Tribunale Ecclesiastico Regionale Umbro – Perugia
INAUGURAZIONE DELL’ANNO GIUDIZIARIO 2015
Prolusione del Prof. Paolo MONETA
Avvocato rotale, membro della Commissione speciale di studio per
la riforma del processo matrimoniale canonico
Ringrazio il Vicario giudiziale padre Cristoforo per avermi invitato
all’Inaugurazione solenne di questo Tribunale, ringrazio Sua Eminenza e i
Vescovi della Regione Umbria della loro presenza e dell’attenzione che mi
riservano ascoltando la mia prolusione. Ringrazio anche perché mi è stata offerta
l’occasione di tornare a Perugia, città dove si viene sempre molto volentieri, e
anche perché ho potuto constatare, pur nel breve tempo di questa mattina,
l’atmosfera particolarmente fraterna, amichevole e cordiale di questo Tribunale.
Quindi, al di là dei dati che padre Cristoforo ha dato sull’attività del Tribunale, si
percepisce veramente un afflato umano, un senso di amicizia e di disponibilità
verso il prossimo che, penso, sia caratteristico di questo Tribunale. Ed è questo
certamente il suo aspetto migliore.
1) Il processo di nullità matrimoniale nel recente Sinodo dei vescovi
Mi propongo ora di avviare una breve riflessione sulle proposte di
revisione e sui possibili sviluppi che possono interessare il processo di nullità di
matrimonio, soprattutto nel senso di un suo snellimento e di una riduzione delle
formalità che lo appesantiscono. Possiamo partire dall’Assemblea straordinaria
del Sinodo dei vescovi, tenutasi nell’ottobre scorso, nell’ambito della quale
l’attenzione verso i processi di nullità di matrimonio e verso l’esigenza di una
loro riforma è molto presente. Prendiamo i documenti che hanno segnato le
tappe fondamentali dei lavori sinodali: dal documento preparatorio,
l’Instrumentum laboris, alle due relazioni intermedie, la Relatio ante
disceptationem e quella post disceptationem, sino al documento finale, la Relatio
Synodi, che è confluita nei Lineamenta per l’Assemblea generale ordinaria,
fissata per il prossimo ottobre1.
1
Cfr. III Assemblea generale straordinaria “Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione”, in http://www.vatican.va/roman_curia/synod/documents/rc_synod_doc_20140626_instrumentum-­‐laboris-­‐
familia_it.html.; http://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2014/10/06/0712/03003.html.
http://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2014/10/13/0751/03037.html.
http://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2014/10/18/0770/03044.html.
.
1 “Esiste un'ampia richiesta di semplificazione della prassi canonica delle
cause matrimoniali ….molti avanzano richieste circa lo snellimento: processo
canonico semplificato e più rapido; concessione di maggior autorità al vescovo
locale; maggiore accesso dei laici come giudici; riduzione del costo economico
del processo”, si legge nell' Instrumentum laboris. “Diversi Padri hanno
sottolineato la necessità di rendere più accessibili ed agili le procedure per il
riconoscimento dei casi di nullità”, si ribadisce nella Relatio post disceptationem.
“Un grande numero dei padri ha sottolineato la necessità di rendere più
accessibili ed agili, possibilmente del tutto gratuite, le procedure per il
riconoscimento dei casi di nullità” si conferma nella Relatio Synodi. Non
mancano, invero, anche gli inviti alla prudenza di coloro che segnalano il rischio
che semplificando o riducendo i passi previsti, “si producano ingiustizie ed
errori; si dia l'impressione di non rispettare l'indissolubilità del sacramento…. si
alimenti l'idea di un ‘divorzio cattolico’”(Inst. Lab.). Ed anche nella relazione
finale si registra l'opinione di alcuni padri che si dicono contrari a queste
proposte di snellimento “perché non garantirebbero un giudizio affidabile”,
ribadendo che “in tutti questi casi si tratta dell'accertamento della verità sulla
validità del vincolo”. Ma pur con queste riserve e preoccupazioni, l'opinione che
risulta più ampiamente condivisa è quella che ritiene di dover incidere sulle
procedure riguardanti le cause di nullità di matrimonio, in modo da renderle uno
strumento più “pastorale”, nel senso che meglio si presti a risolvere il problema
delle persone che vivono in situazioni matrimoniali irregolari2.
Vi sono però altre proposte più decisamente innovative, che tendono, in
maggiore o minore misura, a sottrarre la trattazione di queste pratiche ad un
processo di natura giudiziaria. Ricorrente è così la proposta di intraprendere una
(per altro non ben precisata) “via amministrativa”, preferibilmente sotto la
responsabilità del vescovo diocesano (Rpd, RS). E’ soprattutto il ruolo e la
responsabilità di questo vescovo che si vorrebbe da molte parti potenziare. Viene
così delineata una via extragiudiziale che potrebbe prevedere “un itinerario di
conoscenza, di discernimento e approfondimento che, nel caso di presenza delle
condizioni di invalidità, potrebbe culminare nella dichiarazione di nullità da parte
del vescovo diocesano, il quale andrebbe anche a proporre un cammino di presa
di coscienza di conversione alla persona interessata in vista di un eventuale
futuro matrimonio” (Rad). Nello stesso ordine di idee si insiste nel sottolineare
“la responsabilità del vescovo diocesano, il quale nella sua diocesi potrebbe
incaricare dei consulenti debitamente preparati che possano gratuitamente
consigliare le parti sulla validità del loro matrimonio” (RS).
Anche al di fuori del Sinodo, voci autorevoli si sono espresse nello stesso
ordine di idee. Si può citare il Card. Angelo Scola che, in un saggio pubblicato
nella rivista Il Regno, scriveva: “La prossima assemblea straordinaria potrebbe
suggerire che il papa valorizzi di più il ministero del vescovo. In particolare, essa
2
Anche Papa Francesco ha richiamato le proposte di snellimento del processo emerse nell’ambito del Sinodo: “Nel Sinodo straordinario si è parlato delle procedure, dei processi, e c’è una preoccupazione per snellire le procedure, per motivo di giustizia….Giustizia: quanta gente aspetta per anni una sentenza…Alcune procedure sono tanto lunghe o tanto pesanti che non favoriscono e la gente lascia” (Saluto ai partecipanti al corso “super rato” promosso dal Tribunale della Rota Romana, 5 novembre 2014). 2 potrebbe suggerire che egli esamini la fattibilità della proposta, che è senza
dubbio complessa, di dar vita a una procedura canonica non giudiziale che
avrebbe come suo arbitro finale non un giudice o un collegio di giudici, ma
piuttosto il vescovo o un suo delegato”3.
Come si può notare, vi è una particolare attenzione per un maggiore
coinvolgimento del vescovo diocesano e in alcuni casi verso una cosiddetta
“procedura amministrativa”. Vi è, insomma, l’idea che le questioni di nullità di
matrimonio dovrebbero prevedere un itinerario di conoscenza, discernimento e
approfondimento sotto la guida del vescovo diocesano, il quale dichiarerebbe, se
del caso, la nullità, proponendo inoltre un cammino di presa di coscienza e di
conversione. Naturalmente l’accertamento della effettiva nullità non potrebbe che
essere più sbrigativo e basarsi essenzialmente sulla coscienza, sull’interiore
convincimento, delle stesse parti.
2) Riserve critiche su alcune di tali proposte
Francamente, queste proposte o suggerimenti lasciano abbastanza
perplessi, se non altro perché i vescovi oggi sono sovraccarichi di impegni e per
lo più, con rispetto parlando, non hanno una preparazione adeguata per valutare
la nullità del matrimonio.
Mi viene in mente, a questo proposito, che Sant’Agostino si lamentava di
dover essere costretto a rendere giustizia alla popolazione e di essere così preso
da questa attività da non aver più tempo di dedicarsi alla preghiera, alla
meditazione, allo studio. Vi è indubbiamente la necessità che l’attività giudiziaria
venga svolta da persone competenti e specificamente incaricate per questo
compito. Volendo fare un’altra citazione si può richiamare anche la vicenda del
popolo ebraico. Il Libro dell’Esodo narra che ad un certo punto Mosè si ritrovò
sovraccarico di incombenze, dovendo rendere giustizia a tutto il popolo (che, tra
l’altro, era assai litigioso). Fu il suocero di Mosè che gli suggerì di designare
alcune persone specificamente incaricate per queste cose e di riservare per sé
soltanto le questioni più importanti4. Quindi mi pare che caricare i vescovi di
3
A. SCOLA, Processi matrimoniali: una prospettiva pastorale, in Il Regno – doc., 2006, p. 226 ss. Es 18, 13-26: «Il giorno dopo Mosè sedette a render giustizia al popolo e il popolo si trattenne presso
Mosè dalla mattina fino alla sera. Allora Ietro, visto quanto faceva per il popolo, gli disse: “Che cos'è
questo che fai per il popolo? Perché siedi tu solo, mentre il popolo sta presso di te dalla mattina alla
sera?”. Mosè rispose al suocero: “Perché il popolo viene da me per consultare Dio. Quando hanno
qualche questione, vengono da me e io giudico le vertenze tra l'uno e l'altro e faccio conoscere i decreti di
Dio e le sue leggi”. Il suocero di Mosè gli disse: “Non va bene quello che fai! Finirai per soccombere, tu e
il popolo che è con te, perché il compito è troppo pesante per te; tu non puoi attendervi da solo. Ora
ascoltami: ti voglio dare un consiglio e Dio sia con te! Tu sta' davanti a Dio in nome del popolo e presenta
le questioni a Dio. A loro spiegherai i decreti e le leggi; indicherai loro la via per la quale devono
camminare e le opere che devono compiere. Invece sceglierai tra tutto il popolo uomini integri che
temono Dio, uomini retti che odiano la venalità e li costituirai sopra di loro come capi di migliaia, capi di
centinaia, capi di cinquantine e capi di decine. Essi dovranno giudicare il popolo in ogni circostanza;
quando vi sarà una questione importante, la sottoporranno a te, mentre essi giudicheranno ogni affare
minore. Così ti alleggerirai il peso ed essi lo porteranno con te. Se tu fai questa cosa e se Dio te la
comanda, potrai resistere e anche questo popolo arriverà in pace alla sua mèta”. Mosè ascoltò la voce del
suocero e fece quanto gli aveva suggerito. Mosè dunque scelse uomini capaci in tutto Israele e li costituì
alla testa del popolo come capi di migliaia, capi di centinaia, capi di cinquantine e capi di decine. Essi
4
3 questo onere sia velleitario. Alcuni aggiungono che il vescovo potrebbe
designare un suo delegato ed affidare a lui queste pratiche. Ma il delegato del
vescovo c’è già, è il nostro vicario giudiziale, che esercita, anche ora, la giustizia
in nome del vescovo. Quindi non vedo come una persona diversa dal vicario sia
più idonea ad occuparsi delle cause di nullità di matrimonio. C’è già presente
un’organizzazione espressamente deputata e preparata ad affrontare queste cause
e non si capisce perché si debba andare a cercare qualcun altro.
