Atti Parlamentari
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XIV LEGISLATURA
—
I
DISCUSSIONI
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Camera dei Deputati
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SEDUTA DEL
19
MARZO
2003
RESOCONTO
SOMMARIO E STENOGRAFICO
283.
SEDUTA DI MERCOLEDÌ 19 MARZO 2003
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE PIER FERDINANDO CASINI
INDI
DEI VICEPRESIDENTI FABIO MUSSI, PUBLIO FIORI E ALFREDO BIONDI
INDICE
RESOCONTO SOMMARIO ............................
RESOCONTO STENOGRAFICO ......................
III-XI
1-87
PAG.
Missioni ............................................................
1
Nell’anniversario dell’uccisione del professor
Marco Biagi ..................................................
1
Presidente .........................................................
1
Comunicazioni del Governo sugli sviluppi
della crisi irachena .....................................
2
(Intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri) .........................................................
2
Presidente .....................................................
2
Berlusconi Silvio, Presidente del Consiglio
dei ministri ...................................................
2
(Discussione) .....................................................
10
Presidente .....................................................
10
PAG.
Baldi Monica Stefania (FI) ........................
31
Bianco Gerardo (MARGH-U) ....................
24
Cento Pier Paolo (Misto-Verdi-U) .............
14
Collè Ivo (Misto-Min.linguist.) ...................
10
Cristaldi Nicolò (AN) ..................................
27
Costa Raffaele (FI) ......................................
30
Deiana Elettra (RC) ....................................
43
Fiori Publio (AN) ........................................
35
Folena Pietro (DS-U) ..................................
39
Gambale Giuseppe (MARGH-U) ................
36
Intini Ugo (Misto-SDI) ................................
16
Mantovani Ramon (RC) .............................
19
Mazzuca Poggiolini Carla (Misto-UDEURPpE) ...............................................................
13
N. B. Sigle dei gruppi parlamentari: Forza Italia: FI; Democratici di Sinistra-L’Ulivo: DS-U; Alleanza
Nazionale: AN; Margherita, DL-L’Ulivo: MARGH-U; Unione dei democratici cristiani e dei democratici
di centro: UDC; Lega Nord Padania: LNP; Rifondazione comunista: RC; Misto: Misto; Misto-Comunisti
italiani: Misto-Com.it; Misto-socialisti democratici italiani: Misto-SDI; Misto-Verdi-L’Ulivo: MistoVerdi-U; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.linguist.; Misto-Liberal-democratici, Repubblicani,
Nuovo PSI: Misto-LdRN.PSI; Misto-UDEUR-Popolari per l’Europa: Misto-UDEUR-PpE.
Atti Parlamentari
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XIV LEGISLATURA
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DISCUSSIONI
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II
Camera dei Deputati
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SEDUTA DEL
19
MARZO
2003 —
N.
283
PAG.
PAG.
Moroni Chiara (Misto-LdRN.PSI) .............
11
La Malfa Giorgio (Misto-LdRN.PSI) .........
51
Naro Giuseppe (UDC) .................................
22
La Russa Ignazio (AN) ...............................
66
Pacini Marcello (FI) ....................................
28
Pecoraro Scanio Alfonso (Misto-Verdi-U) .
53
Pistelli Lapo (MARGH-U) ..........................
32
Pisicchio Pino (Misto-UDEUR-PpE) ..........
52
Ramponi Luigi (AN) ...................................
42
Rutelli Francesco (MARGH-U) ..................
63
Rizzi Cesare (LNP) ......................................
20
Sgarbi Vittorio (FI) .....................................
74
Rossi Guido Giuseppe (LNP) .....................
37
Villetti Roberto (Misto-SDI) .......................
55
Selva Gustavo (AN) .....................................
45
Sereni Marina (DS-U) .................................
25
Vertone Saverio (Misto-Com.it) .................
17
Preavviso di votazioni elettroniche ..............
47
Ripresa discussione sulle comunicazioni del
Governo .........................................................
47
(Ripresa discussione) .......................................
47
Presidente .....................................................
47
Buontempo Teodoro (AN) ..........................
48
Burani Procaccini Maria (FI) ....................
Fioroni Giuseppe (MARGH-U) ..................
(Presentazione di risoluzioni) .........................
(Votazioni) .........................................................
75
Presidente .....................................................
75
(La seduta, sospesa alle 17,25, è ripresa alle
17,35) .............................................................
75
Missioni (Alla ripresa pomeridiana) ............
75
Disegno di legge di conversione del decretolegge n. 25 del 2003: Oneri generali del
sistema elettrico (A.C. 3688) (Seguito della
discussione) ...................................................
76
48
(Esame articolo unico – A.C. 3688) .............
76
47
Presidente .....................................................
76
Buglio Salvatore (DS-U) .............................
78
Cazzaro Bruno (DS-U) ...............................
81
Cialente Massimo (DS-U) ...........................
76
Dell’Elce Giovanni, Sottosegretario per le
attività produttive .........................................
84
49
Presidente ..................................................... 49, 50
Giachetti Roberto (MARGH-U) .................
49
(Replica e pareri del Governo) ......................
49
Presidente .....................................................
49
Frattini Franco, Ministro degli affari esteri .
49
Gastaldi Luigi (FI), Relatore ......................
84
Ruggeri Ruggero (MARGH-U) ...................
82
84
84
(La seduta, sospesa alle 15,25, è ripresa alle
15,30) .............................................................
51
Commissione parlamentare di inchiesta sull’affare Telekom-Serbia (Modifica nella
composizione) ...............................................
(Dichiarazioni di voto) ....................................
51
Sull’ordine dei lavori ......................................
Presidente .....................................................
51
Presidente ..................................................... 84, 85
Adornato Ferdinando (FI) .........................
71
Raisi Enzo (AN) ..........................................
85
Bertinotti Fausto (RC) ................................
57
Ruzzante Piero (DS-U) ...............................
85
Cè Alessandro (LNP) ...................................
59
Ordine del giorno della seduta di domani .
86
Craxi Bobo (Misto-LdRN.PSI) ...................
73
De Franciscis Alessandro (MARGH-U) ....
74
Detomas Giuseppe (Misto-Min.linguist.) ...
51
Diliberto Oliviero (Misto-Com.it) ...............
56
Fassino Piero (DS-U) ..................................
68
Considerazioni integrative degli interventi dei
deputati Monica Stefania Baldi e Giuseppe
Gambale in sede di discussione sulle comunicazioni del Governo sugli sviluppi
della crisi irachena. ....................................
87
Follini Marco (UDC) ...................................
61
Votazioni elettroniche (Schema) ....
Votazioni I-IX
N. B. I documenti esaminati nel corso della seduta e le comunicazioni all’Assemblea non lette in aula sono
pubblicati nell’Allegato A.
Gli atti di controllo e di indirizzo presentati e le risposte scritte alle interrogazioni sono pubblicati
nell’Allegato B.
SEDUTA PRECEDENTE: N. 282 — MARTEDÌ 18 MARZO 2003
Atti Parlamentari
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XIV LEGISLATURA
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SOMMARIO
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III
Camera dei Deputati
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SEDUTA DEL
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N.
283
RESOCONTO SOMMARIO
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
PIER FERDINANDO CASINI
La seduta comincia alle 11,35.
La Camera approva il processo verbale
della seduta di ieri.
Missioni.
PRESIDENTE comunica che i deputati
complessivamente in missione sono ottantasei.
Nell’anniversario dell’uccisione
del professor Marco Biagi.
PRESIDENTE (Si leva in piedi, e con lui
l’intera Assemblea ed i membri del Governo) rinnova le espressioni di solidarietà
della Camera dei deputati ai familiari del
professor Marco Biagi, vittima, un anno fa,
della follia insensata del terrorismo: ritiene, in particolare, che il suo impegno al
servizio delle istituzioni e la sua illuminata
visione riformistica costituiscano un esempio al quale ispirarsi per riaffermare la
preminenza dei valori della libertà e della
democrazia (Generali applausi, cui si associano i membri del Governo).
Comunicazioni del Governo sugli sviluppi
della crisi irachena.
PRESIDENTE ricorda la prevista articolazione del dibattito, avvertendo che lo
schema recante la ripartizione dei tempi è
riprodotto nel calendario dei lavori dell’Assemblea.
SILVIO BERLUSCONI, Presidente del
Consiglio dei ministri, rende all’Assemblea
le seguenti comunicazioni:
(Vedi resoconto stenografico pag. 2 –
Nel corso dell’intervento del Presidente del
Consiglio, dalla tribuna sovrastante il
banco della Presidenza vengono esposte due
bandiere che simboleggiano la pace – Il
Presidente invita i commessi a rimuoverle
– Successivamente, a seguito di reiterate
proteste, il Presidente richiama all’ordine i
deputati Maura Cossutta e Losurdo).
PRESIDENTE
dichiara
aperta
la
discussione sulle comunicazioni del Governo.
Invita altresı̀ tutti i deputati che prenderanno la parola ad attenersi al più
scrupoloso rispetto dei tempi fissati nell’ambito della prevista articolazione del
dibattito.
IVO COLLÈ, nell’esprimere, a nome
della componente politica Minoranze linguistiche del gruppo Misto, amarezza e
preoccupazione per la deleteria decisione
unilateralmente assunta dagli Stati Uniti,
lamenta che non siano state ricercate con
la necessaria determinazione soluzioni alternative all’uso della forza, quale, ad
esempio, l’esilio di Saddam Hussein.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
FABIO MUSSI
IVO COLLÈ, nel manifestare, pertanto,
netta contrarietà all’intervento militare in
Iraq, ritiene che l’Italia dovrebbe negare
alle forze armate statunitensi l’uso delle
basi militari ed il sorvolo dello spazio
aereo nazionale.
Atti Parlamentari
XIV LEGISLATURA
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—
SOMMARIO
—
IV
SEDUTA DEL
CHIARA MORONI, nell’auspicare che
sia possibile superare le divisioni politiche
ed evitare sterili strumentalizzazioni di
fronte alla difficile e sofferta scelta imposta dalla grave congiuntura internazionale,
ritiene che l’Italia abbia il dovere di assumere un ruolo determinante nello scacchiere mondiale. Rilevato inoltre che la
scelta atlantica del Paese non può essere
confusa con una presunta volontà bellicistica, assicura il sostegno dei deputati della
componente politica Liberal-democratici,
Repubblicani, Nuovo PSI del gruppo Misto
alla posizione assunta dal Governo.
CARLA MAZZUCA POGGIOLINI, nel
condividere la tenue speranza, espressa
dal Presidente del Consiglio, che si possa
ancora addivenire ad una soluzione pacifica della grave crisi irachena, esprime
l’orientamento contrario dei deputati della
componente politica UDEUR-Popolari per
l’Europa del gruppo Misto all’intervento
armato in territorio iracheno; manifestate
inoltre forti perplessità relativamente alla
concessione, indebitamente già assicurata
dal Governo, alle forze armate statunitensi
dell’uso delle basi militari ubicate in Italia
e del sorvolo dello spazio aereo nazionale,
ritiene che tale uso non dovrà comunque
essere propedeutico ad attacchi diretti
contro l’Iraq.
PIER PAOLO CENTO, giudicato grave
l’atteggiamento assunto dal Governo in
merito ad un’azione bellica che, non essendo autorizzata dall’ONU, deve considerarsi illegittima, anche perché si pone in
evidente contrasto con l’articolo 11 della
Costituzione, ritiene non si possa operare
una distinzione tra partecipazione effettiva
ad operazioni militari e sostegno indiretto,
assicurato con l’autorizzazione all’uso di
strutture civili e militari ubicate in territorio italiano.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
PUBLIO FIORI
PIER PAOLO CENTO ritiene comunque
che vi sia ancora la possibilità di scongiu-
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rare il ricorso all’intervento armato ed
assicura che la sua parte politica si impegnerà a tal fine.
UGO INTINI ritiene che l’obiettivo
principale degli Stati Uniti non sia l’eliminazione delle armi di distruzione di
massa di cui è in possesso il regime
iracheno, bensı̀ il perseguimento di una
strategia egemonica, in relazione alla
quale assume un valore strumentale l’indebolimento del ruolo svolto dall’ONU,
dall’Unione europea e dall’Alleanza atlantica.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
FABIO MUSSI
UGO INTINI sottolinea quindi la necessità che l’Italia persegua una politica
estera volta a favorire la coesione ed il
rafforzamento dell’Unione europea, senza
peraltro attenuare i legami con gli altri
paesi della NATO.
SAVERIO VERTONE, giudicato singolare e poco chiaro l’atteggiamento assunto
dal Governo nell’attuale difficile congiuntura internazionale, richiama l’opportunità
di tenere nella dovuta considerazione il
fatto che la politica estera degli Stati Uniti
appare dettata da velleità imperialistiche.
RAMON MANTOVANI osserva che le
dichiarazioni rese dal Presidente del Consiglio denotano la debolezza della posizione del Governo italiano il quale, senza
tenere conto della diffusa contrarietà ad
un intervento armato in Iraq, manifesta
fedeltà agli Stati Uniti d’America, nel momento in cui tendono ad imporre con la
forza la loro strategia imperialista, con
l’obiettivo di instaurare un controllo militare su aree geopolitiche strategicamente
rilevanti. Stigmatizza, quindi, la scelta dell’Esecutivo di non perseguire una politica
estera ispirata alla ricerca della pace,
compromettendo in tal modo la possibilità
di individuare una posizione unitaria ed
autonoma dell’Europa.
Atti Parlamentari
XIV LEGISLATURA
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—
SOMMARIO
—
V
SEDUTA DEL
CESARE RIZZI esprime apprezzamento per il fatto che, a differenza di
quanto è accaduto in occasione dell’intervento militare nei Balcani, il Governo
abbia assunto un atteggiamento rispettoso
delle prerogative parlamentari; ritiene
inoltre che, una volta constatata l’impossibilità di individuare una soluzione pacifica alla crisi irachena, si debbano tenere
comportamenti coerenti con la ferma condanna del regime di Saddam Hussein, che
ha disatteso tutte le risoluzioni dell’ONU
ed ha commesso gravi crimini nei confronti del popolo iracheno.
GIUSEPPE NARO ritiene che un orientamento favorevole dell’Assemblea alle comunicazioni rese dal Presidente del Consiglio consentirebbe di rafforzare lo spirito
unitario e l’incisività che deve caratterizzare l’Alleanza Atlantica, anche in vista
delle iniziative che dovranno essere assunte nelle fasi successive al conflitto, che
comunque auspica possa essere ancora
evitato, accogliendo l’appello del Santo
Padre. Giudica, altresı̀, indispensabile uno
sforzo comune al fine di evitare un’ulteriore accentuazione dei contrasti che
hanno diviso la comunità internazionale,
anche in considerazione delle inevitabili
conseguenze negative per il futuro dell’Europa.
GERARDO BIANCO ritiene che il Governo dovrebbe opporsi fermamente all’intervento armato in Iraq, che giudica sbagliato anche perché incrina la compattezza
della coalizione costituitasi dopo l’11 settembre per contrastare il terrorismo internazionale ed indebolisce l’Organizzazione delle Nazioni Unite. Nel dichiararsi
profondamente contrario alla guerra, paventa le deleterie conseguenze che ne
potranno derivare.
MARINA SERENI paventa le pesanti
ripercussioni che l’intervento armato in
Iraq potrebbe determinare sullo scacchiere internazionale e manifesta preoccupazione per l’intendimento dell’Amministrazione degli Stati Uniti di verificare in
Iraq l’attuazione di una nuova strategia
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per la sicurezza nazionale, in riferimento
alla quale esprime un giudizio fortemente
critico: avrebbe pertanto auspicato da
parte del Governo un atteggiamento volto
ad osteggiare il ricorso all’uso della forza
ed a rilanciare la funzione internazionale
dell’Europa.
NICOLÒ CRISTALDI dà atto al Governo di essersi adoperato al fine di scongiurare il ricorso all’intervento armato e di
rilanciare il ruolo delle istituzioni internazionali; richiamate, quindi, le pesanti
responsabilità del regime di Baghdad, ritiene sia stata esperita ogni possibile soluzione diplomatica per il superamento
della grave crisi irachena.
MARCELLO PACINI, pur sottolineando
la drammaticità della decisione che il
Parlamento si accinge ad assumere, giudica ormai improcrastinabile un intervento militare in Iraq: invita tuttavia l’Esecutivo ad attivarsi per una sollecita conclusione del conflitto e per evitare che si
inneschi un processo involutivo dal quale
possa derivare un irreversibile ridimensionamento del ruolo dell’Alleanza atlantica e
dell’Unione europea. Manifesta infine una
convinta adesione all’azione del Governo.
RAFFAELE COSTA, rilevata la necessità di evitare un uso strumentale dell’intervento militare in Iraq, manifesta un
orientamento favorevole alle scelte compiute dal Governo, ritenendo essenziale il
rilancio del ruolo dell’ONU, dell’Unione
europea e della NATO.
MONICA STEFANIA BALDI, nel rivolgere un ringraziamento al Governo per
l’impegno profuso nella ricerca di una
soluzione pacifica della crisi irachena, sottolinea la necessità di confermare il leale
rapporto di collaborazione con gli Stati
Uniti che ha sempre contraddistinto la
politica estera italiana. Ritiene peraltro
ormai inevitabile il ricorso all’intervento
armato in Iraq, in considerazione dell’insuccesso dell’azione diplomatica svolta.
LAPO PISTELLI osserva che la decisione degli Stati Uniti di intervenire mili-
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XIV LEGISLATURA
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—
SOMMARIO
—
VI
SEDUTA DEL
tarmente in Iraq senza il preventivo consenso dell’ONU o della NATO e senza il
sostegno dell’Unione europea rappresenta
un tragico errore, per di più privo di
legittimazione giuridica; invita quindi il
Governo, nel rispetto dei princı̀pi sanciti
dall’articolo 11 della Costituzione, a non
fornire alcun supporto politico, militare e
logistico all’iniziativa bellica statunitense.
PUBLIO FIORI, pur esprimendo apprezzamento per gli sforzi di mediazione
compiuti dal Governo, dichiara di non
condividere la tesi secondo la quale l’intervento militare contro l’Iraq sarebbe
legittimo.
GIUSEPPE GAMBALE, osservato che
l’opzione militare rappresenta una grave
sconfitta per la democrazia, ne paventa le
deleterie conseguenze per la credibilità
delle istituzioni internazionali, segnatamente delle Nazioni Unite. Manifesta, inoltre, netta contrarietà alla teoria della
guerra preventiva alla quale è ispirata la
politica estera statunitense.
GUIDO GIUSEPPE ROSSI, giudicate
utopistiche le posizioni ispirate ad un
pacifismo oltranzista, osserva che nelle
scelte di politica internazionale non si può
prescindere dal principio della ragione di
Stato: in tale contesto, l’eventuale decisione di non concedere agli Stati Uniti
l’uso delle basi militari ubicate in territorio italiano risulterebbe irresponsabile, in
quanto si tradurrebbe di fatto in una
forma di avallo della dittatura di Saddam
Hussein; ritiene che la posizione assunta,
al riguardo, dalle forze del centrosinistra
sia funzionale al perseguimento di obiettivi
di politica interna.
PIETRO FOLENA, paventate le drammatiche conseguenze che deriveranno da
una guerra illegittima ed unilaterale contro l’Iraq, che potrebbe alimentare il terrorismo ed accentuare l’instabilità in ambito internazionale, ritiene si sarebbe dovuta ricercare una soluzione pacifica della
crisi irachena, sotto l’egida dell’ONU. Dichiara, quindi, di non condividere le ra-
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gioni addotte dal Presidente del Consiglio
a sostegno della presunta legittimità dell’uso della forza nei confronti del regime
di Saddam Hussein, che peraltro deve
essere condannato con fermezza per essersi reso responsabile di reiterate violazioni dei diritti umani.
LUIGI RAMPONI ritiene si debba prendere atto del fallimento di tutti i tentativi
di individuare una soluzione diplomatica e
pacifica della crisi irachena, la cui responsabilità è ascrivibile esclusivamente a Saddam Hussein; osserva altresı̀ che in tale
contesto l’Italia non può esimersi dal garantire il necessario appoggio agli Stati
Uniti d’America, in particolare concedendo
l’uso delle basi militari ubicate nel territorio nazionale, anche al fine di evitare un
deterioramento dei rapporti bilaterali tra i
due paesi.
ELETTRA DEIANA, giudicate infondate
ed inaccettabili le motivazioni addotte dal
Presidente del Consiglio a sostegno della
legittimità di un’azione militare degli Stati
Uniti contro l’Iraq, che avrà il solo scopo
di trasformare tale paese in un protettorato americano, manifesta netta contrarietà al ricorso a metodi violenti per la
risoluzione delle controversie internazionali, nonché alla concessione alle forze
armate statunitensi dell’uso delle basi militari ubicate nel territorio italiano e del
permesso di sorvolo dello spazio aereo
nazionale. Ritiene, infine, che il Governo
non possa non tenere conto dell’aspirazione alla pace che proviene dall’opinione
pubblica.
GUSTAVO SELVA dà atto al Governo
di essersi fattivamente impegnato per
scongiurare un conflitto armato diventato
ormai inevitabile.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
PUBLIO FIORI
GUSTAVO SELVA, richiamate, inoltre,
le gravi responsabilità del regime iracheno,
invita l’opposizione a valutare l’opportu-
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—
SOMMARIO
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VII
SEDUTA DEL
nità di aderire alle ragioni che, a questo
punto, rendono necessaria la collaborazione con gli Stati Uniti; manifesta quindi,
il proprio consenso nei confronti delle
posizioni sostenute dal Presidente del Consiglio.
Preavviso di votazioni elettroniche.
PRESIDENTE avverte che decorrono
da questo momento i termini regolamentari di preavviso per eventuali votazioni
elettroniche.
Si riprende la discussione.
GIUSEPPE FIORONI esprime sconcerto
per le dichiarazioni rese dal Presidente del
Consiglio, che dimostrano l’incapacità del
Governo di assumere una posizione netta
ed univoca in merito alla difficile congiuntura internazionale: invita pertanto l’Esecutivo a non legittimare un’azione bellica
che appare in contrasto con principi costituzionalmente sanciti.
MARIA BURANI PROCACCINI, rivendicata con orgoglio la propria adesione ai
valori della religione cattolica e dell’unità
nazionale, manifesta piena condivisione
per la posizione sostenuta dal Governo.
TEODORO
BUONTEMPO,
espressi
dubbi sul fatto che possa ritenersi costituzionalmente legittimo un intervento armato in assenza di un’autorizzazione dell’ONU, preannunzia l’astensione sulla risoluzione presentata dai gruppi della maggioranza.
PRESIDENTE
dichiara
chiusa
la
discussione sulle comunicazioni del Governo.
Avverte che sono state presentate le
risoluzioni Craxi n. 55, Violante n. 56 ed
Elio Vito n. 57.
ROBERTO GIACHETTI, parlando sull’ordine dei lavori, lamenta l’effettuazione
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da parte delle forze dell’ordine di controlli
eccessivamente stringenti nelle vie adiacenti Palazzo Montecitorio.
PRESIDENTE osserva che la Presidenza si riserva di acquisire opportune
informazioni sulla questione sollevata dal
deputato Giachetti.
FRANCO FRATTINI, Ministro degli affari esteri, espresso rammarico per il fatto
che il regime iracheno non ha ottemperato
a numerose risoluzioni dell’ONU e non ha
inteso smantellare le proprie armi di distruzione di massa, assicura che il Governo ha svolto un’intensa attività diplomatica per scongiurare il ricorso all’intervento armato e si adopererà fattivamente
per contribuire ad una maggiore coesione
nell’ambito dell’Unione europea. Auspica,
al riguardo, il sostegno della maggioranza
e dell’opposizione in vista di una positiva
gestione della fase politica che si aprirà
con il semestre di presidenza italiana.
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
PIER FERDINANDO CASINI
FRANCO FRATTINI, Ministro degli affari esteri, accetta infine la risoluzione Elio
Vito n. 57 e non accetta le risoluzioni
Craxi n. 55 e Violante n. 56.
PRESIDENTE, assicurato di aver impartito le opportune disposizioni affinché
i competenti uffici della Camera svolgano
accertamenti in ordine alla questione evocata dal deputato Giachetti, sottolinea che
le decisioni concernenti il mantenimento
dell’ordine pubblico nelle vie adiacenti
Palazzo Montecitorio sono riconducibili
alla responsabilità della questura di Roma.
Sospende brevemente la seduta.
La seduta, sospesa alle 15,25, è ripresa
alle 15,30.
PRESIDENTE passa alle dichiarazioni
di voto.
Atti Parlamentari
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SOMMARIO
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VIII
SEDUTA DEL
GIUSEPPE DETOMAS, nel ritenere che
le dichiarazioni rese dal Presidente del
Consiglio non abbiano fugato le preoccupazioni e le perplessità sull’opportunità di
concedere alle forze armate statunitensi
l’uso delle basi militari ubicate in Italia ed
il sorvolo del territorio nazionale, dichiara
il voto favorevole della componente Minoranze linguistiche del gruppo Misto sulla
risoluzione Violante n. 56.
GIORGIO LA MALFA, giudicata infondata l’accusa rivolta al Governo di aver
assunto una posizione oscillante ed ambigua relativamente alla crisi irachena, manifesta condivisione per le scelte compiute
dall’Esecutivo, improntate alla solidarietà
atlantica ed al perseguimento di una politica comune da parte dell’Unione europea; dichiara, pertanto, il voto favorevole
della componente Liberal-democratici, Repubblicani, Nuovo PSI del gruppo Misto
sulla risoluzione Elio Vito n. 57.
PINO PISICCHIO, espressa netta contrarietà a qualsiasi forma di sostegno attivo ad operazioni belliche, paventa le
deleterie conseguenze che deriverebbero
da un deterioramento dei rapporti tra
l’Europa e gli Stati Uniti; auspica, inoltre,
che l’Italia si faccia promotrice di un’iniziativa finalizzata alla ripresa del dialogo
in ambito europeo, in vista del recupero di
quei rapporti di solidarietà messi a dura
prova dalla crisi irachena.
ALFONSO PECORARO SCANIO, giudicate non veritiere le considerazioni svolte
dal Presidente del Consiglio dei ministri,
secondo le quali l’Italia non si troverebbe
di fatto nella condizione di paese cobelligerante, manifesta netta contrarietà all’intervento militare in Iraq, che ritiene violi
il diritto internazionale: invita pertanto i
cittadini a mobilitarsi, in modo non violento, contro l’aggressione statunitense.
Nel ritenere, inoltre, che la risoluzione
Elio Vito n. 57 si ponga in contrasto con
la Costituzione, dichiara il convinto voto
favorevole dei deputati della componente
politica Verdi-L’Ulivo del gruppo Misto
sulla risoluzione Violante n. 56.
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ROBERTO VILLETTI, nel lamentare la
contraddittorietà e l’ambiguità delle scelte
operate dal Governo in riferimento alla
crisi irachena, peraltro in contrasto con
l’orientamento prevalente nell’opinione
pubblica, ritiene ingiustificabile un intervento militare non autorizzato dall’ONU.
Rilevato inoltre che l’Europa può ancora
ricercare una soluzione pacifica della crisi
irachena, assicura l’impegno dei Socialisti
democratici italiani in vista del raggiungimento di tale obiettivo.
OLIVIERO DILIBERTO, osservato che
le scelte compiute dal Governo si pongono
in contrasto con l’articolo 11 della Costituzione e minano l’unità europea, paventa
le deleterie conseguenze che deriveranno,
sul piano internazionale, da una guerra di
stampo colonialista volta a garantire il
controllo, da parte degli Stati Uniti, delle
risorse petrolifere esistenti in territorio
iracheno. Sottolinea pertanto la necessità
di promuovere, anche dopo l’avvio delle
operazioni belliche, iniziative in favore
della pace.
FAUSTO BERTINOTTI, paventate le
deleterie conseguenze che deriveranno
dall’inevitabile precipitare della situazione
internazionale, rileva che la scelta compiuta dal Governo non è condivisa dalla
maggioranza del Paese. Giudicato inoltre
illegittimo un intervento militare non autorizzato dalle Nazioni Unite, ritiene che il
Governo avrebbe dovuto assumere un atteggiamento diverso da quello improntato
a bieco servilismo nei confronti degli Stati
Uniti, le cui velleità imperialiste hanno
determinato una crisi in seno all’Alleanza
atlantica: manifesta pertanto netta contrarietà alla concessione dell’autorizzazione
all’uso delle basi militari ubicate nel territorio italiano.
ALESSANDRO CÈ, ricordato che Saddam Hussein è uno spietato e pericoloso
dittatore, sottolinea che l’inspiegabile posizione assunta da Francia e Germania –
che peraltro hanno concesso l’uso delle
basi militari ubicate nei loro rispettivi
territori e dello spazio aereo nazionale –
Atti Parlamentari
XIV LEGISLATURA
—
—
SOMMARIO
—
IX
SEDUTA DEL
ha contribuito a dividere la comunità
internazionale. Pur rilevando, quindi, la
non ineccepibile azione diplomatica svolta
da taluni esponenti del governo statunitense, manifesta condivisione per la scelta
dell’Esecutivo di confermare i tradizionali
legami di amicizia tra l’Italia e gli Stati
Uniti.
MARCO FOLLINI, ribadita la contrarietà ad un intervento armato unilaterale,
privo di una chiara legittimazione da parte
dell’ONU e che rischia di dividere la
comunità internazionale, invita il Governo
ad attivarsi per rinsaldare la coalizione
contro il terrorismo sorta all’indomani
degli attentati dell’11 settembre 2001. Richiamate altresı̀ le gravi responsabilità
imputabili al regime iracheno, dichiara di
non comprendere le ragioni che inducono
l’opposizione a sostenere l’opportunità di
negare alle forze armate statunitensi l’autorizzazione all’uso delle basi militari ubicate sul territorio nazionale, sottraendo in
tal modo l’Italia ad un rapporto di collaborazione che peraltro vede coinvolti anche i paesi che hanno espresso netto
dissenso rispetto alla politica degli Stati
Uniti.
FRANCESCO RUTELLI, nel manifestare netta contrarietà ad un intervento
militare ingiustificato ed illegittimo, che
determinerà gravi conseguenze per gli
equilibri internazionali, ritiene che il necessario rispetto nei confronti degli Stati
Uniti non possa impedire di esprimere
dissenso da una scelta unilaterale e sbagliata, anche perché priva dell’avallo delle
Nazioni Unite. Sottolinea, quindi, la contraddittorietà delle dichiarazioni rese dal
Presidente del Consiglio in varie fasi della
crisi irachena che, oltre a compromettere
la credibilità dell’Italia in ambito internazionale, denotano l’incapacità del Governo
di assumere una posizione politica chiara
e inequivocabilmente contraria alla guerra
quale strumento di risoluzione delle controversie internazionali.
IGNAZIO LA RUSSA dichiara che i
deputati del gruppo di Alleanza nazionale
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condividono pienamente le dichiarazioni
rese dal Presidente del Consiglio, dalle
quali si evince che il Governo ha svolto un
ruolo attivo al fine di avvicinare le posizioni degli Stati Uniti e dell’Unione europea e di consolidare la coalizione contro il
terrorismo costituitasi dopo i tragici eventi
dell’11 settembre 2001. Richiamate inoltre
le determinazioni assunte dal Consiglio
supremo di difesa, il quale ha sancito che
l’Italia si trova nella condizione di Stato
non belligerante, rivolge un plauso ed un
ringraziamento ai militari italiani impegnati in missioni internazionali.
PIERO FASSINO, rilevato che la decisione di intervenire militarmente in Iraq,
che giudica illegittima ed insensata, è destinata ad accrescere lo stato di insicurezza in ambito internazionale, osserva
che si sarebbe potuto ottenere il disarmo
dell’Iraq perseguendo la linea pacifica intrapresa dall’ONU. Lamentata inoltre la
grave inadeguatezza dimostrata dal Governo, che rischia di compromettere la
credibilità del Paese in ambito internazionale, ritiene che l’imminente intervento
militare non debba ricevere il sostegno
dell’Italia.
FERDINANDO ADORNATO, ricordato
che l’Italia non sarà un paese belligerante
e che nessun militare italiano parteciperà
alle operazioni belliche, osserva che l’uso
delle basi militari e dello spazio aereo
nazionale – concesso anche da Francia e
Germania – deriva da un preciso obbligo
internazionale. Rilevato, inoltre, che il
contenuto della risoluzione n. 1441 del
Consiglio di sicurezza dell’ONU legittima il
ricorso alla forza al fine di disarmare
l’Iraq, ritiene che l’unità europea debba
essere conseguita confermando i tradizionali rapporti di amicizia con gli Stati Uniti
d’America. Nell’auspicare, pertanto, una
rapida vittoria delle forze armate alleate,
sottolinea la necessità che il valore della
pace sia coniugato con quello della libertà.
BOBO CRAXI, premesso che l’intervento del Presidente del Consiglio non ha
fugato le preoccupazioni per un’iniziativa
Atti Parlamentari
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SOMMARIO
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X
SEDUTA DEL
militare unilaterale ed illegittima, manifesta netta contrarietà alla concessione dell’autorizzazione all’uso delle basi militari
ubicate in Italia e dello spazio aereo
nazionale.
VITTORIO SGARBI rileva che il Presidente del Consiglio, richiamando la posizione di non belligeranza assunta dall’Italia, abbia saputo interpretare, più di
quanto abbiano fatto i Governi di centrosinistra, le tanto proclamate aspirazioni
alla pace.
ALESSANDRO DE FRANCISCIS dichiara voto favorevole sulla risoluzione
Violante n. 56, osservando che la maggior
parte della popolazione statunitense è contraria all’intervento militare in Iraq.
PRESIDENTE avverte che la risoluzione Craxi n. 55 è stata ritirata dai presentatori.
Prende altresı̀ atto che è stata chiesta la
votazione nominale.
La Camera, con votazioni nominali elettroniche, respinge la risoluzione Violante
n. 56 ed approva la risoluzione Elio Vito
n. 57.
PRESIDENTE sospende brevemente la
seduta.
La seduta, sospesa alle 17,25, è ripresa
alle 17,35.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
ALFREDO BIONDI
Missioni.
PRESIDENTE comunica che i deputati
complessivamente in missione alla ripresa
della seduta sono sessanta.
Seguito della discussione del disegno di
legge di conversione del decreto-legge
n. 25 del 2003: Oneri generali del sistema elettrico (3688).
PRESIDENTE passa all’esame dell’articolo unico del disegno di legge di conver-
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sione e degli emendamenti riferiti agli
articoli del decreto-legge ed all’articolo
unico del disegno di legge, avvertendo che
le Commissioni I e V hanno espresso i
prescritti pareri.
Informa altresı̀ l’Assemblea che, in relazione al numero di emendamenti presentati, la Presidenza applicherà l’articolo
85-bis del regolamento, procedendo in
particolare a votazioni per principi o riassuntive, ai sensi dell’articolo 85, comma 8,
ultimo periodo, fermo restando l’ordinario
regime delle preclusioni e delle votazioni a
scalare: il gruppo di Rifondazione comunista è stato invitato a segnalare gli emendamenti da porre comunque in votazione.
MASSIMO CIALENTE, richiamata la
necessità di definire una disciplina organica del settore energetico al fine di assicurare una produzione nazionale che soddisfi il reale fabbisogno del Paese, lamenta
il carattere frammentario degli interventi
normativi attuati in materia. Nel paventare, inoltre, il rischio di un possibile
incremento delle tariffe che penalizzerà, in
particolare, le piccole e medie imprese,
auspica il coinvolgimento delle regioni e
degli enti locali nelle determinazioni relative alla realizzazione di nuove centrali od
alla loro ubicazione.
SALVATORE BUGLIO, rilevato che il
decreto-legge in esame non presenta i
requisiti di straordinaria necessità ed urgenza di cui all’articolo 77 della Costituzione, paventa le deleterie conseguenze
derivanti dalla confusa politica attuata dal
Governo per il settore dell’energia. Giudicate inoltre incomprensibili le ragioni per
le quali la Commissione non abbia recepito l’emendamento volto a garantire la
coincidenza fra il termine di eliminazione
degli stranded costs e quello di avvio della
cosiddetta borsa elettrica, lamenta il fatto
che, in relazione alla realizzazione di
nuove centrali elettriche, non si sia tenuto
conto dell’accordo raggiunto, il 5 settembre 2002, in seno alla Conferenza unificata.
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SOMMARIO
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XI
SEDUTA DEL
BRUNO CAZZARO esprime un orientamento contrario al provvedimento d’urgenza in esame, ritenendo sbagliato il
modo frammentario e confuso con il quale
il Governo affronta le tematiche connesse
al fabbisogno energetico nazionale. Osservato altresı̀ che la strategica questione
relativa alla programmazione deve essere
definita di concerto con le regioni e gli enti
locali, auspica il recepimento di modifiche
migliorative del testo del decreto-legge.
RUGGERO RUGGERI, osservato che il
decreto-legge in esame non presenta il
requisito dell’urgenza, con particolare riferimento alle disposizioni concernenti
l’istituzione della cosiddetta borsa elettrica, lamenta il fatto che il Governo non
persegue una coerente, organica e strategica politica per il settore dell’energia,
volta a garantire, in particolare, la copertura del fabbisogno nazionale, in un contesto normativo coerente con la riforma
del titolo V della parte seconda della
Costituzione.
LUIGI GASTALDI, Relatore, invita al
ritiro degli emendamenti Polledri 1.6 e
Martinelli 1.7 ed esprime parere contrario
sui restanti emendamenti riferiti all’articolo 1 del decreto-legge.
GIOVANNI DELL’ELCE, Sottosegretario
di Stato per le attività produttive, concorda.
PRESIDENTE rinvia il seguito del dibattito ad altra seduta.
Modifica nella composizione della Commissione parlamentare di inchiesta sull’affare Telekom-Serbia.
(Vedi resoconto stenografico pag. 84).
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Sull’ordine dei lavori.
PRESIDENTE avverte che non sono
state presentate questioni pregiudiziali e
sospensive, ancorché preannunziate in
Conferenza dei presidenti di gruppo, sui
provvedimenti il cui esame è previsto per
la prossima settimana: il relativo punto
non sarà pertanto iscritto all’ordine del
giorno della seduta di domani.
PIERO RUZZANTE chiede un interessamento della Presidenza affinché il Governo
fornisca sollecita risposta a tutti gli atti di
sindacato ispettivo da lui presentati.
PRESIDENTE assicura che riferirà al
Presidente della Camera perché interessi il
Governo.
ENZO RAISI denunzia un grave atto di
intimidazione verificatosi nella giornata
odierna a Bologna, nel corso di una manifestazione organizzata da un movimento
politico di sinistra, che ritiene emblematico del clima di tensione instauratosi nel
Paese.
PRESIDENTE, sottolineata la gravità
dell’episodio richiamato dal deputato Raisi,
osserva che il Governo, se lo riterrà, potrà
riferire alla Camera in merito agli aspetti
che rientrano nella sua competenza.
Ordine del giorno
della seduta di domani.
PRESIDENTE comunica l’ordine del
giorno della seduta di domani:
Giovedı̀ 20 marzo 2003, alle 9,30.
(Vedi resoconto stenografico pag. 86).
La seduta termina alle 18,25.
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SEDUTA DEL
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RESOCONTO STENOGRAFICO
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
PIER FERDINANDO CASINI
La seduta comincia alle 11,35.
ANTONIO MAZZOCCHI, Segretario,
legge il processo verbale della seduta di
ieri.
(È approvato).
Missioni.
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi
dell’articolo 46, comma 2, del regolamento,
i deputati Angioni, Ricciotti, Stucchi e
Zacchera sono in missione a decorrere
dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati complessivamente
in missione sono ottantasei, come risulta
dall’elenco depositato presso la Presidenza
e che sarà pubblicato nell’allegato A al
resoconto della seduta odierna.
Ulteriori comunicazioni all’Assemblea
saranno pubblicate nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.
Nell’anniversario dell’uccisione
del professor Marco Biagi (ore 11,40).
PRESIDENTE (Si leva in piedi e con lui
l’intera Assemblea ed i membri del Governo). Onorevoli colleghi, un anno fa, a
Bologna, il professor Marco Biagi è stato
strappato ai suoi cari e al suo impegno
dalla follia insensata del terrorismo. Rientrava a casa dalla sua famiglia, dopo
un’ennesima, intensa giornata di lavoro. È,
forse, la quotidianità dei gesti nei quali si
sono consumati gli ultimi attimi della sua
esistenza che ce ne rende ancor più vivo
il ricordo e più straziante la mancanza.
Biagi non è mai stato un uomo di parte,
ma sempre e costantemente uomo delle
istituzioni. Ha operato al servizio dello
Stato e di tutta la collettività e dalla sua
attività abbiamo tratto l’insegnamento che
il riformismo non è solamente un indirizzo culturale e di pensiero, ma è una
pratica quotidiana. È un atteggiamento
fatto di pazienza e di costanza, di chiarezza di opinioni e di onestà intellettuale.
È la ferma convinzione che la realtà si
modifica operando al suo stesso interno,
affrontando dei nodi cruciali con serenità
e con competenza.
La sua è una lezione di civiltà e ad essa
l’Italia deve guardare con riconoscenza e
con orgoglio. Ad essa dobbiamo tutti riferirci per alimentare il senso della nostra
adesione ai valori della libertà e della
democrazia, soprattutto nei momenti in
cui a quei valori si attenta con la violenza
e con lo spargimento del sangue di uomini
innocenti.
Ad un anno di distanza, la Camera dei
deputati rinnova alla moglie Marina, ai
figli e a tutta la sua famiglia il commosso,
partecipe ricordo di questa Assemblea
(Generali applausi, cui si associano i membri del Governo).
Grazie, onorevoli colleghi. Tra l’altro,
so che il Presidente del Consiglio dei
ministri, onorevole Berlusconi, dopo aver
reso le sue comunicazioni in quest’aula, si
recherà al Senato per la solenne commemorazione del professor Biagi, per poi
ritornare successivamente qui alla Camera.
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DISCUSSIONI
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SEDUTA DEL
Comunicazioni del Governo sugli sviluppi
della crisi irachena (ore 11,43).
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca
lo svolgimento di comunicazioni del Governo sugli sviluppi della crisi irachena.
Dopo le comunicazioni del Presidente
del Consiglio dei ministri, avrà luogo la
discussione che si svolgerà secondo le
modalità già comunicate ai gruppi.
Ricordo che l’intervento del Presidente
del Consiglio e, successivamente, le dichiarazioni di voto dei rappresentanti dei
gruppi saranno oggetto di ripresa televisiva
diretta.
La ripartizione dei tempi è pubblicata
nel vigente calendario dei lavori (vedi calendario).
(Intervento del Presidente del Consiglio
dei ministri)
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il
Presidente del Consiglio dei ministri, onorevole Silvio Berlusconi.
SILVIO BERLUSCONI, Presidente del
Consiglio dei ministri. Signor Presidente,
onorevoli deputati, come è a tutti noto, il
regime iracheno ha violato ripetutamente,
nel corso degli ultimi dieci anni, gli ordini
di disarmo che le Nazioni Unite gli hanno
impartito con numerose risoluzioni.
Il problema nasce da circostanze altamente drammatiche. Saddam Hussein non
è l’unico autocrate nel mondo a possedere
armi di distruzione di massa di tipo chimico, batteriologico e radioattivo. Non è
l’unico ad aver lavorato attivamente per
un programma nucleare, ma è l’unico ad
aver usato quelle armi su larga scala in
una lunga storia di aggressività militarista
ai danni dei suoi vicini e del suo stesso
popolo.
La situazione di crisi internazionale
generata dall’11 settembre e dalla scelta,
in dimensioni fino a ieri impensabili, del
terrorismo suicida contro la popolazione
civile, contro donne, vecchi e bambini, ha
reso necessaria una seria mobilitazione
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della comunità internazionale per ottenere
finalmente, in modo certo, la resa del
regime di Bagdad alle regole che presiedono alla sicurezza globale del pianeta.
