Atti Parlamentari XIV LEGISLATURA — — DISCUSSIONI — 33 SEDUTA DEL zione comune in Europa e tra l’Europa e gli Stati Uniti dentro il quadro delle Nazioni Unite e riteniamo la dottrina dell’azione preventiva un tragico errore. Riteniamo l’imminente guerra in Iraq un tragico sbaglio in sé, per le sue conseguenze immediate (la guerra non è un film, come sanno le generazioni che ne hanno memoria diretta, e come sa il Pontefice, che ha accentrato su tale tema il suo ultimo, drammatico appello) e per le sue conseguenze di lungo periodo. Dalla possibilità di costruire un nuovo e migliore ordine internazionale all’indomani della tragedia del crollo delle Twin Towers ci siamo avvitati in una crisi che ci pone davanti ad un scenario ignoto e terribile. Cito testualmente: « alla Gran Bretagna si chiede di imbarcarsi in una guerra che non riscuote l’approvazione di alcuno degli organismi internazionali in cui rivestiamo un ruolo di primissimo piano. Venirsi a trovare in una posizione di tale isolamento diplomatico significa aver compiuto un grande passo indietro. Solo un anno fa, noi e gli Stati Uniti eravamo parti di una coalizione cosı̀ larga e differenziata da essere inimmaginabile prima. La storia resterà attonita davanti ai gravissimi errori diplomatici che hanno condotto cosı̀ rapidamente alla disintegrazione di una coalizione cosı̀ potente. La Gran Bretagna non è una superpotenza: per tale motivo non sarà un’iniziativa unilaterale a tutelare al meglio i nostri interessi, bensı̀ un accordo multilaterale ed un ordine mondiale subordinato a precise regole. Eppure, oggi, le partnership internazionali per noi più importanti risultano indebolite. Sono questi gli effetti disastrosi di una guerra di cui non è stato ancora sparato il primo colpo ». Come capite, sono le parole pronunciate ieri dal dimissionario Robin Cook alla Camera dei comuni. Non certo per un criterio di vicinanza politica direi che non ho altro da aggiungere, se non sostituire il termine « Gran Bretagna » con la parola « Italia ». Vorrei, invece, aggiungere altre considerazioni. Noi siamo quelli che, più di altri, in questi sette mesi, hanno battuto ripetutamente sul tema « Nazioni Unite e Camera dei Deputati — 19 MARZO 2003 — N. 283 Unione europea », sottolineando in ogni circostanza che la costruzione di un sistema di regole valide per disciplinare la questione irachena e per prevenire nuovi conflitti era la priorità assoluta. Lo abbiamo detto poiché ciò che ci spaventava e ci spaventa di più del disordine mondiale imminente è l’assenza di un disegno e di una bussola per poterci orientare. Lo abbiamo detto poiché in un mondo in cui ciascuno, grande o piccolo che sia, crea la propria regola, stabilisce i propri obiettivi ed interessi ed agisce di conseguenza, è un mondo drammaticamente più insicuro. Allora, oggi dobbiamo tirare le conseguenze di quell’impostazione e, pertanto, argomenterò rapidamente due conseguenze ed un giudizio politico. In primo luogo, questo intervento avviene fuori dal quadro della legalità internazionale; questo intervento non si svolge sotto l’egida delle Nazioni Unite. Gli Stati Uniti hanno ritirato un’ipotesi di seconda risoluzione al Consiglio di Sicurezza non solo poiché andavano incontro ad un probabile uso congiunto del diritto di veto da parte della Francia e, forse, di Russia e Cina, ma anche poiché non sono stati in grado, pur ricorrendo al soft power della persuasione diplomatica, di traghettare la maggioranza dei membri del Consiglio. I paragrafi 4 ed 11 della risoluzione n. 1441 imponevano un secondo passaggio davanti al Consiglio di Sicurezza (basta leggerli). Pertanto, quando il Presidente del Consiglio ci viene a raccontare che la risoluzione n. 1441 è in sé sufficiente e, meno che mai, cerca dimostrarci che la base di legittimazione può essere rinvenuta nella violazione del cessate il fuoco di 12 anni fa, siamo al ridicolo: dopo il Presidente operaio ci toccherebbe pure il Presidente Segretario generale delle Nazioni Unite che ci fornisce l’interpretazione autentica di ciò che si fa al Palazzo di vetro. Questo intervento non è deciso all’interno della cornice Nato, che non ha stabilito alcunché nel suo Consiglio. Questo intervento non è sostenuto ed approvato politicamente dall’Unione europea, che lo ha contestato a larga maggioranza nel Parlamento europeo e che si è divisa Atti Parlamentari XIV LEGISLATURA — — DISCUSSIONI — 34 SEDUTA DEL aspramente a livello del Consiglio europeo. Questo intervento non è necessitato da alcuna emergenza o catastrofe imminente. L’ultimatum lanciato dalle Azzorre al regime di Saddam disvela ufficialmente un obiettivo, il cambio di regime, che non è contemplato in alcun documento degli organismi internazionali, interrompe il processo di distruzione degli armamenti avviato con successo dagli ispettori, avvita la comunità internazionale in una difficile crisi di rapporti, poiché quando la potenza divorzia dalla saggezza, il mondo non ha niente di buono da attendersi. Dunque, lo ripeto, siamo davanti ad un intervento militare privo di legittimità giuridica internazionale. Da questa prima conseguenza ne discende automaticamente una seconda: l’articolo 11 della nostra Costituzione, in lettura congiunta con i principali strumenti pattizi di cui il nostro paese è parte (Carta delle Nazioni Unite e Trattati europei), stabilisce i confini non opinabili all’interno dei quali un Governo e un Parlamento possono muoversi. Siamo consapevoli che, qualora l’ONU avesse approvato un intervento militare contro l’Iraq, si sarebbe aperto un dibattito complesso sul merito della questione, sulla giustezza e sull’opportunità politica e geostrategica di un intervento militare, che sarebbe stato, però, legittimo sul piano del diritto. Inoltre, perché resti agli atti di questa Camera, quando giudicheremo il lavoro della Convenzione europea, siamo tra coloro che non protesterebbero se tutti insieme decidessimo di condividere questa sfera della sovranità nazionale a livello comunitario, adottando procedure e strumenti cogenti nell’adozione di una politica estera di difesa comune europea. Non ci stracceremmo le vesti nemmeno in quei casi in cui fossimo eventuale minoranza, poiché le grandi costruzioni sono fatte anche di rinunce. Tuttavia, cosı̀ non è stato. Allora, quell’articolo 11 che ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie e che accetta limitazioni solo in condizioni di parità e se provenienti dagli organismi internazionali che ho ri- Camera dei Deputati — 19 MARZO 2003 — N. 283 chiamato, ci proibisce di fornire ogni supporto politico, militare e logistico a questa guerra. Signor Presidente del Consiglio, lei poteva dire « no » alla guerra e « sı̀ » alle basi, come hanno fatto Francia e Germania sulla base di diversi accordi bilaterali; poteva dire « sı̀ » alla guerra e « sı̀ » alle basi, come hanno deciso altri. Noi volevamo sentirle dire « no » alla guerra e « no » alle basi. Invece, lei ci ha detto, con grondante retorica, « sı̀ » alla guerra, ma poi ci ha detto « boh » alle basi, dato che ha dovuto o ha finto di dover tener conto dei vincoli che le sono stati posti. Ci siamo affidati ad un sistema di regole nazionali ed internazionali anche laddove queste ci avessero costretto ad una difficile scelta. Oggi, però, siamo qui a trarne tutte le conseguenze ed invitiamo il Governo a fare la stessa cosa. La lettura completa dell’articolo 11 è un argomento tanto semplice quanto privo di eccezioni possibili. PRESIDENTE. Onorevole Pistelli... LAPO PISTELLI. Termino con un giudizio politico inevitabilmente aspro. In un tempo in cui tutto cambia non è detto a priori che la continuità della politica estera sia un valore in sé. La bontà di una scelta di continuità va argomentata, cosı̀ come va argomentato un cambio di impostazione. Riteniamo che la conduzione della politica internazionale del nostro paese sia stata di livello bassissimo non solo per le scelte di merito compiute fin da prima dell’inizio formale di questa crisi che hanno – altro che continuità ! – rotto un filo durato cinquant’anni, ma per un metodo che non esito a definire indecente. Il Presidente del Consiglio lo ha confermato anche stamani con un intervento stupidamente aggressivo verso