Per quanto riguarda il cosiddetto “processo amministrativo”, a volte si fa
riferimento alle pratiche di dispensa dal matrimonio rato e non consumato, che
sono comunemente considerate di natura amministrativa. Ma la natura
amministrativa di queste pratiche deriva dal fatto che il provvedimento
conclusivo non è una sentenza, cioè un accertamento di quella che è una
situazione di fatto, ma la concessione di una grazia. Il Pontefice non è tenuto a
concedere lo scioglimento del matrimonio, anche nel caso risulti con certezza che
il matrimonio non è stato consumato. C’è una lunga tradizione che, appunto,
consente al Pontefice di intervenire per via di grazia, nell’ambito di un suo potere
discrezionale. Va poi osservato che il procedimento per la dispensa super rato
presenta molte caratteristiche del processo giudiziale, soprattutto nella fase
istruttoria che si svolge presso le diocesi. Ufficialmente non è prevista la
presenza degli avvocati, ma di fatto vi è pur sempre un consulente che segue ed
indirizza le parti. In ogni caso, questo dell’assenza di avvocati è un punto che
lascia molto perplessi e che ha suscitato spesso fondate critiche: non merita certo
di essere preso a modello per il processo di nullità.
Cosa vuol dire allora procedimento amministrativo? Mi pare che
nell’intenzione di chi propone questi procedimenti significhi un procedimento
semplificato, sommario; un procedimento che abbia meno formalità, meno
appesantimenti che possono rallentare o protrarre i tempi del processo. Il
processo amministrativo sarebbe quindi solo un processo più snello, un processo
che, pur mantenendo le procedure giudiziarie essenziali, cerca di utilizzare queste
procedure nel modo migliore, in modo tale che non appesantiscano e non
costituiscano un intralcio all’opera di giustizia. Possiamo quindi sgombrare il
campo sia da un coinvolgimento del vescovo diocesano, che mi sembra oggi
velleitario ed impraticabile, sia da un cosiddetto “procedimento amministrativo”,
che mi sembra un modo per designare un processo breve, ma pur sempre
caratterizzato dalle prerogative proprie del processo giudiziario.
Il fatto di mantenere il processo giudiziario è un’esigenza che non mi pare
possa essere elusa. Vi è una tradizione giuridica secolare che ha sempre visto in
questo processo lo strumento più adatto ad accertare un momento così importante
per i fedeli e per la stessa comunità ecclesiale, quale è quello della validità o
nullità di un matrimonio.
L’imprescindibile importanza delle procedure giudiziarie è stata
chiaramente ribadita dal Papa Giovanni Paolo II. Nel discorso alla Rota Romana
tenuto nel gennaio 2002 egli affermava: “L'attività giudiziaria della Chiesa, che
nella sua specificità è anch'essa attività veramente pastorale, s'ispira al principio
giudicavano il popolo in ogni circostanza: quando avevano affari difficili li sottoponevano a Mosè, ma
giudicavano essi stessi tutti gli affari minori».
4 dell'indissolubilità del matrimonio e tende a garantirne l'effettività nel Popolo di
Dio. In effetti, senza i processi e le sentenze dei tribunali ecclesiastici, la
questione sull'esistenza o meno di un matrimonio indissolubile dei fedeli
verrebbe relegata alla sola coscienza dei medesimi, con il rischio evidente di
soggettivismo, specialmente quando nella società civile vi è una profonda crisi
circa l'istituto del matrimonio”5. In altro ambito, la inderogabile necessità del
processo giudiziario è stata ben sottolineata da un noto processualista italiano,
Giuseppe Chiovenda:“L’esperienza ha dimostrato che le forme del giudizio sono
necessarie, come e a più forte ragione che in ogni altro rapporto sociale. La loro
mancanza porta il disordine, la confusione e l’incertezza”6, aggiungendo, non con
riferimento al processo canonico, ma ad una situazione che ben si adatta ad esso:
“anche una società, nella quale le parti litiganti fossero animate dal medesimo
spirito di verità e di giustizia che deve animare il giudice, non potrebbe farne a
meno”7. Quindi anche in una comunità come quella ecclesiale, nella quale non ci
dovrebbe essere forte e radicale contrapposizione tra le parti, ma un intento ed
uno spirito comune di arrivare all’accertamento della verità, le formalità si
rivelano sempre necessarie.
3) Sulle proposte più innovative e sulla rilevanza della posizione delle
stesse parti
Le proposte più innovative emerse nel dibattito sinodale, alle quali
abbiamo poc’anzi accennato, mi pare contengano la tendenza a basare la
valutazione della validità o nullità del loro matrimonio soprattutto sulla coscienza
e l’interiore convincimento degli stessi coniugi. Anche se non chiaramente
esplicitata, emerge l’idea che le cause di nullità di matrimonio possano essere più
adeguatamente trattate in foro interno, nel foro della coscienza, avendo a che fare
con un evento che riguarda prioritariamente ed essenzialmente le persone dei due
coniugi. Non per nulla, a quanto mi risulta, il Supremo Tribunale della
Penitenzieria Apostolica, il dicastero della Santa Sede che si occupa delle
questioni di foro interno, sta conducendo uno studio per valutare in che modo e a
quali condizioni essa possa occuparsi anche delle questioni di nullità di
matrimonio.
Questa tendenza a privatizzare, per così dire, le questioni matrimoniali mi
pare susciti forti perplessità. Innanzitutto il matrimonio non riguarda una sola
persona, ma sempre ed inevitabilmente ambedue i coniugi. Si può quindi, e non
di rado, verificare che il convincimento di coscienza dell’uno non trovi riscontro
in quello dell’altro. E non sarebbe certo conforme a giustizia privilegiare il
convincimento dell’uno piuttosto che dell’altro. Ma anche in caso di una
concorde valutazione dei due coniugi bisogna non dimenticare che il matrimonio
ha pur sempre una valenza ed una dimensione pubblica e comunitaria. Non per
nulla il matrimonio viene obbligatoriamente celebrato in una forma pubblica. Ed
5
Cfr. Discorso di San Giovanni Paolo II ai prelati uditori, officiali e avvocati del tribunale della Rota romana, in
occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, 28 gennaio 2002, n. 7, in http://w2.vatican.va/content/john-paulii/it/speeches/2002/january/documents/hf_jp-ii_spe_20020128_roman-rota.html
6
7
G. CHIOVENDA, Principi di diritto processuale civile, Napoli, 1965, p. 663. G. CHIOVENDA, Saggi di diritto processuale civile, vol. I, Milano, 1993, p. 355. 5 anche se ci sono oggi proposte critiche verso la forma di celebrazione, nessuno
sostiene un ritorno al regime pretridentino dei matrimoni clandestini, ossia di un
matrimonio che possa essere validamente celebrato senza una qualche pubblicità
o ricognizione comunitaria. Questa inevitabile dimensione pubblica non consente
di confinare la valutazione della validità del matrimonio nell’ambito del solo foro
interno. Senza contare la confusione, l’incertezza sullo stato delle persone e sulla
conseguente possibilità di celebrare un secondo matrimonio, che una tale
valutazione verrebbe a produrre.
La tendenza a riportare l’accertamento sulla validità del matrimonio agli
stessi coniugi mette però in luce un aspetto che merita di essere ripreso e
valorizzato nella trattazione giudiziaria delle cause di nullità così come
attualmente viene condotta: è quello del credito, dell’affidabilità che deve essere
data alla dichiarazione e all’atteggiamento delle parti, ossia dei due protagonisti
della vicenda che viene sottoposta a giudizio.
Va detto che l’atteggiamento verso di questi da parte dei giudici
ecclesiastici è radicalmente cambiato in questi ultimi decenni, evolvendo verso
una sempre più attenta considerazione del modo con cui le parti hanno
concretamente vissuto la loro esperienza di vita coniugale, di ciò che esse hanno
dichiarato e dell’atteggiamento che hanno tenuto nel corso del processo.
Riguardo alle dichiarazioni rese in giudizio, basti ricordare che nel 1936, sotto il
regime del vecchio Codex iuris canonici, l’Istruzione Provida mater affermava
lapidariamente “Depositio iudicialis coniugum non est apta ad probationem
contra valorem matrimonii constituendam” (art. 117) e metteva in guardia contro
la collusionis suspicio che poteva emergere dalle deposizioni dei coniugi,
esortando il giudice a “veritas subtilius perquirenda…etiam si opus fuerit, per
testes ex officio inducendos” (art. 113 § 3).
La legislazione attuale, pur riconfermando il principio che le dichiarazioni
delle stesse parti non costituiscono prova piena, conferisce al giudice un’ampia
possibilità di basare la sua decisione su di esse. Ha così preso l’avvio un
orientamento che tende a conferire sempre maggior rilevanza a tali dichiarazioni.