L’ultima di tali risoluzioni per il disarmo, la n. 1441, fu approvata all’unanimità dal Consiglio di Sicurezza nello
scorso mese di novembre. Il testo era
inequivoco: l’ONU chiedeva un disarmo
totale, incondizionato ed immediato e prospettava, in caso contrario, serie conseguenze. Nelle risoluzioni precedenti, che
definivano il comportamento del regime
iracheno in violazione flagrante degli ordini delle Nazioni Unite, era esplicita la
volontà di ricorrere alla forza in caso di
inadempienza alle indicazioni del Consiglio di Sicurezza.
Dobbiamo giudicare, ora, le evoluzioni
della crisi alla luce degli avvenimenti di
questi ultimi giorni. Gli alleati hanno rinunciato a mettere ai voti un’ulteriore
risoluzione – sarebbe stata la diciassettesima – che avrebbe dato un tempo certo
ed ultimativo a Saddam Hussein per disarmare, pena l’inizio di un intervento
militare. Hanno rinunciato a farlo dopo
quattro mesi e mezzo di affannosi negoziati diplomatici, di lavoro degli ispettori e
di sviluppi ambigui della politica irachena.
Lo hanno fatto dopo che un paese membro permanente del Consiglio di Sicurezza,
la nostra amica ed alleata Francia, aveva
legittimamente – tuttavia, a mio parere,
sbagliando – annunciato che avrebbe
messo il veto (Nella tribuna sovrastante il
banco della Presidenza vengono esposte due
bandiere della pace – Una voce dai banchi
di Alleanza nazionale grida: « Basta ! » –
Applausi dei deputati dei gruppi di Rifondazione comunista, Misto-Comunisti italiani e Misto-Verdi-l’Ulivo e di deputati dei
gruppi dei Democratici di sinistra-l’Ulivo e
della Margherita, DL-l’Ulivo)...
PIETRO ARMANI. Fuori !
PRESIDENTE. Prego i commessi di
rimuovere immediatamente le bandiere (I
commessi ottemperano all’invito del Presidente). Tale esposizione non è accettabile e
credo che ciascuno debba assumersi le
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DISCUSSIONI
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SEDUTA DEL
proprie responsabilità. Credo che gli italiani vogliano essere informati sulle nostre
opinioni non...
MAURA COSSUTTA. Vogliamo la pace
(Una voce dai banchi di Alleanza nazionale
grida: « Tutti vogliamo la pace ! ») !
PRESIDENTE. Queste sono cose folcloristiche. Credo che noi abbiamo responsabilità ben diverse (Applausi dei deputati
dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza
nazionale e dell’Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro).
Mi scusi, onorevole Presidente del Consiglio.
SILVIO BERLUSCONI, Presidente del
Consiglio dei ministri. Signor Presidente,
stavo dicendo che gli alleati hanno ritirato
quella che sarebbe stata la diciassettesima
risoluzione dopo che la Francia aveva
annunciato l’apposizione di un veto ad
un’ulteriore risoluzione – cito letteralmente le parole della Francia – in qualunque circostanza.
È cosı̀ che si è, purtroppo, chiusa la
vicenda diplomatica nella quale l’Italia,
che pure non è nel Consiglio di Sicurezza,
aveva giocato in modo autorevole e responsabile tutte le sue carte. E le aveva
giocate allo scopo di tenere insieme l’alto
prestigio e l’efficacia delle Nazioni Unite,
la funzionalità e l’operatività politicomilitare della NATO e quel tanto che
era possibile realizzare di coesione
in un’Unione europea che su questa materia, purtroppo, si è rivelata politicamente
divisa. È forte anche per noi il rammarico
perché tale obiettivo di pace non si è
realizzato. Non è mancato il nostro impegno in una ricerca ampia ed approfondita di soluzioni che potessero scongiurare
il ricorso alla forza garantendo però, naturalmente, il disarmo completo dell’Iraq.
Lo abbiamo fatto consapevoli della spinta
sincera dell’opinione pubblica e sensibili
come sempre al richiamo spirituale ed
all’alto messaggio del Santo Padre (Commenti dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l’Ulivo, della Margherita,
DL-l’Ulivo e Misto-Comunisti italiani).
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PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, vi
prego...
Prego, onorevole Presidente del Consiglio.
SILVIO BERLUSCONI, Presidente del
Consiglio dei ministri. Il Governo, che ha
la titolarità piena della politica estera, si è
mosso in questo sforzo di concerto continuativo con il Presidente della Repubblica, sempre e solo nel solco dei trattati
internazionali, nel solco della nostra Costituzione e dell’interesse generale del
paese.
Sono state sollevate, da alcuni, perplessità circa la legittimità dell’uso della forza
per il disarmo dell’Iraq, a seguito del ritiro
di un progetto di questa ulteriore risoluzione davanti al Consiglio di Sicurezza.
Sono perplessità che impedirebbero, secondo gli esponenti dell’opposizione, non
soltanto la partecipazione attiva (situazione che per l’Italia è sempre stata esclusa
ed è anche da escludere per il futuro), ma
persino il sostegno logistico all’azione militare mediante l’autorizzazione al sorvolo
del territorio nazionale e all’uso delle basi
militari, che da decenni sono collocate in
Italia in applicazione del Patto Atlantico.
L’opposizione o gli esponenti dell’opposizione che sollevano tali argomenti chiedono, in altri termini, che l’Italia neghi agli
Stati Uniti d’America quel supporto che,
ad esempio, già in Europa è stato concesso
e continuerà ad essere assicurato dalla
Francia e dalla Germania, paesi che dalla
sinistra sono stati più volte additati come
un modello virtuoso da imitare (Applausi
dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di
Alleanza nazionale, dell’Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro,
della Lega nord Padania e Misto-Liberaldemocratici, Repubblicani, Nuovo PSI) !
GABRIELLA PISTONE. Ma che c’è da
applaudire ?
SILVIO BERLUSCONI, Presidente del
Consiglio dei ministri. Soltanto per ricordare qual è la vera situazione, rammento
che la Francia (che non ospita basi militari USA) senza dibattito e direi senza
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scandalo alcuno (nemmeno della sinistra
francese che è all’opposizione) ha autorizzato il sorvolo di aerei USA per operazioni
militari in Iraq, precisando – con le chiare
parole del Presidente Chirac – che « ovviamente la Francia non può negare all’alleato USA questo diritto », malgrado la
posizione assunta dalla Francia stessa nel
Consiglio di Sicurezza.
Quanto alla Germania, un minimo debito di informazione mi impone di ricordare che il Cancelliere, pur distaccandosi
con nettezza dall’opzione militare, ha già
concesso...
MARCO FUMAGALLI. C’è l’embargo !
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, vi
prego, non è un’Assemblea in cui tutti
intervengono quando vogliono, interrompendo ! Ci vuole un po’ di educazione, per
cortesia ! Dopodiché sarà la stessa cosa
quando parleranno gli altri. Ma non è
possibile... !
Le chiedo scusa, Presidente, continui
pure.
SILVIO BERLUSCONI, Presidente del
Consiglio dei ministri. Vorrei sottolineare
invece questo comportamento del Cancelliere Schröeder, il quale ha già concesso il
transito, nel territorio, di truppe e materiali USA, il sorvolo del territorio e naturalmente l’uso delle basi USA che sono
presenti (e sono due basi) nel territorio
della Repubblica federale tedesca.
È evidente che non solo ragioni politiche (sulle quali conto di tornare più avanti), ma anche importanti argomenti di
ordine giuridico sostengono la decisione
del Governo sottoposta oggi, per questo
profilo, alla decisione del Parlamento.
Sono ragioni che dimostrano come, in
mancanza di voti contrari del Consiglio di
Sicurezza sui vari momenti decisionali
riguardanti l’Iraq, le precedenti risoluzioni
(dal 1991 al 2002) conservino il loro valore
e quindi la loro applicabilità. Il combinato
disposto delle risoluzioni n. 678, n. 687 e
n. 1441 autorizza e reclama, al di là di
ogni dubbio, direi, il disarmo forzoso dell’Iraq. La risoluzione n. 678 del novembre
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1990, in particolare, autorizzava l’uso della
forza per far cessare l’invasione del Kuwait. La successiva risoluzione n. 687 dell’aprile 1991 stabiliva il « cessate il fuoco »
e le condizioni per il disarmo iracheno. Da
tale risoluzione si desume che ogni violazione da parte dell’Iraq dell’obbligo di
distruggere le armi di distruzione di massa
avrebbe fatto venir meno le condizioni per
il cessate il fuoco e, quindi, avrebbe ripristinato immediatamente l’autorizzazione ad usare la forza contro Saddam
Hussein.
In effetti questo ripristino vi fu e l’uso
della forza avvenne una prima volta già
nel gennaio 1993. Su tali raid aerei l’allora
Segretario generale dell’ONU, Boutros
Ghali, disse letteralmente (cito le sue testuali parole): « Gli attacchi e le forze che
li hanno condotti hanno ricevuto un mandato dal Consiglio di Sicurezza secondo la
risoluzione n. 678 e la causa degli attacchi
è stata la violazione da parte dell’Iraq
della risoluzione n. 687 sul cessate il
fuoco. Quindi, come Segretario generale
dell’ONU, posso affermare che questa
azione è conforme con le risoluzioni del
Consiglio di Sicurezza e con la Carta
dell’ONU ».
È da notare che, nei giorni appena
precedenti a questa azione del 1993, il
Presidente del Consiglio di Sicurezza aveva
per ben due volte ammonito il regime
iracheno sulle serie conseguenze delle sue
inadempienze; è lo stesso, preciso linguaggio usato nella risoluzione n. 1441.
A distanza di cinque anni, nello stesso
contesto di legittimazione dell’ONU – precisamente nel dicembre del 1998 –, ebbero
luogo raid aerei americani, qualche giorno
dopo che il capo degli ispettori aveva
disposto il loro ritiro dall’Iraq.
Allora governava la sinistra e non si
levarono grida di scandalo né voci concitate (Applausi dei deputati dei gruppi di
Forza Italia, di Alleanza nazionale, dell’Unione dei democratici cristiani e dei
democratici di centro, della Lega nord Padania e Misto-Liberal-democratici, Repubblicani, Nuovo PSI).
Nella risoluzione n. 1441, infine, molti
dimenticano che il presupposto espressa-
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mente citato è la persistenza della violazione materiale della precedente risoluzione n. 687 che impone all’Iraq l’obbligo
del disarmo. Questa risoluzione concede
soltanto a Bagdad un’ultima opportunità
di disarmo pieno ed immediato, con obbligo di cooperazione attiva dell’Iraq con
gli ispettori.
Queste due condizioni – è pacifico –
non si sono verificate, tanto che il 17
marzo – quindi, due giorni fa – il capo
degli ispettori ha presentato al Presidente
del Consiglio di Sicurezza un lungo elenco
di 12 questioni tuttora irrisolte perché non
vi è stata cooperazione attiva da parte
dell’Iraq e neppure risposta alle molte
domande degli ispettori.
Dunque, poiché la risoluzione n. 1441 è
in vigore e prevede gravi conseguenze in
caso di persistente violazione da parte
irachena e poiché la stessa risoluzione
richiama e riafferma la validità delle risoluzioni n. 678 e n. 687 – che, come ho
ricordato, erano state già attivate nel 1993
e nel 1998 –, le condizioni per l’autorizzazione all’uso della forza si sono, oggi,
legittimamente determinate.
PRESIDENTE. Prego, Presidente Berlusconi.
MAURA COSSUTTA. Legittimamente
da chi ?
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, non
è possibile ascoltare un dibattito in questo
modo ! Vi prego di avere un minimo di
civiltà per far parlare tutti ! Sta parlando
il Presidente del Consiglio; poi, si contesterà legittimamente la tesi del Presidente
del Consiglio. Ma non è accettabile questo
mormorio generale !
SILVIO BERLUSCONI, Presidente del
Consiglio dei ministri. Il progetto di nuova
risoluzione... (Commenti di deputati dei
gruppi dei Democratici di sinistra-l’Ulivo,
della Margherita, DL-l’Ulivo, Misto-Comunisti italiani e Misto-Verdi-l’Ulivo).
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, si sa
che vi sono opinioni diverse. Adesso ascoltiamo le opinioni del Presidente del Consiglio.
MAURA COSSUTTA. Ma non legittimamente ! Forse per voi, ma non « legittimamente » !
PRESIDENTE. Onorevole Maura Cossutta, per cortesia, la richiamo all’ordine.
PIER PAOLO CENTO. Non si devono
raccontare le bugie al Parlamento !
SILVIO BERLUSCONI, Presidente del
Consiglio dei ministri. Voglio insistere,
quindi, nel ricordare che il progetto di una
nuova risoluzione tendeva non ad incidere
sul principio dell’autorizzazione al disarmo
forzoso (Commenti di deputati dei gruppi dei
Democratici di sinistra-l’Ulivo, della Margherita, DL-l’Ulivo, Misto-Comunisti italiani e Misto-Verdi-l’Ulivo), che è già un
principio chiaramente affermato, ma soltanto a fissare un termine ultimativo. E
questo si evince senza possibilità di...
PIER PAOLO CENTO. Devi dire la
verità al Parlamento ! La verità ! La verità !
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, vi
prego !
SILVIO BERLUSCONI, Presidente del
Consiglio dei ministri. ...dal testo della
risoluzione stessa, a conferma questo dello
strenuo sforzo politico (Commenti)...
MAURA COSSUTTA. Infatti, non è possibile !
PRESIDENTE. Presidente Berlusconi,
la prego di continuare.
SILVIO BERLUSCONI, Presidente del
Consiglio dei ministri. Mi pare quindi
chiaro che c’è stato uno sforzo continuativo per arrivare ad una soluzione
pacifica.
È evidente del resto che non fissare
alcuna data finale sarebbe equivalso a
garantire all’Iraq molti anni ancora di
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violazione e di elusione delle sedici risoluzioni dell’ONU intervenute dal 1991 sino
ad oggi.
Mi sono a lungo soffermato sugli
aspetti giuridici della decisione che il Governo intende assumere dopo il voto del
Parlamento, soltanto per evitare che di
una non fondata questione sulla legittimità
dell’uso della forza si cerchi di fare, da
parte dell’opposizione, un caso strumentale (Commenti dei deputati dei gruppi dei
Democratici di sinistra-l’Ulivo, di Rifondazione comunista e Misto-Comunisti italiani), per evitare cioè che la questione
giuridica nasconda la difficoltà di questa
sinistra di ammettere...
MAURA COSSUTTA. È la Costituzione !
PRESIDENTE. Onorevole Maura Cossutta, la prego ! La richiamo all’ordine !
BASILIO CATANOSO. Mandala fuori !
La deve buttare fuori !
PRESIDENTE. Non è possibile intervenire in questo modo ! Scusate, ci vuole
anche il rispetto di ascoltare gli altri.
Ciascuno parlerà.
Onorevoli colleghi, vi prego. Non è che
ciascuno si fa la giustizia da sé. C’è il
Presidente che sta richiamando all’ordine.
STEFANO LOSURDO. Buttala fuori !
PRESIDENTE. Onorevole Losurdo, richiamo anche lei esattamente come l’onorevole Maura Cossutta. Stia zitto, per
cortesia (Vive proteste dei deputati del
gruppo di Alleanza nazionale) !
Prego, signor Presidente del Consiglio.
SILVIO BERLUSCONI, Presidente del
Consiglio dei ministri. Volevo soltanto sottolineare che con gli argomenti della politica non si può chiedere al Governo di
mettere in discussione l’Alleanza Atlantica
(Vivi, prolungati applausi dei deputati dei
gruppi di Forza Italia, di Alleanza nazionale, dell’Unione dei democratici cristiani e
dei democratici di centro, della Lega nord
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Padania e Misto-Liberal-democratici, Repubblicani, Nuovo PSI – Applausi polemici
del deputato Maura Cossutta).
MAURA COSSUTTA. Guardi loro, Presidente !
PRESIDENTE. Onorevole Maura Cossutta, gli applausi sono consentiti o c’è un
regolamento che li vieta ? Io non lo so !
Capisco ! Non c’è ancora un regolamento
che vieti gli applausi ! Dai tempi di De
Gasperi in poi, i Presidenti del Consiglio
sono stati applauditi quando lo si è ritenuto opportuno. Insomma, cerchiamo di
non tenere il senso della misura (Applausi
dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale – Applausi polemici del deputato
Maura Cossutta).
KATIA BELLILLO. Ed il dissenso come
si esprime ?
PRESIDENTE. Non è che si possa rimproverare un applauso al Presidente della
Camera.
KATIA BELLILLO. Presidente, ci faccia
esprimere il dissenso ! C’è chi si esprime
con gli applausi e chi...
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, vi
prego ! Prego, signor Presidente.
SILVIO BERLUSCONI, Presidente del
Consiglio dei ministri. Signor Presidente,
capisco bene che fa parte delle cose politiche che l’opposizione accusi di tutto il
Governo: che accusi il Governo di avventurismo, se il Governo procede con decisione; che accusi il Governo di ambiguità
politica, quando il Governo procede con
prudenza e senza fare strepito (Vivi commenti dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l’Ulivo e Misto-Comunisti
italiani). È successo anche in quest’occasione, anche stavolta. E se l’opposizione
me lo consente, rilevo che è mancato
finora al centrosinistra quel senso della
realtà e delle esigenze della diplomazia
(Vivi commenti dei deputati dei gruppi dei
Democratici di sinistra-l’Ulivo e Misto-Co-
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DISCUSSIONI
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SEDUTA DEL
munisti italiani – Prolungati applausi dei
deputati dei gruppi di Forza Italia, di
Alleanza nazionale, dell’Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro
e della Lega nord Padania) in tempo di
crisi.
State dimostrando che vi manca quel
senso della realtà e della democrazia che
abbiamo dimostrato noi, quando eravamo
minoranza in questo Parlamento (Vive
proteste dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l’Ulivo e della Margherita,
DL-l’Ulivo – Vivissimi, prolungati applausi
dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di
Alleanza nazionale, dell’Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro
e della Lega nord Padania – I deputati dei
gruppi di Forza Italia, di Alleanza nazionale, dell’Unione dei democratici cristiani e
dei democratici di centro e della lega nord
Padania si levano in piedi – Dai banchi dei
deputati dei gruppi di Democratici di sinistra-l’Ulivo, della Margherita, DL-l’Ulivo, di
Rifondazione comunista, Misto-Comunisti
italiani e Misto-Verdi-l’Ulivo si scandisce:
« Pace ! Pace ! Pace ! ») !
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, va
bene ! Grazie ! Grazie ! Signor Presidente
del Consiglio...
SILVIO BERLUSCONI, Presidente del
Consiglio dei ministri. Mi spiace, ma devo
riportare i fatti.
GIOVANNI RUSSO SPENA. Buffone !
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi ...
SILVIO BERLUSCONI, Presidente del
Consiglio dei ministri. L’Italia partecipò
nel 1999 alla guerra senza un’esplicita
autorizzazione da parte dell’ONU. Ma la
liberazione della Serbia da un tiranno
come Slobodan Milosevic era una scelta
giusta e noi la appoggiammo perché pensavamo e pensiamo che la funzione dell’opposizione sia quella di partecipare al
conflitto politico con un alto senso dello
Stato e che l’interesse nazionale venga
prima della scelta ispirata...
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MARCELLA LUCIDI. Parla della guerra !
PRESIDENTE.
prego.
Onorevole
Lucidi,
la
ANDREA MARTELLA. Bossi !
SILVIO BERLUSCONI, Presidente del
Consiglio dei ministri. ...a un interesse
particolare o, come state dimostrando, a
pura demagogia (Applausi dei deputati dei
gruppi di Forza Italia, di Alleanza nazionale, dell’Unione dei democratici cristiani e
dei democratici di centro, della Lega nord
Padania e del Misto-Liberal-democratici,
Repubblicani, Nuovo PSI) ! Sono convinto
che, se voleste fare altrettanto, fareste solo
l’interesse del paese (Applausi dei deputati
dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza
nazionale).
Tuttavia, la crisi irachena ormai si pone
in termini nuovi. Gli alleati hanno ingiunto al dittatore, dopo prove di pazienza
durate 12 lunghi anni (Commenti dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l’Ulivo, di Rifondazione comunista,
Misto-Verdi-l’Ulivo e Misto-Comunisti italiani)...
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, vi
prego.
SILVIO BERLUSCONI, Presidente del
Consiglio dei ministri. ...Se 12 lunghi anni
non sono pazienza, non so quale periodo
possa essere okay. Hanno chiesto al dittatore di dimettersi e di lasciare il paese
con la sua corte, garantendogli una speciale immunità, unica possibilità ormai per
scongiurare il ricorso alla forza. La probabilità che si arrivi all’intervento armato
è ormai obiettivamente molto alta (Commenti dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l’Ulivo, di Rifondazione
comunista, Misto-Verdi-l’Ulivo e Misto-Comunisti italiani): è scaduto l’ultimo invito.
Noi siamo, lo ripeto, addolorati di questo
esito e conserviamo (Commenti dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistral’Ulivo, di Rifondazione comunista, Misto-
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DISCUSSIONI
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SEDUTA DEL
Verdi-l’Ulivo e Misto-Comunisti italiani) ...
Non si può continuare a fare strame della
verità, signori della sinistra !
TITTI DE SIMONE. Infatti !
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, vi
prego.
SILVIO BERLUSCONI, Presidente del
Consiglio dei ministri. Conserviamo ancora, conserviamo ancora nel cuore la
speranza che una resipiscenza dell’ultima
ora possa cambiare il corso delle cose
(Applausi dei deputati dei gruppi di Forza
Italia e di Alleanza nazionale).
Siamo anche consapevoli del fatto che
istituzioni multilaterali importanti della
nostra storia, a partire dalle Nazioni
Unite, hanno sofferto questa crisi e non
hanno saputo comporre le divergenze ed è
a questo proposito che io avevo definito
nefasta un’azione unilaterale da parte degli Stati Uniti per le conseguenze che
questo avrebbe comportato sulla credibilità delle Nazioni Unite, sull’amicizia
transatlantica, sulla stessa unità dell’Unione Europea. Pensiamo che l’Unione
europea, come ha detto il Presidente della
Commissione di Bruxelles, debba trarre
una lezione impegnativa dai fatti e, prima
di ogni altra cosa, dalla sua incapacità di
presentare una posizione unitaria, chiara e
autorevole, sulla scena internazionale
(Commenti – I deputati Cento e Bulgarelli
abbandonano l’aula). Naturalmente...
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, vi
prego, non è possibile continuare in questo
modo. Onestamente, non è neanche uno
spettacolo decente. Sta parlando il Presidente del Consiglio, ci sono stati applausi
e contestazioni, ma adesso lasciamo finire
l’intervento perché non siamo in condizione di procedere con un minimo di...
SALVATORE BUGLIO. Lui è un imbroglione !
PRESIDENTE.
Onorevole
collega,
ognuno può esprimersi qui dentro come
ritiene doveroso fare, nella posizione in
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cui è. Il Presidente del Consiglio sta esprimendo le sue opinioni. Io ho il diritto di
garantirglielo... ho il dovere di garantirglielo !
Signor Presidente del Consiglio, continui pure, le chiedo scusa.
SILVIO BERLUSCONI, Presidente del
Consiglio dei ministri. Naturalmente,
siamo sin da ora impegnati, speravamo e
speriamo con un atteggiamento di collaborazione dell’opposizione, a fare del nostro meglio per trovare soluzioni adeguate
alla crisi nel corso del semestre italiano di
Presidenza europea che si apre il prossimo
mese di luglio.
In particolare, gli obiettivi per i quali,
pur nella difficoltà del momento, è sin
d’ora possibile cercare – e lo credo davvero – di ritrovare già nel Consiglio europeo di domani a Bruxelles l’unità dell’Europa sono la conferma dell’impegno
comune per la lotta al terrorismo e contro
ogni forma di proliferazione delle armi di
distruzione di massa, il rilancio del vincolo
di amicizia e di cooperazione euroatlantica, l’impegno – anzitutto sotto l’egida
dell’ONU e dell’Unione europea – a costituire in Iraq condizioni umane, politiche,
sociali ed economiche di prosperità per il
popolo iracheno e, infine, la forte e determinata accelerazione di un’iniziativa
che porti alla ripresa di pace del processo
per il Medio Oriente.
Negoziati che abbiamo sempre sollecitato, che in ogni occasione internazionale
non abbiamo mai mancato di sostenere e
che sosterremo anche domani con forza
nel Consiglio europeo. Abbiamo rivolto un
doppio appello ai nostri amici ed alleati
americani, anche da questi banchi, l’ultima volta che abbiamo discusso in quest’aula della politica estera italiana. Avevamo detto loro di non coltivare la solitudine perché il capolavoro della diplomazia occidentale dopo l’11 settembre era
stato la costruzione di una grande alleanza
mondiale contro il terrorismo, un’alleanza
che resta e deve restare pienamente in
vigore anche al di là di ogni contrasto sulla
guerra in Iraq.
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DISCUSSIONI
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SEDUTA DEL
Ma avevamo anche promesso loro che
non li avremmo lasciati soli nella lotta
contro il terrorismo internazionale, le sue
cause e i suoi effetti, e fra questi la
proliferazione delle armi di distruzione di
massa. Il Parlamento è, dunque, oggi impegnato a ragionare e a discutere responsabilmente intorno ad una questione diversa da quella che abbiamo dibattuto
nelle passate sessioni dedicate alla crisi.
Non è più in gioco la via al disarmo
iracheno, ma la chiara collocazione del
nostro paese rispetto al conflitto che oppone alcune grandi democrazie nostre alleate...
MARCO RIZZO. Ma con l’ONU !
SILVIO BERLUSCONI, Presidente del
Consiglio dei ministri. ...ad un sanguinario
tiranno che ha sfidato la legge e l’ordine
internazionale (Applausi di deputati del
gruppo di Forza Italia). È in gioco la scelta
tra chi ha, storicamente ed eroicamente,
testimoniato un impegno per la libertà
degli uomini e chi ha trasformato il suo
paese in una camera di tortura e di
eliminazione degli avversari (Applausi dei
deputati dei gruppi di Forza Italia, di
Alleanza nazionale, dell’Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro
e di deputati del gruppo della Lega nord
Padania).
È in gioco il nostro sostegno aperto ad
un paese che ha subito il terrorismo e
vuole combatterlo estendendo nel mondo
il perimetro delle libertà.
GABRIELLA PISTONE. Scatenando la
guerra nel mondo !
PRESIDENTE. Onorevole Pistone...
SILVIO BERLUSCONI, Presidente del
Consiglio dei ministri. Sono certo di poter
ritenere che il Parlamento italiano e il
paese, condividendo la proposta del Governo,...
NICHI VENDOLA. Il paese no !
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SILVIO BERLUSCONI, Presidente del
Consiglio dei ministri. ... sapranno scegliere...
MAURA COSSUTTA. Il paese no !
PRESIDENTE.
ma...
Onorevole
Cossutta...
SILVIO BERLUSCONI, Presidente del
Consiglio dei ministri. ...in coerenza con
cinquant’anni di storia democratica e repubblicana, cinquant’anni di una politica
estera di pace, europea ed atlantica.
ALFONSO PECORARO SCANIO. Bravo !
SILVIO BERLUSCONI, Presidente del
Consiglio dei ministri. L’Italia non parteciperà direttamente alle operazioni militari, non invierà perciò in Iraq né uomini
né mezzi, come sin dall’inizio ho dichiarato pubblicamente e ho detto con franchezza e con lealtà agli amici americani,
dalla prima conversazione con il Presidente americano George Bush (Applausi
dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di
Alleanza nazionale e dell’Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro).
Non siamo, dunque, una nazione belligerante (Applausi di deputati del gruppo
di Forza Italia) !
L’Italia è, del resto, già seriamente
impegnata con i suoi soldati su altri fronti
della sicurezza e della pace, dai Balcani
all’Afghanistan. L’Italia, fedele alla linea
che ha ispirato i precedenti accordi internazionali, anche oggi concederà l’uso del
nostro spazio aereo e delle basi militari sul
nostro territorio.
KATIA BELLILLO. Questa che cos’è se
non guerra !
SILVIO BERLUSCONI, Presidente del
Consiglio dei ministri. Lo concederà non
per attacchi militari che partano da queste
basi. Lo hanno fatto e lo faranno (Commenti dei deputati del gruppo Misto-Comunisti italiani)...
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DISCUSSIONI
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SEDUTA DEL
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, mi
sembra davvero...
SILVIO BERLUSCONI, Presidente del
Consiglio dei ministri. ...anche le democrazie europee che hanno contrastato, perfino
annunciando un voto contrario o addirittura un veto al Consiglio di Sicurezza delle
Nazioni Unite.
Come ho già ricordato, la Francia, il
Belgio, la Germania, oltre all’Olanda, alla
Danimarca ed ovviamente alla Spagna
(Commenti dei deputati del gruppo dei
Democratici di sinistra-l’Ulivo), hanno
chiaramente concesso, a sostegno dell’azione angloamericana, l’autorizzazione
all’uso delle proprie basi militari e il
diritto di sorvolo. Sarebbe una farsa tragica se l’Italia facesse una scelta contraria
all’interesse nazionale, all’interesse dell’Europa ed ai valori intangibili che ci
uniscono ai nostri storici alleati, al di là
della Manica e al di là dell’oceano (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza
Italia, di Alleanza nazionale, dell’Unione dei
democratici cristiani e dei democratici di
centro e della Lega nord Padania).
MAURA COSSUTTA. Al di là della
Costituzione.
SILVIO BERLUSCONI, Presidente del
Consiglio dei ministri. È inutile sottolineare la gravità di un atto di diniego che
significherebbe un vero e proprio contrasto all’azione degli alleati nei confronti del
tiranno iracheno. In questo senso, il Governo, sin dall’inizio ed in ogni occasione,
ha fatto per intero, con coerenza, con
trasparenza e con limpidezza, la sua parte.
Lo abbiamo fatto, lavorando con dedizione totale, con decisione ed anche con
prudenza. Continueremo a farlo – ne sono
sicuro – con il sostegno e la fiducia del
Parlamento repubblicano. Vi ringrazio
(Vivi, prolungati applausi dei deputati dei
gruppi di Forza Italia, di Alleanza nazionale, dell’Unione dei democratici cristiani e
dei democratici di centro e della Lega nord
Padania – I deputati dei gruppi di Forza
Italia e di Alleanza nazionale si levano in
piedi – I deputati dei gruppi dei Democra-
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tici di sinistra-l’Ulivo e Misto-Comunisti
italiani scandiscono: « Pace, Pace, Pace ! »).
(Discussione)
PRESIDENTE. Grazie, onorevole Presidente.
Dichiaro aperta la discussione sulle
comunicazioni del Governo.
Onorevoli colleghi, sapete come è organizzato il dibattito odierno. Adesso interverranno i deputati iscritti a parlare
nella discussione in ordine crescente e,
successivamente, coloro che svolgeranno le
dichiarazioni di voto. Vorrei dire ai gruppi
ciò che ho messo per iscritto nella giornata di ieri: non tollererò un uso dei tempi
oltre quello stabilito e, pertanto, mi dispiace se interromperò, allo scadere dei
dieci minuti senza tolleranza, gli oratori.
Lo dico fin da adesso, non faccio torto ad
alcuno e spero...
PIERO RUZZANTE. Il Governo ha parlato più del tempo.
PRESIDENTE. Il Governo è intervenuto
esattamente entro il termine di 30 minuti
che gli era stato assegnato. Oltretutto,
scusatemi, onorevoli colleghi, devo dire
che, nell’illustrazione della posizione del
Governo in Parlamento, qualche difficoltà
vi è stata...
MAURA COSSUTTA. Era complicato !
PRESIDENTE. ...perché il Presidente
del Consiglio è stato interrotto almeno una
decina di volte.
È iscritto a parlare l’onorevole Collè
che ha a disposizione cinque minuti di
tempo. Ne ha facoltà.
IVO COLLÈ. Signor Presidente, onorevoli colleghi, a nome mio, dei colleghi delle
minoranze linguistiche e delle comunità
che rappresentiamo, esprimo tutta l’amarezza e la preoccupazione per il precipitare della crisi irachena.
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DISCUSSIONI
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SEDUTA DEL
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, chi
esce dall’aula lo faccia in silenzio, a passi
felpati. Prego onorevole Collè.
IVO COLLÈ. In sole quattro settimane,
è arrivata la decisione di questa guerra
ormai inevitabile, decisione unilaterale degli Stati Uniti, al di fuori ed al di sopra
delle istituzioni internazionali, delle Nazioni Unite, dell’Unione europea e dell’Alleanza Atlantica.
Un mese fa, il vertice straordinario dei
Capi di Stato e di Governo dell’Unione
poneva come condizione per la risoluzione
della crisi irachena la centralità del ruolo
delle Nazioni Unite quale centro dell’ordine internazionale. Definiva la guerra non
inevitabile e l’eventuale ricorso all’uso
della forza solo come ultima risorsa.
Forse, nonostante il tempo trascorso ed
il lavoro di tutte le diplomazie fino a
quella vaticana, questa decisione era già
presa e non vi era alcuna volontà di
rimetterla in discussione.
Non si sono perseguite con la necessaria determinazione le alternative all’uso
della forza quali, ad esempio, l’esilio del
dittatore iracheno. Tutti da sempre concordano sulla necessità di disarmare Saddam Hussein: le divisioni nascono su come
disarmare Saddam Hussein.
Oggi gli Stati Uniti d’America, unilateralmente, hanno adottato questa decisione.
Il problema è capire quali siano per il
nostro paese gli obblighi derivanti dalla
partecipazione alle istituzioni internazionali ed ai trattati bilaterali. Prima di tutto,
credo non si possa non condannare l’atteggiamento ed il comportamento degli
Stati Uniti d’America. È veramente inevitabile oggi la guerra ? È solo un problema
di sicurezza o vi sono altri aspetti legati al
petrolio ed al Medio Oriente ? È positivo
andare avanti ad ogni costo di fronte a
profonde divisioni nel contesto delle Nazione Unite, cosı̀ come in Europa ?
Il rischio immediato di atti di terrorismo o l’utilizzo di armi di distruzione di
massa è veramente cosı̀ elevato ? Purtroppo non c’è più tempo per dare risposte a questi interrogativi. La decisione è
presa !
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Credo che il Parlamento debba ribadire
un « no » forte ed incondizionato alla partecipazione diretta dell’Italia a questa
azione militare. Non esiste alcun presupposto.
È difficile valutare la concessione delle
basi e dello spazio aereo. I trattati internazionali sono stati scritti cinquant’anni
fa. Ciò comporta qualche difficoltà di
interpretazione di fronte alla situazione
attuale. Ovviamente, in quel contesto storico i riferimenti erano all’attacco armato
e si parlava di guerra difensiva. Bisogna
determinare quale sia il confine della
definizione di guerra difensiva di fronte ai
rischi connessi agli atti di terrorismo o
all’utilizzo di armi di distruzione di massa.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
FABIO MUSSI (ore 12,20)
IVO COLLÈ. Oggi queste valutazioni,
già estremamente delicate, sono rese ancor
più difficile dal fatto che si affrontano in
un contesto di forte divisione e spaccature.
Partendo dalla unilateralità della decisione
al di fuori delle istituzioni internazionali,
riteniamo non possa in queste condizioni
essere concesso l’uso delle basi dello spazio aereo.
Non vogliamo che questa posizione
venga letta come un sostegno o come una
difesa del regime di Saddam Hussein, ma
chiediamo che si persegua ancora oggi la
possibilità, sia pure esigua, di rinviare
questo attacco per giungere a conclusioni
condivise in ambito internazionale (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Minoranze linguistiche).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare
l’onorevole Moroni. Ne ha facoltà.
CHIARA MORONI. Signor Presidente,
onorevoli colleghi, in queste ore tutti noi
siamo di fronte ad una scelta difficile,
sofferta ed impegnativa che, senza retorica, sappiamo essere destinata ad avere
profonde ripercussioni nella vita del nostro paese e dell’intera comunità internazionale.
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SEDUTA DEL
Il dibattito di oggi ed il confronto
serrato cui stiamo partecipando non possono non andare oltre le tradizionali divisioni di parte e le logiche di schieramento, che non possono vincolare la responsabilità che abbiamo di fronte a noi
stessi e all’intero paese e forse mai come
oggi è necessaria una responsabilizzazione
collettiva che ci aiuti a superare divisioni
che di fronte alla situazione attuale non
hanno motivo di esistere.
Per questo, come da più parti è stato ed
è richiamato, ritengo che sarebbe auspicabile un approccio bipartisan, come del
resto avvenne in occasione dell’intervento
in Kosovo. Gli sviluppi che abbiamo di
fronte rappresentano una fase delicatissima nel riassetto degli equilibri internazionali e nei rapporti fra gli Stati;
l’intero scenario geopolitico mondiale è in
discussione.
In questo quadro si inserisce lo sviluppo ed il prossimo futuro della nascente
Europa, un soggetto in via di formazione
che è destinato a divenire un importante
realtà politica che dovrà essere in grado di
acquisire la necessaria autorevolezza nei
rapporti internazionali. Per questa ragione, dovrà assumere una sempre crescente capacità decisionale, in grado di
riassumere le differenze tra i suoi vari
componenti. In questo senso, il nostro
paese ha il dovere di assumere un ruolo
determinato e consapevole.
Lo sviluppo di un’Europa capace di
parlare con una sola voce non è in contraddizione, anzi, non può prescindere, da
un saldo rapporto con gli Stati Uniti
d’America. Questa è una realtà che è
fondamentale non dimenticare. Riconoscere questo dato di fatto non implica
nessun tipo di sudditanza né tanto meno
svilisce il ruolo della comunità internazionale. Al contrario, tale consapevolezza non
può che responsabilizzare il nostro paese
a rilanciare nello scacchiere internazionale
un ruolo autorevole degli organismi sovranazionali, a partire dall’ONU, il cui indebolimento è da rintracciare in una prevalente quanto tradizionale visione nazionalistica di soggetti che dovrebbero invece
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cominciare a reimpostare i propri rapporti
su una visione di carattere globale e solidale.
In questo quadro, non possono essere
dimenticati né tanto meno sottovalutati
cinquant’anni di coerente politica atlantica
del nostro paese che, di per se stessa,
quando giustamente interpretata, non ha
mai comportato alcuno svilimento della
nostra sovranità e della nostra dignità
nazionale. Né oggi si può concedere ad
alcuno di identificare nella scelta atlantica
del nostro paese alcuna volontà e propensione bellicistica: sarebbe una strumentalizzazione ideologica, figlia di vecchie logiche superate dalla storia. In questo
senso, credo vadano ricordate le parole di
Clinton, che ha rimarcato come solo
un’unica e credibile minaccia di guerra
portata a Saddam, contemporaneamente,
da tutta la comunità internazionale
avrebbe potuto indurre il dittatore iracheno a rivedere i suoi piani.
In questa ottica, sarebbe altrettanto
opportuno riflettere sulle parole del Primo
ministro britannico, il laburista Tony
Blair, che ha ricordato a tutti noi che oggi
è in discussione molto più del disarmo di
Saddam Hussein: oggi si sta determinando
il modo in cui il mondo si confronterà
nei prossimi anni con la minaccia terroristica, la grande minaccia del XXI secolo.
È in gioco lo sviluppo e il futuro delle
Nazioni Unite, è in discussione il rapporto
tra Europa e Stati Uniti, sono in discussione le future relazioni in seno all’Unione
europea.
È dunque l’intera architettura dei futuri rapporti internazionali del mondo che
verrà ad essere messa in discussione, non
possiamo e non dobbiamo dimenticarlo. In
tutti noi continua a prevalere l’idea di
continuare a coltivare un’immagine di rapporti internazionali improntata sul negoziato, sui valori del diritto inviolabile, sulla
giustizia, l’equità ed il rispetto. Questo
sentimento accomuna tutta la comunità
internazionale.
Oggi però ci troviamo, nostro malgrado,
in una situazione in cui, nonostante i
reiterati appelli, le pressioni per un disarmo pacifico non hanno avuto esito.
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SEDUTA DEL
Siamo dunque di fronte alla necessità di
una scelta, per la quale non è comunque
sostenibile una posizione di equidistanza
tra gli Stati Uniti e Saddam Hussein: non
può esserci in alcun modo equidistanza
tra democrazia e dittatura.
L’auspicio è che il nostro paese possa
spingere l’Europa nel perseguimento di
un’azione comune, capace di costruire a
livello multipolare le condizioni di un
adeguato funzionamento delle entità sovranazionali, sempre e comunque nel rispetto delle diversità e delle molteplicità,
ma capace di un’azione sempre più efficace e coordinata. Il nostro paese può e
deve impegnarsi con coerenza per recuperare e superare il grave strappo che si
sta consumando nell’architettura multilaterale costruita in questi anni.
Pesa dunque oggi, su questo Parlamento, una grave responsabilità. La scelta
è indubbiamente sofferta, difficile e certamente siamo tutti consapevoli che è
destinata ad avere conseguenze sulla nostra vita e su quella delle prossime generazioni. Superando divisioni di parte e
sterili contrapposizioni, questo Parlamento
è chiamato ad assumersi una grave responsabilità e potrà farlo se saprà saldare,
in un momento cosı̀ difficile, il senso di
appartenenza alla propria comunità e se
sapremo valorizzare il nostro attaccamento alla libertà, ricordando che non
esiste e non può esistere pace senza libertà. Per tutte queste ragioni, non mancherà oggi, in questo momento delicato, il
sostegno dei socialisti alle posizioni
espresse dal Governo (Applausi dei deputati
del gruppo Misto-Liberal-democratici, Repubblicani, Nuovo PSI e di deputati del
gruppo della Lega nord Padania).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare
l’onorevole Mazzuca Poggiolini. Ne ha facoltà.
CARLA MAZZUCA POGGIOLINI. Signor Presidente, ho ascoltato con attenzione le parole pronunciate dal Presidente
del Consiglio e condivido con lui la speranza, sottile, molto tenue, che ancora
oggi, a poche ore, si possa addivenire ad
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una soluzione pacifica della profondissima
crisi che vede impegnato, in questo momento, tutto il mondo.
Ho pensato, insieme a tanti altri, che il
pressing americano rispondesse al seguente detto latino di alcune migliaia di
anni fa: si vis pacem para bellum, ossia se
tu vuoi la pace digrigna i denti, fai vedere
quanto sei pronto a fare la guerra.
Credo che tutto ciò che è accaduto e
che sta accadendo abbia ancora, nonostante tutto, questo obiettivo. Tuttavia, il
redde rationem – la resa dei conti con
Saddam Hussein –, di fatto, è già cominciato. È cominciato forse tardi, troppo
tardi, rispetto alla scadenza delle 16 risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell’ONU
e anche rispetto all’immenso dolore che ha
visto, non solo gli Stati Uniti, ma anche
tutto il mondo occidentale – direi il
mondo intero – soffrire per l’attentato
cruento, proditorio, vigliacco nei confronti
delle due torri e delle tremila persone che
sono morte in quella circostanza.
Dobbiamo, quindi, constatare con realismo che questo pressing non è servito,
fino ad ora, a smuovere il dittatore iracheno dal suo nefasto potere sanguinario,
cosı̀ come non sono servite fino ad oggi le
pressioni della Lega araba e neanche
quelle di Pannella e dei trecento parlamentari – tra cui io stessa, tra i primi –
per indurlo all’esilio. Non sono servite le
perplessità degli alleati, di tanti alleati, e
dell’ONU a indurre gli Stati Uniti d’America a procrastinare ulteriormente l’inizio
dell’attacco militare; un attacco militare
unilaterale – se cosı̀ sarà in queste prossime ore – che ha rinunciato a quest’ulteriore risoluzione che forse, Presidente
Berlusconi, sarebbe stata inutile e contraddittoria e che avrebbe impoverito le
risoluzioni precedenti che già contengono
tutta, e tutta intera, la condanna, da parte
della comunità internazionale, rispetto ai
delitti compiuti dal dittatore sanguinario
di Bagdad. Però, forse sarebbe stata utile
a definire un tempo nel quale la diplomazia avrebbe potuto ancora esplicare il
suo mandato.
