Tribunale Ecclesiastico Regionale Umbro – Perugia INAUGURAZIONE DELL’ANNO GIUDIZIARIO 2015 Prolusione del Prof. Paolo MONETA Avvocato rotale, membro della Commissione speciale di studio per la riforma del processo matrimoniale canonico Ringrazio il Vicario giudiziale padre Cristoforo per avermi invitato all’Inaugurazione solenne di questo Tribunale, ringrazio Sua Eminenza e i Vescovi della Regione Umbria della loro presenza e dell’attenzione che mi riservano ascoltando la mia prolusione. Ringrazio anche perché mi è stata offerta l’occasione di tornare a Perugia, città dove si viene sempre molto volentieri, e anche perché ho potuto constatare, pur nel breve tempo di questa mattina, l’atmosfera particolarmente fraterna, amichevole e cordiale di questo Tribunale. Quindi, al di là dei dati che padre Cristoforo ha dato sull’attività del Tribunale, si percepisce veramente un afflato umano, un senso di amicizia e di disponibilità verso il prossimo che, penso, sia caratteristico di questo Tribunale. Ed è questo certamente il suo aspetto migliore. 1) Il processo di nullità matrimoniale nel recente Sinodo dei vescovi Mi propongo ora di avviare una breve riflessione sulle proposte di revisione e sui possibili sviluppi che possono interessare il processo di nullità di matrimonio, soprattutto nel senso di un suo snellimento e di una riduzione delle formalità che lo appesantiscono. Possiamo partire dall’Assemblea straordinaria del Sinodo dei vescovi, tenutasi nell’ottobre scorso, nell’ambito della quale l’attenzione verso i processi di nullità di matrimonio e verso l’esigenza di una loro riforma è molto presente. Prendiamo i documenti che hanno segnato le tappe fondamentali dei lavori sinodali: dal documento preparatorio, l’Instrumentum laboris, alle due relazioni intermedie, la Relatio ante disceptationem e quella post disceptationem, sino al documento finale, la Relatio Synodi, che è confluita nei Lineamenta per l’Assemblea generale ordinaria, fissata per il prossimo ottobre1. 1 Cfr. III Assemblea generale straordinaria “Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione”, in http://www.vatican.va/roman_curia/synod/documents/rc_synod_doc_20140626_instrumentum-‐laboris-‐ familia_it.html.; http://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2014/10/06/0712/03003.html. http://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2014/10/13/0751/03037.html. http://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2014/10/18/0770/03044.html. . 1 “Esiste un'ampia richiesta di semplificazione della prassi canonica delle cause matrimoniali ….molti avanzano richieste circa lo snellimento: processo canonico semplificato e più rapido; concessione di maggior autorità al vescovo locale; maggiore accesso dei laici come giudici; riduzione del costo economico del processo”, si legge nell' Instrumentum laboris. “Diversi Padri hanno sottolineato la necessità di rendere più accessibili ed agili le procedure per il riconoscimento dei casi di nullità”, si ribadisce nella Relatio post disceptationem. “Un grande numero dei padri ha sottolineato la necessità di rendere più accessibili ed agili, possibilmente del tutto gratuite, le procedure per il riconoscimento dei casi di nullità” si conferma nella Relatio Synodi. Non mancano, invero, anche gli inviti alla prudenza di coloro che segnalano il rischio che semplificando o riducendo i passi previsti, “si producano ingiustizie ed errori; si dia l'impressione di non rispettare l'indissolubilità del sacramento…. si alimenti l'idea di un ‘divorzio cattolico’”(Inst. Lab.). Ed anche nella relazione finale si registra l'opinione di alcuni padri che si dicono contrari a queste proposte di snellimento “perché non garantirebbero un giudizio affidabile”, ribadendo che “in tutti questi casi si tratta dell'accertamento della verità sulla validità del vincolo”. Ma pur con queste riserve e preoccupazioni, l'opinione che risulta più ampiamente condivisa è quella che ritiene di dover incidere sulle procedure riguardanti le cause di nullità di matrimonio, in modo da renderle uno strumento più “pastorale”, nel senso che meglio si presti a risolvere il problema delle persone che vivono in situazioni matrimoniali irregolari2. Vi sono però altre proposte più decisamente innovative, che tendono, in maggiore o minore misura, a sottrarre la trattazione di queste pratiche ad un processo di natura giudiziaria. Ricorrente è così la proposta di intraprendere una (per altro non ben precisata) “via amministrativa”, preferibilmente sotto la responsabilità del vescovo diocesano (Rpd, RS). E’ soprattutto il ruolo e la responsabilità di questo vescovo che si vorrebbe da molte parti potenziare. Viene così delineata una via extragiudiziale che potrebbe prevedere “un itinerario di conoscenza, di discernimento e approfondimento che, nel caso di presenza delle condizioni di invalidità, potrebbe culminare nella dichiarazione di nullità da parte del vescovo diocesano, il quale andrebbe anche a proporre un cammino di presa di coscienza di conversione alla persona interessata in vista di un eventuale futuro matrimonio” (Rad). Nello stesso ordine di idee si insiste nel sottolineare “la responsabilità del vescovo diocesano, il quale nella sua diocesi potrebbe incaricare dei consulenti debitamente preparati che possano gratuitamente consigliare le parti sulla validità del loro matrimonio” (RS). Anche al di fuori del Sinodo, voci autorevoli si sono espresse nello stesso ordine di idee. Si può citare il Card. Angelo Scola che, in un saggio pubblicato nella rivista Il Regno, scriveva: “La prossima assemblea straordinaria potrebbe suggerire che il papa valorizzi di più il ministero del vescovo. In particolare, essa 2 Anche Papa Francesco ha richiamato le proposte di snellimento del processo emerse nell’ambito del Sinodo: “Nel Sinodo straordinario si è parlato delle procedure, dei processi, e c’è una preoccupazione per snellire le procedure, per motivo di giustizia….Giustizia: quanta gente aspetta per anni una sentenza…Alcune procedure sono tanto lunghe o tanto pesanti che non favoriscono e la gente lascia” (Saluto ai partecipanti al corso “super rato” promosso dal Tribunale della Rota Romana, 5 novembre 2014). 2 potrebbe suggerire che egli esamini la fattibilità della proposta, che è senza dubbio complessa, di dar vita a una procedura canonica non giudiziale che avrebbe come suo arbitro finale non un giudice o un collegio di giudici, ma piuttosto il vescovo o un suo delegato”3. Come si può notare, vi è una particolare attenzione per un maggiore coinvolgimento del vescovo diocesano e in alcuni casi verso una cosiddetta “procedura amministrativa”. Vi è, insomma, l’idea che le questioni di nullità di matrimonio dovrebbero prevedere un itinerario di conoscenza, discernimento e approfondimento sotto la guida del vescovo diocesano, il quale dichiarerebbe, se del caso, la nullità, proponendo inoltre un cammino di presa di coscienza e di conversione. Naturalmente l’accertamento della effettiva nullità non potrebbe che essere più sbrigativo e basarsi essenzialmente sulla coscienza, sull’interiore convincimento, delle stesse parti. 2) Riserve critiche su alcune di tali proposte Francamente, queste proposte o suggerimenti lasciano abbastanza perplessi, se non altro perché i vescovi oggi sono sovraccarichi di impegni e per lo più, con rispetto parlando, non hanno una preparazione adeguata per valutare la nullità del matrimonio. Mi viene in mente, a questo proposito, che Sant’Agostino si lamentava di dover essere costretto a rendere giustizia alla popolazione e di essere così preso da questa attività da non aver più tempo di dedicarsi alla preghiera, alla meditazione, allo studio. Vi è indubbiamente la necessità che l’attività giudiziaria venga svolta da persone competenti e specificamente incaricate per questo compito. Volendo fare un’altra citazione si può richiamare anche la vicenda del popolo ebraico. Il Libro dell’Esodo narra che ad un certo punto Mosè si ritrovò sovraccarico di incombenze, dovendo rendere giustizia a tutto il popolo (che, tra l’altro, era assai litigioso). Fu il suocero di Mosè che gli suggerì di designare alcune persone specificamente incaricate per queste cose e di riservare per sé soltanto le questioni più importanti4. Quindi mi pare che caricare i vescovi di 3 A. SCOLA, Processi matrimoniali: una prospettiva pastorale, in Il Regno – doc., 2006, p. 226 ss. Es 18, 13-26: «Il giorno dopo Mosè sedette a render giustizia al popolo e il popolo si trattenne presso Mosè dalla mattina fino alla sera. Allora Ietro, visto quanto faceva per il popolo, gli disse: “Che cos'è questo che fai per il popolo? Perché siedi tu solo, mentre il popolo sta presso di te dalla mattina alla sera?”