l’opposizione e di un livello francamente imbarazzante, stretto fra le conversioni recenti di Alleanza nazionale, l’euroscetticismo della Lega, l’eurocontinuità dell’UDC... PRESIDENTE. Onorevole Pistelli, deve veramente concludere. Atti Parlamentari XIV LEGISLATURA — — DISCUSSIONI — 35 SEDUTA DEL LAPO PISTELLI. Il Governo ha perseguito una linea che è andata avanti ed indietro con una sequela di furbizie, mezze ammissioni, slanci in avanti corretti da corrucciate preoccupazioni. Sarebbero basate altre due porte, signor Presidente, e saremmo stati davanti ad un perfetto ma tragico tracciato di slalom speciale. Siamo contrari a questa guerra che era ingiusta ed oggi è pure illegittima. Perciò, chiediamo al Governo di non fornire supporti politici, militari e logistici che coinvolgano il nostro paese in un’avventura sbagliata e pericolosa (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-l’Ulivo e dei Democratici di sinistra-l’Ulivo – Congratulazioni). PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Fiori. Ne ha facoltà. Onorevole Fiori, le ricordo che parla a titolo personale, quindi le raccomando il rispetto dei tempi. PUBLIO FIORI. Signor Presidente, quando l’azione politica, come in questo caso, incrocia principi etici e morali cosı̀ rilevanti, la responsabilità dei cattolici impegnati in politica si fa più alta e più forte. Bisogna scegliere perché, al di là del consueto tergiversare di carattere politico, in questo caso ci si deve collocare. Non voglio assolutamente esprimere giudizi, non voglio giudicare i comportamenti di altri colleghi, anche loro di ispirazione cattolica, che prenderanno altre strade. Voglio soltanto spiegare il motivo del mio dissenso e perché questa comunicazione del Governo non potrà avere il mio consenso. Non condivido il tema centrale della comunicazione, cioè che la guerra sarebbe legittima. Lo hanno detto in tanti, li ho studiati anch’io i riferimenti legislativi di diritto internazionale e costituzionale sono evidenti. Non è questa la strada sulla quale ci possiamo mettere per un dibattito da TAR o da ex pretura. Non ci siamo: i termini indicati testimoniano il contrario. Quindi, non mi intratterrò, anche per il breve tempo a disposizione, su questo argomento. Però, vorrei far rilevare alcune Camera dei Deputati — 19 MARZO 2003 — N. 283 contraddizioni emerse che rappresentano la vera caratteristica di questa comunicazione. Il Presidente ha detto che il vecchio Segretario generale dell’ONU, in relazione alle vicende del 1993, disse che quella deliberazione del Consiglio di Sicurezza era legittima e poteva portare alla guerra. Tuttavia, l’attuale Segretario generale dell’ONU ha detto il contrario. Il Presidente ha detto che la guerra è legittima. Allora, se la guerra è legittima, l’Italia avrebbe avuto il dovere di mandare i suoi uomini o, quanto meno, di dare le proprie basi. Non si capisce come sia possibile pensare che la guerra sia legittima senza, poi, dare le basi per farla. PRESIDENTE. Onorevole Fiori... PUBLIO FIORI. Concludo, signor Presidente. Quindi, pur apprezzando lo sforzo che il Governo ha fatto per mediare situazioni e problemi interni, ritengo che la conclusione in una materia cosı̀ rilevante non possa essere approvata. Vorrei svolgere un’ultima considerazione. Si richiama continuamente l’amicizia dell’Italia con gli Stati Uniti. Avevo portato un testo che naturalmente non posso leggere: il De Amicitia di Cicerone. PRESIDENTE. Al momento in cui esso fu scritto non c’erano gli Stati Uniti. PUBLIO FIORI. Tuttavia, credo mantenga attualità, signor Presidente. Anzi, vorrei fare un omaggio di tale testo al Presidente del Consiglio in duplice copia perché ne possa dare una anche al suo amico Bush. In sostanza, e concludo, dice Cicerone (e credo sia valido): l’amicizia non è una solidarietà che nasce comunque, altrimenti acquisterebbe anche altri nomi meno nobili. L’amicizia si deve basare su alcuni valori di riferimento, su alcune virtù e quindi non si può invocare quando invece si intraprende una strada che con i grandi valori e le grandi virtù ha poco a che fare (Applausi dei deputati dei gruppi dei De- Atti Parlamentari XIV LEGISLATURA — — DISCUSSIONI — 36 SEDUTA DEL mocratici di sinistra-l’Ulivo, della Margherita, DL-l’Ulivo, di Rifondazione comunista e Misto-Comunisti italiani). ELETTRA DEIANA. Bravo Fiori ! PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Gambale. Ne ha facoltà. GIUSEPPE GAMBALE. Signor Presidente, signori del Governo, onorevoli colleghi, la guerra è sempre una sconfitta ed è soprattutto una sconfitta per la politica: è il fallimento della politica e della diplomazia (e vorrei che almeno questo oggi potessimo condividerlo tutti, al di là delle battute del Presidente del Consiglio). Giovanni XXIII, quarant’anni fa (non oggi, ma quarant’anni fa !), nella Pacem in terris diceva: la situazione internazionale ci presenta oggi uno scenario in cui è sempre più chiaro che l’indipendenza di un popolo deve sempre più essere coniugata assieme all’interdipendenza (direi di più all’intercomunione). Mai come in questo momento, signori del Governo, sarebbe stata necessaria una politica capace di mettere in campo sforzi creativi, proporzionati ai pericoli che minacciano la pace. Sarebbe stato necessario il coraggio di uscire dalle strade che fino ad oggi abbiamo percorso, il coraggio di uscire da una politica parziale e dall’orizzonte ristretto. Non lo abbiamo fatto: non l’ha fatto l’Italia, non c’è riuscita l’Europa. Ma è un fallimento innanzitutto per Bush e per l’America. Il capogruppo al Senato del Partito democratico americano, Tom Daschle, dice che è molto rattristato che questo Presidente abbia cosı̀ miseramente fallito nell’azione diplomatica, da essere costretti ora alla guerra. Anche l’ondata di proteste sollevatasi in tutto il mondo avrebbe dovuto far riflettere. Centinaia di migliaia di persone si sono mobilitate per dire alla politica di svolgere il proprio ruolo. Riflettete sul fatto che l’Amministrazione Bush, grazie alla sua scriteriata politica – qualcuno la definisce meglio « impolitica » –, è riuscita a trasformare l’afflato mondiale sorto dopo l’11 settembre in una clamorosa Camera dei Deputati — 19 MARZO 2003 — N. 283 politica di splendido isolamento, in nome della predominanza che ha sostituito la politica della deterrenza. Questo non lo diciamo noi, ma i più grandi giornali americani. Su The New York Times di qualche giorno fa il noto commentatore Thomas L. Friedman dice che negli ultimi tempi quasi ogni discorso di Bush ha sollevato il tema della paura e del pessimismo armato. Avremmo bisogno, dice Friedman, di meno John Wayne e di più John Kennedy; dovremmo esportare le nostre speranze, non le nostre paure. Aggiungiamo noi: dovreste dare una speranza al mondo, specie quello dimenticato, come in Africa ad esempio. La guerra costerà 150 miliardi di dollari e la presunta pace che ne deriverà costerà ancora di più. Ma il costo reale è quello invisibile: quello delle vite umane sconosciute che saranno immolate e quello di un sistema internazionale virtualmente distrutto. Una diplomazia fallita, il vertice dell’isolamento: questo dicono i giornali americani riferendosi al summit di Bush, Blair e Aznar nelle Azzorre. Questa guerra, signori del Governo, nasce da lontano (e non è purtroppo dietrologia, ma sono i fatti che parlano). La logica che ha spinto all’azione gli Stati Uniti è ben rappresentata in un articolo del gennaiofebbraio 2000 (un anno e mezzo prima dell’attentato alle torri gemelle) sul Foreign Affairs dalla Rice, consulente per la sicurezza nazionale. La Rice scrive che la prontezza militare è prioritaria, che l’amministrazione agirà sulla base dell’interesse nazionale e non certo in nome di un’illusoria comunità internazionale e che fra le priorità vi dovrà essere quella di mettere in campo tutti i mezzi per rimuovere Saddam Hussein dal potere. Cronaca di una guerra annunciata: altro che terrorismo internazionale, disarmo forzato (come ha detto Berlusconi), democrazia e liberazione per il popolo iracheno, pace in Medio Oriente e chi più ne ha più ne metta (compresa qualche inopportuna e inadeguata citazione del Papa) ! Bush parla in termini pericolosamente messianici