendosi nel buio. Sapevo che era lì, ne avvertivo la presenza, probabilmente mi
stava guardando.
Mi spostai dalla finestra, afferrai il fucile e corsi giù per le scale. Aprii la porta della cucina uscendo
dal retro della casa per fare il giro largo, tenendomi basso con calcio del fucile posato sulla spalla.
Raggiunsi l’angolo e mi sporsi appena.
- Chi c’è? - La mia voce si perse nel silenzio e non vi fù risposta. - Sono armato!
Qualcosa si mosse tra i cespugli facendomi sobbalzare, spostai la canna del fucile in quella
direzione e premetti il grilletto, lo sparo riecheggiò come un tuono nella notte e il rinculo del colpo
mi fece torcere il busto generando una dolorosa fitta al fianco.
I cespugli si mossero ancora e vidi distintamente la sagoma dell’uomo saltare fuori dal buio e
cominciare a correre in direzione opposta alla mia. Alzai il fucile, presi la mira e premetti
nuovamente il grilletto ma lo mancai, così cominciai ad inseguirlo tra gli alberi. Potevo vederlo a
distanza, cercavo di non perderlo di vista, era un essere deforme, dal busto troppo lungo per
essere un uomo, così come gambe e braccia, ricoperto di nero correva goffo ma rapido tra la
vegetazione. Dopo un po’ cominciai ad avvertire la stanchezza ma non mi diedi per vinto, corsi a
perdifiato, non sapevo più dove mi trovavo ne quanto mi fossi allontanato da casa e quando
quest'idea mi balzò in mente l’essere scuro mi seminò.
Continuai a camminare ma la luce della luna non era più in grado di illuminare i miei passi, le
fronde degli alberi erano troppo fitte e sembravano separare il cielo dalla terra come un solido
tetto. Più camminavo e più il buio calava attorno a me. Mi muovevo lentamente tastando gli alberi
e il terreno, cercai di mantenere la calma ma feci un passo falso e scivolai in un fosso, il fucile mi
sfuggì di mano, tastai il terreno attorno ma non lo trovai. Continuai a camminare nell'oscurità fino
a quando, in lontananza, scorsi una luce, un piccolo puntino luminoso nelle tenebre.
Mi trascinai in quella direzione e trovai quello che, dalla consistenza del terreno, mi sembrò essere
un sentiero. Man mano che avanzavo il piccolo punto luminoso si faceva sempre più grande e
definito. Una sorta di bisbiglio mi fece voltare di scatto ma non vidi nulla, continuai a camminare e
ancora un altro bisbiglio indefinito e incomprensibile mi raggiunse. Sentivo la paura cominciare a
scorrere dentro di me, mi sentivo osservato, ammutolito dal panico. Più mi avvicinavo a quel punto
più sentivo sussurri aggiungersi a quelli già presenti, mi sentivo circondato ma avevo attorno solo il
buio più profondo, il panico mi sopraffece, cominciai a correre e più correvo più i sussurri
aumentavano e divenivano più forti, dicevano cose orribili, parole di morte e sofferenza, inciampai
cadendo nella terra, mi sollevai e corsi ancora fino a quando la luce non si rivelò essere una
finestra, la finestra di una piccola casa, c’ero quasi, stavo correndo a perdifiato in preda al panico,
nella confusione avvertii una presenza alle mie spalle, mi voltai senza fermarmi e vidi l’essere di
prima, altissimo e completamente nero, dalla pelle viscida e lo sguardo vitreo, una scossa di
adrenalina mi diede la forza di percorrere l’ultimo tratto del sentiero, arrivai alla porta,
istintivamente posai la mano per aprirla e questa si spalancò facendomi cadere violentemente
all’interno. Avevo il fiato corto, mi sollevai da terra guardandomi attorno, ero nello studio. Guardai
verso la porta e nell'oscurità dell'esterno vidi nuovamente l'orribile creatura che correva verso di
me, urlai terrorizzato e mi precipitai a chiudere la porta, appena in tempo, l’essere si scontrò sul
legno e la porta vibrò rumorosamente, trattenni il fiato, sentii un suono che mi fece rabbrividire,
come se delle unghie stessero accarezzando il legno dalla parte opposta.
