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zione comune in Europa e tra l’Europa e
gli Stati Uniti dentro il quadro delle Nazioni Unite e riteniamo la dottrina dell’azione preventiva un tragico errore.
Riteniamo l’imminente guerra in Iraq
un tragico sbaglio in sé, per le sue conseguenze immediate (la guerra non è un
film, come sanno le generazioni che ne
hanno memoria diretta, e come sa il
Pontefice, che ha accentrato su tale tema
il suo ultimo, drammatico appello) e per le
sue conseguenze di lungo periodo. Dalla
possibilità di costruire un nuovo e migliore
ordine internazionale all’indomani della
tragedia del crollo delle Twin Towers ci
siamo avvitati in una crisi che ci pone
davanti ad un scenario ignoto e terribile.
Cito testualmente: « alla Gran Bretagna
si chiede di imbarcarsi in una guerra che
non riscuote l’approvazione di alcuno degli
organismi internazionali in cui rivestiamo
un ruolo di primissimo piano. Venirsi a
trovare in una posizione di tale isolamento
diplomatico significa aver compiuto un
grande passo indietro. Solo un anno fa,
noi e gli Stati Uniti eravamo parti di una
coalizione cosı̀ larga e differenziata da
essere inimmaginabile prima. La storia
resterà attonita davanti ai gravissimi errori diplomatici che hanno condotto cosı̀
rapidamente alla disintegrazione di una
coalizione cosı̀ potente. La Gran Bretagna
non è una superpotenza: per tale motivo
non sarà un’iniziativa unilaterale a tutelare al meglio i nostri interessi, bensı̀ un
accordo multilaterale ed un ordine mondiale subordinato a precise regole. Eppure,
oggi, le partnership internazionali per noi
più importanti risultano indebolite. Sono
questi gli effetti disastrosi di una guerra di
cui non è stato ancora sparato il primo
colpo ». Come capite, sono le parole pronunciate ieri dal dimissionario Robin Cook
alla Camera dei comuni. Non certo per un
criterio di vicinanza politica direi che non
ho altro da aggiungere, se non sostituire il
termine « Gran Bretagna » con la parola
« Italia ».
Vorrei, invece, aggiungere altre considerazioni. Noi siamo quelli che, più di
altri, in questi sette mesi, hanno battuto
ripetutamente sul tema « Nazioni Unite e
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Unione europea », sottolineando in ogni
circostanza che la costruzione di un sistema di regole valide per disciplinare la
questione irachena e per prevenire nuovi
conflitti era la priorità assoluta. Lo abbiamo detto poiché ciò che ci spaventava
e ci spaventa di più del disordine mondiale
imminente è l’assenza di un disegno e di
una bussola per poterci orientare. Lo
abbiamo detto poiché in un mondo in cui
ciascuno, grande o piccolo che sia, crea la
propria regola, stabilisce i propri obiettivi
ed interessi ed agisce di conseguenza, è un
mondo drammaticamente più insicuro.
Allora, oggi dobbiamo tirare le conseguenze di quell’impostazione e, pertanto,
argomenterò rapidamente due conseguenze ed un giudizio politico. In primo
luogo, questo intervento avviene fuori dal
quadro della legalità internazionale; questo intervento non si svolge sotto l’egida
delle Nazioni Unite. Gli Stati Uniti hanno
ritirato un’ipotesi di seconda risoluzione al
Consiglio di Sicurezza non solo poiché
andavano incontro ad un probabile uso
congiunto del diritto di veto da parte della
Francia e, forse, di Russia e Cina, ma
anche poiché non sono stati in grado, pur
ricorrendo al soft power della persuasione
diplomatica, di traghettare la maggioranza
dei membri del Consiglio. I paragrafi 4 ed
11 della risoluzione n. 1441 imponevano
un secondo passaggio davanti al Consiglio
di Sicurezza (basta leggerli).
Pertanto, quando il Presidente del Consiglio ci viene a raccontare che la risoluzione n. 1441 è in sé sufficiente e, meno
che mai, cerca dimostrarci che la base di
legittimazione può essere rinvenuta nella
violazione del cessate il fuoco di 12 anni
fa, siamo al ridicolo: dopo il Presidente
operaio ci toccherebbe pure il Presidente
Segretario generale delle Nazioni Unite
che ci fornisce l’interpretazione autentica
di ciò che si fa al Palazzo di vetro.
Questo intervento non è deciso all’interno della cornice Nato, che non ha
stabilito alcunché nel suo Consiglio. Questo intervento non è sostenuto ed approvato politicamente dall’Unione europea,
che lo ha contestato a larga maggioranza
nel Parlamento europeo e che si è divisa
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aspramente a livello del Consiglio europeo.
Questo intervento non è necessitato da
alcuna emergenza o catastrofe imminente.
L’ultimatum lanciato dalle Azzorre al
regime di Saddam disvela ufficialmente un
obiettivo, il cambio di regime, che non è
contemplato in alcun documento degli organismi internazionali, interrompe il processo di distruzione degli armamenti avviato con successo dagli ispettori, avvita la
comunità internazionale in una difficile
crisi di rapporti, poiché quando la potenza
divorzia dalla saggezza, il mondo non ha
niente di buono da attendersi.
Dunque, lo ripeto, siamo davanti ad un
intervento militare privo di legittimità giuridica internazionale. Da questa prima
conseguenza ne discende automaticamente
una seconda: l’articolo 11 della nostra
Costituzione, in lettura congiunta con i
principali strumenti pattizi di cui il nostro
paese è parte (Carta delle Nazioni Unite e
Trattati europei), stabilisce i confini non
opinabili all’interno dei quali un Governo
e un Parlamento possono muoversi.
Siamo consapevoli che, qualora l’ONU
avesse approvato un intervento militare
contro l’Iraq, si sarebbe aperto un dibattito complesso sul merito della questione,
sulla giustezza e sull’opportunità politica e
geostrategica di un intervento militare, che
sarebbe stato, però, legittimo sul piano del
diritto.
Inoltre, perché resti agli atti di questa
Camera, quando giudicheremo il lavoro
della Convenzione europea, siamo tra coloro che non protesterebbero se tutti insieme decidessimo di condividere questa
sfera della sovranità nazionale a livello
comunitario, adottando procedure e strumenti cogenti nell’adozione di una politica
estera di difesa comune europea. Non ci
stracceremmo le vesti nemmeno in quei
casi in cui fossimo eventuale minoranza,
poiché le grandi costruzioni sono fatte
anche di rinunce. Tuttavia, cosı̀ non è
stato.
Allora, quell’articolo 11 che ripudia la
guerra come mezzo di risoluzione delle
controversie e che accetta limitazioni solo
in condizioni di parità e se provenienti
dagli organismi internazionali che ho ri-
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chiamato, ci proibisce di fornire ogni supporto politico, militare e logistico a questa
guerra.
Signor Presidente del Consiglio, lei poteva dire « no » alla guerra e « sı̀ » alle basi,
come hanno fatto Francia e Germania
sulla base di diversi accordi bilaterali;
poteva dire « sı̀ » alla guerra e « sı̀ » alle
basi, come hanno deciso altri. Noi volevamo sentirle dire « no » alla guerra e
« no » alle basi. Invece, lei ci ha detto, con
grondante retorica, « sı̀ » alla guerra, ma
poi ci ha detto « boh » alle basi, dato che
ha dovuto o ha finto di dover tener conto
dei vincoli che le sono stati posti.
Ci siamo affidati ad un sistema di
regole nazionali ed internazionali anche
laddove queste ci avessero costretto ad
una difficile scelta. Oggi, però, siamo qui
a trarne tutte le conseguenze ed invitiamo
il Governo a fare la stessa cosa. La lettura
completa dell’articolo 11 è un argomento
tanto semplice quanto privo di eccezioni
possibili.
PRESIDENTE. Onorevole Pistelli...
LAPO PISTELLI. Termino con un giudizio politico inevitabilmente aspro. In un
tempo in cui tutto cambia non è detto a
priori che la continuità della politica
estera sia un valore in sé. La bontà di una
scelta di continuità va argomentata, cosı̀
come va argomentato un cambio di impostazione. Riteniamo che la conduzione
della politica internazionale del nostro
paese sia stata di livello bassissimo non
solo per le scelte di merito compiute fin da
prima dell’inizio formale di questa crisi
che hanno – altro che continuità ! – rotto
un filo durato cinquant’anni, ma per un
metodo che non esito a definire indecente.
Il Presidente del Consiglio lo ha confermato anche stamani con un intervento
stupidamente aggressivo verso l’opposizione e di un livello francamente imbarazzante, stretto fra le conversioni recenti
di Alleanza nazionale, l’euroscetticismo
della Lega, l’eurocontinuità dell’UDC...