Questa decisione, dunque, vede contrari
larghissimi strati dell’opinione pubblica
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negli Stati Uniti e nell’Inghilterra (la cui
maggioranza, da poco, ha votato il sostegno al Primo ministro Blair), tanti paesi
d’Europa e del mondo, la nostra opposizione, il Papa, naturalmente, e noi dell’UDEUR.
Oggi, dovremmo votare l’impegno dell’Italia per la messa a disposizione del
proprio spazio aereo e delle proprie basi
a favore degli alleati impegnati in quest’azione; un’azione che se non si può
definire strettamente di polizia internazionale nasce, in ogni caso, in stretto rapporto con le violenze, con gli assassini, con
il sangue ed i crimini compiuti dal rais di
Bagdad. Ma è anche un’azione di guerra,
giacché vuole abbattere un regime – pessimo, ma in ogni caso un regime – tramite
un’azione militare. Quindi, l’impegno di
fornire sorvolo e basi militari, che, di
fatto, il Governo italiano ha già indebitamente assicurato (questo è stato un vulnus
per questo Parlamento), crea forti perplessità nell’opposizione tutta, ma sono sicura
anche in taluni settori della maggioranza,
alcuni settori che, capeggiati dal senatore
a vita Francesco Cossiga, eccepiscono la
contrarietà costituzionale alla guerra,
estesa finanche alle disponibilità delle nostre basi, cosı̀ come dice o comunque
come cosı̀ come viene interpretato l’articolo 11 della nostra Costituzione.
D’altra parte – ed io non posso non
prenderne atto – esistono vincoli forti,
radici profonde con gli Stati Uniti e vincoli
di alleanza che, da un certo punto di vista,
vivono e possono vivere anche di vita
propria. Essi permangono probabilmente
anche a prescindere dalla copertura che
l’ONU può assicurare o meno ad azioni di
questo genere (è una mia posizione personale; me lo chiedo ed è un mio dubbio
profondo). Sappiamo com’è costituita
l’ONU, sappiamo della maggioranza di
paesi non democratici che esistono nel
massimo consesso delle Nazioni Unite e
stiamo parlando da un tempo immemorabile di una riforma del Consiglio di
Sicurezza.
Dobbiamo, quindi, chiederci quale valore abbia la democrazia e se tale valore
della democrazia valga sempre e comun-
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que o se, per esempio, i regimi democratici
all’interno dell’ONU abbiano un valore
minore, inferiore rispetto ai regime dittatoriali e, comunque, non democratici.
Chiedo se si imponga – e, personalmente, sono convinta di sı̀ – un dovere di
lealtà nei confronti dello storico alleato
americano che, tuttavia, ha sbagliato nel
procedere unilateralmente in quest’azione
e ad accontentarsi dell’appoggio solo di
una parte di quell’Unione europea che con
grande fatica stiamo cercando di costruire
e che ha subito un vulnus dalla spaccatura
in atto.
Credo che tutti, tutti qui dentro, siamo
per la pace. Sono anche convinta, però,
che sia opportuna la specificazione, che ha
fatto il Presidente del Consiglio e che è
nella nostra risoluzione, secondo la quale
l’uso delle basi militari sul nostro territorio ed il sorvolo del nostro spazio aereo da
parte degli aerei americani possono essere
consentiti, purché non si tratti di attacchi
che partano, appunto, dalle nostre basi
(Applausi dei deputati del gruppo MistoUDEUR-Popolari per l’Europa).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare
l’onorevole Cento. Ne ha facoltà.
PIER PAOLO CENTO. Signor Presidente, credo che siamo di fronte ad un
fatto grave e per ciò che accadrà tra poche
ore in Iraq e per il modo in cui il
Presidente del Consiglio si è rapportato al
Parlamento italiano ed alla Costituzione in
questa drammatica vicenda.
Voglio dirlo con chiarezza: ci troviamo
di fronte ad una guerra illegale, illegittima
dal punto di vista costituzionale in quanto
in palese violazione dell’articolo 11 della
Costituzione. Nonostante i tentativi del
Presidente del Consiglio Berlusconi di offuscare questo dato di fatto oggettivo,
l’Italia si trova coinvolta in una guerra che
non ha precedenti, conseguenza della dottrina dell’Amministrazione Bush sulla
guerra preventiva, fuori da qualsiasi autorizzazione dell’ONU, fuori da qualsiasi
decisione assunta in sede di Unione europea, fuori anche dagli ambiti dell’alleanza
NATO qui impropriamente richiamati.
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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
PUBLIO FIORI (ore 12,36)
PIER PAOLO CENTO. Non vi è distinzione – non è possibile farla né dal punto
di vista del diritto internazionale né da
quello della prassi – tra la partecipazione
ed il sostegno diretti (con uomini e mezzi
nel campo operativo di battaglia) e la
partecipazione ed il sostegno indiretti (attraverso strutture o infrastrutture militari
e civili situati nel nostro territorio).
I rifornimenti effettuati utilizzando le
basi militari terrestri in territorio italiano
ed il sorvolo del nostro spazio aereo da
parte degli aerei che andranno in Iraq
sono propedeutici, a tutti gli effetti, dal
punto di vista della strategia militare e da
quello giuridico, all’aggressione armata nei
confronti di quel paese.
L’illegittimità di questa guerra sta nel
fatto che, nella nostra Costituzione, tale
tipo di guerra non è previsto: l’Italia
ripudia la guerra; l’Italia può intraprendere, come hanno stabilito i costituenti,
anche azioni armate, purché a difesa del
proprio territorio o di nazioni, di cui è
alleata, che subiscano un’aggressione militare esterna.
Tutto questo non è avvenuto, né può
valere come richiamo giuridico e sostanziale l’attentato terroristico gravissimo
dell’11 settembre alle due torri negli Stati
Uniti.
Noi Verdi siamo convinti che l’opinione
pubblica internazionale, che la straordinaria mobilitazione che in Italia e non
solo è diventata l’altro protagonista, qualcuno ha detto l’altra potenza globale mondiale, contro questa guerra, può e deve
continuare a giocare anche in queste ore,
anche nei prossimi giorni, un ruolo decisivo e fondamentale.
Insieme alla crisi delle Nazioni Unite,
non sfugge a nessuno che uno degli obiettivi degli Stati Uniti e di questa guerra,
oltre al petrolio, oltre al controllo geopolitico di quella parte del pianeta, è quello
di mettere in crisi l’Europa, di mettere in
crisi i processi di crescita politica, economica e sociale dell’Europa – e, chissà,
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magari in prospettiva, anche della Cina –
per ridefinire un nuovo ordine mondiale e
un nuovo equilibrio mondiale. Ma sono
convinto che quello straordinario movimento, di cui parlavo prima, può e deve
svolgere ancora un ruolo importante. Innanzitutto, oggi, pur nella drammaticità
dell’evento, si verifica un fatto positivo che
politicamente ha una rilevanza: l’Ulivo e
Rifondazione comunista si presentano a
questo dibattito parlamentare con una
risoluzione unitaria. Questo è importante
non solo per la dialettica parlamentare,
non solo per le prospettive che questo
documento può aprire, ma anche perché,
all’interno del Parlamento, si offre una
sponda politica importante ai movimenti
che stanno attraversando il nostro paese,
in collegamento con i movimenti europei e
con i movimenti globali.
Oggi, c’è chi espone la bandiera della
pace fuori dalla propria finestra, c’è chi
sta preparando lo sciopero generale; le
organizzazioni sindacali – altro dato importante –, CGIL, CISL e UIL, ritrovando
un terreno unitario, insieme alle organizzazioni sindacali di base, le RDB e i Cobas,
hanno detto che fermeranno il lavoro
quando – malauguratamente, purtroppo
però ormai quasi certamente – verrà
sganciata la prima bomba nei confronti
dell’Iraq.
Vi è il blocco del paese, vi sono le
azioni di disobbedienza civile, sociale, pacifica, ma radicale nel dire che ci si può
opporre a questa guerra, nonostante il
Governo Berlusconi e la sua palese violazione della Costituzione. Siamo di fronte
ad uno scenario che ci deve vedere protagonisti e deve vedere il Parlamento garante della capacità di azione democratica
del nostro paese, di tutti coloro che, nelle
prossime ore, con ancora maggior forza,
interverranno per manifestare la propria
posizione e la propria contrarietà a questa
guerra.
Vi è un punto sul quale il Presidente
del Consiglio Berlusconi ha sorvolato nella
sua esposizione, e lo ha fatto perché sa che
è il vero buco nero della democrazia in
questo paese. Si tratta del rapporto che
intercorre, proprio nella concessione delle
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basi militari, proprio nella concessione
dello spazio aereo, proprio nella concessione delle infrastrutture, tra Italia e Stati
Uniti. Come è possibile che, caduto il
muro di Berlino, disciolto il patto di
Varsavia, ancora oggi l’accordo del 1954
che regolamenta l’utilizzo delle basi americane (Camp Darby, ma non solo) – che
sono cosa diversa dalle basi NATO nel
nostro territorio –, continui ad essere un
documento secretato dal Governo, non
portato a conoscenza del Parlamento e
quindi dell’opinione pubblica del paese ?
PRESIDENTE. Onorevole Cento, la invito a concludere.
PIER PAOLO CENTO. Io credo – e
concludo, Presidente – che proprio su
questo punto noi non possiamo né tacere
né sottovalutare la gravità della situazione
in cui ci troviamo. Noi Verdi faremo di
questo aspetto specifico un elemento centrale della nostra battaglia contro la
guerra, che consideriamo incostituzionale
e illegittima (Applausi dei deputati dei
gruppi Misto-Verdi-l’Ulivo e di Rifondazione comunista).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare
l’onorevole Intini. Ne ha facoltà.
UGO INTINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, eliminare le armi irachene
di distruzione di massa non è il solo
obiettivo degli Stati Uniti e forse neppure
l’obiettivo principale; a questo non crede
ormai più nessuno. Il presidente dell’Internazionale socialista, Guterres, ha spiegato bene ciò che è in gioco in questo
momento: le scelte tra due diverse visioni
del mondo, un mondo unilaterale guidato
dagli Stati Uniti, oppure, un mondo multipolare.
Bush, oggi, attacca Saddam ma, nel
contempo, colpisce tre istituzioni che il
Capo dello Stato italiano continuamente ci
esorta a tutelare: le Nazioni Unite,
l’Unione europea, l’Alleanza Atlantica.
Non è una scelta sofferta la sua e non è
del tutto casuale perché sta maturando,
negli Stati Uniti, un nuovo pensiero stra-
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tegico con il quale dobbiamo fare i conti.
Questo pensiero strategico vede l’ONU
come un ostacolo, l’unico ostacolo all’unilateralismo americano, vede l’Unione europea non più come un alleato militare e
politico ma come un concorrente commerciale, vede l’euro come il nemico del
dollaro, vede l’Alleanza Atlantica come
inutile perché in Europa non ci sono più
pericoli, meglio, allora, un’alleanza elastica
di paesi nemici del fondamentalismo islamico che assomiglia molto al Commonwealth imperiale britannico formato
oltre che dalla Gran Bretagna, dalle Repubbliche ex sovietiche, dall’India, dalle
Filippine e in più dall’Australia e dalla
Nuova Zelanda; meglio e di più buon
comando, per le guerre interminabili che
si preparano, i gurka indiani piuttosto che
gli alpini italiani.
Non siamo contrari alla guerra unilaterale perché antiamericani, potremmo esserlo con le parole del New York Times il
quale scrive « ora l’Amministrazione Bush
presiede una potenza militare americana
che non ha precedenti, quello che rischia
di sperperare non è la potenza dell’America ma una parte essenziale della sua
gloria. Questa guerra corona un periodo di
terribili fallimenti diplomatici, il peggiore
per Washington almeno dell’ultima generazione » e, in effetti, l’isolamento diplomatico degli Stati Uniti è impressionante
basti pensare che nell’intero continente
americano non un solo stato importante è
sulla linea di Bush, neppure i paesi del
NAFTA, neppure il Messico e neppure il
Canada. In questo contesto, signor Presidente, per la prima volta dal dopoguerra,
l’Italia non può più stare contemporaneamente con l’Amministrazione americana e
il cuore dell’Europa: di qua o di là.
Il Governo non faccia l’errore catastrofico di dividere l’Italia dagli altri padri
fondatori dell’Europa, cioè dalla Francia e
dalla Germania; non si confonda sul nostro interesse nazionale guardando la gran
Bretagna o la Spagna. Churchill diceva che
l’Atlantico è più stretto della Manica e
questo, in parte, è ancora vero. Fra pochi
anni metà dei cittadini americani parleranno inglese e l’altra metà spagnolo.
Atti Parlamentari
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L’interesse italiano è con l’Europa, nettamente, perché persino l’ambiguità potrebbe essere pagata cara.
L’Italia è e deve essere con l’Europa ma
non per approfondire la frattura che si è
prodotta con gli Stati Uniti, bensı̀ per
sanarla con il tempo perché Bush passa
ma l’America resta. Per questo, non accetteremo una deriva estremista, non daremo per morto il Patto Atlantico, non
confonderemo Bush con Saddam, non seguiremo un pacifismo che sconfini nell’antiamericanismo. L’appoggio ad una guerra
sbagliata è escluso ma è anche esclusa la
messa in discussione del Patto Atlantico
perché il mondo è ancora troppo piccolo,
caotico e pericoloso per poter fare a meno
della bussola costituita dall’asse storico tra
le democrazie occidentali.
PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE
FABIO MUSSI (ore 12,47)
UGO INTINI. Purtroppo, colpiti dal
terrorismo, come Israele, gli Stati Uniti
rischiano di « israelizzarsi », anzitutto psicologicamente. Ciò significa preferenza per
la risposta militare rispetto a quella diplomatica, scivolamento dell’opinione pubblica a destra, insofferenza ai consigli dei
tradizionali alleati. Abbiamo condannato
gli errori di Israele ma non siamo mai
scivolati nell’antiebraismo e non siamo
mai stati nemici di Israele; non condividiamo ma comprendiamo.
So che con queste posizioni è d’accordo
molta parte della maggioranza di Governo.
Craxi ha già avuto il coraggio di dirlo
apertamente, gliene siamo grati.
Chiediamo a questa parte della maggioranza un dialogo profondo, uno scambio tra prudenza e coraggio: noi metteremo più prudenza nell’evitare di seguire
le spinte verso un antiamericanismo distruttivo, loro mettano più coraggio nel
seguire il Papa e le radici cristiane, questa
volta lo dico anch’io, dell’Europa. Questo
Papa non è un neutralista o un pacifista
ambiguo: è già passato alla storia perché
ha sconfitto il comunismo ! Si è alzato
contro l’imperialismo sovietico ! Ma la sto-
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ria non è finita, la sua storia non è finita:
oggi si è alzato contro la concezione unilaterale del mondo alimentata da Bush,
una concezione che, se l’Europa ed il
mondo resteranno fermi, sarà seppellita
non dagli slogan antiamericani, ma dall’elettorato americano.
Questa tragica guerra cambia tutto il
quadro politico, del mondo e di ciascun
paese, anche del nostro. Non lo cambierà
in due giorni, ma nel tempo, perché purtroppo l’attacco all’Iraq non è la fine di
una lunga incertezza, bensı̀ l’inizio di una
lunga e sciagurata avventura.
Da oggi l’opposizione deve lavorare
perché la grande maggioranza esistente
nel paese si riproduca in questo Parlamento; è una grande maggioranza che
vuole una politica diversa da quella di
Berlusconi, vuole un’Europa che smetta di
essere un gigante economico ed un nano
politico, come si diceva un tempo della
Germania, un’Europa non nemica degli
Stati Uniti, ma autonoma dagli Stati Uniti
(Applausi dei deputati dei gruppi MistoSocialisti democratici italiani, dei Democratici di sinistra-l’Ulivo, di Rifondazione
comunista e Misto-Comunisti italiani).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare
l’onorevole Vertone. Ne ha facoltà.
SAVERIO VERTONE. Signor Presidente, deve essere successo qualche cosa
di madornale se il Camerun, l’Angola, la
Guinea, il Messico, paesi poveri, che hanno
bisogno della carità internazionale, hanno
detto « no » al paese più potente – militarmente, economicamente, tecnologicamente – del mondo. Sı̀, deve essere accaduto qualcosa di inspiegabile, che è avvenuto sotto i nostri occhi proprio in questi
giorni.
Ma deve essere successo qualcosa di
incredibile anche in Italia, se un Governo,
che ha tentennato, reso dichiarazioni contraddittorie, effettuato giravolte continue
– prima dichiarando la propria assoluta
lealtà, o fedeltà, a Bush e poi dicendo che
un intervento unilaterale sarebbe stato
una catastrofe, anzi, una cosa nefasta –,
ha scelto proprio Bush e Powell come i
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propri portavoce, perché il discorso di
questa mattina verifica, a posteriori, un
pensiero che hanno definito, con precisione assoluta, netta, persino brutale,
prima la lettera di Bush e poi la dichiarazione di Powell che ha inserito l’Italia
tra i 30 paesi alleati dell’America.
È singolare quello che sta succedendo
nel mondo, ma è singolare anche il discorso di un Presidente del Consiglio che
scivola sui problemi come un pattinatore
inesperto, rivelando una cultura da statista
internazionale – sia detto senza offesa per
nessuno – allevato in un piano-bar. Non si
possono trascurare i grandi problemi che
stanno alla base di questo frangente terrificante che il mondo sta affrontando !
Non si può non cercare di capire cosa sia
successo negli ultimi dieci anni dopo la
sparizione dell’Unione sovietica ! Non si
può evitare di ammettere, di considerare,
di prendere atto che termini come NATO,
Alleanza atlantica, solidarietà euroamericana hanno perso gran parte del loro
significato ! Ritengo che si debba partire
dalla caduta del muro di Berlino per
capire l’instabilità che ha colpito il mondo
e che, adesso, sta producendo la prima
delle guerre che si succederanno, temo,
per ristabilire equilibri che sono stati
perduti. La tensione tra i due grandi poli,
che ha dominato il mondo tra la fine della
seconda guerra mondiale ed il 1989, ha
tenuto chiuse, per molto tempo, le ferite,
numerose, che erano presenti nel mondo,
evitando che esplodessero « infezioni » tali
da provocare conflitti incontenibili.
Finita la pressione bipolare delle due
potenze, tutte le ferite si stanno riaprendo
e l’America, che coglie prima di noi (perché ha le mani più in pasta di noi) i
problemi che nascono nel mondo, già nel
1992, in un documento firmato da Cheney,
Rumsfeld, Rove e Perle (tutte persone che
adesso stanno dirigendo la politica americana, dandole quella particolare impronta che vediamo svilupparsi sotto ai
nostri occhi), diceva: non possiamo accettare che l’equilibrio del mondo sia affidato
ad un multipolarismo instabile, oscuro,
incontrollabile e non favorevole allo sviluppo del liberalismo e del liberismo ame-
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ricano. Ciò accadeva nel 1992. In altri
termini, vi è la scelta dell’altra faccia
dell’isolazionismo, ossia il comando imperiale unico nel mondo.
Non crediamo che la cosa sia limitata
al Governo repubblicano, perché nel 1998,
Brzezinski, in un libro che credo molti di
voi avranno letto, La grande scacchiera,
sosteneva la stessa tesi da un punto di
vista democratico, con sfumature che possono essere anche studiate (ma non è il
caso di farlo in questa sede). Certo, era
una tesi più moderata con una visione
delle mediazioni di questo potere unilaterale che affidava alla Turchia e a Israele
la funzione di guardiani degli equilibri, ma
praticamente confermava la pretesa degli
Stati Uniti di controllare da soli il mondo.
Ebbene, se i politici italiani (e devo dire
tutti i politici italiani) fossero stati più
attenti a ciò che succede e ad interpretare
per tempo i grandi avvenimenti che hanno
punteggiato questo decennio cosı̀ drammatico, si sarebbero accorti che a Seattle,
prima dell’11 settembre e prima dell’attentato alle due torri, era accaduto un
fatto importantissimo. In quella baraonda
di posizioni contraddittorie, che andavano
dal protezionismo di Bovet a generiche
manifestazioni di terzomondismo, vi era
un filo che univa tutte le posizioni ed era
esattamente il rifiuto di quella sbornia
liberista, che coincide con queste pretese
politiche, che condizionava gli atteggiamenti del Fondo monetario, della Banca
mondiale e dell’Organizzazione mondiale
del commercio. Bastava tirare questo filo
per capire cosa si poteva preparare, per
controllare i movimenti che si stavano
diffondendo rapidamente nel mondo e
che, impropriamente, venivano definiti no
global. Tali movimenti adesso si sono sviluppati da soli, si muovono su una linea
parallela alla politica dei Parlamenti e dei
partiti e costituiscono una forza che deve
essere ripresa e ricondotta nell’alveo della
politica.
Ebbene, credo ciò non sia stato compreso in tempo e che adesso sia ancora
difficile capirlo fino in fondo. Tuttavia,
ritengo sia decisiva la capacità di ristabilire un contatto tra questo rifiuto unanime
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del mondo dell’imperialismo americano,
ossia dell’impero unilaterale isolazionista
americano e i vari partiti e paesi che
rappresentano la difesa rispetto al rischio
di uno squilibrio permanente nei confronti
del quale siamo obbligati a stabilire misure di preventiva difesa.
Allora, smettiamo di parlare di solidarietà atlantica. Il Presidente del Consiglio,
mi dispiace, ha usato termini che non
hanno un corso se non forzoso in questo
momento. Cerchiamo di capire cosa sta
succedendo in Francia ed in Germania, di
analizzare il senso di questi movimenti.
PRESIDENTE. Onorevole Vertone...
SAVERIO VERTONE. Concludo subito,
signor Presidente.
In Francia non è la sinistra, ma il
gollismo che chiede a gran voce il rispetto
dell’ONU. In Germania vi è il nazional
neutralismo, un movimento che ha riconquistato alla Germania il diritto di pensare
alla propria identità nazionale dopo la
squalifica della guerra. Vi sono sfumature
molto interessanti su cui tutti hanno scivolato fino adesso.
Credo che dovremmo ricominciare a
fare analisi, a capire cosa succede nel
mondo ed a rifiutare quei sofismi da
azzeccagarbugli in cui, purtroppo, oggi
abbiamo sentito che si è catturato da solo
il Presidente del Consiglio (Applausi dei
deputati dei gruppi Misto-Comunisti italiani, dei Democratici di sinistra-l’Ulivo,
della Margherita, DL-l’Ulivo e di Rifondazione comunista – Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare
l’onorevole Mantovani. Ne ha facoltà.
RAMON MANTOVANI. Signor Presidente, signori del Governo, colleghe e
colleghi, oggi, in un momento cosı̀ importante e grave, avremmo voluto sentire un
discorso impegnato in un’analisi delle contraddizioni mondiali ed avremmo voluto
ascoltare proposte, anche magari per criticarle, sul ruolo e sulla missione della
politica estera del nostro paese. Al contrario, abbiamo ascoltato il Presidente del
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Consiglio fare spericolate interpretazioni
delle risoluzioni delle Nazioni Unite, esattamente come ha detto il collega Vertone:
da azzeccagarbugli. Si è esibito in ripetuti
tentativi di suscitare uno scontro polemico
in quest’aula attaccando tutte le opposizioni, invece che rivolgersi al paese, alla
nazione ed al Parlamento che la rappresenta.
Il discorso dell’onorevole Berlusconi è
la dimostrazione della debolezza della posizione del Governo italiano che si fa forte
solo ed esclusivamente della semplice fedeltà – non della lealtà –, con qualche
tono anche servile, nei confronti di coloro
che si candidano ad essere i padroni del
mondo, i costruttori di un nuovo impero
ed impongono il loro volere con la forza.
Il mondo è contro questa guerra. Lo
sono la stragrandissima maggioranza dei
paesi membri del Consiglio di Sicurezza e
di tutta l’Assemblea generale delle Nazioni
Unite. Lo sono i popoli, lo sono le opinioni
pubbliche, lo sono i movimenti direttamente impegnati nella protesta contro
questa guerra. Tutti costoro sanno e capiscono che questa guerra non si fa per i
pretesti addotti per giustificarla. Tutti costoro vedono con chiarezza come questa
guerra globale e permanente, secondo le
stesse definizioni dei loro inventori, serva
a tentare di costruire un nuovo ordine
mondiale unipolare. Per poter fare ciò
bisogna colpire le Nazioni Unite ed esse
sono state ferite gravemente. Aggiungo che
lo sarebbero state allo stesso modo se
fossero state costrette dal ricatto e dall’osceno mercimonio delle settimane
scorse e se il Consiglio di Sicurezza avesse
accettato il Diktat degli Stati Uniti d’America e della Gran Bretagna.
Tutti capiscono che questa guerra si fa
per stabilire – oggi in Medio Oriente,
domani vedremo dove – un controllo
militare diretto in zone geostrategicamente
importanti per le risorse minerarie, per
l’acqua e per la biodiversità. Tutti capiscono che questa guerra rappresenta il
tentativo di rispondere ad una crisi (che è
sotto gli occhi di tutti) della globalizzazione capitalistica, della quale il Governo
oggi in Italia è stato per lunghi anni
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apologeta (purtroppo non da solo) e che
oggi comunque è invisa alla stragrande
maggioranza dei popoli nel mondo, perché
hanno cominciato a capirne, ad apprezzarne e a vederne tutte le gravissime
conseguenze, che attengono alla morte per
fame, al lavoro minorile di centinaia di
milioni di bambine e di bambini e che
attengono allo sfruttamento e alla privatizzazione di quanto di più importante vi
è su questo pianeta: la vita degli animali,
delle piante e degli essere umani.
Voi, di fronte a questa situazione, opponete un atto di pura servitù, sperando di
poter avere una qualche partecipazione
politica al banchetto che dovrebbe inaugurarsi all’indomani della guerra e sperando di poter essere accolti magari alla
prossima riunione del G8 a Evia (chissà
cosa succederà – vedremo – alla prossima
riunione del G8 a Evia ?) come fedeli
alleati di coloro i quali si candidano a
dirigere anche questi organismi che noi
stessi consideriamo illegali nel mondo,
perché al Consiglio di Sicurezza qualcosa
si dovrà pur sostituire, per costruire le
mediazioni e il Governo unipolare del
mondo. Ed è certo che gli Stati Uniti
punteranno a ricostruire una qualche
forma di governo del mondo, che però
ratifichi e codifichi la loro supremazia.
Invece che questo atto servile, voi avreste potuto fare un’altra cosa, ma capiamo
che non è né nella vostra cultura, né nelle
vostre intenzioni, né – dati i vostri trascorsi – nelle vostre disponibilità. Avreste
potuto fare una politica di pace. Avreste
potuto dare al nostro paese e anche ai suoi
legittimi interessi nazionali una politica
estera di pace. Avreste potuto rimettere in
discussione la – ormai veramente – discutibile presenza delle basi militari straniere nel nostro paese. Ieri nelle Commissioni riunite affari costituzionali, affari
esteri e difesa, il Governo ha detto che
tutti gli accordi tra l’Italia e gli Stati Uniti,
in ambito Nato, sono basati sulla più
totale e piena reciprocità. Quante basi
italiane, francesi o tedesche ci sono negli
Stati Uniti ? Quanti soldati italiani hanno
assassinato cittadini statunitensi per poi
essere tradotti davanti a un tribunale della
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Repubblica italiana che li ha condannati a
una « tiratina di orecchi », come è stato
fatto per quei militari americani che
hanno assassinato persone assolutamente
innocenti ed inermi al Cermis (Applausi dei
deputati dei gruppi di Rifondazione comunista e dei Democratici di sinistra-l’Ulivo) ?
Dove sta questa reciprocità ? Non c’è alcuna reciprocità !
Peraltro, finito il Patto di Varsavia e
caduto il muro di Berlino, non ci sarebbe
alcuna giustificazione per la presenza di
queste basi militari nel nostro paese ed
invece queste basi militari sono diventate
più grandi e più forti e per poterlo fare –
per questo, tra gli altri motivi – si sono
fatti due interventi militari della Nato, uno
dei quali unilaterale in offesa del Consiglio
di Sicurezza delle Nazioni Unite e oggi si
prepara questa partecipazione indiretta
ma belligerante nei confronti dell’Iraq.
Il movimento contro la globalizzazione
e il movimento pacifista continueranno la
loro lotta e, un giorno, avremo un’Italia
smilitarizzata, un’Europa senza basi militari straniere, un’Europa effettivamente
autonoma e indipendente, un’Europa che
potrà svolgere una funzione di pace nel
mondo (Applausi dei deputati dei gruppi di
Rifondazione comunista, dei Democratici di
sinistra-l’Ulivo e Misto-Comunisti italiani).
PRESIDENTE. È iscritto a
l’onorevole Rizzi. Ne ha facoltà.
parlare
CESARE RIZZI. Signor Presidente, rappresentanti del Governo, colleghi, per la
seconda volta nell’arco di un mese il
Governo si confronta con questo Parlamento in merito alla crisi irachena. Il
Governo di centrodestra si confronta democraticamente con il Parlamento, a differenza di quanto fece l’allora Governo di
centrosinistra in occasione della guerra nel
Kosovo.
È stato un mese molto intenso, oserei
dire frenetico, sia sul versante dell’attività
degli ispettori sia su quello della diplomazia. Le consultazioni bilaterali e multilaterali non hanno mai messo in discussione
la triste constatazione che il regime iracheno costituisce una minaccia potenzial-
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mente devastante e un interlocutore difficilmente attendibile.
Questa comune visione era già stata
incorporata nella risoluzione n. 1441, approvata all’unanimità anche con il voto
della Siria, uno dei paesi più vicini all’Iraq
baatista. Nonostante ciò, tutti gli attori
coinvolti hanno dimostrato la speranza di
poter giungere ad un disarmo pacifico ed
assistito, ad un disarmo vero e definitivo.
La risoluzione n. 1441 non lasciava spazio
ad interpretazioni restrittive, chiedendo
collaborazione totale, incondizionata e sincera da parte irachena pena serie conseguenze che, per chi comprende il linguaggio diplomatico, vuol dire anche uso della
forza.
Quello di oggi non è il migliore degli
scenari possibili. Nessuno vuole la guerra,
avremmo tutti preferito soluzioni meno
estreme e non è certo colpa nostra se ciò
non è stato possibile. E se, negli ultimi
giorni, sotto la minaccia concreta del conflitto, il rais iracheno si è dimostrato più
collaborativo, ciò dimostra ancora di più
l’efficacia della pressione internazionale
rispetto a quella delle ispezioni fini a se
stesse e prova inoltre che Saddam è ancora in grado di nascondere ciò che vuole
nascondere e di centellinare le rivelazioni
sul dislocamento delle armi proibite a
proprio uso e consumo, al fine di ottenere
ancora tempo e cercare di spaccare il
fronte internazionale.
Questo – lo ripeto – non è il migliore
degli scenari possibili e, per tale motivo, la
scelta deve essere coraggiosa e coerente,
anche a rischio di apparire impopolare. Il
nostro obiettivo è quello di fornire un
messaggio chiaro: la condanna senza tentennamenti di chi si è preso gioco delle
risoluzioni dell’ONU, di chi non ha avuto
pietà del proprio popolo e delle etnie
presenti sul territorio che amministra, di
chi continua a costituire una minaccia
concreta e può diventare esempio di impunità per altri dittatori del mondo.
Non possiamo condannare questo atteggiamento a parole e poi non esprimere
la stessa posizione nei fatti. Sarebbe irresponsabile ritirare ogni appoggio, chiudere
la porta agli Stati Uniti; infatti, dopo aver
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manifestato solidarietà a parole, ciò significherebbe macchiarsi di un grave atto di
codardia, dichiarando di aver giocato fino
ad oggi.
Nemmeno gli altri paesi, anche quelli
del cosiddetto fronte pacifista – che, in
realtà, più che per la pace si stanno
battendo per ritagliarsi spazi di autorevolezza nei futuri assetti geopolitici –, sono
arrivati a tanto. Non mi riferisco, ad
esempio, alla Germania che è contro la
guerra e che, come noi, concede basi e
diritto di sorvolo; quello che non possiamo
accettare è l’idea della frattura insanabile
della comunità internazionale.
Probabilmente, una maggiore compattezza del mondo occidentale e in seno all’ONU avrebbe avuto un effetto risolutivo
nei confronti della crisi irachena, divenendo uno strumento di pressione determinante su Saddam, magari convincendolo
dell’opportunità di un esilio, peraltro nuovamente chiesto, anche stamattina, in modo
ufficiale addirittura dall’Arabia Saudita.
Al vertice europeo del mese scorso
sembrava che le volontà convergessero
sull’importanza fondamentale dell’unità in
seno all’occidente, anche a costo di decidere per il ricorso alla forza, ben inteso
come ultima opzione. Alle Nazioni Unite
non si è potuti giungere ad una presa di
posizione comune. Non è la prima volta
che accade; anzi, è stata la norma a
partire dall’iniziazione dell’ONU, per tutta
la guerra fredda e, persino più recentemente, all’epoca del conflitto nel Kosovo,
quando non fu possibile giungere ad un
voto del Consiglio di Sicurezza.
Per i meccanismi intrinseci dell’ONU,
compresa la preservazione astorica del
diritto di veto, è assolutamente falso che il
mancato via libera del Palazzo di vetro
significhi che l’intervento, se ci sarà, sarà
un’iniziativa unilaterale, condotta in sfregio alla comunità internazionale. Vi parteciperanno più o meno attivamente quarantacinque Stati. Se questo è unilateralismo ! Sappiamo che il numero dei paesi
che appoggiano gli Stati Uniti politicamente, anche a prescindere dall’invio di
uomini e di mezzi, o con la sola concessione delle basi e del diritto di sorvolo è
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notevole: comprende molti paesi arabi ed
è destinato ad aumentare man mano che
il conflitto appare più vicino.
Ciò che oggi siamo chiamati a definire
è da quale parte vogliamo stare. Non
possiamo non stare con qualcuno. Se condanniamo moralmente e politicamente il
regime iracheno, la nostra scelta è compiuta; altrimenti, restiamo invischiati in
giochi di potere e di potenza e ci riduciamo a chiederci se stare con la Francia
o con l’America, con i buoni o con i cattivi,
mentre tutt’altro è il quadro della situazione. Scegliamo quindi l’Occidente, la
democrazia e la sicurezza nazionale dalla
minaccia terroristica. Questa, oggi, è
l’unica scelta possibile (Applausi dei deputati del gruppo della Lega nord Padania).
PRESIDENTE. È iscritto a
l’onorevole Naro. Ne ha facoltà.
parlare
GIUSEPPE NARO. Signor Presidente,
signor Vicepresidente del consiglio, onorevoli colleghi, Saddam Hussein non ha
disarmato e, come hanno riferito Blix e El
Baradei, non ha mai fatto quanto era nelle
sue possibilità per agevolare il lavoro dei
controllori delle Nazioni Unite; quindi, ha
disatteso quanto imposto dalla risoluzione
n. 1441.
Del resto, Saddam ha dichiarato di aver
posseduto armi di sterminio ma di averle
distrutte, senza esibire, però, le prove
ripetutamente richiestegli. Sono stati scoperti missili che superavano la gittata
consentita e la loro distruzione, avviata
non per atto di spontanea determinazione
ma per la pressione militare angloamericana, è avvenuta con il contagocce. Oggi si
è arrestata, consentendo di fatto al dittatore una disponibilità di circa settanta
esemplari, che possono essere dotati di
testate con antrace o con altri prodotti
chimici proibiti e raggiungere tranquillamente i paesi vicini che si sono schierati
con gli Stati Uniti o forniscono qualche
forma di sostegno.
Inoltre, il rais dispone di un curriculum
certamente non edificante, i cui atti di
carriera nella gestione del potere sono: la
riduzione in schiavitù del suo popolo, la
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lunga e disastrosa guerra imposta all’Iran,
l’occupazione del Kuwait, che scatenò la
guerra del golfo nel 1991, la distruzione
dei pozzi petroliferi kuwaitiani durante la
ritirata dopo la sconfitta, l’eliminazione
degli avversari politici con processi sommari o in assenza di processi, la decimazione di curdi e sciiti con l’utilizzo di armi
di sterminio e quant’altro.
Ma, il pericolo maggiore e quanto mai
attuale è il rapporto tra Saddam ed il
terrorismo fondamentalista, cui potrebbero pervenire le armi di sterminio, se è
vero che egli ha dichiarato di aver addestrato migliaia di kamikaze, per portare la
battaglia ove c’è cielo, terra ed acqua,
ovunque nel mondo, e non disdegna di
farne sfilare nutriti contingenti nelle sue
parate ufficiali; se è vero che il figlio
Oudai ha minacciato che gli americani
saranno attaccati in maniera tanto virulenta da far sembrare l’11 settembre una
pallida ombra; se è vero che è documentato il sostegno alle famiglie dei kamikaze
palestinesi; se è vero che egli ha minacciato, in caso di attacco, la guerra fino
all’ultimo bambino. E si potrebbe ancora
continuare.
Orbene, di tutte queste considerazioni
bisogna tenere conto per capire la determinazione dell’ultimatum di Bush scaturito dopo il vertice delle Azzorre, determinazione che non condividiamo, perché
assunta senza l’avallo dell’ONU, ma che
comprendiamo e con noi tutti i democratici autentici.
Nel discorso alla nazione Bush ha spiegato la necessità della soluzione adottata.
L’ONU non riusciva ad uscire fuori dalle
sabbie mobili che Saddam aveva preparato
per 12 lunghi anni e che continua a
mantenere attive anche dopo la risoluzione n. 1441 impedendo, nella sostanza,
che si pervenga a quella data ben precisata
oltre la quale scatterebbe la ritorsione
della comunità internazionale. Sono queste le argomentazioni che il vertice delle
Azzorre ha ritenuto la base giuridica dell’ultimatum.
Il mondo si è diviso sull’individuazione
della base giuridica. Da un lato, coloro che
la riscontrano all’interno della risoluzione
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n. 1441, come è stato ritenuto nel vertice
delle Azzorre, e dall’altro lato coloro che
vedono tale base solo in una nuova e
specifica risoluzione ONU. Su questo discrimine purtroppo nella nostra Europa,
già vicina al traguardo della costituzionalizzazione come organismo politicamente
omogeneo, si sono radicalizzate le due
posizioni antitetiche e che per la prima
volta turbano i rapporti con i paesi candidati all’allargamento. L’Italia, come del
resto ha sempre ripetuto il Presidente
della Repubblica e come ha anche chiarito
il Governo, ha scelto di rimanere fedele
alle deliberazioni delle organizzazioni internazionali come ONU, Europa e NATO
di cui è parte integrante. Del resto, la
scelta di non partecipare all’intervento
coincide anche con il dettato costituzionale. Nei momenti che ci dividono dalla
scadenza dell’ultimatum possiamo ancora
sperare che venga accolto l’appello solenne
lanciato dal Santo Padre la scorsa domenica dopo la recita dell’Angelus: « mai più
guerra ».
Analizziamo ora gli aspetti che ci attendono. Oggi ci viene chiesto un voto che
autorizzi gli Stati Uniti all’utilizzo delle
infrastrutture ed al sorvolo del territorio.
Dal punto di vista della legittimità del
diritto, il Presidente Berlusconi ha esposto,
con la puntualità e l’impegno che gli sono
consueti, quali sono i termini entro cui va
condotta l’interpretazione di quanto dispongono i trattati e di quanto dispone
l’articolo 11 della Costituzione e abbiamo
potuto dedurre che c’è lo spazio per
discutere anche di una legittimità politica:
nel merito, diamo atto al Presidente del
Consiglio di avere individuato un percorso
possibile.
Naturalmente, tra Saddam e Bush, noi
siamo per Bush, che è alla guida di uno
dei più giovani paesi democratici del
mondo, per storia e per esercizio di governo. Intanto, l’autorizzazione all’uso
delle basi per supporto logistico e al
sorvolo è un valido elemento di ulteriore
pressione su Saddam, autorizzazione che è
regolata da trattati internazionali e nel
caso specifico, sicuramente, essa travalica
la dimensione nazionale per diventare di-
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mensione atlantica o internazionale. Altri
paesi della NATO, compresi Germania e
Francia, permettono l’utilizzo di infrastrutture e sorvolo del territorio. Certamente, la comparazione può essere indicativa per noi che siamo chiamati ad
esprimere un voto, ma potrebbe essere
considerata vincolante se pensiamo al
fatto che non bisogna più ripetere l’errore
di violentare ancora una volta lo spirito
unitario cui è pervenuto a fatica l’ultimo
vertice di Bruxelles.
Ancora, una ulteriore diversità di visioni e determinazioni tra i paesi aderenti
alla NATO, come è avvenuto per la questione turca, sarebbe un vulnus difficilmente sanabile. Sono convinto che un voto
favorevole alle autorizzazioni gioverebbe a
tenere unita l’Alleanza atlantica all’interno
della quale dovrebbe essere subito portata
la questione dibattuta per essere ivi gestita
e non solo per risolvere il problema dell’oggi, quanto, anche e soprattutto, quello
del domani.
Altro nostro impegno, che in questo
momento è doveroso ricordare, è relativo
alla gestione del post-conflitto. Nel merito,
l’Italia ha già dato la sua disponibilità non
solo per ragioni umanitarie, quanto anche
per la sua fede nello sviluppo dei popoli e
nell’avanzamento della civiltà. Sento il
bisogno di richiamare, in questo momento
difficile per l’Italia e per il mondo, la
vicenda del Kosovo, non per le polemiche
che su di essa si sono sviluppate ma per
lo spirito unitario del voto espresso dal
Parlamento.
Signor Presidente, nel rammentare che
l’attacco, sia pure unilaterale, all’Iraq si
identifica con la lotta al terrorismo e a chi
gli permette di esistere e di operare – e in
questa determinazione abbiamo spesso
convenuto in maniera quasi unanime –,
vorrei rinnovare all’Assemblea l’invito del
Presidente Casini a non drammatizzare i
contrasti sui problemi dell’Iraq che in
questo momento dividono il vecchio continente perché, ha aggiunto, la gravissima
congiuntura internazionale crea un passaggio difficile per l’Europa: e noi abbiamo
tanto bisogno di Europa.
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PRESIDENTE. È iscritto a parlare
l’onorevole Gerardo Bianco. Ne ha facoltà.
GERARDO BIANCO. Signor Presidente,
signor Vicepresidente del Consiglio, credo
che il Presidente Berlusconi avrebbe dovuto pronunciare un semplice monosillabo, franco e netto: « no » alla guerra.
« No » perché questa guerra è un tragico
errore, in primo luogo per gli Stati Uniti
d’America e, poi, per l’ordine internazionale. Per noi non è semplice, anche per me
personalmente, dire « no » ad un grande
alleato che per circa mezzo secolo ha
rappresentato il pilastro delle nostre democrazie e delle nostre libertà occidentali.
Eppure bisogna pronunziarlo, deciso e
forte, proprio in virtù della nostra amicizia e della nostra lealtà che ci videro,
primi in Europa, in questo Parlamento
dire « sı̀ » agli euromissili, che segnarono la
svolta definitiva ed epocale della sfida tra
est ed ovest (ebbi l’avventura di sottoscrivere quel documento) e che avviarono la
stagione del disarmo e della distensione
internazionale. Noi siamo stati, siamo e
saremo amici degli Stati Uniti d’America,
ma ciò non può impedirci di dire che
questa guerra è un grave sbaglio. In un
certo senso lo ha ammesso implicitamente
lo stesso Presidente del Consiglio quando,
arrampicandosi sugli specchi, ha cercato
di dimostrare che questa guerra ha, in
qualche maniera, un’autorizzazione delle
Nazioni Unite: cosı̀ non è.