- La morte ti sta alle calcagna ragazzo?
Una voce dalle mie spalle mi fece saltare dalla paura. Come un topo in trappola mi voltai, spalle al
muro, guardando quella in direzione, lo studio era in perfetto ordine e un uomo sedeva alla
scrivania.
- Che diavolo sta succedendo?! - Urlai terrorizzato e furioso ma l’uomo rise.
- Eh, brutta bestia quella che vi siete inventati ma, come si dice, chi è causa del suo mal pianga se
stesso. Non stare lì per terra, vieni, vieni, accomodati.
La stanza era ben illuminata, mi resi conto che stavo tremando, mi alzai a fatica avvicinandomi con
sospetto, l’uomo mi fece nuovamente cenno di sedermi ma rifiutai e sembrò non gradire. Era
adulto e minuto, dal volto dai lineamenti aquilini e i capelli lunghi raccolti dietro la nuca.
- Se sei venuto per quel coso lì - disse indicando la porta - non posso farci proprio nulla, è una cosa
che devi sbrigare tu. In realtà è meno brutto di quanto voi l’abbiate reso, altre civiltà l’hanno fatto
diventare una donna davvero attraente. - gli occhi scuri dell’uomo seguirono i miei movimenti e a
questo punto mi sedetti, stremato.
- Cos’era quella cosa?
L’uomo sorrise. - Quella è ciò che voi chiamate morte giovanotto, o almeno l’immagine che voi le
avete dato. Bruttina vero? Se la conosceste un po’ meglio vi rendereste conto che non è un essere
cattivo come lo fate voi.
Scossi il capo, incredulo. - Cosa ci faceva a casa mia, perché mi stava inseguendo?
L’uomo rise ancora. - Punto primo, se ci fai caso, eri tu che la stavi inseguendo, poi la faccenda si è
invertita ma questo è un dettaglio. Tu vuoi sapere perché è venuto a farti visita? È da un po’ che ti
sta dietro, in fin dei conti ti sta accompagnando.
- E' la morte che mi fa avere le visioni? - Chiesi mentre ancora cercavo di ristabilizzare il respiro.
- Visioni? Quali visioni? Oh no giovanotto, le tue non sono visioni, sono esperienze o ricordi, come
direste voi. Avete reso il senso del tempo in una maniera talmente inappropriata che ormai non
riuscite più a cogliere nulla di ciò che vi circonda.
- Chi sei tu? - Chiesi squadrandolo.
- Io? - Rise. - Io sono un’istante talmente svelto da durare il tempo dell'infinito. Non è una cosa da
esseri umani capire il mio funzionamento.
- Infatti non capisco. - Replicai con un filo di aggressiva ironia.
L’uomo sollevò la mano destra indicando con un ampio gesto in mia direzione, come un'attore che
ringrazia il pubblico.
- Sto parlando insieme con questi altri giovanotti.
All’improvviso alla mia destra e alla mia sinistra comparvero un’infinità di sedie su ognuna delle
quali era seduto un ragazzo. Mi voltai e loro si voltarono, ero esterrefatto, ero io vestito in modi
diversi, con capelli diversi, ma ero io, poi scomparvero, mi guardai nuovamente attorno ma nulla.
- Arrivi sempre qui, anzi sei e siete arrivati qui, ora. Non comprendi vero? Beh ho una bella notizia
per te, sarò io a sbrogliarti questa matassa, io risolvo sempre ogni cosa in un modo o nell’altro.
Mi sporsi in avanti battendo il pugno sulla scrivania. - Allora dimmi cosa mi sta succedendo! - Urlai
furioso.