PRESIDENTE. Onorevole Pistelli, deve
veramente concludere.
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LAPO PISTELLI. Il Governo ha perseguito una linea che è andata avanti ed
indietro con una sequela di furbizie,
mezze ammissioni, slanci in avanti corretti
da corrucciate preoccupazioni. Sarebbero
basate altre due porte, signor Presidente, e
saremmo stati davanti ad un perfetto ma
tragico tracciato di slalom speciale.
Siamo contrari a questa guerra che era
ingiusta ed oggi è pure illegittima. Perciò,
chiediamo al Governo di non fornire supporti politici, militari e logistici che coinvolgano il nostro paese in un’avventura
sbagliata e pericolosa (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-l’Ulivo
e dei Democratici di sinistra-l’Ulivo – Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare
l’onorevole Fiori. Ne ha facoltà. Onorevole
Fiori, le ricordo che parla a titolo personale, quindi le raccomando il rispetto dei
tempi.
PUBLIO FIORI. Signor Presidente,
quando l’azione politica, come in questo
caso, incrocia principi etici e morali cosı̀
rilevanti, la responsabilità dei cattolici impegnati in politica si fa più alta e più forte.
Bisogna scegliere perché, al di là del
consueto tergiversare di carattere politico,
in questo caso ci si deve collocare.
Non voglio assolutamente esprimere
giudizi, non voglio giudicare i comportamenti di altri colleghi, anche loro di ispirazione cattolica, che prenderanno altre
strade. Voglio soltanto spiegare il motivo
del mio dissenso e perché questa comunicazione del Governo non potrà avere il
mio consenso.
Non condivido il tema centrale della
comunicazione, cioè che la guerra sarebbe
legittima. Lo hanno detto in tanti, li ho
studiati anch’io i riferimenti legislativi di
diritto internazionale e costituzionale sono
evidenti. Non è questa la strada sulla
quale ci possiamo mettere per un dibattito
da TAR o da ex pretura. Non ci siamo: i
termini indicati testimoniano il contrario.
Quindi, non mi intratterrò, anche per il
breve tempo a disposizione, su questo
argomento. Però, vorrei far rilevare alcune
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contraddizioni emerse che rappresentano
la vera caratteristica di questa comunicazione.
Il Presidente ha detto che il vecchio
Segretario generale dell’ONU, in relazione
alle vicende del 1993, disse che quella
deliberazione del Consiglio di Sicurezza
era legittima e poteva portare alla guerra.
Tuttavia, l’attuale Segretario generale dell’ONU ha detto il contrario. Il Presidente
ha detto che la guerra è legittima. Allora,
se la guerra è legittima, l’Italia avrebbe
avuto il dovere di mandare i suoi uomini
o, quanto meno, di dare le proprie basi.
Non si capisce come sia possibile pensare
che la guerra sia legittima senza, poi, dare
le basi per farla.
PRESIDENTE. Onorevole Fiori...
PUBLIO FIORI. Concludo, signor Presidente.
Quindi, pur apprezzando lo sforzo che
il Governo ha fatto per mediare situazioni
e problemi interni, ritengo che la conclusione in una materia cosı̀ rilevante non
possa essere approvata.
Vorrei svolgere un’ultima considerazione. Si richiama continuamente l’amicizia dell’Italia con gli Stati Uniti. Avevo
portato un testo che naturalmente non
posso leggere: il De Amicitia di Cicerone.
PRESIDENTE. Al momento in cui esso
fu scritto non c’erano gli Stati Uniti.
PUBLIO FIORI. Tuttavia, credo mantenga attualità, signor Presidente. Anzi,
vorrei fare un omaggio di tale testo al
Presidente del Consiglio in duplice copia
perché ne possa dare una anche al suo
amico Bush.
In sostanza, e concludo, dice Cicerone
(e credo sia valido): l’amicizia non è una
solidarietà che nasce comunque, altrimenti
acquisterebbe anche altri nomi meno nobili. L’amicizia si deve basare su alcuni
valori di riferimento, su alcune virtù e
quindi non si può invocare quando invece
si intraprende una strada che con i grandi
valori e le grandi virtù ha poco a che fare
(Applausi dei deputati dei gruppi dei De-
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mocratici di sinistra-l’Ulivo, della Margherita, DL-l’Ulivo, di Rifondazione comunista
e Misto-Comunisti italiani).
ELETTRA DEIANA. Bravo Fiori !
PRESIDENTE. È iscritto a parlare
l’onorevole Gambale. Ne ha facoltà.
GIUSEPPE GAMBALE. Signor Presidente, signori del Governo, onorevoli colleghi, la guerra è sempre una sconfitta ed
è soprattutto una sconfitta per la politica:
è il fallimento della politica e della diplomazia (e vorrei che almeno questo oggi
potessimo condividerlo tutti, al di là delle
battute del Presidente del Consiglio). Giovanni XXIII, quarant’anni fa (non oggi, ma
quarant’anni fa !), nella Pacem in terris
diceva: la situazione internazionale ci presenta oggi uno scenario in cui è sempre
più chiaro che l’indipendenza di un popolo
deve sempre più essere coniugata assieme
all’interdipendenza (direi di più all’intercomunione). Mai come in questo momento, signori del Governo, sarebbe stata
necessaria una politica capace di mettere
in campo sforzi creativi, proporzionati ai
pericoli che minacciano la pace. Sarebbe
stato necessario il coraggio di uscire dalle
strade che fino ad oggi abbiamo percorso,
il coraggio di uscire da una politica parziale e dall’orizzonte ristretto. Non lo
abbiamo fatto: non l’ha fatto l’Italia, non
c’è riuscita l’Europa. Ma è un fallimento
innanzitutto per Bush e per l’America. Il
capogruppo al Senato del Partito democratico americano, Tom Daschle, dice che
è molto rattristato che questo Presidente
abbia cosı̀ miseramente fallito nell’azione
diplomatica, da essere costretti ora alla
guerra.
Anche l’ondata di proteste sollevatasi in
tutto il mondo avrebbe dovuto far riflettere. Centinaia di migliaia di persone si
sono mobilitate per dire alla politica di
svolgere il proprio ruolo. Riflettete sul
fatto che l’Amministrazione Bush, grazie
alla sua scriteriata politica – qualcuno la
definisce meglio « impolitica » –, è riuscita
a trasformare l’afflato mondiale sorto
dopo l’11 settembre in una clamorosa
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politica di splendido isolamento, in nome
della predominanza che ha sostituito la
politica della deterrenza. Questo non lo
diciamo noi, ma i più grandi giornali
americani. Su The New York Times di
qualche giorno fa il noto commentatore
Thomas L. Friedman dice che negli ultimi
tempi quasi ogni discorso di Bush ha
sollevato il tema della paura e del pessimismo armato. Avremmo bisogno, dice
Friedman, di meno John Wayne e di più
John Kennedy; dovremmo esportare le
nostre speranze, non le nostre paure.
Aggiungiamo noi: dovreste dare una speranza al mondo, specie quello dimenticato,
come in Africa ad esempio.
La guerra costerà 150 miliardi di dollari e la presunta pace che ne deriverà
costerà ancora di più. Ma il costo reale è
quello invisibile: quello delle vite umane
sconosciute che saranno immolate e quello
di un sistema internazionale virtualmente
distrutto. Una diplomazia fallita, il vertice
dell’isolamento: questo dicono i giornali
americani riferendosi al summit di Bush,
Blair e Aznar nelle Azzorre. Questa
guerra, signori del Governo, nasce da lontano (e non è purtroppo dietrologia, ma
sono i fatti che parlano). La logica che ha
spinto all’azione gli Stati Uniti è ben
rappresentata in un articolo del gennaiofebbraio 2000 (un anno e mezzo prima
dell’attentato alle torri gemelle) sul Foreign Affairs dalla Rice, consulente per la
sicurezza nazionale. La Rice scrive che la
prontezza militare è prioritaria, che l’amministrazione agirà sulla base dell’interesse nazionale e non certo in nome di
un’illusoria comunità internazionale e che
fra le priorità vi dovrà essere quella di
mettere in campo tutti i mezzi per rimuovere Saddam Hussein dal potere. Cronaca
di una guerra annunciata: altro che terrorismo internazionale, disarmo forzato
(come ha detto Berlusconi), democrazia e
liberazione per il popolo iracheno, pace in
Medio Oriente e chi più ne ha più ne
metta (compresa qualche inopportuna e
inadeguata citazione del Papa) !