. Mosè rispose al suocero: “Perché il popolo viene da me per consultare Dio. Quando hanno qualche questione, vengono da me e io giudico le vertenze tra l'uno e l'altro e faccio conoscere i decreti di Dio e le sue leggi”. Il suocero di Mosè gli disse: “Non va bene quello che fai! Finirai per soccombere, tu e il popolo che è con te, perché il compito è troppo pesante per te; tu non puoi attendervi da solo. Ora ascoltami: ti voglio dare un consiglio e Dio sia con te! Tu sta' davanti a Dio in nome del popolo e presenta le questioni a Dio. A loro spiegherai i decreti e le leggi; indicherai loro la via per la quale devono camminare e le opere che devono compiere. Invece sceglierai tra tutto il popolo uomini integri che temono Dio, uomini retti che odiano la venalità e li costituirai sopra di loro come capi di migliaia, capi di centinaia, capi di cinquantine e capi di decine. Essi dovranno giudicare il popolo in ogni circostanza; quando vi sarà una questione importante, la sottoporranno a te, mentre essi giudicheranno ogni affare minore. Così ti alleggerirai il peso ed essi lo porteranno con te. Se tu fai questa cosa e se Dio te la comanda, potrai resistere e anche questo popolo arriverà in pace alla sua mèta”. Mosè ascoltò la voce del suocero e fece quanto gli aveva suggerito. Mosè dunque scelse uomini capaci in tutto Israele e li costituì alla testa del popolo come capi di migliaia, capi di centinaia, capi di cinquantine e capi di decine. Essi 4 3 questo onere sia velleitario. Alcuni aggiungono che il vescovo potrebbe designare un suo delegato ed affidare a lui queste pratiche. Ma il delegato del vescovo c’è già, è il nostro vicario giudiziale, che esercita, anche ora, la giustizia in nome del vescovo. Quindi non vedo come una persona diversa dal vicario sia più idonea ad occuparsi delle cause di nullità di matrimonio. C’è già presente un’organizzazione espressamente deputata e preparata ad affrontare queste cause e non si capisce perché si debba andare a cercare qualcun altro. Per quanto riguarda il cosiddetto “processo amministrativo”, a volte si fa riferimento alle pratiche di dispensa dal matrimonio rato e non consumato, che sono comunemente considerate di natura amministrativa. Ma la natura amministrativa di queste pratiche deriva dal fatto che il provvedimento conclusivo non è una sentenza, cioè un accertamento di quella che è una situazione di fatto, ma la concessione di una grazia. Il Pontefice non è tenuto a concedere lo scioglimento del matrimonio, anche nel caso risulti con certezza che il matrimonio non è stato consumato. C’è una lunga tradizione che, appunto, consente al Pontefice di intervenire per via di grazia, nell’ambito di un suo potere discrezionale. Va poi osservato che il procedimento per la dispensa super rato presenta molte caratteristiche del processo giudiziale, soprattutto nella fase istruttoria che si svolge presso le diocesi. Ufficialmente non è prevista la presenza degli avvocati, ma di fatto vi è pur sempre un consulente che segue ed indirizza le parti. In ogni caso, questo dell’assenza di avvocati è un punto che lascia molto perplessi e che ha suscitato spesso fondate critiche: non merita certo di essere preso a modello per il processo di nullità. Cosa vuol dire allora procedimento amministrativo? Mi pare che nell’intenzione di chi propone questi procedimenti significhi un procedimento semplificato, sommario; un procedimento che abbia meno formalità, meno appesantimenti che possono rallentare o protrarre i tempi del processo. Il processo amministrativo sarebbe quindi solo un processo più snello, un processo che, pur mantenendo le procedure giudiziarie essenziali, cerca di utilizzare queste procedure nel modo migliore, in modo tale che non appesantiscano e non costituiscano un intralcio all’opera di giustizia. Possiamo quindi sgombrare il campo sia da un coinvolgimento del vescovo diocesano, che mi sembra oggi velleitario ed impraticabile, sia da un cosiddetto “procedimento amministrativo”, che mi sembra un modo per designare un processo breve, ma pur sempre caratterizzato dalle prerogative proprie del processo giudiziario. Il fatto di mantenere il processo giudiziario è un’esigenza che non mi pare possa essere elusa. Vi è una tradizione giuridica secolare che ha sempre visto in questo processo lo strumento più adatto ad accertare un momento così importante per i fedeli e per la stessa comunità ecclesiale, quale è quello della validità o nullità di un matrimonio. L’imprescindibile importanza delle procedure giudiziarie è stata chiaramente ribadita dal Papa Giovanni Paolo II. Nel discorso alla Rota Romana tenuto nel gennaio 2002 egli affermava: “L'attività giudiziaria della Chiesa, che nella sua specificità è anch'essa attività veramente pastorale, s'ispira al principio giudicavano il popolo in ogni circostanza: quando avevano affari difficili li sottoponevano a Mosè, ma giudicavano essi stessi tutti gli affari minori». 4 dell'indissolubilità del matrimonio e tende a garantirne l'effettività nel Popolo di Dio. In effetti, senza i processi e le sentenze dei tribunali ecclesiastici, la questione sull'esistenza o meno di un matrimonio indissolubile dei fedeli verrebbe relegata alla sola coscienza dei medesimi, con il rischio evidente di soggettivismo, specialmente quando nella società civile vi è una profonda crisi circa l'istituto del matrimonio”5. In altro ambito, la inderogabile necessità del processo giudiziario è stata ben sottolineata da un noto processualista italiano, Giuseppe Chiovenda:“L’esperienza ha dimostrato che le forme del giudizio sono necessarie, come e a più forte ragione che in ogni altro rapporto sociale. La loro mancanza porta il disordine, la confusione e l’incertezza”6, aggiungendo, non con riferimento al processo canonico, ma ad una situazione che ben si adatta ad esso: “anche una società, nella quale le parti litiganti fossero animate dal medesimo spirito di verità e di giustizia che deve animare il giudice, non potrebbe farne a meno”7. Quindi anche in una comunità come quella ecclesiale, nella quale non ci dovrebbe essere forte e radicale contrapposizione tra le parti, ma un intento ed uno spirito comune di arrivare all’accertamento della verità, le formalità si rivelano sempre necessarie. 3) Sulle proposte più innovative e sulla rilevanza della posizione delle stesse parti Le proposte più innovative emerse nel dibattito sinodale, alle quali abbiamo poc’anzi accennato, mi pare contengano la tendenza a basare la valutazione della validità o nullità del loro matrimonio soprattutto sulla coscienza e l’interiore convincimento degli stessi coniugi. Anche se non chiaramente esplicitata, emerge l’idea che le cause di nullità di matrimonio possano essere più adeguatamente trattate in foro interno, nel foro della coscienza, avendo a che fare con un evento che riguarda prioritariamente ed essenzialmente le persone dei due coniugi. Non per nulla, a quanto mi risulta, il Supremo Tribunale della Penitenzieria Apostolica, il dicastero della Santa Sede che si occupa delle questioni di foro interno, sta conducendo uno studio per valutare in che modo e a quali condizioni essa possa occuparsi anche delle questioni di nullità di matrimonio. Questa tendenza a privatizzare, per così dire, le questioni matrimoniali mi pare susciti forti perplessità. Innanzitutto il matrimonio non riguarda una sola persona, ma sempre ed inevitabilmente ambedue i coniugi. Si può quindi, e non di rado, verificare che il convincimento di coscienza dell’uno non trovi riscontro in quello dell’altro. E non sarebbe certo conforme a giustizia privilegiare il convincimento dell’uno piuttosto che dell’altro. Ma anche in caso di una concorde valutazione dei due coniugi bisogna non dimenticare che il matrimonio ha pur sempre una valenza ed una dimensione pubblica e comunitaria. Non per nulla il matrimonio viene obbligatoriamente celebrato in una forma pubblica. Ed 5 Cfr. Discorso di San Giovanni Paolo II ai prelati uditori, officiali e avvocati del tribunale della Rota romana, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, 28 gennaio 2002, n. 7, in http://w2.vatican.va/content/john-paulii/it/speeches/2002/january/documents/hf_jp-ii_spe_20020128_roman-rota.html 6 7 G. CHIOVENDA, Principi di diritto processuale civile, Napoli, 1965, p. 663. G. CHIOVENDA, Saggi di diritto processuale civile, vol. I, Milano, 1993, p. 355. 5 anche se ci sono oggi proposte critiche verso la forma di celebrazione, nessuno sostiene un ritorno al regime pretridentino dei matrimoni clandestini, ossia di un matrimonio che possa essere validamente celebrato senza una qualche pubblicità o ricognizione comunitaria. Questa inevitabile dimensione pubblica non consente di confinare la valutazione della validità del matrimonio nell’ambito del solo foro interno. Senza contare la confusione, l’incertezza sullo stato delle persone e sulla conseguente possibilità di celebrare un secondo matrimonio, che una tale valutazione verrebbe a produrre. La tendenza a riportare l’accertamento sulla validità del matrimonio agli stessi coniugi mette però in luce un aspetto che merita di essere ripreso e valorizzato nella trattazione giudiziaria delle cause di nullità così come attualmente viene condotta: è quello del credito, dell’affidabilità che deve essere data alla dichiarazione e all’atteggiamento delle parti, ossia dei due protagonisti della vicenda che viene sottoposta a giudizio. Va detto che l’atteggiamento verso di questi da parte dei giudici ecclesiastici è radicalmente cambiato in questi ultimi decenni, evolvendo verso una sempre più attenta considerazione del modo con cui le parti hanno concretamente vissuto la loro esperienza di vita coniugale, di ciò che esse hanno dichiarato e dell’atteggiamento che hanno tenuto nel corso del processo. Riguardo alle dichiarazioni rese in giudizio, basti ricordare che nel 1936, sotto il regime del vecchio Codex iuris canonici, l’Istruzione Provida mater affermava lapidariamente “Depositio iudicialis coniugum non est apta ad probationem contra valorem matrimonii constituendam” (art. 117) e metteva in guardia contro la collusionis suspicio che poteva emergere dalle deposizioni