L’uomo sembrò contrariato. - Vedi? Cosa sta succedendo a te... - il suo tono rimase estremamente
sereno - è questo che ti preoccupa e non capisci che non è quello che sta succedendo a te a
rappresentare un problema ma quello che sta succedendo fuori da te, continui a vederti come
qualcosa di differente da ciò che ti circonda e questo non ti porterà mai da nessuna parte. Devi
capire che sei una parte di quello che hai attorno come un cellula è parte del tuo corpo. Non ci
sono cose che tu faccia e che non abbiano ripercussioni sull’esterno e non c’è qualcosa che accada
all’esterno che non abbia ripercussioni su di te. Tu, a differenza degli altri abitanti di questo luogo,
hai il potere della tua specie e ora sei chiamato in causa per deciderne le sorti. - Si avvicinò come
se stesse per rivelarmi un segreto. - Tu sei la coscienza della tua specie, sarai in grado di salvarvi?
- Salvarmi da cosa? - Mi affrettai a chiedere e l’uomo si adirò.
- Salvarvi! non salvarti! - Poi si ricompose. - L’unica cosa che vi è richiesta è mantenere l’equilibrio
del sistema all'interno del quale siete stati inseriti, se rompete l’equilibrio e distruggete quello che
avete attorno qualcun altro dovrà distruggere voi. Non gettate forse i pesticidi quando una colonia
di insetti vi devasta l’orto? Nell’orto di questo villaggio voi siete gli insetti. Non hai mai pensato a
quanto siete fortunati ad essere in cima alla catena alimentare? Non ci hai mai pensato vero? Credi
che sia scontato, non lo è! Potreste benissimo essere al secondo o al terzo posto e allora altro che
case ed economia e guerra, dovreste diventare umili per forza di cose, sareste mangiati come voi
mangiate gli altri animali perché la vostra presunzione vi ha portato fin qui e tu lo sai bene, ma
continui a ignorarlo Fren! Voi che forgiate solo bombe, fuoco e distruzione - Si alzò con uno scatto
furioso e i lineamenti del suo viso si distorsero in una smorfia rabbiosa. - Picchi un indifeso con il
sorriso! Schiacci la testa ad un bambino con il cuore sereno! Ecco quello che fai ogni volta che fai
finta di non sapere che stai distruggendo il mondo che ti circonda! Sei un vile assassino alla stregua
di ogni essere spregevole che la vostra razza ha coltivato, avete permesso il nascere di una
gerarchia dominante fondata sulla distruzione e sulla schiavitù, voi siete gli insetti e state
distruggendo il mio! Maledettissimo! giardino!!!
Rimasi spiazzato e impaurito di fronte a quello scatto d’ira, l’uomo ci mise qualche secondo per
riprendersi, poi sembrò calmarsi e ricomporsi tornando seduto
- Comunque, poco importa. Come voi sterminate milioni di insetti ogni giorno con la vostra
tecnologia noi possiamo sterminare voi con la nostra così continueremo ad esistere. - Quindi si
chinò appena in avanti avvicinando il viso in mia direzione e abbassando il tono della voce. - Là
fuori - indicò la porta con un cenno del capo - quando stavi per morire Fren, non hai esitato a
premere il grilletto vero? Volevi uccidere qualcun’altro per salvare te stesso. Rifletti su questa cosa.
Restai sbalordito, immobile. - Cosa devo fare?
- Ascolta le tue paure ragazzo, tutte le persone che ti circondano sono in realtà aspetti della natura
che hanno vita nella tua consapevolezza così come io sono il tempo e tu la coscienza della tua
specie. Odio, astuzia, rimorso, la fonte vitale stessa della tua specie, vivono tutti attorno a te e tu
sei l'ago e il peso in questo momento. Ascolta la tua parte di consapevolezza che si dispera perché
ha compreso la gravità del corso delle cose, parla con la signora Lanninton. Noi non abbiamo
interesse nel tenervi in vita, non siete una specie essenziale al completamento del ciclo di Sofia, i
batteri sono una specie essenziale, non voi. Tra due giorni questa storia finirà, voi morirete o sarete
salvi, è una possibilità che non vi stiamo dando noi ma che voi state dando a voi stessi, a noi non
importa. Se perirete sarà solo per vostra scelta.
