21 dicembre 2012
«Ci stiamo avvicinando al 21 dicembre. La tensione è al massimo e molti gruppi fanatici invadono
le strade e pregano che l’Apocalisse riesca a curare i mali del pianeta. La situazione, secondo i
politici, sta diventando insostenibile e a breve si cercherà di mettere fine al fervore religioso di
questi ultimi tempi. Già dal mese di maggio, quando … »
La reporter parlava e le immagini delle manifestazioni mostravano il delirio apocalittico che aveva
invaso la gente. La donna teneva la sigaretta tra l’indice e il medio della mano sinistra. Prendeva
lunghe boccate e inondava la cucina di fumo. Si strinse nella vestaglia porpora quando il ragazzo
aprì la porta e creò una corrente fredda. Il figlio entrò nella stanza.
«Ciao, ma’. Che succede?» chiese il ragazzo. Si sedette affianco alla madre al tavolo circolare,
davanti ad una tazza di latte e cereali già pronta. Prese il cucchiaio e lo immerse nel liquido.
«Le persone sono impazzite. Ormai tutti pensano che sia arrivata la fine del mondo e manifestano.
Non dovrei neanche farti uscire con questi idioti per strada» disse la donna. Prese la sigaretta tra le
labbra e con le mani libere prese il giornale e indicò un articolo al figlio. «Guarda qua» disse con le
labbra strette. «Stanno pensando di farne una che parte da Bonaria e arriva fino a Piazza Matteotti.
Sono diventati assurdi!» si lamentò. Lasciò il giornale nelle mani del figlio e riprese a guardare il
telegiornale.
Riccardo lo lasciò sul tavolo e si concentrò sulla colazione. Mangiò tenendo gli occhi bassi,
rinchiuso nel suo mondo di storia e università. A breve avrebbe dovuto sostenere l’esame di Storia
Risorgimentale e il caos di quegli ultimi tempi non era d’aiuto. Le strade e le facoltà erano state
prese d’assalto dai manifestanti, religiosi e atei. Ognuno aveva il suo motivo per sollevare uno
striscione o un cartello e portarlo in giro per la città. Cagliari non era a rischio come altre metropoli.
A Roma la situazione era disastrosa. Il caos intorno al Vaticano era conosciuto in tutto il mondo.
Chi non poteva sostenere il pagamento per il pellegrinaggio, si riuniva nella grandi città, come New
York e Londra, insieme alle proprie comunità. Persino chi non credeva in Dio, manifestava la sua
paura per la fine del mondo. Rinomati professori apparivano in televisione per sostenere o smontare
le tesi apocalittiche.
Il ventuno era anche il giorno del suo esame. Si chiese se il suo professore sarebbe stato disponibile
per continuare gli appelli o si sarebbe defilato dai suoi impegni per oziare come la maggior parte dei
suoi colleghi. Aveva letto un annuncio appeso sullo studio del professore di Linguistica. “In ferie
per pellegrinaggio”. In principio aveva riso. Quando scoprì che quell’avviso aveva scatenato una
reazione a catena di assenze aveva iniziato a preoccuparsi. Se non avesse dato quell’esame, non
sarebbe riuscito a laurearsi in tempo per la fine dell’anno. Era stato tutto studiato con la massima
precisione. Più il tempo passava, più il delirio cresceva e più le sue aspettative andavano scemando.
«Oggi è venti, giusto?» chiese il ragazzo.
«Si. Domani hai l’esame vero? Sei pronto?» chiese la madre.
«Si. Spero solo che il professore non se ne fugga proprio all’ultimo momento» rispose Riccardo.
Finì la colazione e lasciò la cucina tra le urla dei manifestanti alla televisione.