dei coniugi, esortando il giudice a “veritas subtilius perquirenda…etiam si opus fuerit, per testes ex officio inducendos” (art. 113 § 3). La legislazione attuale, pur riconfermando il principio che le dichiarazioni delle stesse parti non costituiscono prova piena, conferisce al giudice un’ampia possibilità di basare la sua decisione su di esse. Ha così preso l’avvio un orientamento che tende a conferire sempre maggior rilevanza a tali dichiarazioni. Come afferma ormai comunemente la giurisprudenza rotale “Confessio iudicialis semper habenda est magni momenti nec iudex adhibere potest ‘suspicionem’ in confitentem uti methodum in perpendendis actis, etsi qui loquitur suas favorabiles rationes profert, quia talis methodus esset contra iustitiam et hominis dignitatem”8. Ritengo che questo orientamento debba essere ulteriormente rafforzato e che, per agevolarne l’adesione da parte di tutti i giudici, sia opportuno eliminare dalla legislazione il riferimento alla prova piena contenuto nel can. 1536 § 2 (“vis plenae probationes ipsis tribui nequit”), limitandosi a prescrivere che le confessioni e le altre dichiarazioni giudiziarie delle parti “vim probandi habent, a iudice aestimandam una cum ceteris causae adiunctis”. Questa doverosa valorizzazione della posizione delle parti non significa che si debba abbandonare ogni forma di attenzione o di prudenza. Specialmente nei paesi in cui vige un concordato con la Chiesa e in cui la sentenza di nullità può avere efficacia civile, l’atteggiamento assunto dalle parti potrebbe talvolta 8 Rota Romana, sentenza 26 gennaio 2001 c. Monier, in Dec. seu sent., 2001. 6 essere “adattato”, al punto da alterare od “inquinare” la realtà, in vista del vantaggio economico che una sentenza di nullità può comportare, una volta recepita dall’ordinamento civile. Lo stesso papa Francesco ha recentemente diffidato dal mescolare gli affari economici con la verifica della validità di un sacramento: “E bisogna essere attenti che le procedure non siano entro la cornice degli affari….Ma quando sono attaccati l’interesse spirituale all’economico, questo non è di Dio…Questo punto è importante: staccare le due cose”9. Proprio in Italia, capita non di rado, nell’esperienza dei tribunali ecclesiastici, che le cause di nullità abbiano un intento strumentale, vengano cioè esperite non per ragioni di coscienza, ma per ottenere dei vantaggi sul piano economico, una volta che la sentenza ecclesiastica sia riconosciuta in sede civile. Nell’ordinamento italiano vi è infatti una notevole differenza tra il regime economico susseguente alla separazione e al divorzio, rispetto a quello previsto in seguito ad una nullità di matrimonio. Il coniuge che è tenuto a versare un assegno all’altro (per lo più la donna) può così trarre vantaggi, anche notevoli, da una dichiarazione di nullità. Occorre quindi tener presenti questi risvolti economici e non prendere a “scatola chiusa” la dichiarazione delle parti. Ma come linea di tendenza ritengo che la dichiarazione delle parti debba essere maggiormente valorizzata. E ciò anche a tutto vantaggio del sollecito svolgimento del processo, perché si verrebbe ad avere un notevole alleggerimento dell’attività istruttoria. Di fronte ad una dichiarazione concorde delle parti che effettivamente trova riscontro nella cornice in cui si situa la vicenda coniugale, è inutile andare a ricercare conferme da parte di un gran numero di testimoni, con dispendio di tempo e di energie processuali. Non solo, ma la valorizzazione delle dichiarazioni delle parti consente di venire incontro alle situazioni in cui è difficile e talora anche impossibile avere riscontri testimoniali di quanto esse dichiarano. Spesso si deve constatare che le nostre cause privilegiano i coniugi di carattere aperto ed espansivo, che hanno confidato con facilità le loro vicende coniugali ad amici e parenti. Viene invece penalizzata una persona riservata, che ha tenuto dentro di sé le sue cose intime, magari con grande sofferenza, senza parlarne a parenti od amici: questa persona non è in grado di presentare alcun testimone e per questo si vede respingere la richiesta di nullità. Il giudice deve quindi sforzarsi di cogliere la veridicità di quanto viene affermato dallo stesso coniuge, alla luce del concreto svolgersi della storia matrimoniale di cui è chiamato ad occuparsi e degli elementi oggettivi di giudizio che da essa possono essere ricavati. Va così, ad esempio, data grande importanza alla brevità della convivenza matrimoniale. Se il matrimonio viene rotto definitivamente dopo pochi mesi, o addirittura giorni, di convivenza è difficile pensare che quell’impegno per tutta la vita che avrebbe dovuto essere assunto dai due sposi venga così precocemente tradito e rinnegato. Vuol dire quindi che c’è stato un qualche vizio originario che ha inciso sulla stessa valida assunzione di tale impegno. 9 Papa Francesco, Saluto ai partecipanti al corso “super rato” promosso dal Tribunale della Rota Romana, 5 novembre 2014. 7 4) Proposte concrete di revisione: la “obbligatorietà della doppia sentenza conforme” Ma vediamo ora più da vicino alcuni punti su cui dovrebbe concentrarsi l’attenzione per arrivare ad uno snellimento del processo di nullità. Il primo punto che viene in considerazione, sul quale si discute da molto tempo e che emerge anche dalle proposte concrete registrate nei già ricordati documenti del recente Sinodo dei vescovi è il principio della cosiddetta “obbligatorietà della doppia conforme”. Come tutti sapete, nel diritto canonico non basta che la nullità del matrimonio venga dichiarata dal tribunale di prima istanza, ma occorre che essa sia confermata dal tribunale di appello. Tutte le cause che si concludono con una prima sentenza di nullità devono essere inviate al tribunale di appello per la conferma definitiva. Quindi tutte le sentenze di nullità che il Tribunale di Perugia emette devono necessariamente passare al tribunale d’appello, il Tribunale Regionale Etrusco di Firenze: esse divengono esecutive e produttive di effetti sullo stato personale delle parti soltanto quando vengono confermate o ratificate da quest’ultimo tribunale. È una regola che fu stabilita da papa Benedetto XIV verso la metà del Settecento, quindi non è una regola che abbia alle spalle un’antica tradizione della Chiesa. Era un momento di particolare difficoltà, arrivavano al Papa notizie che alcuni tribunali polacchi dichiaravano con grande superficialità la nullità del matrimonio, tanto che alcune persone l’avevano ottenuta ben quattro o addirittura cinque volte, provocando scandalo nei fedeli. Il Papa volle così risolvere il problema, prescrisse che nei processi intervenisse un “defensor matrimonii” con l’obbligo di appellare al tribunale superiore qualunque sentenza che avesse dichiarato la nullità del matrimonio. Questa regola è poi rimasta nella legislazione canonica e anche l’ultimo Codice stabilisce che tutte le sentenze che per la prima volta dichiarano la nullità del matrimonio, per essere esecutive e produrre gli effetti giuridici, devono avere la conferma in appello. Si tratta di un principio che è stato messo in discussione già da tempo. Mi piace ricordare che la nostra Associazione Canonistica Italiana una decina di anni fa celebrò un Congresso proprio su questo tema: “La doppia conforme nel processo matrimoniale. Problemi e prospettive”10. Il Congresso si concluse con posizioni contrastanti, ma ebbe il merito di mettere in luce una serie di ragioni, che non potevano più giustificare il mantenimento di tale principio. Si tratta di ragioni storiche, istituzionali, di economia processuale e di effettiva utilità che questa regola può avere, tenuto conto del concreto funzionamento dei tribunali della Chiesa. Non è possibile illustrare in questa sede tutte queste ragioni11. Basti qui accennare alla anomalia di una regola che non consente al vescovo diocesano, quale supremo pastore e giudice della porzione del Popolo di Dio affidatagli, di dichiarare la nullità del matrimonio di un proprio fedele. La dichiarazione in tal senso del suo tribunale, per essere produttiva di effetti giuridici, necessita infatti della conferma da parte del tribunale d’appello. Proprio 10 Gli atti sono raccolti nel volume dallo stesso titolo, edito dalla Libreria Editrice Vaticana nel 2003. Mi permetto rimandare al mio saggio conclusivo “Che futuro per la doppia sentenza conforme ?” inserito nel volume ora citato. 