A questo punto l’uomo si alzò, sollevò la mano puntandomi l’indice contro, lo accostò alla mia
fronte e appena mi toccò persi conoscenza.
(Riposa una bambina rossa in viso)
Giorno 40
Quando ripresi conoscenza ero sul pavimento dello studio, così come lo avevo lasciato, nel caos. La
luce del sole passava tra le tende semi chiuse illuminando la stanza con colori pesanti, densi di
tranquillità. Mi alzai con un po’ di fatica per l’esser rimasto troppo tempo steso sul duro
pavimento, il fianco dolorante. Quando mi resi conto del luogo in cui mi trovavo pensai che forse
ero rimasto lì, forse avevo sognato ma ormai era inutile cercare di capire se le mie esperienze
fossero reali o meno così mi rimisi in sesto e uscii dalla stanza in cerca di Clara, non la trovai, anche
Sofia non era in casa.
Andai in bagno, nel silenzio di quella giornata soleggiata, mi sciacquai il volto e mi resi conto della
fame che avevo, così andai in cucina, mi sedetti e mangiai qualche biscotto, temporeggiando con
me stesso per raccogliere le idee sulla situazione, ripercorrendo le parole di quell’uomo. Ormai
sapevo, mi trovavo di fronte a una porta senza però avere la chiave per aprirla, non ancora.
Alla fine mi decisi, mi alzai dalla sedia e uscii di casa dirigendomi a passo svelto per il sentiero.
Raggiusi la capanna del taglialegna Tom e mi sembrò che l’uomo non fosse in casa, camminai
ancora fino alla casa della signora Lanninton e mi fermai al cancelletto per cercare di scorgere
qualche movimento che potesse segnalare la presenza della donna. Osservai le finestre e il sangue
mi si gelò nelle vene quando per un istante, a una delle finestre, mi sembrò di scorgere il viso di
una donna anziana che mi fissava, sembrava quasi Sofia ma aveva gli occhi scavati e la pelle del
viso mostruosamente disfatta, come fosse il viso di un cadavere decomposto dal tempo, durò solo
un’istante, subito dopo non c'era più ma rimase impressa nella mia mente, mi feci coraggio e mi
incamminai per il vialetto. Bussai due volte alla porta ma non ebbi risposta così bussai ancora
restando in attesa, ma ancora nulla.
Avevo già rinunciato, stavo per allontanarmi quando sentii un rumore alle mie spalle, guardai
nuovamente verso la casa e riuscii a scorgere la tenda della finestra accanto a me muoversi, come
se qualcuno mi stesse spiando e si fosse spostato vedendomi andar via. L’immagine della donna
alla finestra mi tornò in mente come una cupa presenza e sentii un brivido percorrere la schiena.
Tornai alla porta e bussai ancora, con più forza, attesi qualche secondo e sentii la chiave ruotare
dall’interno, la porta si schiuse appena ma nessuno mi accolse, così mi accostai alla fessura.
- Signora Lanninton?
Appena parlai dalle stanze mi raggiunse il suono di passi veloci, il suono di piedi scalzi sul
pavimento di legno della casa. Aprii del tutto la porta e non vidi nessuno oltre, cercai di individuare
da dove provenisse quel suono, veniva dal piano superiore, continuava a corre avanti e indietro,
poi si fermò. Mi guardai attorno, la casa era silenziosa.
- Signora Lanninton?
Ancora una volta non ricevetti alcuna risposta e cominciai a salire le scale, lentamente.
- Signora Lanninton.
Ripetei nuovamente e più che una domanda la mia sembrava una speranzosa affermazione.