Bush parla in termini pericolosamente
messianici della missione di liberare il
popolo iracheno e di diffondere l’esempio
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della democrazia in tutto il Medio Oriente,
per dare una lezione che serva da modello
a tutti i dittatori e che apra trionfalmente
le porte alla democrazia. Il pensiero corre
ai regimi amici del Pakistan, dell’Arabia
Saudita e mi viene in mente una distinzione fatta negli anni settanta dagli stessi
americani che classificavano i regimi illiberali a seconda della vicinanza politica a
Washington: come autoritari quelli filoamericani o come dittatoriali quelli antiamericani.
È incredibile la fede nella virtù della
forza che questa amministrazione ha. È
proprio vero – ministro Buttiglione –
quanto ha affermato la Santa Sede, vale a
dire che l’alternativa rischia di essere tra
la forza del diritto e il diritto della forza.
Ho la sgradevole sensazione di un vero
e proprio fideismo, occidentalismo dogmatico – per non dire integralista – e mi
chiedo come abbia potuto la land of free
giungere a tali posizioni.
L’ultimo discorso di Bush, se l’avete
sentito – e credo che, purtroppo, molti di
noi l’abbiano sentito –, è fatto di 15
minuti di ingiunzioni e sostituzioni: ingiunzioni agli ispettori, ai giornalisti, ai
cittadini americani di lasciare subito il
paese e quelli dell’area interessata; ingiunzioni a Saddam Hussein e ai figli di
esiliarsi; ingiunzioni ai militari iracheni di
arrendersi senza combattere; sostituzione
degli Stati Uniti a qualunque altra autorità
internazionale. Dunque, come dicono alcuni commenti, la decisione di guerra
altera le relazioni tra Stati Uniti e Nazioni
Unite per sempre.
Si creano due circuiti: uno fatto di
alleanze mirate, l’altro di impegni istituzionali generali. Sta prevalendo – lo ripeto
– il diritto della forza e non la forza del
diritto, si sta compromettendo la legalità
internazionale, si è indebolita l’ONU, mettendo a grande rischio un’istituzione che,
pur tra tante difficoltà e limiti, in questi
anni è stata punto di riferimento per la
pace e l’ordine internazionale, si è affermata la logica della guerra preventiva e –
più grave ancora – l’alleanza dei buoni
contro i cattivi.
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Non potremo mai accettare un ordine
internazionale dettato da chicchessia, dal
più forte o da chi si arroga il potere di
decidere per gli altri e per tutti.
L’onorevole Igino Giordani, deputato
della Costituente, nel suo libro L’inutilità
della guerra, già nel 1952, ci metteva in
guardia rispetto al pericolo sempre presente del fanatismo, affermando che sta
rinascendo, soprattutto nella letteratura
politica, una sorta di manicheismo, il
quale scomparte uomini e idee, epoche ed
eventi, economia e geografia in due schieramenti, uno del bene e l’altro del male,
con in mezzo un fossato invalicabile: da
una parte sono messe tutte le ragioni,
dall’altra tutti i torti. È l’antitesi asserita
nella stampa e nei discorsi con una decisione drastica e un accento perentorio, un
vero fanatismo acritico che reclama scelte
definitive e non consente flessioni. Da esso
si svolge un canone etico di vita pubblica
e privata che si può semplificare cosı̀: o
con noi o contro di noi e chi non è con noi
va eliminato.
Presidente, a questo non ci stiamo e
continueremo a lavorare per la pace sulle
macerie che questa guerra lascerà a livello
politico e istituzionale.
Chiedo alla Presidenza l’autorizzazione
alla pubblicazione in calce al resoconto
stenografico della seduta odierna di considerazioni integrative del mio intervento
(Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-l’Ulivo, dei Democratici di sinistra-l’Ulivo e Misto-Comunisti italiani).
PRESIDENTE. La Presidenza la autorizza sulla base dei consueti criteri.
Constato l’assenza dell’onorevole Rivolta, iscritto a parlare: si intende che vi
abbia rinunciato.
È iscritto a parlare l’onorevole Guido
Giuseppe Rossi. Ne ha facoltà.
GUIDO GIUSEPPE ROSSI. Signor Presidente, la crisi irachena è solo un capitolo, per quanto importante, del processo
di formazione di un nuovo sistema internazionale la cui ombra già si proietta oltre
la crisi. In tale contesto era perciò inevitabile che le ragioni a favore della pace o
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della guerra, come scelte morali, finissero
col dissolversi nell’utopia e che a guidare
i governi fossero quelle della ragion di
Stato. Forse, non è un caso che dai balconi
delle case francesi non penda una sola
bandiera della pace.
Ho citato un pezzo di un editoriale
comparso su un importantissimo quotidiano nazionale che ci dà il senso di come,
in questo paese, non si sia capaci di
affrontare i temi della politica internazionale. Temi che, in tutti gli altri paesi,
vengono affrontati dal punto di vista della
Realpolitik e della ragion di Stato.
Abbiamo già detto della Francia che, in
tutta questa vicenda, si è tenuta ben alla
larga da utopie pacifiste e ha seguito una
politica di puro interesse nazionale, amplificando un diritto di veto alle Nazioni
Unite assolutamente antistorico e anacronistico che sopravvaluta il reale peso politico, economico e militare di una media
potenza europea quale la Francia.
Un altro obiettivo molto chiaro dei
cugini transalpini è, ovviamente, quello di
continuare a portare avanti una egemonia
all’interno dell’Unione europea. E sappiamo che questo non è il modello di
Unione europea democratica e partecipativa al quale devono tendere tutti gli Stati
e tutti i popoli dell’Europa.
Poi abbiamo visto come questa deriva
pacifista non sfiori minimamente il Governo francese che ha già detto che, nel
caso in cui Saddam Hussein dovesse usare
armi chimiche o di distruzione di massa,
parteciperà al conflitto militare ammettendo, da un certo punto di vista, il fatto
che Saddam Hussein possegga tali tipi di
armi.
Della Gran Bretagna conosciamo molto
bene le ambizioni e le strategie non di
superpotenza, come è stato detto, ma sicuramente di potenza politica e militare
mondiale. La Spagna ha fatto una scelta e
ha cercato di ricostruire un asse con la
Gran Bretagna, memore anche dell’antico
passato atlantico, tentando – anche qui –
di uscire dalla tenaglia dell’egemonia francotedesca. La stessa Germania, dopo
l’ubriacatura elettorale di Schröeder che
ha consentito di vincere le elezioni per
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pochi voti, sta facendo marcia indietro dal
punto di vista pratico, tant’è che non viene
minimamente messa in discussione la possibilità di concedere agli Stati Uniti basi,
spazi aerei, infrastrutture e quant’altro
per l’azione in Iraq. La Turchia sta attraversando una fase di turbolenza interna
ma, anche in questo caso, si arriverà ad
una esplicitazione della ragion di Stato,
con la Turchia che vuole esercitare un
ruolo di potenza regionale nell’area. I
paesi dell’est hanno rifiutato lo strapotere
e l’egemonia della Francia, dicendo: ci
avete chiamato all’interno dell’Unione europea e vogliamo avere una posizione
autonoma. Qualcuno gli ha spiegato che
non potevano avere una posizione autonoma, qualcuno ha pensato che questi
paesi, forse, potessero e dovessero avere
soltanto un ruolo di comprimari all’interno dell’Unione europea. Ma questa non
è una visione democratica dell’Unione europea. Anche il Belgio sta tornando su
posizioni realistiche, tant’è che il Premier
belga ha richiamato all’ovile – se cosı̀ si
può dire – le posizioni dell’estemporaneo
e bizzarro ministro degli esteri Michel. Gli
unici neutrali sono gli austriaci. Si tratta
di un paese tradizionalmente neutrale,
all’interno del quale ha un peso politico il
ben conosciuto Jörg Haider. Ricordiamo
come, un po’ di tempo fa, l’Ulivo italiano
ed europeo avesse scatenato la guerra
santa contro l’Austria, accusata di violare
i diritti umani all’interno dell’Unione europea. Vedo che adesso l’Ulivo è schierato
sulle posizioni austriache e, dunque, anche
sulle posizioni Jörg Haider.