della missione di liberare il popolo iracheno e di diffondere l’esempio Atti Parlamentari XIV LEGISLATURA — — DISCUSSIONI — 37 SEDUTA DEL della democrazia in tutto il Medio Oriente, per dare una lezione che serva da modello a tutti i dittatori e che apra trionfalmente le porte alla democrazia. Il pensiero corre ai regimi amici del Pakistan, dell’Arabia Saudita e mi viene in mente una distinzione fatta negli anni settanta dagli stessi americani che classificavano i regimi illiberali a seconda della vicinanza politica a Washington: come autoritari quelli filoamericani o come dittatoriali quelli antiamericani. È incredibile la fede nella virtù della forza che questa amministrazione ha. È proprio vero – ministro Buttiglione – quanto ha affermato la Santa Sede, vale a dire che l’alternativa rischia di essere tra la forza del diritto e il diritto della forza. Ho la sgradevole sensazione di un vero e proprio fideismo, occidentalismo dogmatico – per non dire integralista – e mi chiedo come abbia potuto la land of free giungere a tali posizioni. L’ultimo discorso di Bush, se l’avete sentito – e credo che, purtroppo, molti di noi l’abbiano sentito –, è fatto di 15 minuti di ingiunzioni e sostituzioni: ingiunzioni agli ispettori, ai giornalisti, ai cittadini americani di lasciare subito il paese e quelli dell’area interessata; ingiunzioni a Saddam Hussein e ai figli di esiliarsi; ingiunzioni ai militari iracheni di arrendersi senza combattere; sostituzione degli Stati Uniti a qualunque altra autorità internazionale. Dunque, come dicono alcuni commenti, la decisione di guerra altera le relazioni tra Stati Uniti e Nazioni Unite per sempre. Si creano due circuiti: uno fatto di alleanze mirate, l’altro di impegni istituzionali generali. Sta prevalendo – lo ripeto – il diritto della forza e non la forza del diritto, si sta compromettendo la legalità internazionale, si è indebolita l’ONU, mettendo a grande rischio un’istituzione che, pur tra tante difficoltà e limiti, in questi anni è stata punto di riferimento per la pace e l’ordine internazionale, si è affermata la logica della guerra preventiva e – più grave ancora – l’alleanza dei buoni contro i cattivi. Camera dei Deputati — 19 MARZO 2003 — N. 283 Non potremo mai accettare un ordine internazionale dettato da chicchessia, dal più forte o da chi si arroga il potere di decidere per gli altri e per tutti. L’onorevole Igino Giordani, deputato della Costituente, nel suo libro L’inutilità della guerra, già nel 1952, ci metteva in guardia rispetto al pericolo sempre presente del fanatismo, affermando che sta rinascendo, soprattutto nella letteratura politica, una sorta di manicheismo, il quale scomparte uomini e idee, epoche ed eventi, economia e geografia in due schieramenti, uno del bene e l’altro del male, con in mezzo un fossato invalicabile: da una parte sono messe tutte le ragioni, dall’altra tutti i torti. È l’antitesi asserita nella stampa e nei discorsi con una decisione drastica e un accento perentorio, un vero fanatismo acritico che reclama scelte definitive e non consente flessioni. Da esso si svolge un canone etico di vita pubblica e privata che si può semplificare cosı̀: o con noi o contro di noi e chi non è con noi va eliminato. Presidente, a questo non ci stiamo e continueremo a lavorare per la pace sulle macerie che questa guerra lascerà a livello politico e istituzionale. Chiedo alla Presidenza l’autorizzazione alla pubblicazione in calce al resoconto stenografico della seduta odierna di considerazioni integrative del mio intervento (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-l’Ulivo, dei Democratici di sinistra-l’Ulivo e Misto-Comunisti italiani). PRESIDENTE. La Presidenza la autorizza sulla base dei consueti criteri. Constato l’assenza dell’onorevole Rivolta, iscritto a parlare: si intende che vi abbia rinunciato. È iscritto a parlare l’onorevole Guido Giuseppe Rossi. Ne ha facoltà. GUIDO GIUSEPPE ROSSI. Signor Presidente, la crisi irachena è solo un capitolo, per quanto importante, del processo di formazione di un nuovo sistema internazionale la cui ombra già si proietta oltre la crisi. In tale contesto era perciò inevitabile che le ragioni a favore della pace o Atti Parlamentari XIV LEGISLATURA — — DISCUSSIONI — 38 SEDUTA DEL della guerra, come scelte morali, finissero col dissolversi nell’utopia e che a guidare i governi fossero quelle della ragion di Stato. Forse, non è un caso che dai balconi delle case francesi non penda una sola bandiera della pace. Ho citato un pezzo di un editoriale comparso su un importantissimo quotidiano nazionale che ci dà il senso di come, in questo paese, non si sia capaci di affrontare i temi della politica internazionale. Temi che, in tutti gli altri paesi, vengono affrontati dal punto di vista della Realpolitik e della ragion di Stato. Abbiamo già detto della Francia che, in tutta questa vicenda, si è tenuta ben alla larga da utopie pacifiste e ha seguito una politica di puro interesse nazionale, amplificando un diritto di veto alle Nazioni Unite assolutamente antistorico e anacronistico che sopravvaluta il reale peso politico, economico e militare di una media potenza europea quale la Francia. Un altro obiettivo molto chiaro dei cugini transalpini è, ovviamente, quello di continuare a portare avanti una egemonia all’interno dell’Unione europea. E sappiamo che questo non è il modello di Unione europea democratica e partecipativa al quale devono tendere tutti gli Stati e tutti i popoli dell’Europa. Poi abbiamo visto come questa deriva pacifista non sfiori minimamente il Governo francese che ha già detto che, nel caso in cui Saddam Hussein dovesse usare armi chimiche o di distruzione di massa, parteciperà al conflitto militare ammettendo, da un certo punto di vista, il fatto che Saddam Hussein possegga tali tipi di armi. Della Gran Bretagna conosciamo molto bene le ambizioni e le strategie non di superpotenza, come è stato detto, ma sicuramente di potenza politica e militare mondiale. La Spagna ha fatto una scelta e ha cercato di ricostruire un asse con la Gran Bretagna, memore anche dell’antico passato atlantico, tentando – anche qui – di uscire dalla tenaglia dell’egemonia francotedesca. La stessa Germania, dopo l’ubriacatura elettorale di Schröeder che ha consentito di vincere le elezioni per Camera dei Deputati — 19 MARZO 2003 — N. 283 pochi voti, sta facendo marcia indietro dal punto di vista pratico, tant’è che non viene minimamente messa in discussione la possibilità di concedere agli Stati Uniti basi, spazi aerei, infrastrutture e quant’altro per l’azione in Iraq. La Turchia sta attraversando una fase di turbolenza interna ma, anche in questo caso, si arriverà ad una esplicitazione della ragion di Stato, con la Turchia che vuole esercitare un ruolo di potenza regionale nell’area. I paesi dell’est hanno rifiutato lo strapotere e l’egemonia della Francia, dicendo: ci avete chiamato all’interno dell’Unione europea e vogliamo avere una posizione autonoma. Qualcuno gli ha spiegato che non potevano avere una posizione autonoma, qualcuno ha pensato che questi paesi, forse, potessero e dovessero avere soltanto un ruolo di comprimari all’interno dell’Unione europea. Ma questa non è una visione democratica dell’Unione europea. Anche il Belgio sta tornando su posizioni realistiche, tant’è che il Premier belga ha richiamato all’ovile – se cosı̀ si può dire – le posizioni dell’estemporaneo e bizzarro ministro degli esteri Michel. Gli unici neutrali sono gli austriaci. Si tratta di un paese tradizionalmente neutrale, all’interno del quale ha un peso politico il ben conosciuto Jörg Haider. Ricordiamo come, un po’ di tempo fa, l’Ulivo italiano ed europeo avesse scatenato la guerra santa contro l’Austria, accusata di violare i diritti umani all’interno dell’Unione europea. Vedo che adesso l’Ulivo è schierato sulle posizioni austriache e, dunque, anche sulle posizioni Jörg Haider. Ho ricordato tutto ciò, per ribadire che non esiste paese, a prescindere dalla posizione di contrarietà, di perplessità e di appoggio tenuto nel corso della diplomatica e politica, che rifiuterà l’uso delle basi agli Stati Uniti. Dunque, chiedere che non vengano concesse le basi, come fa la risoluzione n. 