Cercando di non fare rumore scivolai nel corridoio, sapevo che in casa c’era qualcuno, camminai
piano fino a quando non ebbi l’impressione di sentire una voce, come un lamento che proveniva
da una stanza in fondo al corridoio, mi avvicinai alla porta accostando l’orecchio al legno,
dall’interno della stanza proveniva un suono angoscioso, un lamento disperato. Posai la mano sulla
maniglia e la feci ruotare lentamente aprendo la porta, la stanza era al buio e quando vi entrai non
potevo vedere nulla se non la zona immediatamente oltre la porta, il silenzio era nuovamente
piombato intorno a me, il lamento era cessato.
- Signora Lanninton? - Chiesi sottovoce, quasi in un sussurro, avanzando nel buio verso un filo di
luce che filtrava tra le tende chiuse della finestra.
Ancora una volta nessuna risposta, accostatomi alla tende la aprì lasciando che la luce del sole
illuminasse la stanza ma appena lo feci un urlò straziante mi sorprese alle spalle facendomi
vacillare per lo spavento, mi voltai di scatto e vidi che in un angolo della stanza, rannicchiata sul
pavimento giaceva la signora Lanninton, terrorizzata, in stato confusionale, mi avvicinai
lentamente.
- Signora Lanninton sono io, Fren.
Mi guardò con gli occhi sbarrati, arrossati dalle lacrime mentre oscillava con il busto in maniera
ossessiva, notai che si sfregava le braccia con le unghie tanto da essersi creata delle ferite dalle
quali fuoriusciva sangue.
- Santo cielo!
Mi chinai per aiutarla ma la donna urlò nuovamente, terrorizzata, si coprì gli occhi con le mani e in
quello stesso momento qualcosa mi colpì dietro la nuca facendomi cadere a terra stordito. Per un
istante ci fu il buio, riuscii a intravedere soltanto dei piedi di donna passarmi davanti al viso e poi il
suono dei passi che correvano via dalla stanza.
Il dolore del colpo fu forte, portai la mano alla testa, perdevo sangue, cercai di alzarmi ma la testa
cominciò a girare vorticosamente e calò nuovamente il buio, persi conoscenza, ricordo solo boati
assordanti e raffiche di mitra, urla e ancora terribili esplosioni, una delle quali mi fece riaprire gli
occhi. Feci per rialzarmi ma una mano mi trattenne, era la signora Lanninton, ancora rannicchiata
nell’angolo, accanto a me che mi faceva segno con la mano di fare silenzio.
- Sono qui, sono arrivati. - Disse a bassa voce, con la follia negli occhi.
Mi misi carponi e a stento raggiunsi la finestra, in strada e nel bosco infuriava la battaglia, soldati
sparavano contro altri soldati, gli aerei bombardavano il sentiero, guardai lo scontro di nascosto ma
uno di loro mi vide e mi indicò con la mano urlando ai suoi compagni che si voltarono e
cominciarono ad avanzare verso la casa, un soldato alzò il mitra, appena me ne resi conto mi
lanciai in dietro, giusto in tempo per schivare una raffica di proiettili che frantumò la finestra e
perforò le pareti della stanza.
Corsi verso la donna. - Dobbiamo andarcene! Subito!
La donna mi sorrise, palesemente sotto shock e si rifiutò con atteggiamento infantile. Sentii un
tonfo sordo dal piano inferiore, i soldati stavano cercando di abbattere la porta.
- Dannazione Marta! Dobbiamo andare!
Ma la donna non sembrò volersi spostare, non avevo altra scelta se non lasciarla lì, un nuovo colpo
alla porta mi spronò a fuggire prima che fosse troppo tardi, fuori si scatenava l’inferno e
quell’inferno stava per raggiungerci.
- Mi dispiace. - Dissi alla donna e feci per allontanarmi ma quella mi afferrò il braccio
trattenendomi con forza.
- Sta per morire. - disse con infinita sofferenza nella voce. - Sofia la ucciderà, ucciderà la bambina.