Ho ricordato tutto ciò, per ribadire che
non esiste paese, a prescindere dalla posizione di contrarietà, di perplessità e di
appoggio tenuto nel corso della diplomatica e politica, che rifiuterà l’uso delle basi
agli Stati Uniti. Dunque, chiedere che non
vengano concesse le basi, come fa la
risoluzione n. 6-00056 firmata dall’intero
l’Ulivo – questo « sı̀ », è un momento di
unità politica; devo ammettere che si è
arrivati all’unità politica all’interno dell’Ulivo –, oggettivamente significa che questa richiesta è funzionale al regime di
Saddam e al suo tentativo disperato di
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difesa. E questo deve essere detto, perché
non esiste alcun motivo di ordine geopolitico, diplomatico, giuridico internazionale
e di interesse nazionale – aggiungiamo noi
– per non concedere le basi agli angloamericani. Esiste, invece, un interesse tutto
nazionale, tutto provinciale, tutto partigiano da parte dell’Ulivo, – lo ripeto – a
prescindere dall’interesse nazionale: in altre parole, si tratta di una nuova arma per
colpire il Governo Berlusconi, da mettere
nel calderone delle accuse con la RAI, con
l’articolo 18, con i fatti di Genova, con la
giustizia, a prescindere dalla situazione
internazionale.
In conclusione, noi deputati del gruppo
della Lega nord Padania, rivolgendoci ai
cittadini di questo paese, diciamo che si
può discutere e si deve discutere, anche
con spirito critico, su come dovrà essere il
mondo di domani. Probabilmente, si tratterà di un mondo che dovrà trovare nuovi
meccanismi di multipolarità e non potrà
accettare sicuramente un ruolo egemone
da parte degli Stati Uniti. Questa è la
grande missione dell’Unione europea. Su
questo si può discutere. Su questo si può
essere d’accordo. Ma, sicuramente, non si
può discutere, come fa l’opposizione di
questo paese, su decisioni come quella di
non concedere le basi, che, in ultima
istanza, non farebbero che renderci complici di dittatori sanguinari come Saddam
Hussein (Applausi dei deputati del gruppo
della Lega nord Padania).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare
l’onorevole Folena. Ne ha facoltà.
PIETRO FOLENA. Signor Presidente,
oggi, la migliore risposta allo strappo costituzionale, politico e perfino morale, rispetto alle parole del pontefice, provocato
dal Presidente del Consiglio con l’adesione
alla coalizione guidata dagli Stati Uniti che
si appresta a scatenare una guerra unilaterale e illegittima contro l’Iraq, viene dal
documento comune sottoscritto dall’Ulivo
e da Rifondazione comunista.
Alla stragrande maggioranza degli italiani che sono contro la guerra – tantissimi dei quali sono vostri elettori, colleghi
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della maggioranza, cittadini lontani dalla
sinistra – oggi con poche, nette e semplici
parole parla questo nostro documento e
dice con precisione cosa il centrosinistra
avrebbe fatto se fosse stato al Governo:
l’Italia, nel solco del suo europeismo, sarebbe stata al fianco della Francia e della
Germania.
È stato umiliante per noi parlamentari
della Repubblica dover apprendere da Colin Powell – attraverso una notizia ANSA
battuta alle 18.03 di ieri – che l’Italia fa
parte di quella che con un certo cinismo
è stata chiamata « coalizione dei volenterosi ». È stato umiliante per il Parlamento
e la nazione, visto che poche ore prima il
ministro Giovanardi, davanti alle Commissioni esteri riunite, aveva letto i mattinali
delle questure di Pisa e di Vicenza sulle
proteste dei pacifisti e comunicato, per la
verità con quattro anni di ritardo, la
posizione critica dell’attuale Governo non
su questa guerra ma su quella del 1999 in
Kosovo (Applausi dei deputati dei gruppi
dei Democratici di sinistra-l’Ulivo e della
Margherita, DL-l’Ulivo).
Quindi, anche l’onorevole Berlusconi è
un volenteroso: da ieri pomeriggio, ore
18.03. Sinceramente, l’avevamo sospettato,
malgrado il fatto che volando a Mosca si
fosse sforzato di dire a Putin che era
perfettamente d’accordo con lui. Un volenteroso, s’intende, della serie « armiamoci e partite », ma pur sempre un volenteroso.
Questa guerra con l’appoggio dell’Italia
avrà conseguenze drammatiche. Accanto
alle migliaia di vittime e alla distruzione
determinata dalla tempesta di tremila missili che si sta per abbattere sull’Iraq,
questa guerra alimenterà nuovo terrorismo, nuova violenza, nuova insicurezza e
nuove guerre. La vicenda di Israele e della
Palestina – violenza e terrorismo, guerra e
kamikaze – lo dimostra tragicamente.
Questa guerra ecciterà uno scontro di
civiltà ed una contrapposizione drammatica fra una parte, solo una parte ma
importante, del mondo occidentale ed il
mondo islamico, e poi il mondo cinese e
quello indiano e quello africano e quello
latino-americano: una contrapposizione
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che sarà vissuta dai poveri, dagli ultimi,
dai diseredati del pianeta, come una
guerra dell’egoismo e del privilegio, come
una guerra del petrolio, di un certo stile di
vita consumistico e di questo modello di
sviluppo non sostenibile.
Sia chiaro, diciamo questo in nome
della più radicale opposizione al dittatore
Saddam e a tutti i dittatori: dopo l’11
settembre – lo si doveva già capire dopo
il 1989 – è finito il tempo di ogni relativismo etico; è la doppiezza dei ricchi e dei
forti del mondo ad aver foraggiato in tutti
i continenti i dittatori e la sistematica
violazione dei diritti umani. Quei gas all’Iraq sono stati forniti all’inizio degli anni
ottanta dall’Occidente nella guerra contro
Khomeini, ma quanti gas e quante armi di
distruzione vengono fabbricate e fornite
per ragioni di potenza ancora oggi in ogni
parte del mondo ? Nessuno di noi, per
esempio, solidale con la causa del Tibet,
immagina di risolvere questa causa con la
guerra alla Cina. I diritti umani non si
affermano con le bombe e con i cannoni,
ma con l’azione economica, politica e
diplomatica, con gli ispettori che stavano
ottenendo in Iraq risultati crescenti e
documentabili e che sono andati via ieri
da Bagdad. Un sostegno attivo alla Corte
penale internazionale, boicottata dagli
Stati Uniti e da altre grandi potenze.
Senza doversi per forza dichiarare gandhiani, dobbiamo sapere che, nell’epoca
contemporanea, i mezzi determinano il
fine, spesso coincidono con il fine e la
prima violazione dei diritti umani è la
guerra: sono le vittime civili. È stato detto
recentemente dall’onorevole Mussi che
questa è una guerra costituente di un
nuovo assetto del mondo. Brzezinski, recentemente, criticando gli errori di Bush,
ha parlato di un riallineamento strategico
planetario provocato da questa guerra. È,
nella sua ispirazione, una guerra mondiale
e lo può perfino tragicamente diventare
nel suo sviluppo.
Questa guerra globale, oggi nel teatro
iracheno, viene condotta, senza e contro
l’ONU, da una coalizione di paesi che
rappresentano il 15,6 per cento della popolazione mondiale: 946 milioni di abi-
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tanti. Con il Giappone, che ha dichiarato
che parteciperà solo al dopoguerra, il 17,6
per cento, una minoranza.
A questi trenta volenterosi, fra cui
l’Italia, si aggiunge una figura inedita nel
panorama internazionale, quella dei quindici paesi « incappucciati » dall’anonimato
perché, di fronte alle loro opinioni pubbliche, si vergognano di ammettere il sostegno interessato a posizioni non difendibili: non sappiamo se, fino a ieri pomeriggio, anche l’onorevole Berlusconi avesse
l’ambizione di essere in questa specialissima lista. Avrebbe, tuttavia, potuto risparmiarci la rimasticatura dell’inutile tentativo fatto ieri da Blair di dimostrare la
legittimità di questo intervento. Berlusconi
ha fatto riferimento al combinato disposto
delle risoluzioni n. 687, che avviò la
guerra del 1991, n. 678, che la sospese, e
n. 1441.
Ci ha spiegato che è d’accordo con
Boutros Ghali, che però, purtroppo, non è
il Segretario generale delle Nazioni Unite
perché si chiama Kofi Annan e quest’ultimo ha detto che questa guerra non è
legittima. A parte che per ridare vigore ad
una risoluzione sospesa dal Consiglio di
sicurezza occorreva un’altra risoluzione –
stiamo parlando di bombardamenti ad
obiettivi militari nel 1993 e nel 1998,
quest’ultimi criticati, peraltro, dall’Italia e
da larga parte dell’Europa perché unilaterali – e non certo un’invasione di un
paese che non fu compiuta neppure nel
1991 perché neanche allora era autorizzata dalle Nazioni Unite, se è vero che la
coalizione non entrò a Bagdad. La risoluzione n. 1441 – che non autorizza né i
bombardamenti né tantomeno un’invasione – non contempla in alcun modo
l’obiettivo dell’esilio di Saddam e dei suoi
familiari, cuore dell’ultimatum di 48 ore
dato da Bush nella notte fra il 17 e il 18
marzo.