È sbagliato spezzare l’unanimità della
coalizione antiterroristica, quando l’11 settembre tutti noi ci sentimmo americani. È
sbagliato ferire a morte l’ONU, sostituendo
il diritto con la propria forza. È sbagliato
abbandonare quei principi guida, che dai
tempi di Lincoln hanno sempre orientato
le scelte dei governi americani, di essere
dalla parte della ragione e, quindi, del
diritto. Sostituirvi oggi, invece, la teoria
bismarckiana – è la forza a sopravanzare
perché questa è la logica della guerra
preventiva – significa contraddire la più
alta tradizione morale, civile e politica e
perdere quella leadership essenziale per
poter guidare il mondo. È sbagliato dividere l’occidente e fare la conta dei paesi
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buoni, scambiando per sottomissione
l’adesione. È sbagliato aprire un fossato
con paesi decisivi per gli assetti internazionali, come la Francia, la Germania –
che, onorevole Fini, non si possono richiamare qui soltanto quando fa comodo – e
la Russia, perché per vincere il terrorismo
l’America ha bisogno della solidarietà di
tutti noi.
Il terrorismo non si vince in solitudine;
non si combatte un nemico invisibile attaccando un bersaglio perché è visibile: in
tal modo si rischia solo di allarmare e di
creare la convinzione che per essere inattaccabili bisogna diventare più forti e
minacciosi (la Corea insegna). È sbagliato
trasformare, peraltro, un sanguinario dittatore come Saddam Hussein, dalla cui
parte noi non potremo mai essere per
ragioni politiche e per convinzioni profonde, in un eroe, in un mito, in una sorta
di glorioso Saladino che accenderà furori,
vendette e difenderà ancora di più quel
terrorismo che si vuole combattere.
Nel dire « no » alla guerra che si sta
profilando come noi facciamo, non siamo
solo mossi da un profondo sentimento di
pace, che ha trovato nella voce del Papa il
più alto messaggio; siamo contro la guerra
per una precisa consapevolezza di gravi
errori di calcolo che stanno per essere
compiuti. Non vorremmo strumentalizzare
questa posizione, perché abbiamo troppo
il senso dello Stato e di un paese che deve
essere autorevole a livello internazionale,
ma a noi sembra che questa consapevolezza – ahimè – sia mancata al Governo:
troppi ondeggiamenti, troppe oscillazioni,
troppe
ambiguità,
troppe
doppiezze
quando invece era il momento della verità:
« sı̀ », « sı̀ », « no », « no » !
Non possiamo essere convinti, anche se
forse delle intenzioni...
GIORGIO LA MALFA. Ma voi eravate
per il « sı̀ », « sı̀ » o per il « no », « no » ?
PRESIDENTE. Onorevole La
parla dai banchi del Governo !
Malfa,
GERARDO BIANCO. Io sto parlando
del Governo.
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ANTONIO SODA. Sei al Governo... hai
troppa smania... Al prossimo giro !
GERARDO BIANCO. Non si difende,
onorevole La Malfa, un’alleanza essendo
oltranzisti, ma dicendo la verità. È mancata la linearità perché è mancata una
visione strategica e perché mal posti sono
stati i problemi, come per esempio quello
strumentale dell’americanismo e dell’antiamericanismo; non si è capito, nell’interesse dell’Italia e – lo ripeto – dell’America, che è per tutti necessaria una posizione unitaria dell’Europa. A questo il
Governo avrebbe dovuto dare la priorità,
dedicandosi all’unità dell’Europa, ma non
l’ha fatto. Forse per l’ossessione, per un
calcolo che ritengo sbagliato di sedersi
domani al tavolo dei vincitori. La vittoria
potrà anche essere facile, ma è una visione
miope: non vi sarà mai una vittoria se non
vi è un ordine internazionale e non vi sarà
mai un ordine internazionale se non vi è
un diritto che sia fondato su regole di
giustizia che il principio stesso della
guerra preventiva, capovolgimento delle
dottrine tradizionali degli Stati Uniti
d’America, contraddice.
È solo una pericolosa illusione immaginare che la possente forza di un solo
paese possa regolare il mondo. Definire la
nostra posizione, quella dell’Italia, in un
quadro innanzitutto europeo, che è un
obiettivo che ancora dovete perseguire,
avrebbe significato – lo ripeto – aiutare la
stessa America ed anche sciogliere quei
complessi nodi dei trattati bilaterali (non
ci sfuggono) che ci legano agli Stati Uniti
d’America e che non possono consentirci,
in virtù della Costituzione, alcun atto di
cobelligeranza, ma che non ci consentono
neppure – lo riconosco – di impedire
l’esercizio di alcune attività delle forze
americane presenti nel nostro paese.
Noi dobbiamo, tuttavia, adottare decisioni ferme e responsabili: ferme nel nostro deciso « no » ad una guerra sbagliata
e responsabili perché nessun atto possa
risultare nemico nei confronti dell’alleato
americano. Queste decisioni vanno ricercate – insisto – in un’intesa europea
anche sulle modalità di uso delle basi e
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non perché siamo inscritti (è umiliante) in
un elenco di 30 amici che sa più di
vassallaggio, che di solidarietà: si è amici
quando si è uguali e si è uguali se si
possono dire dei « no » che non siano di
offesa, ma di aiuto agli alleati.
Noi sappiamo che l’America è un paese
ferito e che vi è in quel paese una
sensibilità acuita ed una drammatica percezione del pericolo terrorista. Noi però
non la aiutiamo piegandoci ad un disegno
che oggi è dettato dalle paure e dalla
logica della pura forza militare.
Dicendo « no », invece, noi aiutiamo
quell’America a trovare il filo interrotto di
quella luminosa tradizione politica che,
per oltre due secoli, ha reso l’America il
simbolo della democrazia, dell’anticolonialismo e della libertà che ora rischia di
essere compromessa (Applausi dei deputati
dei gruppi della Margherita, DL-l’Ulivo, dei
Democratici di sinistra-l’Ulivo e Misto-Socialisti democratici italiani – Congratulazioni).
PRESIDENTE. Facendo un’eccezione
alla regola pospongo l’intervento dell’onorevole Selva, al momento assente. È
iscritta a parlare l’onorevole Sereni. Ne ha
facoltà.
MARINA SERENI. Signor Presidente,
rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, siamo di fronte ad una crisi internazionale gravissima, per molti versi inedita, che, entro poche ore, potrebbe precipitare in una guerra ingiustificata e dalle
conseguenze incalcolabili. Ognuno di noi
avverte il peso e la responsabilità di un
confronto e di decisioni che sono destinate
a pesare gravemente sul futuro.
Non credo sia eccessivo dire che le
relazioni e gli assetti futuri a livello internazionale saranno plasmati o almeno
fortemente influenzati, per un periodo non
breve, da questa crisi, dai suoi sviluppi e
dalle sue conseguenze. Non credo sia eccessivo dire che questa vicenda segnerà
anche uno spartiacque nel rapporto fra i
luoghi delle decisioni sulla pace e sulla
guerra e la coscienza di milioni di persone
in ogni angolo del pianeta.
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La guerra è sempre una sconfitta degli
strumenti della politica; essa è sempre
causa di lutti e di terribili sofferenze per
le popolazioni civili. Lo sarà in particolare
questa che è destinata a colpire un popolo,
quello iracheno, già vittima da decenni di
un regime sanguinario e corrotto, che ha
provocato due guerre, oppresso ed ucciso
i suoi oppositori, isolato l’Iraq dal resto
della comunità internazionale.
La guerra è sempre un evento che
scuote e divide; eppure, sento che c’è
qualcosa di più e di diverso nella preoccupazione, nell’allarme e nel dissenso che
questa guerra ha suscitato nel mondo.
Quale che sia la scelta che ognuno di
noi qui assumerà, credo abbiamo il dovere
di cercare di capire perché cosı̀ tanta
gente, cosı̀ tanta parte della comunità
internazionale abbiano detto « no » a questa guerra ed abbiano in ogni modo cercato di evitare un evento che ormai siamo
tutti costretti a considerare imminente.
Cosa c’è dunque nel « no » e nel rifiuto
a questa guerra ? In primo luogo, vi è un
giudizio politico su come ci si è arrivati. Di
fronte ad una compatta ed amplissima
determinazione della comunità internazionale a perseguire l’obiettivo del disarmo
dell’Iraq, di fronte alla ripresa dell’attività
ispettiva che stava dando risultati concreti
e sostanziali, contro una posizione maggioritaria nel Consiglio di Sicurezza delle
Nazioni Unite favorevole al rafforzamento
ed alla prosecuzione delle ispezioni, l’amministrazione americana ha deciso di considerare esauriti gli spazi della politica e di
andare alla guerra contro l’Iraq.
Dobbiamo, quindi, registrare con
grande preoccupazione come nell’amministrazione americana, che aveva ad un
certo punto accettato, seppure non entusiasticamente, di affidare alle Nazioni
Unite la soluzione della crisi, sia tornata a
prevalere una spinta unilateralista, ovvero
l’idea di poter decidere di fare da soli,
senza ricercare il consenso della comunità
internazionale, fuori dalla legalità e dal
diritto internazionale.
Già in altri momenti abbiamo avuto
modo di esprimere il nostro giudizio nettamente critico verso quel documento
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sulla nuova strategia della sicurezza nazionale che oggi l’amministrazione Bush
sembra purtroppo determinata a sperimentare concretamente in Iraq.
In quella dottrina, l’unilateralismo agisce come chiave principale ed è unilaterale
la valutazione del pericolo, la scelta dell’obiettivo, dei tempi e dei luoghi, in un
sistema di alleanze che si costruisce a
geometria variabile.
Vorrei dire al Presidente del Consiglio
che è Bush e non l’opposizione italiana a
mettere in discussione il ruolo e la funzione dell’Alleanza Atlantica. In quella
dottrina, risposta preventiva e tentazione
di fare da soli si intrecciano, configurando
un chiaro rischio di militarizzazione delle
relazioni internazionali.
Noi siamo amici ed alleati degli Stati
Uniti, lo diceva poco fa il collega Gerardo
Bianco. Siamo stati solidali all’indomani
dell’11 settembre e riteniamo che l’Europa
debba assumere come priorità la lotta al
terrorismo internazionale ed alla proliferazione degli armamenti di distruzione di
massa. Ma è proprio per queste ragioni
che crediamo sia oggi necessario dire
« no » a questa guerra, una guerra che
viene percepita come uno scontro di civiltà
in gran parte del mondo islamico, una
guerra che rischia di alimentare le correnti fondamentaliste e i pericoli di terrorismo, una guerra che apre scenari del
tutto imprevedibili sugli assetti futuri dell’Iraq e dell’intera regione mediorientale.
In molti interventi, anche di qualcuno
della maggioranza, ho sentito la preoccupazione per le lacerazioni che questa
guerra sta provocando, prima ancora di
essere guerreggiata, nelle relazioni internazionali e nelle istituzioni cardine del
multilateralismo, a cominciare dalle Nazioni Unite. Ma il multilateralismo e la sua
efficacia si difendono se se ne riconoscono
le regole di fondo. Il multilateralismo,
vorrei dire ai rappresentanti della maggioranza, non è la registrazione dei rapporti di forza, è capacità e disponibilità al
compromesso, al convincimento, al riconoscimento di una ragione, di un interesse
superiore, oltre la legittima aspirazione di
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un singolo paese, a maggior ragione se
questo singolo paese è una grande potenza
mondiale.
Oggi, di fronte alle nuove e molteplici
minacce che l’umanità deve sconfiggere, di
fronte agli squilibri e all’instabilità che
abbiamo ereditato dalla dissoluzione dell’assetto bipolare, di fronte alle potenzialità e ai rischi di questa globalizzazione,
non c’è alcuna possibilità di costruire un
nuovo ordine mondiale più giusto e più
sicuro, se non affermando e rilanciando le
ragioni e le istituzioni del multilateralismo. Con questa guerra, si sta imboccando, purtroppo, un’altra strada.
Per queste ragioni avremmo voluto dal
nostro paese, da questo Governo, un altro
discorso, un altro comportamento concreto. Voi, rappresentanti del Governo,
siete qui oggi a registrare l’ultimo episodio
di una brutta storia che non avete neppure
provato a modificare. Non c’è stato un
gesto, un atto del Governo italiano che
abbia, in queste difficili settimane, cercato
di evitare davvero questa guerra, sbagliata
ed illegittima. Non c’è stato un gesto, un
atto, che abbia richiamato l’urgenza di
combattere il terrorismo, fermando la spirale di violenza tra israeliani e palestinesi
e costruendo le condizioni per una soluzione giusta a quel tremendo conflitto.
Non c’è stata una iniziativa che abbia
condotto il nostro paese a difendere il
ruolo dell’Europa ed a ricercarne l’unità in
questa crisi. Oggi venite qui e ci chiedete
semplicemente di adeguarci: non possiamo
farlo, perché la posta in gioco è troppo
alta.
Presidente, colleghi, siamo tra quanti
riconoscono che possa essere, a volte,
indispensabile il ricorso all’uso della forza,
per autodifesa o per far valere il diritto e
la legalità internazionale; sappiamo che la
politica può essere posta di fronte a questa
necessità. Ma la guerra, vorrei ricordarlo,
è un’altra cosa e, non sapendolo fare
meglio, prendo in prestito le parole di
Michel de Montaigne, con le quali concludo: « Quanto alla guerra, che è la più
grande e pomposa delle azioni umane, mi
piacerebbe sapere se vogliamo servircene
come prova di qualche nostra prerogativa
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o, al contrario, come testimonianza della
nostra debolezza e imperfezione, poiché
invero sembra che la scienza di distruggerci ed ucciderci a vicenda, di rovinare
e perdere la nostra stessa specie, non
abbia molto di che farsi desiderare dalle
bestie che non la posseggono » (Applausi
dei deputati dei gruppi dei Democratici
di sinistra-l’Ulivo, Misto-Comunisti italiani
e Misto-Liberal-democratici, Repubblicani,
Nuovo PSI – Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare
l’onorevole Cristaldi. Ne ha facoltà.
NICOLÒ CRISTALDI. Signor Presidente, onorevole Vicepresidente del Consiglio, onorevoli colleghi, non si può certo
dire che la materia del dibattito odierno
arrivi all’improvviso in Parlamento, dove il
Governo, in più occasioni, ha reso noto
ogni passaggio della politica, nel tentativo
di risolvere la questione senza l’uso delle
armi ed affermando il ruolo delle organizzazioni internazionali, a cominciare
dall’ONU e dalla stessa Unione europea.
Ogni passaggio è stato compiuto e va
dato atto al Governo italiano di avere
tentato ogni strada possibile per evitare il
conflitto. La sinistra – e, più vastamente,
il centrosinistra – sostiene una posizione
che dovrebbe imporre al nostro paese il
non intervento se non autorizzato dall’ONU; addirittura senza l’ONU non si
dovrebbe fornire alcuna collaborazione
agli Stati Uniti d’America.
Nel dibattito dei mesi e dei giorni scorsi
la sinistra si è riempita la bocca di comportamenti esemplari di Russia, Germania
e Francia, paesi che del pacifismo – diciamo la verità – ne hanno fatto una
scoperta recente.
Oggi, la Russia si rende conto, di fatto,
della inevitabilità dell’intervento, magari
pensando a ciò che la Russa ha determinato in Cecenia, dove di vittime ne sono
state provocate più di quante ne abbia
provocate la bomba atomica.
La Germania e la Francia mettono a
disposizione le basi e consentono la libera
circolazione delle forze americane.
Che strano dibattito, oggi, in Parlamento e nel paese: si vuol far credere che
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la questione sia a favore della pace o
contro la pace, come se ci potesse essere
qualcuno, in quest’aula e nel paese, a
sfavore della guerra e contro la pace.
La verità è che il mondo è in guerra da
tempo e la dichiarazione di guerra porta
una data ed un luogo: 11 settembre, New
York. Saddam rischia di apparire come un
aggredito, come un poveraccio contro il
quale gli Stati Uniti vogliono usare il loro
strapotere, dimenticando che Saddam a
qualcuno deve pur rispondere per i due
milioni di curdi trucidati, per l’appoggio al
terrorismo internazionale, per la violazione dei più elementari diritti civili.
Non si dovrebbe abbattere Saddam con
la forza delle armi, ma con la forza della
persuasione diplomatica ? E non è stata
tentata ogni via ? Non si dovrebbe adottare
la forza ? Non si deve abbattere un regime
se non dall’interno ? Abbiamo sentito dichiarazioni di questa natura da validi
esponenti della sinistra, da personaggi che
hanno ricoperto incarichi di livello internazionale. Si pretende di creare una condizione nella quale dall’interno si dovrebbe abbattere Saddam, come se ciò che
accade in Iraq non sia una questione di
cui il mondo ha il dovere di occuparsi,
come se vedere la morte di milioni di
persone non debba, in qualche maniera,
richiamare alla responsabilità i paesi dell’occidente, i paesi civili. Non ci dovremmo
occupare di quel che succede in Iraq, si
dovrebbe dare forza all’autorità diplomatica, si dovrebbe incidere nella politica
interna dell’Iraq per abbattere il regime –
detto tra virgolette – in maniera democratica. Ne abbiamo sentite di argomentazioni di questa natura. Ma perché ? In
altre occasioni, in altri momenti storici, si
è lavorato in questa maniera ? Per abbattere Hitler, per esempio, si è, in qualche
maniera, messo in moto un sistema per
convincere i tedeschi ad abbattere Hitler
in maniera democratica ? Non c’è stato in
quell’occasione un intervento che certamente ha seguito una linea completamente
diversa rispetto a ciò che si è sostenuto
anche in quest’aula e fuori di quest’aula ?
Come si dovrebbe abbattere Saddam ? Con
la forza della persuasione o sventolando la
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bandiera arcobaleno davanti alla sua faccia ? Noi pensiamo che ogni strada sia
stata percorsa, e che sia stato tentato ogni
livello di persuasione diplomatica. La
stessa missione dell’ONU non è la prima
missione che gli ispettori hanno compiuto
in quella parte del paese. E la n. 1441 non
è l’unica risoluzione. In più passaggi, dentro l’ONU ma anche dentro l’Unione europea, è stato fatto rilevare come l’Iraq e
Saddam in prima persona non abbiano
rispettato i pronunciamenti dell’ONU e
non abbiano accolto i vari inviti delle
organizzazioni internazionali.
Allora, noi vogliamo lanciare un appello; vogliamo prendere atto che, in ogni
parlamentare, in ogni cittadino italiano,
non c’è la voglia di partecipare alla guerra,
come pure qualcuno ha detto, con entusiasmo. Ma chi vuole la guerra nel nostro
paese ?
Tuttavia, davanti a situazioni di questa
natura, bisogna intervenire per assicurare
che ci sia, nel mondo, un processo che
faccia elevare sempre più il livello della
civiltà in ogni paese, ricordandoci, magari
di ciò che è accaduto per il Kosovo
soltanto qualche anno, quando, al di là dei
pronunciamenti dell’ONU, si è imposto, in
ognuno di noi, il dovere di dare l’appoggio
pieno ad un Governo della sinistra per
tentare di contribuire a creare condizioni
di civiltà e di democrazia in altri paesi
europei (Applausi dei deputati del gruppo di
Alleanza nazionale).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare
l’onorevole Pacini. Ne ha facoltà.
MARCELLO PACINI. Signor Presidente, signor Vicepresidente del Consiglio,
siamo di fronte a momenti che avremmo
preferito non vivere: il nostro animo di
italiani e di europei sente tutta la drammaticità delle decisioni che dobbiamo assumere.
Dobbiamo sapere, però, che il dilemma
da sciogliere non è tra la pace e la guerra,
ma tra una politica volta a ricostruire il
tessuto unificato e benefico del mondo
occidentale ed una volta ad accentuare le
divisioni ed a scavare fossati più profondi.
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La scelta tra la guerra e la pace è alle
nostre spalle perché l’ultimo rifiuto del
dittatore iracheno ad accettare l’esilio ha
reso ineluttabile l’intervento militare americano.
Il Governo italiano ha scelto, da tempo,
di stare al fianco degli Stati Uniti, proseguendo una tradizionale linea politica ormai cinquantennale che ebbe la sua formalizzazione nella contestata adesione al
Patto Atlantico. Guai se De Gasperi e tutti
gli uomini del quadripartito avessero mancato alle loro responsabilità e si fossero
lasciati influenzare, allora, dalla piazza e
dalla sinistra !
L’elenco delle risoluzioni che il Presidente del Consiglio ha citato dimostra
chiaramente quanto pervicace sia stato il
rifiuto del dittatore iracheno a piegarsi
agli ordini delle Nazioni Unite. Tutti sappiamo che l’Iraq ha iniziato a distruggere
i missili dieci giorni or sono, quando la
risoluzione ONU che glielo imponeva è di
12 anni orsono ! Queste sono le risoluzioni
che legittimano l’intervento americano.
Il nostro paese non parteciperà ad
operazioni di guerra. Ci viene chiesto
semplicemente di non ostacolare l’azione
americana permettendo il transito nel nostro spazio aereo e l’uso reale delle basi
militari. L’Italia, pero, è di fronte a numerosi doveri.
In primo luogo, deve agire perché il
conflitto si concluda il più rapidamente
possibile: non potremmo trovare alcuna
giustificazione ad un nostro comportamento ostativo che potesse provocare, anche indirettamente, un minimo ritardo
nella conclusione delle operazioni militari.
In secondo luogo, deve già pensare al
dopoguerra e a ricucire il tessuto ferito
dell’Alleanza Atlantica e dell’Unione europea.
Inoltre, dobbiamo essere consapevoli
che questa guerra impone nuovi doveri al
semestre di Presidenza italiano: dobbiamo
assolutamente evitare che si innestino processi involutivi che possano indebolire in
modo irreversibile la coesione atlantica,
l’integrazione europea, la solidarietà mondiale delle Nazioni Unite. Da domani,
l’Italia deve impegnarsi per tessere una
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tela di nuove solidarietà e coesioni e per
rendere effettivo il cambiamento annunciato nella politica americana in Medio
Oriente. Queste sono le missioni che la
Camera deve affidare al Governo.
Il Parlamento svolgerà il suo ruolo
anche attraverso la sua attività internazionale ed i suoi rapporti con le altre
Assemblee democratiche del mondo. Oggi,
svolgerà un ruolo importante con il voto
che ci apprestiamo ad esprimere: un voto
di convinta e largamente condivisa adesione all’azione del Governo – che dirà
agli Stati Uniti che non sono soli e che
l’Italia non ha dimenticato quanto essi
hanno fatto per la libertà dell’Europa –
favorirà la tessitura di quei rinnovati rapporti di solidarietà tra gli europei e gli
americani che, del resto, dobbiamo ricordarlo tutti, sono ancora il vero fondamento della pace e la vera forza delle
democrazie.
Non posso concludere questo intervento di convinta adesione alla politica del
Governo senza affrontare brevemente un
problema che condivido con molti colleghi:
la condizione di un cattolico che deve
esprimere un voto in apparente contrasto
con l’indicazione del Papa. Dico apparente
contrasto perché il Papa non vuole, non
può mai volere la guerra, ma non vuole
neanche l’ingiustizia, l’oppressione, la persecuzione cui sono soggetti i cristiani del
mondo. Se oggi esiste una fede martire nel
mondo questa è la fede cristiana. Le
persecuzioni finiscono quando arrivano le
istituzioni democratiche nate in occidente,
quando si afferma il ruolo della legge,
quando fiorisce la libertà. Ho ricordato,
all’inizio di questo intervento, Alcide De
Gasperi; De Gasperi sapeva distinguere la
sfera della fede da quella del giudizio
politico. I cristiani, tutti, ma soprattutto
quelli impegnati in politica, vivono la loro
esperienza mondana e secolare sempre
interrogandosi su che cosa è giusto fare
per perseguire il bene comune.
Accade di essere posti di fronte a
dilemmi che ci pongono problemi di conformità a dogmi di fede. Qualche mese fa
questa Assemblea ha votato una legge sulla
fecondazione assistita che ci ha posto di
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fronte a dilemmi etici e di fede. Tutti
sappiamo qual è stata la conclusione. Nel
1938 i cristiani d’Europa salutarono con
sollievo e simpatia le decisioni che i Governi dell’epoca avevano preso a Monaco
trovando un provvisorio accordo con Hitler, un anno dopo si pentirono amaramente. Ci sono casi in cui è difficile
discernere il dover essere, altri casi in cui
il corretto discernimento è estremamente
difficile. L’esercizio responsabile della libertà di giudizio è connaturato all’essere
cristiano e cattolico, che non può scegliere
la via più facile, ma sempre quella che
ritiene più giusta.
PRESIDENTE. Onorevole Pacini, la invito a concludere.
MARCELLO PACINI. Quindi, è con
questa consapevolezza, che sente il senso
drammatico della scelta difficile, che dichiaro la mia adesione all’azione del Governo volta a rinsaldare i legami con gli
Stati Uniti, ad abbreviare la guerra, a
costruire nuovi e più solidi rapporti di
solidarietà europei ed americani, con la
speranza che i morti in Iraq servano
anche a mettere fine alla tragedia mediorientale, alle persecuzioni contro chiunque, in particolare contro i cristiani nel
mondo e anche ad estendere l’area della
democrazia e il ruolo della legge (Applausi
dei deputati del gruppo di Forza Italia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare
l’onorevole Costa. Ne ha facoltà.
RAFFAELE COSTA. Signor Presidente,
colleghi, signor Vicepresidente del Consiglio, il clima molto teso di questi giorni
non riguarda solo il nostro paese. Esso
caratterizza tutto il mondo perché tutto il
mondo soffre dinanzi ad un’ipotesi di
guerra. Soffre il popolo che potrebbe essere colpito dalle bombe, soffrono i popoli
e i paesi limitrofi, soffre la società internazionale nel suo complesso. Non dobbiamo stupirci quindi se la scelta crudele
di risolvere i problemi della convivenza
internazionale con le bombe dilania il
mondo politico e parte anche o gran parte
di quello civile.
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Le passioni sono motivate, e ai sentimenti, anche quando sono accesi, non è
facile imporre un freno. Dinanzi al dilemma vita o morte è difficile contenersi;
di qui il riguardo dovuto a chi non la
pensa come noi, a chi va in corteo, a chi
fascia i balconi con l’arcobaleno, a chi
lancia slogan, come a chi, dovendo governare, ha usato le armi della politica e della
diplomazia.
Cari colleghi, cari giornalisti, cari opinionisti, ci vuole più rispetto reciproco delle
idee e delle persone. Siamo dinanzi ad una
tragedia che ciascuno vorrebbe vedere cancellata o almeno ridimensionata, che non
va strumentalizzata né con i fischi né con
gli applausi. Non è giusto usare la guerra
per colpire il Governo, non è giusto usare la
guerra per polemizzare fra o con i pacifisti
che sostano nelle nostre piazze, eppure ho
sentito taluni esponenti dell’opposizione
usare pesantemente l’arma della guerra per
screditare l’esecutivo e ho colto anche non
poche parole di dileggio verso chi va in
piazza per contestare le possibili bombe
americane.
Nessuno di noi credo abbia certezze,
tutti siamo attraversati dal dubbio: se
Saddam abbia davvero ancora tante e
tante armi chimiche e sia pronto ad
usarle; se Bush punti davvero prevalentemente a vincere una guerra di rivincita;
l’ONU è davvero uno strumento utile, non
avendo dalla sua la coercizione ? L’ONU è
per il sı̀ o per il no ? Il dubbio attraversa
le coscienze. È più facile affidarci allo
schieramento politico, alle decisioni del
proprio gruppo, che non decidere da soli,
o forse è troppo presuntuoso decidere da
soli, spinti dal proprio io, dalla propria
mente, dai propri interessi, non dichiarati
talvolta, talaltra latenti ?
Il discorso del Presidente del Consiglio
non ha avuto la pretesa di cancellare i
dubbi, di dare certezze assolute; con l’affermazione sincera « vogliamo salvare la
NATO » evidenzia uno stato di necessità;
esso evidenzia la posizione non facile di un
paese che deve scegliere se dire no, ni, o sı̀
all’alleato di cinquant’anni, che potrebbe
anche sbagliare (e io non intendo dare giudizi politici e tanto meno morali), o se cer-
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care di capire le ragioni nascenti da una
ferita che la storia evidenzierà come eterna.
Il Governo ha scelto la seconda via ed io
non mi sento di dissentire.
È vero, non ho condiviso certe posizioni
di ministri, dettate più dal ruolo che non
dalla politica ma credo che il Governo
abbia complessivamente interpretato le
scelte possibili. Nel cuore ho portato la
speranza che la guerra non si facesse,
nella mente mi sono chiesto cosa potevo
fare per impedire la guerra, mi sono
sentito – chissà quanti come me – solo, e
sovente, impotente. Le leggi che regolano
speranze, illusioni e aspirazioni dell’uomo
singolo non sempre sono quelle che disciplinano la politica, le relazioni e gli organismi internazionali; sovente c’è una diversificazione tra realismo politico ed
ideali dei singoli anche quando diventano
speranze collettive.
Come cittadini, come padri di famiglia,
come liberali avremmo voluto fare di più;
non ne siamo stati capaci o forse non si
poteva fare di più. Non sono, dunque, a
confronto possibili obiezioni di coscienza
alternative al doveroso rispetto della coerenza di gruppo. Dinanzi a noi si apre il
baratro dell’impotenza individuale e sovente collettiva, dell’impotenza di ciascuno
e di tanti, se non di tutti. La nostra scelta
pro ONU nasceva proprio di qui, dalla
speranza che ci fosse qualcuno capace di
rappresentare tutti, di far rispettare le
regole agli Stati ed agli individui. L’ONU si
è, nella sostanza, dissolto per volontà di
pochi e per l’incapacità o l’ignavia di molti
che non hanno saputo, negli anni, farne
uno strumento efficace.
La volontà espressa dal Presidente del
Consiglio di dare forza nuova alla NATO,
all’Unione europea, allo stesso ONU non
cancella la tragedia che si avvicina ma ci
fa sperare che i giorni del dolore non
siano più definitivi. Ho colto nel discorso
del Capo del Governo un richiamo al senso
di responsabilità cui intendo rispondere
responsabilmente (Applausi dei deputati del
gruppo di Forza Italia – Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritta a
l’onorevole Baldi. Ne ha facoltà.
parlare
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MONICA STEFANIA BALDI. Signor
Presidente, onorevoli colleghi, desidero anzitutto ringraziare il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ed il Governo per
l’enorme lavoro diplomatico svolto e che
continua a svolgere con i nostri alleati
europei ed americani per trovare una
soluzione pacifica alla crisi irachena. Il
Governo ha tenuto questa linea pacifista
attraverso la diplomazia, ha cercato, in
tutti i modi, di evitare il peggio ed è con
profondo rammarico che bisogna prendere
atto della drammatica situazione che si è
venuta a creare, ma è necessario, proprio
in questi momenti, confermare la nostra
lealtà nei confronti degli Stati Uniti ed
essere solidali con chi cerca di combattere
il terrorismo.
Personalmente, sono sempre stata fermamente convinta che bisogna fare tutto
per evitare la guerra ed attuare la diplomazia preventiva. Abbiamo, da tempo,
espresso le nostre più vive preoccupazioni
sulle conseguenze di un attacco e l’occidente è sempre rimasto unito nel richiedere al regime iracheno il disarmo, da
condurre a termine nei tempi più rapidi
possibili, sulla base delle diverse risoluzioni approvate, all’unanimità, dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, come
ribadito nella risoluzione n. 1441 del 2002
in cui si riconosce la minaccia che l’inadempienza dell’Iraq verso le risoluzioni
del Consiglio e la proliferazione di armi di
distruzione di massa e di missili a lunga
gittata pongono per la pace e la sicurezza
internazionali.
Anche questo ramo del Parlamento, il
19 febbraio ultimo scorso, ha approvato
una mozione che impegnava il Governo a
sostenere, presso tutti gli organismi internazionali e principalmente presso il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite,
l’ipotesi di un esilio del dittatore iracheno
come richiesto da diversi Stati arabi e
dallo stesso Presidente Bush anche se va
ricordato che l’Italia fa parte del Consiglio
di Sicurezza. Non si deve pensare che il
dittatore iracheno si opponga ad un unica
risoluzione delle Nazioni Unite; la risoluzione n.1441 va letta nel contesto più
ampio di questi ultimi 12 anni.
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Saddam Hussein non ha mai rispettato
alcun impegno assunto nei confronti della
comunità internazionale ! Il Governo iracheno non ha rispettato i suoi impegni nei
confronti del terrorismo, ai sensi della
risoluzione n. 687 del 1991; non ha rispettato l’impegno a porre fine alla repressione della propria popolazione civile,
ai sensi della risoluzione n. 688 del 1991;
non ha rispettato neanche l’impegno di
restituire i cittadini del Kuwait ed i loro
beni, entrambi illegalmente detenuti ai
sensi delle risoluzioni n. 686, n. 687 e
n. 1284. Questi fatti dimostrano che la
strada della diplomazia non ha alcuna
possibilità di successo nei confronti di un
tale dittatore che ha iniziato a collaborare
con gli ispettori solo quando ha saputo di
avere l’esercito americano alle porte.
L’Italia, in questo momento, ha un
compito preciso: rispettare gli accordi ed i
trattati internazionali firmati da tempo,
specie nei confronti della NATO e dell’Unione europea che, ancora una volta, si
presenta debole nel quadro della politica
internazionale e dimostra di non avere
ancora una reale politica estera e di sicurezza comune. Proprio alla luce di questi accordi internazionali è necessario dimostrare la nostra lealtà e sincerità, come
sono certa faranno anche Germania e
Francia, ed accordare, come richiesto,
l’uso delle basi militari, dando solo un
supporto logistico senza inviare contingenti militari.
Bisognerebbe, con responsabilità, abbassare il tono della polemica e non
ridurre a questioni di politica interna ciò
che riguarda la politica internazionale.
Bisognerebbe trovare insieme la strada per
restituire la legittimità alle istituzioni internazionali che esistono da più di cinquant’anni e non fare il gioco di Saddam
Hussein che da 12 anni, con il suo atteggiamento, violando tutte le risoluzioni
delle Nazioni Unite, disattendendo le molteplici riunioni delle commissioni create
ad hoc per risolvere i problemi rimasti
irrisolti nella guerra del Golfo, ha il preciso intento di destabilizzare la comunità
internazionale.
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È importante ricordare che la cooperazione tra l’Europa e gli Stati Uniti ha
garantito pace e libertà nel nostro continente ed in altre parti del mondo e che le
relazioni tra le due sponde dell’Atlantico
non devono rimanere vittime dei persistenti tentativi dell’attuale regime iracheno
di minacciare la sicurezza mondiale.
Il mio pensiero va ora ai circa 200
italiani rimasti, anche se mi risulta dall’ambasciata italiana in Kuwait che si sta
attuando un forte piano di sicurezza, munendo i nostri connazionali di mezzi di
sopravvivenza, compresa la realizzazione
di rifugi sigillati nelle proprie abitazioni, e
prevedendo un piano di evacuazione di
emergenza via terra e via mare. Il mio
pensiero, in questo momento, va però
anche ai bambini iracheni: esso è colmo di
speranza per il loro futuro, un futuro in
cui non vi sia né antrace né fame ed in cui
non debbano più subire la perdita di un
genitore ucciso ingiustamente (Applausi dei
deputati dei gruppi di Forza Italia e di
Alleanza nazionale).
Signor Presidente, chiedo l’autorizzazione alla pubblicazione in calce al resoconto stenografico della seduta odierna
delle considerazioni integrative al mio intervento.
PRESIDENTE. Onorevole Baldi, la Presidenza l’autorizza sulla base dei consueti
criteri.
È iscritto parlare l’onorevole Pistelli.
Ne ha facoltà.
LAPO PISTELLI. Signor Presidente,
siamo arrivati all’attuale situazione attraverso un percorso difficile e tortuoso, figlio
di questo nuovo disordine internazionale.
Abbiamo espresso la nostra solidarietà agli
Stati Uniti dopo l’11 settembre ed abbiamo
partecipato alla grande coalizione contro il
terrorismo (Enduring freedom), assumendoci responsabilità militari in Afghanistan;
abbiamo condannato, e non da oggi, il
regime di Saddam Hussein, e tutti i regimi
autocratici capaci di rappresentare una
minaccia per la stabilità delle relazioni
internazionali; abbiamo cercato, con ogni
mezzo, di aiutare a costruire una posi-
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zione comune in Europa e tra l’Europa e
gli Stati Uniti dentro il quadro delle Nazioni Unite e riteniamo la dottrina dell’azione preventiva un tragico errore.
Riteniamo l’imminente guerra in Iraq
un tragico sbaglio in sé, per le sue conseguenze immediate (la guerra non è un
film, come sanno le generazioni che ne
hanno memoria diretta, e come sa il
Pontefice, che ha accentrato su tale tema
il suo ultimo, drammatico appello) e per le
sue conseguenze di lungo periodo. Dalla
possibilità di costruire un nuovo e migliore
ordine internazionale all’indomani della
tragedia del crollo delle Twin Towers ci
siamo avvitati in una crisi che ci pone
davanti ad un scenario ignoto e terribile.
Cito testualmente: « alla Gran Bretagna
si chiede di imbarcarsi in una guerra che
non riscuote l’approvazione di alcuno degli
organismi internazionali in cui rivestiamo
un ruolo di primissimo piano. Venirsi a
trovare in una posizione di tale isolamento
diplomatico significa aver compiuto un
grande passo indietro. Solo un anno fa,
noi e gli Stati Uniti eravamo parti di una
coalizione cosı̀ larga e differenziata da
essere inimmaginabile prima. La storia
resterà attonita davanti ai gravissimi errori diplomatici che hanno condotto cosı̀
rapidamente alla disintegrazione di una
coalizione cosı̀ potente. La Gran Bretagna
non è una superpotenza: per tale motivo
non sarà un’iniziativa unilaterale a tutelare al meglio i nostri interessi, bensı̀ un
accordo multilaterale ed un ordine mondiale subordinato a precise regole. Eppure,
oggi, le partnership internazionali per noi
più importanti risultano indebolite. Sono
questi gli effetti disastrosi di una guerra di
cui non è stato ancora sparato il primo
colpo ». Come capite, sono le parole pronunciate ieri dal dimissionario Robin Cook
alla Camera dei comuni. Non certo per un
criterio di vicinanza politica direi che non
ho altro da aggiungere, se non sostituire il
termine « Gran Bretagna » con la parola
« Italia ».
Vorrei, invece, aggiungere altre considerazioni. Noi siamo quelli che, più di
altri, in questi sette mesi, hanno battuto
ripetutamente sul tema « Nazioni Unite e
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Unione europea », sottolineando in ogni
circostanza che la costruzione di un sistema di regole valide per disciplinare la
questione irachena e per prevenire nuovi
conflitti era la priorità assoluta. Lo abbiamo detto poiché ciò che ci spaventava
e ci spaventa di più del disordine mondiale
imminente è l’assenza di un disegno e di
una bussola per poterci orientare. Lo
abbiamo detto poiché in un mondo in cui
ciascuno, grande o piccolo che sia, crea la
propria regola, stabilisce i propri obiettivi
ed interessi ed agisce di conseguenza, è un
mondo drammaticamente più insicuro.
Allora, oggi dobbiamo tirare le conseguenze di quell’impostazione e, pertanto,
argomenterò rapidamente due conseguenze ed un giudizio politico. In primo
luogo, questo intervento avviene fuori dal
quadro della legalità internazionale; questo intervento non si svolge sotto l’egida
delle Nazioni Unite. Gli Stati Uniti hanno
ritirato un’ipotesi di seconda risoluzione al
Consiglio di Sicurezza non solo poiché
andavano incontro ad un probabile uso
congiunto del diritto di veto da parte della
Francia e, forse, di Russia e Cina, ma
anche poiché non sono stati in grado, pur
ricorrendo al soft power della persuasione
diplomatica, di traghettare la maggioranza
dei membri del Consiglio. I paragrafi 4 ed
11 della risoluzione n. 1441 imponevano
un secondo passaggio davanti al Consiglio
di Sicurezza (basta leggerli).
Pertanto, quando il Presidente del Consiglio ci viene a raccontare che la risoluzione n. 1441 è in sé sufficiente e, meno
che mai, cerca dimostrarci che la base di
legittimazione può essere rinvenuta nella
violazione del cessate il fuoco di 12 anni
fa, siamo al ridicolo: dopo il Presidente
operaio ci toccherebbe pure il Presidente
Segretario generale delle Nazioni Unite
che ci fornisce l’interpretazione autentica
di ciò che si fa al Palazzo di vetro.
Questo intervento non è deciso all’interno della cornice Nato, che non ha
stabilito alcunché nel suo Consiglio. Questo intervento non è sostenuto ed approvato politicamente dall’Unione europea,
che lo ha contestato a larga maggioranza
nel Parlamento europeo e che si è divisa
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aspramente a livello del Consiglio europeo.
Questo intervento non è necessitato da
alcuna emergenza o catastrofe imminente.
L’ultimatum lanciato dalle Azzorre al
regime di Saddam disvela ufficialmente un
obiettivo, il cambio di regime, che non è
contemplato in alcun documento degli organismi internazionali, interrompe il processo di distruzione degli armamenti avviato con successo dagli ispettori, avvita la
comunità internazionale in una difficile
crisi di rapporti, poiché quando la potenza
divorzia dalla saggezza, il mondo non ha
niente di buono da attendersi.
Dunque, lo ripeto, siamo davanti ad un
intervento militare privo di legittimità giuridica internazionale. Da questa prima
conseguenza ne discende automaticamente
una seconda: l’articolo 11 della nostra
Costituzione, in lettura congiunta con i
principali strumenti pattizi di cui il nostro
paese è parte (Carta delle Nazioni Unite e
Trattati europei), stabilisce i confini non
opinabili all’interno dei quali un Governo
e un Parlamento possono muoversi.
Siamo consapevoli che, qualora l’ONU
avesse approvato un intervento militare
contro l’Iraq, si sarebbe aperto un dibattito complesso sul merito della questione,
sulla giustezza e sull’opportunità politica e
geostrategica di un intervento militare, che
sarebbe stato, però, legittimo sul piano del
diritto.
Inoltre, perché resti agli atti di questa
Camera, quando giudicheremo il lavoro
della Convenzione europea, siamo tra coloro che non protesterebbero se tutti insieme decidessimo di condividere questa
sfera della sovranità nazionale a livello
comunitario, adottando procedure e strumenti cogenti nell’adozione di una politica
estera di difesa comune europea. Non ci
stracceremmo le vesti nemmeno in quei
casi in cui fossimo eventuale minoranza,
poiché le grandi costruzioni sono fatte
anche di rinunce. Tuttavia, cosı̀ non è
stato.
Allora, quell’articolo 11 che ripudia la
guerra come mezzo di risoluzione delle
controversie e che accetta limitazioni solo
in condizioni di parità e se provenienti
dagli organismi internazionali che ho ri-
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chiamato, ci proibisce di fornire ogni supporto politico, militare e logistico a questa
guerra.
Signor Presidente del Consiglio, lei poteva dire « no » alla guerra e « sı̀ » alle basi,
come hanno fatto Francia e Germania
sulla base di diversi accordi bilaterali;
poteva dire « sı̀ » alla guerra e « sı̀ » alle
basi, come hanno deciso altri. Noi volevamo sentirle dire « no » alla guerra e
« no » alle basi. Invece, lei ci ha detto, con
grondante retorica, « sı̀ » alla guerra, ma
poi ci ha detto « boh » alle basi, dato che
ha dovuto o ha finto di dover tener conto
dei vincoli che le sono stati posti.
Ci siamo affidati ad un sistema di
regole nazionali ed internazionali anche
laddove queste ci avessero costretto ad
una difficile scelta. Oggi, però, siamo qui
a trarne tutte le conseguenze ed invitiamo
il Governo a fare la stessa cosa. La lettura
completa dell’articolo 11 è un argomento
tanto semplice quanto privo di eccezioni
possibili.
PRESIDENTE. Onorevole Pistelli...
LAPO PISTELLI. Termino con un giudizio politico inevitabilmente aspro. In un
tempo in cui tutto cambia non è detto a
priori che la continuità della politica
estera sia un valore in sé. La bontà di una
scelta di continuità va argomentata, cosı̀
come va argomentato un cambio di impostazione. Riteniamo che la conduzione
della politica internazionale del nostro
paese sia stata di livello bassissimo non
solo per le scelte di merito compiute fin da
prima dell’inizio formale di questa crisi
che hanno – altro che continuità ! – rotto
un filo durato cinquant’anni, ma per un
metodo che non esito a definire indecente.