La devi salvare, salvala. Morirà, moriremo tutti, se muore non ci sarà più niente dopo, devi salvare
la bambina, non ci sarà più niente dopo, più niente! - Continuò a ripetere queste parole
follemente.
Ci fu un colpo più forte dal piano di sotto e le urla dei soldati si diffusero per la casa così come il
suono degli stivali che si muovevano rapidamente al piano inferiore.
Guardai la donna. - Lasciami andare!
- Non ci sarà più niente dopo, moriranno i soldati e moriremo noi! - Cominciò a ridere
istericamente e fragorosamente.
- Lasciami! - Dovetti strattonarla con violenza per liberarmi dalla sua presa.
I soldati stavano salendo le scale, immaginai che avessero sentito le risate della donna, mi
precipitai fuori dalla stanza ma era troppo tardi per fuggire, corsi nel corridoio e cominciai a
cercare di aprire le porte, tutte chiuse, la prima, la seconda, vidi la canna del fucile del soldato
comparire dalla rampa delle scale quando finalmente una porta si aprì e mi ci ficcai dentro appena
in tempo, nell’esatto momento in cui i soldati entrarono urlando nel corridoio. Restai in silenzio
dietro la porta semichiusa, trattenendo il fiato, li vidi passarmi accanto diretti alla stanza da cui
provenivano le urla della donna, erano in due, aprirono la porta della stanza e fecero irruzione, la
signora Lanninton cominciò a ridere ancora più forte, poi una lunga raffica di mitra ed il silenzio. Un
tonfo al cuore mi spezzò il fiato in gola, presto sarebbe toccato a me, non potevo aspettare. Senza
pensare aprii la porta e uscii nel corridoio correndo a perdifiato fino alle scale, il suono dei miei
passi allarmò i soldati che uscirono di corsa dalla stanza e cominciarono a sparare, sentii il sibilo dei
proiettili accanto alla mia testa, scesi i gradini talmente in fretta che quasi caddi, spalancai la porta
dell’ingresso ma dovetti frenare bruscamente la mia corsa perché davanti a me una decina di
soldati mi davano le spalle e sparavano verso altri uomini dall’altro lato della strada. Il rombo degli
aerei era assordante, la terra esplodeva attorno a me. Mi abbassai e cominciai a correre seguendo
il perimetro della casa, la aggirai e quando fui sicuro di non essere visto cominciai a correre con
tutta la forza che avevo nelle gambe, tra gli alberi del bosco.
I due soldati dovevano avermi visto perchè sentii dei colpi e subito dopo l’impatto dei proiettili sui
tronchi attorno a me, abbassai la testa per proteggermi e corsi ancora più forte fino a quando non
caddi in ginocchio, stremato e mi riparai dietro il tronco di un albero. Rimasi in ascolto cercando di
capire se mi stessero ancora inseguendo, tentai di riprendere fiato, e dopo qualche secondo sporsi
il capo dal tronco dell’albero ma non vidi nessuno dei miei inseguitori. Ripresi a correre nella
direzione di casa, tenendomi lontano dal sentiero. Rallentai sempre di più, ormai sfinito, fino a
quando la mia corsa non divenne un passo svelto. Camminai a lungo nell’aria fredda del
pomeriggio fino a quando, tra gli alberi, scorsi la figura di un uomo seduto ai piedi di un albero, mi
avvicinai tenendomi basso e cercando di non fare rumore, ne potevo vedere solo parte del busto
oltre l’albero ma non mi sembrò un soldato, così mi avvicinai ancora di più.
- Ehi! - Cercai di richiamarne l'attenzione senza ricevere alcuna risposta, così mi avvicinai ancora di
più ma un dubbio mi balenò in mente, quella figura mi sembrava familiare, girai in tondo per non
stargli troppo vicino e non riuscii a trattenere un’esclamazione di stupore quando vidi il volto del
ragazzo, era il mio volto nell’ombra scura della morte. Era uguale a me con la differenza che io
respiravo ancora, lui era stato colpito da un proiettile. Chiusi gli occhi voltandomi come a voler
allontanare da me quell’immagine inquietante e raccapricciante, mi girai e ricominciai a correre
verso casa.
