DIDATTICA DELL’ARTE NEL TERRITORIO Corso on line Prof. Paolo Pavan PREMESSA “Il genere utopico comporta una dicotomia interna importante : quella tra l’utopia positiva e l’utopia negativa. Esiste una varietà di termini che indicano differenti sfumature all’interno della varietà del genere utopico, dove questi sono quasi utilizzati come dei semplici sinonimi. Si parla anche di utopia e di antiutopia o contro-utopia, di eutopia e di distopia, di cacotopia, di satira utopica e di utopia satirica, d’utopia inversa, di pseudo-utopia e di semiutopia, d’utopia negativa e d’utopia « deutopizzata », ecc.”. Corin Braga.1 Questo terzo modulo ha lo scopo di indagare le teorie sugli Spazi, nelle loro esemplificazioni, a partire dalle condizioni limite dell’utopia e della città ideale. LO SPAZIO DELL’UTOPIA E DELLA CITTÀ IDEALE Il termine utopia viene coniato da Thomas More (Tommaso Moro) nel 1516, quando stampa presso l’editore Martin, di Leuven, il testo: “De optimu reipublicae statu deque nova insula Utopia libellus vere aureus”.2 Il neologismo di Moro rimanda al doppio etimo greco di ou-tópos (nonluogo) e eu-tópos (luogo felice). Utopia è, infatti, un’isola (che non c’è), regolata da giustizia, libertà e tolleranza religiosa (quindi: luogo felice) – figura 0 –. Le movenze ideologiche di Tommaso Moro sono quelle di un riformista sociale, che utilizza la metafora di un “non-luogo” per criticare i costumi propri dell’Inghilterra dei Tudor.3 La situazione inglese, ma in generale quella europea, viene descritta dominata dalla classe nobile avida, arrogante ed improduttiva, con guerre che flagellano senza sosta le popolazioni, con frati ben pasciuti e inoperanti ed, infine, contadini in estremo pauperismo, i quali, prontamente, possono divenire un esercito di briganti. Per risollevare una società malata di questo tipo, l’Utopia di Moro ipotizza il comunismo della produzione e dei beni, tolleranza religiosa, l’abolizione della pena di morte, che, in Inghilterra, era praticata anche per il reato di furto, e una giornata lavorativa di sei ore. Ma se questa è la genesi del termine, l’idea di uno spazio in cui sia assente ogni conflittualità e dove regni l’armonia è sicuramente rinascimentale. Numerose sono le testimonianze, tra quattro e cinquecento, di progetti per città ideali, dove le belle forme sono prodotte da una geometria rigorosa, organizzata secondo moduli e proporzioni. 1 Corin Braga: “Utopie, Eutopie, Dystopie et Anti-Utopie" in : www.metabasis.it, rivista di filosofia on-line; septembre 2006 an I° numéro 2. 2 “Libretto davvero aureo sulla migliore forma di repubblica e su una nuova isola chiamata Utopia". Tommaso Moro: “Utopia” Laterza edizioni; Bari 2006. 3 Vedi: http://web.tiscali.it/icaria/letteratura/moro/moro.htm La città ideale si contrappone alla città reale, medievale, città storica costruita per addizioni; essa è invece una città definita da equilibrio, simmetria e prospettiva: immagine del nuovo ordine sociale che ha per centro il Principe.4 Tra le molte città ideali ci sembra particolarmente significativa quella di “Sforzinda”, ideata dall'architetto e scultore fiorentino Antonio Averlino detto il Filarete,5introdotto da Piero de' Medici alla corte di Francesco Sforza, duca di Milano. Il nome viene dall'accostamento del nome della casata degli Sforza, per i quali fu pensato il progetto, con il nome del fiume Inda nella cui valle Filarete pensava di gettarne le fondamenta. Il progetto è riportato sotto forma di dialogo tra il principe Francesco Sforza e il Filarete nel codice Magliabechiano, pubblicato per la prima volta da W. von Ottigen nel 1894 come “Tractatus” dei “modi e misure dello hedificare" (redatto tra il 1460 ed il 1464). La volontà di Filerete è di giungere a sintesi tra il tema della città a pianta radiale a quello della città “razionale” reale, per edificare uno spazio in cui le nuove classi emergenti, mercanti, banchieri ed artigiani, trovino una forma adeguata al loro sviluppo produttivo - figure 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8 e 9 -. Per ottenere ciò, in “Sforzinda” la distribuzione degli edifici è funzionale per tale qualificazione economica. La piazza, infatti, si formalizza non solo con caratteri di agorà, di spazio dedicato alla gestione del bene pubblico e delle ritualità civili e religiose, ma anche come luogo preciso per le transizioni economiche, per la mercatura, per gli affari. In Sforzinda vive anche la razionalizzazione delle vie di collegamento, ad esempio con la specializzazione del trasporto, che si diversifica tra quello delle merci, per via d’acqua, da quello di transito umano, via terra, secondo un modello che sarà ripreso ed enfatizzato anche da Leonardo da Vinci. L’impianto urbano è di tipo radiale, determinato dall’intersezione di due quadrati, ruotati reciprocamente di 45°, che danno origine ad una stella ad otto punte. Tale profilo determina le mura cittadine. Tangente alle punte esterne corre un fossato circolare che le circoscrive. Su questi otto vertici sono posti le torri difensive, mentre sugli otto vertici arretrati sono poste altrettante porte, che permettono il transito di otto assi stradali convergenti verso il centro della città, su cui è posta una piazza rettangolare con i lati in rapporto di 1:2 (doppio quadrato). È circondata da un porticato e vi si affacciano gli edifici delle istituzioni civiche (di governo, amministrative, religiose ed economiche). 4 5 Panowsky: “La prospettiva come forma simbolica” Feltrinelli; Milano 1974. Filarete, cioè "colui che ama le virtù". Su ogni percorso stradale, ad una distanza dalla piazza pari a 2/3 della lunghezza di tale asse, è posta una piazza minore, unita alle altre da un percorso circolare, avente come centro quello cittadino. Esse sono dedicate allo svolgimento di mercati specializzati; verso oriente ed occidente: paglia e legname; a settentrione: olio, a meridione grano e vino ecc. Su gli stessi assi radiocentrici si distribuiscono anche gli edifici di culto. Un sistema complesso di canali, collegati al fiume esterno, costeggiano le strade radiali principali, riunendosi ad anello intorno alla piazza principale, sulle teste della quale, con il palazzo del principe e la cattedrale con l'episcopio, sorgono due piazze minori; su di esse sono posti altri edifici pubblici qual il palazzo del comune, il palazzo del podestà, quello de capitano, la prigione, la