EDUCARE AI SENTIMENTI Novara, 20 marzo 2015 Penso che il tema sia molto interessante. Per affrontarlo durante questa conversazione con voi non partirò dai discorsi degli esperti che tratteggiano il profilo di giovani inespressivi, indifferenti, privi di pietà oppure sentimentali, succubi di emozioni che essi consumano velocemente e da cui sono altrettanto rapidamente consumati. Sono tutte considerazioni legittime. Il punto di vista che ho scelto è, però, un altro. Parlerò dell’educazione ai sentimenti partendo dal punto di vista di un’insegnante come sono. Le occasioni sono tante per riflettere. Proprio due settimane fa, durante l’ora di lezione di Dante si è aperto un vivace dibattito con gli studenti di una delle mie due terze circa la pietà che Dante dimostra verso i dannati dell’Inferno. Io sostenevo che il nostro è un mondo sempre più privo di tale caratteristica, come tanti fatti di cronaca dimostrano – e ce lo ha ben ricordato la dott.ssa Gallaverna; alcuni studenti invece ritenevano che, da questo punto di vista, non ci sono grandi variazioni tra le diverse epoche e generazioni. Lo studente più battagliero sosteneva tale posizione partendo dal fatto che le guerre ci sono sempre state dunque esse sono il momento per eccellenza della disumanità e dell’assenza della pietà. In sostanza i miei studenti capiscono che il sentimento più umano, più adatto al nostro essere uomini è la pietas che coincide con l’essere pienamente e ‘umanamente’ uomini e quindi nel riconoscere l’altro come noi. Il ragionamento ci ha portato poi a considerare che solo avendo di fronte la realtà del viso dell’altro si possono provare autentici sentimenti. Pensate a come si apre qui un capitolo illimitato sugli strumenti informatici e sul mondo virtuale. Tralasciando questo aspetto, che è comunque importante, anch’io ritengo che se si cresce in ‘sapienza e grazia’ si è anche uomini e donne capaci di sentimenti elevati e di profondi ideali. Al di là delle riflessioni espresse, i miei studenti, che hanno tra i 16 e i 19 anni, dimostrano in molti casi di essere ‘pietosi’ sebbene in gradi differenti e, quasi sempre, in modo da non esserne consapevoli. Fin qui una veloce premessa. Si tratta a questo punto di procedere con più ordine. Dunque, le domande che mi pongo sono fondamentalmente tre: 1- C'è bisogno di un'educazione specifica per i sentimenti? 2- Di chi è la responsabilità di portarla avanti? 3- Che cosa sono i sentimenti? E qual è il sentimento (o i sentimenti) più importante Parto dalla prima questione, sebbene sarebbe più logico partire dall’ultima, che però è più complicata. La mia tesi è appunto che c’è bisogno di educazione secondo tutta l’estensione che tale termine può assumere e sul quale non mi dilungo poiché mi trovo di fronte a un pubblico molto qualificato. Io ritengo che educare significa per ciò stesso anche coltivare i sentimenti più profondi dell’essere umano. I primi educatori sono i genitori ai quali è demandato il compito di crescere la persona in tutte le dimensioni. Nella scuola, come docenti, dovremmo educare attraverso l’insegnamento. Vorrei solo ricordare che l'elemento fondamentale dell'educazione è trasmettere al giovane un'ipotesi positiva sulla vita che in primo luogo convince chi la vive. Si tratta di una proposta che si rivolge alla libertà del discente, senza della quale non si avanza di un passo. Inoltre, il processo educativo coinvolge tutta la persona: mente, cuore, corpo. La persona infatti si muove nell’unità di tutte le dimensione. In sostanza, voglio dire che l’educazione è un fatto globale. Per rispondere alla prima domanda che ho formulato, direi che basterebbe educare per educare anche ai sentimenti In effetti, l’educazione è sinonimo di umanità, di crescita come esseri umani. Nonostante – ne sono convinta profondamente – ci sia l’educazione sic et simpliciter, sempre di più si moltiplicano le ‘educazioni’ che hanno senso solo in quanto aiutano a mettere a fuoco un aspetto, senza però mai dimenticare la sinergia con gli altri aspetti. In sostanza, nella realtà noi parliamo di persone e ne abbiamo a cuore la formazione integrale. Solo che per comprendere meglio un particolare facciamo una sorta di esercizio e lo 'separiamo' per capirlo meglio. La seconda – chi educa? – è conseguenza delle considerazioni precedenti. Come si è detto educano gli adulti ricchi di umanità, in primis e soprattutto i genitori in cui tutto, incominciando dal corpo stesso e dai suoi atteggiamenti, è orientato a far crescere i figli nelle loro dimensioni costitutive. E poi i docenti con i quali le famiglie, nel patto educativo condividono la responsabilità dell’educazione, ovviamente con strumenti e in situazioni diverse. Su questo tornerò nell’ultimo punto. Nella conversazione di oggi pomeriggio parliamo di sentimento/sentimenti. Che cosa sono? Ed è la terza questione. Procedo dapprima con una pars destruens e poi con una pars construens. Nella mentalità comune oltre che nella letteratura il sentimento è pensato in contrapposizione a diversi altri elementi e, a seconda dei casi, valorizzato o stigmatizzato. Per fare un esempio, prendiamo il filone romantico, dalla fine del ‘700 in poi, che ci ha abituato a contrapporre il sentimento alla ragione. Il primo rappresenterebbe l'elemento autentico e buono dell'essere umano contrapposto, da un lato, alla fredda ragione e, dall'altro, alle convenzioni della società civile. Se, per così dire, il versante romantico della letteratura, della psicologia e dell'arte si schiera per il sentimento,all'opposto, il sentimento e la sua degenerazione nel sentimentalismo, possono essere sinonimi di volubilità, di superficialità, di emozioni passeggere. Se non ci lasciamo condizionare da tali idee vediamo di condurre un’analisi del sentimento partendo da due illustri autori. Giuseppe Bertagna, acuto pedagogista, riassumendo le posizioni della scienza su questo punto, distingue le pulsioni e le emozioni (primarie e secondarie) dai sentimenti. Già con le emozioni primarie è presente la consapevolezza della persona che le prova. I sentimenti «costituiscono il modo tipicamente umano di vivere la dimensione sensitiva e psichica che è presente in ogni animale e che nell’uomo è indistinguibile da quella razionale» G. Bertagna, Dall’educazione alla pedagogia. Avvio al lessico pedagogico e alla teoria dell’educazione, La Scuola, Brescia 2010, pp. 65-66. Don Giussani, il più grande educatore di questo nostro tempo, scrive all’interno di un discorso più complesso che riguarda il senso religioso: « La parola che indica questo stato d'animo, questa reazione, questa emozione, questo essere toccati dalla cosa che accade si chiama sentimento. Nella misura della vivacità umana di un individuo qualsiasi cosa (anche il filo d'erba, anche un pezzetto di sasso che uno scalcia col piede), entrando dentro l'orizzonte personale, commuove, tocca, provoca una reazione che è di diversa natura, di diverso tipo, ma che si specifica come sentimento. L'uomo è quel livello della natura in cui la natura prende coscienza di se stessa, è quel livello della realtà in cui la realtà comincia a diventare coscienza di sé, comincia cioè a diventare ragione. Chiameremo «valore» l'oggetto della conoscenza in quanto interessa la vita della ragione. Il valore è la realtà conosciuta proprio in quanto interessa, in quanto vale la pena. Se uno ha una mente ristretta, un cuore meschino, l'ambito del valore sarà più ristretto che neanche per chi abbia un animo grande, per chi sia un uomo vivace. Il Vangelo ci ricorda che per il Signore anche il piccolo fiore di prato che l'uomo calpesta senza accorgersi