Il Presidente del Consiglio lo ha confermato anche stamani con un intervento
stupidamente aggressivo verso l’opposizione e di un livello francamente imbarazzante, stretto fra le conversioni recenti
di Alleanza nazionale, l’euroscetticismo
della Lega, l’eurocontinuità dell’UDC...
PRESIDENTE. Onorevole Pistelli, deve
veramente concludere.
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LAPO PISTELLI. Il Governo ha perseguito una linea che è andata avanti ed
indietro con una sequela di furbizie,
mezze ammissioni, slanci in avanti corretti
da corrucciate preoccupazioni. Sarebbero
basate altre due porte, signor Presidente, e
saremmo stati davanti ad un perfetto ma
tragico tracciato di slalom speciale.
Siamo contrari a questa guerra che era
ingiusta ed oggi è pure illegittima. Perciò,
chiediamo al Governo di non fornire supporti politici, militari e logistici che coinvolgano il nostro paese in un’avventura
sbagliata e pericolosa (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-l’Ulivo
e dei Democratici di sinistra-l’Ulivo – Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare
l’onorevole Fiori. Ne ha facoltà. Onorevole
Fiori, le ricordo che parla a titolo personale, quindi le raccomando il rispetto dei
tempi.
PUBLIO FIORI. Signor Presidente,
quando l’azione politica, come in questo
caso, incrocia principi etici e morali cosı̀
rilevanti, la responsabilità dei cattolici impegnati in politica si fa più alta e più forte.
Bisogna scegliere perché, al di là del
consueto tergiversare di carattere politico,
in questo caso ci si deve collocare.
Non voglio assolutamente esprimere
giudizi, non voglio giudicare i comportamenti di altri colleghi, anche loro di ispirazione cattolica, che prenderanno altre
strade. Voglio soltanto spiegare il motivo
del mio dissenso e perché questa comunicazione del Governo non potrà avere il
mio consenso.
Non condivido il tema centrale della
comunicazione, cioè che la guerra sarebbe
legittima. Lo hanno detto in tanti, li ho
studiati anch’io i riferimenti legislativi di
diritto internazionale e costituzionale sono
evidenti. Non è questa la strada sulla
quale ci possiamo mettere per un dibattito
da TAR o da ex pretura. Non ci siamo: i
termini indicati testimoniano il contrario.
Quindi, non mi intratterrò, anche per il
breve tempo a disposizione, su questo
argomento. Però, vorrei far rilevare alcune
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contraddizioni emerse che rappresentano
la vera caratteristica di questa comunicazione.
Il Presidente ha detto che il vecchio
Segretario generale dell’ONU, in relazione
alle vicende del 1993, disse che quella
deliberazione del Consiglio di Sicurezza
era legittima e poteva portare alla guerra.
Tuttavia, l’attuale Segretario generale dell’ONU ha detto il contrario. Il Presidente
ha detto che la guerra è legittima. Allora,
se la guerra è legittima, l’Italia avrebbe
avuto il dovere di mandare i suoi uomini
o, quanto meno, di dare le proprie basi.
Non si capisce come sia possibile pensare
che la guerra sia legittima senza, poi, dare
le basi per farla.
PRESIDENTE. Onorevole Fiori...
PUBLIO FIORI. Concludo, signor Presidente.
Quindi, pur apprezzando lo sforzo che
il Governo ha fatto per mediare situazioni
e problemi interni, ritengo che la conclusione in una materia cosı̀ rilevante non
possa essere approvata.
Vorrei svolgere un’ultima considerazione. Si richiama continuamente l’amicizia dell’Italia con gli Stati Uniti. Avevo
portato un testo che naturalmente non
posso leggere: il De Amicitia di Cicerone.
PRESIDENTE. Al momento in cui esso
fu scritto non c’erano gli Stati Uniti.
PUBLIO FIORI. Tuttavia, credo mantenga attualità, signor Presidente. Anzi,
vorrei fare un omaggio di tale testo al
Presidente del Consiglio in duplice copia
perché ne possa dare una anche al suo
amico Bush.
In sostanza, e concludo, dice Cicerone
(e credo sia valido): l’amicizia non è una
solidarietà che nasce comunque, altrimenti
acquisterebbe anche altri nomi meno nobili. L’amicizia si deve basare su alcuni
valori di riferimento, su alcune virtù e
quindi non si può invocare quando invece
si intraprende una strada che con i grandi
valori e le grandi virtù ha poco a che fare
(Applausi dei deputati dei gruppi dei De-
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mocratici di sinistra-l’Ulivo, della Margherita, DL-l’Ulivo, di Rifondazione comunista
e Misto-Comunisti italiani).
ELETTRA DEIANA. Bravo Fiori !
PRESIDENTE. È iscritto a parlare
l’onorevole Gambale. Ne ha facoltà.
GIUSEPPE GAMBALE. Signor Presidente, signori del Governo, onorevoli colleghi, la guerra è sempre una sconfitta ed
è soprattutto una sconfitta per la politica:
è il fallimento della politica e della diplomazia (e vorrei che almeno questo oggi
potessimo condividerlo tutti, al di là delle
battute del Presidente del Consiglio). Giovanni XXIII, quarant’anni fa (non oggi, ma
quarant’anni fa !), nella Pacem in terris
diceva: la situazione internazionale ci presenta oggi uno scenario in cui è sempre
più chiaro che l’indipendenza di un popolo
deve sempre più essere coniugata assieme
all’interdipendenza (direi di più all’intercomunione). Mai come in questo momento, signori del Governo, sarebbe stata
necessaria una politica capace di mettere
in campo sforzi creativi, proporzionati ai
pericoli che minacciano la pace. Sarebbe
stato necessario il coraggio di uscire dalle
strade che fino ad oggi abbiamo percorso,
il coraggio di uscire da una politica parziale e dall’orizzonte ristretto. Non lo
abbiamo fatto: non l’ha fatto l’Italia, non
c’è riuscita l’Europa. Ma è un fallimento
innanzitutto per Bush e per l’America. Il
capogruppo al Senato del Partito democratico americano, Tom Daschle, dice che
è molto rattristato che questo Presidente
abbia cosı̀ miseramente fallito nell’azione
diplomatica, da essere costretti ora alla
guerra.
Anche l’ondata di proteste sollevatasi in
tutto il mondo avrebbe dovuto far riflettere. Centinaia di migliaia di persone si
sono mobilitate per dire alla politica di
svolgere il proprio ruolo. Riflettete sul
fatto che l’Amministrazione Bush, grazie
alla sua scriteriata politica – qualcuno la
definisce meglio « impolitica » –, è riuscita
a trasformare l’afflato mondiale sorto
dopo l’11 settembre in una clamorosa
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politica di splendido isolamento, in nome
della predominanza che ha sostituito la
politica della deterrenza. Questo non lo
diciamo noi, ma i più grandi giornali
americani. Su The New York Times di
qualche giorno fa il noto commentatore
Thomas L. Friedman dice che negli ultimi
tempi quasi ogni discorso di Bush ha
sollevato il tema della paura e del pessimismo armato. Avremmo bisogno, dice
Friedman, di meno John Wayne e di più
John Kennedy; dovremmo esportare le
nostre speranze, non le nostre paure.
Aggiungiamo noi: dovreste dare una speranza al mondo, specie quello dimenticato,
come in Africa ad esempio.
La guerra costerà 150 miliardi di dollari e la presunta pace che ne deriverà
costerà ancora di più. Ma il costo reale è
quello invisibile: quello delle vite umane
sconosciute che saranno immolate e quello
di un sistema internazionale virtualmente
distrutto. Una diplomazia fallita, il vertice
dell’isolamento: questo dicono i giornali
americani riferendosi al summit di Bush,
Blair e Aznar nelle Azzorre. Questa
guerra, signori del Governo, nasce da lontano (e non è purtroppo dietrologia, ma
sono i fatti che parlano). La logica che ha
spinto all’azione gli Stati Uniti è ben
rappresentata in un articolo del gennaiofebbraio 2000 (un anno e mezzo prima
dell’attentato alle torri gemelle) sul Foreign Affairs dalla Rice, consulente per la
sicurezza nazionale. La Rice scrive che la
prontezza militare è prioritaria, che l’amministrazione agirà sulla base dell’interesse nazionale e non certo in nome di
un’illusoria comunità internazionale e che
fra le priorità vi dovrà essere quella di
mettere in campo tutti i mezzi per rimuovere Saddam Hussein dal potere. Cronaca
di una guerra annunciata: altro che terrorismo internazionale, disarmo forzato
(come ha detto Berlusconi), democrazia e
liberazione per il popolo iracheno, pace in
Medio Oriente e chi più ne ha più ne
metta (compresa qualche inopportuna e
inadeguata citazione del Papa) !
Bush parla in termini pericolosamente
messianici della missione di liberare il
popolo iracheno e di diffondere l’esempio
Atti Parlamentari
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della democrazia in tutto il Medio Oriente,
per dare una lezione che serva da modello
a tutti i dittatori e che apra trionfalmente
le porte alla democrazia. Il pensiero corre
ai regimi amici del Pakistan, dell’Arabia
Saudita e mi viene in mente una distinzione fatta negli anni settanta dagli stessi
americani che classificavano i regimi illiberali a seconda della vicinanza politica a
Washington: come autoritari quelli filoamericani o come dittatoriali quelli antiamericani.
È incredibile la fede nella virtù della
forza che questa amministrazione ha. È
proprio vero – ministro Buttiglione –
quanto ha affermato la Santa Sede, vale a
dire che l’alternativa rischia di essere tra
la forza del diritto e il diritto della forza.
Ho la sgradevole sensazione di un vero
e proprio fideismo, occidentalismo dogmatico – per non dire integralista – e mi
chiedo come abbia potuto la land of free
giungere a tali posizioni.
L’ultimo discorso di Bush, se l’avete
sentito – e credo che, purtroppo, molti di
noi l’abbiano sentito –, è fatto di 15
minuti di ingiunzioni e sostituzioni: ingiunzioni agli ispettori, ai giornalisti, ai
cittadini americani di lasciare subito il
paese e quelli dell’area interessata; ingiunzioni a Saddam Hussein e ai figli di
esiliarsi; ingiunzioni ai militari iracheni di
arrendersi senza combattere; sostituzione
degli Stati Uniti a qualunque altra autorità
internazionale. Dunque, come dicono alcuni commenti, la decisione di guerra
altera le relazioni tra Stati Uniti e Nazioni
Unite per sempre.
Si creano due circuiti: uno fatto di
alleanze mirate, l’altro di impegni istituzionali generali. Sta prevalendo – lo ripeto
– il diritto della forza e non la forza del
diritto, si sta compromettendo la legalità
internazionale, si è indebolita l’ONU, mettendo a grande rischio un’istituzione che,
pur tra tante difficoltà e limiti, in questi
anni è stata punto di riferimento per la
pace e l’ordine internazionale, si è affermata la logica della guerra preventiva e –
più grave ancora – l’alleanza dei buoni
contro i cattivi.
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Non potremo mai accettare un ordine
internazionale dettato da chicchessia, dal
più forte o da chi si arroga il potere di
decidere per gli altri e per tutti.
L’onorevole Igino Giordani, deputato
della Costituente, nel suo libro L’inutilità
della guerra, già nel 1952, ci metteva in
guardia rispetto al pericolo sempre presente del fanatismo, affermando che sta
rinascendo, soprattutto nella letteratura
politica, una sorta di manicheismo, il
quale scomparte uomini e idee, epoche ed
eventi, economia e geografia in due schieramenti, uno del bene e l’altro del male,
con in mezzo un fossato invalicabile: da
una parte sono messe tutte le ragioni,
dall’altra tutti i torti. È l’antitesi asserita
nella stampa e nei discorsi con una decisione drastica e un accento perentorio, un
vero fanatismo acritico che reclama scelte
definitive e non consente flessioni. Da esso
si svolge un canone etico di vita pubblica
e privata che si può semplificare cosı̀: o
con noi o contro di noi e chi non è con noi
va eliminato.
Presidente, a questo non ci stiamo e
continueremo a lavorare per la pace sulle
macerie che questa guerra lascerà a livello
politico e istituzionale.
Chiedo alla Presidenza l’autorizzazione
alla pubblicazione in calce al resoconto
stenografico della seduta odierna di considerazioni integrative del mio intervento
(Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-l’Ulivo, dei Democratici di sinistra-l’Ulivo e Misto-Comunisti italiani).
PRESIDENTE. La Presidenza la autorizza sulla base dei consueti criteri.
Constato l’assenza dell’onorevole Rivolta, iscritto a parlare: si intende che vi
abbia rinunciato.
È iscritto a parlare l’onorevole Guido
Giuseppe Rossi. Ne ha facoltà.
GUIDO GIUSEPPE ROSSI. Signor Presidente, la crisi irachena è solo un capitolo, per quanto importante, del processo
di formazione di un nuovo sistema internazionale la cui ombra già si proietta oltre
la crisi. In tale contesto era perciò inevitabile che le ragioni a favore della pace o
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della guerra, come scelte morali, finissero
col dissolversi nell’utopia e che a guidare
i governi fossero quelle della ragion di
Stato. Forse, non è un caso che dai balconi
delle case francesi non penda una sola
bandiera della pace.
Ho citato un pezzo di un editoriale
comparso su un importantissimo quotidiano nazionale che ci dà il senso di come,
in questo paese, non si sia capaci di
affrontare i temi della politica internazionale. Temi che, in tutti gli altri paesi,
vengono affrontati dal punto di vista della
Realpolitik e della ragion di Stato.
Abbiamo già detto della Francia che, in
tutta questa vicenda, si è tenuta ben alla
larga da utopie pacifiste e ha seguito una
politica di puro interesse nazionale, amplificando un diritto di veto alle Nazioni
Unite assolutamente antistorico e anacronistico che sopravvaluta il reale peso politico, economico e militare di una media
potenza europea quale la Francia.
Un altro obiettivo molto chiaro dei
cugini transalpini è, ovviamente, quello di
continuare a portare avanti una egemonia
all’interno dell’Unione europea. E sappiamo che questo non è il modello di
Unione europea democratica e partecipativa al quale devono tendere tutti gli Stati
e tutti i popoli dell’Europa.
Poi abbiamo visto come questa deriva
pacifista non sfiori minimamente il Governo francese che ha già detto che, nel
caso in cui Saddam Hussein dovesse usare
armi chimiche o di distruzione di massa,
parteciperà al conflitto militare ammettendo, da un certo punto di vista, il fatto
che Saddam Hussein possegga tali tipi di
armi.
Della Gran Bretagna conosciamo molto
bene le ambizioni e le strategie non di
superpotenza, come è stato detto, ma sicuramente di potenza politica e militare
mondiale. La Spagna ha fatto una scelta e
ha cercato di ricostruire un asse con la
Gran Bretagna, memore anche dell’antico
passato atlantico, tentando – anche qui –
di uscire dalla tenaglia dell’egemonia francotedesca. La stessa Germania, dopo
l’ubriacatura elettorale di Schröeder che
ha consentito di vincere le elezioni per
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pochi voti, sta facendo marcia indietro dal
punto di vista pratico, tant’è che non viene
minimamente messa in discussione la possibilità di concedere agli Stati Uniti basi,
spazi aerei, infrastrutture e quant’altro
per l’azione in Iraq. La Turchia sta attraversando una fase di turbolenza interna
ma, anche in questo caso, si arriverà ad
una esplicitazione della ragion di Stato,
con la Turchia che vuole esercitare un
ruolo di potenza regionale nell’area. I
paesi dell’est hanno rifiutato lo strapotere
e l’egemonia della Francia, dicendo: ci
avete chiamato all’interno dell’Unione europea e vogliamo avere una posizione
autonoma. Qualcuno gli ha spiegato che
non potevano avere una posizione autonoma, qualcuno ha pensato che questi
paesi, forse, potessero e dovessero avere
soltanto un ruolo di comprimari all’interno dell’Unione europea. Ma questa non
è una visione democratica dell’Unione europea. Anche il Belgio sta tornando su
posizioni realistiche, tant’è che il Premier
belga ha richiamato all’ovile – se cosı̀ si
può dire – le posizioni dell’estemporaneo
e bizzarro ministro degli esteri Michel. Gli
unici neutrali sono gli austriaci. Si tratta
di un paese tradizionalmente neutrale,
all’interno del quale ha un peso politico il
ben conosciuto Jörg Haider. Ricordiamo
come, un po’ di tempo fa, l’Ulivo italiano
ed europeo avesse scatenato la guerra
santa contro l’Austria, accusata di violare
i diritti umani all’interno dell’Unione europea. Vedo che adesso l’Ulivo è schierato
sulle posizioni austriache e, dunque, anche
sulle posizioni Jörg Haider.
Ho ricordato tutto ciò, per ribadire che
non esiste paese, a prescindere dalla posizione di contrarietà, di perplessità e di
appoggio tenuto nel corso della diplomatica e politica, che rifiuterà l’uso delle basi
agli Stati Uniti. Dunque, chiedere che non
vengano concesse le basi, come fa la
risoluzione n. 6-00056 firmata dall’intero
l’Ulivo – questo « sı̀ », è un momento di
unità politica; devo ammettere che si è
arrivati all’unità politica all’interno dell’Ulivo –, oggettivamente significa che questa richiesta è funzionale al regime di
Saddam e al suo tentativo disperato di
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difesa. E questo deve essere detto, perché
non esiste alcun motivo di ordine geopolitico, diplomatico, giuridico internazionale
e di interesse nazionale – aggiungiamo noi
– per non concedere le basi agli angloamericani. Esiste, invece, un interesse tutto
nazionale, tutto provinciale, tutto partigiano da parte dell’Ulivo, – lo ripeto – a
prescindere dall’interesse nazionale: in altre parole, si tratta di una nuova arma per
colpire il Governo Berlusconi, da mettere
nel calderone delle accuse con la RAI, con
l’articolo 18, con i fatti di Genova, con la
giustizia, a prescindere dalla situazione
internazionale.
In conclusione, noi deputati del gruppo
della Lega nord Padania, rivolgendoci ai
cittadini di questo paese, diciamo che si
può discutere e si deve discutere, anche
con spirito critico, su come dovrà essere il
mondo di domani. Probabilmente, si tratterà di un mondo che dovrà trovare nuovi
meccanismi di multipolarità e non potrà
accettare sicuramente un ruolo egemone
da parte degli Stati Uniti. Questa è la
grande missione dell’Unione europea. Su
questo si può discutere. Su questo si può
essere d’accordo. Ma, sicuramente, non si
può discutere, come fa l’opposizione di
questo paese, su decisioni come quella di
non concedere le basi, che, in ultima
istanza, non farebbero che renderci complici di dittatori sanguinari come Saddam
Hussein (Applausi dei deputati del gruppo
della Lega nord Padania).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare
l’onorevole Folena. Ne ha facoltà.
PIETRO FOLENA. Signor Presidente,
oggi, la migliore risposta allo strappo costituzionale, politico e perfino morale, rispetto alle parole del pontefice, provocato
dal Presidente del Consiglio con l’adesione
alla coalizione guidata dagli Stati Uniti che
si appresta a scatenare una guerra unilaterale e illegittima contro l’Iraq, viene dal
documento comune sottoscritto dall’Ulivo
e da Rifondazione comunista.
Alla stragrande maggioranza degli italiani che sono contro la guerra – tantissimi dei quali sono vostri elettori, colleghi
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della maggioranza, cittadini lontani dalla
sinistra – oggi con poche, nette e semplici
parole parla questo nostro documento e
dice con precisione cosa il centrosinistra
avrebbe fatto se fosse stato al Governo:
l’Italia, nel solco del suo europeismo, sarebbe stata al fianco della Francia e della
Germania.
È stato umiliante per noi parlamentari
della Repubblica dover apprendere da Colin Powell – attraverso una notizia ANSA
battuta alle 18.03 di ieri – che l’Italia fa
parte di quella che con un certo cinismo
è stata chiamata « coalizione dei volenterosi ». È stato umiliante per il Parlamento
e la nazione, visto che poche ore prima il
ministro Giovanardi, davanti alle Commissioni esteri riunite, aveva letto i mattinali
delle questure di Pisa e di Vicenza sulle
proteste dei pacifisti e comunicato, per la
verità con quattro anni di ritardo, la
posizione critica dell’attuale Governo non
su questa guerra ma su quella del 1999 in
Kosovo (Applausi dei deputati dei gruppi
dei Democratici di sinistra-l’Ulivo e della
Margherita, DL-l’Ulivo).
Quindi, anche l’onorevole Berlusconi è
un volenteroso: da ieri pomeriggio, ore
18.03. Sinceramente, l’avevamo sospettato,
malgrado il fatto che volando a Mosca si
fosse sforzato di dire a Putin che era
perfettamente d’accordo con lui. Un volenteroso, s’intende, della serie « armiamoci e partite », ma pur sempre un volenteroso.
Questa guerra con l’appoggio dell’Italia
avrà conseguenze drammatiche. Accanto
alle migliaia di vittime e alla distruzione
determinata dalla tempesta di tremila missili che si sta per abbattere sull’Iraq,
questa guerra alimenterà nuovo terrorismo, nuova violenza, nuova insicurezza e
nuove guerre. La vicenda di Israele e della
Palestina – violenza e terrorismo, guerra e
kamikaze – lo dimostra tragicamente.
Questa guerra ecciterà uno scontro di
civiltà ed una contrapposizione drammatica fra una parte, solo una parte ma
importante, del mondo occidentale ed il
mondo islamico, e poi il mondo cinese e
quello indiano e quello africano e quello
latino-americano: una contrapposizione
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che sarà vissuta dai poveri, dagli ultimi,
dai diseredati del pianeta, come una
guerra dell’egoismo e del privilegio, come
una guerra del petrolio, di un certo stile di
vita consumistico e di questo modello di
sviluppo non sostenibile.
Sia chiaro, diciamo questo in nome
della più radicale opposizione al dittatore
Saddam e a tutti i dittatori: dopo l’11
settembre – lo si doveva già capire dopo
il 1989 – è finito il tempo di ogni relativismo etico; è la doppiezza dei ricchi e dei
forti del mondo ad aver foraggiato in tutti
i continenti i dittatori e la sistematica
violazione dei diritti umani. Quei gas all’Iraq sono stati forniti all’inizio degli anni
ottanta dall’Occidente nella guerra contro
Khomeini, ma quanti gas e quante armi di
distruzione vengono fabbricate e fornite
per ragioni di potenza ancora oggi in ogni
parte del mondo ? Nessuno di noi, per
esempio, solidale con la causa del Tibet,
immagina di risolvere questa causa con la
guerra alla Cina. I diritti umani non si
affermano con le bombe e con i cannoni,
ma con l’azione economica, politica e
diplomatica, con gli ispettori che stavano
ottenendo in Iraq risultati crescenti e
documentabili e che sono andati via ieri
da Bagdad. Un sostegno attivo alla Corte
penale internazionale, boicottata dagli
Stati Uniti e da altre grandi potenze.
Senza doversi per forza dichiarare gandhiani, dobbiamo sapere che, nell’epoca
contemporanea, i mezzi determinano il
fine, spesso coincidono con il fine e la
prima violazione dei diritti umani è la
guerra: sono le vittime civili. È stato detto
recentemente dall’onorevole Mussi che
questa è una guerra costituente di un
nuovo assetto del mondo. Brzezinski, recentemente, criticando gli errori di Bush,
ha parlato di un riallineamento strategico
planetario provocato da questa guerra. È,
nella sua ispirazione, una guerra mondiale
e lo può perfino tragicamente diventare
nel suo sviluppo.
Questa guerra globale, oggi nel teatro
iracheno, viene condotta, senza e contro
l’ONU, da una coalizione di paesi che
rappresentano il 15,6 per cento della popolazione mondiale: 946 milioni di abi-
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tanti. Con il Giappone, che ha dichiarato
che parteciperà solo al dopoguerra, il 17,6
per cento, una minoranza.
A questi trenta volenterosi, fra cui
l’Italia, si aggiunge una figura inedita nel
panorama internazionale, quella dei quindici paesi « incappucciati » dall’anonimato
perché, di fronte alle loro opinioni pubbliche, si vergognano di ammettere il sostegno interessato a posizioni non difendibili: non sappiamo se, fino a ieri pomeriggio, anche l’onorevole Berlusconi avesse
l’ambizione di essere in questa specialissima lista. Avrebbe, tuttavia, potuto risparmiarci la rimasticatura dell’inutile tentativo fatto ieri da Blair di dimostrare la
legittimità di questo intervento. Berlusconi
ha fatto riferimento al combinato disposto
delle risoluzioni n. 687, che avviò la
guerra del 1991, n. 678, che la sospese, e
n. 1441.
Ci ha spiegato che è d’accordo con
Boutros Ghali, che però, purtroppo, non è
il Segretario generale delle Nazioni Unite
perché si chiama Kofi Annan e quest’ultimo ha detto che questa guerra non è
legittima. A parte che per ridare vigore ad
una risoluzione sospesa dal Consiglio di
sicurezza occorreva un’altra risoluzione –
stiamo parlando di bombardamenti ad
obiettivi militari nel 1993 e nel 1998,
quest’ultimi criticati, peraltro, dall’Italia e
da larga parte dell’Europa perché unilaterali – e non certo un’invasione di un
paese che non fu compiuta neppure nel
1991 perché neanche allora era autorizzata dalle Nazioni Unite, se è vero che la
coalizione non entrò a Bagdad. La risoluzione n. 1441 – che non autorizza né i
bombardamenti né tantomeno un’invasione – non contempla in alcun modo
l’obiettivo dell’esilio di Saddam e dei suoi
familiari, cuore dell’ultimatum di 48 ore
dato da Bush nella notte fra il 17 e il 18
marzo.
Del resto, come ha notato poco fa
l’onorevole Fiori, se questa guerra è legittima, come dice Berlusconi, addirittura la
prosecuzione dal punto di vista giuridico
di quella del 1991, perché l’Italia non vi
partecipa direttamente, come fece, invece,
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con la posizione anche allora contrastata
e non popolare ma decisa con fermezza,
con dignità e con coraggio ?
La verità è una sola: questa guerra è
illegittima e colpisce le Nazioni Unite. Del
resto, lo ha detto anche Berlusconi il 27
febbraio quando ha affermato che l’azione
militare di un paese al di fuori delle
Nazioni Unite sarebbe un fatto talmente
nefasto che nessuno si sarebbe caricato di
una responsabilità cosı̀ grave (Applausi dei
deputati del gruppo dei Democratici di
sinistra-l’Ulivo).
Quattro paesi del Consiglio di Sicurezza
fanno parte della lista dei trenta ed è nel
fatto che erano 4 su 15, onorevole Frattini,
la ragione – prima che nella giusta, sacrosanta (dobbiamo ringraziare la Francia
per questa posizione) e ferma decisione
francese e russa di votare contro il progetto degli Usa e della Gran Bretagna –
dello strappo compiuto da Bush verso le
Nazioni Unite.
Ma il colpo più duro all’Europa è stato
inferto anche dalla posizione italiana. Nel
riallineamento strategico gli Stati Uniti
chiudono a tenaglia (Gran Bretagna e
Spagna da una parte, Polonia ed ex paesi
comunisti dall’altra) la Francia e la Germania, il nucleo fondatore dell’impresa
europea. L’Italia, il paese fondatore dell’Europa, ha attivamente partecipato, contro i propri interessi nazionali, a questa
operazione per debolezza politica. Berlusconi ha detto che si tratta di un capolavoro diplomatico. È davvero un bel capolavoro diplomatico perché rischiamo di
tornare mestamente ad essere – noi che
siamo stati il paese di Spinelli, noi che
abbiamo vissuto e raggiunto con Prodi la
grande sfida del 1998 – una mera espressione geografica: ci metteremo del tempo
a riparare questi danni.
Si lasci stare il Kosovo: ogni guerra è
una tragedia e le bombe sono sempre
stupide e terribili. Le scelte e le decisioni
di allora furono contrastate, sofferte e
fatte non a cuor leggero anche da chi le
condivise, ma nessuno può negare che
allora l’evidenza del genocidio e della
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pulizia etnica imponeva un’azione umanitaria e che tutta la NATO e l’Europa unita
parteciparono a quel conflitto.
Questa è l’illegittimità di una guerra
fuori e contro le Nazioni Unite. Sono le
ragioni della nostra richiesta volta a non
fornire alcun supporto politico, diplomatico, operativo e logistico – incluse le basi
militari – a qualunque azione che configuri un coinvolgimento dell’Iraq. Posizioni
analoghe sono state sostenute in queste
ore da Francesco Cossiga e da Bobo Craxi.
Si è fatto riferimento al Trattato della
NATO ma non c’entra niente perché esso
stabilisce obblighi di assistenza assunti
dagli Stati partner che hanno per oggetto
la legittima difesa successiva, cioè quella
che si esercita dopo che abbia avuto luogo
un attacco armato, in questo caso da parte
dell’Iraq.
È esattamente il contrario. Anzi, la
disponibilità italiana all’uso delle basi ed
al sorvolo configurerebbe un coinvolgimento indiretto, ma evidente dell’Italia, in
violazione del diritto internazionale. Non
vi è un pregiudizio antiamericano in una
posizione come questa: vi è un pregiudizio,
sı̀, ma contro la guerra. Molti di noi si
sono abbeverati per anni nella cultura, nel
cinema, nella musica e nella letteratura
americana; abbiamo, in particolare, letto
da ragazzi « Addio alle armi » di Hemingway che fa dire al tenente Passini: la
guerra non si vince con la vittoria ! Poiché
di guerre ne ho fatte troppe – scrive
Hemingway nella prefazione a quello
straordinario capolavoro – sono certo di
avere dei pregiudizi e spero di avere molti
pregiudizi.
Non è sostituendo, come fa qualche
estremista di ieri e di oggi il libretto rosso
di Mao con la bandiera a stelle e a strisce
che si è amici degli americani, ma piuttosto, condividendo con il senatore americano Byrd che un massiccio attacco
militare ad un paese nel quale è presente
il 50 per cento di bambini non è nelle
tradizioni altissime e morali degli Stati
Uniti d’America. Forse Bossi e Castelli, che
ora propongono di chiudere le frontiere ai
profughi, dovrebbero meditare sulle parole
dell’amico senatore americano Byrd.
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Ora che la parola sta passando alle
armi, vogliamo in questo clima drammatico e difficile tuttavia salutare un novità
positiva: dobbiamo fare i conti con quel
sedicesimo membro del Consiglio di sicurezza dell’ONU, l’opinione pubblica mondiale, guidata da personalità come il Papa
e animata da milioni di bandiere dai
nostri balconi. La prepotenza, che ora
sembra prevalere in queste ore difficilissime, non potrà d’ora in avanti non fare i
conti con essa (Applausi dei deputati dei
gruppi dei Democratici di sinistra-l’Ulivo,
della Margherita, DL-l’Ulivo e Misto-Comunisti italiani – Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare
l’onorevole Ramponi. Ne ha facoltà.
LUIGI RAMPONI. Signor Presidente,
durante gli ultimi 5 mesi, l’argomento Iraq
è stato al centro dell’attenzione internazionale ed ha permeato di sé i dibattiti in
sede parlamentare. Più volte il Governo si
è presentato alle Camere per indicare la
linea politica scelta dall’Italia in funzione
dell’evolversi della situazione. Anche nell’ultimo dibattito, tenuto in quest’aula il
giorno 19 del mese scorso, ha confermato
la linea politica adottata che si sostanziava
in cinque punti fondamentali, identici a
quelli scritti nel comunicato emanato a
seguito della riunione tenuta dal Consiglio
europeo per discutere la crisi irachena:
centralità dell’ONU e responsabilità del
disarmo iracheno innanzitutto al Consiglio
di Sicurezza, impegno per una soluzione
pacifica e ricorso alla guerra come ultima
risorsa, sostegno agli ispettori, dovere del
regime iracheno di porre fine alla crisi,
ottemperando le richieste del Consiglio di
sicurezza, impegno ad operare con tutti i
nostri partner, specialmente con gli USA
per il disarmo dell’Iraq, la pace e la
stabilità della regione e per un futuro
dignitoso per tutta la sua popolazione.
Il Governo, Alleanza nazionale e tutti i
partiti della maggioranza si sono costantemente impegnati nel rispetto di tali punti
fondamentali, in un quadro di situazione
internazionale che, fino al pomeriggio di
ieri, lo consentiva. Da ieri la situazione è
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mutata. Gli Stati Uniti, la Gran Bretagna,
la Spagna, quali nazioni presenti al momento nel Consiglio di Sicurezza, appoggiate da altre nazioni, hanno ritenuto di
non poter più accettare oltre, dopo quattro
mesi e mezzo, la scarsa ed inadeguata
risposta da parte irachena alle richieste
degli ispettori. Hanno inviato un ultimatum di 48 ore a Saddam Hussein perché
lasci il paese, pena l’inizio delle ostilità. La
risposta è stata sinora negativa.
Nel contempo gli Stati Uniti d’America
hanno richiesto, come ha detto il Governo,
l’uso delle basi. È saltata la possibilità di
una risoluzione delle Nazioni Unite ed è
decaduto il discorso degli ispettori. È imprevedibile, anche se non è da escludere
completamente, un ripensamento di Saddam Hussein. Si è comunque giunti alle
soglie di un’iniziativa bellica.
Gli Stati Uniti d’America, da sempre
nostri alleati, chiedono l’uso delle basi.
Questo è il quadro politico che ci si
presenta. Non appare politicamente produttivo negare questo utilizzo perché non
porterebbe a nessun progresso verso una
soluzione pacifica; non servirebbe assolutamente a nulla ! Porterebbe invece all’unico risultato di una frattura nei rapporti con gli Stati Uniti d’America, senza
favorire un rasserenamento né in ambito
NATO né in quello dell’Unione europea e
senza ristabilire la credibilità delle Nazioni
Unite, che sono gli obiettivi che tutti voi
dichiarate di perseguire.
Si deve prendere atto, nostro malgrado,
del fallimento della ricerca di una soluzione pacifica, ricerca durata quattro
mesi. Si tratta di un fallimento dovuto a
Saddam Hussein e non a qualcun altro.
Bisogna anche ricordare, quando si parla
di soluzione diplomatica o pacifica, che da
dodici anni si sta cercando la soluzione
diplomatica e pacifica. Da dodici anni,
attraverso le sanzioni ed il controllo della
vendita dell’olio, si è tentato di attuare gli
strumenti pacifici. I risultati sono stati la
disastrosa situazione nella quale oggi si
trova il popolo iracheno. Il fallimento è
dovuto a Saddam Hussein e a nessun
altro !
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In questo momento l’Italia deve scegliere: una scelta decisiva, non quella di
sventolare una bandiera, tra l’attuale regime iracheno e gli Stati Uniti d’America,
ricordando, prima di decidere, quale sia,
per chi fa tante citazioni storiche, il retaggio storico che sta dietro a ciascuna
delle due parti; retaggio storico che tutti
conosciamo molto bene.
È esaurito il tempo per una soluzione
pacifica e non possiamo che decidere a
favore del nostro alleato di sempre, aiutandolo, come lui ha fatto tante volte con
noi. Tale decisione sarà una decisione
politica che assume il Parlamento e che ha
gli stessi crismi di legalità e costituzionalità che hanno avuto le precedenti decisioni qui assunte di partecipare prima alla
guerra alla Serbia per il Kosovo e più
recentemente, decisione da noi approvata,
la guerra della coalizione contro i taliban
e l’Afghanistan.
L’intervento armato contro la Serbia,
illustri signori, non era « coperto » da una
risoluzione e non era fra quelli previsti dal
Trattato del nord Atlantico, perché la
Serbia, come ha ben ricordato l’onorevole
Folena, parlando stavolta dell’Iraq, non
aveva portato alcun attacco armato a nessun paese dell’Alleanza.
Lo stesso dicasi per l’operazione Enduring Freedom dal momento che essa è
stata decisa non a seguito di una risoluzione esplicita da parte del Consiglio di
sicurezza, né ha la patente della NATO,
pur essendo stato aggredito l’11 settembre
uno dei suoi partner.
Furono entrambe decisioni che il mio
partito ed io abbiamo condiviso, conseguenti ad una chiara analisi ed ad una
valutazione della situazione, come deve
essere quella di oggi in cui si approva la
concessione del sorvolo e l’utilizzo delle
basi da parte dell’alleato americano. L’alleato americano che, lo ricordo a tutti, è
impegnato comunque in una difficile lotta
per eliminare una minaccia alla sicurezza
della società mondiale che nessuno nega,
ma che nessuno dice come si possa eliminare in altro modo (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale –
Congratulazioni).
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PRESIDENTE. È iscritta a parlare
l’onorevole Deiana. Ne ha facoltà.
ELETTRA DEIANA. Signor Presidente,
onorevoli colleghi, questa guerra, come
hanno già ricordato altri colleghi, non ha
nulla a che vedere con le ragioni che sono
state accampate da Bush per giustificarla
e che il Governo Berlusconi ripete pedissequamente contro ogni logica ed evidenza. Non c’entrano le armi di distruzione di massa, che forse ci sono o, molto
probabilmente, non ci sono. Non c’entra
l’efferatezza del regime, che sicuramente
c’è. Non c’entra nulla comunque ! Non
c’entra nulla il terrorismo internazionale.
L’idea neocoloniale e sopraffattrice di
mettere ordine nel mondo, di esportare la
democrazia sulla punta delle baionette
moderne all’uranio impoverito rappresenta, in realtà, l’involucro ideologico di
un piano politico-militare molto preciso:
l’Iraq deve diventare un protettorato americano, lo ha ripetuto anche ieri il portavoce della Casa Bianca, Fleischer, dicendo
ai giornalisti che, se anche il raı̀s se ne
andasse in esilio, le truppe americane
dovrebbero ugualmente intervenire in Iraq
per rimettere in ordine le cose e garantire
la pace e la sicurezza.
Siamo di fronte ad una gigantesca operazione di penetrazione statunitense nel
continente asiatico, ad un processo di
destabilizzazione e disgregazione degli assetti statuali dell’Asia centrale, che è il
vero grande tema di politica internazionale attorno al quale dovremmo discutere.
Si discute, invece, delle fandonie di Bush
e delle fandonie di Berlusconi, dimenticando di fare i conti con quanto è già
successo in quell’area del mondo, a cominciare dall’Afghanistan, prima tappa di
questo processo che ha permesso di mettere sotto occupazione militare statunitense larga parte dell’Asia centrale. Questa
guerra va ben oltre la stessa questione –
peraltro non irrilevante – dei pozzi petroliferi: mira al dominio unilaterale del
mondo attraverso la superiorità militare
assoluta di cui godono gli Stati Uniti
d’America.
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È il progetto americano del nuovo ordine mondiale, lungamente dibattuto in
tutte le salse negli ambienti militari statunitensi, che oggi si manifesta in tutta la
sua portata e violenza. Un progetto incubato lungamente negli anni novanta, interpretato diversamente a seconda di chi
occupasse la Casa Bianca. Le guerre del
decennio degli anni novanta sono figlie di
questa incubazione. Oggi, Bush ha reso
radicale e inequivocabile quel progetto e,
come tutti i personaggi animati da forte
vocazione fondamentalistica, come è lui, lo
ha esplicitato, sottraendogli l’involucro di
ogni ipocrisia, appalesandolo in tutta la
sua devastante violenza.
Con la guerra di Bush contro l’Iraq è
diventato evidente che l’idea della guerra
preventiva e duratura, della supremazia
militare permanente, del potere di decisione unilaterale costituisce la bussola
strategica della politica estera statunitense
del nuovo secolo. Gli interessi immediati
della superpotenza, il controllo diretto
delle risorse energetiche e quelli di lunga
durata – appunto il nuovo ordine mondiale – sono stati posti al mondo con
brutale evidenza.
È per questa ragione che l’Europa è
andata in crisi, perché qualcuno, in Europa, ha cominciato a preoccuparsi di una
dinamica politica che, se non verrà contrastata, ridurrà l’Europa al ruolo di giullare dell’imperatore, a quel ruolo che già
oggi Blair, Aznar e Berlusconi in vario
modo hanno giocato sulla scena pubblica.
Cosı̀ si spiega la crisi della stessa NATO e
dell’ONU e si spiegano le resistenze di
governi di paesi con grandi difficoltà economiche che, tuttavia, non si sono voluti
piegare all’indegna « campagna di acquisti » organizzata da Bush per assicurarsi la
maggioranza nel Consiglio di Sicurezza.
L’ONU, la NATO, l’Europa entrano in
fibrillazione perché la pretesa degli Stati
Uniti di dettare legge, di fare ordine, di
giudicare e punire mette in allarme il
mondo. Ed è per questa ragione che si è
registrata una cosı̀ vasta insorgenza dell’opinione pubblica contraria alla guerra e
si sono mescolati movimenti, soggetti, culture, storie diverse di donne e di uomini
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accomunati da un « no » alla guerra che
non ha precedenti nella storia per vastità,
ostinazione, intensità. Che cosa desta
preoccupazione, che cosa inquieta le coscienze oggi ? I bombardamenti sulle città
irachene ? I terribili cosiddetti effetti collaterali ? La sofferenza degli inermi ? Certamente tutto questo, ma anche lo scombussolamento di ogni riferimento internazionale, la percezione del rischio che un
baratro si è aperto di fronte a noi. Questa
guerra, infatti, per la sua intrinseca natura
di laboratorio della nuova dottrina militare americana, di prova generale della
guerra preventiva di lunga durata che
l’Amministrazione Bush ha promesso al
mondo per i prossimi trent’anni, comporta
la deflagrazione e l’azzeramento di quell’ordine internazionale faticosamente costruito dopo la catastrofe della seconda
guerra mondiale.
Ordine certamente imperfetto, deficitario, contraddittorio quanto vogliamo, ma
ancorato ad un’idea grande che la guerra
fosse un disastro da non ripetere più, che
la costruzione del diritto internazionale
fosse un bene da difendere ed irrobustire,
che l’ONU fosse uno strumento di mediazione essenziale e necessaria per garantire
la convivenza tra i popoli del mondo.
Tutto questo, oggi, costituisce, invece,
per l’amministrazione Bush, un inutile
ingombro, lacci e lacciuoli da spezzare,
come sta facendo George W. Bush. Guerra
criminale, dunque, questa, cari signori del
Governo, come giustamente l’ha definita
addirittura il Papa, guerra criminale
perché massacra i corpi inermi di donne
e uomini, uccide ogni legalità e mina alle
radici la convivenza tra i popoli; un
aspetto che non è stato sottolineato sufficientemente. Essa, infatti, rischia di aprire
un solco enorme tra l’occidente ed il
mondo islamico, di fomentare quella terribile dinamica di scontro tra civiltà che
sta diventando o rischia di diventare sempre più l’elemento sovraordinatore del
contesto internazionale.
Voi, signori del Governo, avete certamente i numeri per assicurarvi, in questa
sede, l’appoggio al vostro sı̀ alla guerra, al
vostro sı̀ al coinvolgimento diretto dell’Ita-
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lia in questa infame avventura internazionale, all’assenza all’uso delle basi e dei
cieli da parte degli Stati Uniti. D’altra
parte, lo avete già fatto mettendo a disposizione l’intero nostro paese per i traffici
di morte degli Stati Uniti d’America.
Ma sarà un voto di cui noi non riconosceremo la legittimità, perché non basta
la maggioranza per prendere questo tipo
di decisioni. Bisogna stare alla Costituzione che conferisce legittimazione ad ogni
decisione che parli della pace e della
guerra !
La violazione dell’articolo 11 non potrebbe essere più evidente di fronte ad una
relazione come quella del Presidente del
Consiglio. E più evidente non potrebbe
essere la pretestuosità del richiamo alla
volontà popolare di cui si nutre tradizionalmente la propaganda mediatica del
Presidente del Consiglio. Non è forse di
dominio pubblico, confermato dai sondaggi, dalle mobilitazioni costanti, da due
milioni e mezzo di bandiere per la pace
che sventolano in ogni dove, che la stragrande maggioranza della popolazione di
questo paese, la guerra proprio la vuole ?