La sua stanza era buia e sporca. In periodo d’esame nessuno poteva sistemare il suo disordine. La
tapparella era perennemente chiusa, compresa la porta finestra che dava su Piazza Garibaldi. La
scrivania era sommersa da appunti, fogli scribacchiati, libri e palline antistress. Il letto era coperto
di vestiti e altri libri che venivano riposti sulla sedia e sulla scrivania la notte. La luce bianca al neon
non illuminava abbastanza la scrivania ed era aiutata dalla lampada a luce calda affianco allo
schermo del PC. Il ragazzo era seduto sulla sedia con le ruote, i piedi appoggiati sulla scrivania, e la
matita tra le labbra. Teneva tra le mani il libro sul pensiero mazziniano, coperto da segni,
sottolineature rosse e blu e piccole annotazioni a lato. Il sole delle tre picchiava sulla sua finestra.
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La preoccupazione preesame saliva. I genitori erano usciti e aveva potuto mettere la musica ad alto
volume cercando un po’ di relax tra le note di Bach e Tchaikovskj.
Il cellulare suonò. La vibrazione catturò la sua attenzione. Accettò la chiamata premendo il pollice
sullo schermo.
«Ehi Ali, dimmi» disse il ragazzo.
«Devi venire subito in facoltà. Il professore ha deciso che interroga tutti oggi e domani se ne va in
ferie anche lui!» disse la ragazza.
Riccardo si alzò di scatto dalla sedia. «Stai scherzando vero?» disse lui.
«No, muoviti! Altrimenti dì addio alla laurea. Corri!» disse Alice. Chiuse la chiamata e il ragazzo
buttò il cellulare sul letto. Corse in bagno. Fece una doccia veloce e si mise una canadese e delle
scarpe da ginnastica. Aveva un aspetto orribile ma era l’ultima delle sue preoccupazioni. Si
catapultò fuori di casa senza chiudere a chiave la porta. Discese le scale di corsa e per poco non
scivolò sui gradini di marmo bianco. Uscì dal palazzo di Piazza Garibaldi e si mise a correre.
Aspettare un pullman sarebbe stato sciocco con quelle manifestazioni a bloccare il traffico. Pensò
che l’unica soluzione fosse correre, il più velocemente possibile, e raggiungere la facoltà in Piazza
d’Armi. Il solo pensiero di dover attraversare tutta quella strada gli fece venire un tremolio alle
gambe. Le sentiva molli, deboli. Strinse i denti e non si perse d’animo. Spintonò le persone in via
Garibaldi e in via Manno. Si sentiva come un ladro che fuggiva dalla polizia in mezzo alla folla,
come nei film.
Conosceva alcune scorciatoie tra le vie interne e le percorse tutte, una dopo l’altra. Saltò alcune
casse di un uomo apparentemente indiano, assicurandosi una buona dose di maledizioni nella sua
lingua madre. Arrivò in viale Buoncammino fradicio di sudore. Si fermò al semaforo e prese fiato.
L’aria fredda di dicembre entrò nei polmoni e li trafisse come tanti minuscoli aghi. Si resse sulle
ginocchia e cercò di non crollare sul marciapiede. Appena divenne verde, attraversò le strisce
pedonali a passo veloce e, una volta sull’altro lato della strada, riprese la sua folle corsa. Doveva
raggiungere il dipartimento di storia. Entrò nell’atrio della facoltà di Lettere e si precipitò sulla
destra dove, appena all’ingresso del corridoio, c’era l’ascensore. Spinse diverse volte il pulsante
pregando nella celere risposta dell’aggeggio metallico.
«Dai muoviti!» disse il ragazzo. Alcune ragazze passarono affianco a lui e risero. Scosse il capo e
mandò al diavolo l’ascensore. Si precipitò sulle scale; le percorse a due a due, ignorando l’odore di
chiuso della facoltà. Dopo i primi due piani, entrò nel corridoio sulla sinistra e percorse l’ultima
scalinata che portava al Dipartimento, una sorta di soffitta adibita a uffici. All’odore di chiuso si
aggiungevano la puzza di paura e sudore degli studenti che speravano di dare l’ultimo esame prima
della catastrofe. Era incredibile che, nonostante molti fossero convinti della fine del mondo, fossero
lì a dare l’esame. Se avesse creduto nelle predizioni dei Maya, se ne sarebbe andato a spassarsela
per l’ultima volta, non si sarebbe rinchiuso dentro quelle quattro mura a soffrire per il sadismo dei
professori. Raggiunse lo studio del professore di storia risorgimentale e la fila era di sole quattro
persone, Alice compresa.