dogana, la zecca, il macello, i bagni pubblici, le locande e il lupanare. Le due piazze hanno anche funzione di mercato specializzato. Nel “Tractatus” ogni edificio pubblico è descritto attraverso disegni, a volte molto suggestivi, come il Duomo o la torre da porre al centro della piazza. Come sottolinea Manfredo Tafuri, “Il carattere astratto e cosmografico dello schema urbano di Sforzinda … e il sapore mitico e irreale delle architetture che, indipendentemente dalla loro collocazione nello schema planimetrico stellare, egli abbozza in scala spesso gigantesca, come per sottolinearne l’inattualità, sono indicative di una prima semicosciente crisi dell’intellettuale quattrocentesco, frustrato nei suoi ideali storicismi ed universalisti. Ciò non impedisce al Filarete nell’introdurre nelle pagine del suo trattato, accenni a istituzioni sociali informate a un utopistico riformismo. Ma anche sotto questo aspetto il ruolo dell’utopia della Sforzinda filaretiana rimane indefinito: da un lato essa rispecchia le possibilità dischiuse dalla politica urbana del nuovo potere sforzesco, che un intellettuale di origine toscana, come l’Averlino, si propone evidentemente di coordinare e sfruttare; dall’altro denuncia il bisogno di individuare nuove ragioni sociali come sostegno dell’invenzione architettonica”.6 Rimane il fatto che Sforzinda è un’ipotesi concreta di organismo urbano unitario, che solo in Pienza, Urbino e Ferrara si realizza compiutamente – figura 10, 11, 12 –. A seguire Filarete, anche Leonardo si cimenta nella pianificazione di una città come un organismo formalmente compiuto – figura 13, 14, 15, 16 -. Dopo la peste di Milano del 1484/85, propone con i suoi disegni del codice B (1490) la pianificazione di una città in cui i corsi d’acqua integrano e completano il sistema stradale, che si struttura su più livelli. Leonardo che in questo periodo soggiorna alla corte di Ludovico il Moro, si rende ben conto che Milano, essendo priva di corsi d’acqua notevoli, non può essere il luogo per proposte urbanistiche: è possibile che i disegni del codice B siano pensati per la cittadina di Vigevano, cara a Ludovico il Moro, nei pressi di un grande fiume come il Ticino, cosa che avrebbe permesso di godere dei benefici di un’alimentazione idrica 6 Manfredo Tafuri: “L’Architettura dell’Umanesimo” Laterza edizioni; Bari 1976. adeguata, attraverso le canalizzazioni, evitando però i danni dati dalle possibili esondazioni del fiume, non essendone nelle immediate vicinanze. Il piano leonardesco si basa, infatti, sulla costruzione di un canale di portata rilevante che, attraverso chiuse e bacini idrici di riposo per le acque, alimenti un reticolo cittadino di navigli che sia un sistema circolatorio autonomo per il transito delle merci, come d’altronde già avveniva per Sforzinda di Filarete. Soltanto che in Leonardo il sistema urbano si concretizza non soltanto nel “funzionalismo delle reti fluviali e la loro integrazione nelle strutture cittadine”7ma in una duttilità degli organismi architettonici a più livelli e con gli assi di traffico che si distinguono per il loro uso: “Per le strade alte non de’ andare carri … anzi, sia solamente per li gentili uomini; per le basse devono andare carri ed altre some ad uso e comodità del popolo. […] Per le vie sotterranee si de’ votare destri (i bagni), stalle e simili cose fetide”.8 Se “l’organizzazione edilizia raggiunge un valore figurativo in sé”9 è perché l’edificio-macchina e la città-macchina di Leonardo dimostrano “la sua fede nelle capacità della tecnica ad organizzare razionalmente il lavoro e nella sua volontà, tutta borghese, di dominio integrale dell’ambiente fisico”.10 Si noti come gli utopisti non si limitino mai a definire soltanto ipotesi generali della loro piano di società e città, ma entrino, a volte maniacalmente, in dettagli d’uso, forma e dimensioni, come se si trattasse di un esecutivo edilizio. In fondo anche questi elementi di dettaglio, l’affabulare su precise dimensioni urbanistiche ed edilizie, dà forza e sostanza al programma ideale, nel senso che fanno cogliere al lettore, o a chi guarda i disegni e gli schizzi di progetto, il senso di possibilità autentica della città ideale che viene proposta. Nei secoli successivi le utopie si moltiplicano: Mambrino Roseo descrive l’austera civiltà dell’immaginario popolo dei Garamanti.11 Segue Ludovico Zuccolo che, nella “Repubblica d’Evandria”.12 Questa volta più che di un luogo immaginario, sembra trattarsi di un luogo possibile, che lo Zuccolo vorrebbe fosse l’Italia del suo secolo, che egli vede marginale rispetto agli Stati nazionali d’Europa, ma in cui coglie ancora tutte le potenzialità per agganciare lo sviluppo degli Stati moderni. 7 Manfredo Tafuri: op. cit. Leonardo da Vinci: “Manoscritto B” Institut de France; Parigi. 9 Manfredo Tafuri: op. cit. 10 Manfredo Tafuri: op. cit. 11 Mambrino Roseo da Fabriano: “LA INSTITUTIONE DEL PRENCIPE CHRISTIANO; Con l'aggiunta delle apostille & d'un trattato intorno all'ufficio del Consiglio & Consigliere, tratto da M. Lodovico Dolce dal libro spagnolo di Furio Ceriolo” Gioito editore, Venezia 1560. 12 Ludovico Zuccolo: “La Repubblica d'Evandria e altri dialoghi politici”; con pref. di R. De Mattei; Colombo Editore, Roma 1944. 8 “Tu devi sapere figliul mio che là negli ultimi termini dell’Asia, proprio in quella parte che risguarda più da vicino l’isola di utopia, è posta la bella e fertile provincia della Evandria”. Si tratta di una Repubblica dove il re è elettivo, coadiuvato da senatori e magistrati nel governo delle cose pubbliche, con la garanzia per la proprietà privata, che però è mitigata da criteri di giustizia sociale da parte dello Stato, che interviene attivamente anche in temi di educazione, famiglia ed igiene pubblica.13 Con il frate di Stilo (Calabria), Tommaso Campanella, si approda ad una nuova isola: ”La Città del sole”, edita nel 1602. 