Come afferma ormai comunemente la giurisprudenza rotale “Confessio iudicialis
semper habenda est magni momenti nec iudex adhibere potest ‘suspicionem’ in
confitentem uti methodum in perpendendis actis, etsi qui loquitur suas
favorabiles rationes profert, quia talis methodus esset contra iustitiam et hominis
dignitatem”8.
Ritengo che questo orientamento debba essere ulteriormente rafforzato e
che, per agevolarne l’adesione da parte di tutti i giudici, sia opportuno eliminare
dalla legislazione il riferimento alla prova piena contenuto nel can. 1536 § 2 (“vis
plenae probationes ipsis tribui nequit”), limitandosi a prescrivere che le
confessioni e le altre dichiarazioni giudiziarie delle parti “vim probandi habent, a
iudice aestimandam una cum ceteris causae adiunctis”.
Questa doverosa valorizzazione della posizione delle parti non significa
che si debba abbandonare ogni forma di attenzione o di prudenza. Specialmente
nei paesi in cui vige un concordato con la Chiesa e in cui la sentenza di nullità
può avere efficacia civile, l’atteggiamento assunto dalle parti potrebbe talvolta
8
Rota Romana, sentenza 26 gennaio 2001 c. Monier, in Dec. seu sent., 2001. 6 essere “adattato”, al punto da alterare od “inquinare” la realtà, in vista del
vantaggio economico che una sentenza di nullità può comportare, una volta
recepita dall’ordinamento civile. Lo stesso papa Francesco ha recentemente
diffidato dal mescolare gli affari economici con la verifica della validità di un
sacramento: “E bisogna essere attenti che le procedure non siano entro la cornice
degli affari….Ma quando sono attaccati l’interesse spirituale all’economico,
questo non è di Dio…Questo punto è importante: staccare le due cose”9.
Proprio in Italia, capita non di rado, nell’esperienza dei tribunali
ecclesiastici, che le cause di nullità abbiano un intento strumentale, vengano cioè
esperite non per ragioni di coscienza, ma per ottenere dei vantaggi sul piano
economico, una volta che la sentenza ecclesiastica sia riconosciuta in sede civile.
Nell’ordinamento italiano vi è infatti una notevole differenza tra il regime
economico susseguente alla separazione e al divorzio, rispetto a quello previsto
in seguito ad una nullità di matrimonio. Il coniuge che è tenuto a versare un
assegno all’altro (per lo più la donna) può così trarre vantaggi, anche notevoli, da
una dichiarazione di nullità. Occorre quindi tener presenti questi risvolti
economici e non prendere a “scatola chiusa” la dichiarazione delle parti.
Ma come linea di tendenza ritengo che la dichiarazione delle parti debba
essere maggiormente valorizzata. E ciò anche a tutto vantaggio del sollecito
svolgimento del processo, perché si verrebbe ad avere un notevole
alleggerimento dell’attività istruttoria. Di fronte ad una dichiarazione concorde
delle parti che effettivamente trova riscontro nella cornice in cui si situa la
vicenda coniugale, è inutile andare a ricercare conferme da parte di un gran
numero di testimoni, con dispendio di tempo e di energie processuali. Non solo,
ma la valorizzazione delle dichiarazioni delle parti consente di venire incontro
alle situazioni in cui è difficile e talora anche impossibile avere riscontri
testimoniali di quanto esse dichiarano. Spesso si deve constatare che le nostre
cause privilegiano i coniugi di carattere aperto ed espansivo, che hanno confidato
con facilità le loro vicende coniugali ad amici e parenti. Viene invece
penalizzata una persona riservata, che ha tenuto dentro di sé le sue cose intime,
magari con grande sofferenza, senza parlarne a parenti od amici: questa persona
non è in grado di presentare alcun testimone e per questo si vede respingere la
richiesta di nullità. Il giudice deve quindi sforzarsi di cogliere la veridicità di
quanto viene affermato dallo stesso coniuge, alla luce del concreto svolgersi della
storia matrimoniale di cui è chiamato ad occuparsi e degli elementi oggettivi di
giudizio che da essa possono essere ricavati. Va così, ad esempio, data grande
importanza alla brevità della convivenza matrimoniale. Se il matrimonio viene
rotto definitivamente dopo pochi mesi, o addirittura giorni, di convivenza è
difficile pensare che quell’impegno per tutta la vita che avrebbe dovuto essere
assunto dai due sposi venga così precocemente tradito e rinnegato. Vuol dire
quindi che c’è stato un qualche vizio originario che ha inciso sulla stessa valida
assunzione di tale impegno.
9
Papa Francesco, Saluto ai partecipanti al corso “super rato” promosso dal Tribunale della Rota Romana, 5 novembre 2014. 7 4) Proposte concrete di revisione: la “obbligatorietà della doppia
sentenza conforme”
Ma vediamo ora più da vicino alcuni punti su cui dovrebbe concentrarsi
l’attenzione per arrivare ad uno snellimento del processo di nullità.
Il primo punto che viene in considerazione, sul quale si discute da molto
tempo e che emerge anche dalle proposte concrete registrate nei già ricordati
documenti del recente Sinodo dei vescovi è il principio della cosiddetta
“obbligatorietà della doppia conforme”. Come tutti sapete, nel diritto canonico
non basta che la nullità del matrimonio venga dichiarata dal tribunale di prima
istanza, ma occorre che essa sia confermata dal tribunale di appello. Tutte le
cause che si concludono con una prima sentenza di nullità devono essere inviate
al tribunale di appello per la conferma definitiva. Quindi tutte le sentenze di
nullità che il Tribunale di Perugia emette devono necessariamente passare al
tribunale d’appello, il Tribunale Regionale Etrusco di Firenze: esse divengono
esecutive e produttive di effetti sullo stato personale delle parti soltanto quando
vengono confermate o ratificate da quest’ultimo tribunale. È una regola che fu
stabilita da papa Benedetto XIV verso la metà del Settecento, quindi non è una
regola che abbia alle spalle un’antica tradizione della Chiesa. Era un momento di
particolare difficoltà, arrivavano al Papa notizie che alcuni tribunali polacchi
dichiaravano con grande superficialità la nullità del matrimonio, tanto che alcune
persone l’avevano ottenuta ben quattro o addirittura cinque volte, provocando
scandalo nei fedeli. Il Papa volle così risolvere il problema, prescrisse che nei
processi intervenisse un “defensor matrimonii” con l’obbligo di appellare al
tribunale superiore qualunque sentenza che avesse dichiarato la nullità del
matrimonio. Questa regola è poi rimasta nella legislazione canonica e anche
l’ultimo Codice stabilisce che tutte le sentenze che per la prima volta dichiarano
la nullità del matrimonio, per essere esecutive e produrre gli effetti giuridici,
devono avere la conferma in appello.
Si tratta di un principio che è stato messo in discussione già da tempo. Mi
piace ricordare che la nostra Associazione Canonistica Italiana una decina di anni
fa celebrò un Congresso proprio su questo tema: “La doppia conforme nel
processo matrimoniale. Problemi e prospettive”10. Il Congresso si concluse con
posizioni contrastanti, ma ebbe il merito di mettere in luce una serie di ragioni,
che non potevano più giustificare il mantenimento di tale principio. Si tratta di
ragioni storiche, istituzionali, di economia processuale e di effettiva utilità che
questa regola può avere, tenuto conto del concreto funzionamento dei tribunali
della Chiesa. Non è possibile illustrare in questa sede tutte queste ragioni11. Basti
qui accennare alla anomalia di una regola che non consente al vescovo
diocesano, quale supremo pastore e giudice della porzione del Popolo di Dio
affidatagli, di dichiarare la nullità del matrimonio di un proprio fedele. La
dichiarazione in tal senso del suo tribunale, per essere produttiva di effetti
giuridici, necessita infatti della conferma da parte del tribunale d’appello. Proprio
10
Gli atti sono raccolti nel volume dallo stesso titolo, edito dalla Libreria Editrice Vaticana nel 2003. Mi permetto rimandare al mio saggio conclusivo “Che futuro per la doppia sentenza conforme ?” inserito nel volume ora citato. 11
8 oggi che si è avuta una forte rivalutazione della figura e delle prerogative del
vescovo diocesano, è difficile capire perché egli non possa prendere un
provvedimento, sia pure attraverso il suo tribunale, che riguarda così da vicino la
vita dei suoi fedeli. Merita poi di essere considerato un dato statistico (mi
riferisco alla situazione italiana, ma non credo che in altri paesi sia diverso): la
grandissima maggioranza (sempre oltre il 90 %) delle sentenze di nullità di
matrimonio vengono confermate dal tribunale d’appello. Questo obbligo di
revisione si rivela quindi per lo più superfluo e, in ogni caso, sproporzionato
rispetto all’appesantimento che esso produce sul processo.
Va però precisato che l’abolizione di questo principio della doppia
conforme non vuol dire che non si possa appellare verso le sentenze di prima
istanza. La seconda od ulteriore istanza non sarebbe più obbligatoria per avere
una sentenza di nullità pienamente esecutiva. Ma come tutte le sentenze, anche
quelle nelle cause matrimoniali rimarrebbero soggette all’appello del coniuge che
si ritenga gravato da esse o del difensore del vincolo, come parte in causa, se si
tratta di sentenza affermativa.
Ma se nessuno appella, perché nessuno ritiene che vi sia motivo di
lamentarsi della sentenza, questa diverrebbe immediatamente definitiva ed
esecutiva, consentendo alle parti di ricuperare lo stato libero e,
conseguentemente, di celebrare un nuovo matrimonio. Contrariamente a quanto
avveniva ai tempi del citato Congresso, quando c’era una forte resistenza, sia da
parte degli operatori, sia da parte di molti studiosi sull’abolizione della doppia
conforma, oggi mi pare che l’opinione di gran lunga più condivisa sia quella
favorevole a tale, anche da me auspicata, riforma.