6-00056 firmata dall’intero l’Ulivo – questo « sı̀ », è un momento di unità politica; devo ammettere che si è arrivati all’unità politica all’interno dell’Ulivo –, oggettivamente significa che questa richiesta è funzionale al regime di Saddam e al suo tentativo disperato di Atti Parlamentari XIV LEGISLATURA — — DISCUSSIONI — 39 SEDUTA DEL difesa. E questo deve essere detto, perché non esiste alcun motivo di ordine geopolitico, diplomatico, giuridico internazionale e di interesse nazionale – aggiungiamo noi – per non concedere le basi agli angloamericani. Esiste, invece, un interesse tutto nazionale, tutto provinciale, tutto partigiano da parte dell’Ulivo, – lo ripeto – a prescindere dall’interesse nazionale: in altre parole, si tratta di una nuova arma per colpire il Governo Berlusconi, da mettere nel calderone delle accuse con la RAI, con l’articolo 18, con i fatti di Genova, con la giustizia, a prescindere dalla situazione internazionale. In conclusione, noi deputati del gruppo della Lega nord Padania, rivolgendoci ai cittadini di questo paese, diciamo che si può discutere e si deve discutere, anche con spirito critico, su come dovrà essere il mondo di domani. Probabilmente, si tratterà di un mondo che dovrà trovare nuovi meccanismi di multipolarità e non potrà accettare sicuramente un ruolo egemone da parte degli Stati Uniti. Questa è la grande missione dell’Unione europea. Su questo si può discutere. Su questo si può essere d’accordo. Ma, sicuramente, non si può discutere, come fa l’opposizione di questo paese, su decisioni come quella di non concedere le basi, che, in ultima istanza, non farebbero che renderci complici di dittatori sanguinari come Saddam Hussein (Applausi dei deputati del gruppo della Lega nord Padania). PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Folena. Ne ha facoltà. PIETRO FOLENA. Signor Presidente, oggi, la migliore risposta allo strappo costituzionale, politico e perfino morale, rispetto alle parole del pontefice, provocato dal Presidente del Consiglio con l’adesione alla coalizione guidata dagli Stati Uniti che si appresta a scatenare una guerra unilaterale e illegittima contro l’Iraq, viene dal documento comune sottoscritto dall’Ulivo e da Rifondazione comunista. Alla stragrande maggioranza degli italiani che sono contro la guerra – tantissimi dei quali sono vostri elettori, colleghi Camera dei Deputati — 19 MARZO 2003 — N. 283 della maggioranza, cittadini lontani dalla sinistra – oggi con poche, nette e semplici parole parla questo nostro documento e dice con precisione cosa il centrosinistra avrebbe fatto se fosse stato al Governo: l’Italia, nel solco del suo europeismo, sarebbe stata al fianco della Francia e della Germania. È stato umiliante per noi parlamentari della Repubblica dover apprendere da Colin Powell – attraverso una notizia ANSA battuta alle 18.03 di ieri – che l’Italia fa parte di quella che con un certo cinismo è stata chiamata « coalizione dei volenterosi ». È stato umiliante per il Parlamento e la nazione, visto che poche ore prima il ministro Giovanardi, davanti alle Commissioni esteri riunite, aveva letto i mattinali delle questure di Pisa e di Vicenza sulle proteste dei pacifisti e comunicato, per la verità con quattro anni di ritardo, la posizione critica dell’attuale Governo non su questa guerra ma su quella del 1999 in Kosovo (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l’Ulivo e della Margherita, DL-l’Ulivo). Quindi, anche l’onorevole Berlusconi è un volenteroso: da ieri pomeriggio, ore 18.03. Sinceramente, l’avevamo sospettato, malgrado il fatto che volando a Mosca si fosse sforzato di dire a Putin che era perfettamente d’accordo con lui. Un volenteroso, s’intende, della serie « armiamoci e partite », ma pur sempre un volenteroso. Questa guerra con l’appoggio dell’Italia avrà conseguenze drammatiche. Accanto alle migliaia di vittime e alla distruzione determinata dalla tempesta di tremila missili che si sta per abbattere sull’Iraq, questa guerra alimenterà nuovo terrorismo, nuova violenza, nuova insicurezza e nuove guerre. La vicenda di Israele e della Palestina – violenza e terrorismo, guerra e kamikaze – lo dimostra tragicamente. Questa guerra ecciterà uno scontro di civiltà ed una contrapposizione drammatica fra una parte, solo una parte ma importante, del mondo occidentale ed il mondo islamico, e poi il mondo cinese e quello indiano e quello africano e quello latino-americano: una contrapposizione Atti Parlamentari XIV LEGISLATURA — — DISCUSSIONI — 40 SEDUTA DEL che sarà vissuta dai poveri, dagli ultimi, dai diseredati del pianeta, come una guerra dell’egoismo e del privilegio, come una guerra del petrolio, di un certo stile di vita consumistico e di questo modello di sviluppo non sostenibile. Sia chiaro, diciamo questo in nome della più radicale opposizione al dittatore Saddam e a tutti i dittatori: dopo l’11 settembre – lo si doveva già capire dopo il 1989 – è finito il tempo di ogni relativismo etico; è la doppiezza dei ricchi e dei forti del mondo ad aver foraggiato in tutti i continenti i dittatori e la sistematica violazione dei diritti umani. Quei gas all’Iraq sono stati forniti all’inizio degli anni ottanta dall’Occidente nella guerra contro Khomeini, ma quanti gas e quante armi di distruzione vengono fabbricate e fornite per ragioni di potenza ancora oggi in ogni parte del mondo ? Nessuno di noi, per esempio, solidale con la causa del Tibet, immagina di risolvere questa causa con la guerra alla Cina. I diritti umani non si affermano con le bombe e con i cannoni, ma con l’azione economica, politica e diplomatica, con gli ispettori che stavano ottenendo in Iraq risultati crescenti e documentabili e che sono andati via ieri da Bagdad. Un sostegno attivo alla Corte penale internazionale, boicottata dagli Stati Uniti e da altre grandi potenze. Senza doversi per forza dichiarare gandhiani, dobbiamo sapere che, nell’epoca contemporanea, i mezzi determinano il fine, spesso coincidono con il fine e la prima violazione dei diritti umani è la guerra: sono le vittime civili. È stato detto recentemente dall’onorevole Mussi che questa è una guerra costituente di un nuovo assetto del mondo. Brzezinski, recentemente, criticando gli errori di Bush, ha parlato di un riallineamento strategico planetario provocato da questa guerra. È, nella sua ispirazione, una guerra mondiale e lo può perfino tragicamente diventare nel suo sviluppo. Questa guerra globale, oggi nel teatro iracheno, viene condotta, senza e contro l’ONU, da una coalizione di paesi che rappresentano il 15,6 per cento della popolazione mondiale: 946 milioni di abi- Camera dei Deputati — 19 MARZO 2003 — N. 283 tanti. Con il Giappone, che ha dichiarato che parteciperà solo al dopoguerra, il 17,6 per cento, una minoranza. A questi trenta volenterosi, fra cui l’Italia, si aggiunge una figura inedita nel panorama internazionale, quella dei quindici paesi « incappucciati » dall’anonimato perché, di fronte alle loro opinioni pubbliche, si vergognano di ammettere il sostegno interessato a posizioni non difendibili: non sappiamo se, fino a ieri pomeriggio, anche l’onorevole Berlusconi avesse l’ambizione di essere in questa specialissima lista. Avrebbe, tuttavia, potuto risparmiarci la rimasticatura dell’inutile tentativo fatto ieri da Blair di dimostrare la legittimità di questo intervento. Berlusconi ha fatto riferimento al combinato disposto delle risoluzioni n. 687, che avviò la guerra del 1991, n. 678, che la sospese, e n. 1441. Ci ha spiegato che è d’accordo con Boutros Ghali, che però, purtroppo, non è il Segretario generale delle Nazioni Unite perché si chiama Kofi Annan e quest’ultimo ha detto che questa guerra non è legittima. A parte che per ridare vigore ad una risoluzione sospesa dal Consiglio di sicurezza occorreva un’altra risoluzione – stiamo parlando di bombardamenti ad obiettivi militari nel 1993 e nel 1998, quest’ultimi criticati, peraltro, dall’Italia e da larga parte dell’Europa perché unilaterali – e non certo un’invasione di un paese che non fu compiuta neppure nel 1991 perché neanche allora era autorizzata dalle Nazioni Unite, se è vero che la coalizione non entrò a Bagdad. La risoluzione n. 1441 – che non autorizza né