14 Lo spazio ipotizzato dal testo è sì un’utopia, che nasce però da avvenimenti concreti: la congiura del 1599, diretta contro il dominio spagnolo per la creazione di una repubblica. Con tale congiura Campanella tenta di tradurre in pratica le sue speculazioni filosofiche; esse si possono sintetizzare in una condizione di rifiuto del concetto di autorità: l’unica autorità riconosciuta da Campanella è quella della Natura: necessario è il ritorno dell’uomo alla natura e l’eliminazione di tutto ciò che vi è di soprannaturale nel Cristianesimo; “il mistero è nella natura, il divino è in Cristo e nei grandi legislatori, la magia naturale è il solo sacramento”.15 Il testo si snoda in forma di dialogo tra il nostromo di Colombo16 e un Cavaliere di Malta, al quale il primo racconta di una città dell’equatore che si trova nell’isola di Taprobana (Ceylon). Il racconto si sviluppa indicandone il sito, un morbido colle, sul quale la città sorge circondata da sette giri di mura, corrispondenti ai pianeti del sistema solare, con quattro porte poste in corrispondenza dei punti cardinali, intersecando con le strade corrispondenti i sette giri di mura. Al centro, su un gran piano, è posto un tempio di forma circolare, circondato da colonne e privo di pareti, al suo interno, in corrispondenza dell’altare, invece dell’immagine di una divinità, sono posti due grandi mappamondi, con le mappe rispettivamente di cielo e terra. Il potere è retto da un capo che esercita sia il potere politico che religioso, coadiuvato da tre principi che reggono rispettivamente il dicastero delle cose militari il primo, delle arti liberali e meccaniche il secondo, dell’educazione, la salute, l’alimentazione ed il vestiario il terzo. La vita è regolata dalla comunione dei beni e sull’uso comune delle donne. Abitazioni, mense, luoghi di ricreazione e vestiti sono comuni, così come sono cresciuti in comune i figli: “Dicono essi che tutta la proprietà nasce da far casa appartata, e figli e moglie propria, onde nasce l’amor proprio; ché per sublimar a ricchezze o a dignità il figlio o lasciarlo erede, ognuno diventa o 13 Si veda: “Introduzione agli utopisti” in:http://www.cde-bagnoaripoli.it/cde/gobetti2/zuccolo.htm Tommaso Campanella: “La città del Sole” Rizzoli editore, Milano 1963. È disponibile il testo de “La città del Sole” anche on-line all’indirizzo: http://www.liberliber.it/biblioteca/c/campanella/la_citta_del_sole/html/la_citta.htm 15 Bruno Widmar nella nota introduttiva alla “Citta del Sole”, op.cit. 16 Nel “dialogo poetico della “Città del Sole” vi sono evidenti incongruenze temporali nell’attribuzione, ad esempio, a tale nostromo l’uso del cannocchiale, che non poteva essere conosciuto da Colombo. 14 rapace publico, se non ha timore, sendo potente; o avaro ed insidioso ed ipocrita, si è impotente. Ma quando perdono l’amor proprio, resta il commune solo”.17 È evidente che ai temi umanistici di Tommaso Moro si sommano caratteri teocratici ed astrologici, propri dell’esperienza di Tommaso Campanella: non è un caso che a Roma, al titolo di “Magister”, conferitogli da Urbano VIII°, egli vi aggiunga di astrologia e politica. Anche “Nova Atlantis” 18 di Francis Bacon (Francesco Bacone), edita nel 1626, conserva il paradigma del viaggio verso un’isola lontana ma, dall’oceano Indiano (Ceylon) ci si sposta a quello Atlantico – figura 18 –. Francis Bacon, attraverso il diario di un naufrago, racconta di un popolo che vive nell’isola di Bensalem posta nell’Atlantico, al largo dello stretto di Gibilterra: famiglia e matrimonio ne sono le basi sociali, con un elemento di novità rispetto alle altre utopie: il ruolo che assume la Scienza, nella guida della comunità verso il bene, mentre alla religione spetta il compito di affiancare la Scienza, garantendone i valori etici. Sono, infatti, gli scienziati a governare, facendo della conoscenza lo strumento di dominio sulla natura e di pianificazione sociale. Bacone si pone quindi all’interno di nuova filosofia sperimentale, accettando solo la causa efficiente (relativamente alla natura) delle tesi aristoteliche: contro la sapienza contemplativa si schiera per una prassi operativa di indagine che permette la nascita di nuove tecniche e tecnologie al fine di perfezionare la vita di ognuno, nel motto “sapere è potere”. L’URBANISTICA UTOPICA DELLA CITTÀ INDUSTRIALE Il grande scarto avviene nell’ottocento quando, con la rivoluzione industriale, si opera uno scollamento tra lavoro intellettuale e politica. Se da una parte le nuove dimensioni urbane della città industriale producono “la frantumazione della forma, che si concentra nell’operazione architettonica, senza riuscire a trovare uno sbocco nella dimensione cittadina”,19dall’altra pongono in crisi Artisti ed Architetti che si trovano inadeguati a seguire la realtà urbana, poiché “è l’improduttività del lavoro intellettuale la colpa che la cultura ottocentesca sente pesare su di sé, e che le ideologie avanzate devono superare. Rovesciare l’ideologia in utopia diviene allora un imperativo categorico”.20 Così l’utopia si manifesta non più come sola metafora o discorso alto, ma tende a farsi concreta, costruita e verificabile, si trasforma in politica attiva; diventa “un’azione consapevole per la riforma del paesaggio urbano e rurale…”.21 17 18 19 20 21 Tommaso Campanella: op. cit. Francesco Bacone: “Nuova Atlantide” Bulzoni Editore; Roma 2000. Manfredo Tafuri: “Progetto e Utopia” Laterza editori; Bari 1973. Manfredo Tafuri: “Progetto e Utopia” Laterza editori; Bari 1973. Leonardo Benevolo: “Storia dell’Architettura Moderna” Editori Laterza; Bari 2003. Robert Owen (1771-1858) è tra i primi e più importanti dei riformatori utopisti. “All’età di dieci anni lavorava in una fabbrica di cotone. A diciannove dirigeva una tessitura a Manchester, e aveva contribuito al perfezionamento delle tecniche di tessitura. Nel 1798, un ricco matrimonio gli permetteva di diventare proprietario della fabbrica di New Lanark”.22 È proprio a New Lanark, in Scozia, che Owen sperimenta nuovi sistemi di gestione della produzione industriale, “introducendo macchinari moderni, orari moderati, buoni salari, abitazioni salubri, costruendo presso la fabbrica una scuola elementare e un asilo infantile, il primo in tutta l’Inghilterra”.23 Ma per Owen il problema della società industriale va affrontato anche nel disequilibrio tra città e campagna, nelle relazioni spaziali che reintegrino la comunità del villaggio, riportando la dimensione urbana ad una condizione di completamento con la natura; con un perfetto rapporto tra agricoltura ed industria. Il modello di vita che elabora è quello di “una comunità ristretta, che lavori collettivamente in campagna e in officina, e sia autosufficiente, possedendo nell’interno del villaggio tutti i servizi necessari”.24 L’organizzazione spaziale si dovrebbe sviluppare su un’area quadrata, costituita da edifici