Del resto, va ricordato che qualcosa si è già mosso in questa direzione. In
una serie di Facoltà speciali accordate da Papa Benedetto XVI al Decano della
Rota Romana l’11 febbraio 2013 si prevede espressamente che “Le sentenze
rotali che dichiarano la nullità del matrimonio siano esecutive, senza che occorra
una seconda decisione conforme”. La disposizione riguarda soltanto la Rota ed è
da ricollegare anche alla particolare natura di questo tribunale apostolico: ma non
si può negare che essa segni una prima importante deroga al principio di cui
stiamo parlando, tale da aprire la via ad una più generale riforma da applicarsi da
tutti i tribunali della Chiesa12.
5) La collegialità e il giudice laico
Oggi le cause di nullità matrimoniali, per disposizione legislativa (can.
1425 § 1, n. 1), devono essere trattate in maniera collegiale, devono essere decise
da un collegio di tre giudici. In questo collegio può sedere un laico, come giudice
a pieno titolo, ma con la limitazione che soltanto un laico può far parte del
collegio giudicante. La maggioranza del collegio deve quindi essere clericale.
Ora apriamo una breve parentesi sul giudice laico. La disposizione del
12
Per il testo delle citate Facoltà speciali e per un primo commento ad esse rimando a P. MONETA, Il rafforzamento della Rota Romana, in Recte sapere. Studi in onore di Giuseppe Dalla Torre, Giappichelli, Torino, 2014, vol. I,p. 485 ss. 9 Codice che limita la presenza dei laici ad un solo membro del collegio (can. 1421
§ 2) deriva da un principio più generale, che è quello stabilito dal can. 129, in cui
si dice: «§ 1. Sono abili alla potestà di governo, che propriamente è nella Chiesa
per istituzione divina e viene denominata anche potestà di giurisdizione, coloro
che sono insigniti dell’ordine sacro, a norma delle disposizioni del diritto. § 2.
Nell’esercizio della medesima potestà, i fedeli laici possono cooperare a norma
del diritto». Cosa vuol significare questo canone ? Vuol dire che la potestà di
governo, intesa in senso ampio, quella che veniva tradizionalmente denominata
potestà di giurisdizione, cioè la potestà che ricomprende tutte le facoltà
necessarie per governare il popolo di Dio, spetta ai chierici. Nell’ambito della
potestas iurisdictionis, nel senso ampio del termine, viene collocata anche la
potestà giudiziaria, intesa come potestà di giudicare, di rendere giustizia nella
comunità dei fedeli. Anche la potestà giudiziaria è quindi riservata a coloro che
sono insigniti dell’ordine sacro. Il canone citato aggiunge però che i laici possono
cooperare all’esercizio di tale potestà, pur senza assumere in proprio, come
originari titolari, tale esercizio. Si è così “escogitato” (la disposizione risale a
Paolo VI, con il motu proprio Causas matrimoniales del 1971) un compromesso.
I laici non possono essere giudici da soli e, nell’ambito del collegio, devono
sempre essere in minoranza, in modo che la sentenza sia sempre riconducibile ad
una componente clericale presente nel collegio ed il laico assuma la veste di
cooperatore.
Ma in realtà questa costruzione non regge ad un attento esame. La
sentenza è un atto unitario, attribuibile a tutto il collegio. Anche il giudice
rimasto in minoranza contribuisce pur sempre alla decisione finale, anche se in
modo dialettico. Il laico viene quindi a svolgere direttamente, sia pure insieme ad
altri, la potestà giudiziaria. Per giustificare questo coinvolgimento dei laici nella
potestas iurisdictionis occorre quindi fare riferimento ad un principio diverso.
Quello che vede nella funzione giudiziaria un’attività che non è propriamente
ministeriale, ma di natura tecnica ed applicativa. Il giudice si limita infatti ad
accertare una certa situazione di fatto e a dichiararla con efficacia autoritativa,
senza però incidere in modo innovativo sulla situazione personale del fedele
(come si verifica, ad esempio, con la concessione di una dispensa o la nomina ad
un ufficio ecclesiastico). Non sembra quindi che per esercitare direttamente e
pienamente questo tipo di potestà sia necessario l’ordine sacro. Se si aderisce a
questo principio (che ha trovato autorevoli sostenitori nella dottrina canonistica,
basti citare Eugenio Corecco e Piero Antonio Bonnet) il laico può esercitare la
funzione giudiziaria senza alcuna limitazione, alla stessa stregua dei chierici: sia
come giudice unico, sia nell’ambito di un collegio interamente o a maggioranza
laicale. In tal modo si avrebbe una indubbia facilitazione nel reperimento di
giudici idonei ai quali affidare la trattazione delle cause matrimoniali.
6) Il giudice monocratico e l’assessore
10 Bisogna considerare che in molti paesi vi è una situazione nella quale
risulta molto difficile o addirittura impossibile costituire un collegio di giudici
per la mancanza di personale preparato a tale funzione. Proprio in considerazione
di ciò è previsto che la Conferenza episcopale autorizzi il vescovo a far trattare
queste cause di fronte ad un unico giudice chierico (can. 1425 §4). Ci si domanda
però, da parte di molti, se non sia opportuno, sempre al fine di snellire i processi,
generalizzare questa possibilità di affidare le cause matrimoniali ad un giudice
unico.
Ho spesso parlato con gli stessi giudici di questa proposta e devo dire che
ho incontrato una generalizzata resistenza nei confronti di essa. Quasi tutti
ritengono che il collegio sia una garanzia di maggiore obiettività e di maggiore
tranquillità di coscienza. Giudicare da soli può comportare un qualche
travisamento, un’interpretazione errata di alcuni fatti, un inconsapevole
condizionamento interiore. Il confronto con altri due giudici può quindi rivelarsi
di grande importanza per giungere ad una soluzione il più possibile conforme a
verità. Mi pare quindi di poter concludere su questo punto che si può facilitare la
soluzione del giudice unico (magari lasciando la decisione allo stesso vescovo
moderatore del tribunale, senza la previa autorizzazione della Conferenza
episcopale), ma che di norma e ove possibile sia opportuno continuare a riservare
le cause di nullità di matrimonio ad un collegio giudicante.
Alcune proposte vorrebbero valorizzare la figura dell’assessore, già
prevista dal Codice in supporto del giudice unico (“Unicus iudex in quolibet
iudicio duos assessores, clericos vel laicos probatae vitae, sibi consulentes
asciscere potest” – can. 1424, v. anche can. 1425 § 4). Si tratterebbe di un
consulente con il quale il giudice può confrontarsi e discutere della causa, senza
però alcuna partecipazione al giudizio, che resta affidato al solo giudice.
Potrebbe trattarsi anche di un consulente con una preparazione non
specificamente giuridica, come ad esempio uno psicologo o psichiatra che può
aiutare il giudice a comprendere meglio la documentazione medica e le relazioni
peritali prodotte nelle cause di incapacità psichica. Naturalmente l’assessore
potrebbe essere un laico, non si richiederebbero per lui titoli specifici e potrebbe
quindi essere più facilmente reperito anche in quei paesi dove non è possibile
reclutare dei giudici. Si tratta di una proposta in certo modo di compromesso tra
quella favorevole a mantenere la collegialità e quella che propende per il giudice
unico: ma avrebbe pur sempre il vantaggio di consentire al giudice di uscire dal
suo “isolamento” e di confrontarsi con altre persone prima di assumere la sua
decisione.
7) Un processo sommario
Merita ora prendere in considerazione un altro punto interessante, al quale
si è fatto cenno anche da parte di qualche vescovo nel corso del Sinodo. Coloro
che hanno esperienza nei processi matrimoniali avranno certamente avvertito che
11 vi sono non poche cause in cui la nullità appare, già a prima vista, evidente e
facilmente dimostrabile in giudizio. Le parti sono concordi e hanno magari
presentato un libello congiunto (cosa questa che va incoraggiata, non solo per
maggior chiarezza sull’atteggiamento tenuto dalle parti, ma anche perché
consente un non trascurabile risparmio negli avvisi e nelle notifiche previste per
la parte convenuta, nei termini che ad essa occorre riservare13); vi sono
documenti significativi e testi immediatamente disponibili; vi sono certificazioni
mediche o relazioni peritali che fanno subito comprendere che si tratta di persone
gravemente perturbate dal punto di vista psichico. Seguire per queste cause il
normale iter processuale, come è richiesto dalla legge, costituisce indubbiamente
un inutile appesantimento, un dispendio di mezzi ed energie processuali fini a se
stessi. Allora, ci si chiede, perché non prevedere in questi casi una sorta di
“corsia preferenziale”, prevedere cioè un processo più breve, in qualche misura
sommario, alleggerito di formalità che appaiono superflue ?
Come dovrebbe svolgersi, almeno nelle sue linee essenziali, questo tipo di
processo? Si potrebbe prendere spunto da un modello di processo già previsto dal
Codice canonico accanto al processo contenzioso ordinario, il processo
contenzioso orale (can. 1656 – 1670). Esso, per espressa disposizione legislativa
(can. 1690), non è attualmente utilizzabile per le cause di nullità di matrimonio,
ma forse merita di essere ripreso in considerazione, apportandovi eventualmente
qualche opportuno adattamento a questo tipo di cause.
Il processo orale è caratterizzato da una massima concentrazione delle
operazioni processuali: in un’unica udienza dinnanzi ad un giudice unico devono
essere interrogate le parti e sentiti i testimoni, con una sintetica verbalizzazione
delle loro deposizioni. Espletata l’istruttoria segue immediatamente la
discussione in forma orale ad opera degli avvocati (che naturalmente
assisterebbero a tutti gli interrogatori) e del difensore del vincolo. Dopodiché il
giudice si ritira da solo, eventualmente con la presenza degli assessori
precedentemente designati, per decidere la causa. Presa la decisione, dà
immediata lettura del dispositivo alle parti, provvedendo poi, entro un termine
ristretto, al deposito della sentenza. Sarebbe opportuno anche prevedere la
possibilità di un passaggio al rito ordinario nei casi in cui la causa si rivelasse
particolarmente complessa o emergessero forti divergenze nelle prospettazioni
delle parti in causa.