Lei si avvicinò mentre il ragazzo si appoggiò alla parete per prendere fiato. «Ma cosa hai fatto?»
«Mi avevi detto di correre … » disse il ragazzo. Abbozzò un sorriso che scomparve poco dopo. Si
piegò sulle ginocchia e cercò di recuperare il fiato perduto.
«Sei venuto qui correndo?» chiese la ragazza.
«Si»
«Da casa tua?!»
«Si, perché? Pensavi che non ne fossi capace?» chiese il ragazzo.
«Ma è lontanissima!» ribadì la ragazza.
«I miei polmoni e la mia milza se ne sono accorti … sta tranquilla» rispose il ragazzo. Alzò lo
sguardo e vide il volto della ragazza. Gli occhi castani da cerbiatto lo colpirono come la prima volta
che si erano conosciuti a lezione di letteratura. Da quel giorno si fece sempre più insistente il
desiderio di passare le dita tra i suoi capelli mossi, magari seduto sul divano, abbracciati nell’intento
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di guardare un film. Evitò di pensare al suo corpo, magro e sodo nei punti giusti. Spostò la sua
mente sull’esame. «Sei sicura che mi interrogherà?»
«Si, ha detto che avrebbe interrogato tutti oggi, se fosse stato possibile. Tu ci sei, quindi suppongo
di si» disse la ragazza.
«Speriamo bene» concluse il ragazzo.
Si sedette sul pavimento rosso argilla, in mezzo alla polvere e alla sporcizia, in attesa di essere
chiamato nello studio. La ragazza era appoggiata alla parete con il manuale tra le mani. Riccardo
rimase ad osservare le sue labbra e i suoi occhi per diverso tempo, catturato da fantasie di
innamoramenti e di baci appassionati di fronte ad un bel panorama. Allo stesso tempo ricacciava
indietro le sue fantasie più spinte e qualunque desiderio che non fosse prettamente romantico.
Continuava a ripetersi che non era il momento adatto, che doveva pensare all’esame. Eppure non
riusciva ad allontanare gli occhi dalla ragazza, troppo presa dal ripasso per accorgersene. Uno per
uno vennero chiamati i suoi colleghi. Chi usciva con un trenta, chi se ne andava insoddisfatto.
Venne il turno della ragazza e le augurò buona fortuna.
Non ebbe il coraggio di controllare come stesse andando l’esame. La porta aperta invogliava i suoi
colleghi a dare un’occhiata. Lui rimase appoggiato alla parete con il libro della ragazza tra le mani.
Appena pensò di sfogliarlo e ripassare, un forte senso di nausea emerse e decise di lasciar perdere.
Batteva il piede destro in preda all’ansia preesame. Si era dimenticato di prendere la valeriana prima
della folle corsa e in quel momento sarebbe stata perfetta per superare il momento di difficoltà.
Nell’andito c’era un silenzio di tomba. In mezzo agli armadi che davano un senso di vecchio all’ala,
e non antico come molti pensavano quando il ragazzo descriveva loro l’ambiente, c’erano diverse
persone con i libri o gli appunti tra le mani. Il più fastidioso era un ragazzo con i capelli ricci e
lunghi che ripeteva a bassa voce la lezione del professore di storia romana. Il continuo ripetere di
nomi di Imperatori e leggi infastidì il ragazzo al punto da lanciargli un’occhiata carica d’odio. Il
ragazzo non se ne accorse ma Riccardo gli augurò più di una disgrazia.
La ragazza uscì dopo una quarantina di minuti con il sorriso stampato sul volto. Il ragazzo si alzò in
piedi.
«Allora?» chiese alla ragazza.
«Ventinove! Sono troppo contenta!» replicò Alice.
«Sono davvero felice per te. Tocca a me ora?» cambiò argomento.
«Si, vai, ti sta aspettando» disse la ragazza.