pubblici che la suddividono in parallelogrammi, capace di ospitare milleduecento persone, circondata da un terreno compreso tra i 1000 e1500 acri – figura 19_A e 19_B –.25 L’edificio centrale dell’area quadrata contiene una cucina collettiva per garantire migliore efficienza all’alimentazione della comunità, e refettori. A destra di questo edificio, una costruzione con al piano terra l’asilo, al primo piano una sala per le assemblee pubbliche ed un’altra per il culto. A sinistra una costruzione con al piano terra una scuola per i bambini più grandi e un salone per i comitati, mentre al primo piano sono posti una biblioteca ed una sala di riunione per gli adulti. Lo spazio libero, è occupato da prati ed alberature, per l’esercizio ed il tempo libero. A chiudere tre dei lati perimetrali del quadrato sono poste le abitazioni, la cui unità è pensata per lo più per nuclei famigliari composti da uomo, moglie e due figli. Sull’asse mediano di ognuno dei primi due lati si trovano gli appartamenti dei sovrintendenti, pastori, maestri di scuola ed il medico; sull’asse mediano del terzo sono posti i depositi. Il quarto lato ospita un dormitorio per i bambini in più dei due ammessi per singola famiglia, che abbiano compiuto i tre anni. Sulla mezzeria di tale lato, sono collocati gli appartamenti dei sorveglianti dei dormitori, mentre su una delle teste è posta l’infermeria e sull’altra un ostello per gli ospiti. 22 23 24 25 Françoise Choay: “La città utopie e realtà” Giulio Einaudi Editore; Torino 1973. Leonardo Benevolo: “Storia dell’Architettura Moderna” Editori Laterza; Bari 2003. Leonardo Benevolo: “Storia dell’Architettura Moderna” Editori Laterza; Bari 2003. 1 acro equivale 4046,70 mq. Tutt’intorno al perimetro edificato del quadrato, si distribuiscono giardini, prati delimitati a loro volta da viali alberati. Oltrepassando i giardini, si giunge agli spazi produttivi che, su un lato si compongono di opifici, mattatoio, stalle ecc., mentre nel lato opposto vi sono gli spazi dedicati alla tintoria ed al bucato. Ancor più in là le strutture agricole, compresi gli edifici per la trasformazione dei prodotti.26 Dal punto di vista spaziale, l’organizzazione di Owen pone in essere una composizione edificatoria razionale, igienica ed integrata, tra città e campagna, come risposta puntuale alla conurbazione e trasformazione della città in metropoli, in atto nella città della prima rivoluzione industriale. Più volte tenta di mettere in atto il suo progetto: prima ad Orbiston, in Inghilterra, poi in America ad Harmony (Indiana), con la colonia denominata: New Harmony, fondata nel 1835, su 30.000 acri di terreno, ma che fallisce solo dopo tre anni, riducendo di 4/5 la ricchezza di Owen, che ritorna in Inghilterra. Nonostante il fallimento, New Harmony resterà, per la prima metà del 19° secolo, il principale centro scientifico ed educativo del West, influenzando società e politica negli Stati Uniti, fino ai giorni nostri. Pressoché coetaneo di Owen è Charles Fourier (1772-1837). Il suo modello urbanistico, la Falange, è sicuramente il più dettagliato della letteratura urbanistica dell’ottocento. La visione antropologica di Fourier è quella di una Storia classificabile in sette periodi che dalla barbarie si eleva alla perfezione dello stadio dell’Armonia, con lo sviluppo dell’uomo integrale. Il periodo attuale vede il passaggio dallo stadio della Civiltà a quello del Garantismo. È nel periodo del Garantismo (6° periodo storico) che Fourier fa apparire i primi Falansteri, che pensa come spazi costruiti per comunità di 1620 individui – Figura 20 –. In questo periodo la città sarà costituita secondo uno schema concentrico, con al centro gli edifici commerciali e amministrativi, seguiti dai quartieri con le grandi fabbriche ed infine i viali, la periferia, e la campagna con le attività agricole. Gli spazi liberi saranno rispettivamente uguali, doppi e tripli di quelli degli edifici che occupano le tre zone. “La prima falange sarà un abbozzo, uno schizzo eseguito per conto del mondo, che ne rimborserà dodici volte il capitale. Sarà, in qualche sorta, una bussola per le Falangi che si fonderanno ovunque”.27 Nel Falansterio non vi sono alloggi separati per unità famigliare: gli anziani saranno alloggiati al piano terra, i fanciulli al mezzanino e gli adulti ai piani superiori. L’edificio sarà composto di attrezzature collettive e con impianti centralizzati. I corpi di fabbrica si distribuiranno per ali simmetriche, formando tre grandi cortili, con quello centrale, denominato: Piazza delle parate, 26 27 Françoise Choay: “La città utopie e realtà” Giulio Einaudi Editore; Torino 1973. Riportato in Françoise Choay: “La città utopie e realtà” Giulio Einaudi Editore; Torino 1973. dominato da una grande torre (tour de Ordre), sulla quale saranno posti orologio e il telegrafo ottico. Il centro del palazzo avrà funzioni pubbliche: sale da pranzo, Borsa, di consiglio, di biblioteca, di studio ecc.; vi sarà posto anche il tempio. In un’ala vi saranno tutele officine rumorose: carpenterie, fonderie, forge; nell’ala simmetrica sarà posto il caravanserraglio. Le strade-galleria garantiranno i collegamenti tra le parti dell’edificio e si situeranno al primo piano, producendo una sorta di peristilio continuo. Strade-galleria che, nella lettura fatta da Walter Benjamin dell’opera di Fourier28, sono elemento residuale del contemporaneo, cioè dei passages29parigini, proiettato nel spazio dell’utopia. Trasposizione in realtà del Falansterio sono state fatte da Victor Considérant , con la colonia di Réunion, presso Dallas, che però non ebbe alcun successo. Anche Jean-Baptiste Godin, seguace del pensiero di Fourier, fonda un falansterio: il familisterio di Guise, nel nord della Francia, che è funzionante ancora oggi. Segue Etienne Cabet, inventore, secondo Carlo Marx, del comunismo utopico che, Cabet, descriverà nel suo Voyage en Icarie, tentando di realizzarlo negli Stati Uniti, con altri emigranti europei. A partire dalla seconda metà dell’ottocento, l’idea d’utopia si trasforma da una condizione modello astratto, che si vuole calare tout-court come forma assoluta nel reale, contro il reale (e che si concretizza nella geometria della città ideale), a condizioni di mediazione e riforma, senza scalfire la logica del capitale e della proprietà privata della città industriale. L’utopia, nella quale l’architettura era il