è grande valore; aggiunge infatti che Salomone in tutta la sua gloria non ha potuto vestirsi così splendidamente come il Padre che sta nei cieli veste il fiorellino» 1. Nel sentimento appare il tratto distintivo dell'umano cioè la consapevolezza di sé. lo possiamo spiegare anche in altro modo arrivando alla stessa conclusione. Il sentimento è l'espressione dell'animo umano che incontra la realtà e 'accusa' per così dire il contraccolpo dell'incontro. In sostanza, se un giovane cammina per la strada scarta i sassi che incontra sul suo cammino e non si accorge neppure del gesto automatico che compie, ma se su quella stessa strada appare la ragazza che gli interessa quanto è forte in lui la reazione, l'affetto. Dunque, il sentimento è tanto più potente quanto è forte l'interesse per una cosa, situazione o persona che si incontra. Tanto più ricca di umanità è la persona quanto più il suo animo è ricco di sentimenti, di affetti; tanto più si è uomini, tanto più ci si lascia coinvolgere dalle situazioni che si incontrano, accusando e patendo il colpo della loro presenza, l’affectus, appunto. In sostanza, come dice don Giussani, il sentimento funge da lente: può avvicinarci alla realtà oppure può allontanarci da essa o deformarla. Che cosa impedisce che questo accada? La dimensione etica della persona cioè l'amore all'oggetto, alla realtà, più che a se stessi, ai propri pregiudizio, ai propri interessi. Se usato bene sempre in sinergia con la ragione di cui è per altro espressione – che è apertura alla realtà e desiderio di abbracciarla – il sentimento ci permette di avvicinarci di più alla cosa, alla persona che ci sta di fronte, valorizzandola e amandola. Continuiamo ad approfondire rifacendoci questa volta alle parole che indicano i sentimenti più grandi dell’uomo. Prendiamo tali parole dalla nostra tradizione classico-giudaicocristiana. La prima è ‘cuore’. Sappiamo come nell’immaginario comune, il ‘cuore’ sia la sede dei sentimenti. Qui, però, mi riferisco al significato biblico in cui il ‘cuore’ coincide con la profondità della persona, con il nucleo originario e sacro della nostra interiorità. È tale livello della coscienza che va assecondato e sviluppato. Il cuore coincide con quello che Don Giussani chiamava il nucleo delle evidenze e delle esigenze originarie di cui siamo dotati per natura, cioè per il fatto di essere uomini, e con le quali siano lanciati nell’universale paragone. È il criterio con cui possiamo affrontare tutto e con il quale possiamo essere veramente uomini. Esso indica la natura profonda dell'uomo, la sua interiorità che comprende tutti le dimensioni e le unifica in un principio unitario: quindi ragione, emozioni e sentimenti. Si tratta di ciò che ci definisce profondamente. La parola greca 'pathos' si riferisce invece alla capacità di emozionarsi e immedesimarsi, con una sottolineatura di irrazionalità dipendente dalla natura emozionale dell’uomo. . C'è poi l'altra parola latina che ci aiuta in questa analisi fenomenologica: ed è la parola ‘pietas’, in essa c'è nuovamente tutta l'umanità che è capace di piegarsi sull'umano, di accettarlo, di condividerne le sofferenze, di prendersi carico dell’altro, soprattutto se è in condizione di inferiorità e infelicità. E poi c’è la parola cristiana e umana per eccellenza che, nonostante il suo attuale logoramento, rimane ancorata alla sua origine teologica: amore che è agape e caritas, cioè la gratuità totale del dono di sé, senza risparmiarsi. L’amore non è un vago sentimento che oggi c’è e domani non più, ma è la vita stessa dell’anima, è il livello più vero dell’esistere, un livello superiore che, non per nulla, la dottrina cattolica chiama virtù teologale. Vi leggo questo pensiero di Pascal che è citato in un interessante libretto di Paul Ricoeur intitolato Amore e Giustizia: «Tutti i corpi insieme e tutti gli spiriti insieme, e tutte le loro produzioni, non valgono il minimo atto di carità. Questo è di un ordine infinitamente più elevato. Da tutti i corpi insieme non si potrebbe far scaturire un piccolo pensiero: ciò è 1 Cfr. Mt 6, 28-29 impossibile, e di un altro ordine. Da tutti i corpi e da tutti gli spiriti, non sarebbe possibile trarre un solo moto di vera carità; ciò è impossibile, e di un altro ordine, sovrannaturale» B. Pascal, Pensieri, tr. it. P. Serini, Mondadori, Milano 1985, p. 428, cit. in P. Ricoeur, Amore e Giustizia, Morcelliana, Brescia 2003, p. 9. Ma il punto è proprio questo: come facciamo a educare alla pietà, all'umanità? Mostrando un'umanità in atto, la nostra, e circondando il bambino, prima, l'adolescente poi di esempi positivi che pongano un argine al dominio dei media. Sentite che cosa scriveva Pasolini nel 1975. «Quanto alla televisione non voglio spendere ulteriori parole: cioè che ho detto a proposito della scuola d'obbligo va moltiplicato all'infinito, dato che si tratta non di un insegnamento, ma di un "esempio": i "modelli" cioè, attraverso la televisione, non vengono parlati, ma rappresentati. E se i modelli son quelli, come si può pretendere che la gioventù più esposta e indifesa non sia criminaloide o criminale? E' stata la televisione che ha, praticamente (essa non è che un mezzo), concluso l'era della pietà, e iniziato l'era dell'edonè. Era in cui dei giovani insieme presuntuosi e frustrati a causa della stupidità e insieme dell'irraggiungibilità dei modelli proposti loro dalla scuola e dalla televisione, tendono inarrestabilmente ad essere o aggressivi fino alla delinquenza o passivi fino alla infelicità (che non è una colpa minore)» P.P. Pasolini, Aboliamo la tv e la scuola dell'obbligo, in «Corriere della Sera» 18 ottobre 1975 . Come insegnante di Italiano e più in generale di materie umanistiche ho la fortuna di incontrarmi quotidianamente con esempi di umanità e quindi di pietà e di amore. Sono questi episodi che ci irrobustiscono e ci spingono ad agire. Infatti, pietà e amore si traducono in azioni, in gesti, altrimenti sono sterili, anzi non sono. Pietà e amore sono caratteristiche di azioni e quindi hanno a che fare con la ragione pratica. Io non ho timore di mostrare la mia sensibilità, i miei sentimenti e soprattutto non ho timore di indicare gli esempi letterari che mi aiutano in questo. Pensiamo a Dante: quante volte piange, quante volte si commuove e ha pietà. Comunque, e mi avvio alla conclusione, non ci può essere umanità e quindi non possono esserci sentimento e capacità di comprensione e immedesimazione senza autocoscienza, senza un io, senza consapevolezza e amore di sé. Poiché, come detto, sia pietas che caritas ci spingono ad agire in un certo modo e l’azione nasce dalla persona e dall’io, non può nascere niente se non c’è autocoscienza. Tale identità si forma se si è oggetto d'amore, se si è guardati in modo gratuito da chi ci vuole bene per primo. In questo processo è fondamentale il rapporto con la madre o di un amore il più vicino possibile al suo. Sentite che cosa dice don Luigi Giussani, uno dei più grandi educatori di questo nostro tempo. Con tali parole chiudo il mio intervento e vi ringrazio. «Si riconosce e si ama la propria identità riconoscendo ed amando un altro […]. Sorgente della capacità affettiva è una persona così riconosciuta da essere accolta e ospitata. Per il bambino questa presenza è quella della madre, tanto che, se manca questo, la sorgente affettiva rimane arida» (A. Savorana, Vita di Don Giussani, Rizzoli, Milano 2013, p. 487. Conclude affermando che la giovinezza è il tempo dell’Altro, è il tempo di Dio. Prof.ssa Maria Giovanna Fantoli In Novara Aula Magna Istituto Comprensivo Statale “Achille Boroli” Venerdì 20 marzo 2015