Del resto, come ha notato poco fa
l’onorevole Fiori, se questa guerra è legittima, come dice Berlusconi, addirittura la
prosecuzione dal punto di vista giuridico
di quella del 1991, perché l’Italia non vi
partecipa direttamente, come fece, invece,
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con la posizione anche allora contrastata
e non popolare ma decisa con fermezza,
con dignità e con coraggio ?
La verità è una sola: questa guerra è
illegittima e colpisce le Nazioni Unite. Del
resto, lo ha detto anche Berlusconi il 27
febbraio quando ha affermato che l’azione
militare di un paese al di fuori delle
Nazioni Unite sarebbe un fatto talmente
nefasto che nessuno si sarebbe caricato di
una responsabilità cosı̀ grave (Applausi dei
deputati del gruppo dei Democratici di
sinistra-l’Ulivo).
Quattro paesi del Consiglio di Sicurezza
fanno parte della lista dei trenta ed è nel
fatto che erano 4 su 15, onorevole Frattini,
la ragione – prima che nella giusta, sacrosanta (dobbiamo ringraziare la Francia
per questa posizione) e ferma decisione
francese e russa di votare contro il progetto degli Usa e della Gran Bretagna –
dello strappo compiuto da Bush verso le
Nazioni Unite.
Ma il colpo più duro all’Europa è stato
inferto anche dalla posizione italiana. Nel
riallineamento strategico gli Stati Uniti
chiudono a tenaglia (Gran Bretagna e
Spagna da una parte, Polonia ed ex paesi
comunisti dall’altra) la Francia e la Germania, il nucleo fondatore dell’impresa
europea. L’Italia, il paese fondatore dell’Europa, ha attivamente partecipato, contro i propri interessi nazionali, a questa
operazione per debolezza politica. Berlusconi ha detto che si tratta di un capolavoro diplomatico. È davvero un bel capolavoro diplomatico perché rischiamo di
tornare mestamente ad essere – noi che
siamo stati il paese di Spinelli, noi che
abbiamo vissuto e raggiunto con Prodi la
grande sfida del 1998 – una mera espressione geografica: ci metteremo del tempo
a riparare questi danni.
Si lasci stare il Kosovo: ogni guerra è
una tragedia e le bombe sono sempre
stupide e terribili. Le scelte e le decisioni
di allora furono contrastate, sofferte e
fatte non a cuor leggero anche da chi le
condivise, ma nessuno può negare che
allora l’evidenza del genocidio e della
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pulizia etnica imponeva un’azione umanitaria e che tutta la NATO e l’Europa unita
parteciparono a quel conflitto.
Questa è l’illegittimità di una guerra
fuori e contro le Nazioni Unite. Sono le
ragioni della nostra richiesta volta a non
fornire alcun supporto politico, diplomatico, operativo e logistico – incluse le basi
militari – a qualunque azione che configuri un coinvolgimento dell’Iraq. Posizioni
analoghe sono state sostenute in queste
ore da Francesco Cossiga e da Bobo Craxi.
Si è fatto riferimento al Trattato della
NATO ma non c’entra niente perché esso
stabilisce obblighi di assistenza assunti
dagli Stati partner che hanno per oggetto
la legittima difesa successiva, cioè quella
che si esercita dopo che abbia avuto luogo
un attacco armato, in questo caso da parte
dell’Iraq.
È esattamente il contrario. Anzi, la
disponibilità italiana all’uso delle basi ed
al sorvolo configurerebbe un coinvolgimento indiretto, ma evidente dell’Italia, in
violazione del diritto internazionale. Non
vi è un pregiudizio antiamericano in una
posizione come questa: vi è un pregiudizio,
sı̀, ma contro la guerra. Molti di noi si
sono abbeverati per anni nella cultura, nel
cinema, nella musica e nella letteratura
americana; abbiamo, in particolare, letto
da ragazzi « Addio alle armi » di Hemingway che fa dire al tenente Passini: la
guerra non si vince con la vittoria ! Poiché
di guerre ne ho fatte troppe – scrive
Hemingway nella prefazione a quello
straordinario capolavoro – sono certo di
avere dei pregiudizi e spero di avere molti
pregiudizi.
Non è sostituendo, come fa qualche
estremista di ieri e di oggi il libretto rosso
di Mao con la bandiera a stelle e a strisce
che si è amici degli americani, ma piuttosto, condividendo con il senatore americano Byrd che un massiccio attacco
militare ad un paese nel quale è presente
il 50 per cento di bambini non è nelle
tradizioni altissime e morali degli Stati
Uniti d’America. Forse Bossi e Castelli, che
ora propongono di chiudere le frontiere ai
profughi, dovrebbero meditare sulle parole
dell’amico senatore americano Byrd.
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Ora che la parola sta passando alle
armi, vogliamo in questo clima drammatico e difficile tuttavia salutare un novità
positiva: dobbiamo fare i conti con quel
sedicesimo membro del Consiglio di sicurezza dell’ONU, l’opinione pubblica mondiale, guidata da personalità come il Papa
e animata da milioni di bandiere dai
nostri balconi. La prepotenza, che ora
sembra prevalere in queste ore difficilissime, non potrà d’ora in avanti non fare i
conti con essa (Applausi dei deputati dei
gruppi dei Democratici di sinistra-l’Ulivo,
della Margherita, DL-l’Ulivo e Misto-Comunisti italiani – Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare
l’onorevole Ramponi. Ne ha facoltà.
LUIGI RAMPONI. Signor Presidente,
durante gli ultimi 5 mesi, l’argomento Iraq
è stato al centro dell’attenzione internazionale ed ha permeato di sé i dibattiti in
sede parlamentare. Più volte il Governo si
è presentato alle Camere per indicare la
linea politica scelta dall’Italia in funzione
dell’evolversi della situazione. Anche nell’ultimo dibattito, tenuto in quest’aula il
giorno 19 del mese scorso, ha confermato
la linea politica adottata che si sostanziava
in cinque punti fondamentali, identici a
quelli scritti nel comunicato emanato a
seguito della riunione tenuta dal Consiglio
europeo per discutere la crisi irachena:
centralità dell’ONU e responsabilità del
disarmo iracheno innanzitutto al Consiglio
di Sicurezza, impegno per una soluzione
pacifica e ricorso alla guerra come ultima
risorsa, sostegno agli ispettori, dovere del
regime iracheno di porre fine alla crisi,
ottemperando le richieste del Consiglio di
sicurezza, impegno ad operare con tutti i
nostri partner, specialmente con gli USA
per il disarmo dell’Iraq, la pace e la
stabilità della regione e per un futuro
dignitoso per tutta la sua popolazione.
Il Governo, Alleanza nazionale e tutti i
partiti della maggioranza si sono costantemente impegnati nel rispetto di tali punti
fondamentali, in un quadro di situazione
internazionale che, fino al pomeriggio di
ieri, lo consentiva. Da ieri la situazione è
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mutata. Gli Stati Uniti, la Gran Bretagna,
la Spagna, quali nazioni presenti al momento nel Consiglio di Sicurezza, appoggiate da altre nazioni, hanno ritenuto di
non poter più accettare oltre, dopo quattro
mesi e mezzo, la scarsa ed inadeguata
risposta da parte irachena alle richieste
degli ispettori. Hanno inviato un ultimatum di 48 ore a Saddam Hussein perché
lasci il paese, pena l’inizio delle ostilità. La
risposta è stata sinora negativa.
Nel contempo gli Stati Uniti d’America
hanno richiesto, come ha detto il Governo,
l’uso delle basi. È saltata la possibilità di
una risoluzione delle Nazioni Unite ed è
decaduto il discorso degli ispettori. È imprevedibile, anche se non è da escludere
completamente, un ripensamento di Saddam Hussein. Si è comunque giunti alle
soglie di un’iniziativa bellica.
Gli Stati Uniti d’America, da sempre
nostri alleati, chiedono l’uso delle basi.
Questo è il quadro politico che ci si
presenta. Non appare politicamente produttivo negare questo utilizzo perché non
porterebbe a nessun progresso verso una
soluzione pacifica; non servirebbe assolutamente a nulla ! Porterebbe invece all’unico risultato di una frattura nei rapporti con gli Stati Uniti d’America, senza
favorire un rasserenamento né in ambito
NATO né in quello dell’Unione europea e
senza ristabilire la credibilità delle Nazioni
Unite, che sono gli obiettivi che tutti voi
dichiarate di perseguire.