i bombardamenti né tantomeno un’invasione – non contempla in alcun modo l’obiettivo dell’esilio di Saddam e dei suoi familiari, cuore dell’ultimatum di 48 ore dato da Bush nella notte fra il 17 e il 18 marzo. Del resto, come ha notato poco fa l’onorevole Fiori, se questa guerra è legittima, come dice Berlusconi, addirittura la prosecuzione dal punto di vista giuridico di quella del 1991, perché l’Italia non vi partecipa direttamente, come fece, invece, Atti Parlamentari XIV LEGISLATURA — — DISCUSSIONI — 41 SEDUTA DEL con la posizione anche allora contrastata e non popolare ma decisa con fermezza, con dignità e con coraggio ? La verità è una sola: questa guerra è illegittima e colpisce le Nazioni Unite. Del resto, lo ha detto anche Berlusconi il 27 febbraio quando ha affermato che l’azione militare di un paese al di fuori delle Nazioni Unite sarebbe un fatto talmente nefasto che nessuno si sarebbe caricato di una responsabilità cosı̀ grave (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l’Ulivo). Quattro paesi del Consiglio di Sicurezza fanno parte della lista dei trenta ed è nel fatto che erano 4 su 15, onorevole Frattini, la ragione – prima che nella giusta, sacrosanta (dobbiamo ringraziare la Francia per questa posizione) e ferma decisione francese e russa di votare contro il progetto degli Usa e della Gran Bretagna – dello strappo compiuto da Bush verso le Nazioni Unite. Ma il colpo più duro all’Europa è stato inferto anche dalla posizione italiana. Nel riallineamento strategico gli Stati Uniti chiudono a tenaglia (Gran Bretagna e Spagna da una parte, Polonia ed ex paesi comunisti dall’altra) la Francia e la Germania, il nucleo fondatore dell’impresa europea. L’Italia, il paese fondatore dell’Europa, ha attivamente partecipato, contro i propri interessi nazionali, a questa operazione per debolezza politica. Berlusconi ha detto che si tratta di un capolavoro diplomatico. È davvero un bel capolavoro diplomatico perché rischiamo di tornare mestamente ad essere – noi che siamo stati il paese di Spinelli, noi che abbiamo vissuto e raggiunto con Prodi la grande sfida del 1998 – una mera espressione geografica: ci metteremo del tempo a riparare questi danni. Si lasci stare il Kosovo: ogni guerra è una tragedia e le bombe sono sempre stupide e terribili. Le scelte e le decisioni di allora furono contrastate, sofferte e fatte non a cuor leggero anche da chi le condivise, ma nessuno può negare che allora l’evidenza del genocidio e della Camera dei Deputati — 19 MARZO 2003 — N. 283 pulizia etnica imponeva un’azione umanitaria e che tutta la NATO e l’Europa unita parteciparono a quel conflitto. Questa è l’illegittimità di una guerra fuori e contro le Nazioni Unite. Sono le ragioni della nostra richiesta volta a non fornire alcun supporto politico, diplomatico, operativo e logistico – incluse le basi militari – a qualunque azione che configuri un coinvolgimento dell’Iraq. Posizioni analoghe sono state sostenute in queste ore da Francesco Cossiga e da Bobo Craxi. Si è fatto riferimento al Trattato della NATO ma non c’entra niente perché esso stabilisce obblighi di assistenza assunti dagli Stati partner che hanno per oggetto la legittima difesa successiva, cioè quella che si esercita dopo che abbia avuto luogo un attacco armato, in questo caso da parte dell’Iraq. È esattamente il contrario. Anzi, la disponibilità italiana all’uso delle basi ed al sorvolo configurerebbe un coinvolgimento indiretto, ma evidente dell’Italia, in violazione del diritto internazionale. Non vi è un pregiudizio antiamericano in una posizione come questa: vi è un pregiudizio, sı̀, ma contro la guerra. Molti di noi si sono abbeverati per anni nella cultura, nel cinema, nella musica e nella letteratura americana; abbiamo, in particolare, letto da ragazzi « Addio alle armi » di Hemingway che fa dire al tenente Passini: la guerra non si vince con la vittoria ! Poiché di guerre ne ho fatte troppe – scrive Hemingway nella prefazione a quello straordinario capolavoro – sono certo di avere dei pregiudizi e spero di avere molti pregiudizi. Non è sostituendo, come fa qualche estremista di ieri e di oggi il libretto rosso di Mao con la bandiera a stelle e a strisce che si è amici degli americani, ma piuttosto, condividendo con il senatore americano Byrd che un massiccio attacco militare ad un paese nel quale è presente il 50 per cento di bambini non è nelle tradizioni altissime e morali degli Stati Uniti d’America. Forse Bossi e Castelli, che ora propongono di chiudere le frontiere ai profughi, dovrebbero meditare sulle parole dell’amico senatore americano Byrd. Atti Parlamentari XIV LEGISLATURA — — DISCUSSIONI — 42 SEDUTA DEL Ora che la parola sta passando alle armi, vogliamo in questo clima drammatico e difficile tuttavia salutare un novità positiva: dobbiamo fare i conti con quel sedicesimo membro del Consiglio di sicurezza dell’ONU, l’opinione pubblica mondiale, guidata da personalità come il Papa e animata da milioni di bandiere dai nostri balconi. La prepotenza, che ora sembra prevalere in queste ore difficilissime, non potrà d’ora in avanti non fare i conti con essa (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l’Ulivo, della Margherita, DL-l’Ulivo e Misto-Comunisti italiani – Congratulazioni). PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Ramponi. Ne ha facoltà. LUIGI RAMPONI. Signor Presidente, durante gli ultimi 5 mesi, l’argomento Iraq è stato al centro dell’attenzione internazionale ed ha permeato di sé i dibattiti in sede parlamentare. Più volte il Governo si è presentato alle Camere per indicare la linea politica scelta dall’Italia in funzione dell’evolversi della situazione. Anche nell’ultimo dibattito, tenuto in quest’aula il giorno 19 del mese scorso, ha confermato la linea politica adottata che si sostanziava in cinque punti fondamentali, identici a quelli scritti nel comunicato emanato a seguito della riunione tenuta dal Consiglio europeo per discutere la crisi irachena: centralità dell’ONU e responsabilità del disarmo iracheno innanzitutto al Consiglio di Sicurezza, impegno per una soluzione pacifica e ricorso alla guerra come ultima risorsa, sostegno agli ispettori, dovere del regime iracheno di porre fine alla crisi, ottemperando le richieste del Consiglio di sicurezza, impegno ad operare con tutti i nostri partner, specialmente con gli USA per il disarmo dell’Iraq, la pace e la stabilità della regione e per un futuro dignitoso per tutta la sua popolazione. Il Governo, Alleanza nazionale e tutti i partiti della maggioranza si sono costantemente impegnati nel rispetto di tali punti fondamentali, in un quadro di situazione internazionale che, fino al pomeriggio di ieri, lo consentiva. Da ieri la situazione è Camera dei Deputati — 19 MARZO 2003 — N. 283 mutata. Gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, la Spagna, quali nazioni presenti al momento nel Consiglio di Sicurezza, appoggiate da altre nazioni, hanno ritenuto di non poter più accettare oltre, dopo quattro mesi e mezzo, la scarsa ed inadeguata risposta da parte irachena alle richieste degli ispettori. Hanno inviato un ultimatum di 48 ore a Saddam Hussein perché lasci il paese, pena l’inizio delle ostilità. La risposta è stata sinora negativa. Nel contempo gli Stati Uniti d’America hanno richiesto, come ha detto il Governo, l’uso delle basi. È saltata la possibilità di una risoluzione delle Nazioni Unite ed è decaduto il discorso degli ispettori. È imprevedibile, anche se non è da escludere completamente, un ripensamento di Saddam Hussein. Si è comunque giunti alle soglie di un’iniziativa bellica. Gli Stati Uniti d’America, da sempre nostri alleati, chiedono l’uso delle basi. Questo è il quadro politico che ci si presenta. Non appare politicamente produttivo negare questo utilizzo perché non porterebbe a nessun progresso verso una soluzione pacifica; non servirebbe assolutamente a nulla ! Porterebbe invece all’unico risultato di una frattura nei rapporti con gli Stati Uniti d’America, senza favorire un rasserenamento né in ambito NATO né in quello dell’Unione europea e senza ristabilire la credibilità delle Nazioni Unite, che sono gli obiettivi che tutti voi dichiarate di perseguire. Si deve prendere