Volontà popolare e spirito costituzionale
vanno, su questo punto, insieme, in maniera straordinaria, e forse al premier
Berlusconi, questo, fa proprio paura, e
della volontà popolare ha deciso di infischiarsene o di ingannarla grottescamente,
continuando a raccontare...
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PRESIDENTE. È iscritto a
l’onorevole Selva. Ne ha facoltà.
parlare
GUSTAVO SELVA. Signor Presidente,
onorevoli colleghi, non ho alcuna difficoltà
a confessare che, forse, questo, tra i tanti
discorsi che ho pronunciato in quest’aula
da nove anni a questa parte, è, per me, il
discorso più difficile e delicato. Lo è
perché sono un cattolico; lo è perché del
Papa non accolgo soltanto le verità eterne,
ma cerco, nel limite del possibile, di applicare anche le verità terrene. Eppure,
stavolta, debbo dire, naturalmente senza
alcun riferimento diretto a ciò che il Santo
Padre ha fatto e continuerà a fare, che
l’esortazione del Santo Padre era seguita,
e da seguire, fin tanto che c’era una, anche
una sola possibilità di poter evitare la
guerra.
È ciò che, del resto, il Governo italiano
ha fatto; è ciò che chi vi parla, presidente
pro tempore della Commissione affari
esteri ha fatto.
ALFREDO BIONDI. Lunga vita !
GUSTAVO SELVA. In tutte le sedi dove,
in questi mesi, poteva essere pronunciata,
la parola del presidente della III Commissione è stata pronunciata per evitare la
guerra.
PRESIDENTE. Onorevole Deiana...
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
PUBLIO FIORI (ore 15,03)
ELETTRA DEIANA. Sto per concludere, signor Presidente... la favola del suo
impegno per la pace, mentre il Segretario
di Stato americano rende pubblica la lista
dei volenterosi e gli Stati Uniti d’America
ci annoverano tra i paesi amici.
Per questo, continueremo a chiedere
conto di ogni vostra azione di guerra, di
ogni vostro atto di guerra e a batterci in
Parlamento e nel paese contro la vostra
cortigianeria bellicistica che coinvolge
l’Italia in un’avventura moralmente indegna e politicamente squalificata (Applausi
dei deputati dei gruppi di Rifondazione
comunista e dei Democratici di sinistral’Ulivo).
GUSTAVO SELVA. Oggi, onorevoli colleghi della sinistra, io credo che questa
speranza non sia più una realtà possibile.
Sulle responsabilità, quando queste saranno esaminate, vi saranno giudizi più
sereni. Il mio giudizio, oggi, è che Saddam
Hussein non abbia colto nemmeno l’ultima
possibilità, l’ultima chiave offertagli dal
Presidente degli Stati Uniti per abbandonare il solco che fin qui aveva seguito e
per fare tutto ciò che non aveva fatto
prima per evitare la guerra. Andare in
esilio ? Non ci va ! Non ci va ! Accetta,
piuttosto, un pericolo grave per il suo
popolo !
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Ciò non toglie, naturalmente, che ci sia
un dovere importante da parte nostra. Il
nostro dovere importante è che questo
pericolo per il suo popolo venga finalmente a terminare e che non debba perpetuarsi il pericolo per altri Stati e per
altri popoli. Vedete, onorevoli colleghi
della sinistra, nel carnet politico e militare
di Saddam Hussein c’è l’invasione del
Kuwait; c’è il non avere offerto prove
concrete di aver distrutto i mezzi di annientamento di massa. Questo c’è nel carnet di Saddam Hussein !
Del resto, non faccio che ripetere le
vostre parole: il regime di Saddam Hussein
è un miscuglio di nazionalsocialismo, stalinismo ed Islam, privo di qualsiasi scrupolo, violento, repressivo, sessuofobico. Se
faccio la sintesi di ciò che ho sentito da
varie parti, dai « verdi » ai « rossi », sono
queste le espressioni uscite dalle vostre
bocche.
Ecco la ragione per la quale, ripeto –
non è una verità eterna –, la guerra è
nell’ordine delle cose che l’umanità, purtroppo, ha sempre conosciuto. Allora, rivolgendomi in modo particolare all’opposizione, cito un giornale, che non è il
Secolo d’Italia sul quale scrivo io, ma il
Riformista e, con molta serenità, vi invito
a meditare su queste parole nel momento
in cui gli Stati Uniti d’America assumono,
con la Gran Bretagna ed altri paesi, la
grave responsabilità di impiegare l’arma
finale costituita dall’intervento militare.
Scrive il Riformista: l’opposizione ha
argomenti per opporsi ad una guerra che
ritiene illegittima ma non ha argomenti
per trasformare questa opposizione in
ostilità e boicottaggio (ripeto: ostilità e
boicottaggio) nei confronti di un alleato di
mezzo secolo (ho già posto in luce qui, in
altra occasione nella quale ho avuto
l’onore di parlare, quali motivi di riconoscenza abbiamo nei confronti degli Stati
Uniti d’America). Nemmeno Chirac negherà il diritto di sorvolo dello spazio
aereo della Francia ! Nemmeno Schröder
negherà l’uso delle basi ! È ovvio – scrive
il Riformista – che sia cosı̀. A guerra
cominciata, la disputa giuridica e politica
è finita.
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L’Italia deve sperare che questo scontro
sia breve, il meno cruento possibile, e deve
sperare – lo dice il Riformista – che lo
vincano gli americani. Per questo deve
concedere il diritto di sorvolo e l’uso delle
basi. L’Italia deve operare perché il dopo
guerra, a differenza della guerra, sia multilaterale e recuperi quella funzione dell’ONU e dell’Unione europea, che tutti
ardentemente auspichiamo.
Noi da questi banchi abbiamo sostenuto sempre la funzione centrale dell’ONU,
dell’Alleanza
Atlantica,
della
Unione europea, cosı̀ come il Presidente
della Repubblica, richiamato giustamente
molto spesso in questo dibattito, ci ha
detto. Per questo – ed è la frase finale
diretta a voi dell’opposizione –, l’opposizione deve dichiararsi disposta ad inviare soldati e mezzi nell’Iraq liberato.
L’Italia deve sperare che la solidarietà
atlantica, che si è rotta nella NATO,
venga ristabilita. Per questo deve confermare la sua collaborazione militare nell’alleanza. Quella collaborazione che il
Presidente del Consiglio stamattina, con
grande chiarezza, ha definito nei suoi
termini, essenzialmente, senza impegno di
uomini e di mezzi nel terreno dello
scontro. « Non si capisce dunque » – per
ripeterlo con le parole rivolte da il Riformista a voi della sinistra – « perché
l’opposizione sia saltata alla giugulare del
ministro Frattini che sul nostro giornale
ha descritto esattamente cosı̀ le intenzioni del Governo italiano ».
Sembra ci sia una notizia non confermata della radio israeliana (faccio da
giornalista in questo momento): Tarek
Aziz sarebbe stato ucciso dopo un tentativo di fuga. Chiudo la parentesi.
Questo è quello che il Governo e questa
maggioranza ritengono, anche con questi
delicati problemi di coscienza evocati dal
mio amico che in questo momento presiede la nostra Assemblea: a lui che ha
dichiarato, applaudito dalla sinistra, il suo
voto non favorevole sulla risoluzione della
maggioranza, dico soltanto una cosa (e qui
probabilmente l’anima visceralmente anticomunista mi sarà ancora rimproverata):
Lenin ha detto che quando il nemico di
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classe ti loda vuol dire che stai sbagliando.
Non vorrei che gli applausi che ha ricevuto
da questi banchi Publio Fiori fossero una
conferma di quanto Lenin diceva (Applausi
dei deputati dei gruppi di Alleanza nazionale e di Forza Italia).
Per quanto mi riguarda, ripeto, io non
ho nessuna difficoltà a dire che anche
come cattolico, nell’esercizio di una funzione civile, nell’esercizio di una funzione
statale, darò il mio pieno consenso a
quello che il Presidente del Consiglio questa mattina ha detto, con argomentazioni,
con principi che tendono essenzialmente a
considerare il lavoro che dovremo fare nel
dopoguerra.
L’ANSA ha commesso un errore, che
penso sia solamente un errore tipografico, dando la notizia, questa mattina,
che alla seduta del Consiglio supremo di
difesa c’era il ministro Gaetano Martino,
ministro della difesa. Ora, il compianto
ministro Gaetano Martino è stato ministro degli esteri ed è il padre di Antonio
Martino. Bene, mi auguro che come Gaetano Martino ebbe la forza, dopo il veto
francese – francese ! – alla CED, di far
riprendere il cammino dell’integrazione
europea nelle conferenze di Venezia e di
Messina, cosı̀ noi avremo la forza di
riprendere il valore dell’Alleanza Atlantica, l’importanza decisiva dell’ONU, con
la determinazione di costruire l’Europa
unita di tutti i paesi che amano i valori
che i De Gasperi, gli Schuman, gli Adenauer portarono avanti per le sorti di
questo nostro paese (Applausi dei deputati
dei gruppi di Alleanza nazionale e di Forza
Italia).
Preavviso di votazioni elettroniche
(ore 15,13).
PRESIDENTE. Poiché nel corso della
seduta potranno aver luogo votazioni mediante procedimento elettronico, decorrono da questo momento i termini di
preavviso di cinque e venti minuti previsti
dall’articolo 49, comma 5, del regolamento.
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Si riprende la discussione
sulle comunicazioni del Governo.
(Seguito discussione)
PRESIDENTE. Vi sono alcuni interventi
a titolo personale. È iscritto a parlare
l’onorevole Fioroni. Ne ha facoltà.
GIUSEPPE FIORONI. Signor Presidente, colleghi, ho ascoltato con profondo
sconcerto le dichiarazioni rese dal Presidente del Consiglio, onorevole Berlusconi;
mi sono chiesto: sono queste le dichiarazioni che deve rendere il Capo del Governo, il Capo del nostro Governo, le
dichiarazioni che deve rendere un Presidente del Consiglio, per editto: pregiato del
titolo di volenteroso ? Dichiarazioni che a
me sono sembrate superficiali e veloci che
può rendere, forse, anche un disattento e
confuso cittadino del nostro paese e dalle
quali, però, trapelava, in modo palpabile
ed evidente, la difficoltà dell’onorevole
Berlusconi, di non riuscire a celare il
disagio di chi è pienamente consapevole e
cosciente che è altrove che si è deciso e
che si stava decidendo. Credo che quest’Assemblea non abbia mai avvertito
come da ieri alle 18,03, quando è uscita
l’agenzia Ansa del dipartimento di Stato,
la sensazione duplice di una eterodirezione e di una esautorazione dei poteri del
Parlamento.
Colleghi, chi ha ascoltato oggi le dichiarazioni del Presidente Berlusconi ha avvertito il forte disagio di dover appartenere,
nostro malgrado, ad un paese, l’Italia, che
diviene un’Italietta opportunista ed ambigua che comprende, condivide e legittima la
guerra confondendo l’alleanza, sacra ed inviolabile, con il vassallaggio, ma, nel contempo, non avendo il coraggio, la forza e la
responsabilità di essere in grado di scegliere
con coerenza e dignità ma scegliendo, invece, la strada di un lento e silenzioso trascinamento verso la violazione della Costituzione, sperando che su altri ricadano le
responsabilità verso Dio, verso gli uomini,
verso la storia.
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Lascia sconcertati l’indifferenza verso
la prima vittima di questa inutile e inaccettabile guerra: l’ONU, le Nazioni Unite,
l’ultimo organismo democratico in grado
di rappresentare l’unica potenzialità possibile per la costruzione di una pace
duratura, fondata sulla libertà e sulla
giustizia sociale.
Cari colleghi, è la prima volta che in
questo Parlamento si legittima una guerra
preventiva nella certezza che dalle bombe,
dai morti e dalla sofferenza si possa
costruire una pace duratura. Credo che di
questo ne avvertiate il peso nella vostra
coscienza; siete ancora in tempo per non
legittimare un’azione che è contro la nostra Costituzione e che non ha nulla a che
vedere con l’alleanza (Applausi di deputati
del gruppo della Margherita, DL-l’Ulivo e
del deputato Franco Giordano).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare
l’onorevole Burani Procaccini. Ne ha facoltà.
MARIA BURANI PROCACCINI. Signor
Presidente, in un brevissimo intervento a
titolo personale sento il dovere morale –
al quale io ho informato credo tutta la mia
azione politica oltre che la mia vita – di
confermare che, da cattolica, sono pronta,
per la mia fede, per colui che sulla terra
per me rappresenta il Cristo a dare la vita;
ma, da cittadina italiana confermo la mia
piena e totale fiducia e lealtà a lei, alla sua
azione politica meditata e sofferta, a tutto
ciò che il nostro Governo ha cercato di
fare... (Commenti dei deputati della Margherita, DL-l’Ulivo, di Rifondazione comunista).
RICCARDO MILANA. Brava (Applausi
polemici di deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l’Ulivo) !
ALFREDO BIONDI. Lasciate parlare,
ha diritto di parlare.
MARIA BURANI PROCACCINI. E cosı̀
confermo, lo dico alto e forte, la mia totale
lealtà alla patria e alla bandiera italiana,
unica bandiera nella quale mi riconosco,
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come si riconoscevano i miei padri e si
riconoscono i miei figli (Applausi di deputati del gruppo di Forza Italia).
GABRIELE FRIGATO. Vergogna !
GIORGIO BORNACIN. Sono altre le
cose di cui bisogna vergognarsi.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare
l’onorevole Buontempo. Ne ha facoltà.
TEODORO BUONTEMPO. Signor Presidente, le parole espresse dal Presidente
del Consiglio nella parte finale sono state
molto chiare e, per chi, come me, ha
vissuto un profondo travaglio alla vigilia di
questo dibattito, quando il Presidente del
Consiglio, oggi, ha detto in maniera estremamente chiara « non siamo un paese
belligerante, non inviamo truppe, non partecipiamo ad operazioni di guerra; concediamo le basi ed il sorvolo aereo nell’ambito di trattati internazionali e dell’Alleanza atlantica », queste parole avrebbero
dovuto costringere ciascun parlamentare e
i gruppi, anche se in posizioni diverse, ad
una ulteriore riflessione.
A me pare, invece, che si sia trasformato il tutto nella solita polemica tra
maggioranza ed opposizione, polemica che
l’importanza dell’argomento non meritava.
Tali dichiarazioni rappresentano, indubbiamente, il punto di equilibrio possibile
nel momento in cui si svolge questo dibattito e nel momento in cui dall’Iraq già
arrivano notizie drammatiche.
Ciò nonostante, mi resta l’imbarazzo
profondo di fronte all’opinione che definisce tale guerra come legittima. No, non
credo che siamo di fronte a quelle condizioni per le quali un attacco sarebbe
inevitabile e legittimo; a me pare, semmai,
che sia vero il contrario: l’azione degli
ispettori, l’accerchiamento militare dell’Iraq, i dubbi sull’intervento armato
espressi da importanti uomini di Governo
di paesi europei, dalla Russia, dalla Cina
e cosı̀ via, stavano portando al disarmo, un
disarmo lento, contrastato, ma che sarebbe stato inevitabilmente raggiunto.
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Il Presidente del Consiglio ha colto il
travaglio di milioni di uomini che esprimevano dissenso in tutto il mondo: ebbene, avrei sperato che esprimesse anche
qualche dubbio sulla legittimità di una
guerra che non ha l’avallo dell’ONU.
PRESIDENTE. Onorevole Buontempo,
la invito a concludere.
TEODORO BUONTEMPO. Signor Presidente, mi avvio a concludere. L’Italia, in
base alla sua Costituzione, in base al
disposto dell’articolo 11, può partecipare
ad un’azione di guerra soltanto se attaccata e soltanto se un paese alleato viene
attaccato.
Pertanto, mi asterrò dalle votazioni. Mi
auguro che possa prevalere quella posizione espressa dal Presidente del Consiglio
nel precedente dibattito, con l’ONU e per
il rafforzamento del ruolo dell’Europa.
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti
a parlare e pertanto dichiaro chiusa la
discussione sulle linee generali.
(Presentazione di risoluzioni)
PRESIDENTE. Avverto che sono state
presentate le seguenti risoluzioni: Craxi e
Boato n. 6-00055, Violante ed altri n. 600056 e Elio Vito ed altri n. 6-00057 (vedi
l’allegato A – Risoluzioni sezione 1).
ROBERTO GIACHETTI. Chiedo di parlare sull’ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, vorrei solamente sapere cosa stia
succedendo in questa città, in particolare
nei pressi di questo edificio, atteso che ho
dovuto esibire quattro volte il mio tesserino di parlamentare per poter accedere
alla Camera. C’è gente sconcertata che
viene espulsa dalle piazze, gente cui non
viene consentito di attraversarle (Commenti dei deputati dei gruppi di Forza Italia e
di Alleanza nazionale) ! Vorrei sapere se già
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vi sia una guerra in corso, se ci sia un
coprifuoco ! Quali motivi di sicurezza vi
sono ? Quali sono questi pericoli (Commenti dei deputati dei gruppi di Forza Italia
e di Alleanza nazionale) ? Volete soltanto
fotografare la necessità di tenere la gente
lontana da questa Assemblea perché, probabilmente, in questa sede state per assumere decisioni che non hanno nulla a
che fare con la volontà della gente (Commenti dei deputati dei gruppi di Forza Italia
e di Alleanza nazionale) ! Vorrei sapere se
si tratti di una disposizione del Presidente
della Camera: non è possibile che né
giornalisti né cittadini si possano avvicinare a questo edificio !
PRESIDENTE. Onorevole Giachetti, abbiamo capito qual è il suo problema. Ci
informeremmo e le faremo sapere.
(Replica e pareri del Governo)
PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire
il ministro degli affari esteri, che esprimerà altresı̀ il parere sulle risoluzioni
presentate.
FRANCO FRATTINI, Ministro degli affari esteri. Signor Presidente, onorevoli
colleghi, molto si è detto sul ruolo dell’Italia: la legittimità giuridica e le ragioni
politiche sono state illustrate e spiegate dal
Presidente del Consiglio nel suo intervento.
Ringrazio i colleghi della maggioranza che
le hanno riprese e sostenute. Ho ascoltato
con rispetto, senza condividerli, critiche
giuridiche, inviti a seguire la posizione
francese, richieste di chiudere persino lo
spazio aereo agli Stati Uniti d’America. I
nostri sentimenti sono oggi, anzitutto, il
rammarico perché il dittatore iracheno
non ha rispettato, ancora una volta, le
Nazioni Unite e le sue risoluzioni e non ha
finalmente rimosso le armi di distruzione
di massa, pericolo reale ed attuale per
tutto il mondo.
Abbiamo cercato la soluzione pacifica
fino all’ultimo e ancora fino all’ultimo
Saddam Hussein potrebbe rispondere positivamente alla richiesta di lasciare il
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DISCUSSIONI
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paese. Noi non ci arrendiamo fino all’ultimo minuto, ma purtroppo, come voi
sapete, Saddam Hussein ha già detto con
chiarezza che non accetterà.
Il Presidente del Consiglio ha svolto
personalmente – come molti di voi sanno
– una serie di tentativi per convincere
molti paesi arabi che sono nostri amici,
amici sinceri, ad esprimere un tentativo
nei confronti del dittatore iracheno, chiedendogli con franchezza di distruggere
finalmente le armi, di indire libere elezioni, di permettere nel suo paese la libera
stampa, di riconoscere i diritti umani e i
diritti dell’opposizione. A tutto questo,
come sapete, è stata data risposta nettamente negativa.
Oggi è l’ora delle scelte. Noi non abbiamo dubbi: tra le grandi democrazie del
mondo e il dittatore iracheno, scegliamo le
democrazie, scegliamo la conferma della
politica europea ed atlantica che ha guidato l’Italia negli ultimi cinquant’anni.
Non siamo belligeranti, ma sappiamo da
che parte stare ed abbiamo il dovere di
compiere una scelta. Ci batteremo ancora
in Europa per ritrovare ciò che ci unisce,
non per sottolineare quello che ci divide.
Credo proprio che, nelle prossime settimane, nei prossimi mesi, l’Italia potrà
dare un forte contributo a quel pilastro
politico che è la costruzione dell’azione
europea, del suo ruolo nella scena internazionale, del rilancio indispensabile della
coesione euroatlantica. L’Italia – mi rivolgo ai molti colleghi dell’opposizione che
sono intervenuti su questo punto – è vista
come un paese che può aiutare, essendo
sinceramente europeista e, al tempo
stesso, forte amico degli Stati Uniti d’America, il recupero sincero della sintonia tra
i quindici e con i nuovi dieci membri
dell’Unione europea, a cominciare dal
tema essenziale della riforma delle istituzioni europee.
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
PIER FERDINANDO CASINI (ore 15,24)
FRANCO FRATTINI, Ministro degli affari esteri. Colleghi, avremo bisogno di un
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forte sostegno di tutti, della maggioranza e
dell’opposizione, per il successo di una
fase importante che si aprirà con la prossima Presidenza italiana dell’Unione europea, anche in uno scenario cosı̀ delicato.
Se avremo successo, non sarà il successo
di una sola parte, ma sarà il successo del
nostro, del vostro paese, colleghi dell’opposizione (Applausi dei deputati dei gruppi
di Forza Italia, di Alleanza nazionale, dell’Unione dei democratici cristiani e dei
democratici di centro, della Lega nord Padania e Misto-Liberal-democratici, Repubblicani, Nuovo PSI) !
Signor Presidente, esprimo infine parere contrario sulle risoluzioni Craxi e
Boato n. 6-00055 e Violante ed altri n. 600056, mentre il parere è favorevole sulla
risoluzione Elio Vito ed altri n. 6-00057.
PRESIDENTE. Vorrei cogliere l’occasione per dire all’onorevole Giachetti che
il mantenimento dell’ordine, anche nelle
piazze e nelle vie adiacenti alla Camera
dei deputati, è riconducibile a decisioni
che spettano agli organi competenti dello
Stato, nella fattispecie alla questura di
Roma. È chiaro che i provvedimenti che,
di volta in volta, vengono adottati per
contenere o regolare l’afflusso delle persone si basano su un complessivo apprezzamento delle situazioni che non compete, in alcun modo, alla Presidenza della
Camera.
Faccio presente, peraltro – onorevole
Giachetti, lei lo sa –, che la Presidenza
della Camera ha da sempre consentito che
in una parte consistente di piazza Montecitorio si svolgano quotidianamente manifestazioni delle più diverse provenienze.
ROBERTO GIACHETTI. Per questo mi
meraviglio, infatti !
PRESIDENTE. Non credo vi siano problemi, ma ho chiesto naturalmente agli
uffici e, in particolare, al Vicesegretario
generale che si occupa di tali rapporti, di
accertarsi in ordine a quanto lei ha detto
in aula, come è giusto fare.
Sospendo ora brevissimamente la seduta che riprenderà alle 15,30 esatte con
le dichiarazioni di voto.
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La seduta, sospesa alle 15,25, è ripresa
alle 15,30.
(Dichiarazioni di voto)
PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione
di voto l’onorevole Detomas. Ne ha facoltà.
GIUSEPPE DETOMAS. Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo,
onorevoli colleghi, il nostro gruppo (che
rappresenta forze politiche che hanno responsabilità di governo in importanti regioni del nostro paese e che dunque ha un
senso di responsabilità spiccato) ha seguito
con attenzione le dichiarazioni del Presidente del Consiglio, condividendone anche
alcuni punti. Ciò nondimeno ritiene che i
dubbi e le perplessità evidenziate questa
mattina dal collega Collè non siano state
del tutto fugate e quindi la preoccupazione
è grave, e deriva dal fatto che non sono
state date quelle risposte esaustive ai
dubbi che ci attanagliano. Il fatto che
alcuni partner europei abbiano concesso
(o si accingano a concedere) l’uso di basi,
nonché l’uso di supporti logistici, non
risolve il problema, dato dal fatto che noi
abbiamo un ordinamento costituzionale
interno diverso. Infatti, la nostra Costituzione (che riteniamo un importante segno
di un paese democratico) ci impedisce di
dare supporti logistici, anche indiretti, ai
paesi che in questo momento si accingono
a sferrare un attacco all’Iraq. Questa nostra interpretazione dell’articolo 11 della
Costituzione è supportata anche da un
appello del Presidente della Repubblica,
nonché da molti giuristi che tendono a
dare, dell’articolo 11, un’interpretazione
restrittiva. La scappatoia, per cosı̀ dire,
potrebbe essere data da un deliberato
degli organismi internazionali ai quali
l’Italia aderisce (come l’ONU, la Nato o il
Consiglio d’Europa), ma questi deliberati
non ci sono. Allora ci si trova di fronte ad
un’iniziativa unilaterale, alla quale l’Italia
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evidentemente – anche alla luce della
nostra carta costituzionale – non può
aderire e non può dare sostegno.
Il Presidente del Consiglio questa mattina ha effettuato delle dichiarazioni che
riteniamo di non poter condividere fino in
fondo. Il ministro degli esteri ha posto un
opzione: stiamo tra i paesi democratici e
non con la dittatura irachena. Ebbene
anche noi stiamo con i paesi democratici...
PRESIDENTE. Onorevole Detomas, la
invito a concludere perché lei ha esaurito
il suo tempo.
GIUSEPPE DETOMAS. ...e non con la
dittatura irachena, ma tra i paesi democratici scegliamo quei paesi che con noi
hanno tradizioni comuni, quei paesi europei che non si arrendono alla logica
della guerra e che vogliono perseguire ogni
strada per evitarla.
Alla luce di tutto ciò non possiamo che
accogliere e votare favorevolmente la mozione presentata dall’Ulivo (Applausi dei
deputati dei gruppi Misto-Minoranze linguistiche, dei Democratici di sinistra-l’Ulivo
e della Margherita, DL-l’Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare
per dichiarazione di voto l’onorevole La
Malfa. Ne ha facoltà.
GIORGIO LA MALFA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, l’accusa più ripetuta nei confronti del Governo in queste
settimane, e ancora nel dibattito di questa
mattina, è stata quella di aver tenuto, con
riferimento a questa grave crisi internazionale, una posizione oscillante ed ambigua. A mio giudizio, questa è una valutazione errata, che non coglie uno dei punti
più importanti della posizione che il Governo italiano ha saputo tenere nel corso
di questi mesi. Il Governo italiano ha
riaffermato con forza, fin dall’inizio della
crisi, i due fondamenti che la politica
estera italiana ha sempre avuto fin dall’immediato dopoguerra (e sia consentito
di dirlo e di testimoniarlo al rappresentante di uno dei partiti che a quell’impostazione ha dato un contributo determi-
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nante fin dall’indomani della seconda
guerra mondiale). Questi due fondamenti,
di pari importanza e di pari valore, sono
costituiti dall’unione dei paesi dell’Europa
e dalla solidarietà e dall’unità fra l’Europa
e gli Stati Uniti.
L’Unione europea e l’Alleanza atlantica
sono state, per il nostro paese e per le
forze politiche che hanno avuto la responsabilità continuativa della guida dei governi nel dopoguerra italiano, i due fondamenti di uguale peso e di eguale importanza, nessuno dei quali poteva essere
sacrificato all’altro e che il Governo italiano ha saputo riaffermare nel corso di
questa dolorosissima e difficilissima crisi.
Questi valori, volti a mettere sullo
stesso piano e sullo stesso terreno l’unità
dell’Europa e l’unità della Comunità atlantica, univano ed hanno unito storicamente l’Italia in particolare alla Germania.
E se vi è stato un paese che, nel corso di
questi mesi, si è distaccato da un punto
tradizionale della sua politica, non è stata
l’Italia ma la Germania, che ha scelto di
rompere quel legame di solidarietà atlantica dal quale è difesa la sicurezza dei
nostri paesi ed anche la riunificazione
della Germania stessa.
Onorevoli colleghi, quando il Presidente
del Consiglio questa mattina, dopo aver
affermato con forza la legalità di un
intervento militare nella situazione irachena – e non solo la legalità, ma la liceità
e la necessità dal punto di vista dell’ordine
internazionale – ha nello stesso tempo
affermato la non belligeranza dell’Italia in
questa guerra che temiamo possa scatenarsi, ha scelto l’estremo tentativo di fissare una posizione che, come futuro paese
che avrà la responsabilità della guida dell’Unione europea nel corso di questo anno,
possa servire a ricostruire l’unità dell’Europa e la solidarietà atlantica. Dunque, il
Presidente del Consiglio ha scelto una
posizione di grande lungimiranza politica.
La valutazione del partito che ho
l’onore di rappresentare è che vi fossero le
condizioni giuridiche e politiche che
avrebbero giustificato per l’Italia la partecipazione attiva allo sforzo militare e, se
il Governo avesse proposto questa posi-
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zione, noi l’avremmo sostenuta. Ma comprendiamo le ragioni per le quali, proprio
al fine di preservare una prospettiva per il
domani – perché ci sarà un domani e noi
speriamo che presto ci sia un domani al di
là della crisi irachena –, proprio per
preservare le basi di un’Alleanza atlantica
e di un’Unione europea, l’Italia ha deciso
di compiere questo estremo sforzo.
PRESIDENTE. Onorevole La Malfa, ha
terminato il tempo a sua disposizione.
GIORGIO LA MALFA. Concludo, signor
Presidente.
Non capisco perché almeno una parte
dell’opposizione – quella che proviene
dalla nostra stessa tradizione – si sottragga a questa responsabilità.
Per tali motivi, la componente Repubblicani e Nuovo PSI sosterranno pienamente la posizione espressa nella risoluzione di maggioranza (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Liberal-democratici,
Repubblicani, Nuovo PSI, di Forza Italia e
di Alleanza nazionale).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare
per dichiarazione di voto l’onorevole Pisicchio. Ne ha facoltà.
PINO PISICCHIO. Signor Presidente,
signor Presidente del Consiglio, onorevoli
colleghi, forse è inevitabile che le crisi
internazionali si offrano ad interpretazioni
di tipo domestico, con tutto il corredo di
strumentalità ad uso antagonistico che si
addice ad argomentazioni come queste.
Ma – e questo è il punto – di fronte
alla guerra è forse necessaria una qualche
moratoria della belligeranza verbosa del
politicismo di ogni giorno per lasciare
posto a qualche verità. Dunque, mi sono
domandato cosa avrebbe potuto fare un
Governo di centrosinistra se si fosse trovato al posto del Governo Berlusconi.
Ritengo che avrebbe posto attenzione –
cosı̀ come ha saputo fare in altri momenti
cruciali – alle ragioni che Romano Prodi
ha sottolineato con acutezza qualche
giorno fa, cioè di non prestarsi all’azione
demolitoria della legalità internazionale
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che deriva dall’ONU e, al tempo stesso, di
farsi carico della necessità di non divaricare oltremodo l’Europa dall’alleato americano. Infatti, guai se questa maledetta
guerra recasse con sé, insieme al nefasto
carico di morte, anche la scissura nell’occidente tra America ed Europa, solcando
in qualche modo la condizione di isolamento del popolo americano.
La nostra ferma contrarietà all’insulto
giuridico della guerra preventiva, che non
deve però farci dimenticare le nefandezze
compiute da un dittatore come Saddam
Hussein, non può non tradursi in un’iniziativa politica tesa a riannodare – e
subito – i fili di un rapporto tra Europa
e America. È questa la missione del nostro
paese, oggi, e non un gesto di pigra ed
acritica subordinazione alla chiamata alle
armi americana.
Signor Presidente del Consiglio, siamo
ben consci della pericolosa esiguità del
margine di manovra della politica tra la
necessaria lealtà nei confronti degli USA e
l’indispensabile fedeltà alle istituzioni garanti della legittimità internazionale, ONU
ed Unione europea in testa; tuttavia, non
si esce dalla strettoia lasciandosi catalogare dal Governo Bush come sostenitori
della guerra. Sono cattolico e l’appello del
Papa mi interroga profondamente; ma ho
anche il dovere della politica, come membro di questo Parlamento. Non sono soltanto le ragioni umanitarie a dettare la
mia scelta ma anche, e soprattutto, le
ragioni della politica e il quadro delle
regole costituzionali. Il limite, più volte
citato, dell’articolo 11 della Costituzione
impedisce di considerare l’intervento unilaterale in Iraq come un’operazione di
polizia internazionale. Da qui il nostro
« no » chiaro e forte ad ogni sostegno
attivo alla guerra.
Onorevoli colleghi, credo che a questo
punto le parole si siano consumate tutte e
non vi sia altro spazio, da questo momento
in poi, che per i gesti concreti. Il gesto che
il Governo ha il dovere di compiere, anche
in vista del semestre di Presidenza in
Europa, consiste nel riprendere subito il
dialogo tra gli europei, per ricostruire un
tessuto di solidarietà, messo duramente
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alla prova dalla crisi irachena (Applausi dei
deputati dei gruppi Misto-UDEUR-Popolari
per l’Europa, della Margherita, DL-l’Ulivo e
Misto-Socialisti democratici italiani).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare
per dichiarazione di voto l’onorevole Pecoraro Scanio, al quale ricordo che ha
cinque minuti di tempo a disposizione. Ne
ha facoltà.
ALFONSO PECORARO SCANIO. Signor Presidente, stamattina abbiamo assistito all’intervento del Presidente del Consiglio, che è sembrato una caricatura del
Presidente Bush (Commenti di deputati del
gruppo di Alleanza nazionale), ad un intervento che, nello stesso tempo, è stato
abbastanza ipocrita da consentire...
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, non
cominciamo, perché dopo le parti si ribaltano !
ALFONSO PECORARO SCANIO. Signor Presidente, la ringrazio. Sappiamo
che parlare un linguaggio di verità crea
difficoltà a chi, come il centrodestra, oggi
non è riuscito a presentare una mozione
(Commenti di deputati dei gruppi di Forza
Italia e di Alleanza nazionale) e ci ha
proposto una riga. Questa è la mozione del
centrodestra. Rispetto alla guerra, rispetto
ad un fatto cosı̀ grave, non sono riusciti a
far altro che dichiarare: udite le dichiarazioni del Presidente del Consiglio, le
approva. Giustamente, il Presidente del
Consiglio è riuscito, contemporaneamente,
a dichiarare che l’Italia è arruolata, come
ha detto ieri Powell, dagli alleati di una
guerra (e, quindi, è cobelligerante) e a
sostenere che non è belligerante. Ovviamente, si tratta di affermazioni che possono accontentare chi voglia essere preso
in giro. Queste dichiarazioni sono una
truffa, perché chi vuole rispettare in modo
palese la Costituzione deve dire che l’Italia
rifiuta non soltanto la belligeranza ma
anche la cobelligeranza, derivante dall’essere stati chiamati a far parte di un’alleanza. Peraltro, l’abbiamo saputo prima
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dal Segretario di Stato americano. E, poi,
si gioca all’equivoco, qui, in Parlamento.
La realtà è che non ci troviamo a
scegliere se stare con gli alleati delle
democrazie o con Saddam. Gli alleati
tradizionali dell’Italia sono divisi perché il
Presidente Bush e alcune altre amministrazioni hanno una posizione, altri nostri
tradizionali alleati, quali la Germania e la
Francia, ne hanno assunta un’altra.
Quindi, oggi la scelta è tra una cultura
internazionale in cui è il diritto ad avere
valore e una cultura in cui è la forza che
impone la democrazia e le regole. Questa
è la scelta che un Presidente del Consiglio
avrebbe dovuto sottoporre al Parlamento:
tra una logica internazionale – nell’ambito
della quale noi vogliamo un tribunale
penale internazionale, davanti a cui tutti i
dittatori possano essere giudicati, e una
vera forza di polizia internazionale, in
grado di intervenire – e una cultura in cui
decide il Presidente degli Stati Uniti, con
l’attuale Amministrazione americana, che
non ha niente a che vedere con il popolo
americano. Noi siamo amici del popolo
americano, di quel popolo che ha anche
manifestato davanti alla Casa Bianca e
che, per molta parte, è contrario alla
guerra di Bush.
Ci sentiamo nel diritto di essere da
quella parte essendo contro Saddam Hussein, ma essendo contro le guerre, sempre
e comunque, perché queste guerre di conquista e di invasione sono vietate anche
dalla nostra Costituzione e dai trattati
internazionali.
Signor Presidente, quindi, in realtà, lei
si nasconde dietro una dichiarazione confusa che permette di firmare una sola riga
a una maggioranza in crisi. Peraltro, c’è
anche la risoluzione contro la guerra firmata da Craxi e da Cossiga, che sono
esponenti del centrodestra: quindi, questa
volta siete spaccati e cercate di mettere
delle toppe su questo disastro di politica
internazionale che avete combinato. D’altra parte, dobbiamo dare atto che, finalmente, tutto il centrosinistra è unito nel
dire chiaramente « no » alla guerra. In
ogni caso, io spero che non sia unito solo
il centrosinistra, ma che qualche parla-
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mentare cattolico e pacifista trovi il coraggio di votare secondo la propria coscienza e non secondo una logica di ipocrisia per fare almeno una parte di quello
che i parlamentari laburisti sono riusciti a
fare votando liberamente, anche in contrasto
alle
posizioni
guerrafondaie
espresse attualmente dal Governo della
Gran Bretagna.
Noi Verdi voteremo non solo con molta
convinzione la mozione unitaria, ma invitiamo i cittadini alla massima mobilitazione perché è legittimo ed utile opporsi in
tutti i modi non violenti a questa guerra.
Daremo costantemente informazioni di
tutte le mobilitazioni possibili anche attraverso il nostro sito Internet (www.verdi.it), a cominciare dall’invito che rivolgiamo, per esempio, a non utilizzare una
società come la Esso, che è fornitrice di
carburante per l’esercito degli Stati Uniti.
Noi riteniamo che tutte la iniziative pacifiche e non violente – come quelle del
consumo responsabile –, che impediscano
di seguire una logica perversa come quella
della guerra, siano giuste e utili. Oggi il
problema è la scelta tra un modello internazionale che si basi sul diritto e sulla
pace e che metta la guerra fuori legge
come strumento di risoluzione dei conflitti
internazionali e un modello, invece, che si
basi sulla forza e sulla vecchia logica di
potenza da cui consegue che questa guerra
– va ripetuto – è illegittima. Tutte le
guerre sono ingiuste, ma questa è anche
illegittima, secondo la Carta delle Nazioni
Unite, secondo il Patto atlantico, secondo
la Costituzione repubblicana.
PRESIDENTE. Onorevole Pecoraro
Scanio, la prego di concludere.
ALFONSO
PECORARO
SCANIO.
Quindi, un voto diverso sarebbe un voto
incostituzionale che, per quanto ci riguarda, è gravissimo ed è irresponsabile
(Applausi dei deputati dei gruppi MistoVerdi-l’Ulivo, di Rifondazione comunista e
Misto-Comunisti italiani).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare
per dichiarazione di voto l’onorevole Vil-
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letti, al quale ricordo che ha 6 minuti a
disposizione. Ne ha facoltà.
ROBERTO VILLETTI. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, la
questione di fondo sulla quale la Camera
è chiamata a pronunciarsi è se dare l’assenso o esprimere il dissenso nei confronti
dell’intervento militare americano in Iraq
senza l’avallo dell’ONU. Non è la valutazione sulla pericolosità del regime di Saddam ad aver creato divisioni e neppure la
concessione dell’uso delle basi è quella che
divide i paesi appartenenti all’alleanza
atlantica. Per quanto riguarda l’Italia, è
evidente che l’uso delle basi non deve
essere rivolto a qualunque azione che
configuri un coinvolgimento dell’Italia
nelle operazioni di guerra, come dice la
risoluzione presentata dall’Ulivo.
L’Italia ha avuto finora un comportamento difficile da decifrare. Anzi, siamo
ad un vero e proprio paradosso che non fa
onore al nostro paese. Sul Corriere della
Sera Paolo Franchi ha osservato che si è
avuta la notizia della partecipazione dell’Italia alla coalizione a guida americana
da Colin Powell e non dal Governo italiano. Ed è proprio su questa questione
centrale, quella della pace e della guerra,
che il Presidente del Consiglio ha fatto un
discorso che è stato contraddittorio, tortuoso ed ambiguo. È vero che il Presidente
Berlusconi ha cercato di giustificare l’intervento degli Stati Uniti in Iraq e ha detto
« sı̀ » alla guerra senza l’ONU, senza tuttavia trarne da queste sue considerazioni
le dovute conseguenze. Incertezze, titubanze e oscillazioni nascono da una scelta
che appare poco convinta e che – si sa –
va contro l’orientamento prevalente dell’opinione pubblica italiana. A mio giudizio, signor Presidente del Consiglio, è anche un risultato dell’iniziativa dell’opposizione che lo ha incalzato in tutti questi
giorni sulla questione della pace e della
guerra. La scelta dell’amministrazione
americana deve essere compresa nelle sue
caratteristiche strategiche.
Il New York Times ha scritto che questa
guerra corona un periodo di terribili fallimenti diplomatici, il peggiore per
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Washington almeno dall’ultima generazione. Mai come oggi l’amministrazione
americana è andata avanti senza tener
conto dell’ONU, della NATO e della stessa
Unione europea. Dall’altra sponda dell’Atlantico viene un messaggio che è tutt’altro
che rassicurante: ciò che conta nelle scelte
internazionali è solo la legge del più forte.
Da questo momento, tutti sono nuovamente chiamati a rafforzare i propri apparati militari, a cominciare dalla Russia
e dalla Cina, come unico mezzo per contare politicamente ed economicamente.
Questa situazione può disgraziatamente
acuire i conflitti esistenti, accendere nuovi
focolai terroristici e spingere a guerre di
religione.
L’Europa deve cercare di far tornare
tutti alla ragionevolezza, tentare di ricucire le relazioni con gli Stati Uniti e
operare per il rafforzamento delle istituzioni sovranazionali (l’ONU, la NATO e
l’Unione europea). L’Europa deve anche
riflettere sulla necessità, dopo la scelta
solitaria degli Stati Uniti, di ritrovare la
propria unità. L’Europa deve sapere che,
dopo la scelta del Presidente Bush, per
giocare un ruolo rilevante deve dotarsi,
accanto alla moneta, anche della spada:
moneta e spada sono le chiavi per affrontare il nuovo scenario internazionale. Solo
cosı̀ si possono affermare le ragioni dell’Europa, che devono essere per il dialogo
tra i popoli e le religioni, per favorire
soluzioni negoziate e lavorare per la pace.
Signor Presidente, la pace è un valore,
non si può volere la pace a tutti i costi. I
Socialisti democratici italiani hanno detto
sin dall’inizio che erano con l’ONU, senza
se e senza ma, e siamo assolutamente
contro ogni forma di antiamericanismo:
come ha detto Intini nel dibattito odierno,
Bush passa, gli Stati Uniti restano. Noi
siamo contrari al regime di Saddam ed
alla guerra unilaterale degli Stati Uniti,
siamo per la pace.
Da Bagdad giungono notizie contraddittorie sulla sorte del numero due del
regime iracheno Tarek Aziz: speriamo che
gli iracheni sappiano risolvere il problema
Saddam, evitando cosı̀ la guerra. Del resto,
con questo spirito abbiamo sostenuto l’ini-
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ziativa di Marco Pannella per cercare di
mandare in esilio il dittatore iracheno.
Fino all’ultimo non lasciamo cadere le
speranze di evitare la guerra; fino all’ultimo cerchiamo di contribuire a risolvere
il problema del disarmo di Saddam preservando la pace.
Ecco, Signor Presidente del Consiglio,
ciò che attendevamo da lei: un messaggio
che legasse intimamente l’Italia alla pace
nel mondo e per questo l’Ulivo, noi dell’opposizione, noi Socialisti democratici ci
impegneremo nelle prossime ore e nei
prossimi giorni (Applausi dei deputati dei
gruppi Misto-Socialisti democratici italiani,
dei Democratici di sinistra-l’Ulivo e della
Margherita, DL-l’Ulivo).
PRESIDENTE.
per dichiarazione
liberto, al quale
minuti di tempo
facoltà.