11 8 oggi che si è avuta una forte rivalutazione della figura e delle prerogative del vescovo diocesano, è difficile capire perché egli non possa prendere un provvedimento, sia pure attraverso il suo tribunale, che riguarda così da vicino la vita dei suoi fedeli. Merita poi di essere considerato un dato statistico (mi riferisco alla situazione italiana, ma non credo che in altri paesi sia diverso): la grandissima maggioranza (sempre oltre il 90 %) delle sentenze di nullità di matrimonio vengono confermate dal tribunale d’appello. Questo obbligo di revisione si rivela quindi per lo più superfluo e, in ogni caso, sproporzionato rispetto all’appesantimento che esso produce sul processo. Va però precisato che l’abolizione di questo principio della doppia conforme non vuol dire che non si possa appellare verso le sentenze di prima istanza. La seconda od ulteriore istanza non sarebbe più obbligatoria per avere una sentenza di nullità pienamente esecutiva. Ma come tutte le sentenze, anche quelle nelle cause matrimoniali rimarrebbero soggette all’appello del coniuge che si ritenga gravato da esse o del difensore del vincolo, come parte in causa, se si tratta di sentenza affermativa. Ma se nessuno appella, perché nessuno ritiene che vi sia motivo di lamentarsi della sentenza, questa diverrebbe immediatamente definitiva ed esecutiva, consentendo alle parti di ricuperare lo stato libero e, conseguentemente, di celebrare un nuovo matrimonio. Contrariamente a quanto avveniva ai tempi del citato Congresso, quando c’era una forte resistenza, sia da parte degli operatori, sia da parte di molti studiosi sull’abolizione della doppia conforma, oggi mi pare che l’opinione di gran lunga più condivisa sia quella favorevole a tale, anche da me auspicata, riforma. Del resto, va ricordato che qualcosa si è già mosso in questa direzione. In una serie di Facoltà speciali accordate da Papa Benedetto XVI al Decano della Rota Romana l’11 febbraio 2013 si prevede espressamente che “Le sentenze rotali che dichiarano la nullità del matrimonio siano esecutive, senza che occorra una seconda decisione conforme”. La disposizione riguarda soltanto la Rota ed è da ricollegare anche alla particolare natura di questo tribunale apostolico: ma non si può negare che essa segni una prima importante deroga al principio di cui stiamo parlando, tale da aprire la via ad una più generale riforma da applicarsi da tutti i tribunali della Chiesa12. 5) La collegialità e il giudice laico Oggi le cause di nullità matrimoniali, per disposizione legislativa (can. 1425 § 1, n. 1), devono essere trattate in maniera collegiale, devono essere decise da un collegio di tre giudici. In questo collegio può sedere un laico, come giudice a pieno titolo, ma con la limitazione che soltanto un laico può far parte del collegio giudicante. La maggioranza del collegio deve quindi essere clericale. Ora apriamo una breve parentesi sul giudice laico. La disposizione del 12 Per il testo delle citate Facoltà speciali e per un primo commento ad esse rimando a P. MONETA, Il rafforzamento della Rota Romana, in Recte sapere. Studi in onore di Giuseppe Dalla Torre, Giappichelli, Torino, 2014, vol. I,p. 485 ss. 9 Codice che limita la presenza dei laici ad un solo membro del collegio (can. 1421 § 2) deriva da un principio più generale, che è quello stabilito dal can. 129, in cui si dice: «§ 1. Sono abili alla potestà di governo, che propriamente è nella Chiesa per istituzione divina e viene denominata anche potestà di giurisdizione, coloro che sono insigniti dell’ordine sacro, a norma delle disposizioni del diritto. § 2. Nell’esercizio della medesima potestà, i fedeli laici possono cooperare a norma del diritto». Cosa vuol significare questo canone ? Vuol dire che la potestà di governo, intesa in senso ampio, quella che veniva tradizionalmente denominata potestà di giurisdizione, cioè la potestà che ricomprende tutte le facoltà necessarie per governare il popolo di Dio, spetta ai chierici. Nell’ambito della potestas iurisdictionis, nel senso ampio del termine, viene collocata anche la potestà giudiziaria, intesa come potestà di giudicare, di rendere giustizia nella comunità dei fedeli. Anche la potestà giudiziaria è quindi riservata a coloro che sono insigniti dell’ordine sacro. Il canone citato aggiunge però che i laici possono cooperare all’esercizio di tale potestà, pur senza assumere in proprio, come originari titolari, tale esercizio. Si è così “escogitato” (la disposizione risale a Paolo VI, con il motu proprio Causas matrimoniales del 1971) un compromesso. I laici non possono essere giudici da soli e, nell’ambito del collegio, devono sempre essere in minoranza, in modo che la sentenza sia sempre riconducibile ad una componente clericale presente nel collegio ed il laico assuma la veste di cooperatore. Ma in realtà questa costruzione non regge ad un attento esame. La sentenza è un atto unitario, attribuibile a tutto il collegio. Anche il giudice rimasto in minoranza contribuisce pur sempre alla decisione finale, anche se in modo dialettico. Il laico viene quindi a svolgere direttamente, sia pure insieme ad altri, la potestà giudiziaria. Per giustificare questo coinvolgimento dei laici nella potestas iurisdictionis occorre quindi fare riferimento ad un principio diverso. Quello che vede nella funzione giudiziaria un’attività che non è propriamente ministeriale, ma di natura tecnica ed applicativa. Il giudice si limita infatti ad accertare una certa situazione di fatto e a dichiararla con efficacia autoritativa, senza però incidere in modo innovativo sulla situazione personale del fedele (come si verifica, ad esempio, con la concessione di una dispensa o la nomina ad un ufficio ecclesiastico). Non sembra quindi che per esercitare direttamente e pienamente questo tipo di potestà sia necessario l’ordine sacro. Se si aderisce a questo principio (che ha trovato autorevoli sostenitori nella dottrina canonistica, basti citare Eugenio Corecco e Piero Antonio Bonnet) il laico può esercitare la funzione giudiziaria senza alcuna limitazione, alla stessa stregua dei chierici: sia come giudice unico, sia nell’ambito di un collegio interamente o a maggioranza laicale. In tal modo si avrebbe una indubbia facilitazione nel reperimento di giudici idonei ai quali affidare la trattazione delle cause matrimoniali. 6) Il giudice monocratico e l’assessore 10 Bisogna considerare che in molti paesi vi è una situazione nella quale risulta molto difficile o addirittura impossibile costituire un collegio di giudici per la mancanza di personale preparato a tale funzione. Proprio in considerazione di ciò è previsto che la Conferenza episcopale autorizzi il vescovo a far trattare queste cause di fronte ad un unico giudice chierico (can. 1425 §4). Ci si domanda però, da parte di molti, se non sia opportuno, sempre al fine di snellire i processi, generalizzare questa possibilità di affidare le cause matrimoniali ad un giudice unico. Ho spesso parlato con gli stessi giudici di questa proposta e devo dire che ho incontrato una generalizzata resistenza nei confronti di essa. Quasi tutti ritengono che il collegio sia una garanzia di maggiore obiettività e di maggiore tranquillità di coscienza. Giudicare da soli può comportare un qualche travisamento, un’interpretazione errata di alcuni fatti, un inconsapevole condizionamento interiore. Il confronto con altri due giudici può quindi rivelarsi di grande importanza per giungere ad una soluzione il più possibile conforme a verità. Mi pare quindi di poter concludere su questo punto che si può facilitare la soluzione del giudice unico (magari lasciando la decisione allo stesso vescovo moderatore del tribunale, senza la previa autorizzazione della Conferenza episcopale), ma che di norma e ove possibile sia opportuno continuare a riservare le cause di nullità di matrimonio ad un collegio giudicante. Alcune proposte vorrebbero valorizzare la figura dell’assessore, già prevista dal Codice in supporto del giudice unico (“Unicus iudex in quolibet iudicio duos assessores, clericos vel laicos probatae vitae, sibi consulentes asciscere potest” – can. 1424, v. anche can. 1425 § 4). Si tratterebbe di un consulente con il quale il giudice può confrontarsi e discutere della causa, senza però alcuna partecipazione al giudizio, che resta affidato al solo giudice. Potrebbe trattarsi anche di un consulente con una preparazione non specificamente giuridica, come ad esempio uno psicologo o psichiatra che può aiutare il giudice a comprendere meglio la documentazione medica e le relazioni peritali prodotte nelle cause di incapacità psichica. Naturalmente l’assessore potrebbe essere un laico, non si richiederebbero per lui titoli specifici e potrebbe quindi essere più facilmente reperito anche in quei paesi dove non è possibile reclutare dei giudici. Si tratta di una proposta in certo modo di compromesso tra quella favorevole a mantenere la collegialità e quella che propende per il giudice unico: ma avrebbe pur sempre il vantaggio di consentire al giudice di uscire dal suo “isolamento” e di confrontarsi con altre persone prima di assumere la sua decisione. 