atto, nostro malgrado, del fallimento della ricerca di una soluzione pacifica, ricerca durata quattro mesi. Si tratta di un fallimento dovuto a Saddam Hussein e non a qualcun altro. Bisogna anche ricordare, quando si parla di soluzione diplomatica o pacifica, che da dodici anni si sta cercando la soluzione diplomatica e pacifica. Da dodici anni, attraverso le sanzioni ed il controllo della vendita dell’olio, si è tentato di attuare gli strumenti pacifici. I risultati sono stati la disastrosa situazione nella quale oggi si trova il popolo iracheno. Il fallimento è dovuto a Saddam Hussein e a nessun altro ! Atti Parlamentari XIV LEGISLATURA — — DISCUSSIONI — 43 SEDUTA DEL In questo momento l’Italia deve scegliere: una scelta decisiva, non quella di sventolare una bandiera, tra l’attuale regime iracheno e gli Stati Uniti d’America, ricordando, prima di decidere, quale sia, per chi fa tante citazioni storiche, il retaggio storico che sta dietro a ciascuna delle due parti; retaggio storico che tutti conosciamo molto bene. È esaurito il tempo per una soluzione pacifica e non possiamo che decidere a favore del nostro alleato di sempre, aiutandolo, come lui ha fatto tante volte con noi. Tale decisione sarà una decisione politica che assume il Parlamento e che ha gli stessi crismi di legalità e costituzionalità che hanno avuto le precedenti decisioni qui assunte di partecipare prima alla guerra alla Serbia per il Kosovo e più recentemente, decisione da noi approvata, la guerra della coalizione contro i taliban e l’Afghanistan. L’intervento armato contro la Serbia, illustri signori, non era « coperto » da una risoluzione e non era fra quelli previsti dal Trattato del nord Atlantico, perché la Serbia, come ha ben ricordato l’onorevole Folena, parlando stavolta dell’Iraq, non aveva portato alcun attacco armato a nessun paese dell’Alleanza. Lo stesso dicasi per l’operazione Enduring Freedom dal momento che essa è stata decisa non a seguito di una risoluzione esplicita da parte del Consiglio di sicurezza, né ha la patente della NATO, pur essendo stato aggredito l’11 settembre uno dei suoi partner. Furono entrambe decisioni che il mio partito ed io abbiamo condiviso, conseguenti ad una chiara analisi ed ad una valutazione della situazione, come deve essere quella di oggi in cui si approva la concessione del sorvolo e l’utilizzo delle basi da parte dell’alleato americano. L’alleato americano che, lo ricordo a tutti, è impegnato comunque in una difficile lotta per eliminare una minaccia alla sicurezza della società mondiale che nessuno nega, ma che nessuno dice come si possa eliminare in altro modo (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale – Congratulazioni). Camera dei Deputati — 19 MARZO 2003 — N. 283 PRESIDENTE. È iscritta a parlare l’onorevole Deiana. Ne ha facoltà. ELETTRA DEIANA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, questa guerra, come hanno già ricordato altri colleghi, non ha nulla a che vedere con le ragioni che sono state accampate da Bush per giustificarla e che il Governo Berlusconi ripete pedissequamente contro ogni logica ed evidenza. Non c’entrano le armi di distruzione di massa, che forse ci sono o, molto probabilmente, non ci sono. Non c’entra l’efferatezza del regime, che sicuramente c’è. Non c’entra nulla comunque ! Non c’entra nulla il terrorismo internazionale. L’idea neocoloniale e sopraffattrice di mettere ordine nel mondo, di esportare la democrazia sulla punta delle baionette moderne all’uranio impoverito rappresenta, in realtà, l’involucro ideologico di un piano politico-militare molto preciso: l’Iraq deve diventare un protettorato americano, lo ha ripetuto anche ieri il portavoce della Casa Bianca, Fleischer, dicendo ai giornalisti che, se anche il raı̀s se ne andasse in esilio, le truppe americane dovrebbero ugualmente intervenire in Iraq per rimettere in ordine le cose e garantire la pace e la sicurezza. Siamo di fronte ad una gigantesca operazione di penetrazione statunitense nel continente asiatico, ad un processo di destabilizzazione e disgregazione degli assetti statuali dell’Asia centrale, che è il vero grande tema di politica internazionale attorno al quale dovremmo discutere. Si discute, invece, delle fandonie di Bush e delle fandonie di Berlusconi, dimenticando di fare i conti con quanto è già successo in quell’area del mondo, a cominciare dall’Afghanistan, prima tappa di questo processo che ha permesso di mettere sotto occupazione militare statunitense larga parte dell’Asia centrale. Questa guerra va ben oltre la stessa questione – peraltro non irrilevante – dei pozzi petroliferi: mira al dominio unilaterale del mondo attraverso la superiorità militare assoluta di cui godono gli Stati Uniti d’America. Atti Parlamentari XIV LEGISLATURA — — DISCUSSIONI — 44 SEDUTA DEL È il progetto americano del nuovo ordine mondiale, lungamente dibattuto in tutte le salse negli ambienti militari statunitensi, che oggi si manifesta in tutta la sua portata e violenza. Un progetto incubato lungamente negli anni novanta, interpretato diversamente a seconda di chi occupasse la Casa Bianca. Le guerre del decennio degli anni novanta sono figlie di questa incubazione. Oggi, Bush ha reso radicale e inequivocabile quel progetto e, come tutti i personaggi animati da forte vocazione fondamentalistica, come è lui, lo ha esplicitato, sottraendogli l’involucro di ogni ipocrisia, appalesandolo in tutta la sua devastante violenza. Con la guerra di Bush contro l’Iraq è diventato evidente che l’idea della guerra preventiva e duratura, della supremazia militare permanente, del potere di decisione unilaterale costituisce la bussola strategica della politica estera statunitense del nuovo secolo. Gli interessi immediati della superpotenza, il controllo diretto delle risorse energetiche e quelli di lunga durata – appunto il nuovo ordine mondiale – sono stati posti al mondo con brutale evidenza. È per questa ragione che l’Europa è andata in crisi, perché qualcuno, in Europa, ha cominciato a preoccuparsi di una dinamica politica che, se non verrà contrastata, ridurrà l’Europa al ruolo di giullare dell’imperatore, a quel ruolo che già oggi Blair, Aznar e Berlusconi in vario modo hanno giocato sulla scena pubblica. Cosı̀ si spiega la crisi della stessa NATO e dell’ONU e si spiegano le resistenze di governi di paesi con grandi difficoltà economiche che, tuttavia, non si sono voluti piegare all’indegna « campagna di acquisti » organizzata da Bush per assicurarsi la maggioranza nel Consiglio di Sicurezza. L’ONU, la NATO, l’Europa entrano in fibrillazione perché la pretesa degli Stati Uniti di dettare legge, di fare ordine, di giudicare e punire mette in allarme il mondo. Ed è per questa ragione che si è registrata una cosı̀ vasta insorgenza dell’opinione pubblica contraria alla guerra e si sono mescolati movimenti, soggetti, culture, storie diverse di donne e di uomini Camera dei Deputati — 19 MARZO 2003 — N. 283 accomunati da un « no » alla guerra che non ha precedenti nella storia per vastità, ostinazione, intensità. Che cosa desta preoccupazione, che cosa inquieta le coscienze oggi ? I bombardamenti sulle città irachene ? I terribili cosiddetti effetti collaterali ? La sofferenza degli inermi ? Certamente tutto questo, ma anche lo scombussolamento di ogni riferimento internazionale, la percezione del rischio che un baratro si è aperto di fronte a noi. Questa guerra, infatti, per la sua intrinseca natura di laboratorio della nuova dottrina militare americana, di prova generale della guerra preventiva di lunga durata che l’Amministrazione Bush ha promesso al mondo per i prossimi trent’anni, comporta la deflagrazione e l’azzeramento di quell’ordine internazionale faticosamente costruito dopo la catastrofe della seconda guerra mondiale. Ordine certamente imperfetto, deficitario, contraddittorio quanto vogliamo, ma ancorato ad un’idea grande che la guerra fosse un disastro da non ripetere più, che la costruzione del diritto internazionale fosse un bene da difendere ed irrobustire, che l’ONU fosse uno strumento di mediazione essenziale e necessaria per garantire la convivenza tra i popoli del mondo. Tutto questo, oggi, costituisce, invece, per l’amministrazione