principio vivo della trasformazione culturale, si piega su sé stessa ed elide i contenuti più radicali di critica sociale: si sgonfia il sogno di uno spazio senza contraddizioni sociali, portando il pensiero critico, generatore dell’utopia, ad un’operatività concreta di riforma (nella progressività trasformativa della città), o proiettando la perfezione di una società armonica non più nello spazio, ma nel tempo (sia esso l’età dell’oro del passato o la società dell’armonia del futuro).30 Possiamo concludere che lo spazio e l’urbanistica dell’utopia stanno complessivamente nella contrapposizione della città ideale alla città reale, ma in questa contrapposizione il progetto utopico gioca un ruolo fondamentale nel dare indirizzo di piano; non si tratta quindi solo di una 28 Walter Benjamin: “Angelus Novus” Einaudi Editore; Torino 1962. I passages sono le strade dove cominciano a sorgere, a partire dal 1822, i magasins de nouveauté, precursori dei grandi magazzini per la vendita moderni. Si rifletta che Fourier era stato un commesso di negozio. 30 Per Marx ed Engels la città, come prodotto storico, è il frutto di un ordine (quello del capitale) che bisogna superare. Le contraddizioni della città si superano solo con l’avvento di un ordine nuovo: la società senza classi. 29 metafora e di una critica dell’esistente, ma di pensiero formalizzato e solutivo, che non trovando immediata applicazione nella contemporaneità, viene spesso ri-attualizzato dai teorici successivi. Esiste quindi una capacità di parlare oltre, come a dire che se definiamo le teore sullo spazio come elemento culturale, esso non muore o si dissipa con la società che lo produce, ma si trasforma comunque in patrimonio di memoria, che può trovare applicazioni reali in tempi successivi. Giustamente Leonardo Benevolo fa notare: “… malgrado i loro errori, anzi in un certo senso a causa dei loro errori e delle ingenuità politiche, Owen e gli altri hanno portato un contributo importantissimo al movimento dell’architettura moderna. Essi sono immuni dall’altro errore di tutta la cultura politica del tempo, liberale o socialista, di credere che non convenga impegnarsi sui problemi particolari – ad esempio su quelli dell’insediamento – prima di aver risolto i problemi politici di fondo, e che le soluzioni a tutte le difficoltà parziali arrivino per naturale conseguenza, trovate le soluzioni per le difficoltà generali”.31 L’UTOPIA ED IL MOVIMENTO MODERNO Non sono certamente casuali le analogie tra il Falansterio di Fourier,32 e la prima Unité d’Habitation di Le Corbusier (numero chiuso di abitanti, 1600, impianti centralizzati, servizi collettivi, rue interieure ecc.) o la città Broadacre di Franklin Lloid Wright e la colonia di Owen, con la stessa densità di un uomo per acro.33 Scrive Manfredo Tafuri: “Le Corbusier prende atto della realtà di classe della città moderna e ne sposta i conflitti al livello più alto, mettendo in atto la più elevata proposta di integrazione del pubblico, coinvolto, come operatore e come consumatore attivo, nel meccanismo urbano di sviluppo, reso, ora, organicamente umano”.34 La sperimentazione dell’Unitè è, in questo senso, significativa: la prima Unité, edificata a Marsiglia, 280 boulevard Michelet, tra il 1945 ed il 1952 permette a Le Corbusier di verificare le ipotesi, già teorizzate negli anni trenta conil Plan Vois per la Parigi del 1922, per la soluzione dei problemi dell’alloggio per il ceto medio e, nello stesso tempo, ipotizzare un modello urbanistico di assoluta novità, che integra la cellula abitativa con i servizi – figure 21, 22, 23 e 24 –. Ne è committente lo stato francese attraverso l’ISAI (Immeubles sans affectation Individuelle), nel piano di ricostruzione edilizio avviato da Raoul Dauntry, Ministro della Ricostruzione e dell’Urbanistica. “È il prototipo di un’unità della Ville Radieuse” – figura 25 –.35 31 32 33 34 35 Leonardo Benevolo: “Storia dell’Architettura Moderna” Editori Laterza; Bari 2003. Lo stesso Le Corbusier elogerà “le proposte profetiche di Fourier”. Leonardo Benevolo: op. cit. Manfredo Tafuri; “Progetto e Utopia” Editori Laterza; Bari 1973. Robert Hughes: “ Lo shock nell’Arte Moderna” Idealibri Edizioni; Milano 1982. “Ventitre tipi di appartamenti diversi sono disposti nella struttura come bottiglie in una scaffalatura”.36 “Si tratta di un complesso di nove piani, alto 56 metri, lungo 127 metri e largo 18 che può contenere abitazioni per 1600 persone. Tutto il complesso è costruito su pilastri o pilotis, su dodici acri di parco”.37 L’edificio si chiude in altezza con un tetto-terrazzo dove sono siti diversi luoghi di servizio collettivo: la palestra, due solarium, una pista per pattinaggio e corsa di biciclette lunga 300 metri, un asilo nido, una scuola d’infanzia, un balcone, una piscina e le fioriere; oltre ad elementi funzionali, ma d’elevato valore plastico, come il camino di ventilazione. Al quinto piano è posta la strada-galleria (la rue interieure di fouririana memoria), con il caffè ed i negozi. L’edificio, che Le Corbusier avrebbe voluto in acciaio e che per abbattere i costi fu invece costruito in calcestruzzo armato, ha le facciate organizzate con terrazze utilizzate anche da frangisole (brise-soleil). Le cellule abitative, occupanti gli altri piani, hanno la sezione che “permette un ingegnoso collegamento dei locali di soggiorno a doppia altezza con le camere o le cucine ad un solo livello”.38 Molte letture critiche evidenziano la derivazione dell’architettura di Le Corbusier dall’ideologia delle Macchine perfette, che nel mito della tecnica, come nuovo strumento progressivo delle sorti umane, avrebbe portato ad una sintesi superiore la dialettica dell’urbano, nella fine e risoluzione dei conflitti. Quella sorta di fine della Storia, che ogni utopia presuppone.39 Nel piano Obus per Algeri Le Corbusier progetta un ponte-strada sul tetto di un grandioso edificio40 che, attraversando le colline e giungendo al mare, pone improvvisamente come archeologica l’Algeri della Casbah – figure 26 e 27 –. Non solo L.C. mette quindi ordine allo spazio urbano, ma trasforma l’esistente in ready made, reperto, capovolgendo il rapporto di valore che esiste tra nuovo intervento architettonico ed intorno, abbandonato ad un autonomo destino, immodificabile. Il lungo serpente architettonico, dove le cellule abitative sono pensate per permettere all’utenza di arredarle secondo un’elasticità del tutto assente alle cellule dell’Unitè, perde qualsiasi connotazione d’oggetto assumendo invece il ruolo identitario di spazialità primaria. 