POMERIGGIO ALL’OPERA 2013/2014 Boris Godunov di Modest Petrovič Musorgskij Boris Godunov è un'opera lirica di Modest Petrovič Musorgskij, su libretto proprio, basata sul dramma omonimo di Aleksandr Puškin e sulla Storia dello Stato Russo di Nikolaj Karamzin. È la sola opera lirica completata da Musorgskij ed è considerata il suo capolavoro; oltre ad essere una pietra miliare della scuola russa ottocentesca: influenzerà in maniera non indifferente la musica europea di gran parte del Novecento. La musica è stata composta con quel particolare stile che riflette la profonda conoscenza del compositore della musica popolare del suo paese e che rifiuta volontariamente l'influenza delle scuole operistiche tedesca e italiana. Puškin basò il suo dramma sul personaggio storico di Boris Godunov, traendo larghe ispirazioni dall'Amleto di William Shakespeare. Una migliore comprensione dell'opera è facilitata dalla conoscenza degli eventi storici relativi al cosiddetto Periodo dei Torbidi, quel periodo di interregno, guerre e disordini in Russia che seguì la fine della dinastia dei Rurikidi (1598) fino all'avvento della dinastia dei Romanov (1613). Nell'opera lirica, ambientata tra il 1598 e il 1605, Boris Godunov diventa Zar di tutte le Russie dopo l'uccisione, avvenuta in circostanze misteriose, dell'erede legittimo al trono, lo Zarevič Dmitrij Ivanovič, figlio di Ivan il Terribile, ed aver di fatto esercitato il potere durante il regno di Fëdor I (altro figlio di Ivan), considerato mentalmente inabile per governare. Nonostante i suoi sforzi per mantenere una condotta di regno più umana rispetto a Ivan il Terribile, la Russia precipita presto nel caos e nella povertà. Un giovane monaco, Grigorij, dopo una fuga rocambolesca dal monastero, si fa passare per lo Zarevič Dmitrij e riesce a sposare Marina Mniszech, una nobile polacca; dopo aver convinto il re di quel paese della legittimità del suo matrimonio, il falso Dmitrij organizza l'invasione della Russia da parte delle truppe polacche. Boris Godunov, assillato da sensi di colpa e in preda ad allucinazioni, precipita nella follia e muore, designando il proprio figlio Fëdor come successore. Nascita e diffusione dell'opera Il capolavoro di Musorgskij esiste in due versioni del suo autore: la versione originale del 1869, in sette scene, non venne accettata per essere rappresentata, e venne eseguita per la prima volta quasi cinquant'anni dopo la morte del compositore, il 16 febbraio 1928 a Leningrado. La seconda versione del 1871, in un prologo e quattro atti, profondamente revisionata dall'autore, venne messa in scena per la prima volta l'8 febbraio1874 al Teatro Mariinskij di San Pietroburgo. Questa seconda versione include elementi nuovi che non si ritrovano nel dramma di Puškin e dà una rappresentazione in qualche modo differente dello zar Boris Godunov. Soltanto nel 1997 verranno rappresentate le due versioni originali nel Teatro Mariinskij, con diversi cantanti a sostenere il ruolo di Boris. Alla morte di Fëdor Dostoevskij, avvenuta nel 1881, Musorgskij compose di getto una marcia funebre basata su temi musicali ripresi dall'opera stessa. Dopo la morte del compositore, il suo capolavoro operistico fu eseguito diverse volte; l'opera fu revisionata da Nikolaj Rimskij-Korsakov nel 1896, ed eseguita per la prima volta a Mosca nel 1898; fu poi nuovamente rivista nel 1908: questa versione, considerata più raffinata e convenzionalmente più efficace è stata anche quella più eseguita per diversi decenni ed è ancora rappresentata ai nostri giorni in Russia. In Occidente, tuttavia, le due orchestrazioni originali di Musorgskij vennero scoperte ed apprezzate da critica e pubblico soltanto in tempi recenti, con le loro tonalità musicali più approssimative e scure, più aderenti ai connotati della storia raccontata. Le due versioni dell'opera sono state orchestrate anche da Dmitrij Šostakovič tra il 1939 e il 1940, ed in questa veste vennero messe in scena per la prima volta nel 1959 a Leningrado. Inoltre, l'opera è stata rappresentata in diverse lingue – inglese, francese, tedesco, italiano