7) Un processo sommario Merita ora prendere in considerazione un altro punto interessante, al quale si è fatto cenno anche da parte di qualche vescovo nel corso del Sinodo. Coloro che hanno esperienza nei processi matrimoniali avranno certamente avvertito che 11 vi sono non poche cause in cui la nullità appare, già a prima vista, evidente e facilmente dimostrabile in giudizio. Le parti sono concordi e hanno magari presentato un libello congiunto (cosa questa che va incoraggiata, non solo per maggior chiarezza sull’atteggiamento tenuto dalle parti, ma anche perché consente un non trascurabile risparmio negli avvisi e nelle notifiche previste per la parte convenuta, nei termini che ad essa occorre riservare13); vi sono documenti significativi e testi immediatamente disponibili; vi sono certificazioni mediche o relazioni peritali che fanno subito comprendere che si tratta di persone gravemente perturbate dal punto di vista psichico. Seguire per queste cause il normale iter processuale, come è richiesto dalla legge, costituisce indubbiamente un inutile appesantimento, un dispendio di mezzi ed energie processuali fini a se stessi. Allora, ci si chiede, perché non prevedere in questi casi una sorta di “corsia preferenziale”, prevedere cioè un processo più breve, in qualche misura sommario, alleggerito di formalità che appaiono superflue ? Come dovrebbe svolgersi, almeno nelle sue linee essenziali, questo tipo di processo? Si potrebbe prendere spunto da un modello di processo già previsto dal Codice canonico accanto al processo contenzioso ordinario, il processo contenzioso orale (can. 1656 – 1670). Esso, per espressa disposizione legislativa (can. 1690), non è attualmente utilizzabile per le cause di nullità di matrimonio, ma forse merita di essere ripreso in considerazione, apportandovi eventualmente qualche opportuno adattamento a questo tipo di cause. Il processo orale è caratterizzato da una massima concentrazione delle operazioni processuali: in un’unica udienza dinnanzi ad un giudice unico devono essere interrogate le parti e sentiti i testimoni, con una sintetica verbalizzazione delle loro deposizioni. Espletata l’istruttoria segue immediatamente la discussione in forma orale ad opera degli avvocati (che naturalmente assisterebbero a tutti gli interrogatori) e del difensore del vincolo. Dopodiché il giudice si ritira da solo, eventualmente con la presenza degli assessori precedentemente designati, per decidere la causa. Presa la decisione, dà immediata lettura del dispositivo alle parti, provvedendo poi, entro un termine ristretto, al deposito della sentenza. Sarebbe opportuno anche prevedere la possibilità di un passaggio al rito ordinario nei casi in cui la causa si rivelasse particolarmente complessa o emergessero forti divergenze nelle prospettazioni delle parti in causa. Certamente c’è il pericolo, con questo tipo di processo, di arrivare in modo troppo affrettato e superficiale ad una decisione così importante come quella relativa alla nullità del matrimonio. Ma va tenuto presente che non si tratterebbe di un processo applicabile a qualunque caso, ma soltanto a quei casi più semplici, nei quali la nullità emerga con chiarezza e risulti di facile accertamento. Ma pur con questa limitazione (ma è difficile prevedere quante cause potranno essere instradate nella procedura semplificata), vi sarebbe un 13 Su questi aspetti rimandiamo al nostro saggio La procedura consensuale nelle cause di nullità del matrimonio, in Dir. eccl., 2005, p. 154 ss. 12 indubbio beneficio per la durata dei processi e per l’aspettativa delle parti, specialmente per quelle che sono intimamente e fondatamente convinte di aver celebrato un matrimonio nullo e, proprio per questo, sono più insofferenti delle formalità processuali e delle lungaggine che esse possono comportare. 8) Osservazioni conclusive Volendo ora concludere con un riflessione più generale, va chiaramente affermato che il problema della lunghezza dei processi, come è stato tante volte messo in evidenza da operatori e studiosi di questo ramo del diritto, interessa due componenti fondamentali: da un lato il personale e le strutture dedicati all’amministrazione della giustizia, dall’altro le procedure stabilite per questa attività14. E’ un dato però di esperienza che procedure inadeguate o mal congeniate, se affidate ad un personale valido, possono tutto sommato funzionare: un buon giudice, sorretto da una efficiente organizzazione giudiziaria, riesce infatti a rendere accettabili anche procedure pesanti e farraginose. Mentre un giudice impreparato e un apparato giudiziario disorganizzato ottengono cattivi risultati anche con una regolamentazione processuale ben congegnata. E’ quindi certamente primario e prioritario il problema del personale e dell’organizzazione giudiziaria. Ma agire in quest’ambito è difficile, specialmente di fronte a situazioni, largamente presenti in molte zone della Chiesa, di insuperabile carenza di possibili operatori giudiziari. E’ quindi ancor più necessario cercare di intervenire sulle procedure e mi auguro che le riflessioni che oggi abbiamo fatto possano contribuire a migliorarle e a renderle meglio rispondenti alle esigenze dei fedeli che si rivolgono ai tribunali ecclesiastici. Certamente, deve pur sempre esserci la chiara consapevolezza che un conto è preparare una riforma a tavolino e un conto è poi calarla nel vivo dell’esperienza giudiziaria, applicandola concretamente. Sarà quindi l’operato dei giudici, e con essi di tutti coloro che agiscono nell’ambito del processo, che risulterà in ultima istanza decisivo per il successo di una qualunque riforma. Possiamo ora concludere con un pensiero del nostro Papa Francesco tratto dalla sua Esortazione apostolica Evangelii gaudium (n.26): «La Chiesa peregrinante verso la meta è chiamata da Cristo a questa continua riforma, di cui essa, in quanto istituzione umana e terrena, ha sempre bisogno. Ci sono strutture ecclesiali che possono arrivare a condizionare un dinamismo evangelizzatore; ugualmente, le buone strutture servono quando c’è una vita che le anima, le sostiene e le giudica. Senza vita nuova e autentico spirito evangelico, senza 14 Mi piace, a questo proposito, ricordare un fondamentale saggio del grande processualista dell’Università Gregoriana, il p. Ignazio Gordon, De nimia processuum matrimonialium duratione, in Periodica, 1969, p. 497 ss. 13 “fedeltà della Chiesa alla propria vocazione”, qualsiasi nuova struttura si corrompe in poco tempo»15. 15 Papa Francesco, Es. ap. Evangelii gaudium, http://w2.vatican.va/content/francesco/it/apost_exhortations/documents/papa-francesco_esortazioneap_20131124_evangelii-gaudium.html 14 in Saluto di S. Em.za Rev.ma Sig. Card. Gualtiero BASSETTI Arcivescovo Metropolita di Perugia - Città della Pieve Presidente della Conferenza Episcopale Umbra Moderatore del Tribunale Ecclesiastico Regionale Umbro Saluto i carissimi fratelli nell’episcopato il vescovo monsignor Sorrentino e il vescovo di Terni, Padre Giuseppe Piemontese cui facciamo gli auguri perché partecipa per la prima volta all’inaugurazione dell’anno giudiziario del nostro tribunale. Un saluto anche ai sacerdoti qui presenti, i religiosi, le Autorità civili e militari; durante la Santa Messa era presente anche il Sindaco di Perugia, ma doveva assentarsi per l’inaugurazione dell’anno giudiziario al TAR di Perugia. Voglio fare un saluto particolare al rappresentante della Corte d’Appello, e anche al rappresentante della Procura della Repubblica che sono qui presenti. Ci sentiamo veramente onorati di avere qui con noi le massime autorità del nostro Tribunale civile. Magistrati e avvocati, esimio professore e avvocato rotale Paolo Moneta membro della Commissione speciale di studio per la riforma del processo matrimoniale canonico. Illustri operatori giudiziari del nostro tribunale, gentili signore e signori. Personalmente non intendo fare una relazione sull’attività del tribunale, né sarei in grado di farlo, in quanto sono un “cattivo” Moderatore. Questa naturalmente sarà fatta dal nostro vicario giudiziario, padre Cristoforo. Ma vorrei soffermarmi su alcuni principi pastorali riguardanti la vita matrimoniale che sono il valore irrinunciabile sia per la Chiesa, che per la società civile. Viviamo un tempo speciale, perché dal 5-19 ottobre 2014 si è celebrata la prima parte del Sinodo straordinario sulla famiglia, con il tema: «Sfide pastorali della famiglia nel contesto dell’evangelizzazione» dove la Chiesa ha “intercettato” e affrontato i cambiamenti che interessano la famiglia nella società contemporanea. La famiglia vista e tenuta non come un ideale astratto, ma reale con tutta la complessità dei suoi problemi e, grazie a Dio, delle sue risorse. Cito le parole Pontificium Consilium pro Familia che coglie con una singolare sintesi l’essenziale del Sinodo sulla famiglia: «Un percorso originale – quello del Sinodo straordinario – che vede coinvolte e interpellate tutte le componenti ecclesiali e non solo. Nella scelta della famiglia, con le sue sfide inedite e le grandi risorse, la Chiesa respira a pieni polmoni, per se stessa e per tutta l’umanità. (È bella che la Chiesa e la famiglia respirino a pieni polmoni per l’umanità). Il vangelo sulla famiglia è la buona novella dell’amore divino che va proclamata a quanti vivono questa fondamentale esperienza umana personale, di coppia e di comunione aperta al dono dei figli, che è la comunità familiare. Il magistero della Chiesa sul matrimonio va presentato e offerto in modo comunicativo ed efficace, perché raggiunga i cuori e li trasformi secondo la volontà di Dio manifestata in Cristo Gesù”[1]. Recentemente (05/11/2014) Papa Francesco ha richiamato la necessità della Giustizia nella Chiesa in tempi “ragionevoli”. Egli ha detto: la Chiesa non faccia aspettare anni per sapere se un matrimonio è nullo o valido. «Quanta gente – ha esclamato il Papa – aspetta anni una sentenza”. La linea da seguire è quella della giustizia, ma anche della carità, “perché c’è tanta gente che ha bisogno di una parola della Chiesa sulla sua situazione matrimoniale, per il sì e per il no, ma che sia giusta. Ma, alcune procedure sono tanto lunghe o tanto pesanti” e la gente alla fine ci rinuncia… (Questi casi sono capitati anche a me, ai vescovi). La madre Chiesa deve fare giustizia e dire: “Sì, è vero – ancora il Papa –, il tuo matrimonio è nullo. No, il tuo matrimonio è valido”. Ma giustizia è dirlo. Così, loro possono andare avanti senza questo dubbio, questo buio nell’anima…(È infatti un invito pressante per i nostri tribunali) “E bisogna essere anche molto attenti che le procedure non siano entro la cornice degli affari –ancora il Papa –: e non parlo di cose strane. Ci sono stati anche scandali pubblici. Io ho dovuto congedare dal Tribunale una persona, tempo fa (quando era ancora vescovo di Buenos Aires), che diceva: «10.000 dollari e ti faccio i due, il civile e l’ecclesiastico». Per favore, questo no! Sempre nel Sinodo alcune proposte hanno parlato di gratuità, si deve vedere... Ma quando sono attaccati l’interesse spirituale all’economico, questo non è di Dio!”