Si deve prendere atto, nostro malgrado,
del fallimento della ricerca di una soluzione pacifica, ricerca durata quattro
mesi. Si tratta di un fallimento dovuto a
Saddam Hussein e non a qualcun altro.
Bisogna anche ricordare, quando si parla
di soluzione diplomatica o pacifica, che da
dodici anni si sta cercando la soluzione
diplomatica e pacifica. Da dodici anni,
attraverso le sanzioni ed il controllo della
vendita dell’olio, si è tentato di attuare gli
strumenti pacifici. I risultati sono stati la
disastrosa situazione nella quale oggi si
trova il popolo iracheno. Il fallimento è
dovuto a Saddam Hussein e a nessun
altro !
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In questo momento l’Italia deve scegliere: una scelta decisiva, non quella di
sventolare una bandiera, tra l’attuale regime iracheno e gli Stati Uniti d’America,
ricordando, prima di decidere, quale sia,
per chi fa tante citazioni storiche, il retaggio storico che sta dietro a ciascuna
delle due parti; retaggio storico che tutti
conosciamo molto bene.
È esaurito il tempo per una soluzione
pacifica e non possiamo che decidere a
favore del nostro alleato di sempre, aiutandolo, come lui ha fatto tante volte con
noi. Tale decisione sarà una decisione
politica che assume il Parlamento e che ha
gli stessi crismi di legalità e costituzionalità che hanno avuto le precedenti decisioni qui assunte di partecipare prima alla
guerra alla Serbia per il Kosovo e più
recentemente, decisione da noi approvata,
la guerra della coalizione contro i taliban
e l’Afghanistan.
L’intervento armato contro la Serbia,
illustri signori, non era « coperto » da una
risoluzione e non era fra quelli previsti dal
Trattato del nord Atlantico, perché la
Serbia, come ha ben ricordato l’onorevole
Folena, parlando stavolta dell’Iraq, non
aveva portato alcun attacco armato a nessun paese dell’Alleanza.
Lo stesso dicasi per l’operazione Enduring Freedom dal momento che essa è
stata decisa non a seguito di una risoluzione esplicita da parte del Consiglio di
sicurezza, né ha la patente della NATO,
pur essendo stato aggredito l’11 settembre
uno dei suoi partner.
Furono entrambe decisioni che il mio
partito ed io abbiamo condiviso, conseguenti ad una chiara analisi ed ad una
valutazione della situazione, come deve
essere quella di oggi in cui si approva la
concessione del sorvolo e l’utilizzo delle
basi da parte dell’alleato americano. L’alleato americano che, lo ricordo a tutti, è
impegnato comunque in una difficile lotta
per eliminare una minaccia alla sicurezza
della società mondiale che nessuno nega,
ma che nessuno dice come si possa eliminare in altro modo (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale –
Congratulazioni).
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PRESIDENTE. È iscritta a parlare
l’onorevole Deiana. Ne ha facoltà.
ELETTRA DEIANA. Signor Presidente,
onorevoli colleghi, questa guerra, come
hanno già ricordato altri colleghi, non ha
nulla a che vedere con le ragioni che sono
state accampate da Bush per giustificarla
e che il Governo Berlusconi ripete pedissequamente contro ogni logica ed evidenza. Non c’entrano le armi di distruzione di massa, che forse ci sono o, molto
probabilmente, non ci sono. Non c’entra
l’efferatezza del regime, che sicuramente
c’è. Non c’entra nulla comunque ! Non
c’entra nulla il terrorismo internazionale.
L’idea neocoloniale e sopraffattrice di
mettere ordine nel mondo, di esportare la
democrazia sulla punta delle baionette
moderne all’uranio impoverito rappresenta, in realtà, l’involucro ideologico di
un piano politico-militare molto preciso:
l’Iraq deve diventare un protettorato americano, lo ha ripetuto anche ieri il portavoce della Casa Bianca, Fleischer, dicendo
ai giornalisti che, se anche il raı̀s se ne
andasse in esilio, le truppe americane
dovrebbero ugualmente intervenire in Iraq
per rimettere in ordine le cose e garantire
la pace e la sicurezza.
Siamo di fronte ad una gigantesca operazione di penetrazione statunitense nel
continente asiatico, ad un processo di
destabilizzazione e disgregazione degli assetti statuali dell’Asia centrale, che è il
vero grande tema di politica internazionale attorno al quale dovremmo discutere.
Si discute, invece, delle fandonie di Bush
e delle fandonie di Berlusconi, dimenticando di fare i conti con quanto è già
successo in quell’area del mondo, a cominciare dall’Afghanistan, prima tappa di
questo processo che ha permesso di mettere sotto occupazione militare statunitense larga parte dell’Asia centrale. Questa
guerra va ben oltre la stessa questione –
peraltro non irrilevante – dei pozzi petroliferi: mira al dominio unilaterale del
mondo attraverso la superiorità militare
assoluta di cui godono gli Stati Uniti
d’America.
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È il progetto americano del nuovo ordine mondiale, lungamente dibattuto in
tutte le salse negli ambienti militari statunitensi, che oggi si manifesta in tutta la
sua portata e violenza. Un progetto incubato lungamente negli anni novanta, interpretato diversamente a seconda di chi
occupasse la Casa Bianca. Le guerre del
decennio degli anni novanta sono figlie di
questa incubazione. Oggi, Bush ha reso
radicale e inequivocabile quel progetto e,
come tutti i personaggi animati da forte
vocazione fondamentalistica, come è lui, lo
ha esplicitato, sottraendogli l’involucro di
ogni ipocrisia, appalesandolo in tutta la
sua devastante violenza.
Con la guerra di Bush contro l’Iraq è
diventato evidente che l’idea della guerra
preventiva e duratura, della supremazia
militare permanente, del potere di decisione unilaterale costituisce la bussola
strategica della politica estera statunitense
del nuovo secolo. Gli interessi immediati
della superpotenza, il controllo diretto
delle risorse energetiche e quelli di lunga
durata – appunto il nuovo ordine mondiale – sono stati posti al mondo con
brutale evidenza.
È per questa ragione che l’Europa è
andata in crisi, perché qualcuno, in Europa, ha cominciato a preoccuparsi di una
dinamica politica che, se non verrà contrastata, ridurrà l’Europa al ruolo di giullare dell’imperatore, a quel ruolo che già
oggi Blair, Aznar e Berlusconi in vario
modo hanno giocato sulla scena pubblica.
Cosı̀ si spiega la crisi della stessa NATO e
dell’ONU e si spiegano le resistenze di
governi di paesi con grandi difficoltà economiche che, tuttavia, non si sono voluti
piegare all’indegna « campagna di acquisti » organizzata da Bush per assicurarsi la
maggioranza nel Consiglio di Sicurezza.
L’ONU, la NATO, l’Europa entrano in
fibrillazione perché la pretesa degli Stati
Uniti di dettare legge, di fare ordine, di
giudicare e punire mette in allarme il
mondo. Ed è per questa ragione che si è
registrata una cosı̀ vasta insorgenza dell’opinione pubblica contraria alla guerra e
si sono mescolati movimenti, soggetti, culture, storie diverse di donne e di uomini
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accomunati da un « no » alla guerra che
non ha precedenti nella storia per vastità,
ostinazione, intensità. Che cosa desta
preoccupazione, che cosa inquieta le coscienze oggi ? I bombardamenti sulle città
irachene ? I terribili cosiddetti effetti collaterali ? La sofferenza degli inermi ? Certamente tutto questo, ma anche lo scombussolamento di ogni riferimento internazionale, la percezione del rischio che un
baratro si è aperto di fronte a noi. Questa
guerra, infatti, per la sua intrinseca natura
di laboratorio della nuova dottrina militare americana, di prova generale della
guerra preventiva di lunga durata che
l’Amministrazione Bush ha promesso al
mondo per i prossimi trent’anni, comporta
la deflagrazione e l’azzeramento di quell’ordine internazionale faticosamente costruito dopo la catastrofe della seconda
guerra mondiale.
Ordine certamente imperfetto, deficitario, contraddittorio quanto vogliamo, ma
ancorato ad un’idea grande che la guerra
fosse un disastro da non ripetere più, che
la costruzione del diritto internazionale
fosse un bene da difendere ed irrobustire,
che l’ONU fosse uno strumento di mediazione essenziale e necessaria per garantire
la convivenza tra i popoli del mondo.