Ha chiesto di parlare
di voto l’onorevole Diricordo che ha sette
a disposizione. Ne ha
OLIVIERO DILIBERTO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la mia generazione non ha vissuto la tragedia della
guerra e, credetemi, pensavo ingenuamente che l’Italia non l’avrebbe vissuta
mai più. Cosı̀ volevano coloro che scrissero
la Costituzione con le parole: « l’Italia
ripudia la guerra ». Non semplicemente
rifiuta ma ripudia, parola che contiene
una condanna politica, ma anche e soprattutto morale. L’Italia, la vostra Italia,
ora apprezza la guerra.
Sono le parole del Presidente del Consiglio che ha apprezzato la decisione americana di entrare in guerra, senza alcuna
legittimazione internazionale, violando la
Costituzione, distruggendo l’unità europea,
in spregio alle parole del Pontefice che,
pure, avete ipocritamente applaudito in
quest’aula (Commenti dei deputati del
gruppo di Forza Italia). Milioni di donne e
di uomini hanno manifestato contro la
guerra, ma voi li avete ignorati o derisi.
L’onorevole Berlusconi apprezza la
guerra. È terribile e non so neppure se ve
ne rendiate conto fino in fondo. Il Governo va avanti, indossa l’elmetto, obbedisce agli ordini. Dopo questa guerra di
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evidente stampo colonialista, dopo altre
centinaia di migliaia di morti innocenti,
dopo altre distruzioni, queste sı̀, di massa,
dopo decine di migliaia di profughi che
avremo il dovere di accogliere nel nostro
paese, nulla sarà più come prima. L’equilibrio mondiale è definitivamente in frantumi. L’America non è mai stata cosı̀ forte,
ma, al contempo, non è mai stata cosı̀
debole !
Gli Stati Uniti vivono come in un
fortino assediato: sono contro l’ONU, contro i principali Stati europei, contro la
Russa, contro la Cina, contro l’intero popolo islamico sparso in tre continenti; un
fortino assediato che si prepara alla
guerra preventiva, ma anche permanente.
L’Italia, con l’America, è chiusa dentro
quel fortino ! Assediati anche noi, ma
molto più deboli, molto più esposti alle
rappresaglie, alle vendette ed al terrorismo. È la nuova guerra globale contro cui
esiste solo il terrorismo globale, nemico
mortale, certo, ma che non si combatte
con la guerra, perché il terrorismo è
alimentato proprio dai morti, dagli embarghi, dalla disperazione, dall’odio e dalla
paura (la tragedia palestinese lo insegna),
ma siete ciechi o meglio non volete vedere.
La guerra era già decisa, una guerra
intrapresa non già per rovesciare un tiranno, a suo tempo peraltro aiutato e
finanziato dagli Stati Uniti quando Saddam serviva contro un altro nemico. La
guerra serve ad occupare un’area strategica del mondo ed i suoi pozzi di petrolio.
Avete già concesso, in spregio alla Costituzione che prevede un voto del Parlamento che ancora non c’è stato, le basi, il
sorvolo del territorio nazionale, piloti italiani, l’intero trasporto civile ed i nostri
alpini in Afghanistan sono impegnati in
azioni di guerra, in sostituzione di truppe
di altri paesi che andranno in Iraq. Noi
comunisti italiani vi chiediamo che vengano ritirati e bene abbiamo fatto a suo
tempo a votare contro quella spedizione.
Siamo già in guerra, una guerra che
non prevede confini o limiti temporali e
che non esclude – lo ha dichiarato il
ministro della difesa americano – l’impiego dell’arma nucleare. Ma vi rendete
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conto in quale tragedia immane state conducendo il nostro popolo (Commenti dei
deputati del gruppo di Alleanza nazionale) ?
Decenni di politica di pace, di cooperazione, di confronto con il mondo arabo tra
culture e religioni diverse, decenni di positiva attività diplomatica sono andati in
fumo. Ora l’Italia è priva di uno straccio
di politica estera autonoma; siamo considerati soltanto dei servi: è un’amara constatazione, ma è la verità.
Dobbiamo continuare a batterci per la
pace anche quando saranno iniziati –
ahimè – i primi bombardamenti. Saremo
a fianco dei lavoratori che hanno indetto
gli scioperi, saremo nelle manifestazioni,
nelle assemblee, ovunque vi saranno
donne e uomini che intendano continuare
a battersi contro la guerra.
Cari colleghi, tutti noi abbiamo un dovere perché la mia generazione, la nostra
generazione, ha ricevuto un regalo grandissimo dai nostri genitori – me ne sono reso
conto solo ora che è in pericolo –: è il regalo
di averci fatto nascere, crescere e diventare
adulti in un’Italia amante della pace. È un
regalo che non ha prezzo e che i nostri
genitori hanno conquistato con la resistenza e con la Costituzione; oggi noi abbiamo il dovere di cercare di fare ai figli
della nostra generazione un analogo regalo:
nascere, crescere e diventare adulti in
un’Italia altrettanto amante della pace.
Sarà purtroppo difficilissimo nella nuova e
tragica situazione che state determinando,
ma noi lo faremo con tutte le nostre forze.
Dedicheremo alla causa della pace ogni nostra energia !
È il tragico compito di fronte al quale
ci troviamo per colpa di una classe dirigente irresponsabile e criminale. A questo
compito, state pur certi, noi non ci sottrarremo ! Questa sporca guerra non la
farete in nostro nome (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Comunisti italiani, dei
Democratici di sinistra-l’Ulivo e della Margherita, DL-l’Ulivo – Congratulazioni) !
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per
dichiarazione di voto l’onorevole Bertinotti,
al quale ricordo che ha dieci minuti di
tempo a disposizione. Ne ha facoltà.
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FAUSTO BERTINOTTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi e colleghe, la
guerra sta precipitando e la scelta è esclusiva dell’amministrazione Bush.
Nulla, neanche i crimini, la giustificano:
il re è nudo e del resto mai il Governo
degli Stati Uniti d’America è stato cosı̀
impopolare nel mondo. Mai è stata compiuta una scelta che rischia di essere cosı̀
distruttiva, nell’oggi e nel domani, per
l’umanità e per la politica. Del resto, è
stato cosı̀ avvertito questo tempo, che si è
sollevata un’opinione pubblica mondiale
contro la guerra, che da un giornale come
il New York Times è stata eletta a seconda
superpotenza mondiale.
Questa guerra precipiterà in una catastrofe umanitaria il popolo dell’Iraq. Si sa
che le guerre, assai più che i tiranni,
colpiscono i popoli e, nei popoli, i più
poveri: il sud del mondo. In una guerra
che, oltre alla distruzione, avvelenerà ulteriormente il rapporto tra il sud ed il
nord del mondo. Un popolo intero già
colpito da un blocco disumano ora verrà
colpito dalla guerra.
Noi, come tanti e tante, viviamo ore di
angoscia, ma non siamo disperati. La speranza abbiamo contribuito a costruirla e
vivrà. Questa speranza di un popolo mondiale contro la guerra non ha fermato la
guerra e non l’ha impedita. Potrà tuttavia
fermare questa guerra che si vuole infinita
ed indefinita. L’opposizione alla guerra
crescerà !
Signor Presidente del Consiglio, lei avrà
la maggioranza in questo Parlamento, ma
lei sa, come tutti, che non ha la maggioranza in questo paese. E quando questa
guerra precipiterà, il paese sarà segnato da
uno sciopero generale, dalla partecipazione dei lavoratori e delle lavoratrici alla
lotta e alle manifestazioni che vi saranno
in tutta Italia. Ne ha parlato diffusamente
la collega Deiana. Ma non le vedete le
bandiere della pace che segnano un nuovo
corso di questo paese ? Non avete visto la
composizione delle manifestazioni per la
pace ?
Sicuramente queste non hanno impedito la guerra, ma potranno fermarla. Non
ha impedito la guerra neanche il Pontefice
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che ha usato parole senza precedenti e che
ha parlato di guerra criminale. Domenica,
con un ricorso alla drammatica memoria
della seconda guerra mondiale, ha usato
l’anatema: mai più la guerra ! Anche lui
non è riuscito a fermarla, cosı̀ com’è non
l’hanno fermata l’opposizione, la minaccia
di veto di paesi cosı̀ importanti del mondo,
spesso alleati, come voi, degli Stati Uniti
d’America. Ma questo movimento, questa
opinione e questi spostamenti di forze
hanno indebolito l’impero e la sua logica.
Hanno disvelato tutta la sua ipocrisia ed
hanno rilevato il carattere di questa
guerra: una guerra per il controllo di
risorse strategiche, cinicamente perseguita
con determinazione assoluta. Si chiamano
petrolio, acqua e risorse biologiche. Una
guerra costruita per controllare un’area
geopolitica del mondo, quella del Golfo
persico, ed irradiare da quella posizione
ricatti verso altre aree. Una guerra imperiale, fatta con solo una manciata di
governi amici e senza l’ONU.
Signor Presidente del Consiglio, lei ha
citato le vicende del Consiglio di Sicurezza,
ma, al contrario di quello che lei sostiene,
queste sono rivelatrici del carattere illegittimo di questa guerra.
Il Governo degli Stati Uniti è stato
indotto a « passare » per l’ONU dai suoi
alleati e da quelli che lo sostenevano.
L’articolo 41 del trattato delle Nazioni
Unite, che illustra inequivocabilmente il
significato della risoluzione 1441 del 2002,
esso prevede che quando si accerta l’esistenza di una qualsiasi minaccia alla pace,
violazione della pace o atto di aggressione,
le Nazioni Unite hanno il potere di misure
« non implicanti l’uso della forza ».
E l’articolo 42 aggiunge che solo la
constatazione dell’inadeguatezza di tali
misure consente l’uso della forza. Questa
constatazione, l’ONU non l’ha fatta. Non la
poteva fare perché, al contrario, gli ispettori hanno dichiarato e chiesto più tempo
per svolgere la loro azione. Non l’ha fatta
perché gli Usa, dopo tanti sforzi diplomatici, anche pieni di ricatto, non hanno
avuto la possibilità di consolidare una
maggioranza nel Consiglio di sicurezza.
Non l’ha potuto fare perché paesi come la
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Francia, la Russia, la Cina hanno detto che
avrebbero opposto il veto. E allora, signor
Presidente del Consiglio, lei non può sfuggire a questa denuncia: questa guerra,
oltre che brutale, è illegittima.
Lei ha manifestato imbarazzo nel compiere questa scelta, una scelta secondo me
servile nei confronti degli Stati Uniti
d’America, che, tuttavia, non ha saputo
giustificare. Anzi, lei ha proposto una
scelta dura, aspra, di complicità con la
guerra e di suo sostegno politico, ma
nascosta con il minimalismo delle motivazioni. Cosı̀, lei non è riuscito a nascondere l’essenziale.
Voi non avete colto l’opportunità che si
presentava di costruire una nuova Europa.
L’ha colta la Francia che ha un Presidente
conservatore tuttavia consapevole della
sua storia e che, pur con una cultura come
quella gollista, ha saputo vedere un passaggio. E lo hanno saputo vedere altri,
come la Russia, la Germania (ne ha parlato acutamente, in quest’aula, Saverio
Vertone). Certo, le nostre motivazioni,
quelle di cui ha parlato Ramon Mantovani,
con grande chiarezza, non sono le motivazioni di una politica imperiale che tenta
di affrontare il tema della crisi e della
globalizzazione della crisi con una logica
fondamentalista che si esprime nell’amministrazione Bush. E, tuttavia, quel tentativo cercava di dispiegare un’Europa diversa. Voi oggi, con questa scelta, vi collocate lontano dal popolo d’Italia e fuori
da questa Europa. Voi contribuite ad
aprire un interrogativo sul destino dell’umanità.
Voi ripudiate le ragioni politiche della
nuova Europa e della pace. Lo fate scegliendo comunque la vicinanza agli Stati
Uniti d’America. È una prova di fedeltà,
ma anche di accecamento della ragione
politica. La fedeltà atlantica, peraltro, non
vi porta a nulla perché è una fedeltà ad
una alleanza in crisi, messa in crisi dagli
stessi Stati Uniti d’America con la dottrina
Bush e con la sostituzione ad essa di una
geometria variabile, nella ricerca delle alleanze. Voi, in realtà, parlate di Alleanza
Atlantica come se fosse la continuità e,
invece, state parlando di una nuova co-
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struzione, di una alleanza subalterna ad
un ordine imperiale. Non rifatevi ad un’altra Alleanza Atlantica cui noi siamo pure
stati avversi; parlate di questa !
Non sapete parlare neppure in nome
della continuità di una parte della classe
dirigente italiana. Ma qual è la vostra idea
dell’Italia, del Mediterraneo, dell’Europa ?
Non vi parlerò di La Pira e della sua
ispirazione; ma dov’è finita quella che ha
attraversato anche le culture di molti di
voi, del cattolicesimo politico ? Berlusconi,
il Presidente, ha detto: gli argomenti della
politica non possono mettere in discussione l’Alleanza Atlantica. È vero il contrario, signor Presidente: gli argomenti
della politica possono e debbono mettere
in discussione una Alleanza Atlantica che
si rivela servile dipendenza dagli Stati
Uniti d’America.
L’Europa oggi è incompatibile con questo servilismo. Ecco perché vi diciamo:
cominciamo dal « no » alle basi, cominciamo da una posizione in cui non basta
dire di non essere belligeranti, finendo
complici. Bisogna essere contro la guerra,
vecchia, antica, parola d’ordine popolare:
né un uomo né un soldo per la guerra !
Niente di niente.
Non solo, come è ovvio, « no » a uomini
italiani impegnati nella guerra, ma nulla di
uso del territorio, di spazio aereo, di basi
militari. Quello che lei non ha detto,
signor Presidente, è che del resto questa
scelta sarebbe illegittima, come riconosce
anche un Presidente emerito della Repubblica italiana. La guerra degli Usa è illegittima per la carta dell’ONU; la posizione
dell’Italia, che offre una cooperazione passiva delle basi militari, è illegittima dal
punto di vista della Costituzione repubblicana.
La disobbedienza civile diventa l’azione
per ripristinare la legalità e la legittimità
del Governo. Il popolo della pace lo saprà
perseguire e noi diciamo al Presidente
della Repubblica che sarebbe suo impegno
intervenire per impedire questa illegalità.
Oggi, nel Parlamento – e concludo,
signor Presidente –, le opposizioni trovano
un’unità e presentano davanti al paese una
posizione comune che dice « no » alla
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guerra e niente di niente dell’Italia per
questa guerra ! Una posizione limpida che
interpreta lo spirito del paese.
In questo Parlamento, lo spirito dell’Italia è, oggi, rappresentato dall’opposizione. Il popolo della pace ne avrà un
rafforzamento (Applausi dei deputati dei
gruppi di Rifondazione comunista, dei Democratici di sinistra-l’Ulivo, della Margherita, DL-l’Ulivo, Misto-Comunisti italiani,
Misto-Verdi-l’Ulivo e Misto-UDEUR-Popolari per l’Europa) !
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare
per dichiarazione di voto l’onorevole Cè.
Ne ha facoltà.
ALESSANDRO CÈ. Signor Presidente,
onorevole Presidente della Consiglio, onorevoli deputati, partiamo da un dato certo
e condiviso dalla comunità internazionale:
Saddam è un dittatore spietato ed estremamente pericoloso; ha ucciso 500 mila
iracheni e ne ha incarcerati altrettanti, in
dieci anni, per motivi politici; ha sterminato con i gas di curdi e decimato gli sciiti;
finanzia il terrorismo, in particolare la
jihad islamica, possiede armi di distruzione di massa, ritrovate anche recentemente nonostante il ripetuto diniego; non
accetta l’ipotesi dell’esilio, al contrario,
rilancia propositi bellicosi contro l’intero
pianeta, promettendo il tributo di sangue
innocente – lotteremo fino all’ultimo bambino – e minacciando la decapitazione di
tutti possibili prigionieri. Da 12 anni, non
ottempera alle risoluzioni ONU, quindi
non può sfuggire ad alcuno che Saddam,
e non altri, vuole la guerra !
Di fronte a questo quadro univoco, la
comunità internazionale, piuttosto che ricompattarsi, si è divisa. Avevamo paventato sin dall’inizio questo rischio che oggi
si è concretizzato. Già due mesi fa, avevamo rimarcato negativamente l’inspiegabile presa di posizione della Francia (in
primis della Germania), la mania di grandezza di Chirac, assolutamente spropositata rispetto al ruolo e all’importanza che
la Francia ha, oggi, all’interno della Comunità europea ed estremamente dannosa
nei rapporti fra Comunità europea e Stati
Uniti.
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La Francia, purtroppo, ha perseverato
in questa scelta che potrebbe trovare,
come unica attenuante, la presenza di una
consistente comunità islamica. I suoi
obiettivi di ritagliarsi una leadership europea, di diventare un interlocutore privilegiato del mondo arabo, di promuovere
i pur legittimi interessi economici, ossia le
opzioni per lo sfruttamento dei pozzi
petroliferi in Iraq, sono risultati assolutamente dirompenti rispetto all’assoluta
priorità della coesione della comunità internazionale.
Sul versante americano, non ha certamente giovato la ruvidità diplomatica
espressa da Chaney e da Condoleeza Rice.
Pertanto, nonostante il positivo documento
di tutta la comunità europea che prevedeva l’esclusione del rinvio sine die ed
anche l’utilizzo della forza come ultima
ratio, si era arrivati ad una situazione di
stallo, ad una comunità internazionale
divisa che rischiava di giocare in favore di
Saddam.
La risoluzione n. 1441 è stata letta in
modo diverso dalla Francia, che l’ha svuotata, e dagli Stati Uniti che l’hanno riconosciuta come contenente deterrenza vera
fino all’uso della forza. I termini « ultima
opportunità » e « serie conseguenze »
hanno ricevuto interpretazioni diverse.
Pensiamo che sia prevalente l’interpretazione che ne ha dato il Presidente del
Consiglio; ma detto ciò, il problema vero
sta oggi nel decidere da che parte stare.
Oggi, dobbiamo prendere una decisione
politica molto importante: se confermare
il nostro legame con gli Stati Uniti e
solidarizzare con i 45 paesi che considerano non più sopportabili le prese in giro
di Saddam, oppure sposare l’ipotesi dei
paesi che chiedono un ulteriore rinvio.
Certo, questo non è il migliore degli
scenari possibili. Il multilateralismo è
sempre la migliore soluzione e probabilmente si sarebbe potuti arrivare ad una
soluzione concordata se non ci fosse stato
uno stentato veto della Francia rispetto ad
una possibile risoluzione ultimativa da
parte dell’ONU. Ma ciò, purtroppo, non è
stato.
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È necessario, quindi, ponderare i rischi,
difendere il più possibile i valori, ma fare
una scelta netta !
La prima domanda che ci poniamo è la
seguente: può l’Italia entrare in netto contrasto con gli Stati Uniti vietando l’uso
delle basi ed il trasvolo del proprio territorio ? Non esiste alcuna motivazione, relativa a principi e valori di carattere
geopolitico, strategico e giuridico, che ci
spinga a rompere gli accordi sottoscritti
nel 1954 e confermati da memorandum
firmati da Dini e successivamente ribaditi
dal Governo D’Alema. Ciò sarebbe in contrasto con la politica internazionale italiana di tutto il dopoguerra, dalla quale
dipendono, in larga parte, la nostra civiltà,
il nostro futuro e la nostra sicurezza.
Rompere con gli Stati Uniti sarebbe indegno rispetto alla memoria di tante giovani
vite americane sacrificate, molte sul suolo
della Normandia – dovrebbe ricordarselo
anche Chirac –, per ripristinare la democrazia in Europa (Applausi dei deputati del
gruppo della Lega nord Padania).
Vogliamo, inoltre, ricordare alla sinistra che anche la Germania e la Francia,
nonostante la loro posizione contraria alla
guerra, concedono basi e sorvolo, dimostrando Realpolitik e rispetto degli accordi
internazionali, ma anche grande ipocrisia.
Rispetto a questo, né la sinistra italiana né
quella di Francia e Germania hanno protestato, il che conferma, ove ve ne fosse
bisogno, la strumentalità politica della posizione assunta dall’opposizione italiana
nei confronti del Governo Berlusconi.
Noi non ci nascondiamo, onorevole
D’Alema, dietro l’ossimoro della « guerra
umanitaria »: prendiamo atto con grande
rammarico della crisi della comunità internazionale, ma stiamo dalla parte di chi
intende assumersi pubblicamente responsabilità e rischi al fine di abbattere un
regime sanguinario la cui offensività, enormemente amplificata dai legami con il
terrorismo, mette a repentaglio la sicurezza e la pace duratura dell’intero pianeta.
Tutti insieme, dovremmo ritenere irresponsabile non solidarizzare con gli Stati
Uniti, dimenticando che essi hanno subito
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un attacco durissimo da parte del terrorismo e che, di conseguenza, sentono, più
di noi, la necessità di prevenire possibili
attentati futuri devastanti. A questo proposito, anche paesi che non condividono la
decisione statunitense, hanno posizioni defilate: la Cina tace; la Russia deplora, ma
non condanna; solo la Francia dice un
secco « no ».
Per tutte queste ragioni, ci appare stridente ed immotivato l’atteggiamento di
forte contrasto dell’opposizione: un’opposizione che non ci spiega come mai, in
Kosovo, decise per la guerra quando lo
stesso Dini dichiarò, in quell’occasione,
che una soluzione diplomatica era molto
vicina, addirittura sul tavolo delle trattative di Rambouillet; una sinistra che finanziò Milosevic, prima della guerra, con
l’affare Telekom-Serbia e che, allora, agı̀
senza una decisione preventiva del Parlamento italiano, senza mandato ONU e
persino in violazione dell’articolo 5 dello
statuto della NATO, dal momento che
nessuno Stato membro di quest’ultima era
stato colpito, o anche solo minacciato,
dalla Jugoslavia di Milosevic !
Oggi, quella stessa sinistra vorrebbe
fare carta straccia di accordi, assunti a
livello internazionale, in particolare con gli
Stati Uniti, perfettamente coerenti con la
nostra storia ed indispensabili per la sicurezza nazionale essendo il nostro paese
estremamente vulnerabile sia per la sua
posizione geografica sia per la mancanza
di un sistema efficace di difesa europeo.
Europa e Stati Uniti fanno parte di
un’unica, anche se multiforme, comunità
di valori che è bene non compromettere:
diviso, l’occidente si indebolisce ! Assieme
all’America possiamo conseguire i migliori
risultati in termini di sicurezza economica,
politica e militare.
Riteniamo, pertanto, irresponsabile attaccare, oggi, a soli fini di polemica interna, il Governo italiano, a maggior ragione quando si sa che, tra pochi mesi,
l’Italia avrà la Presidenza del Consiglio
europeo e, con essa, il difficile compito di
ricucire i rapporti tra i vari Stati che lo
compongono.
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Siamo pienamente convinti che la posizione assunta dal Governo italiano sia
l’unica possibile per debellare il terrorismo, per una pace duratura, per tutelare
l’interesse nazionale in attesa e nella speranza che l’ONU, profondamente riformato ed adeguato ad una realtà ben
diversa da quella del 1945, possa diventare
veramente un’istituzione internazionale
ispirata prevalentemente da principi e valori, oltre che da interessi, capace di
svolgere un’azione deterrente veramente
efficace nei confronti di chiunque minacci
concretamente il futuro dell’umanità (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega
nord Padania, di Forza Italia e di Alleanza
nazionale).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare
per dichiarazione di voto l’onorevole Follini. Ne ha facoltà.
MARCO FOLLINI. Signor Presidente,
abbiamo espresso molte volte in questi
giorni la nostra contrarietà a questa
guerra. Siamo contrari perché questa
guerra presenta un carattere unilaterale,
siamo contrari perché divide in molti
punti la comunità internazionale, siamo
contrari perché il mandato delle Nazioni
Unite non è stato confermato e ribadito in
modo inequivocabile da una nuova risoluzione.
All’indomani dell’11 settembre un
mondo sfregiato ed offeso dall’aggressione
del terrorismo di Al Qaeda riuscı̀ a radunarsi sotto la bandiera di un impegno
comune. Intorno agli Stati Uniti colpiti nel
loro territorio si radunò una vastissima
coalizione di paesi diversi per ideologie
politiche, fedi religiose ed interessi strategici. Mantenere quella coalizione, rinsaldarla, allargarla per quanto possibile era il
primo dovere e il primo interesse della
comunità internazionale. Oggi quella coalizione ha subito – non vi è chi non lo
veda – incrinature e distinzioni.
Il consenso intorno alle cose da fare,
alle iniziative da intraprendere, alle misure di sicurezza da promuovere nella
lotta contro il terrorismo si è fatto più
incerto, a tratti diviso, ed è evidente che
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tutto questo diminuisce la forza, diminuisce la sicurezza di cui invece noi sentiamo
l’esigenza.
Sarebbe ingeneroso, ingiusto, ritenere
che questa difficoltà appartenga solo agli
Stati Uniti. Non è cosı̀. Molte altre politiche unilaterali sono all’opera in questo
momento sulla scena internazionale, molti
egoismi frenano la cooperazione, molti
spiriti nazionalistici si nascondono sotto il
vessillo di ideali più nobili. E nessuno può
trascurare, pur dentro una diversa opinione, né lo spirito liberale della democrazia americana né la sua difficile responsabilità di unica grande potenza rimasta a presidiare l’ordine mondiale. Tuttavia, un di più di prudenza, un di più di
attenzione alle ragioni di chi sconsigliava
un’azione militare non sorretta da un
consenso largo e convinto sarebbe stato
saggio.
È stato detto che era finito il tempo
della diplomazia, invece di diplomazia
c’era e c’è ancora bisogno, anche e soprattutto nelle circostanze più difficili.
Avrebbe giovato di più all’America ed al
mondo la cauta saggezza di cui nella
guerra del Peloponneso dalla parte di
Atene diede prova il moderato Nicia piuttosto che lo spirito bellicoso ed intraprendente di Alcibiade.
Noi sappiamo bene che dall’altra parte
di questa barricata sta un dittatore sanguinario e crudele che ha usato violenza
verso il suo popolo e violenza verso le
regole della convivenza e della legalità
internazionale. Sappiamo bene che quel
dittatore possiede armi di distruzione di
massa, e non possiamo sottovalutare il
rischio che quel dittatore e le sue armi
possano alimentare, in modi che non conosciamo, un’ulteriore spirale terroristica.
Ma appunto per questo era fondamentale
che questa minaccia la si affrontasse assieme, la si affrontasse per quanto possibile con mezzi pacifici, la si affrontasse
con un più chiaro mandato internazionale.
Sappiamo anche che questa guerra viene
combattuta nel nome di una libertà da
promuovere con l’intento di restituire al
popolo iracheno tutto quello che il suo
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despota gli ha sottratto. E qui si pone alle
coscienze di tutti noi il punto più delicato.
Tante volte in questo dopoguerra gli
ideali di libertà e di solidarietà verso i
popoli oppressi si sono fermati alle soglie
della coesistenza pacifica.
È stato cosı̀ a Budapest nel 1956, a
Praga nel 1968 e poi sulla piazza TienAn-Men a Pechino, e prima era accaduto
a Santiago del Cile e tante, troppe altre
volte ancora. Questo stesso dilemma lo
abbiamo di fronte in tanti angoli del
mondo.
Per un verso, sappiamo che se a lungo
andare non vincerà ovunque – lo ripeto:
ovunque – una cultura comune dei diritti
e delle libertà, un’idea più mite del potere,
un rispetto più diffuso delle persone, allora lo scontro tra le civiltà, prima o poi,
prenderà il sopravvento e, d’altra parte,
sappiamo anche che se cercheremo di
imporre la nostra versione di quella cultura e di imporla con la forza delle armi,
altrettanto, saremo destinati a precipitare
verso quello scontro. Qui, sta, oggi, la
difficoltà maggiore, nostra e, in qualche
modo, di tutto il mondo. Negli anni ’70 si
poteva stare dalla parte del Vietnam; oggi,
è impensabile, per chiunque abbia a cuore
i diritti dell’uomo, non militare contro
Saddam Hussein. È sul modo di militare
contro di lui che abbiamo opinioni diverse,
ma dopo che ognuno di noi avrà portato
queste opinioni all’estremo limite, dovremo comunque considerare che il superamento delle dittature più efferate fa
parte del compito fondamentale che la
nostra generazione ha davanti a sé.
Ora, abbiamo il problema di recuperare almeno una parte della coesione che
in questo frangente, è andata smarrita. Lo
ha ricordato questa mattina il Presidente
del Consiglio ed io ho apprezzato le sue
parole. Non credo che ritroveremo quella
coesione lasciandoci andare ad una polemica infinita, tutta e solo rivolta ed una
parte. Agli Stati Uniti abbiamo ribadito le
critiche che scaturivano, per cosı̀ dire,
dall’interno della nostra alleanza, che riflettevano alcuni valori comuni, ma non
sarebbe saggio, non sarebbe utile se queste
critiche noi le svolgessimo, d’ora in avanti,
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con lo spirito di volere erodere o di
lasciare che venga erosa questa alleanza
travagliata ma, tuttora, strategica.
C’è un modo, anche nel dibattito in
corso nel nostro paese, di invocare la pace
e di invocare l’Europa che lascia intravedere qualcosa di più di una versione
antiamericana. Noi non abbiamo perso la
memoria del legame tra pace, sicurezza e
politica atlantica che ha attraversato
mezzo secolo della democrazia italiana;
non abbiamo perso la memoria del legame
tra la costruzione europea e l’amicizia con
gli Stati Uniti e, se ricordiamo questi
legami, non è certo per nostalgia della
guerra fredda ma, al contrario, perché
proprio, seguendo questo percorso, siamo
usciti dalla guerra fredda e abbiamo aiutato ad uscirne tanti altri paesi e popoli
che, troppo a lungo, ne erano rimasti
prigionieri.
Criticare gli Stati Uniti può riflettere, a
volte, una convinzione; isolare gli Stati
Uniti riflette, invece, un pregiudizio ed una
miopia. Da quel pregiudizio e da quella
miopia vogliamo stare in guardia e, per
quanto sta in noi, mettere in guardia.
L’alleanza è un punto fermo tanto,
quanto, oggi, il nostro dissenso. Non si
vede davvero perché l’opposizione ci
chieda, e lo chieda in nome dell’Europa, di
negare a paesi alleati quei diritti all’utilizzo delle basi e al sorvolo degli aerei che
tutti gli altri paesi europei considerano
parte di un ovvio dovere di alleanza. Non
si vede perché l’Italia debba sottrarsi ad
una cooperazione che vede impegnati la
Francia, la Germania, il Belgio, quei paesi,
cioè, che, pure, in questi giorni, hanno
espresso la disapprovazione più netta
verso la politica americana.
Solo noi – chissà perché ? – dovremmo
tradurre quella disapprovazione in una
saracinesca sbarrata nel nome della più
totale indisponibilità. Capisco che questa
saracinesca sbarrata faccia parte di quella
politica senza « se » e senza « ma » che una
parte della sinistra ha innalzato come la
bandiera della propria innocenza, ma vorrei ricordare che proprio la politica estera,
per sua natura, proprio l’azione diplomatica o è una infinita, paziente, accorta
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sequenza di « se » e di « ma » oppure
diventa un esercizio dogmatico e non sarà
macinando parole d’ordine fondamentaliste che il dialogo di pace farà grandi passi
in avanti nei mesi che ci attendono.
Invece, di dialogo vi è bisogno. Siamo
arrivati a questo punto del nostro percorso
avendo consumato molti, troppi strappi
nel tessuto delle grandi organizzazioni e
delle grandi alleanze internazionali. Oggi,
è più divisa l’ONU, più divisa la comunità
atlantica, più divisa l’Unione europea: conosciamo il costo ed il rischio di tutte
queste divisioni e tanto più sentiamo l’esigenza di riprendere in mano, per quanto
è possibile, l’ago ed il filo per ricominciare
a tessere, a cucire, a rammendare là dove
si sono prodotti gli strappi più forti. Questo è il compito del nostro paese, questa è,
vorrei dire, la sua vocazione e tanto più lo
è alla vigilia di un semestre europeo che
sarà denso e decisivo per le sorti di questa
parte del mondo.
PRESIDENTE. Onorevole Follini, la invito a concludere.
MARCO FOLLINI. Affidiamo questo
compito al Governo, signor Presidente del
Consiglio, ma ancora di più lo sentiamo
come compito fondamentale di tutto il
nostro paese (Applausi dei deputati dei
gruppi dell’Unione dei democratici cristiani
e dei democratici di centro e di Forza Italia
e dei deputati Intini, Gerardo Bianco e
Enzo Bianco – Molte congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare
per dichiarazione di voto l’onorevole Rutelli. Ne ha facoltà.
FRANCESCO RUTELLI. Signor Presidente, siamo dunque alla vigilia di una
guerra in Iraq e per l’Italia si tratta di
decidere, oggi, che giudizio dare e che cosa
fare; ciò non come il Governo, che ha
detto che siamo a favore, ma solo un po’,
e che siamo un po’ impegnati ed un po’
disimpegnati.
Nel dibattito parlamentare di un mese
fa sulla crisi irachena abbiamo rilevato la
reticenza del Governo sull’applicazione
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dell’articolo 11 della Costituzione. L’Italia
non può risolvere una controversia internazionale attraverso la guerra se non
come conseguenza di un mandato preciso
delle organizzazioni internazionali che ne
hanno la competenza.
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, vi
prego....
FRANCESCO RUTELLI. Del resto, la
causa annunciata di questa guerra è cambiata più volte: non vi è legame riconosciuto tra gli attentati dell’11 settembre e
questo conflitto; non vi è alcun mandato
legale per una invasione ed un cambio di
regime in Iraq; non è dimostrato che
l’orrenda, criminale dittatura irachena costituisca una minaccia imminente anche
dopo il consistente inizio dello smantellamento di armamenti da parte degli ispettori ONU.
Vi è un tema che ci sta a cuore: come
distinguere il nostro fermo dissenso dall’amministrazione americana rispetto ad
una contrapposizione all’America ed al
suo popolo, alla sua e nostra storia, ai
tanti valori che ci accomunano. C’è rispetto verso una alleato con cui dissentiamo ed esigiamo rispetto per il nostro
dissenso. Del resto, conosciamo bene il
dovere di esercitare la responsabilità in
politica estera, conosciamo le regole della
solidarietà con un alleato colpito a sangue
dal terrorismo (anche per questo mille
nostri alpini sono in Afghanistan), conosciamo i doveri della collaborazione.
Finché era legittima una pressione – anche militare – per ottenere il disarmo
dell’Iraq, noi abbiamo sostenuto quello
sforzo che doveva servire al mantenimento
della pace.
Adesso il mondo ha però voltato pagina: si va ad una guerra, e non è un caso
se i due Presidenti emeriti della Repubblica, due storici amici dell’America,
hanno parlato con tanta nettezza e chiarezza e se il Consiglio supremo di difesa,
presieduto dal Capo dello Stato, ha fissato
il rigoroso confine della non belligeranza.
Onorevole Follini, di fronte ad una
guerra sbagliata e illegittima, di fronte ad
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una guerra che spargerà sangue e creerà
durature e gravi conseguenze ci sono solo
due risposte: sı̀ o no. Nel dire « no » ci
auguriamo, fino all’ultimo, che il regime
iracheno si decomponga e che, comunque,
la guerra sia breve e porti il minor numero possibile di vittime; chiediamo che
siano affidati rigorosamente all’ONU i dirigenti del regime iracheno per essere
giudicati, in modo legale, da un tribunale
internazionale ad hoc e che sia l’ONU
responsabile della sovranità nel dopo Saddam e della ricostruzione. Il dramma di
oggi è la guerra, ma il problema di domani
sarà il dopoguerra, ed ai leader del mondo
è richiesto di saper governare i problemi,
non di ricorrere alle guerre come scorciatoie per i fallimenti delle diplomazie.
Signor Presidente, questo vale specialmente per la crisi mediorientale: non basta fare una solenne dichiarazione alla
stampa ogni anno e mezzo e poi abbandonare gli israeliani con il loro diritto alla
sicurezza e i palestinesi con il diritto ad
uno Stato sovrano. Occorre, per lo meno,
la stessa determinazione mostrata in questo ultimo tempo verso l’Iraq.
Vengo alla seconda parte del mio intervento. Lei, signor Presidente del Consiglio, questa mattina ha presentato tante
citazioni e, in polemica con le opposizioni,
ha detto che non si può fare strame della
verità. Nel dibattito di un mese fa lei ci
sfidò (leggo testualmente) a trovare una
sola parola, una sola frase, un solo ragionamento che sia non coerente da quando
la crisi è cominciata. Questa mattina con
la stampa ha addirittura qualificato la sua
azione come un capolavoro politico-diplomatico.
Io raccolgo la sua sfida e ripercorrerò
con le sue stesse parole solo alcune tappe
di questo capolavoro. Mosca, 16 ottobre
2002: credo che in Iraq non ci siano ormai
più armi di distruzione di massa perché
c’è stato tempo per la loro eliminazione o
riallocazione. Mosca, 16 ottobre: nessuno
può porsi come obiettivo il travolgimento
di un regime; il diritto internazionale non
lo consente. Lisbona, 17 ottobre: non ho
cambiato posizione: con Blair resto il più
vicino alleato di Bush. Roma, 7 novembre:
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sulla guerra non posso che nutrire gli
stessi sentimenti di Chirac. Roma, 13 novembre: esprimo la personale soddisfazione perché sono stato unico tra i Premier ad avere espresso il convincimento
che Saddam Hussein avrebbe accettato la
risoluzione dell’ONU. Praga, 21 novembre:
se si andrà ad una azione militare contro
l’Iraq, si tratterà di un’azione comune, di
un’azione multilaterale. Roma, 30 dicembre: gli Stati Uniti hanno garantito che
non daranno luogo a nessuna azione armata, se non nell’ambito delle Nazioni
Unite. Roma, 19 gennaio 2003 (qui parla il
ministro degli affari esteri): è necessario
dare agli ispettori il tempo che loro stessi
riterranno necessario per concludere il
loro lavoro. A Roma, il 23 gennaio, il
Presidente del Consiglio afferma: sappiamo che ci sono ulteriori prove certe, su
cui siamo tenuti alla riservatezza, sulle
armi di Saddam Hussein (Una voce dai
banchi del gruppo di Alleanza nazionale:
« Basta ! »). Roma, 24 gennaio: ho convenuto con il Primo ministro spagnolo Aznar
sull’assoluta inutilità di una riunione dei
Capi di Stato e di Governo europei (che si
sarebbe tenuta con successo pochi giorni
dopo). Roma, 1o febbraio, in un’intervista
a Milan Channel: nessuno ritiene che
un’organizzazione cosı̀ diffusa nel mondo
come Al Qaeda possa riuscire ad essere
cosı̀ organizzata senza il supporto di uno
Stato; si ha ragione di ritenere che questo
Stato sia l’Iraq. Mosca, 3 febbraio: una
seconda risoluzione delle Nazioni Unite è
non necessaria, tuttavia, anche per chi
dovrà intervenire in guerra sarebbe opportuna per dare legittimità all’azione.
Roma, 5 febbraio: un intervento militare
in Iraq, per avere piena legittimità, richiederebbe una nuova risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’ONU (Commenti dei
deputati dei gruppi di Alleanza nazionale e
della Lega nord Padania)...
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi...
FRANCESCO RUTELLI. Signor Presidente, io continuo il mio intervento.
PRESIDENTE. Fa benissimo !
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FRANCESCO RUTELLI. Ancora, Roma,
7 febbraio: se non ci sarà la seconda
risoluzione, avremo, oltre al danno della
guerra, tre danni ancora peggiori: l’ONU
perderebbe la credibilità come istituzione
capace di garantire la pace e la sicurezza
nel mondo, avremo la sparizione di fatto
dell’ONU, avremo un tracollo nella NATO
tra l’Europa e gli Stati Uniti, avremo una
divisione all’interno della stessa Europa
(Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-l’Ulivo, dei Democratici di sinistra-l’Ulivo, Misto-Comunisti italiani,
Misto-Socialisti democratici italiani, MistoVerdi-l’Ulivo e Misto-UDEUR-Popolari per
l’Europa – Applausi polemici di deputati
dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza
nazionale).
Modena, 9 febbraio: se fossero solo gli
Stati Uniti ad aprire il conflitto con l’Iraq,
ci sarebbero risultati catastrofici per l’Europa. Roma, 28 febbraio: l’azione militare
di un paese al di fuori dell’ONU rappresenterebbe un fatto nefasto; non credo che
nessuno si caricherà di una responsabilità
cosı̀ grave. Infine, il 12 marzo, dopo le
dichiarazioni del ministro Martino sulla
sua propensione personale ad andare in
guerra, il Presidente del Consiglio afferma:
quella è una sua convinzione personale; io
non sono un tecnico, non sono un tuttologo, non bisogna porre a me la richiesta
su cose che non conosco; Martino, facendo
il ministro della difesa, è anche un tecnico;
avrà riferito voci che ha sentito.
Signor Presidente, lei consegna, purtroppo, alla scena internazionale un’Italia
declassata, priva di credibilità, priva di
spina dorsale.
Noi restiamo fedeli ai valori che hanno
ispirato per cinquant’anni la politica
estera ed europea della nazione. Lo confermiamo: siamo pronti ad assumere tutte
le responsabilità necessarie per restituire
l’autorità, l’autorevolezza ed il prestigio
dell’Italia (Vivi prolungati applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DLl’Ulivo, dei Democratici di sinistra-l’Ulivo,
Misto-Comunisti italiani, Misto-Socialisti
democratici italiani e Misto-Verdi-l’Ulivo –
Commenti dei deputati dei gruppi di Forza
Italia e di Alleanza nazionale) !
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È vero, ministro Frattini, è il tempo
delle scelte: noi abbiamo da tempo detto
« sı̀ » alle Nazioni Unite e « no » alla dittatura di Saddam Hussein. Tuttavia, oggi
si vota un’altra cosa: si vota « sı̀ » o « no »
alla guerra. Voi dite « sı̀ », noi diciamo
« no » (Vivi applausi dei deputati dei gruppi
della Margherita, DL-l’Ulivo, dei Democratici di sinistra-l’Ulivo, Misto-Comunisti italiani, Misto-Socialisti democratici italiani e
Misto-Verdi-l’Ulivo – Congratulazioni) !
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare
per dichiarazione di voto l’onorevole La
Russa. Ne ha facoltà.
IGNAZIO LA RUSSA. Signor Presidente, il gruppo di Alleanza nazionale ha
condiviso pienamente la relazione che
questa mattina il Presidente del Consiglio
ha illustrato all’Assemblea. L’ha condivisa
perché ci è sembrato che abbia dato
chiaramente conto, ai deputati in aula, del
ruolo e della posizione che l’Italia in
queste ultime settimane ha svolto nel consesso internazionale.
Ho appena sentito la lunga serie di
citazioni dell’onorevole Rutelli: era una
ravvicinata rassegna stampa di tante dichiarazioni rese in un tempo recente. Non
farò la stessa cosa perché altrimenti non
so dove finiremmo. Dico che proprio
quelle dichiarazioni, onorevole Rutelli,
danno il senso di un ritrovato ruolo della
politica internazionale dell’Italia (Commenti dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l’Ulivo)...
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, vi
prego, dopo ci sono altri interventi...
IGNAZIO LA RUSSA. Signor Presidente, li lasci pure parlare, preferisco non
essere interrotto (Si ride).
PRESIDENTE. Le chiedo scusa.
IGNAZIO LA RUSSA. Mi riferisco ad
un ruolo pervicace ed attento del Governo
italiano a non essere, come è avvenuto per
tanti anni, completamente assenti dal consesso internazionale.
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Proprio le frasi che l’onorevole Rutelli
ha citato sono la migliore testimonianza
del tentativo italiano di mantenere l’elastico stretto, vicino tra le posizioni europee e gli amici americani (Commenti dei
deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l’Ulivo e della Margherita, DL-l’Ulivo). Proprio quelle citazioni sono la prova
evidente del tentativo italiano di spendersi
per mantenere lontano il pericolo della
guerra ed avvicinare ogni possibilità di
accordo del mondo occidentale di rinnovare il patto contro il terrorismo che era
stato acceso non a caso – caro onorevole
Rutelli, lei lo ha dimenticato – ma dopo il
più grande attentato terroristico della storia. Quel sentimento di unità antiterroristica si è un po’ disciolto come neve al
sole.