36 William J.R. Curtis: “Il moderno e l’arcaico, o le ultime opere” in “Le Corbusier; enciclopedia” Electa edizioni; Milano 1988. 37 Robert Hughes: op. cit. 38 William J.R. Curtis: op.cit. 39 Questo aspetto è messo in evidenza da Manfredo Tafuri che, al contrario della durezza con la quale liquida molta architettura moderna, sembra riconoscere all’opera di L.C. il valore dell’indagine estrema del linguaggio architettonico, oltre che una visione di ampio respiro per quanto attiene alla pianificazione urbana, nonostante peculiari ingenuità. Si veda ciò che M.T. scrive a proposito di Chandigarh in: “Macchine e memoria: la città nell’opera di Le Corbusier” contenuto in: “Le Corbusier; enciclopedia” Electa edizioni; Milano 1988. 40 Manfredo Tafuri parla di “Immensa macchina biomorfica”. In M.T.: op. cit. L.C. non crea la tabula rasa, che già aveva praticato con il piano per una città di tre milioni di abitanti oppure negli studi per New York del 1935, ma pensa ad una alterità, una cesura tra il moderno e la città storica: semplicemente l’altrove della nuova architettura trasforma in natura il costruito. La cultura è ora nuova natura. In questo senso si devono evidenziare le utopie del movimento “Radical” che hanno popolato gli anni sessanta e settanta del secolo scorso: movimento contraddittorio, oscillante tra visioni anarchiche di comunità autosufficienti41 e altre che pongono esplicitamente al centro del progetto architettonico la tecnica e la tecnologia. Di questa seconda corrente i nomi illustri sono molti: Buckminster Fuller, Yona Friedman, Paul Maymont, il gruppo Metabolist, i gruppi italiani degli degli Archizoom e Superstudio, e il gruppo inglese degli Archigram. È proprio Archigram che, nelle sue invenzioni, ne evidenzia il paradigma di sintesi: “… entusiasmo per le potenzialità implicite nei calcolatori elettronici, negli ordigni spaziali, negli «imballaggi a perdere dell’età elettro-atomica»”42 espresso nel linguaggio formale desunto dalla nascente PopArt inglese. Il gruppo nasce a Londra dalla collaborazione tra Warren Chalk (1927), Peter Cook (1936), Dennis Crompton (1935), David Greene (1937) e Mike Webb (1937); il nome è sincretismo di ARCHItecture e teleGRAM e corrisponde a quello del giornale che il gruppo pubblica.43 “Gli Archigram, con il coraggio dell'ironia, compiono nei confronti della professione un’operazione che è insieme di rifondazione concettuale e di rinnovamento linguistico: un tipo di progettazione cioè che in linea teorica accetta e rivendica le caratteristiche di consumismo e massificazione, di effimero e di dinamicità, di continua e necessaria flessibilità ed evoluzione delle funzioni di un 41 42 Si pensi alla città di Arcosanti di Paolo Soleri. Manfredo Tafuri, Francesco Dal Co: “Architettura Contemporanea” Edizioni Electa, Venezia 1976. La lettura che ne fanno i due autori è fortemente negativa: essi, infatti, leggono il fenomeno pop (“orgia anti-umanista” M.T. in: “Teorie e storia dell’Architettura” Laterza editori, Bari 1976) e radical come “orgia di superstrutture e fantasie grafiche che mal dissimulano un cinico sgomento…” in: Manfredo Tafuri, Francesco Dal Co: “Architettura Contemporanea” Edizioni Electa, Venezia 1976. 43 “Perché Archigram? Deriva dal desiderio originario di non creare una rivista regolare e prevedibile con un sacco di pagine e una copertina, quanto dal bisogno di lanciare, espellere (quasi) un oggetto che potesse esplodere nelle mani degli assistenti oppressi degli uffici di Londra e in quelle degli studenti di architettura. Un grosso poster, un collage di immagini, un pamphlet... qualsiasi cosa di cui ci fosse bisogno allora. Da qui il bisogno di un nome che assomigliasse a un messaggio, a qualche comunicazione astratta, a un telegramma, un aerogramma ecc. Il primo Archigram era un foglio, con alcune poesie di D. Greene. Dopo questo sfogo, che gli architetti senior presero per uno scherzo da studenti e che vendette solo trecento copie, tutti pensavano che Archigram sarebbe morto di morte naturale. Il numero seguente arrivò un anno (e tre concorsi) dopo. Molto più formale, con pagine, impaginati e rilegatura a graffette, raccoglieva progetti e scritti di diversi giovani architetti, non tutti simili, ma uniti nel presentare un punto di vista inedito. Oltre a noi di Archigram c’erano i Christian Weirdies (un gruppo medioevalista) e Cedric Price”. In: intervista a Peter Cook della rivista “Perspecta” di Yale; 1967. ambiente urbano, esprimendole nei linguaggi visivamente accattivanti della cultura dei media, cartoons fantascientifici, coloratissimi collages, riviste in cui gli scritti si intrecciano a raffigurazioni pop. Ciò che negli Archigram apparve particolarmente innovativo fu la consapevole trasformazione dell'architettura in immagini, la volontaria demistificazione del progetto come strumento di operatività dell'architettura, e in questa radicalità si proposero, per la prima volta in modo organico, come iniziatori, superando anche l'impostazione per esempio di Cedric Price il quale, pur fondando la sua progettazione su criteri di indeterminatezza, deperibilità e polifunzionalità dello spazio, aveva in fondo mantenuto una forma tradizionale di progetto che non sembrava ancora riflettere la consapevolezza della necessità di ‘contaminazione’ con altri strumenti e linguaggi di espressione”.44 Le immagini proposte in Living City e Living pod – 1966 - di David Greene , Plug-In City – 1964 -, Plug-in University Mode – 1965 – ed Instant city – 1969 – di Peter Cook, Walking City – 1960 – di Ron Herron - figure 29, 30, 31, 32 e 33 -45 sono provocazioni contro l’establishment del Movimento Moderno, che, superata la fase eroica ed usando una retorica ormai ufficiale, tradisce l’idea dell’”architettura come una disciplina aperta, il bisogno di leggere la città — o ciò che la sostituirà — non come una serie di semplici edifici, quanto come una serie di eventi intersecantesi all’infinito. E ancora: il bisogno di immaginare la progettazione di alloggi come estensioni dell’emancipazione umana, protesi per la sopravvivenza, e non semplici case”.46 "La capsula spaziale fu un'ispirazione da ogni punto di vista" scrive Peter Cook, "e mentre Plug-In City stava venendo