Bush, un inutile ingombro, lacci e lacciuoli da spezzare, come sta facendo George W. Bush. Guerra criminale, dunque, questa, cari signori del Governo, come giustamente l’ha definita addirittura il Papa, guerra criminale perché massacra i corpi inermi di donne e uomini, uccide ogni legalità e mina alle radici la convivenza tra i popoli; un aspetto che non è stato sottolineato sufficientemente. Essa, infatti, rischia di aprire un solco enorme tra l’occidente ed il mondo islamico, di fomentare quella terribile dinamica di scontro tra civiltà che sta diventando o rischia di diventare sempre più l’elemento sovraordinatore del contesto internazionale. Voi, signori del Governo, avete certamente i numeri per assicurarvi, in questa sede, l’appoggio al vostro sı̀ alla guerra, al vostro sı̀ al coinvolgimento diretto dell’Ita- Atti Parlamentari XIV LEGISLATURA — — DISCUSSIONI — 45 SEDUTA DEL lia in questa infame avventura internazionale, all’assenza all’uso delle basi e dei cieli da parte degli Stati Uniti. D’altra parte, lo avete già fatto mettendo a disposizione l’intero nostro paese per i traffici di morte degli Stati Uniti d’America. Ma sarà un voto di cui noi non riconosceremo la legittimità, perché non basta la maggioranza per prendere questo tipo di decisioni. Bisogna stare alla Costituzione che conferisce legittimazione ad ogni decisione che parli della pace e della guerra ! La violazione dell’articolo 11 non potrebbe essere più evidente di fronte ad una relazione come quella del Presidente del Consiglio. E più evidente non potrebbe essere la pretestuosità del richiamo alla volontà popolare di cui si nutre tradizionalmente la propaganda mediatica del Presidente del Consiglio. Non è forse di dominio pubblico, confermato dai sondaggi, dalle mobilitazioni costanti, da due milioni e mezzo di bandiere per la pace che sventolano in ogni dove, che la stragrande maggioranza della popolazione di questo paese, la guerra proprio la vuole ? Volontà popolare e spirito costituzionale vanno, su questo punto, insieme, in maniera straordinaria, e forse al premier Berlusconi, questo, fa proprio paura, e della volontà popolare ha deciso di infischiarsene o di ingannarla grottescamente, continuando a raccontare... Camera dei Deputati — 19 MARZO 2003 — N. 283 PRESIDENTE. È iscritto a l’onorevole Selva. Ne ha facoltà. parlare GUSTAVO SELVA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, non ho alcuna difficoltà a confessare che, forse, questo, tra i tanti discorsi che ho pronunciato in quest’aula da nove anni a questa parte, è, per me, il discorso più difficile e delicato. Lo è perché sono un cattolico; lo è perché del Papa non accolgo soltanto le verità eterne, ma cerco, nel limite del possibile, di applicare anche le verità terrene. Eppure, stavolta, debbo dire, naturalmente senza alcun riferimento diretto a ciò che il Santo Padre ha fatto e continuerà a fare, che l’esortazione del Santo Padre era seguita, e da seguire, fin tanto che c’era una, anche una sola possibilità di poter evitare la guerra. È ciò che, del resto, il Governo italiano ha fatto; è ciò che chi vi parla, presidente pro tempore della Commissione affari esteri ha fatto. ALFREDO BIONDI. Lunga vita ! GUSTAVO SELVA. In tutte le sedi dove, in questi mesi, poteva essere pronunciata, la parola del presidente della III Commissione è stata pronunciata per evitare la guerra. PRESIDENTE. Onorevole Deiana... PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PUBLIO FIORI (ore 15,03) ELETTRA DEIANA. Sto per concludere, signor Presidente... la favola del suo impegno per la pace, mentre il Segretario di Stato americano rende pubblica la lista dei volenterosi e gli Stati Uniti d’America ci annoverano tra i paesi amici. Per questo, continueremo a chiedere conto di ogni vostra azione di guerra, di ogni vostro atto di guerra e a batterci in Parlamento e nel paese contro la vostra cortigianeria bellicistica che coinvolge l’Italia in un’avventura moralmente indegna e politicamente squalificata (Applausi dei deputati dei gruppi di Rifondazione comunista e dei Democratici di sinistral’Ulivo). GUSTAVO SELVA. Oggi, onorevoli colleghi della sinistra, io credo che questa speranza non sia più una realtà possibile. Sulle responsabilità, quando queste saranno esaminate, vi saranno giudizi più sereni. Il mio giudizio, oggi, è che Saddam Hussein non abbia colto nemmeno l’ultima possibilità, l’ultima chiave offertagli dal Presidente degli Stati Uniti per abbandonare il solco che fin qui aveva seguito e per fare tutto ciò che non aveva fatto prima per evitare la guerra. Andare in esilio ? Non ci va ! Non ci va ! Accetta, piuttosto, un pericolo grave per il suo popolo ! Atti Parlamentari XIV LEGISLATURA — — DISCUSSIONI — 46 SEDUTA DEL Ciò non toglie, naturalmente, che ci sia un dovere importante da parte nostra. Il nostro dovere importante è che questo pericolo per il suo popolo venga finalmente a terminare e che non debba perpetuarsi il pericolo per altri Stati e per altri popoli. Vedete, onorevoli colleghi della sinistra, nel carnet politico e militare di Saddam Hussein c’è l’invasione del Kuwait; c’è il non avere offerto prove concrete di aver distrutto i mezzi di annientamento di massa. Questo c’è nel carnet di Saddam Hussein ! Del resto, non faccio che ripetere le vostre parole: il regime di Saddam Hussein è un miscuglio di nazionalsocialismo, stalinismo ed Islam, privo di qualsiasi scrupolo, violento, repressivo, sessuofobico. Se faccio la sintesi di ciò che ho sentito da varie parti, dai « verdi » ai « rossi », sono queste le espressioni uscite dalle vostre bocche. Ecco la ragione per la quale, ripeto – non è una verità eterna –, la guerra è nell’ordine delle cose che l’umanità, purtroppo, ha sempre conosciuto. Allora, rivolgendomi in modo particolare all’opposizione, cito un giornale, che non è il Secolo d’Italia sul quale scrivo io, ma il Riformista e, con molta serenità, vi invito a meditare su queste parole nel momento in cui gli Stati Uniti d’America assumono, con la Gran Bretagna ed altri paesi, la grave responsabilità di impiegare l’arma finale costituita dall’intervento militare. Scrive il Riformista: l’opposizione ha argomenti per opporsi ad una guerra che ritiene illegittima ma non ha argomenti per trasformare questa opposizione in ostilità e boicottaggio (ripeto: ostilità e boicottaggio) nei confronti di un alleato di mezzo secolo (ho già posto in luce qui, in altra occasione nella quale ho avuto l’onore di parlare, quali motivi di riconoscenza abbiamo nei confronti degli Stati Uniti d’America). Nemmeno Chirac negherà il diritto di sorvolo dello spazio aereo della Francia ! Nemmeno Schröder negherà l’uso delle basi ! È ovvio – scrive il Riformista – che sia cosı̀. A guerra cominciata, la disputa giuridica e politica è finita. Camera dei Deputati — 19 MARZO 2003 — N. 283 L’Italia deve sperare che questo scontro sia breve, il meno cruento possibile, e deve sperare – lo dice il Riformista – che lo vincano gli americani. Per questo deve concedere il diritto di sorvolo e l’uso delle basi. L’Italia deve operare perché il dopo guerra, a differenza della guerra, sia multilaterale e recuperi quella funzione dell’ONU e dell’Unione europea, che tutti ardentemente auspichiamo. Noi da questi banchi abbiamo sostenuto sempre la funzione centrale dell’ONU, dell’Alleanza Atlantica, della Unione europea, cosı̀ come il Presidente della Repubblica, richiamato giustamente molto spesso in questo dibattito, ci ha detto. Per questo – ed è la frase finale diretta a voi dell’opposizione –, l’opposizione deve dichiararsi disposta ad inviare soldati e mezzi nell’Iraq liberato. L’Italia deve sperare che la solidarietà atlantica, che si è rotta nella NATO, venga ristabilita. Per questo deve confermare la sua collaborazione militare nell’alleanza. Quella collaborazione che il Presidente del Consiglio stamattina, con grande chiarezza, ha definito nei suoi termini, essenzialmente, senza impegno di uomini e di mezzi nel terreno dello scontro. « Non si capisce dunque » – per ripeterlo con le parole rivolte da il Riformista a voi della sinistra – « perché l’opposizione sia saltata alla giugulare del ministro Frattini che sul nostro giornale ha descritto esattamente