Dopo un po’ non sapevo più dove mi trovassi, il bosco sembrava tutto uguale senza un sentiero da
percorrere quando finalmente, in lontananza mi sembrò di scorgere un luce diversa e qualcosa di
familiare, mi avvicinai ancora fino a quando non fu chiara davanti a me la sagoma del pozzo della
casa di Sofia. Un moto di felicità mi riempì il cuore, adesso ero quasi a casa. Mi avvicinai ancora
ma fui costretto a fermarmi nuovamente quando mi accorsi che vicino al pozzo c’era qualcuno, due
persone parlavano sommessamente.
Mi avvicinai appiattendomi sui tronchi degli alberi e tra i cespugli, le voci si fecero sempre più
distinte fino a quando non le riconobbi definitivamente, la voce femminile era quella di Sofia,
mentre l’uomo con cui parlava era il taglialegna Tom. Quando mi avvicinai abbastanza da poterne
ascoltare le parole mi accucciai tra i cespugli ma l’unica cosa che riuscii a capire era qualcosa
riguardo all’arrivo dei soldati e al fatto che fosse arrivato il momento di fare il grande passo, per il
bene di tutti. Così disse il taglialegna e Sofia sembrò acconsentire, seguirono alcuni secondi di
silenzio, cercai di guardare oltre i cespugli ma i due erano andati via così, tenendomi nascosto nella
vegetazione, cominciai ad avvicinarmi al pozzo ma appena uscii allo scoperto una voce minacciosa
mi fece fermare.
- Ci stavi spiando eh?
Mi voltai scorgendo la figura del taglialegna. - Cosa state tramando? - Chiesi guardingo verso
l’uomo e alla mia domanda scoppiò in una gran risata.
- Non l’hai capito eh? Con una coscienza confusa e superficiale come te non stento a credere che la
specie umana abbia questa tendenza distruttiva e autodistruttiva.
Lo fissai, furioso. - Cosa non avrei capito, che volete uccidere una povera bambina innocente?
L’uomo si fece serio. - Tu non hai capito proprio niente, sei stolto quanto gli uomini che ti hanno
generato, compromesso, corrotto, incapace di prendere le redini del tuo destino. Sofia ha
aspettato fino all’ultimo istante che tu capissi la tua parte in questo gioco ma sei cieco. Non
potrebbe essere altrimenti, se la vostra specie continua a vivere finirà per distruggere non solo sè
stessa ma ogni specie esistente, il mondo intero cesserà di esistere per colpa della distruzione che
la specie umana riserva alla sua casa. Solo Sofia ha il potere di eliminarvi tutti, Sofia, la natura, solo
lei può farlo.
- Io ora sò!
L'uomo rise ancora. - E' tardi ormai, il tuo limite è quello di comprendere sempre quando è troppo
tardi, è solo una scusa che ti permette di restare in disparte senza assumerti responsabilità, non sei
disposto a schierarti non hai il coraggio di farlo, non l'hai mai avuto. Tu esisti da sempre ragazzo,
ma hai cominciato a perdere colpi da quando il commerciante è arrivato nel mondo con la sua
furbizia e il suo egoismo, lui mi ha dato forza e l'odio e l'invidia hanno dilagato tra gli esseri umani.
Ma ora che hanno distrutto ogni cosa e stanno per distruggere completamente la casa che li ospita
è arrivato il momento di eliminare la piccola Clara, Clara è l'impulso vitale degli esseri umani sulla
terra, a Sofia basterà poco, tanta forza ed esperienza contro l’ingenuità di una specie delicata e
indifesa.
- Io ora so! - Ripetei guardando la casa. - Possiamo ancora fermarla!
Un ghigno distorse il volto dell’uomo. - Non arriverai in tempo.