Era giunto il momento. Attraversò la porta ed entrò nello studio del professore. Era un uomo
giovane, sulla quarantina, con i capelli neri e folti ordinati, il viso pulito e gli occhialini da lettura
con la cordicella. Stava finendo di firmare alcuni documenti quando notò il ragazzo sulla porta.
«Prego, si accomodi» disse il professore. Si alzò in piedi e tese la mano al ragazzo. Era appena
diventato professore dopo il pensionamento del signor Zabrini a settembre.
«Buongiorno professore» ribatté il ragazzo. Strinse la mano dell’uomo. Diede una stretta energica
perché in alcuni libri aveva letto che dimostrava sicurezza all’altra persona. Sperò che la prima
impressione fosse abbastanza “sicura”.
«Si sieda e iniziamo. Vorrei finire e lasciarvi in pace fino all’anno prossimo» disse il professore.
«Mia moglie è fissata con questa storia del ventuno dicembre e mi tocca tornare a casa e farle
compagnia. Non vorrei che fosse presa da qualche delirante febbre religiosa proprio nelle ultime
ore»
Il ragazzo annuì. Si sedette con la schiena eretta e le gambe strette tra loro. Le mani erano
appoggiate sulle ginocchia. Era rigido.
L’esame andò piuttosto bene. Riuscì a rispondere e ogni volta che aveva un cedimento a causa
dell’ansia, il professore gli tendeva un bicchiere d’acqua e lo invitava a rilassarsi. Delle cinque
domande che il signor Gorgetti gli aveva posto, era riuscito a rispondere a quattro di esse e si
dimostrò titubante sull’ultima. Con il sorriso sulle labbra, il professore scrisse su di un foglio di
carta un numero. Lo avvicinò al ragazzo.
«Che ne pensa?»
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Il ragazzo abbassò lo sguardo sul foglietto. C’era scritto ventinove. Resistette all’impulso di
sorridere come un ebete. Prese un lungo respiro e si limitò ad annuire.
«Perfetto. Sono sicuro che potrebbe rendere da trenta» disse il professore. Prese il libretto e il
registro. «Anche io, quando ero più giovane, soffrivo dello stesso problema. L’ansia è una
bruttissima cosa, le consiglio di trovare uno specialista che la aiuti a superarla. Sono sicuro che si
accorgerà del miglioramento della sua situazione in ogni ambito. Dalla sfera personale a quella
lavorativa»
Compilò il registro e il libretto universitario. Mise una firma veloce con la penna stilografica della
Mont Blanc e licenziò il ragazzo con un sorriso. Riccardo uscì dallo studio ancora incredulo. La
ragazza si avvicinò non appena uscì dalla stanza.
«Beh, allora?» chiese Alice.
Riccardo non disse niente. Prese le mani della ragazza e sorrise. Iniziò a saltare e ridere. Tutti
spostarono lo sguardo su di lui ma cosa gli importava? Aveva dato l’ultimo esame e a breve si
sarebbe laureato. Ormai aveva superato l’ultimo ostacolo e sentiva la libertà mettergli le ali. Si
abbracciarono e iniziarono a saltare insieme nell’euforia del momento. Ce l’aveva fatta.
La sera arrivò presto. Riccardo e Alice decisero di uscire e bersi una birra allo Smile In, un locale
aperto da poco da un ragazzo con la barba e gli occhiali, muscoloso, sempre presente dietro il
bancone. Tutti coloro che oltrepassavano la porta di quel locale, lo conoscevano come John, ma in
realtà nessuno sapeva il suo vero nome. Nonostante l’aspetto barbaro, avevo un ottimo gusto
nell’arredamento e nel vestiario. Portava sempre camicie e pantaloni di ottima fattura, abbinate ai
mocassini e al colore degli occhiali da vista. Il locale profumava di incenso alla vaniglia ma non
tanto da nauseare le persone più sensibili. Era leggero, così la fragranza dei fiori che sistemava sulle
pareti nere e bianche. I tavoli, sistemati nell’ampia sala principale, erano di metallo e in alcuni
angoli del locale aveva sistemato dei comodi divanetti neri. Il bancone era alla destra dell’entrata,
dove l’onnipresente John aiutava e faceva compagnia al Barman, un ragazzo biondo e magro, che le
ragazze trovavano molto avvenente. Le due cameriere erano bellissime, vestite in maniera elegante
e semplice. Portavano sul taschino della camicia nera uno smile giallo, affianco alla cravatta rossa.