Certamente c’è il pericolo, con questo tipo di processo, di arrivare in
modo troppo affrettato e superficiale ad una decisione così importante come
quella relativa alla nullità del matrimonio. Ma va tenuto presente che non si
tratterebbe di un processo applicabile a qualunque caso, ma soltanto a quei casi
più semplici, nei quali la nullità emerga con chiarezza e risulti di facile
accertamento. Ma pur con questa limitazione (ma è difficile prevedere quante
cause potranno essere instradate nella procedura semplificata), vi sarebbe un
13
Su questi aspetti rimandiamo al nostro saggio La procedura consensuale nelle cause di nullità del matrimonio, in Dir. eccl., 2005, p. 154 ss. 12 indubbio beneficio per la durata dei processi e per l’aspettativa delle parti,
specialmente per quelle che sono intimamente e fondatamente convinte di aver
celebrato un matrimonio nullo e, proprio per questo, sono più insofferenti delle
formalità processuali e delle lungaggine che esse possono comportare.
8) Osservazioni conclusive
Volendo ora concludere con un riflessione più generale, va chiaramente
affermato che il problema della lunghezza dei processi, come è stato tante volte
messo in evidenza da operatori e studiosi di questo ramo del diritto, interessa due
componenti fondamentali: da un lato il personale e le strutture dedicati
all’amministrazione della giustizia, dall’altro le procedure stabilite per questa
attività14. E’ un dato però di esperienza che procedure inadeguate o mal
congeniate, se affidate ad un personale valido, possono tutto sommato
funzionare: un buon giudice, sorretto da una efficiente organizzazione
giudiziaria, riesce infatti a rendere accettabili anche procedure pesanti e
farraginose. Mentre un giudice impreparato e un apparato giudiziario
disorganizzato ottengono cattivi risultati anche con una regolamentazione
processuale ben congegnata.
E’ quindi certamente primario e prioritario il problema del personale e
dell’organizzazione giudiziaria. Ma agire in quest’ambito è difficile,
specialmente di fronte a situazioni, largamente presenti in molte zone della
Chiesa, di insuperabile carenza di possibili operatori giudiziari. E’ quindi ancor
più necessario cercare di intervenire sulle procedure e mi auguro che le
riflessioni che oggi abbiamo fatto possano contribuire a migliorarle e a renderle
meglio rispondenti alle esigenze dei fedeli che si rivolgono ai tribunali
ecclesiastici. Certamente, deve pur sempre esserci la chiara consapevolezza che
un conto è preparare una riforma a tavolino e un conto è poi calarla nel vivo
dell’esperienza giudiziaria, applicandola concretamente. Sarà quindi l’operato dei
giudici, e con essi di tutti coloro che agiscono nell’ambito del processo, che
risulterà in ultima istanza decisivo per il successo di una qualunque riforma.
Possiamo ora concludere con un pensiero del nostro Papa Francesco tratto
dalla sua Esortazione apostolica Evangelii gaudium (n.26): «La Chiesa
peregrinante verso la meta è chiamata da Cristo a questa continua riforma, di cui
essa, in quanto istituzione umana e terrena, ha sempre bisogno. Ci sono strutture
ecclesiali che possono arrivare a condizionare un dinamismo evangelizzatore;
ugualmente, le buone strutture servono quando c’è una vita che le anima, le
sostiene e le giudica. Senza vita nuova e autentico spirito evangelico, senza
14
Mi piace, a questo proposito, ricordare un fondamentale saggio del grande processualista dell’Università Gregoriana, il p. Ignazio Gordon, De nimia processuum matrimonialium duratione, in Periodica, 1969, p. 497 ss. 13 “fedeltà della Chiesa alla propria vocazione”, qualsiasi nuova struttura si
corrompe in poco tempo»15.
15
Papa
Francesco,
Es.
ap.
Evangelii
gaudium,
http://w2.vatican.va/content/francesco/it/apost_exhortations/documents/papa-francesco_esortazioneap_20131124_evangelii-gaudium.html
14 in
Saluto di S. Em.za Rev.ma Sig. Card. Gualtiero BASSETTI
Arcivescovo Metropolita di Perugia - Città della Pieve
Presidente della Conferenza Episcopale Umbra
Moderatore del Tribunale Ecclesiastico Regionale Umbro
Saluto i carissimi fratelli nell’episcopato il vescovo monsignor Sorrentino e il
vescovo di Terni, Padre Giuseppe Piemontese cui facciamo gli auguri perché
partecipa per la prima volta all’inaugurazione dell’anno giudiziario del nostro
tribunale. Un saluto anche ai sacerdoti qui presenti, i religiosi, le Autorità
civili e militari; durante la Santa Messa era presente anche il Sindaco di
Perugia, ma doveva assentarsi per l’inaugurazione dell’anno giudiziario al TAR
di Perugia. Voglio fare un saluto particolare al rappresentante della Corte
d’Appello, e anche al rappresentante della Procura della Repubblica che sono
qui presenti. Ci sentiamo veramente onorati di avere qui con noi le massime
autorità del nostro Tribunale civile.
Magistrati e avvocati, esimio professore e avvocato rotale Paolo Moneta
membro della Commissione speciale di studio per la riforma del processo
matrimoniale canonico.
Illustri operatori giudiziari del nostro tribunale, gentili signore e signori.
Personalmente non intendo fare una relazione sull’attività del tribunale, né
sarei in grado di farlo, in quanto sono un “cattivo” Moderatore. Questa
naturalmente sarà fatta dal nostro vicario giudiziario, padre Cristoforo. Ma
vorrei soffermarmi su alcuni principi pastorali riguardanti la vita matrimoniale
che sono il valore irrinunciabile sia per la Chiesa, che per la società civile.
Viviamo un tempo speciale, perché dal 5-19 ottobre 2014 si è celebrata la
prima parte del Sinodo straordinario sulla famiglia, con il tema: «Sfide
pastorali della famiglia nel contesto dell’evangelizzazione» dove la Chiesa ha
“intercettato” e affrontato i cambiamenti che interessano la famiglia nella
società contemporanea. La famiglia vista e tenuta non come un ideale
astratto, ma reale con tutta la complessità dei suoi problemi e, grazie a Dio,
delle sue risorse. Cito le parole Pontificium Consilium pro Familia che coglie
con una singolare sintesi l’essenziale del Sinodo sulla famiglia: «Un percorso
originale – quello del Sinodo straordinario – che vede coinvolte e interpellate
tutte le componenti ecclesiali e non solo. Nella scelta della famiglia, con le
sue sfide inedite e le grandi risorse, la Chiesa respira a pieni polmoni, per se
stessa e per tutta l’umanità. (È bella che la Chiesa e la famiglia respirino a
pieni polmoni per l’umanità).
Il vangelo sulla famiglia è la buona novella dell’amore divino che va
proclamata a quanti vivono questa fondamentale esperienza umana
personale, di coppia e di comunione aperta al dono dei figli, che è la
comunità familiare. Il magistero della Chiesa sul matrimonio va presentato e
offerto in modo comunicativo ed efficace, perché raggiunga i cuori e li
trasformi secondo la volontà di Dio manifestata in Cristo Gesù”[1].
Recentemente (05/11/2014) Papa Francesco ha richiamato la necessità della
Giustizia nella Chiesa in tempi “ragionevoli”. Egli ha detto: la Chiesa non
faccia aspettare anni per sapere se un matrimonio è nullo o valido. «Quanta
gente – ha esclamato il Papa – aspetta anni una sentenza”. La linea da seguire
è quella della giustizia, ma anche della carità, “perché c’è tanta gente che ha
bisogno di una parola della Chiesa sulla sua situazione matrimoniale, per il sì
e per il no, ma che sia giusta. Ma, alcune procedure sono tanto lunghe o
tanto pesanti” e la gente alla fine ci rinuncia… (Questi casi sono capitati
anche a me, ai vescovi).
La madre Chiesa deve fare giustizia e dire: “Sì, è vero – ancora il Papa –, il
tuo matrimonio è nullo. No, il tuo matrimonio è valido”. Ma giustizia è dirlo.
Così, loro possono andare avanti senza questo dubbio, questo buio
nell’anima…(È infatti un invito pressante per i nostri tribunali)
“E bisogna essere anche molto attenti che le procedure non siano entro la
cornice degli affari –ancora il Papa –: e non parlo di cose strane. Ci sono stati
anche scandali pubblici. Io ho dovuto congedare dal Tribunale una persona,
tempo fa (quando era ancora vescovo di Buenos Aires), che diceva: «10.000
dollari e ti faccio i due, il civile e l’ecclesiastico». Per favore, questo no!
Sempre nel Sinodo alcune proposte hanno parlato di gratuità, si deve
vedere... Ma quando sono attaccati l’interesse spirituale all’economico,
questo non è di Dio!”.
“La madre Chiesa ha tanta generosità per poter fare giustizia gratuitamente,
come gratuitamente siamo stati giustificati da Gesù Cristo” (fin qui il
Papa). Per questo è importante separare l’interesse spirituale da quello
economico. Infine, il Papa ha esortato i presenti ad andare avanti e cercare
sempre la salvezza delle anime»[2].
Bisogna dunque andare avanti, sulla strada dello snellimento delle procedure,
perché “è la madre Chiesa che va e cerca i suoi figli per fare giustizia”. Per
risolvere l’ingente problema della durata del processo di nullità matrimoniale
canonico nel settembre scorso, Papa Francesco ha istituito una Commissione
speciale di studio per la riforma del processo matrimoniale canonico, con
l’obiettivo di semplificarne la procedura, rendendola più snella e
salvaguardando il principio di indissolubilità del matrimonio. Naturalmente di
questo ci parlerà il nostro Illustre Ospite, prof. Moneta.
A me, come ai Pastori delle chiese particolari, sta molto a cuore la famiglia, il
suo bene e il suo sviluppo. Abbiamo nella Diocesi e nella Regione molte
iniziative a sostegno della famiglia e della pastorale familiare. Vi cito una per
tutte: “Casa della tenerezza” qui in Perugia, ma altri Vescovi è chiaro
potrebbero citarne per le loro diocesi.