Guardai la casa, poi l’uomo. - perché dici questo? - Chiesi mentre un brutto presentimento si
affacciava nella mia mente.
- Perché non ti permetterò di salvare la pelle alla bambina.
L’uomo si avvicinò con uno scatto, sollevò il braccio destro sferrando un pugno in mia direzione, mi
spostai istintivamente evitando l’impatto e perdendo quasi l’equilibrio, cercai di rialzarmi per
correre verso casa ma l’uomo mi afferrò per i vestiti trattenendomi e spingendomi verso il pozzo,
cercai di divincolarmi ma l'uomo sferrò un violento pugno sulla ferita che avevo al fianco. Un
dolore atroce mi fece urlare, caddi a terra e lo vidi avvicinarsi nuovamente, mi afferrò per la
camicia chinandosi su di me, vidi il suo pugno indietreggiare e poi sferrò ancora un colpo sul mio
viso che quasi mi fece perdere i sensi, le ossa dure della mano del taglialegna mi colpirono in pieno
volto, il dolore era insopportabile, ero stordito, il sangue mi impediva di vedere quando sotto la
mano tastai una pietra, la sollevai e cercando di usare tutta la forza che avevo in corpo lo colpii alla
tempia. L’uomo cadde sul fianco e accecato dalla rabbia continuai a colpirlo più volte fino a quando
non perse i sensi.
A stento mi alzai cominciando a correre zoppicando verso casa, attraversai l’orto, arrivai alla porta
della cucina ma era chiusa, mi avvicinai alla finestra e vidi Sofia aprire un cassetto e tirarne fuori un
coltello.
- No! Fermati Sofia! - Battei le mani sulla porta ma la donna sembrava non sentirmi.
Intanto dal bosco le urla dei soldati stavano per raggiungere il piazzale, cominciai a correre
svoltando l’angolo della casa, dal sentiero della radura vidi i soldati correre verso di me, cercai di
correre più velocemente possibile mentre gli uomini mi stavano per raggiungere, arrivai davanti
alla porta di casa, abbassai la maniglia e aprii la porta.
Davanti a me stava Sofia, seduta a terra con la piccola Clara tra le braccia e il coltello nella mano, la
bambina mi guardò e sorrise, portai una mano in avanti e quando stavo per urlare a Sofia di
fermarsi sentii una mano afferrarmi per i capelli, venni strattonato dolorosamente e la mia corsa fu
arrestata bruscamente, un istante dopo qualcosa di duro premeva sulla mia schiena, uno sparo e il
proiettile mi trapassò il busto, un dolore lancinante mi pervase, portai le mani al petto e le dita
incontrarono il sangue caldo che usciva dalla ferita, le urla si fecero echi lontani e quando il soldato
lasciò la presa dai miei capelli le mie ginocchia cedettero, caddi a terra, guardai Sofia sollevare il
coltello e piantarlo nel cuore della piccola Clara, dopo questo solo la mia testa che sbatte sul duro
pavimento, il battito rallenta, la luce si affievolisce, gli occhi pesanti, echi lontani, sempre più
lontani e null’altro.
Chiusi gli occhi con la paura della morte nel cuore, quando li riaprii ero davanti alla porta dello
stanzino del primo piano, guardai la maniglia, mi voltai alla mia destra e vidi un ragazzo che mi
fissava, ero io, lo ricordavo. Gli sorrisi e aprii la porta entrando nella luce.
Non temo, vado e guardo: c’è un cucchiaino posato nella polvere, sul tavolo barattoli di more nei
profumi dell’estate, una lampada e il suo ragno tessitore, una lettera ingiallita: parole d’amore. La
piccola finestra impolverata: luce di mattino, luce di tramonto.
Un tenero vagito nel silenzio. Sorride, ha due occhi di cristallo. Come un seme nella terra del suo
vaso riposa una bambina rossa in viso. Un nome come l’alba nella notte. Il velo che dal sole la
ripara un foglio tiene appeso e dice: “Clara”.
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