Tutto questo, oggi, costituisce, invece,
per l’amministrazione Bush, un inutile
ingombro, lacci e lacciuoli da spezzare,
come sta facendo George W. Bush. Guerra
criminale, dunque, questa, cari signori del
Governo, come giustamente l’ha definita
addirittura il Papa, guerra criminale
perché massacra i corpi inermi di donne
e uomini, uccide ogni legalità e mina alle
radici la convivenza tra i popoli; un
aspetto che non è stato sottolineato sufficientemente. Essa, infatti, rischia di aprire
un solco enorme tra l’occidente ed il
mondo islamico, di fomentare quella terribile dinamica di scontro tra civiltà che
sta diventando o rischia di diventare sempre più l’elemento sovraordinatore del
contesto internazionale.
Voi, signori del Governo, avete certamente i numeri per assicurarvi, in questa
sede, l’appoggio al vostro sı̀ alla guerra, al
vostro sı̀ al coinvolgimento diretto dell’Ita-
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lia in questa infame avventura internazionale, all’assenza all’uso delle basi e dei
cieli da parte degli Stati Uniti. D’altra
parte, lo avete già fatto mettendo a disposizione l’intero nostro paese per i traffici
di morte degli Stati Uniti d’America.
Ma sarà un voto di cui noi non riconosceremo la legittimità, perché non basta
la maggioranza per prendere questo tipo
di decisioni. Bisogna stare alla Costituzione che conferisce legittimazione ad ogni
decisione che parli della pace e della
guerra !
La violazione dell’articolo 11 non potrebbe essere più evidente di fronte ad una
relazione come quella del Presidente del
Consiglio. E più evidente non potrebbe
essere la pretestuosità del richiamo alla
volontà popolare di cui si nutre tradizionalmente la propaganda mediatica del
Presidente del Consiglio. Non è forse di
dominio pubblico, confermato dai sondaggi, dalle mobilitazioni costanti, da due
milioni e mezzo di bandiere per la pace
che sventolano in ogni dove, che la stragrande maggioranza della popolazione di
questo paese, la guerra proprio la vuole ?
Volontà popolare e spirito costituzionale
vanno, su questo punto, insieme, in maniera straordinaria, e forse al premier
Berlusconi, questo, fa proprio paura, e
della volontà popolare ha deciso di infischiarsene o di ingannarla grottescamente,
continuando a raccontare...
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PRESIDENTE. È iscritto a
l’onorevole Selva. Ne ha facoltà.
parlare
GUSTAVO SELVA. Signor Presidente,
onorevoli colleghi, non ho alcuna difficoltà
a confessare che, forse, questo, tra i tanti
discorsi che ho pronunciato in quest’aula
da nove anni a questa parte, è, per me, il
discorso più difficile e delicato. Lo è
perché sono un cattolico; lo è perché del
Papa non accolgo soltanto le verità eterne,
ma cerco, nel limite del possibile, di applicare anche le verità terrene. Eppure,
stavolta, debbo dire, naturalmente senza
alcun riferimento diretto a ciò che il Santo
Padre ha fatto e continuerà a fare, che
l’esortazione del Santo Padre era seguita,
e da seguire, fin tanto che c’era una, anche
una sola possibilità di poter evitare la
guerra.
È ciò che, del resto, il Governo italiano
ha fatto; è ciò che chi vi parla, presidente
pro tempore della Commissione affari
esteri ha fatto.
ALFREDO BIONDI. Lunga vita !
GUSTAVO SELVA. In tutte le sedi dove,
in questi mesi, poteva essere pronunciata,
la parola del presidente della III Commissione è stata pronunciata per evitare la
guerra.
PRESIDENTE. Onorevole Deiana...
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
PUBLIO FIORI (ore 15,03)
ELETTRA DEIANA. Sto per concludere, signor Presidente... la favola del suo
impegno per la pace, mentre il Segretario
di Stato americano rende pubblica la lista
dei volenterosi e gli Stati Uniti d’America
ci annoverano tra i paesi amici.
Per questo, continueremo a chiedere
conto di ogni vostra azione di guerra, di
ogni vostro atto di guerra e a batterci in
Parlamento e nel paese contro la vostra
cortigianeria bellicistica che coinvolge
l’Italia in un’avventura moralmente indegna e politicamente squalificata (Applausi
dei deputati dei gruppi di Rifondazione
comunista e dei Democratici di sinistral’Ulivo).
GUSTAVO SELVA. Oggi, onorevoli colleghi della sinistra, io credo che questa
speranza non sia più una realtà possibile.
Sulle responsabilità, quando queste saranno esaminate, vi saranno giudizi più
sereni. Il mio giudizio, oggi, è che Saddam
Hussein non abbia colto nemmeno l’ultima
possibilità, l’ultima chiave offertagli dal
Presidente degli Stati Uniti per abbandonare il solco che fin qui aveva seguito e
per fare tutto ciò che non aveva fatto
prima per evitare la guerra. Andare in
esilio ? Non ci va ! Non ci va ! Accetta,
piuttosto, un pericolo grave per il suo
popolo !
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Ciò non toglie, naturalmente, che ci sia
un dovere importante da parte nostra. Il
nostro dovere importante è che questo
pericolo per il suo popolo venga finalmente a terminare e che non debba perpetuarsi il pericolo per altri Stati e per
altri popoli. Vedete, onorevoli colleghi
della sinistra, nel carnet politico e militare
di Saddam Hussein c’è l’invasione del
Kuwait; c’è il non avere offerto prove
concrete di aver distrutto i mezzi di annientamento di massa. Questo c’è nel carnet di Saddam Hussein !
Del resto, non faccio che ripetere le
vostre parole: il regime di Saddam Hussein
è un miscuglio di nazionalsocialismo, stalinismo ed Islam, privo di qualsiasi scrupolo, violento, repressivo, sessuofobico. Se
faccio la sintesi di ciò che ho sentito da
varie parti, dai « verdi » ai « rossi », sono
queste le espressioni uscite dalle vostre
bocche.
Ecco la ragione per la quale, ripeto –
non è una verità eterna –, la guerra è
nell’ordine delle cose che l’umanità, purtroppo, ha sempre conosciuto. Allora, rivolgendomi in modo particolare all’opposizione, cito un giornale, che non è il
Secolo d’Italia sul quale scrivo io, ma il
Riformista e, con molta serenità, vi invito
a meditare su queste parole nel momento
in cui gli Stati Uniti d’America assumono,
con la Gran Bretagna ed altri paesi, la
grave responsabilità di impiegare l’arma
finale costituita dall’intervento militare.
Scrive il Riformista: l’opposizione ha
argomenti per opporsi ad una guerra che
ritiene illegittima ma non ha argomenti
per trasformare questa opposizione in
ostilità e boicottaggio (ripeto: ostilità e
boicottaggio) nei confronti di un alleato di
mezzo secolo (ho già posto in luce qui, in
altra occasione nella quale ho avuto
l’onore di parlare, quali motivi di riconoscenza abbiamo nei confronti degli Stati
Uniti d’America). Nemmeno Chirac negherà il diritto di sorvolo dello spazio
aereo della Francia ! Nemmeno Schröder
negherà l’uso delle basi ! È ovvio – scrive
il Riformista – che sia cosı̀. A guerra
cominciata, la disputa giuridica e politica
è finita.
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L’Italia deve sperare che questo scontro
sia breve, il meno cruento possibile, e deve
sperare – lo dice il Riformista – che lo
vincano gli americani. Per questo deve
concedere il diritto di sorvolo e l’uso delle
basi. L’Italia deve operare perché il dopo
guerra, a differenza della guerra, sia multilaterale e recuperi quella funzione dell’ONU e dell’Unione europea, che tutti
ardentemente auspichiamo.
Noi da questi banchi abbiamo sostenuto sempre la funzione centrale dell’ONU,
dell’Alleanza
Atlantica,
della
Unione europea, cosı̀ come il Presidente
della Repubblica, richiamato giustamente
molto spesso in questo dibattito, ci ha
detto. Per questo – ed è la frase finale
diretta a voi dell’opposizione –, l’opposizione deve dichiararsi disposta ad inviare soldati e mezzi nell’Iraq liberato.
L’Italia deve sperare che la solidarietà
atlantica, che si è rotta nella NATO,
venga ristabilita. Per questo deve confermare la sua collaborazione militare nell’alleanza. Quella collaborazione che il
Presidente del Consiglio stamattina, con
grande chiarezza, ha definito nei suoi
termini, essenzialmente, senza impegno di
uomini e di mezzi nel terreno dello
scontro. « Non si capisce dunque » – per
ripeterlo con le parole rivolte da il Riformista a voi della sinistra – « perché
l’opposizione sia saltata alla giugulare del
ministro Frattini che sul nostro giornale
ha descritto esattamente cosı̀ le intenzioni del Governo italiano ».