Noi cerchiamo di incrementare le équipe per i corsi prematrimoniali che
funzionano abbastanza bene. Qui ho trovato, direi, più serietà che non p.e.
alle diocesi di mia provenienza, io vengo dalla Toscana, perché veramente si
fanno tanti incontri e anche qualificati. Il Sinodo di Perugia ha chiesto almeno
dodici incontri e non sono pochi! Se noi valutiamo un pochino quello che si fa
nelle altre diocesi. Vogliamo continuare perché anche questa è serietà. Le
équipe per i corsi prematrimoniali che funzionano diffondono il “profumo” di
santità e la bellezza della famiglia. Ci stiamo impegnando
nell’accompagnamento delle giovani e meno giovani coppie. La “Festa della
Famiglia” che da diversi anni ha preso corpo è oramai un appuntamento fisso
al quale partecipano tantissime coppie di sposi. Quest’anno abbiamo fatto,
secondo me, una bella iniziativa di farla insieme ad Assisi per tutte le diocesi.
Sono però consapevole dei drammi di tante famiglie, per la difficoltà della
crisi economica e morale, che non accenna alcuna tregua, per l’egoismo
umano e la durezza del cuore, per le preoccupanti notizie di femminicidio che
non risparmiano nessuna regione, e potrei continuare la litania …, su ciò non
voglio insistere stamani. Grazie a Dio, ci sono anche segni positivi, piccole luci
che non dobbiamo “spengere”, anzi incrementare e tutelare perché sono per
noi segni che il Signore non si stanca dell’umanità e alimentano la speranza.
Perdonatemi questa breve condivisione, ma come Pastore del Gregge di Cristo
sentivo anche questo dovere di comunicare quello che mi passava nell’anima.
L’Inaugurazione dell’Anno Giudiziario del nostro Tribunale, non è e non deve
passare come atto dovuto, come atto rituale, ma deve servire per capire e
comprendere il reale “stato di salute” delle nostre famiglie, le problematiche
che vivono, le difficoltà che incontrano, per vivere e testimoniare veramente
nell’amore nuziale tra l’uomo e la donna quel «mistero grande», che rende
presente nel mondo l’amore di Cristo e della Chiesa e il sacramento del
matrimonio. (cfr. Ef 5,31-32).
[1] Cfr.
Pontificium
Consilium
pro
Familia,
inhttp://www.familiam.org/famiglia_ita/chiesa/00005682_Sinodo_sulla_fami
glia.html.
[2] Cfr. http://www.news.va/it/news/papa-chiesa-non-faccia-aspettare-anniper-sapere-s
Relazione del Vicario Giudiziale TERU
P. Cristoforo Pawlik OFM Cap.
sull’Attività del Tribunale Ecclesiastico Regionale Umbro
Eminenza Reverendissima Signor Cardinale Gualtiero BASSETTI
Eccellentissimi Arcivescovi e Vescovi
Onorevoli Autorità Civili
Signori Magistrati e Avvocati
Illustri Operatori Giudiziari del Tribunale, Cari Signore e Signori
Rivolgo un cordiale saluto e ringraziamento a Voi tutti intervenuti che,
accogliendo il nostro invito, onorate con la vostra presenza la celebrazione
dell’Inaugurazione dell’Anno Giudiziario 2015 del nostro Tribunale.
È per tutti noi operatori del Tribunale Ecclesiastico Regionale Umbro un
momento importante di comunione con gli Eccellentissimi Arcivescovi e
Vescovi delle Chiese che sono in Umbria dai quali direttamente dipendiamo
con potestà di governo ordinaria vicaria in relazione al ministero, nel settore
giudiziario matrimoniale. Vedervi oggi così numerosi e attenti al ruolo che il
TERU svolge nell’ambito della pastorale matrimoniale e familiare è motivo di
gioia ed incoraggiamento.
Iniziamo un nuovo anno di servizio, un impegno mai venuto meno per la
ricerca della verità storica e salvifica dei coniugi. Si tratta di un impegno
fedele circa un servizio ecclesiale, lontano dal pericolo di un ritualismo vuoto
nei contenuti. Vedo qui l’intera Chiesa in Umbria con i Pastori, i
rappresentanti dei chierici e fedeli laici: tutti in ascolto delle problematiche
matrimoniali che si sono affrontate nel nostro Tribunale, per un migliore
coordinamento e sinergia tra i diversi settori della pastorale familiare.
Consentitemi di ringraziare gli Eccellentissimi Arcivescovi e Vescovi della
Regione Ecclesiastica Umbra. Grazie per la Vostra presenza, abbiamo bisogno
del Vostro sostegno, Vi prego, prestate attenzione e interessamento al nostro
lavoro, alle necessità del nostro Tribunale, così che possiamo continuare a
fornire un sollecito e puntuale servizio.
Particolare gratitudine a Sua Em.za Rev.ma Sig. Card. Gualtiero BASSETTI,
Moderatore del TERU,che accompagna con premura la nostra attività, grato
per l’attento, sollecito, disponibile impegno nei confronti del nostro
Tribunale, che segue sempre con particolare attenzione e cura.
Un Grazie particolare a Sua Ecc. Rev.ma Mons. Giuseppe PIEMONTESE,
Vescovo di Terni-Narni-Amelia, che ha presieduto la Solenne Concelebrazione
Eucaristica. Grazie Eccellenza, per il pensiero di meditazione di profonda
intensità spirituale e pratica, improntato sull'amore che ci ha rivolto e che,
per noi operatori della giustizia ecclesiastica, rappresenta il punto di partenza
e di arrivo della nostra attività. L'esempio di San Valentino, patrono degli
innamorati e la testimonianza di santa Scolastica, di cui celebriamo la
memoria, ci è riferita dai “Dialoghi” di san Gregorio Magno. La "Vergine
Saggia", antepose la carità e la pura contemplazione alle semplici regole e
istituzioni umane, come manifestò nell’ultimo colloquio con il suo fratello s.
Benedetto, quando con la forza della preghiera “poté di più, perché amò di
più” (Mess. Rom).
Un grazie caloroso rivolgo all’Insigne Professore e Avvocato Rotale Paolo
MONETA, la cui persona non necessita di presentazione. La sua fama e la sua
competenza è comunemente riconosciuta e apprezzata, sia per la sua attività
didattica, molto chiara, lineare e svolta con passione e competenza, come
pure, per le numerose pubblicazioni di alto livello contenutistico, sia in Diritto
canonico, che in Diritto ecclesiastico statale.
Il professor Moneta attualmente presiede l’Associazione Canonistica Italiana
ed è membro del Direttivo della Consociatio internationalis studio iuris
canonici promovendo[1]. Dal 21/09/2014 ilprof. MONETA è Membro
della Commissione speciale di studio per la riforma del processo
matrimoniale canonico, creata ad hoc da Papa Francesco, con l’obiettivo di
“semplificarne la procedura, rendendola più snella e salvaguardando il
principio di indissolubilità del matrimonio”[2].
Altri ringraziamenti
Con viva cordialità porgo il mio benvenuto a Mons. Roberto Malpelo, Vicario
Giudiziale del Tribunale Ecclesiastico Regionale Etrusco - per noi il Tribunale
ordinario d’appello.
Un saluto a Don Paolo Scoponi nuovo Vicario Giudiziale del Tribunale
Ecclesiastico Regionale Piceno, e a Don Mario Colabianchi, suo predecessore.
È apprezzabile l’ottima e serena collaborazione nell’esercizio delle rispettive
attività giudiziali che vige tra i nostri Tribunali, con le iniziative per un
migliore coordinamento come, l’incontro di formazione che abbiamo avuto il
26 novembre u.s., tenuto dal Rev.mo Avv. Civile e Rotale Graziano Mioli, sul
tema: Problematiche e prospettive in materia di nullità matrimoniale e
delibazione delle sentenze ecclesiastiche dopo pronunce “additive” delle
Sezioni Unite della Corte di Cassazione”, molto ben organizzato. Spero che la
collaborazione dei nostri tre Tribunali Ecclesiastici, possa continuare,
crescere e rafforzarsi per il buono e fruttuoso andamento delle nostre
attività.
Mi sia permesso di ricordare che il 09/08/2014 è venuto a mancare Mons.
Remo BISTONI e il 10/10/2014 Mons. Sergio SUSI, Giudici di QNT, entrambi
uomini di grande fede, umanità e sensibilità verso le persone provate, sempre
guidati dal grande senso pastorale e dall’Amore per il prossimo. Entrambi
hanno speso le loro energie di mente e di volontà per il Tribunale e per
la salus animarum, a loro va il nostro pensiero, ringraziamento e la preghiera.
Desidero ringraziare i miei diretti collaboratori: il Vicario Giudiziale
aggiunto, Mons. Vittorio Peri, gli 11 Giudici, 3 siamo istruttori, da poco ci
aiuta 1 Uditore, il Cancelliere, gli 11 Difensori del Vincolo, il Promotore di
Giustizia, i 2 Patroni Stabili, i 12 Periti, i 5 Notai e tutti coloro che
prestano servizio nell’ambito del Tribunale.
Ringrazio ogni giorno il Signore per avermi affiancato collaboratori mossi da
vero zelo pastorale, consapevoli che il servizio che rendono nello stretto
ambito del diritto e della giustizia ha come valenza primaria e finale il bene
delle anime e non deve essere “freddo”, formale, distaccato, indifferente...
Un pensiero speciale va al carissimo Mons. Rino Valigi, oggi 95-enne, una vera
“istituzione” del nostro tribunale, da sempre vigile, solerte, attento
moderatore della Cancelleria. Un ringraziamento particolare alla sig.ra Elena
Corneli che dal 2005 ha ricoperto l’incarico di pro-cancelliere e che dal
giugno u.s. in sede di ridefinizione dell’Organico per il quinquennio 2014-2019
è stata nominata Cancelliere. Grazie per il suo prezioso contributo alla
gestione e al buon funzionamento della Cancelleria.