Erano molto cordiali con tutti e nessuno si era mai lamentato del servizio.
Quella sera decisero di sedersi al bancone, insieme a John. Il proprietario diede al barista il compito
di preparare i due Apple Martini per i suoi ospiti.
«Allora, come sono andati i vostri esami?» chiese John. La sua voce, bassa e calma, rilassò
all’istante i due ragazzi. Aveva una sorta di potere. I suoi modi riuscivano a dare un senso di relax a
chiunque lo conoscesse.
«Benissimo. Ventinove ad entrambi!» rispose Alice.
«Sono davvero felice per voi» rispose il ragazzo. «Non so come avete fatto a resistere lì dentro. Io
mi sono laureato ma con una fatica che neanche immaginate!»
«Beh, tu però hai aperto un locale, l’hai costruito da zero e ora fai un sacco di soldi. E tutto mentre
studiavi!» ribatté Riccardo.
«Quella è pura fortuna, te lo dico io» rispose John.
«Intanto però ci sei riuscito» disse Alice. Aveva una cotta per il ragazzo. Riccardo se ne accorse già
ad Aprile, quando avevano iniziato a frequentare lo Smile. Il suo sguardo tradiva i suoi sentimenti
per John. Lo studiava e a volte lo provocava con allusioni e sguardi carichi di malizia. Persino la
maniera in cui stringeva la cannuccia tra le labbra, in sua presenza, era equivoca. Il ragazzo si morse
il labbro e volse lo sguardo altrove. Alice si stava preparando all’ennesimo assalto.
«Fortuna. Penso che sia molto più lodevole il vostro voto. Godetevi i cocktail. Quelli sono in
omaggio. Avete intenzione di festeggiare alla grande oggi?» chiese a Riccardo.
«Beh, ci stavamo pensando» rispose.
«Bene, allora ogni volta che volete ordinare, chiedete a me direttamente. Sarò buono con i prezzi»
rispose John. Fece l’occhiolino al ragazzo e scomparve dietro la porta della cucina. Una ragazza
bionda, una delle clienti fisse del locale, si avvicinò al bancone e attese il ritorno del proprietario
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con uno scontrino in mano. Era piccola e magra, con il seno piatto e una giacca da uomo. Non un
filo di trucco ma la pelle candida e i lineamenti delicati non avevano bisogno di artifici. Si girò
verso i due ragazzi.
«Avete visto John?» chiese la ragazza. Aveva una voce molto delicata, sembrava uscita da un
cartone animato.
«Si, è entrato in cucina» disse Riccardo.
Alice avvicinò le labbra all’orecchio del ragazzo. Per un attimo sfiorò la pelle di Riccardo. Un
brivido gli percorse la schiena. «Perché non ci provi? È così carina … » disse la ragazza.
Il ragazzo sospirò. «No, voglio solo festeggiare oggi» rispose.
John uscì dalla cucina. Gli occhi della ragazza misteriosa parvero luccicare. Gli porse lo scontrino.
«Daaaaaai, non mi fare aspettare! Sono qui per pochi giorni, voglio bere tutto quello che voglio!
Non mi rallentare!» diceva la ragazza.
«Hai preso alle palle, Fragolina Americana» rispose John con un sorriso. Prese lo scontrino e lo
strappò. «Ehi, fai subito un Cesar alla ragazza!» disse al Barman.
«Ecco, bravo! Ma non sarai un po’ troppo cattivo con lui?» disse. Alzò il dito indice verso il
barman. Portava un piccolo anello d’oro bianco, così pensava Riccardo. Sembrava una fede nuziale,
molto fine ed elegante, con una piccola incisione che il ragazzo non riuscì a decifrare.