sviluppata, divenne presto ovvio che questo tipo d'abitazione sarebbe stato l'ideale, incuneato e impilato in una struttura a torre. L'intera torre sarebbe stata organizzata per collocare gli elementi tramite una gru, e gli elementi obsoleti sarebbero stati aggiornati col progredire della tecnologia". L'arredamento sarebbe stato spartano, poco più di un letto, ma con ogni sorta di strumenti tecnologici e audiovisivi. Ancora su Plug-In City, Cook disse: "Finalmente gli edifici potranno diventare animali, con parti gonfiabili e tubi idraulici e un piccolo ed economico motore elettrico. Potranno crescere e rimpicciolirsi, diventare diversi, diventare migliori". Chi giudicava che le immagini delle architetture degli Archigram, metafore di figure tratte dal mondo tecnologico, restassero grandi utopie, lontane da qualsiasi ipotetica realtà costruita o costruibile, deve ora fare i conti con il contemporaneo: la fissità dell’architettura di pietra sta 44 45 In Gianni Pettina: “Radicals” all’indirizzo: http://www.giannipettena.it/radical/intro/centro.htm Il sito degli Archigram: http://www.archigram.net/index.html 46 intervista a Peter Cook della rivista “Perspecta” di Yale; 1967. Vedi anche: www.trax.it/peter_cook.htm lasciando il posto all’effimero e mobile, oltre che all’enfatizzazione del tecnologico, diventando carattere comune di grandi e piccoli edifici.47 Segnaliamo, infine, la ricerca curata dall’Architetto Franco Purini, nel Nuovo Padiglione Italiano delle Corderie, dal titolo: “Invito a Vema", presso la 10° Mostra Internazionale di Architettura a Venezia che è dedicata a Città, Architettura e Società.48 Purini, coadiuvato da venti giovani architetti, ipotizza una città di fondazione, nel territorio tra Verona e Mantova, all’incrocio del corridoio nord-sud, Berlino-Palermo, ed ovest-est, Lisbona-Kiev. Proprio come nelle città ideali, che abbiamo decritto precedentemente, si ripropone il paradigma di un modello urbanistico che ponga in essere rapporti chiusi di espansione territoriale, condizioni dimensionali e unità di vicinato dati da “rapporti organici tra architettura e città, senza mai più periferie”.49 CONCLUSIONI Nel breve excursus dell’Utopia,50 con citazioni di pochi esempi, ci interessava evidenziare quanto dello spazio reale fosse il frutto, anche, del pensiero laterale dell’utopia. Se l’utopia, infatti, già dalla sua stessa definizione di appartenenza, il non-luogo appunto, può sembrare solo esercitazione sovrastrutturale, spesso ha permesso di intravedere soluzioni articolate ai problemi urbani e sociali, proponendo modelli solutivi, soltanto ritardati o dilazionati in tempi successivi, nella prassi edilizia ed urbanistica. Paradossalmente gli elementi di frangia hanno potuto diventare, nelle epoche successive, figure centrali, nodi dello sviluppo; l’esempio dell’architettura di Le Corbusier è solo piccola cosa: tutto il Movimento Moderno deve qualcosa agli utopisti ottocenteschi, da Wright alle città satelliti inglesi degli anni sessanta, da Taut e May alle siedlungen, da Gropius a Leonidov, da Stirling ad Ambaz.51 La città ideale dell’Utopia è perfettamente assimilabile all’idea di Piano: la simulazione sinnica del piano si pone, come finalizzazione attuativa di programmazione e sviluppo, in tempi dilatati, non certo riconducibili alla materialità di un progetto edilizio, cristallizzando la città nel “ti con zero”, del qui ed ora, del quando il piano viene progettato. 47 È significativo che proprio gli Archigram siano i protagonisti, in questi primi anni del terzo millennio, sia dal punto di vista editoriale, per le numerose retrospettive, mostre e scritti ad essi dedicati, sia dal punto di vista progettuale, si pensi ad opere come il Landesmuseum Joanneum di Graz, in Austria, “l'oggetto alieno e panciuto” recentemente progettato da Peter Cook e Colin Fournier. 48 “Città, Architettura e Società” DVD a cura di floornature.com, testi e commenti di Ennio Chiggio con riprese di Ennio Chiggio e Alberta Ziche; Federico Motta Editore; Padova 2006. 49 Intervista a Franco Purini, in: “Città, Architettura e Società” DVD a cura di floornature.com, testi e commenti di Ennio Chiggio con riprese di Ennio Chiggio e Alberta Ziche; Federico Motta Editore; Padova 2006. 50 Senza alcuna pretesa di fini descrittivi precisi, di completezza storica o filologica. Le utopie delle città ideale, quanto il piano, sono fattori concorrenti allo sviluppo urbano che possiamo definire meta-ordinatori, perché assimilabili a forme di modelli; modelli carichi di valenza ideologica che non hanno potuto, e non possono, lasciare indifferenti coloro che hanno tentato di ordinare il processo urbano. Modelli carichi di valenze formali, che hanno strutturato le poetiche di generazioni di architetti. Usando una metafora mutuata della psicologia della Gestalt, possiamo definire l’Utopia lo sfondo da cui emerge la figura del reale, in un intervallo di risonanza che improvvisamente può permettere il virare dello sfondo con la figura e viceversa.52 La città attuale è frutto sia di una stratificazione materiale, che ideale ed ideologica. Certo i temi sono rapportabili tutti al Moderno, del tempo lineare e dello spazio euclideo. Condizioni, che, secondo Marshall Mcluhan, scaturiscono dalla rivoluzione dei caratteri mobili di Gutenberg: è il linearismo della scrittura fonetica che partecipa come elemento ordinatore di tutto il visivo; e il visivo, attraverso la consequenzialità delle proprie stringhe, si impone su il sistema olistico del pensiero prerinascimentale (con dominanza dell’uditivo), determinando un “universo raffigurato come un contenitore circoscritto in cui tutte le cose sono disposte secondo il punto di fuga, in un ordine geometrico lineare… Il potere dello spazio euclideo o visivo è tale che non possiamo considerare un cerchio senza farne la quadratura”.53 Spazio ordinato (euclideo) e tempo lineare (progressivo) che hanno avuto il loro paradigma massimo nell’Era delle Macchine (robotica e macchina dell’abitare). Conclusione del ciclo iniziato del pensiero rinascimentale, che poneva al centro dell’operare il mito del meccanismo perfetto. Ma si trattava ancora di un hardware: un pensiero che prevedeva una staticità dell’essere, anzi, una perennità del presente. A partire dalla rivoluzione microelettronica, della seconda metà del secolo scorso, con il PostModerno, la macchina perfetta (il Piano) si frantuma e/o miniaturizza; 54 la minaccia di una implosione dello spazio che abolisca l’esterno, il riempibile (per la gestalt: lo sfondo), diventa attuale e attuabile. 