cosı̀ le intenzioni del Governo italiano ». Sembra ci sia una notizia non confermata della radio israeliana (faccio da giornalista in questo momento): Tarek Aziz sarebbe stato ucciso dopo un tentativo di fuga. Chiudo la parentesi. Questo è quello che il Governo e questa maggioranza ritengono, anche con questi delicati problemi di coscienza evocati dal mio amico che in questo momento presiede la nostra Assemblea: a lui che ha dichiarato, applaudito dalla sinistra, il suo voto non favorevole sulla risoluzione della maggioranza, dico soltanto una cosa (e qui probabilmente l’anima visceralmente anticomunista mi sarà ancora rimproverata): Lenin ha detto che quando il nemico di Atti Parlamentari XIV LEGISLATURA — — DISCUSSIONI — 47 Camera dei Deputati — SEDUTA DEL classe ti loda vuol dire che stai sbagliando. Non vorrei che gli applausi che ha ricevuto da questi banchi Publio Fiori fossero una conferma di quanto Lenin diceva (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza nazionale e di Forza Italia). Per quanto mi riguarda, ripeto, io non ho nessuna difficoltà a dire che anche come cattolico, nell’esercizio di una funzione civile, nell’esercizio di una funzione statale, darò il mio pieno consenso a quello che il Presidente del Consiglio questa mattina ha detto, con argomentazioni, con principi che tendono essenzialmente a considerare il lavoro che dovremo fare nel dopoguerra. L’ANSA ha commesso un errore, che penso sia solamente un errore tipografico, dando la notizia, questa mattina, che alla seduta del Consiglio supremo di difesa c’era il ministro Gaetano Martino, ministro della difesa. Ora, il compianto ministro Gaetano Martino è stato ministro degli esteri ed è il padre di Antonio Martino. Bene, mi auguro che come Gaetano Martino ebbe la forza, dopo il veto francese – francese ! – alla CED, di far riprendere il cammino dell’integrazione europea nelle conferenze di Venezia e di Messina, cosı̀ noi avremo la forza di riprendere il valore dell’Alleanza Atlantica, l’importanza decisiva dell’ONU, con la determinazione di costruire l’Europa unita di tutti i paesi che amano i valori che i De Gasperi, gli Schuman, gli Adenauer portarono avanti per le sorti di questo nostro paese (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza nazionale e di Forza Italia). Preavviso di votazioni elettroniche (ore 15,13). PRESIDENTE. Poiché nel corso della seduta potranno aver luogo votazioni mediante procedimento elettronico, decorrono da questo momento i termini di preavviso di cinque e venti minuti previsti dall’articolo 49, comma 5, del regolamento. 19 MARZO 2003 — N. 283 Si riprende la discussione sulle comunicazioni del Governo. (Seguito discussione) PRESIDENTE. Vi sono alcuni interventi a titolo personale. È iscritto a parlare l’onorevole Fioroni. Ne ha facoltà. GIUSEPPE FIORONI. Signor Presidente, colleghi, ho ascoltato con profondo sconcerto le dichiarazioni rese dal Presidente del Consiglio, onorevole Berlusconi; mi sono chiesto: sono queste le dichiarazioni che deve rendere il Capo del Governo, il Capo del nostro Governo, le dichiarazioni che deve rendere un Presidente del Consiglio, per editto: pregiato del titolo di volenteroso ? Dichiarazioni che a me sono sembrate superficiali e veloci che può rendere, forse, anche un disattento e confuso cittadino del nostro paese e dalle quali, però, trapelava, in modo palpabile ed evidente, la difficoltà dell’onorevole Berlusconi, di non riuscire a celare il disagio di chi è pienamente consapevole e cosciente che è altrove che si è deciso e che si stava decidendo. Credo che quest’Assemblea non abbia mai avvertito come da ieri alle 18,03, quando è uscita l’agenzia Ansa del dipartimento di Stato, la sensazione duplice di una eterodirezione e di una esautorazione dei poteri del Parlamento. Colleghi, chi ha ascoltato oggi le dichiarazioni del Presidente Berlusconi ha avvertito il forte disagio di dover appartenere, nostro malgrado, ad un paese, l’Italia, che diviene un’Italietta opportunista ed ambigua che comprende, condivide e legittima la guerra confondendo l’alleanza, sacra ed inviolabile, con il vassallaggio, ma, nel contempo, non avendo il coraggio, la forza e la responsabilità di essere in grado di scegliere con coerenza e dignità ma scegliendo, invece, la strada di un lento e silenzioso trascinamento verso la violazione della Costituzione, sperando che su altri ricadano le responsabilità verso Dio, verso gli uomini, verso la storia. Atti Parlamentari XIV LEGISLATURA — — DISCUSSIONI — 48 SEDUTA DEL Lascia sconcertati l’indifferenza verso la prima vittima di questa inutile e inaccettabile guerra: l’ONU, le Nazioni Unite, l’ultimo organismo democratico in grado di rappresentare l’unica potenzialità possibile per la costruzione di una pace duratura, fondata sulla libertà e sulla giustizia sociale. Cari colleghi, è la prima volta che in questo Parlamento si legittima una guerra preventiva nella certezza che dalle bombe, dai morti e dalla sofferenza si possa costruire una pace duratura. Credo che di questo ne avvertiate il peso nella vostra coscienza; siete ancora in tempo per non legittimare un’azione che è contro la nostra Costituzione e che non ha nulla a che vedere con l’alleanza (Applausi di deputati del gruppo della Margherita, DL-l’Ulivo e del deputato Franco Giordano). PRESIDENTE. È iscritta a parlare l’onorevole Burani Procaccini. Ne ha facoltà. MARIA BURANI PROCACCINI. Signor Presidente, in un brevissimo intervento a titolo personale sento il dovere morale – al quale io ho informato credo tutta la mia azione politica oltre che la mia vita – di confermare che, da cattolica, sono pronta, per la mia fede, per colui che sulla terra per me rappresenta il Cristo a dare la vita; ma, da cittadina italiana confermo la mia piena e totale fiducia e lealtà a lei, alla sua azione politica meditata e sofferta, a tutto ciò che il nostro Governo ha cercato di fare... (Commenti dei deputati della Margherita, DL-l’Ulivo, di Rifondazione comunista). RICCARDO MILANA. Brava (Applausi polemici di deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l’Ulivo) ! ALFREDO BIONDI. Lasciate parlare, ha diritto di parlare. MARIA BURANI PROCACCINI. E cosı̀ confermo, lo dico alto e forte, la mia totale lealtà alla patria e alla bandiera italiana, unica bandiera nella quale mi riconosco, Camera dei Deputati — 19 MARZO 2003 — N. 283 come si riconoscevano i miei padri e si riconoscono i miei figli (Applausi di deputati del gruppo di Forza Italia). GABRIELE FRIGATO. Vergogna ! GIORGIO BORNACIN. Sono altre le cose di cui bisogna vergognarsi. PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Buontempo. Ne ha facoltà. TEODORO BUONTEMPO. Signor Presidente, le parole espresse dal Presidente del Consiglio nella parte finale sono state molto chiare e, per chi, come me, ha vissuto un profondo travaglio alla vigilia di questo dibattito, quando il Presidente del Consiglio, oggi, ha detto in maniera estremamente chiara « non siamo un paese belligerante, non inviamo truppe, non partecipiamo ad operazioni di guerra; concediamo le basi ed il sorvolo aereo nell’ambito di trattati internazionali e dell’Alleanza atlantica », queste parole avrebbero dovuto costringere ciascun parlamentare e i gruppi, anche se in posizioni diverse, ad una ulteriore riflessione. A me pare, invece, che si sia trasformato il tutto nella solita polemica tra maggioranza ed opposizione, polemica che l’importanza dell’argomento non meritava. Tali dichiarazioni rappresentano, indubbiamente, il punto di equilibrio possibile nel momento in cui si svolge questo dibattito e nel momento in cui dall’Iraq già arrivano notizie drammatiche. Ciò nonostante, mi resta l’imbarazzo profondo di fronte all’opinione che definisce tale guerra come legittima. No, non credo che siamo di fronte a quelle condizioni per le quali un attacco sarebbe inevitabile e legittimo; a me pare, semmai, che sia vero il contrario: l’azione degli ispettori, l’accerchiamento militare dell’Iraq, i dubbi sull’intervento armato espressi da importanti uomini di Governo di paesi europei, dalla Russia, dalla Cina e cosı̀ via, stavano portando al disarmo, un disarmo lento, contrastato, ma che sarebbe stato inevitabilmente raggiunto.