«No, per niente» rispose John. «Diana, questi sono Alice e Riccardo. Sono amici». Con la mano
indicò i due ragazzi al bancone.
La ragazza sorrise ad entrambi e porse la mano destra. «Piacere, mi chiamo Diana. Sono una
vecchia amica di M … John». Strinse la mano ad entrambi. Riccardo pensò che sapesse il vero
nome del proprietario. Si era fermata in tempo e, in cuor suo, il ragazzo si sentì deluso. Sarebbe
stata una notizia tale da fargli dimenticare i suoi sentimenti per Alice, almeno per qualche ora.
«Molto piacere» rispose Riccardo e così la sua amica. «Conosci da molto John? Magari sai anche il
suo vero nome?» azzardò il ragazzo.
«Mi conosce da parecchio» rispose il proprietario. «Ragazzi, perché non bevete i vostri cocktail e
non la smettete di fare domande inutili? Giuro che mi dimentico la mia promessa per il
festeggiamento».
Mise sul bancone il cocktail che aveva ordinato Diana. Lo prese e si allontanò verso il suo tavolo.
Riccardo la seguì con lo sguardo e notò che il televisore, sempre spento da quando conosceva lo
Smile, era acceso. Era sintonizzata sul canale del telegiornale ventiquattro ore su ventiquattro.
Vedeva le immagini delle manifestazioni di varie città, tra cui Roma. Il Papa Giovanni Paolo III
aveva cercato di sedare il fervore religioso ma aveva peggiorato la situazione. Alcuni integralisti
avevano accusato il Papa di essere un servo del diavolo che voleva allontanarli dalla giusta via del
Giudizio Universale. C’erano stati degli scontri a San Pietro, sedati duramente dalla polizia. Le
immagini riprendevano proprio la rivolta.
«Come mai hai la televisione accesa?» chiese il ragazzo.
«Perché me l’hanno chiesto la maggior parte dei clienti. E siccome vorrei sapere se succederà
davvero qualcosa, ho deciso di acconsentire» rispose John.
«Credi nella fine del mondo?» chiese Alice incredula.
«No, ma se buttano giù il Vaticano o il Pentagono, vorrei vederlo in diretta. Se ci fossero scontri
previsti a Cagliari, potrei chiudere il locale e dare protezione a voi bimbi sperduti» rispose il
ragazzo.
«Sei diventato Peter Pan?» rispose la ragazza.
«Una specie»
La serata continuò indisturbata. Alice e Riccardo parlarono tra loro e dei piani dopo la laurea.
Entrambi volevano continuare gli studi fuori Sardegna, ma in facoltà differenti. Alice voleva
lasciare l’ambito letterario e darsi a qualcosa di più tecnico. La sua idea di entrare alla facoltà di
Chimica o Fisica era impensabile per Riccardo. Lui voleva proseguire gli studi storici, soprattutto
del mondo orientale. Avrebbero studiato in due città differenti. Il solo pensiero di non poterla più
vedere senza neanche dirle cosa provava per lei gli fece aumentare il battito del cuore. L’alcool che
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aveva bevuto fino a quel momento raggiunse il cervello. Si sentiva più leggero. Aveva la gola secca
e aveva difficoltà a respirare. Voleva dirle la verità ma qualcuno aprì la porta del locale di scatto,
facendola sbattere sulla parete. John era pronto ad imprecare. L’uomo lo anticipò.
«Venite a vedere il cielo! È pazzesco!» urlò. Uscì con la stessa fretta con cui era entrato.
Le persone iniziarono a lasciare il locale, John compreso. Uscirono tutti in strada, in mezzo alla
folla, occupando completamente il Corso Vittorio Emanuele. Alcuni non riuscirono ad uscire dallo
Smile. Volsero lo sguardo al cielo.
«Oh mio Dio … » sussurrò Alice.