. “La madre Chiesa ha tanta generosità per poter fare giustizia gratuitamente, come gratuitamente siamo stati giustificati da Gesù Cristo” (fin qui il Papa). Per questo è importante separare l’interesse spirituale da quello economico. Infine, il Papa ha esortato i presenti ad andare avanti e cercare sempre la salvezza delle anime»[2]. Bisogna dunque andare avanti, sulla strada dello snellimento delle procedure, perché “è la madre Chiesa che va e cerca i suoi figli per fare giustizia”. Per risolvere l’ingente problema della durata del processo di nullità matrimoniale canonico nel settembre scorso, Papa Francesco ha istituito una Commissione speciale di studio per la riforma del processo matrimoniale canonico, con l’obiettivo di semplificarne la procedura, rendendola più snella e salvaguardando il principio di indissolubilità del matrimonio. Naturalmente di questo ci parlerà il nostro Illustre Ospite, prof. Moneta. A me, come ai Pastori delle chiese particolari, sta molto a cuore la famiglia, il suo bene e il suo sviluppo. Abbiamo nella Diocesi e nella Regione molte iniziative a sostegno della famiglia e della pastorale familiare. Vi cito una per tutte: “Casa della tenerezza” qui in Perugia, ma altri Vescovi è chiaro potrebbero citarne per le loro diocesi. Noi cerchiamo di incrementare le équipe per i corsi prematrimoniali che funzionano abbastanza bene. Qui ho trovato, direi, più serietà che non p.e. alle diocesi di mia provenienza, io vengo dalla Toscana, perché veramente si fanno tanti incontri e anche qualificati. Il Sinodo di Perugia ha chiesto almeno dodici incontri e non sono pochi! Se noi valutiamo un pochino quello che si fa nelle altre diocesi. Vogliamo continuare perché anche questa è serietà. Le équipe per i corsi prematrimoniali che funzionano diffondono il “profumo” di santità e la bellezza della famiglia. Ci stiamo impegnando nell’accompagnamento delle giovani e meno giovani coppie. La “Festa della Famiglia” che da diversi anni ha preso corpo è oramai un appuntamento fisso al quale partecipano tantissime coppie di sposi. Quest’anno abbiamo fatto, secondo me, una bella iniziativa di farla insieme ad Assisi per tutte le diocesi. Sono però consapevole dei drammi di tante famiglie, per la difficoltà della crisi economica e morale, che non accenna alcuna tregua, per l’egoismo umano e la durezza del cuore, per le preoccupanti notizie di femminicidio che non risparmiano nessuna regione, e potrei continuare la litania …, su ciò non voglio insistere stamani. Grazie a Dio, ci sono anche segni positivi, piccole luci che non dobbiamo “spengere”, anzi incrementare e tutelare perché sono per noi segni che il Signore non si stanca dell’umanità e alimentano la speranza. Perdonatemi questa breve condivisione, ma come Pastore del Gregge di Cristo sentivo anche questo dovere di comunicare quello che mi passava nell’anima. L’Inaugurazione dell’Anno Giudiziario del nostro Tribunale, non è e non deve passare come atto dovuto, come atto rituale, ma deve servire per capire e comprendere il reale “stato di salute” delle nostre famiglie, le problematiche che vivono, le difficoltà che incontrano, per vivere e testimoniare veramente nell’amore nuziale tra l’uomo e la donna quel «mistero grande», che rende presente nel mondo l’amore di Cristo e della Chiesa e il sacramento del matrimonio. (cfr. Ef 5,31-32). [1] Cfr. Pontificium Consilium pro Familia, inhttp://www.familiam.org/famiglia_ita/chiesa/00005682_Sinodo_sulla_fami glia.html. [2] Cfr. http://www.news.va/it/news/papa-chiesa-non-faccia-aspettare-anniper-sapere-s Relazione del Vicario Giudiziale TERU P. Cristoforo Pawlik OFM Cap. sull’Attività del Tribunale Ecclesiastico Regionale Umbro Eminenza Reverendissima Signor Cardinale Gualtiero BASSETTI Eccellentissimi Arcivescovi e Vescovi Onorevoli Autorità Civili Signori Magistrati e Avvocati Illustri Operatori Giudiziari del Tribunale, Cari Signore e Signori Rivolgo un cordiale saluto e ringraziamento a Voi tutti intervenuti che, accogliendo il nostro invito, onorate con la vostra presenza la celebrazione dell’Inaugurazione dell’Anno Giudiziario 2015 del nostro Tribunale. È per tutti noi operatori del Tribunale Ecclesiastico Regionale Umbro un momento importante di comunione con gli Eccellentissimi Arcivescovi e Vescovi delle Chiese che sono in Umbria dai quali direttamente dipendiamo con potestà di governo ordinaria vicaria in relazione al ministero, nel settore giudiziario matrimoniale. Vedervi oggi così numerosi e attenti al ruolo che il TERU svolge nell’ambito della pastorale matrimoniale e familiare è motivo di gioia ed incoraggiamento. Iniziamo un nuovo anno di servizio, un impegno mai venuto meno per la ricerca della verità storica e salvifica dei coniugi. Si tratta di un impegno fedele circa un servizio ecclesiale, lontano dal pericolo di un ritualismo vuoto nei contenuti. Vedo qui l’intera Chiesa in Umbria con i Pastori, i rappresentanti dei chierici e fedeli laici: tutti in ascolto delle problematiche matrimoniali che si sono affrontate nel nostro Tribunale, per un migliore coordinamento e sinergia tra i diversi settori della pastorale familiare. Consentitemi di ringraziare gli Eccellentissimi Arcivescovi e Vescovi della Regione Ecclesiastica Umbra. Grazie per la Vostra presenza, abbiamo bisogno del Vostro sostegno, Vi prego, prestate attenzione e interessamento al nostro lavoro, alle necessità del nostro Tribunale, così che possiamo continuare a fornire un sollecito e puntuale servizio. Particolare gratitudine a Sua Em.za Rev.ma Sig. Card. Gualtiero BASSETTI, Moderatore del TERU,che accompagna con premura la nostra attività, grato per l’attento, sollecito, disponibile impegno nei confronti del nostro Tribunale, che segue sempre con particolare attenzione e cura. Un Grazie particolare a Sua Ecc. Rev.ma Mons. Giuseppe PIEMONTESE, Vescovo di Terni-Narni-Amelia, che ha presieduto la Solenne Concelebrazione Eucaristica. Grazie Eccellenza, per il pensiero di meditazione di profonda intensità spirituale e pratica, improntato sull'amore che ci ha rivolto e che, per noi operatori della giustizia ecclesiastica, rappresenta il punto di partenza e di arrivo della nostra attività. L'esempio di San Valentino, patrono degli innamorati e la testimonianza di santa Scolastica, di cui celebriamo la memoria, ci è riferita dai “Dialoghi” di san Gregorio Magno. La "Vergine Saggia", antepose la carità e la pura contemplazione alle semplici regole e istituzioni umane, come manifestò nell’ultimo colloquio con il suo fratello s. Benedetto, quando con la forza della preghiera “poté di più, perché amò di più” (Mess. Rom). Un grazie caloroso rivolgo all’Insigne Professore e Avvocato Rotale Paolo MONETA, la cui persona non necessita di presentazione. La sua fama e la sua competenza è comunemente riconosciuta e apprezzata, sia per la sua attività didattica, molto chiara, lineare e svolta con passione e competenza, come pure, per le numerose pubblicazioni di alto livello contenutistico, sia in Diritto canonico, che in Diritto ecclesiastico statale. Il professor Moneta attualmente presiede l’Associazione Canonistica Italiana ed è membro del Direttivo della Consociatio internationalis studio iuris canonici promovendo[1]. Dal 21/09/2014 ilprof. MONETA è Membro della Commissione speciale di studio per la riforma del processo matrimoniale canonico, creata ad hoc da Papa Francesco, con l’obiettivo di “semplificarne la procedura, rendendola più snella e salvaguardando il principio di indissolubilità del matrimonio”[2]. Altri ringraziamenti Con viva cordialità porgo il mio benvenuto a Mons. Roberto Malpelo, Vicario Giudiziale del Tribunale Ecclesiastico Regionale Etrusco - per noi il Tribunale ordinario d’appello. Un saluto a Don Paolo Scoponi nuovo Vicario Giudiziale del Tribunale Ecclesiastico Regionale Piceno, e a Don Mario Colabianchi, suo predecessore. È apprezzabile l’ottima e serena collaborazione nell’esercizio delle rispettive attività giudiziali che vige tra i nostri Tribunali, con le iniziative per un migliore coordinamento come, l’incontro di formazione che abbiamo avuto il 26 novembre u.s., tenuto dal Rev.mo Avv. Civile e Rotale Graziano Mioli, sul tema: Problematiche e prospettive in materia di nullità matrimoniale e delibazione delle sentenze ecclesiastiche dopo pronunce “additive” delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione”, molto ben organizzato. Spero che la collaborazione dei nostri tre Tribunali Ecclesiastici, possa continuare, crescere e rafforzarsi per il buono e fruttuoso andamento delle nostre attività. Mi sia permesso di ricordare che il 09/08/2014 è venuto a mancare Mons. Remo BISTONI e il 10/10/2014 Mons. Sergio SUSI, Giudici di QNT, entrambi uomini di grande fede, umanità e sensibilità verso le persone provate, sempre guidati dal grande senso pastorale e dall’Amore per il prossimo. Entrambi hanno speso le loro energie di mente e di volontà per il Tribunale e per la salus animarum, a loro va il nostro pensiero, ringraziamento e la preghiera. Desidero ringraziare i miei diretti collaboratori: il Vicario Giudiziale aggiunto, Mons. Vittorio