51 Non è certo questa l’occasione per comporre compiutamente questa relazione, già peraltro accertata da Manfredo Tafuri in: “Progetto e Utopia”. 52 “I termini di figura e sfondo furono presi in prestito dalla Gestalttheorie dal critico d’arte danese Edgar Rubin, che verso il 1915 circa cominciò a usarli per discutere i parametri della percezione visiva… Tutte le situazioni culturali sono composte da un’area di attenzione (figura) e un’area molto più vasta di disattenzione (sfondo). Le due sono in continuo stato di interazione conflittuale, mantenendo un confine, o separazione o intervallo, fra di loro che serve a definirle simultaneamente. Come nei dipinti di Van Gogh o nell’arte cloisonnée cinese, le figure emergono per poi riconfondersi nel contesto figurativo che contiene allo stesso modo tutte le altre figure (possibili).” In Marshall McLuhan – Bruce R. Powers: “Il Villaggio globale” Sugarco Edizioni; Milano 1998. 53 Marshall McLuhan – Bruce R. Powers: “Il Villaggio globale” Sugarco Edizioni; Milano 1998. L’hardware, lo spazio dell’occhio “dove ci può essere solo una cosa alla volta”, è sostituito dal software (il mobile, il programma, ma anche il simultaneo), lo spazio delle comunicazioni alla velocità della luce, dell’immagine; il doppio è ovunque. Di questo ci occuperemo nei prossimi moduli. 54 Si veda la lucidissima lettura del trend evolutivo della forma-stato e delle forme di cooperazione sociale, che Antonio Negri già delineava con estremo anticipo in “Crisi dello Stato-piano” Edizioni Feltrinelli; Milano 1974. Elenco immagini: Figura 0: Isola di Utopia. Figura 1: La torre della Piazza centrale di Sforzinda. Figura 2: Il Duomo - dal codice Magliabechiano. Figura 3: Ricostruzione in 3D di una porta delle mura della città di Sforzinda (computergrafica e lavoro congiunto di un gruppo di ragazzi dell'I.T.I.S. “Albert Einstein” di Roma, ritrovabile (come le altre immagini in 3D) all’indirizzo: http://www.romacivica.net/prog_scuole/einstein/materiali/). Figura 4: Ricostruzione in 3D della piazza centrale della città di Sforzinda Figura 5: Ricostruzione in 3D dello spazio antistante e del Duomo di Sforzinda. Figura 6: Altra veduta in 3D del Duomo di Sforzinda. Figura 7: Ricostruzione in 3D delle mura di Sforzinda. Figura 8: Ricostruzione in 3D del rapporto tra strada e canale navigabile in Sforzinda. Figura 9: I palazzi del “Potere” nella Piazza centrale di Sforzinda. Ricostruzione in 3D. Figura 10: Planimetria della Piazza del Duomo a Pienza (Corsignano): si evidenzia la costruzione prospettica eseguita da Bernardo Rossellino (allievo e collaboratore di Leon Battista Alberti) che, utilizzando caratteri stilistici albertiani, definisce lo spazio della piazza secondo i termini di rettificazione percettiva; in modo tale che l’osservatore posto a ridosso del palazzo pubblico (3), traguardando verso la cattedrale (1) veda i lati della piazza chiusi da Palazzo Piccolomini (2) e dal Palazzo Vescovile (4) paralleli anziché convergenti. Figura 11: L’Addizione Erculea, eseguita da Biagio Rossetti a Ferrara, pianifica lo sviluppo verso nord, rettificando il tracciato stradale medievale utilizzando il Corso Ercole 1° d’Este come nuovo cardo e Corso Porta Po come decumano. Figura 12: Il Palazzo Ducale di Urbino, progettato da Luciano Laurana e Francesco di Giorgio Martini, si impone come organismo unitario che si sviluppa secondo piazze quadrate. Figura 13: Leonardo da Vinci: Plastico urbanistico della città ideale, Milano, Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia. Figura 14: Leonardo da Vinci: Studi di organismi a pianta centrale; codice B. Figura 15: Leonardo da Vinci: Studi di struttura urbana; codice B. Figura 16: Leonardo da Vinci: Studi di struttura urbana; codice B. Figura 17: La Città del Sole, di Tommaso Campanella; ricostruzione planimetrica. Figura 18: Ricostruzione della “Nova Atlantis” di Francis Bacon. Figura 19: Un villaggio d’armonia e cooperazione; disegno allegato al piano esposto nel 1817 alla commissione londinese d’inchiesta sulla povertà. Figura 20: Il Falansterio di Fourier. Figura 21: Unité d’Habitation: rapporto dimensionale tra le diverse tipologie edilizie, con relativa morfologia urbana, della città moderna ; sulla sinistra è presente un inserto di città a blocchi (palazzi occupanti tutto il lotto edilizio), al centro un lacerto di sviluppo urbano a case monofamiliari e a destra la soluzione “ottimizzata” dell’Unité. Figura 22: Unité d’Habitation di Marsiglia durante la costruzione. Figura 23: Unité d’Habitation: disegno esplicitativo. Figura 24: Unité d’Habitation di Marsiglia: pianta e sezione del tetto terrazza. Figura 25: Ville Radieuse: visione d’insieme. Figura 26: Il Piano Obus per Algeri. La lunga strada che costeggia il mare è posta sul tetto di un edificio-città. Figura 27: Progetto B (1933) per Algeri: in primo piano il grattacielo sul porto che conclude la strada sospesa sulla casbah. Figure 28: Il Piano Obus per Algeri. Il fianco, con l’affaccio delle abitazioni, sul tetto delle quali è posta la strada. Figura 29: Plugincity. Figura 30: Walkingcity. Figura 31: Michael Webb: Cushicle, 1966. Figura 32: Michael Webb: Cushicle, 1966. Figura 33: Copertina della rivista: Archigram. Esercitazione modulo 3 1. Quali sono gli elementi che legano la città ideale a princìpi rinascimentali? 2. Si descrivano gli elementi significativi di Sforzinda. 3. Le città ideali ed utopiche sono, in genere, con un numero di abitanti aperto o chiuso? Perché? 4. Quali sono gli elementi che distinguono le utopie precedenti la rivoluzione industriale da quelle successive? 5. Quali sono i casi nei quali le utopie hanno ricercato una realizzazione? 6. A quale pensiero si rifà Le Corbusier nella progettazione dell’Unité? Con quali elementi distintivi? 7. Quale parte è più significativa nell’Unité? 8. Perché il Plan Ubus, si pone in modo nuovo rispetto alla Ville Radieuse? 9. Quali sono i presupposti ideologici degli Archigram? 10. Si citino, se esistono, utopie del contemporaneo, nelle quali sia evidenziatoli problema della città ideale. Esercizio per il forum modulo 3 Si ricerchi autonomamente una forma utopica di città ideale del Moderno, ritrovandone il materiale descrittivo cartografico.