Le stelle brillavano come i diamanti che si vedono nelle vetrine delle gioiellerie. Le luci della città
non riuscivano a nascondere la loro bellezza. Le costellazioni sembravano vegliare sulla
popolazione. Alcune persone iniziarono a piangere di gioia, altre predicavano l’arrivo di Dio. Era
una situazione assurda e, dall’alto delle sue effimere conoscenze astronomiche, non riuscì a trovare
una sola ragione plausibile per un simile fenomeno. Era lì, impotente di fronte alla bellezza del
firmamento, convinto fino a qualche secondo prima che le luci della civiltà avrebbero nascosto per
sempre la luminosità delle stelle. Ma non era che l’inizio di quello strano fenomeno.
Una nuvola nera prese a vorticare in mezzo al cielo. Iniziò a crescere e a nascondere quello
spettacolo che l’universo stava mostrando alla popolazione cagliaritana. In meno di un minuto tutto
il cielo calò nell’oscurità. I fulmini attraversavano la nube e illuminavano l’orizzonte. Nessuno osò
emettere un suono. Il silenzio governava le strade più frequentate del centro cagliaritano. Nessuno
riusciva a distogliere lo sguardo. Fu la voce del reporter a chiamare alla realtà i più vicini allo
Smile. Qualcuno aveva preso il telecomando e aveva aumentato il volume della trasmissione.
«Signori, dalla redazione mi informano … » persino la sua voce era rotta dall’emozione. La paura
bloccava le sue parole. Il ragazzo poté solo immaginare la sensazione che provava il reporter nel
parlare al microfono di fronte a quell’evento. « … che in tutte le capitali, e non solo, si registrano
queste strane nuvole. Io non so che dire. Se questa è la fine della nostra esistenza, spero che Dio ci
perdoni per i nostri peccati perché l’umanità ne ha commesso fin troppi. Chiedete perdono al
Signore prima che sia troppo tardi … »
Le lacrime offuscarono la vista di Riccardo. Passò il palmo della mano sugli occhi ma non riuscì a
fermarle. Le guance si inumidirono in fretta e Alice stava facendo altrettanto. Si strinse sul braccio
del ragazzo. Gli passò il braccio sulle spalle e la abbracciò.
«Ho paura … » sussurrò la ragazza.
«Anche io … » dovette ammettere Riccardo.
Alzò lo sguardo al cielo un’ultima volta, pensava lui. La voce del reporter smise di risuonare nella
via. Sentiva qualcuno pronunciare preghiere in latino, altri in arabo. E come erano comparse, le
nubi si diradarono riportando il cielo terrestre alla normalità. Scomparvero in meno di dieci secondi.
Ci fu un minuto di silenzio. Tutti attendevano un altro evento eccezionale, qualcosa che potesse
spiegare quello strano fenomeno. Il ragazzo strinse la ragazza più forte, come se la volesse
proteggere da un pericolo imminente, stropicciando il suo vestito nero.
«Siamo salvi!!!» urlò un uomo in giacca e cravatta.
Tutti iniziarono ad urlare e saltare in preda all’euforia. Vide John rientrare in fretta nel locale e
spegnere la Tv. Senza accorgersene stavano urlando anche lui e Alice. Si tenevano per mano e
saltavano insieme a tutti coloro che erano usciti nel Corso. Abbracciò un signore pelato e una
ragazza che non aveva mai visto prima. Una donna prese il suo viso tra le mani e gli diede un bacio
sulle labbra. Sentì le sue dischiudersi e, sotto effetto alcolico, non riuscì a opporsi. Si lasciò andare
tra le braccia della sconosciuta.
Rientrarono dopo una decina di minuti. John aveva offerto un giro di birra a tutto il locale. Alice e
Riccardo non si erano tirati indietro. Avevano stretto il manico del boccale e avevano iniziato a bere
alla salute del proprietario magnanimo, come tutti i clienti del locale.
«Cavolo, mi sono proprio spaventato … » disse Riccardo.
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«Già, anche io» rispose la ragazza. «Meno male che non è successo niente. Non voglio morire
prima di parlare con John» sussurrò Alice.