Peri, gli 11 Giudici, 3 siamo istruttori, da poco ci aiuta 1 Uditore, il Cancelliere, gli 11 Difensori del Vincolo, il Promotore di Giustizia, i 2 Patroni Stabili, i 12 Periti, i 5 Notai e tutti coloro che prestano servizio nell’ambito del Tribunale. Ringrazio ogni giorno il Signore per avermi affiancato collaboratori mossi da vero zelo pastorale, consapevoli che il servizio che rendono nello stretto ambito del diritto e della giustizia ha come valenza primaria e finale il bene delle anime e non deve essere “freddo”, formale, distaccato, indifferente... Un pensiero speciale va al carissimo Mons. Rino Valigi, oggi 95-enne, una vera “istituzione” del nostro tribunale, da sempre vigile, solerte, attento moderatore della Cancelleria. Un ringraziamento particolare alla sig.ra Elena Corneli che dal 2005 ha ricoperto l’incarico di pro-cancelliere e che dal giugno u.s. in sede di ridefinizione dell’Organico per il quinquennio 2014-2019 è stata nominata Cancelliere. Grazie per il suo prezioso contributo alla gestione e al buon funzionamento della Cancelleria. A tutti la gratitudine e l’apprezzamento per l’impegno, l’operosità, la diligenza e il senso di responsabilità nello svolgere la propria attività. Grazie di cuore! RELAZIONE SULL’ATTIVITÀ DEL TERU NELL’ANNO 2014 È mio gradito compito presentare la Relazione dell’attività che il nostro Tribunale ha svolto durante l’anno 2014. Dall’esame dei dati che verranno riferiti ci si renderà conto della situazione della amministrazione della giustizia per quanto riguarda le dichiarazioni di nullità di matrimonio nella nostra regione. Ritengo che sia una preziosa occasione, specialmente per gli operatori pastorali, di riflessione in ordine alla situazione matrimoniale e sulla famiglia. Come premessa indispensabile tengo a precisare, che aldilà dei “numeri” e dei dati statistici, vi sono le persone con le loro situazioni dolorose, le loro sofferenze, come con forza ribadito da Papa Francesco: «Dietro ogni pratica, ogni posizione, ogni causa, ci sono persone che attendono giustizia»[3], purtroppo, l’attenzione umana e dei mass-media spesso e volentieri se ne dimentica. L’attività del Tribunale Ecclesiastico Regionale Umbro nell’anno 2014: • • • Le cause introdotte nell’anno 2013 sono state = 104 e nel 2014 =103 (1 di meno). Le cause pendenti alla fine dell’anno 2014 risultano =127 contro le =128 del 2013 (1 di meno). Nell’anno 2014 abbiamo definito =104 cause contro le =79 del 2013 (quindi ben 25 di più). Nel corso dell’anno matrimoniali. Cause espletate 2014 sono state trattate 231 cause di nullità = 104 a) chiuse con sentenza affermativa = 92 b) chiuse con sentenza negativa =7 c) rinunciate =3 d) perente =2 Cause pendenti al 31.12.2014 risultavano = 127, di cui: 11 = prossime alla sentenza, 9 = in fase dibattimentale; 50 = giacenti presso i Periti; 56 = in fase istruttoria; 1 = sospesa Alle cause trattare si aggiunge n. 1 Super Rato Ora, vogliamo brevemente soffermarci sui capi di nullità accusati, con i rispettivi pronunciamenti: CAPI DI NULLITÀ Ex can. Aff. Neg. Esclusione indissolubilità 1101 § 2 6 6 Esclusione della prole 1101 § 2 9 4 Esclusione della fedeltà 1101 § 2 - 1 Incapacità 1095 n. 2 33 2 Incapacità 1095 n. 3 1 1 Incapacità 1095 nn. 2 e 3 63 8 1103 - 1 1102 § 1 1 - Timore Condizione apposta In questo prospetto si riscontra la tendenza emersa negli anni precedenti, vale a dire, la forte incidenza dell’incapacità consensuale dei coniugi, termometro della realtà sociale dei nostri tempi. Accolgo volentieri l’invito del Papa circa il recupero del can. 1099, auspicato in occasione dell’Inaugurazione dell’Anno Giudiziario della Rota Romana c.a., ovvero l’errore determinante la volontà, dovuto alla mancanza della fede dei nubenti, all’incidenza della mentalità mondana e alla ricerca del proprio benessere egoistico o edonistico, alla crisi dei valori e alle malattie dell’uomo moderno. Papa Francesco, fin dall’inizio del suo pontificato, richiama tutta la Chiesa a prenderne coscienza (p.e. Es. ap. Evangelii gaudium). Ora il Papa ci esorta: «il giudice, nel ponderare la validità del consenso espresso, deve tener conto del contesto di valori e di fede – o della loro carenza o assenza – in cui l’intenzione matrimoniale si è formata. Infatti, la non conoscenza dei contenuti della fede potrebbe portare a quello che il Codice chiama errore determinante la volontà (cfr. can. 1099). Questa eventualità non va più ritenuta eccezionale come in passato,data appunto la frequente prevalenza del pensiero mondano sul magistero della Chiesa. Tale errore– continua il Papa – non minaccia solo la stabilità del matrimonio, la sua esclusività e fecondità,ma anche l’ordinazione del matrimonio al bene dell’altro, l’amore coniugale come “principio vitale” del consenso, la reciproca donazione per costituire il consorzio di tutta la vita… Il matrimonio tende ad essere visto come una mera forma di gratificazione affettiva che può costituirsi in qualsiasi modo e modificarsi secondo la sensibilità di ognuno, spingendo i nubenti allariserva mentale circa la stessa permanenza dell’unione, o la sua esclusività, che verrebbero meno qualora la persona amata non realizzasse più le proprie aspettative di benessere affettivo». Sarebbe auspicabile un ampio confronto degli operatori dei tribunali ecclesiastici sulle suddette indicazioni di Papa Francesco, per salvaguardare il principio di uniformità della giurisprudenza nella Chiesa. Occorrono linee guida comuni da seguire, per evitare che nei Tribunali d’appello venga vanificato lo sforzo chiesto dal Pontefice: «Vorrei dunque esortarvi ad un accresciuto e appassionato impegno nel vostro ministero, posto a tutela dell’unità della giurisprudenza nella Chiesa … c’è bisogno di una conversione pastorale delle strutture ecclesiastiche, per offrire l’opus iustitiae a quanti si rivolgono alla Chiesa per fare luce sulla propria situazione coniugale. Ecco la difficile missione vostra, come di tutti i Giudici nelle diocesi: non chiudere la salvezza delle persone dentro le strettoie del giuridicismo. La funzione del diritto è orientata alla salus animarum a condizione che, evitando sofismi lontani dalla carne viva delle persone in difficoltà, aiuti a stabilire la verità nel momento consensuale: se cioè fu fedele a Cristo o alla mendace mentalità mondana»[4]. Dal punto di vista pratico il "recupero" dell’errore come capo autonomo di nullità ci permetterebbe un notevole risparmio nell’economia processuale nei tempi e nei costi. Fino ad oggi la regola seguita (dalla giurisprudenza e dalla dottrina canonica) riteneva che l’errore circa le proprietà essenziali o la dignità sacramentale non intaccasse la validità del consenso che è l’actus voluntatis (cfr. can. 1057). Infatti, l’incidenza dell’errore era vista in riferimento alla simulazione ex can. 1101, §2 o all’incapacità ex can. 1095 n. 2. Nel caso di errore semplice la volontà può, in ogni modo, aderire ad una nozione vera di matrimonio cristiano, chiesto esplicitamente dai nubenti, perché l’errore resta nell’ambito teoricodell’intelletto. Tuttiavia un errore "grave" che determini la volontà nuziale vizierebbe il consenso matrimoniale rendendolo nullo: l’ipotesi definita come error determinas voluntatem, ex can. 1099 del CIC. La presenza di un simile errore modificherebbe l’oggetto della volontà, in quanto si vorrebbe una realtà diversa dal matrimonio cristiano, ovvero non quello voluto dal Creatore e tutelato dalla Chiesa. I COSTI DELLE CAUSE Purtroppo ancora circolano notizie non vere riguardo ai costi delle cause per ottenere la dichiarazione di nullità matrimoniale, per questo tante persone sono scoraggiate e hanno difficoltà, se non diffidenza, ad accostarsi al Tribunale. Pertanto torno a ricordare, perché ne siano informati tutti i qui presenti e altri che potranno leggere questa nota esplicativa, che il contributo delle parti alle spese processuali è il seguente: • • la parte attrice che invoca il ministero del Tribunale, è tenuta a versare €525,00 al momento della presentazione del libello, come contributo per i due gradi di giudizio; la parte convenuta non è tenuta ad alcuna contribuzione, ove partecipi all’istruttoria e SOLO nel caso in cui si costituisce è tenuta a versare €262,50. Ricordo che nella Chiesa la giustizia è accessibile a tutti senza distinzione, tanto è vero che anche quest’anno diverse persone, trovandosi in difficoltà hanno chiesto ed ottenuto la riduzione o l’esonero totale dal contributo dovuto per le spese processuali, da tempo in linea con l’auspicio di Papa Francesco che le cause siano gratuite. Questo ci è possibile perché siamo finanziati dall’otto per mille. Qui il mio appello che rivolgo a tutti di scegliere, nella prossima e successive dichiarazioni dei redditi, la destinazione dell’otto per mille per la Chiesa Cattolica, per contribuire anche al nostro servizio. CIRCA LA DURATA DELLE CAUSE: DURATA DEL PROCESSO DI 1A ISTANZA meno di sei mesi Nr. cause 6 da sei mesi ad un anno 38 da un anno ad un anno e mezzo 41 da un anno e mezzo a due anni 14 oltre due anni 5 Come potete costatare dalla tabella, la maggior parte delle cause si è conclusa entro un anno e mezzo e sono pochi i casi che vanno oltre. Da sempre in QNT si garantisce la “giustizia” nei tempi previsti dal Codice: «Giudici e tribunali provvedano affinché, salva la giustizia, tutte le cause si concludano al più presto, di modo che non si protraggano più di un anno nel tribunale di prima istanza, e non più di sei mesi nel tribunale di seconda istanza» (can. 1453; cfr. DC, art. Art. 72). Per questo talvolta si sono ricevute delle critiche, come se non si potesse coniugare la sollecitudine con la serietà, la qualità e la tutela dei diritti. Ciò è stato possibile per la sensibilità del mio illustre predecessore trasmessa e recepita in toto, so che soleva rispondere a quanti gliene chiedevano il «segreto»: “lavoro, faccio lavorare e lascio lavorare!”