A tutti la gratitudine e l’apprezzamento per l’impegno, l’operosità, la
diligenza e il senso di responsabilità nello svolgere la propria attività. Grazie
di cuore!
RELAZIONE SULL’ATTIVITÀ DEL TERU NELL’ANNO 2014
È mio gradito compito presentare la Relazione dell’attività che il nostro
Tribunale ha svolto durante l’anno 2014. Dall’esame dei dati che verranno
riferiti ci si renderà conto della situazione della amministrazione della
giustizia per quanto riguarda le dichiarazioni di nullità di matrimonio nella
nostra regione. Ritengo che sia una preziosa occasione, specialmente per gli
operatori pastorali, di riflessione in ordine alla situazione matrimoniale e sulla
famiglia. Come premessa indispensabile tengo a precisare, che aldilà dei
“numeri” e dei dati statistici, vi sono le persone con le loro situazioni
dolorose, le loro sofferenze, come con forza ribadito da Papa Francesco:
«Dietro ogni pratica, ogni posizione, ogni causa, ci sono persone che
attendono giustizia»[3], purtroppo, l’attenzione umana e dei mass-media
spesso e volentieri se ne dimentica.
L’attività del Tribunale Ecclesiastico Regionale Umbro nell’anno 2014:
•
•
•
Le
cause
introdotte
nell’anno 2013 sono
state
= 104 e
nel 2014 =103 (1 di meno).
Le cause pendenti alla fine dell’anno 2014 risultano =127 contro le
=128 del 2013 (1 di meno).
Nell’anno 2014 abbiamo
definito
=104 cause
contro
le
=79 del 2013 (quindi ben 25 di più).
Nel corso dell’anno
matrimoniali.
Cause espletate
2014
sono
state
trattate 231 cause
di
nullità
= 104
a)
chiuse con sentenza affermativa
= 92
b)
chiuse con sentenza negativa
=7
c)
rinunciate
=3
d)
perente
=2
Cause pendenti al 31.12.2014 risultavano
= 127, di cui:
11 = prossime alla sentenza, 9 = in fase dibattimentale;
50 = giacenti presso i Periti; 56 = in fase istruttoria; 1 = sospesa
Alle cause trattare si aggiunge n. 1 Super Rato
Ora, vogliamo brevemente soffermarci sui capi di nullità accusati, con i
rispettivi pronunciamenti:
CAPI DI NULLITÀ
Ex can.
Aff.
Neg.
Esclusione indissolubilità
1101 § 2
6
6
Esclusione della prole
1101 § 2
9
4
Esclusione della fedeltà
1101 § 2
-
1
Incapacità
1095 n. 2
33
2
Incapacità
1095 n. 3
1
1
Incapacità
1095 nn. 2 e 3
63
8
1103
-
1
1102 § 1
1
-
Timore
Condizione apposta
In questo prospetto si riscontra la tendenza emersa negli anni precedenti,
vale a dire, la forte incidenza dell’incapacità consensuale dei coniugi,
termometro della realtà sociale dei nostri tempi.
Accolgo volentieri l’invito del Papa circa il recupero del can. 1099, auspicato
in occasione dell’Inaugurazione dell’Anno Giudiziario della Rota Romana c.a.,
ovvero l’errore determinante la volontà, dovuto alla mancanza della fede dei
nubenti, all’incidenza della mentalità mondana e alla ricerca del proprio
benessere egoistico o edonistico, alla crisi dei valori e alle malattie
dell’uomo moderno. Papa Francesco, fin dall’inizio del suo pontificato,
richiama tutta la Chiesa a prenderne coscienza (p.e. Es. ap. Evangelii
gaudium). Ora il Papa ci esorta: «il giudice, nel ponderare la validità del
consenso espresso, deve tener conto del contesto di valori e di fede – o della
loro carenza o assenza – in cui l’intenzione matrimoniale si è formata.
Infatti, la non conoscenza dei contenuti della fede potrebbe portare a quello
che il Codice chiama errore determinante la volontà (cfr. can.
1099). Questa eventualità non va più ritenuta eccezionale come in
passato,data appunto la frequente prevalenza del pensiero mondano sul
magistero della Chiesa. Tale errore– continua il Papa – non minaccia solo la
stabilità del matrimonio, la sua esclusività e fecondità,ma anche
l’ordinazione del matrimonio al bene dell’altro, l’amore coniugale come
“principio vitale” del consenso, la reciproca donazione per costituire il
consorzio di tutta la vita… Il matrimonio tende ad essere visto come una
mera forma di gratificazione affettiva che può costituirsi in qualsiasi modo e
modificarsi secondo la sensibilità di ognuno, spingendo i nubenti allariserva
mentale circa la stessa permanenza dell’unione, o la sua esclusività, che
verrebbero meno qualora la persona amata non realizzasse più le proprie
aspettative di benessere affettivo».
Sarebbe auspicabile un ampio confronto degli operatori dei tribunali
ecclesiastici sulle suddette indicazioni di Papa Francesco, per salvaguardare il
principio di uniformità della giurisprudenza nella Chiesa. Occorrono linee
guida comuni da seguire, per evitare che nei Tribunali d’appello venga
vanificato lo sforzo chiesto dal Pontefice: «Vorrei dunque esortarvi ad un
accresciuto e appassionato impegno nel vostro ministero, posto a tutela
dell’unità della giurisprudenza nella Chiesa … c’è bisogno di una conversione
pastorale delle strutture ecclesiastiche, per offrire l’opus iustitiae a quanti
si rivolgono alla Chiesa per fare luce sulla propria situazione coniugale. Ecco
la difficile missione vostra, come di tutti i Giudici nelle diocesi: non
chiudere la salvezza delle persone dentro le strettoie del giuridicismo. La
funzione del diritto è orientata alla salus animarum a condizione
che, evitando sofismi lontani dalla carne viva delle persone in difficoltà,
aiuti a stabilire la verità nel momento consensuale: se cioè fu fedele a
Cristo o alla mendace mentalità mondana»[4].
Dal punto di vista pratico il "recupero" dell’errore come capo autonomo di
nullità ci permetterebbe un notevole risparmio nell’economia processuale nei
tempi e nei costi. Fino ad oggi la regola seguita (dalla giurisprudenza e dalla
dottrina canonica) riteneva che l’errore circa le proprietà essenziali o la
dignità sacramentale non intaccasse la validità del consenso che è l’actus
voluntatis (cfr. can. 1057). Infatti, l’incidenza dell’errore era vista in
riferimento alla simulazione ex can. 1101, §2 o all’incapacità ex can. 1095 n.
2.
Nel caso di errore semplice la volontà può, in ogni modo, aderire ad una
nozione vera di matrimonio cristiano, chiesto esplicitamente dai nubenti,
perché l’errore resta nell’ambito teoricodell’intelletto. Tuttiavia un errore
"grave" che determini la volontà nuziale vizierebbe il consenso matrimoniale
rendendolo nullo: l’ipotesi definita come error determinas voluntatem, ex
can. 1099 del CIC. La presenza di un simile errore modificherebbe l’oggetto
della volontà, in quanto si vorrebbe una realtà diversa dal matrimonio
cristiano, ovvero non quello voluto dal Creatore e tutelato dalla Chiesa.
I COSTI DELLE CAUSE
Purtroppo ancora circolano notizie non vere riguardo ai costi delle cause per
ottenere la dichiarazione di nullità matrimoniale, per questo tante persone
sono scoraggiate e hanno difficoltà, se non diffidenza, ad accostarsi al
Tribunale.
Pertanto torno a ricordare, perché ne siano informati tutti i qui presenti e
altri che potranno leggere questa nota esplicativa, che il contributo delle
parti alle spese processuali è il seguente:
•
•
la parte attrice che invoca il ministero del Tribunale, è tenuta a
versare €525,00 al momento della presentazione del libello, come
contributo per i due gradi di giudizio;
la parte convenuta non è tenuta ad alcuna contribuzione, ove partecipi
all’istruttoria e SOLO nel caso in cui si costituisce è tenuta a
versare €262,50.
Ricordo che nella Chiesa la giustizia è accessibile a tutti senza distinzione,
tanto è vero che anche quest’anno diverse persone, trovandosi in difficoltà
hanno chiesto ed ottenuto la riduzione o l’esonero totale dal contributo
dovuto per le spese processuali, da tempo in linea con l’auspicio di Papa
Francesco che le cause siano gratuite. Questo ci è possibile perché siamo
finanziati dall’otto per mille. Qui il mio appello che rivolgo a tutti di
scegliere, nella prossima e successive dichiarazioni dei redditi, la destinazione
dell’otto per mille per la Chiesa Cattolica, per contribuire anche al nostro
servizio.
CIRCA LA DURATA DELLE CAUSE:
DURATA DEL PROCESSO DI 1A ISTANZA
meno di sei mesi
Nr. cause
6
da sei mesi ad un anno
38
da un anno ad un anno e mezzo
41
da un anno e mezzo a due anni
14
oltre due anni
5
Come potete costatare dalla tabella, la maggior parte delle cause si è
conclusa entro un anno e mezzo e sono pochi i casi che vanno oltre. Da
sempre in QNT si garantisce la “giustizia” nei tempi previsti dal Codice:
«Giudici e tribunali provvedano affinché, salva la giustizia, tutte le cause si
concludano al più presto, di modo che non si protraggano più di un anno nel
tribunale di prima istanza, e non più di sei mesi nel tribunale di seconda
istanza» (can. 1453; cfr. DC, art. Art. 72). Per questo talvolta si sono ricevute
delle critiche, come se non si potesse coniugare la sollecitudine con la
serietà, la qualità e la tutela dei diritti. Ciò è stato possibile per la sensibilità
del mio illustre predecessore trasmessa e recepita in toto, so che soleva
rispondere a quanti gliene chiedevano il «segreto»: “lavoro, faccio lavorare e
lascio lavorare!”. Scusate la digressione! Tornando a noi, posso dire che i
tempi “tecnici” rimangono vincolati all’assunzione delle prove che
permettono di emettere il giudizio e di raggiungere la verità. I tempi si
allungano dovendo spesso valutare la capacità giuridica delle Parti e si rende
necessaria una perizia d’ufficio. Proprio per contenere i tempi processuali ho
chiesto a tutti i periti di eseguire e consegnare in Cancelleria le loro relazioni
entro 4 mesi dall’incarico. Purtroppo su questo punto spesso le nostre
aspettative vengono disattese, talvolta anche per la poca collaborazione dei
periziandi. Colgo l’occasione per chiedere ai nostri valenti professionisti un
ulteriore sforzo in tal senso. Grazie infinite!