Sembra ci sia una notizia non confermata della radio israeliana (faccio da
giornalista in questo momento): Tarek
Aziz sarebbe stato ucciso dopo un tentativo di fuga. Chiudo la parentesi.
Questo è quello che il Governo e questa
maggioranza ritengono, anche con questi
delicati problemi di coscienza evocati dal
mio amico che in questo momento presiede la nostra Assemblea: a lui che ha
dichiarato, applaudito dalla sinistra, il suo
voto non favorevole sulla risoluzione della
maggioranza, dico soltanto una cosa (e qui
probabilmente l’anima visceralmente anticomunista mi sarà ancora rimproverata):
Lenin ha detto che quando il nemico di
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classe ti loda vuol dire che stai sbagliando.
Non vorrei che gli applausi che ha ricevuto
da questi banchi Publio Fiori fossero una
conferma di quanto Lenin diceva (Applausi
dei deputati dei gruppi di Alleanza nazionale e di Forza Italia).
Per quanto mi riguarda, ripeto, io non
ho nessuna difficoltà a dire che anche
come cattolico, nell’esercizio di una funzione civile, nell’esercizio di una funzione
statale, darò il mio pieno consenso a
quello che il Presidente del Consiglio questa mattina ha detto, con argomentazioni,
con principi che tendono essenzialmente a
considerare il lavoro che dovremo fare nel
dopoguerra.
L’ANSA ha commesso un errore, che
penso sia solamente un errore tipografico, dando la notizia, questa mattina,
che alla seduta del Consiglio supremo di
difesa c’era il ministro Gaetano Martino,
ministro della difesa. Ora, il compianto
ministro Gaetano Martino è stato ministro degli esteri ed è il padre di Antonio
Martino. Bene, mi auguro che come Gaetano Martino ebbe la forza, dopo il veto
francese – francese ! – alla CED, di far
riprendere il cammino dell’integrazione
europea nelle conferenze di Venezia e di
Messina, cosı̀ noi avremo la forza di
riprendere il valore dell’Alleanza Atlantica, l’importanza decisiva dell’ONU, con
la determinazione di costruire l’Europa
unita di tutti i paesi che amano i valori
che i De Gasperi, gli Schuman, gli Adenauer portarono avanti per le sorti di
questo nostro paese (Applausi dei deputati
dei gruppi di Alleanza nazionale e di Forza
Italia).
Preavviso di votazioni elettroniche
(ore 15,13).
PRESIDENTE. Poiché nel corso della
seduta potranno aver luogo votazioni mediante procedimento elettronico, decorrono da questo momento i termini di
preavviso di cinque e venti minuti previsti
dall’articolo 49, comma 5, del regolamento.
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Si riprende la discussione
sulle comunicazioni del Governo.
(Seguito discussione)
PRESIDENTE. Vi sono alcuni interventi
a titolo personale. È iscritto a parlare
l’onorevole Fioroni. Ne ha facoltà.
GIUSEPPE FIORONI. Signor Presidente, colleghi, ho ascoltato con profondo
sconcerto le dichiarazioni rese dal Presidente del Consiglio, onorevole Berlusconi;
mi sono chiesto: sono queste le dichiarazioni che deve rendere il Capo del Governo, il Capo del nostro Governo, le
dichiarazioni che deve rendere un Presidente del Consiglio, per editto: pregiato del
titolo di volenteroso ? Dichiarazioni che a
me sono sembrate superficiali e veloci che
può rendere, forse, anche un disattento e
confuso cittadino del nostro paese e dalle
quali, però, trapelava, in modo palpabile
ed evidente, la difficoltà dell’onorevole
Berlusconi, di non riuscire a celare il
disagio di chi è pienamente consapevole e
cosciente che è altrove che si è deciso e
che si stava decidendo. Credo che quest’Assemblea non abbia mai avvertito
come da ieri alle 18,03, quando è uscita
l’agenzia Ansa del dipartimento di Stato,
la sensazione duplice di una eterodirezione e di una esautorazione dei poteri del
Parlamento.
Colleghi, chi ha ascoltato oggi le dichiarazioni del Presidente Berlusconi ha avvertito il forte disagio di dover appartenere,
nostro malgrado, ad un paese, l’Italia, che
diviene un’Italietta opportunista ed ambigua che comprende, condivide e legittima la
guerra confondendo l’alleanza, sacra ed inviolabile, con il vassallaggio, ma, nel contempo, non avendo il coraggio, la forza e la
responsabilità di essere in grado di scegliere
con coerenza e dignità ma scegliendo, invece, la strada di un lento e silenzioso trascinamento verso la violazione della Costituzione, sperando che su altri ricadano le
responsabilità verso Dio, verso gli uomini,
verso la storia.
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Lascia sconcertati l’indifferenza verso
la prima vittima di questa inutile e inaccettabile guerra: l’ONU, le Nazioni Unite,
l’ultimo organismo democratico in grado
di rappresentare l’unica potenzialità possibile per la costruzione di una pace
duratura, fondata sulla libertà e sulla
giustizia sociale.
Cari colleghi, è la prima volta che in
questo Parlamento si legittima una guerra
preventiva nella certezza che dalle bombe,
dai morti e dalla sofferenza si possa
costruire una pace duratura. Credo che di
questo ne avvertiate il peso nella vostra
coscienza; siete ancora in tempo per non
legittimare un’azione che è contro la nostra Costituzione e che non ha nulla a che
vedere con l’alleanza (Applausi di deputati
del gruppo della Margherita, DL-l’Ulivo e
del deputato Franco Giordano).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare
l’onorevole Burani Procaccini. Ne ha facoltà.
MARIA BURANI PROCACCINI. Signor
Presidente, in un brevissimo intervento a
titolo personale sento il dovere morale –
al quale io ho informato credo tutta la mia
azione politica oltre che la mia vita – di
confermare che, da cattolica, sono pronta,
per la mia fede, per colui che sulla terra
per me rappresenta il Cristo a dare la vita;
ma, da cittadina italiana confermo la mia
piena e totale fiducia e lealtà a lei, alla sua
azione politica meditata e sofferta, a tutto
ciò che il nostro Governo ha cercato di
fare... (Commenti dei deputati della Margherita, DL-l’Ulivo, di Rifondazione comunista).
RICCARDO MILANA. Brava (Applausi
polemici di deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l’Ulivo) !
ALFREDO BIONDI. Lasciate parlare,
ha diritto di parlare.
MARIA BURANI PROCACCINI. E cosı̀
confermo, lo dico alto e forte, la mia totale
lealtà alla patria e alla bandiera italiana,
unica bandiera nella quale mi riconosco,
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come si riconoscevano i miei padri e si
riconoscono i miei figli (Applausi di deputati del gruppo di Forza Italia).
GABRIELE FRIGATO. Vergogna !
GIORGIO BORNACIN. Sono altre le
cose di cui bisogna vergognarsi.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare
l’onorevole Buontempo. Ne ha facoltà.
TEODORO BUONTEMPO. Signor Presidente, le parole espresse dal Presidente
del Consiglio nella parte finale sono state
molto chiare e, per chi, come me, ha
vissuto un profondo travaglio alla vigilia di
questo dibattito, quando il Presidente del
Consiglio, oggi, ha detto in maniera estremamente chiara « non siamo un paese
belligerante, non inviamo truppe, non partecipiamo ad operazioni di guerra; concediamo le basi ed il sorvolo aereo nell’ambito di trattati internazionali e dell’Alleanza atlantica », queste parole avrebbero
dovuto costringere ciascun parlamentare e
i gruppi, anche se in posizioni diverse, ad
una ulteriore riflessione.
A me pare, invece, che si sia trasformato il tutto nella solita polemica tra
maggioranza ed opposizione, polemica che
l’importanza dell’argomento non meritava.
Tali dichiarazioni rappresentano, indubbiamente, il punto di equilibrio possibile
nel momento in cui si svolge questo dibattito e nel momento in cui dall’Iraq già
arrivano notizie drammatiche.
Ciò nonostante, mi resta l’imbarazzo
profondo di fronte all’opinione che definisce tale guerra come legittima. No, non
credo che siamo di fronte a quelle condizioni per le quali un attacco sarebbe
inevitabile e legittimo; a me pare, semmai,
che sia vero il contrario: l’azione degli
ispettori, l’accerchiamento militare dell’Iraq, i dubbi sull’intervento armato
espressi da importanti uomini di Governo
di paesi europei, dalla Russia, dalla Cina
e cosı̀ via, stavano portando al disarmo, un
disarmo lento, contrastato, ma che sarebbe stato inevitabilmente raggiunto.
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