. Scusate la digressione! Tornando a noi, posso dire che i tempi “tecnici” rimangono vincolati all’assunzione delle prove che permettono di emettere il giudizio e di raggiungere la verità. I tempi si allungano dovendo spesso valutare la capacità giuridica delle Parti e si rende necessaria una perizia d’ufficio. Proprio per contenere i tempi processuali ho chiesto a tutti i periti di eseguire e consegnare in Cancelleria le loro relazioni entro 4 mesi dall’incarico. Purtroppo su questo punto spesso le nostre aspettative vengono disattese, talvolta anche per la poca collaborazione dei periziandi. Colgo l’occasione per chiedere ai nostri valenti professionisti un ulteriore sforzo in tal senso. Grazie infinite! A pag. 16 del libretto Attività dei Patroni stabili: Riepilogo dell’attività dei Patroni stabili nel 2014 Nr. casi Consulenze effettuate 518 Casi esaminati 178 Cause di nullità: pendenti al TERU al 31.12.2013 66 Introdotte 75 patrocinio alla P.C. 1 Trattate 141 Definite 74 pendenti al TERU al 31.12.2014 67 Cause da definire in appello al 31.12.2014 66 Quello che emerge dalle tabelle riportate, alle pagg. 6 e 16 del libretto, è la preponderanza del ricorso ai Patroni Stabili rispetto agli avvocati esterni. RIEPILOGO PROCEDIMENTI 2014 Definiti Introdotti Patroni stabili 74 75 Patroni esterni 30 28 Questo ci fa comprendere la gravità della crisi economica della nostra società. Le persone non avendo risorse economiche, consapevoli di non dover affrontare alcun onere per il patrocinio, si rivolgono ai nostri Patroni stabili, che con ammirevole dedizione cercano di venire incontro alle numerosissime richieste di consulenza e patrocinio. Le persone, trovando accoglienza e comprensione nei Patroni stabili, preferiscono attendere anche a lungo per introdurre la causa piuttosto che ricorrere ad altri avvocati o chiedere il gratuito patrocinio al quale avrebbero diritto, nel caso di precarietà economica. Qui vorrei invitare tutti al rispetto della professionalità e serietà dei Patroni Stabili; oltre che delle persone che ricorrono al loro ufficio, per cortesia, non pressateli ulteriormente con richieste e sollecitazioni per l’introduzione delle cause, volendo e dovendo essi rispettare la normale “lista di attesa”. ALCUNE NOTIZIE FLASH SUL PERSONALE DEL TERU • • Come già accennato, nell’anno 2014 abbiamo “perso” ben 2 giudici e per un altro non è stata confermata la nomina, ma ne abbiamo “acquistato” uno, don Albin KOUHON, della diocesi di Terni-NarniAmelia che ricopriva il ruolo di Difensore del Vincolo. La dott.ssa Federica INCHES, anch’essa di Terni, è entrata a far parte dell’Organico in qualità di Uditore, prima era Difensore del Vincolo e Promotore di Giustizia, carica passata alla dott.ssa Cinzia NATI, di Nocera Umbra, già D.V. Nell’anno si sono aggiunti anche due nuovi D.V., i dott.ri Fabio CIOCCOLONI di Foligno e Carlo BELLI PAOLOBELLI di Assisi. È stato necessario assumere un altro notaio, la dott.ssa Chantal Trabalza per consentire ai tre istruttori e all’uditore di ricevere le deposizioni contemporaneamente, sempre nell’economia tempistica processuale. A questo scopo si sono eseguiti anche lavori di adattamento dei locali a nostra disposizione. RIFLESSIONI PRATICHE L’inaugurazione dell’Anno Giudiziario del TERU è forse l’unica occasione per fare il punto sul nostro operato, luci e ombre. Dove le cose sono dipese da noi, ritengo che abbiamo dato il meglio, non potevamo fare di più, considerate le risorse disponibili. Tuttavia non nascondiamo che su vari fronti abbiamo delle “difficoltà”: La carenza di vocazioni si traduce in scarsità di Giudici chierici per cui quei pochi, chiamati a ricoprire i molteplici uffici nell’ambito delle parrocchie, Curie ecc. vengono oltremodo caricati di lavoro, non sono per nulla aiutati, incoraggiati e incentivati. C’è poi la difficoltà a ricorrere a personale Laico per il ruolo di Giudice sia per la vigente normativa che ne prevede solo uno per Turno ma, qualora questa in qualche modo fosse superata, anche per l’insostenibile costo che ne deriverebbe. La crisi economica non ha risparmiato neppure le nostre Diocesi che si trovano in grave sofferenza e anche il Tribunale ne subisce le conseguenze. Secondo la vigente norma infatti «Spetta alla Regione ecclesiastica reperire e mettere a disposizione del Tribunale ecclesiastico regionale a titolo gratuito una sede idonea»[5]. Solo per queste difficoltà economiche non siamo riusciti ad ottenere l’ampliamento della nostra sede (due stanze attigue da incorporare nell’attuale sede) ma non ci siamo scoraggiati, abbiamo modificato, ottimizzando gli spazi assegnatici già dal 2001, in più riprese adattati all’uso specifico. Incredibilmente oggi ci troviamo a temere fortemente di perdere anche questi dovendo sacrificare un importante servizio, così almeno è nell’estimazione del Sommo Pontefice, tanto da aver istituito la Commissione di studio per la riforma processuale matrimoniale, argomento attualissimo, oggetto della prolusione odierna del nostro illustre Ospite. Certamente l’onere relativo alla sede idonea, per il Tribunale non può ricadere solo sulla Arcidiocesi di Perugia-Città della Pieve, ma vi dovrebbero contribuire le 8 Diocesi umbre che si avvalgono del nostro servizio. Ecc.mi Presuli, non abbandonateci! Vogliamo continuare a dare lo stesso servizio di sempre auspicato da Papa Francesco, datecene la possibilità! Siamo stati sempre fedeli, discreti, disponibili servitori delle Vs. Eccellenze, non abbiamo mai creato problemi né è nostra intenzione darne, chiediamo umilmente gli strumenti indispensabili per lavorare, una casa dignitosa e accogliente per rispondere ai bisogni dei fedeli. CONCLUSIONE Mi permetto, in conclusione, di sottolineare che il nostro lavoro non è finalizzato – come spesso si avverte nel sentire comune – ad “annullare” i matrimoni, bensì a valorizzare il patto coniugale che tra due battezzati è elevato a dignità sacramentale. Noi giudici del TERU siamo consapevoli che quanto facciamo non ci distoglie da altri non meno importanti compiti pastorali, ma è complemento di un’azione a servizio della famiglia che inizia nelle parrocchie. In questa direzione il TERU svolge un’opera di discernimento e di individuazione di quei “germi patogeni”, che, in casi particolari, ne rendono impossibile la nascita. L’azione giudiziale volta a tale indagine è azione pastorale vera e propria; tutela le persone e i loro diritti nella Chiesa, prestando attenzione alla loro vicenda coniugale. Anche nell’esperienza di un matrimonio nato male, la persona ha bisogno di sentirsi amata da Dio. Le dinamiche procedurali sono a servizio di tale azione e rispondono al bisogno spirituale dei fedeli. Voglio, infine, riaffermare la piena collaborazione di tutti gli Operatori del Tribunale con i nostri Vescovi e con tutti coloro che nelle varie diocesi, sotto la guida dei Pastori, si dedicano alla preparazione dei nubendi e al sostegno delle famiglie. A tutti: Giudici, Uditori, Difensori del Vincolo, Cancelliere, Notai, Periti, Avvocati, la più viva gratitudine e l’augurio di buon lavoro. Grazie! Ora, con l’augurio di rincontrarci tutti insieme, come oggi, nel prossimo 2016, chiediamo S. Em.za Rev.ma Sig. Card. Gualtiero BASSETTI, Moderatore del Tribunale Ecclesiastico Regionale Umbro, di voler benedire il nostro lavoro e quindi dichiarare aperto l’anno giudiziario 2015. S. Em.za Rev.ma Sig. Card. Gualtiero BASSETTI Al nostro Tribunale Ecclesiastico e a tutte le istituzioni qui presenti auguro che il comune impegno, a tutela dei valori del matrimonio e della famiglia, possa riscuotere sempre maggiore sintonia e generare la sinergia per la promozione della dignità umana. Come Moderatore del Tribunale Ecclesiastico Regionale Umbro, con grande gioia Vi impartisco la mia Benedizione e dichiaro Solennemente aperto l’Anno Giudiziario 2015 del TERU. La parola ora al Professore Paolo MONETA, che ha accolto il nostro invito e ci farà una preziosa e molto attuale relazione sul tema: «La riforma del processo matrimoniale canonico», un argomento scelto per la sua importanza e attualità. AverLa con noi è un grandissimo onore e, sono convinto che la Sua relazione per tutti noi sarà un vero arricchimento. Grazie Professore, per la Sua disponibilità e per quanto ci esporrà! [1] Cfr. http://www.unipi.it/ateneo/comunica/cerimonie/cherub/paolomone ta.htm_cvt.htm. [2] Cfr. http://www.news.va/it/news/papa-crea-commissione-riforma-delprocesso-matrimo [3] Cfr. Discorso del Santo Padre Francesco agli officiali del Tribunale della Rota Romana, per l’Inaugurazione dell’Anno Giudiziario, 24/01/2014. [4] Cfr. Discorso del Santo Padre Francesco agli officiali del Tribunale della Rota Romana, per l’Inaugurazione dell’Anno Giudiziario, 23/01/2015. [5] Cfr. CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA Norme circa il regime amministrativo dei Tribunale Ecclesiastici Regionali italiani e l’attività i patrocinio svolta presso gli stessi, 18 marzo 1997, Art. 4, §5.