e altre - oltre all'originale russo. In Italia l'opera ebbe una prima diffusione negli anni trenta nella versione di RimskijKorsakov ed un adattamento italiano al testo originale manipolato piuttosto pesantemente. La prima rappresentazione venne tenuta nel 1930 al Festival Lirico dell'Arena di Verona, mentre la prima incisione discografica in italiano avvenne nel 1939. La prima rappresentazione della seconda versione originale avvenne il 25 maggio 1940 al Teatro Comunale di Firenze nel corso del Maggio Musicale Fiorentino, sotto la direzione di George Georgesco, la regia di Guido Salvini e le coreografie di Aurel Milloss. In seguito la manifestazione musicale del capoluogo toscano allestirà altre sei volte l'opera di Musorgskij, l'ultima nel 2005. Tra i direttori d'orchestra, Claudio Abbado firmerà nel 1979 un allestimento al Teatro alla Scala di Milano, nonché una straordinaria messa in scena al Covent Garden nel 1983 con la regìa teatrale di Andrej Tarkovskij – ripresa nel 1991 – ed una incisione discografica nel 1993. Della versione del 1908 di Rimskij-Korsakov, Herbert von Karajan nel 1970 incise quella che è considerata da molti l'interpretazione più riuscita. Valerij Gergiev fu il primo direttore nel 1997 a incidere entrambe le versioni autoriali dell'opera. Grandi cantanti hanno poi ricoperto il ruolo principale di Boris nel corso degli anni: da ricordare su tutti Fëdor Šaljapin, Boris Christoff, Nicolai Ghiaurov e, tra gli italiani, Ezio Pinza, Nicola Rossi-Lemeni. Storia della composizione Nel settembre del 1868 il quasi trentenne Musorgskij era ospite della sorella di Michail Glinka, Ljudmila Šestakova, la cui casa era il punto di ritrovo di una generazione di giovani intellettuali russi che puntavano a realizzare un'autentica cultura nazionale. Musorgskij aveva da poco smesso di esibirsi al pianoforte in accompagnamento alle più famose arie operistiche di Verdi, aveva abbozzato qualche composizione (ad esempio Salammbô ed Il matrimonio) ed era alla ricerca di un valido soggetto sul quale concentrarsi a fondo. L'idea di comporre un'opera lirica basata sul dramma Boris Godunov di Puškin fu dello storico e letterato Vladimir Nikolskij, un'autorità in materia. La Šestakova gli procurò una copia del dramma inserendo tra le pagine stampate alcuni fogli bianchi. Il compositore ebbe l'ispirazione decisiva e abbandonò le altre partiture che non furono mai più concluse. Dopo aver letto il dramma di Puškin, consistente in 24 scene scritte prevalentemente in versi sciolti, ed aver studiato approfonditamente il decimo ed undicesimo volume della monumentale Storia dello Stato Russo di Nikolaj Karamzin, al quale il dramma di Puškin era dedicato, la stesura del libretto fu completata in pochissimo tempo. L'abbozzo musicale del primo atto era pressoché completo per la fine di novembre del 1868; il 4 dicembre successivo venne terminata la scena di Pimen. Nel luglio del 1869 tutta l'opera era già scritta, e tra ottobre e dicembre venne definita l'orchestrazione. Fu un lavoro febbrile ed entusiasmante, svolto in appena 14 mesi, con il sostegno degli amici di Musorgskij, tra i quali il critico musicale, archeologo, etnografo e direttore della Biblioteca di Pietroburgo Vladimir Stasov, che fornì ulteriori dati documentari al compositore. Trama Matvej Šiškov e Michail Bocharov disegnarono le scenografie usate nella prima rappresentazione teatrale del dramma di Puškin nel 1870 e nella prima performance assoluta dell'opera di Musorgskij nel 1874. Qualcuno dei loro schizzi accompagna la trama di seguito esposta. Tra parentesi e in corsivo vengono indicate le arie, i cori e i motivi principali. La trama che segue comprende tutte le scene della prima e seconda versione dell'autore. Corrisponde dunque sostanzialmente alla revisione di RimskijKorsakov, con le ultime due scene ordinate però secondo la volontà dell'autore, e con l'aggiunta della scena della Piazza di San Basilio, tratta dalla prima versione dell'autore e non revisionata da Rimskij-Korsakov. Prologo Scena 1 Il Cortile del Monastero di Novodevičij, nei dintorni di Mosca (febbraio 1598). Dopo un'introduzione orchestrale (Il motivo di Dmitrij), la tela apre su uno spiazzo nel cortile del luogo di meditazione, dove da diversi giorni si è ritirato il boiardo Boris Godunov, designato a cingere la corona imperiale dopo la morte, senza eredi, dello zar Fëdor I. Nikitič, il capo delle guardie, ordina al popolo, che sosta sotto le mura del convento, di rinnovare le preghiere affinché Boris accetti il trono. La folla, pigra ed immobile, canta un coro di supplica (A chi ci abbandoni, padre nostro?). Un gruppo di contadine entra in crescente agitazione ed inizia tra loro un diverbio, interrotto soltanto dall'apparizione della guardia con fare minaccioso. Le donne si rimettono in ginocchio a pregare e la folla rientra nella precedente immobilità. Andrej Ščelkalov, Segretario della Duma, scende le ampie scale del convento ed informa il popolo che Boris è intenzionato a rifiutare il trono della Russia (Veri credenti! Il boiardo è irremovibile!), e rinnova le preghiere per farlo desistere da tale proposito. Entra in scena una processione di pellegrini erranti con le loro guide che intona un inno (Gloria a Te, Creatore altissimo), esortando il popolo ad annientare quello spirito di anarchia rappresentato dal drago che porta discordia nella Russia, distribuendo loro immagini sacre ed amuleti ed entrando nel monastero per incontrare Boris. I presenti discutono quanto detto dai pellegrini. Molti rimangono piuttosto perplessi. Il capo delle guardie interrompe qualsiasi discussione ordinando al popolo di presentarsi il giorno seguente al Cremlino di Mosca. Il popolo si disperde. Prologo Scena 2 Piazza delle Cattedrali del Cremlino di Mosca (1598). Dopo il motivo orchestrale introduttivo, basato sulle campane che suonano a distesa, dal sagrato della Cattedrale della Dormizione il principe Šujskij esorta il popolo a glorificare il nuovo zar Boris. Quest'ultimo intona un canto di lode (Come la gloria dello splendido sole nel cielo), ed una solenne processione di boiardi esce dalla Cattedrale. Il popolo ringrazia ancora. Boris appare sul sagrato. L'urlo di Gloria! registra un crescendo e quindi si spegne. Boris lascia il popolo con un penetrante monologo (La mia anima si rattrista), dirigendosi verso gli appartamenti reali. Qui, egli prega l'Onnipotente sperando di guidare il suo popolo con regole buone e giuste. Invita poi il popolo a grandi festeggiamenti, quindi procede verso la Cattedrale dell'Arcangelo Michele per visitare le tombe dei regnanti russi precedenti. Il popolo augura una lunga vita a Boris (Gloria! Gloria! Gloria!). Un breve tumulto ha luogo presso la cattedrale, ma le guardie riescono a mantenere l'ordine. Il popolo ripete il grido di Gloria!. Atto I Scena 1 Una cella del monastero di Čudov, dentro il Cremlino di Mosca (1603). Pimen, un monaco anziano, scrive una cronaca (Ancora uno, l'ultimo racconto) della storia russa. Il giovane novizio Grigorij si sveglia da un sogno orribile e profetico, e lo confessa a Pimen: egli saliva una scala ripida su un'alta torre, segnato a dito dal popolo moscovita, e cadeva a precipizio. Pimen lo esorta a rendersi docile con la preghiera ed il digiuno. Grigorij si lamenta di avere lasciato troppo presto gli affari mondani per diventare un monaco: invidia a Pimen la sua vita precedente ricca di avventure. Pimen aveva visto ed approvato il comportamento di Ivan il Terribile e di suo figlio Fedor, che esibivano grande devozione spirituale, ed era entrato in contrasto con Boris, considerato un regicida. Su richiesta di Grigorij, Pimen racconta nei dettagli la scena dell'uccisione di Dmitrij Ivanovič, alla quale aveva assistito personalmente a Uglič. Avendo appreso di essere pressoché coetaneo dell'erede trucidato, Grigorij concepisce immediatamente l'idea di spacciarsi per lui. Pimen ode i rintocchi per il Mattutino, e mentre sta per allontanarsi per pregare, Grigorij gli dichiara che Boris non potrà sfuggire alla giustizia degli uomini, né tantomeno a quella di Dio. Quindi fugge dalla cella del monastero. Atto I Scena 2 [Una taverna alla frontiera lituana (1603). Dopo una breve introduzione orchestrale, basata sui tre temi musicali predominanti della scena, l'ostessa entra e canta una filastrocca (Avevo un anatroccolo grigio-azzurro). Viene interrotta verso la fine da voci e risate. I vagabondi Varlaam e Misail, che chiedono offerte per le anime, ed il loro compagno Grigorij, in abiti da contadino, arrivano ed entrano. Dopo ripetuti scambi di saluto, Varlaam dando di gomito al compagno richiede un po' di vino. Quando l'ostessa rientra con una bottiglia, egli beve ed intona una feroce canzone sulla conquista di Kazan' da parte di Ivan il Terribile (Questo accadde nella città di Kazan). I due vagabondi bevono a lungo ed invitano il compagno a fare altrettanto. Grigorij, non avendone voglia, domanda all'ostessa della strada in direzione dei confini con la Lituania. Un ufficiale di polizia entra alla ricerca di un monaco fuggitivo (Grigorij), che è scappato del monastero di Čudov dichiarando di voler diventare zar a Mosca. I sospetti dell'ufficiale di polizia ricadono su di Varlaam, tanto da fargli dire di aver trovato colui che cercava. Egli però non sa leggere l'ordinanza di arresto, così Grigorij si offre volontario per farlo ma, guardando con cautela Varlaam, ne sostituisce abilmente la descrizione alla la sua. L'ufficiale dà ordine di bloccare Varlaam, che protesta la sua innocenza e domanda di leggere lui stesso l'editto. Quando legge la vera descrizione del sospetto, che naturalmente corrisponde a Grigorij, costui con destrezza brandisce un coltello e salta dalla finestra. Atto II Scena 1 Gli appartamenti privati dello zar al Cremlino (1604). Ksenija, la figlia adolescente di Boris, osserva in lacrime un ritratto del suo fidanzato che è morto, cantando una breve aria (Dove sei, mio promesso sposo?). La nutrice e suo fratello Fëdor tentano di consolarla con qualche canzone (La zanzara tagliava la legna e La canzone di questo e quello). Boris entra all'improvviso agitato, rivolge parole affettuose a Ksenija, e la congeda insieme alla nutrice. Si intrattiene quindi con Fëdor, che è intento alla consultazione della carta dell'immenso impero sul quale un giorno dovrà regnare, lo incoraggia a proseguire nei suoi studi, ed esterna le sue emozioni in un lungo e fine monologo (Ho raggiunto il potere supremo). Il suo stesso potere lo angoscia, e non riesce ad allontanare da sé il ricordo del delitto con il quale è riuscito a conquistare il trono. Neppure nelle gioie della famiglia trova conforto, ed ora che una carestia terribile si è abbattuta sulla Russia, il popolo lo ritiene colpevole di tutte le sventure che affliggono il paese. Il boiardo di corte gli annuncia l'arrivo del principe Šujskij, consigliere scaltro ed ambizioso,[5] che deve comunicare allo zar una notizia importante. All'improvviso si sentono le grida di alcune donne (Il nostro pappagallo stava nel salotto) che si riferiscono alla storia del loro pappagallo che, rifiutando di essere scacciato, le beccava tutte quante. Šujskij entra, avvicinandosi rispettosamente allo zar, ed annuncia che un pretendente è apparso in Lituania: si fa chiamare Dmitrij e potrebbe attirare il favore del popolo, aggiungendo che le rivolte guadagnano ogni giorno terreno. Scosso da questa rivelazione, Boris congeda Fëdor e, in preda al terrore, domanda a Šujskij la conferma della morte di Dmitrij: costui rievoca i particolari del delitto e la sua ispezione nella piazza dove fu ritrovato il cadavere del fanciullo (A Uglič, nella cattedrale), ma rivela anche un miracolo accaduto sul viso del fanciullo. Boris non regge al macabro racconto, e, lanciato un urlo, in preda ai rimorsi, si aggrappa ad un braccio della poltrona e fa segno a Šujskij di andarsene. Un orologio inizia i suoi rintocchi e Boris cade in preda ad allucinazioni. Lo spettro del fantasma del defunto Dmitrij gli appare, ma Boris attribuisce la responsabilità del delitto al popolo (Via, via, bambino! Non io... la volontà del popolo!), poi crolla a terra, supplicando Dio di aver pietà della sua anima. Atto III Scena 1 La camera di Marina nel Castello di Sandomierz, Polonia (1604). Le damigelle intonano una canzone delicata e sentimentale (Sulla Vistola azzurra) per intrattenere la principessa Marina Mniszech, mentre la cameriera Ruzia la pettina. Marina si sta preparando alla festa che avrà luogo quella sera stessa, ma ad un certo punto, vinta dalla noia, dichiara di preferire i canti eroici della cavalleria in battaglia, congeda le damigelle e la cameriera e, rimasta sola, ripensa ad un invitato che le sta particolarmente a cuore e che è innamorato di lei (Quanto penosa e fiacca): un impostore proveniente da Mosca che si fa chiamare Dmitrij. La donna punta a legarsi a lui, incantata dalle avventure, dal potere e dalla gloria. Il gesuita Rangoni entra e richiede a Marina il mantenimento di una promessa che dovrà eseguire una volta diventata zarina: convertire gli eretici di Mosca (ortodossi) alla vera fede cattolica. Marina risponde che non ha la forza di realizzare un progetto simile, Rangoni contrariato ribatte che se le fosse richiesto dovrà sacrificare tutto, compreso il suo onore, per obbedire ai dettami della chiesa. Marina esprime disprezzo per le sue insinuazioni ipocrite, lo maledice e gli intima di andarsene. Rangoni vede negli occhi di lei la scintilla delle fiamme infernali. Marina getta un grido e cade ai piedi del gesuita. Rangoni le intima di sottomettersi e Marina si adegua per timore del castigo divino. Atto III Scena 2 Castello dei Mniszech a Sandomierz. Un giardino con fontana. Una notte di luna (1604). Dopo l'apertura con l'accompagnamento di violini ed arpa di una versione del Motivo di Dmitrij, il pretendente attende Marina che gli ha dato appuntamento a mezzanotte nel giardino del castello di suo padre. Mentre è pensieroso e Rangoni lo trova e gli porta un nuovo messaggio di Marina: lei lo ama e arriverà presto da lui. Grigorij promette di innalzare la sua amata sul trono degli zar, facendola sua moglie. Rangoni vorrebbe che il pretendente lo considerasse come un padre, in modo da seguirlo in ogni passo e proteggerlo. Il pretendente gli dice di non separarsi da lui se prima non gli concede di vedere e abbracciare Marina. Rangoni lo convince a nascondersi alla vista dei nobili polacchi i quali, uscendo dal castello, ballano una danza tradizionale, la polonaise. Marina viene corteggiata, durante il ballo, da un vecchio signore. Gli ospiti sperano di distruggere l'armata di Boris, catturarlo e conquistare presto il trono moscovita. Ritornano nel castello. Il pretendente entra di corsa e Marina appare, ma non gli parla più come un'innamorata: vuole sapere quando diventerà il nuovo zar, dicendo di essere attratta soltanto dal trono e dalla corona. Il pretendente si getta ai suoi piedi, ma lei lo respinge, chiamandolo insolente e scagnozzo. Quando gli rinfaccia la vita passata, lui le dice di voler partire il giorno seguente alla testa della sua valorosa compagnia per arrivare a Mosca e, di lì, al trono: diventeto zar si diletterà a ridere di lei, ed ordinerà a tutti di fare altrettanto. Marina cambia tono solo quando Grigorij inizia a trattarla come una regina: insieme intonano un duetto (Oh zarevič, io ti prego), dove infine la donna ammette il suo amore. Rangoni esce dal suo nascondiglio, compiaciuto dei risultati della sua opera di persuasione. Scena aggiunta La Piazza della Cattedrale di San Basilio a Mosca (1605).[6] Una grande folla si accalca davanti alla Cattedrale di San Basilio. Ci sono molti mendicanti e qualche guardia. Un gruppo di uomini entra, discutendo l'anatema che il diacono ha decretato su Griška (Grigorij) Otrepev: secondo loro egli è l'erede al trono. Con un'eccitazione crescente cantano dell'avanzamento del suo esercito attraverso la foresta di Kromy, della sua intenzione di riprendere il trono del padre e della morte che ha giurato di dare all'intera stirpe dei Godunov. Uno Jurodivyj (Innocente) entra nella cattedrale seguito da alcuni monelli e canta una canzone senza senso alla luna, ai bambini che piangono, infine rivolge la sua preghiera a Dio. I monelli lo perseguitano colpendo ripetutamente il suo cappello di metallo. L'Innocente ha