A pag. 16 del libretto Attività dei Patroni stabili:
Riepilogo dell’attività dei Patroni stabili nel 2014
Nr. casi
Consulenze effettuate
518
Casi esaminati
178
Cause di nullità:
pendenti al TERU al 31.12.2013
66
Introdotte
75
patrocinio alla P.C.
1
Trattate
141
Definite
74
pendenti al TERU al 31.12.2014
67
Cause da definire in appello al 31.12.2014
66
Quello che emerge dalle tabelle riportate, alle pagg. 6 e 16 del libretto, è la
preponderanza del ricorso ai Patroni Stabili rispetto agli avvocati esterni.
RIEPILOGO PROCEDIMENTI 2014
Definiti
Introdotti
Patroni stabili
74
75
Patroni esterni
30
28
Questo ci fa comprendere la gravità della crisi economica della nostra società.
Le persone non avendo risorse economiche, consapevoli di non dover
affrontare alcun onere per il patrocinio, si rivolgono ai nostri Patroni stabili,
che con ammirevole dedizione cercano di venire incontro alle numerosissime
richieste di consulenza e patrocinio. Le persone, trovando accoglienza e
comprensione nei Patroni stabili, preferiscono attendere anche a lungo per
introdurre la causa piuttosto che ricorrere ad altri avvocati o chiedere il
gratuito patrocinio al quale avrebbero diritto, nel caso di precarietà
economica. Qui vorrei invitare tutti al rispetto della professionalità e serietà
dei Patroni Stabili; oltre che delle persone che ricorrono al loro ufficio, per
cortesia, non pressateli ulteriormente con richieste e sollecitazioni per
l’introduzione delle cause, volendo e dovendo essi rispettare la normale “lista
di attesa”.
ALCUNE NOTIZIE FLASH SUL PERSONALE DEL TERU
•
•
Come già accennato, nell’anno 2014 abbiamo “perso” ben 2 giudici e
per un altro non è stata confermata la nomina, ma ne abbiamo
“acquistato” uno, don Albin KOUHON, della diocesi di Terni-NarniAmelia che ricopriva il ruolo di Difensore del Vincolo. La dott.ssa
Federica INCHES, anch’essa di Terni, è entrata a far parte dell’Organico
in qualità di Uditore, prima era Difensore del Vincolo e Promotore di
Giustizia, carica passata alla dott.ssa Cinzia NATI, di Nocera Umbra, già
D.V.
Nell’anno si sono aggiunti anche due nuovi D.V., i dott.ri Fabio
CIOCCOLONI di Foligno e Carlo BELLI PAOLOBELLI di Assisi. È stato
necessario assumere un altro notaio, la dott.ssa Chantal Trabalza per
consentire ai tre istruttori e all’uditore di ricevere le deposizioni
contemporaneamente, sempre nell’economia tempistica processuale. A
questo scopo si sono eseguiti anche lavori di adattamento dei locali a
nostra disposizione.
RIFLESSIONI PRATICHE
L’inaugurazione dell’Anno Giudiziario del TERU è forse l’unica occasione per
fare il punto sul nostro operato, luci e ombre. Dove le cose sono dipese da
noi, ritengo che abbiamo dato il meglio, non potevamo fare di più,
considerate le risorse disponibili. Tuttavia non nascondiamo che su vari fronti
abbiamo delle “difficoltà”: La carenza di vocazioni si traduce in scarsità di
Giudici chierici per cui quei pochi, chiamati a ricoprire i molteplici uffici
nell’ambito delle parrocchie, Curie ecc. vengono oltremodo caricati di lavoro,
non sono per nulla aiutati, incoraggiati e incentivati. C’è poi la difficoltà a
ricorrere a personale Laico per il ruolo di Giudice sia per la vigente normativa
che ne prevede solo uno per Turno ma, qualora questa in qualche modo fosse
superata, anche per l’insostenibile costo che ne deriverebbe.
La crisi economica non ha risparmiato neppure le nostre Diocesi che si trovano
in grave sofferenza e anche il Tribunale ne subisce le conseguenze.
Secondo la vigente norma infatti «Spetta alla Regione ecclesiastica reperire e
mettere a disposizione del Tribunale ecclesiastico regionale a titolo gratuito
una sede idonea»[5]. Solo per queste difficoltà economiche non siamo riusciti
ad ottenere l’ampliamento della nostra sede (due stanze attigue da
incorporare nell’attuale sede) ma non ci siamo scoraggiati, abbiamo
modificato, ottimizzando gli spazi assegnatici già dal 2001, in più riprese
adattati all’uso specifico. Incredibilmente oggi ci troviamo a temere
fortemente di perdere anche questi dovendo sacrificare un importante
servizio, così almeno è nell’estimazione del Sommo Pontefice, tanto da aver
istituito la Commissione di studio per la riforma processuale matrimoniale,
argomento attualissimo, oggetto della prolusione odierna del nostro illustre
Ospite.
Certamente l’onere relativo alla sede idonea, per il Tribunale non può
ricadere solo sulla Arcidiocesi di Perugia-Città della Pieve, ma vi dovrebbero
contribuire le 8 Diocesi umbre che si avvalgono del nostro servizio. Ecc.mi
Presuli, non abbandonateci! Vogliamo continuare a dare lo stesso servizio di
sempre auspicato da Papa Francesco, datecene la possibilità! Siamo stati
sempre fedeli, discreti, disponibili servitori delle Vs. Eccellenze, non abbiamo
mai creato problemi né è nostra intenzione darne, chiediamo umilmente gli
strumenti indispensabili per lavorare, una casa dignitosa e accogliente per
rispondere ai bisogni dei fedeli.
CONCLUSIONE
Mi permetto, in conclusione, di sottolineare che il nostro lavoro non è
finalizzato – come spesso si avverte nel sentire comune – ad “annullare” i
matrimoni, bensì a valorizzare il patto coniugale che tra due battezzati è
elevato a dignità sacramentale. Noi giudici del TERU siamo consapevoli che
quanto facciamo non ci distoglie da altri non meno importanti compiti
pastorali, ma è complemento di un’azione a servizio della famiglia che inizia
nelle parrocchie. In questa direzione il TERU svolge un’opera di discernimento
e di individuazione di quei “germi patogeni”, che, in casi particolari, ne
rendono impossibile la nascita. L’azione giudiziale volta a tale indagine è
azione pastorale vera e propria; tutela le persone e i loro diritti nella Chiesa,
prestando attenzione alla loro vicenda coniugale. Anche nell’esperienza di un
matrimonio nato male, la persona ha bisogno di sentirsi amata da Dio. Le
dinamiche procedurali sono a servizio di tale azione e rispondono al bisogno
spirituale dei fedeli.
Voglio, infine, riaffermare la piena collaborazione di tutti gli Operatori del
Tribunale con i nostri Vescovi e con tutti coloro che nelle varie diocesi, sotto
la guida dei Pastori, si dedicano alla preparazione dei nubendi e al sostegno
delle famiglie.
A tutti: Giudici, Uditori, Difensori del Vincolo, Cancelliere, Notai, Periti,
Avvocati, la più viva gratitudine e l’augurio di buon lavoro. Grazie!
Ora, con l’augurio di rincontrarci tutti insieme, come oggi, nel prossimo 2016,
chiediamo S. Em.za Rev.ma Sig. Card. Gualtiero BASSETTI, Moderatore del
Tribunale Ecclesiastico Regionale Umbro, di voler benedire il nostro lavoro e
quindi dichiarare aperto l’anno giudiziario 2015.
S. Em.za Rev.ma Sig. Card. Gualtiero BASSETTI
Al nostro Tribunale Ecclesiastico e a tutte le istituzioni qui
presenti auguro che il comune impegno, a tutela dei valori
del matrimonio e della famiglia, possa riscuotere sempre
maggiore sintonia e generare la sinergia per la promozione
della dignità umana.
Come Moderatore del Tribunale Ecclesiastico Regionale
Umbro, con grande gioia Vi impartisco la mia Benedizione
e dichiaro Solennemente aperto l’Anno Giudiziario 2015
del TERU.
La parola ora al Professore Paolo MONETA, che ha accolto il nostro invito e ci
farà una preziosa e molto attuale relazione sul tema: «La riforma del
processo matrimoniale canonico», un argomento scelto per la sua
importanza e attualità. AverLa con noi è un grandissimo onore e, sono
convinto che la Sua relazione per tutti noi sarà un vero arricchimento. Grazie
Professore, per la Sua disponibilità e per quanto ci esporrà!
[1] Cfr. http://www.unipi.it/ateneo/comunica/cerimonie/cherub/paolomone
ta.htm_cvt.htm.
[2] Cfr. http://www.news.va/it/news/papa-crea-commissione-riforma-delprocesso-matrimo
[3] Cfr. Discorso del Santo Padre Francesco agli officiali del Tribunale della
Rota Romana, per l’Inaugurazione dell’Anno Giudiziario, 24/01/2014.
[4] Cfr. Discorso del Santo Padre Francesco agli officiali del Tribunale della
Rota Romana, per l’Inaugurazione dell’Anno Giudiziario, 23/01/2015.
[5] Cfr. CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA Norme circa il regime
amministrativo dei Tribunale Ecclesiastici Regionali italiani e l’attività i
patrocinio svolta presso gli stessi, 18 marzo 1997, Art. 4, §5.
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