Il cuore del ragazzo si spezzò per l’ennesima volta. Portò alle labbra il boccale e prese un lungo
sorso di birra. Una goccia colò lungo il collo. Si pulì con un fazzolettino di carta mentre la ragazza
aveva posato gli occhi su John. Strinse i denti, la rabbia stava prendendo il sopravvento. Avrebbe
voluto dimostrare che quell’uomo non era che un impostore, diventare l’eroe agli occhi della
ragazza e farla innamorare di sé. Avrebbe voluto dimostrarle il suo valore e divenire come il
cavaliere di una fiaba, quelle che andavano tanto di moda un tempo. Sentì affiorare le lacrime e le
ricacciò indietro prima che fosse troppo tardi. Prese un lungo respiro e si girò in direzione del
televisore spento.
La vorresti tutta per te?
Si girò di scatto verso John.
«Ehi, tutto ok?» chiese Alice. «Sei pallido … »
Non ti piacerebbe averla? Possederla anima e corpo? Io posso soddisfare i tuoi bisogni …
La voce nella sua testa si fece più forte, più reale. Era profonda, multipla. Era come ascoltare un
coro di donne e uomini parlare all’unisono. Si alzò dallo sgabello ma inciampò e cadde con il sedere
sul pavimento. Cercò la fonte della voce. Non riusciva a trovarla. Alice si alzò e corse verso di lui,
mentre tutti osservavano incuriositi la scena. Quando la ragazza si piegò per dargli la mano, vide il
seno attraverso la scollatura.
So che la desideri. Abbracciami come tuo compagno e lei sarà tua, ora.
La sua virilità prese vigore. Cercò di voltarsi e scappare ma inciampò ancora e andò a sbattere la
testa sulla parete. John aveva già saltato il bancone. Sentì qualcuno gridare il numero
dell’ambulanza. Vide tutto sfuocato. Alice che cercava di parlargli ma lui non sentiva più nulla.
Udiva solo l’eco della voce sconosciuta.
La vuoi?
Si …
Abbracciami …
Come devo fare?
Lo hai già fatto …
Si lanciò sulla ragazza. Sentì le grida di una donna che era seduta vicino a loro. Cosa stava facendo?
Guardò la sua mano e la pelle era diventata violacea. La bava gli usciva dalle labbra e non riusciva a
fermarla. La vista si oscurò, perse i colori lasciando solo poche sfumature in bianco e nero. Sentì il
profumo del corpo di Alice e cercò di strapparle i vestiti mentre lei si dimenava e si proteggeva.
John si avvicinò per aiutarla e Riccardo gli diede un’artigliata con le sue nuove armi. Lo ricacciò
dietro il bancone mandandolo a sbattere contro la mensola dei vini. Il colpo fu tanto forte da
mandare in frantumi la bacheca intera. Le bottiglie esplosero in mille pezzi.
Le grida della ragazza erano inutili. La sua nuova forza gli permise di strapparle di dosso il vestito
nero. Qualcuno alle sue spalle cercò di bloccargli il braccio. Gli bastò un semplice movimento per
scagliarlo sulla parete. Chi urlava e chi scappava, ma nessuno aveva il coraggio di interferire.
Avevano paura, poteva fiutarla nell’aria.
La ragazza piangeva e lui non sentiva alcun rimorso. Nella sua mente, la voce continuava a
spingerlo alla violenza. Gli ripeteva di graffiarla, morderla, cibarsi della sua anima attraverso l’atto
sessuale. La frenesia cresceva e si strappò di dosso gli abiti. Il braccio, benché non fosse mai stato
robusto, era diventato ancora più magro. Riusciva a vedere i tendini e le ossa. Le dita della mano si
erano allungate e le unghie erano diventate armi d’acciaio che potevano squartare un uomo con un
sol colpo. Si sentiva potente, divino.
Un click sospetto catturò la sua attenzione. Alzò lo sguardo e vide John che gli puntava un fucile a
canne mozze. Aveva il corpo pieno di sangue. Avvicinò la canna al volto di Riccardo.
Nooooooooooooooooooooooooooooooo!
Urlò la voce nella sua mente. Un altro click e tutto divenne buio …
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