una copeca, che i ragazzini gli sottraggono, e per questo inizia a gemere pateticamente. Lo zar entra nella la Cattedrale. I monelli richiedono l'elemosina, mentre in un potente coro (Padre benefattore, dà a noi il pane) il popolo affamato insiste per avere da mangiare. Mentre il coro si abbassa, le grida dell'Innocente vengono udite e Boris chiede quale sia il motivo del pianto. L'Innocente denuncia il furto della moneta e chiede a Boris di uccudere i ragazzini, così come è stato fatto con lo zarevič Dmitrij. Šujskij vuole scacciare l'Innocente, ma Boris preferisce richiedere preghiere a quell'uomo santo. Come Boris esce dalla cattedrale, l'Innocente dichiara che non pregherà per uno zar regicida, maledicendolo di fatto. Quindi, inizia a cantare il suo lamento (Sgorgate, sgorgate, lacrime amare!) sulle sorti future della Russia. Atto IV Scena 1 La sala del Palazzo Granovitij nel Cremlino di Mosca (1605). Una sessione della Duma è in corso: l'assemblea dei boiardi sta ascoltando le informazioni fornite da Andrej Ščelkalov sulle richieste del pretendente. Dopo alcune discussioni, i boiardi proclamano in un potente coro (Allora, iniziamo a votare, boiardi), che il pretendente ed i suoi simpatizzanti devono essere messi a morte. Šujskij, del quale diffidano, arriva in sala per raccontare che, mentre lasciava l'appartamento privato dello zar, lo ha visto tentare di scacciar via il fantasma del defunto zarevič Dmitrij, esclamando: "Via da me, via da me, bambino!". I boiardi lo accusano di diffondere notizie inventate, ma proprio in quel momento Boris entra, ripetendo: "Via da me, bambino!", e i boiardi ne restano sconvolti. Dopo che Boris ha ripreso lucidità, Šujskij lo informa che un anziano monaco chiede di essere ascoltato. Pimen entra e racconta la storia (Una volta, sul far della sera) di un cieco che ha sentito la voce dello zarevič in un sogno: Dmitrij gli ha insegnato la strada per arrivare a Uglič e pregare sulla sua tomba, per poter compiere molti miracoli in paradiso; l'uomo ha obbedito alla sua esortazione ed in premio ha riavuto la vista. Questa storia è il colpo finale per Boris: nomina suo figlio, dichiarando di essere vicino alla morte (Addio, figlio mio, sto morendo), e dà i suoi ultimi consigli. In una scena drammatica e commovente (Le campane! Suonano a morto!) Boris cessa di vivere. Atto IV Scena 2 Una foresta nei pressi di Kromy (1605). Una musica tempestosa accompagna l'entrata di un nutrito gruppo di vagabondi che hanno catturato il boiardo Chruščov. La folla si piega al suo cospetto in un omaggio irriverente (Non è un falco che vola sopra il cielo). Uno Jurodivyj (Innocente) entra in scena, seguito da alcuni monelli, e canta una canzone senza senso alla luna, ai bambini che piangono, infine rivolge la sua preghiera a Dio. I monelli lo perseguitano colpendo ripetutamente il suo cappello di metallo. L'Innocente ha una copeca, che i ragazzini gli sottraggono: per questo inizia a gemere pateticamente. Varlaam e Misail ascoltano a debita distanza i canti sui crimini commessi da Boris e dai suoi seguaci prima di entrare in scena. La folla sta tentando una congiura (Un coraggio ardito sorge e si diffonde) tesa a denunciare Boris. Due gesuiti vengono sentiti a distanza cantare in latino, pregando il loro Dio che salvi Dmitrij, poi entrano in scena ed i vagabondi si preparano a giustiziarli sommariamente impiccandoli, e fanno appello alla Vergine Santa per avere aiuto. Una processione di araldi annuncia l'arrivo dell'esercito di Dmitrij. Varlaam e Misail, non riconoscendo in lui il compagno che avevano seguito all'osteria al tempo del suo ingresso in Lituania, lo glorificano (Gloria allo zarevič!) insieme alla folla. Il pretendente richiama e fa spostare da un lato tutti i perseguitati da Boris Godunov, libera il boiardo Chruščov e continua la sua marcia verso Mosca. Mentre la folla si allontana, l'Innocente è l'unico a rimanere cantando una canzone struggente (Sgorgate, sgorgate, lacrime amare!) sull'arrivo del nemico, delle tenebre oscure e impenetrabili e del dolore che è sta per abbattersi sulla Russia.