La ringrazio, quindi, signor Presidente
del Consiglio, per il ruolo che l’Italia ha
riconquistato che tornerà molto utile
quando, dopo questa tragica fase, bisognerà ricostruire, quando vi sarà bisogno
del ruolo italiano per lanciare un ponte
verso i paesi rivieraschi del Mediterraneo,
per riallacciare ancora di più i contatti
all’interno dell’Europa, per mantenere costante la vicinanza agli amici americani.
Tornerà assai utile il ruolo coerente ed
intelligente che l’Italia ed il nostro Governo hanno tenuto in queste ultime settimane. Ringrazio lei e tutti i componenti
del Consiglio supremo della difesa – presieduto dal Presidente della Repubblica,
con la partecipazione dei ministri, del
Presidente del Consiglio, del Vicepresidente del Consiglio Fini, dei capi delle
Forze armate – che oggi ha sancito alcune
cose che, forse, non sono state lette o
capite bene.
Infatti ancora oggi sento, anche negli
interventi che ho appena ascoltato, pendolare l’analisi della posizione italiana tra
il « partecipiamo alla guerra » e « la nostra
posizione è poco chiara ». La nostra posizione è chiarissima ! Ed, anzi, ve la leggo:
il Consiglio supremo di difesa ha deciso
l’esclusione della partecipazione italiana
dei nostri militari alle azioni di guerra. Ha
deciso l’esclusione della fornitura e della
messa a disposizione di armamenti e
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mezzi militari di qualsiasi tipo. Ha deciso
l’esclusione dell’uso di strutture militari
quali basi di attacco diretto ad obiettivi
iracheni. Ha deciso che la nostra posizione
è quella di « non belligerante ». Ha deciso
– e su questo avete evidentemente delle
obiezioni (legittime forse, ma a mio avviso
sbagliate) – il mantenimento dell’uso delle
basi per le esigenze di transito, di rifornimento e di manutenzione dei mezzi,
nonché la possibilità di sorvolare il nostro
spazio aereo. Ha cioè deciso che l’Italia
faccia esattamente quello che fanno la
Germania e la Francia che hanno posizioni politiche diverse dalle nostre.
Allora chiariamo innanzi tutto questo.
La differenza c’è: è politica ! Noi abbiamo
ritenuto in questa circostanza, al di là dei
temi giuridici che pure sono stati illustrati
e che parlano di liceità dell’intervento, noi
abbiamo deciso che non poteva essere
interrotta la nostra amicizia, il nostro
rapporto transatlantico con gli Stati Uniti,
essendo vicini alla loro decisione (immagino assai sofferta) di attivarsi in prima
persona, ma non da soli – non da soli,
onorevole Rutelli –, per cercare di sconfiggere quello che da tutti, anche da lei, è
stato considerato una minaccia per il
mondo, cioè il regime iracheno di Saddam.
Avrei avuto molto piacere di vedere le
tante manifestazioni per la pace (che capisco e alle quali ci si può anche unire)
insistere non tanto contro gli Stati Uniti
d’America quanto nell’invito a Saddam a
lasciare libero il proprio popolo, ad andarsene, ad accettare la richiesta dell’esilio
(Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza
nazionale, di Forza Italia e della Lega nord
Padania) ! Non ho visto una sola manifestazione in questa direzione !
Mi rendo conto della difficoltà della
posizione della sinistra, costretta a inseguire i temi della demagogia (Commenti
dei deputati dei gruppi dei Democratici di
sinistra-l’Ulivo, della Margherita, DLl’Ulivo e Misto-Comunisti italiani) ...
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, vi
prego !
IGNAZIO LA RUSSA. ... i temi della
speculazione interna e i temi dell’interesse
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elettorale (Commenti dei deputati dei
gruppi dei Democratici di sinistra-l’Ulivo,
della Margherita, DL-l’Ulivo e Misto-Comunisti italiani) !
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi !
IGNAZIO LA RUSSA. No, non c’è problema, signor Presidente.
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, io
sono tra due fuochi, perché tra l’altro
l’onorevole La Russa mi chiede di non
interrompere.
IGNAZIO LA RUSSA. Mi rendo conto
della vostra difficoltà. L’Ulivo mondiale,
quello di Blair, quello di Clinton, quello
che comprendeva D’Alema, non sta dalla
vostra parte ! Il mito della sinistra (Blair,
Clinton) è finito dalla parte giusta ! È
rimasta solo l’Italia, sulle posizioni (almeno coerenti) di Rifondazione comunista !
Questa è la verità (Applausi dei deputati dei
gruppi di Alleanza nazionale e di Forza
Italia) !
Allora credo che bisogna dire delle cose
chiare. Credo che la demagogia vada abbattuta con il ragionamento. Vedete, cari
colleghi, noi riteniamo che soltanto chi si
adagia in un pacifismo acritico e pregiudiziale unilaterale finisce con il convincere
o con il rafforzare il convincimento dei
dittatori come Saddam di poter resistere
alla pressione di chi vorrebbe disarmare.
Noi riteniamo che solo chi mette nel conto
l’uso della forza lavora realmente per
fermare le mani del terrorismo mondiale
e per garantire la pace ! Queste frasi, che
io ho cosı̀ riassunte, sono per l’appunto
contenute anche nella dichiarazione di ieri
di Clinton, che dice esattamente: solo la
minaccia dell’uso della forza angloamericana ha consentito agli ispettorati di entrare in Iraq; senza una credibile minaccia
della forza, Saddam non disarmerà mai.
Parola di Clinton !
Ma, se non vi piace Clinton, cito uno
dei vostri giornali il Riformista dice (Commenti dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l’Ulivo e Misto-Comunisti
italiani)... non è un vostro giornale, chiedo
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scusa ! Voi potete tranquillamente contestare la posizione del Governo, ma perché
il Riformista – un vostro giornale e non io
– vi chiede di arrivare a posizioni di
ostilità e di boicottaggio ? Perché ? Io una
risposta ho cercato di darmela: la verità è
che le motivazioni giuridiche che avete
addotto non contano nulla se è vero, come
è vero, che – è stato ricordato più volte –
l’unica guerra che l’Italia ha fatto senza
l’egida dell’ONU è avvenuta quando Presidente del Consiglio era l’onorevole
D’Alema (Applausi del deputato Giancarlo
Giorgetti). E ha fatto bene a farla ma è
stata quella l’unica occasione.
PRESIDENTE. Onorevole La Russa, la
invito a concludere.
IGNAZIO LA RUSSA. Mi avvio a concludere, signor Presidente, vorrà dire che
salto questa circostanza, anche se ci sono
state molte interruzioni.
Presidente, credo che la pace si possa
difendere in tanti modi e ce n’è uno che
mi piace molto, perché noi vogliamo la
pace ! Ogni giorno 8.895 italiani non fanno
girotondi, non innalzano bandiere multicolori, ma difendono davvero la pace: sono
i nostri alpini in Afghanistan, sono i nostri
soldati in missione di pace nel mondo.
Grazie ragazzi, siamo con voi per la pace
(Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza
nazionale, di Forza Italia, dell’Unione dei
democratici cristiani e dei democratici di
centro, della Lega nord Padania e MistoLiberal-democratici, Repubblicani, Nuovo
PSI, cui si associano i membri del Governo
– Congratulazioni) !
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare
per dichiarazione di voto l’onorevole Fassino. Ne ha facoltà.
PIERO FASSINO. Signor Presidente,
onorevoli colleghi, credo che il sentimento
che dovrebbe ispirare questa nostra
discussione dovrebbe essere prima di tutto
di grande preoccupazione, di inquietudine
e di angoscia. Infatti, stiamo discutendo di
pace e di guerra, stiamo discutendo di un
argomento di particolare gravità e dram-
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maticità che dovrebbe indurre in ciascuno
di noi un atteggiamento che vada oltre le
normali e legittime affermazioni delle posizioni di parte.
Intanto, stiamo discutendo di una
guerra e la parola « guerra » evoca sofferenza, distruzione, morte per centinaia di
migliaia di persone. In particolare, stiamo
parlando di una guerra che, ogni giorno di
più, appare ingiustificata. Ad oggi, nulla
prova che non sarebbe stato possibile
disarmare Saddam Hussein attraverso le
ispezioni delle Nazioni Unite anzi. Infatti,
mano a mano che quelle ispezioni erano
venute approfondendosi e allargandosi, si
erano ottenuti i primi risultati di smantellamento degli armamenti e degli arsenali di Saddam Hussein. Ciò dimostrava,
appunto, la possibilità di ottenere il disarmo attraverso una soluzione politica e
non necessariamente precipitandosi in una
guerra. Si doveva e si poteva perseguire e
proseguire nell’iniziativa dell’ONU, mentre
si è voluto precipitosamente interromperla.
Si tratta di una guerra che appare
insensata per le conseguenze che può
produrre. Questo conflitto ci è stato presentato più volte da chi lo vuole come una
guerra per rendere il mondo più sicuro; il
rischio è che, all’indomani di questa
guerra, il mondo sia più insicuro se solo
pensiamo a come tale conflitto sarà vissuto
e percepito dalle opinioni pubbliche dei
paesi islamici, dei paesi arabi, in quelle
società che già oggi sono percorse dalla
febbre antioccidentale, che dunque trarranno da questa guerra nuovo motivo per
esprimere questi sentimenti.
C’è da chiedersi fino a che punto quel
conflitto, che in Medio Oriente da due
anni si avvita in una spirale sanguinosa di
guerra e di violenza, sarà facilitato nella
sua soluzione da una guerra che si svolga
a poche centinaia di chilometri da quel
teatro.
C’è da chiedersi chi difenderà il mondo
da una sequenza reattiva di attentati terroristici, che potrebbe scatenarsi e mettere
a repentaglio la sicurezza di nazioni intere. Una guerra ingiustificata e una
guerra insensata. Una guerra unilaterale e
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priva di legittimità internazionale, perché
questa guerra non ha un’autorizzazione
dell’ONU. E non solo. Per come si sono
sviluppate le cose nell’ultime settimane, si
può affermare che questa guerra la si sta
facendo contro la maggioranza degli Stati
che sono membri delle Nazioni Unite (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l’Ulivo, della Margherita,
DL-l’Ulivo e Misto-Comunisti italiani).
È la prima volta nella storia delle
Nazioni Unite che il Consiglio di Sicurezza
non esprime un orientamento che sia in
sintonia con gli orientamenti del principale paese di questo pianeta. E, non a
caso, gli Stati Uniti hanno rinunciato a
portare in Consiglio di Sicurezza, insieme
alla Spagna e alla Gran Bretagna, la
seconda risoluzione, perché avrebbero dovuto registrare l’insussistenza, in quella
sede, di una maggioranza a sostegno di
quella risoluzione.
Francamente, non valgono i precedenti.
Invocare la risoluzione del 1991, la n. 676,
o la risoluzione n. 687, come ha fatto lei,
signor Presidente del Consiglio è francamente un’operazione azzardata, intanto
perché ogni risoluzione va valutata nello
specifico contesto anche temporale, oltre
che politico, in cui viene assunta. E il
passaggio di tredici anni dalla precedente
risoluzione – se mi permette – rappresenta una modifica di contesto di non
poco rilievo. Ma, poi, quelle sono risoluzioni che – tutte – puntano all’obiettivo di
disarmare Saddam Hussein. Qui, siamo a
qualcosa che va molto oltre il disarmo di
Saddam Hussein. Qui siamo alla decisione
di un paese, e di alcuni altri paesi che lo
sostengono, non di disarmare Saddam
Hussein ma di invadere l’Iraq, di cambiare
il regime politico di quel paese. Addirittura, siamo ad una dichiarazione delle
ultime ore che dice che gli Stati Uniti,
quand’anche Saddam Hussein adesso se
ne andasse, entrerebbero ugualmente in
Iraq.
Siamo molto al di là del disarmo previsto dalle risoluzioni dell’ONU. Siamo ad
un’applicazione della forza che va al di là
di qualsiasi criterio di proporzionalità, che
è un criterio fondamentale quando si
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adotta una misura cosı̀ drammatica ed
estrema come l’utilizzo della forza per
sanzionare un paese.
Nel 1991, quando si intervenne con la
guerra nel Golfo, si intervenne perché
l’Iraq aveva invaso un paese e ne aveva
annullato l’indipendenza e la sovranità.
ALFREDO BIONDI. Voi votaste contro !
PIERO FASSINO. Nel 1998, quando si
è intervenuto in Kosovo, lo si è fatto
perché c’era una pulizia etnica di cui
erano vittime decine di migliaia di persone.
MARIO LANDOLFI. Eravate voi !
PRESIDENTE. Onorevole Landolfi...
PIERO FASSINO. Nel 2001, quando si
è intervenuto in Afghanistan, lo si è fatto
all’indomani di un attentato come quello
delle Torri gemelle, che ha rivelato l’esistenza di un’attività terroristica particolarmente preoccupante e pericolosa per
l’umanità intera, che aveva in Afghanistan
uno dei suoi santuari principali. C’era un
rapporto di proporzione tra la decisione di
usare la forza e il rischio drammatico per
la sicurezza di popoli e di nazioni che era
in campo in quel momento. Nessuno rapporto di proporzionalità c’è oggi tra lo
scatenare una guerra e il pericolo costituito da Saddam Hussein, che poteva e
doveva essere perseguito continuando l’attività delle ispezioni. In questo modo, si
sarebbe potuto ottenere il risultato di
disarmare Saddam Hussein, senza precipitare il mondo in una guerra.
Sono queste le ragioni che ci portano a
dire « no ». E, badate: chi si assume oggi la
responsabilità di condividere una guerra –
sostanzialmente di condividerla, come ha
fatto lei, signor Presidente del Consiglio –
si assume la responsabilità non soltanto di
condividere una scelta sbagliata ma anche
di contribuire a mettere in mora quelle
Nazione Unite di cui, dopo questa crisi,
tutti avvertiamo che c’è ancora più necessità.
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Proprio la vicenda irachena, infatti,
dimostra che senza Nazioni Unite forti
non c’è la possibilità di dirimere i conflitti
e c’è il rischio, invece, che i conflitti
precipitino in guerra. Ma, se le Nazioni
Unite vengono messe in mora dalle nazioni
che le compongono e, in primo luogo, dalle
nazioni più potenti, non avranno mai la
forza di dirimere i conflitti e di dare a
quei conflitti una risoluzione politica forte,
senza che questo passi per il ricorso alle
armi.
Ecco, noi avremmo voluto sentire queste parole oggi, qui, signor Presidente del
Consiglio.
Invece, noi abbiamo sentito da parte
sua espressioni non preoccupate, non consapevoli dei rischi che stanno di fronte
all’umanità, ma espressioni che hanno teso
a dare legittimità a una guerra illegittima:
sostanzialmente, espressioni che ci dicono
che lei e il suo Governo condividono
questa avventura bellica in cui si stanno
imbarcando gli Stati Uniti e alcuni altri
paesi, fuori di qualsiasi quadro dell’ONU,
fuori di qualsiasi quadro di legittimità
internazionale.
L’onorevole Rutelli le ha già ricordato
con efficacia quante sue dichiarazioni
delle scorse settimane avessero segno diverso da queste, in un continuo giro di
valzer di posizioni che erano ispirate da
un’unica regola, che è una regola che lei
segue spesso: quella di dire all’interlocutore che ha di fronte ciò che l’interlocutore vuol farsi dire e sentirsi dire (Applausi
dei deputati dei gruppi dei Democratici di
sinistra-l’Ulivo, della Margherita, DLl’Ulivo, Misto-Comunisti italiani, Misto-Socialisti democratici italiani e MistoUDEUR-Popolari per l’Europa), ossia compiacere l’interlocutore nella speranza cosı̀
di ottenere un credito. Ma il credito non
si ottiene cosı̀. La credibilità di un paese
si ottiene se si ha una linea politica chiara
e la si sostiene. Lei ritiene per le ragioni
che ci ha esposto qui, che l’intervento
americano in Iraq sia legittimo ? Allora,
abbia il coraggio di assumersi la responsabilità di partecipare a questa guerra
(Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l’Ulivo, della Marghe-
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rita, DL-l’Ulivo, Misto-Comunisti italiani,
Misto-Socialisti democratici italiani e Misto-UDEUR-Popolari per l’Europa) ! Invece, lei questo coraggio non ce l’ha (Commenti dei deputati del gruppo di Alleanza
nazionale) ! Lei è venuto qui a dirci che
questa guerra è legittima per poi concludere che l’Italia non è belligerante. Lei,
insomma, vorrebbe ma non può.
La verità è che, ancora una volta, lei ha
dato una dimostrazione di inadeguatezza
grave alle responsabilità che spettano ad
un Governo. In ogni caso, finché questo
deprime la credibilità sua e del suo Governo, poco male, ma nel momento in cui
questo atteggiamento deprime la credibilità del paese, lei produce un danno all’Italia intera, al suo prestigio internazionale ed al ruolo che il paese può giocare
(Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l’Ulivo, della Margherita, DL-l’Ulivo, Misto-Comunisti italiani,
Misto-Socialisti democratici italiani, MistoUDEUR-Popolari per l’Europa e MistoVerdi-l’Ulivo – Commenti dei deputati del
gruppo di Alleanza nazionale).
PRESIDENTE. Onorevole Fassino, per
cortesia, concluda rapidamente.
PIERO FASSINO. Signor Presidente, ho
terminato.
Io penso che quello che questo Parlamento deve dire – e noi sentiamo il dovere
di dire – è che questa è una guerra
sbagliata, insensata e ingiustificata, un’iniziativa militare unilaterale che non deve
essere sostenuta (Commenti di deputati del
gruppo di Forza Italia). È quello che chiedono milioni di donne e di uomini del
nostro paese e noi chiediamo al Governo
italiano di tenerne conto. Se il Governo
italiano non intende tenere conto di tutto
ciò, saremo noi dell’opposizione a farci
carico di rappresentare quell’Italia, che è
la stragrande maggioranza dei cittadini
italiani (Commenti dei deputati dei gruppi
di Forza Italia e di Alleanza nazionale), che
non vuole la guerra e vuole la pace (Vivi
e prolungati applausi dei deputati dei
gruppi dei Democratici di sinistra-l’Ulivo,
della Margherita, DL-l’Ulivo, Misto-Comu-
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SEDUTA DEL
nisti italiani, Misto-Socialisti democratici
italiani e Misto-UDEUR-Popolari per l’Europa, che scandiscono: « Pace ! Pace ! »).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare
per dichiarazione di voto l’onorevole
Adornato. Ne ha facoltà (Commenti di
deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l’Ulivo, della Margherita, DL-l’Ulivo
e Misto-Comunisti italiani) ... Onorevoli
colleghi, il dibattito si è svolto con civiltà.
Chi l’ha seguito alla televisione ha visto il
rispetto che c’è stato tra tutti, per cui vi
prego di non venir meno a questa che, tra
l’altro, è una regola di buona educazione.
Onorevole Adornato, a lei la parola.
FERDINANDO ADORNATO. Signor
Presidente, signor Presidente del Consiglio,
onorevoli colleghi, il nostro dibattito ha
assunto a tratti toni davvero irreali. L’opposizione, salvo l’onorevole Fassino – ma
poi ci tornerò –, parla come se l’Italia
stesse decidendo di entrare in guerra
(Commenti dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l’Ulivo e Misto-Comunisti italiani). Non è cosı̀. È bene allora
ricordarlo al paese, viste le reazioni. Nessun soldato italiano parteciperà al conflitto; il nostro non è e non sarà un paese
belligerante. Noi oggi decidiamo solo ciò
che è già previsto dai trattati internazionali esistenti e cioè la concessione dell’uso
delle basi e la facoltà di sorvolo. Lo
facciamo votando in quest’aula, a differenza del 1999, prima che qualsiasi conflitto cominci (Applausi dei deputati dei
gruppi di Forza Italia e Alleanza nazionale).
Nonostante ciò, veniamo politicamente
aggrediti con la pretesa che l’Italia decreti
un vero e proprio atto di ostilità nei
confronti degli Stati Uniti rifiutando loro
un sostegno logistico che, ripetiamolo, persino Francia e Germania non negano.
Altro che continuità, onorevole Rutelli !
Questo è un atto – quello che sta nella
vostra risoluzione – che muterebbe l’intera storia della nostra politica estera e
persino la nostra collocazione in Europa.
Noi comprendiamo la coerenza dell’onorevole Bertinotti, ma siamo preoccupati che la logica del « senza se e senza
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ma » diventi la logica politica dell’intero
centrosinistra, una logica che vi porta oggi
su vecchie posizioni antiatlantiche. Ebbene, sappiate, e lo sappia l’Italia, che
questa non potrà mai essere la logica di
governo di una grande nazione occidentale
(Applausi dei deputati dei gruppi di Forza
Italia, di Alleanza nazionale e Misto-Liberal-democratici, Repubblicani, Nuovo PSI) !
In un momento cosı̀ difficile ci aspettavamo maggiore compostezza e responsabilità e da questo punto di vista ringrazio di cuore l’onorevole Rutelli, perché con
il suo intervento ha consentito ciò che,
secondo noi, doveva avvenire fin dall’inizio
e cioè che anche la sinistra applaudisse le
parole del Presidente del Consiglio (Commenti dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l’Ulivo e Misto-Comunisti
italiani).
Pur esibendo le vostre legittime posizioni, ci aspettavamo che, sia pure soltanto
uno di voi, si augurasse, come ha comunque fatto Chirac, una rapida vittoria degli
alleati, ma nessuno lo ha fatto; oppure,
che qualcuno imitasse almeno Bill Clinton,
il quale, pur contestando Bush, ha inviato
una lettera di aperto sostegno a Blair,
entrambi una volta vostri amici, riconoscendo che: « la minaccia di veto non ha
aiutato la diplomazia ».
Ci saremmo almeno accontentati di
ascoltare le stesse parole che D’Alema, da
Presidente del Consiglio, pronunciò in
quest’aula nel 1999, le ricordo: « Chiedo al
Parlamento di non sacrificare, in un momento cosı̀ cruciale, la comune responsabilità verso gli interessi del paese ». Facciamo nostre queste sue parole, onorevole
D’Alema, le facciamo nostre oggi come il
centrodestra le fece sue allora, peccato che
sia lei a non farle più sue, venendo meno
alla stessa responsabilità che allora chiedeva giustamente e implicitamente suggerendo una ardita teoria politologica, secondo la quale l’unica guerra giusta sarebbe quella che avviene quando la sinistra è al Governo (Applausi dei deputati dei
gruppi di Forza Italia e di Alleanza nazionale).
Se c’è una differenza tra il Kosovo e
l’Iraq, entrambi conflitti senza un man-
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dato ultimativo dell’ONU, essa è una sola:
allora l’Italia entrava direttamente in
guerra, oggi no. L’Italia non lo fa per un
semplice motivo, onorevole Fassino,
perché questa maggioranza, approfittando
dell’opera sempre più accreditata del nostro Premier, ha inteso finora e intende
per il futuro, fin dalla riunione del Consiglio europeo di domani, semplicemente
ritagliare all’Italia un’altra linea, una linea di equilibrio e di mediazione nell’aspro confronto che si è aperto nella
comunità internazionale. Un ruolo che
corrisponde alla storica vocazione dell’Italia ed alla necessità di sanare le ferite
aperte nell’ONU, nell’Unione europea,
nella NATO, soprattutto per il ruolo di
Presidenza che competerà al nostro paese
nel prossimo semestre. Si tratta di un
ruolo che esige grande prudenza e diplomazia – come fa a non capirlo onorevole Fassino ? – anche a costo di correre il rischio di apparire in qualche
occasione silenziosi o non espliciti.
Per tale motivo abbiamo giudicato nefasta l’ipotesi di un conflitto che nascesse
con una spaccatura dell’ONU; non ci riconosciamo, cioè, nell’esito finale del lavoro di mediazione, che pure Bush e
Powell fin dall’inizio hanno cercato, cosı̀
come non abbiamo considerato utile che
diversi paesi, Francia in testa, mostrassero
di dimenticare che le pur parziali conquiste degli ispettori erano dovute unicamente alla pressione militare che americani e inglesi, non francesi, esercitavano
nei confronti dell’Iraq, mentre, al contrario, la risoluzione n. 1441 pretendeva un
disarmo immediato e senza condizioni, ed
è quella la base di legittimità del conflitto
odierno.
Quel che sarà certo comunque alla fine
di tali confronti, è che l’ordine mondiale
richiede un nuovo disegno. Viviamo in un
pianeta completamente diverso dal passato, un pianeta che ha assistito l’11
settembre alla terribile epifania della
guerra globale del terrorismo in un quadro nel quale l’ordine di Yalta era già da
tempo superato, perciò abbiamo bisogno
di strumenti nuovi. Il mondo non può
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essere guidato da una sola superpotenza,
né vogliamo che crescano nuove superpotenze tra loro antagoniste.
La nostra generazione deve, viceversa,
immaginare un nuovo multilateralismo democratico, con sedi internazionali rinnovate nelle strutture e nelle regole, perché
l’ONU fatica a stare al passo con i tempi.
L’Europa può, e deve, essere attore centrale di questo nuovo multilateralismo, ma
– ecco il punto politico – noi non pensiamo che il volto europeo del multilateralismo possa e debba essere costruito in
contrasto con gli Stati Uniti. Ecco il punto
politico.
Se Chirac pensa questo, commette un
autentico errore storico; la nostra generazione deve andare oltre Yalta, ma non per
tornare indietro agli anni trenta, quando
una Europa riottosa ed ostile verso
Washington si infilò in un buio tunnel, dal
quale sono stati poi gli americani a liberarla. Oltre Yalta vuol dire riproporre con
nuovi diritti e nuovi doveri un’alleanza
indissolubile tra le grandi democrazie liberali del pianeta e studiare nuove forme
di collaborazione con le aree più arretrate
del mondo.
Signor Presidente, nessun paese democratico oggi si sente equidistante, cosı̀
anche l’Italia che solennemente ribadisce
oggi in quest’aula la sua amicizia con gli
Stati Uniti e la sua avversione nei confronti di Saddam. Auspichiamo una vittoria rapida degli alleati e la definitiva
liberazione dell’Iraq dal suo tiranno che
poi, come Milosevic, dovrà essere processato da un tribunale internazionale.
Vogliamo ricordare alle ragazze ed ai
ragazzi del nostro paese una cosa importante: la pace è e deve essere per tutti un
valore supremo e universale, ma la parola
pace, separata dalla parola libertà, perde
ogni valore (Applausi dei deputati dei
gruppi di Forza Italia, di Alleanza nazionale
e della Lega nord Padania) ! Può esserci
pace, infatti, anche nel rumoroso silenzio
delle dittature, là dove tutto tace, perché
viene negato e vilipeso ogni diritto umano
e siccome si è parlato della cultura cattolica (Commenti dei deputati del gruppo
della Margherita, DL-l’Ulivo), vorrei ricor-
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dare l’enciclica Pacem in terris di Giovanni
XXIII che ricordava come la pace « può
esistere solo nel pieno rispetto del principio che ogni essere umano è persona,
soggetto di diritti inviolabili e che essa » –
la pace – « può realizzarsi solo se fondata
su verità, giustizia, amore e libertà ».
A tale proposito però vorrei osservare
che non è giusto da parte di nessuno
trasformare la Chiesa o il Papa Wojtyla in
un leader politico, osannandolo e ricusandolo a seconda delle convenienze, strumentalizzando il suo magistero pacificatore (Applausi dei deputati dei gruppi di
Forza Italia, di Alleanza nazionale e dell’Unione dei democratici cristiani e dei
democratici di centro), non pacifista, a puri
fini di parte.
Pace e libertà, questo sta scritto sulle
nostre bandiere ed invitiamo anche noi ad
esporle in tutte le case del paese, con una
sfida però alle bandiere arcobaleno: aggiungete, aggiungiamo a chiare lettere anche la parola: libertà, senza peraltro dimenticare che la più solenne bandiera di
pace resta per tutti noi quella italiana,
quella del nostro paese (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di
Alleanza nazionale) !
Al tempo del Kosovo tutti invocammo
l’emergenza, l’ingerenza umanitaria: era
vero, ma attenzione, il nostro cuore non
può andare solo lı̀ dove vogliono i media.
Le immagini dei profughi kosovari colpirono giustamente l’emozione del mondo e
crearono consenso a quella guerra.
Ebbene, oggi, solo perché la TV non ce
li ha mostrati, dobbiamo forse dimenticare
i 4 mila villaggi, le 2 mila scuola, le 2 mila
e 500 moschee, i 300 ospedali e chiese
distrutte da Saddam ? Dobbiamo dimenticare i 2 milioni di curdi che sono stati
deportati ? Dobbiamo dimenticare che 5
mila di essi, bambini, vecchi e donne, sono
stati sterminati con gas nervino, quello
stesso gas che per 12 anni Saddam ha
nascosto ad ogni ispezione dell’ONU ? Non
le abbiamo viste in TV, ma non le abbiamo
comunque davanti ai nostri occhi quelle
immagini ? Attenti allora a questo strabismo mediatico: la politica deve tenere gli
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occhi aperti, anche senza le TV, altrimenti
renderemmo i nostri popoli responsabili di
una tragica indifferenza umanitaria.
Per tale motivo, noi che vogliamo la
pace oggi diciamo: Iraq libero senza se e
senza ma e lavoreremo perché intorno a
questi principi di pace e libertà la comunità internazionale, l’Europa, assieme agli
Stati Uniti, ritrovino la via maestra di una
rinnovata unità ideale e politica (Applausi
dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di
Alleanza nazionale, dell’Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro,
della Lega nord Padania e Misto-Liberaldemocratici, Repubblicani, Nuovo PSI –
Congratulazioni).
PRESIDENTE. Sono cosı̀ terminate le
dichiarazioni di voto, con la ripresa televisiva diretta.
Ringrazio tutti indistintamente per la
correttezza ed anche per la precisione sui
tempi. Si svolgeranno adesso gli interventi
a titolo personale, per un minuto di tempo
ciascuno.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione
di voto, a titolo personale, l’onorevole
Craxi. Ne ha facoltà.
BOBO CRAXI. Signor Presidente della
Camera, onorevoli colleghi, l’intervento del
Presidente del Consiglio dei ministri non
ha fugato i dubbi sorti nelle ultime settimane in merito all’atteggiamento del nostro Governo dinanzi ad un attacco preventivo ed unilaterale contro l’Iraq, non
sostenuto dalle Nazioni Unite. Vi sono
vistosi deficit di legittimità politica, di
legalità internazionale e motivate perplessità di ordine morale di cui è impossibile
non tener conto.
Io penso che il Governo italiano, invece
di sostenere l’ultimatum delle Azzorre,
aveva il dovere di spiegare ai propri alleati, con parole forti e chiare, che il
rispetto delle risoluzioni dell’ONU avrebbe
dovuto essere imposto innanzitutto con la
pazienza e non con la violenza. Presto o
tardi Saddam sarebbe stato messo con le
spalle al muro. Osservatori non armati di
pregiudizio possono ben giudicare quale
conseguenza ha già prodotto questa scellerata decisione americana.
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Io penso che l’Italia, senza mancare di
rispetto all’amico americano, avrebbe dovuto disapprovare questo passo di guerra.
Dico « no » alla guerra unilaterale preventiva, « no » alla adesione italiana a questa
coalizione, « no » perché bisogna essere
capaci di dire « no » con rispetto e dignità,
esprimendo un sentimento, non certo in
solitudine, di una coerente e limpida tradizione politica, che porto a testa alta e
che passa anche per l’esemplare posizione
politica internazionale di Bettino Craxi e
dei socialisti italiani che seppero interpretare i sentimenti di un popolo e l’orgoglio
dell’intera nazione (Applausi dei deputati
dei gruppi del Misto-Liberal-democratici,
Repubblicani, Nuovo PSI, dei Democratici
di sinistra-l’Ulivo, della Margherita, DLl’Ulivo, del Misto-Comunisti italiani, del
Misto-Socialisti democratici italiani e del
Misto-UDEUR-Popolari per l’Europa).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare
per dichiarazione di voto, a titolo personale, l’onorevole Sgarbi. Ne ha facoltà.
VITTORIO SGARBI. Onorevole Presidente della Camera, onorevole Presidente
del Consiglio, onorevoli colleghi, credo che
la comunità parlamentare non possa che
apprezzare il suo lieve ma evidente spostamento a sinistra, avendo dichiarato una
non belligeranza esplicita, in perfetta concordia con la posizione del Governo tedesco e con quella più timida assunta da
Governi di sinistra come quelli danese,
ceco, ungherese, polacco e inglese che
hanno aderito incondizionatamente alla
posizione degli americani.
Mi è sembrato bello quindi ascoltare
Fassino esortare il Presidente del Consiglio
al coraggio di uscire dalla timidezza di
una posizione pacifista per entrare in una
solenne e dichiarata accettazione della
guerra che egli qui ha ricusato. Per questa
ragione non ho mai sentito il Presidente
del consiglio del Governo di centrodestra
cosı̀ affine alle posizioni di una sinistra
pacifista e non belligerante. Quindi, lui,
con la sua famiglia, interpretano i pensieri
che la sinistra di Governo non ha interpretato quando ha governato questo paese
(Applausi).
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PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare
per dichiarazione di voto, a titolo personale, l’onorevole De Franciscis. Ne ha
facoltà.
ALESSANDRO DE FRANCISCIS. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho
chiesto di esprimere, a titolo personale, il
mio voto favorevole sulla risoluzione presentata dall’opposizione, che ovviamente
condivido, e vorrei farlo da italiano, da
democratico cristiano, da cattolico, che ha
ascoltato la voce ferma del Papa (che dice
mai più la guerra), ma anche da americano. Sı̀, da americano !
Troppe volte in questo dibattito ho
sentito brandire ingiustificatamente la
questione dell’amicizia al popolo americano. Onorevoli colleghi, io sono cittadino
degli Stati Uniti d’America. Lo sono dalla
nascita, ne sono orgoglioso – è il paese di
mia madre e dei miei nonni – anche
perché è il paese nel quale ho vissuto
lungamente, ho studiato, ho affetti ed
amici tra i più cari. Ebbene, poiché non so
quanti di voi hanno questa mia stessa
peculiare ventura, chiederei al Governo di
non parlare più in maniera ipocrita del
sentimento di amicizia con il popolo americano (Commenti dei deputati dei gruppi di
Forza Italia e di Alleanza nazionale).
Appartengo a quel popolo e posso assicurarvi che esso condivide la preoccupazione nostra e, nonostante lo shock dell’11
settembre, di gran parte dei popoli europei.
Le convenienze e l’intesa con il Governo
degli Stati Uniti d’America non possono
essere falsificate fino a nascondere quanti,
e mi avvio alla conclusione, in quel grande
ed operoso popolo, combattono il dramma
della povertà, coltivano il rispetto per la
cultura, le arti e le istituzioni democratiche
e quelle internazionali, ed amano sinceramente il dialogo con tutti gli altri popoli e,
sommamente, il dono della pace che questa
sera voi concorrete ad allontanare (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita,
DL-l’Ulivo – Commenti dei deputati Bornacin e Losurdo) !
PRESIDENTE. Sono cosı̀ esaurite le
dichiarazioni di voto.
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DISCUSSIONI
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SEDUTA DEL
(Votazioni)
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Avverto che la risoluzione Craxi e
Boato n. 6-00055 è stata ritirata.
Avverto altresı̀ che è stata richiesta la
votazione mediante procedimento elettronico.
Indı̀co la votazione nominale, mediante
procedimento elettronico, sulla risoluzione
Violante ed altri n. 6-00056, non accettata
dal Governo. Ciascuno voti per sé !
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione:
Presenti .......................... 555
Votanti ............................ 552
Astenuti ..........................
3
Maggioranza .................. 277
Hanno votato sı̀ ..... 247
Hanno votato no .. 305.
(La Camera respinge – Vedi votazioni).
Prendo atto che gli onorevoli Mazzoni
e Milanese non sono riusciti a votare e che
avrebbero voluto esprimere voto contrario.
Prendo altresı̀ atto che l’onorevole Pisa
non è riuscita a votare e che avrebbe
voluto esprimere voto favorevole.
Indı̀co la votazione nominale, mediante
procedimento elettronico, sulla risoluzione
Elio Vito ed altri n. 6-00057, accettata dal
Governo.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione:
Presenti .......................... 558
Votanti ............................ 550
Astenuti ..........................
8
Maggioranza .................. 276
Hanno votato sı̀ ..... 304
Hanno votato no .. 246.
(La Camera approva – Vedi votazioni).
Camera dei Deputati
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Prendo atto che l’onorevole Mazzoni
non è riuscita ad esprimere il proprio voto
e che avrebbe voluto esprimere voto favorevole. Prendo altresı̀ atto che gli onorevoli Sabattini e Pisa non sono riusciti a
votare e che avrebbero voluto esprimere
voto contrario.
Prendo atto che l’onorevole Fallica non
è riuscito ad esprimere il proprio voto e
che anch’egli avrebbe avuto esprimere voto
favorevole.
Prendo infine atto che l’onorevole Falanga non è riuscito a votare.
È cosi esaurita la discussione sulle
comunicazioni del Governo sugli sviluppi
della crisi irachena.
Sospendo per dieci minuti la seduta,
che riprenderà con l’esame del disegno di
legge di conversione del decreto-legge
n. 25 del 2003, all’ordine del giorno.
La seduta, sospesa alle 17,25, è ripresa
alle 17,35.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
ALFREDO BIONDI
Missioni.
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi
dell’articolo 46, comma 2, del regolamento,
i deputati Alemanno, Aprea, Armosino,
Baccini, Ballaman, Berlusconi, Berselli,
Bono, Bonaiuti, Bossi, Brancher, Buttiglione, Contento, Delfino, Dozzo, Fini, Galati, Gasparri, Giovanardi, Maroni, Martino, Martusciello, Marzano, Matteoli, Miccichè, Molgora, Pisanu, Prestigiacomo,
Scarpa Bonazza Buora, Stefani, Tassone,
Tortoli, Tremaglia, Urbani, Urso, Valentino, Valducci, Viceconte e Viespoli sono in
missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.
Pertanto i deputati complessivamente
in missione sono sessanta, come risulta
dall’elenco depositato presso la Presidenza
e che sarà pubblicato nell’allegato A al
resoconto della seduta odierna.
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DISCUSSIONI
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SEDUTA DEL
Seguito della discussione del disegno di
legge: Conversione in legge del decretolegge 18 febbraio 2003, n. 25, recante
disposizioni urgenti in materia di oneri
generali del sistema elettrico (3688) (ore
17,36).
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca
il seguito della discussione del disegno di
legge: Conversione in legge del decretolegge 18 febbraio 2003, n. 25, recante
disposizioni urgenti in materia di oneri
generali del sistema elettrico.
Ricordo che nella seduta del 17 marzo
scorso si è conclusa la discussione sulle
linee generali.
(Esame dell’articolo unico – A.C. 3688)
PRESIDENTE. Passiamo all’esame dell’articolo unico del disegno di legge di
conversione (vedi l’allegato A – A.C. 3688
sezione 3), nel testo della Commissione
(vedi l’allegato A – A.C. 3688 sezione 4).
Avverto che le proposte emendative
presentate sono riferite agli articoli del
decreto-legge, nel testo della Commissione
(vedi l’allegato A – A.C. 3688 sezione 5).
Avverto altresı̀ che sono state presentate
proposte emendative riferite all’articolo
unico del disegno di legge di conversione
(vedi l’allegato A – A.C. 3688 sezione 6).
Avverto che la I Commissione (Affari
costituzionali) ha espresso il prescritto
parere, che è distribuito in fotocopia (vedi
l’allegato A – A.C. 3688 sezione 1).
Avverto che la V Commissione (Bilancio) ha espresso il prescritto parere, che è
distribuito in fotocopia (vedi l’allegato A –
A.C. 3688 sezione 2).
Informo l’Assemblea che, in relazione
al numero di emendamenti presentati, la
Presidenza applicherà l’articolo 85-bis del
regolamento, procedendo in particolare a
votazioni per principi o riassuntive, ai
sensi dell’articolo 85, comma 8, ultimo
periodo, ferma restando l’applicazione dell’ordinario regime delle preclusioni e delle
votazioni a scalare. A tal fine, il gruppo di
Camera dei Deputati
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Rifondazione comunista è stato invitato a
segnalare gli emendamenti da porre comunque in votazione.
Passiamo agli interventi sulle proposte
emendative riferite agli articoli del decreto-legge.
Ha chiesto di parlare l’onorevole Cialente. Ne ha facoltà.
MASSIMO CIALENTE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario, quella dell’energia dovrebbe essere una materia di interesse e di attenzione prioritaria da parte del Governo, da
affrontare con una riforma organica, complessiva, tale da riuscire ad ottenere il
consenso dei tanti soggetti interessati, assicurare il completo fabbisogno energetico
del paese, porre le basi per una politica
dei costi dell’energia per gli utenti – in
particolare, quelli del sistema produttivo
italiano – rassicurando nel contempo, attraverso l’adozione di corretti strumenti di
valutazione ambientale complessiva, le regioni, gli enti locali e le popolazioni stesse
interessate dai numerosissimi progetti relativi alla realizzazione di nuove centrali.
Al contrario, questo Governo ancora
non permette al Parlamento di capire – e
ancora meno a tutti coloro che sono
interessati nel paese – quali siano i veri
obiettivi che si è posto – se se li è posti
e se ne ha – né tantomeno i tempi della
sua realizzazione. Abbiamo, infatti, dovuto
registrare prese di posizione non univoche,
in questi due anni, provvedimenti contraddittori e, soprattutto, una valanga di decreti-legge. È un vero e proprio puzzle
legislativo, ripeto, spesso contraddittorio e
di dubbia efficacia: il decreto sblocca centrali, il decreto blocca tariffe, il decretolegge sull’iniziativa privata e lo sviluppo
della concorrenza, la legge di semplificazione amministrativa e, infine, il decreto
n. 281, per il mantenimento delle tre centrali che superano i livelli di emissione. È
una raccolta di leggi che, se da un lato
denuncia l’assoluta mancanza di una visione organica e complessiva del problema
e delle misure necessarie alla sua soluzione, dall’altro rivela la volontà di forzare
la normativa vigente, gli indirizzi comuni-
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DISCUSSIONI
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SEDUTA DEL
tari, il delicato equilibrio del potere concorrente, in materia energetica, delle regioni, e lo stesso ruolo dell’autorità garante.
Diceva bene il collega Quartiani, durante la discussione sulle linee generali,
utilizzando il linguaggio calcistico: assistiamo a tutta una serie di entrate « a piedi
uniti » da parte del Governo, in una partita
che, in mancanza di idee e di schemi, è
costretto a giocare solo in modo falloso.
Ecco, allora, quest’ennesimo fallo, questo decreto-legge che, ancora una volta, è
giustificato con un’urgenza della quale,
anche durante i lavori in Commissione
attività produttive, non siamo riusciti a
comprendere né le motivazioni né le giustificazioni.
Dopo la significativa ed utile indagine
conoscitiva sulla complessiva materia del
sistema energetico del paese, svoltasi nella
X Commissione, e l’ordine del giorno approvato da questo ramo del Parlamento, il
Governo ha predisposto il disegno di legge
di riordino del sistema energetico con un
ritardo di ben quattro mesi, pur essendosi
dato, ed avendo avuto da parte della
Camera, un termine ben preciso, ossia
maggio 2002, e solo alla fine dell’anno, dal
mese di dicembre, in Commissione attività
produttive sono stati avviati i relativi lavori. Tuttavia, nel frattempo, il ministro
Marzano continua ad estrapolarne aspetti
significativi. Oggi, alcuni di essi li troviamo
in questo provvedimento, quasi a volere
inviare al Parlamento un segnale di scarsa
fiducia, se non di espropriazione, della
capacità e del ruolo di legiferare, in tempi
brevi (se si volesse, sarebbero brevi), sul
citato disegno di legge di riordino. Se si
volesse seriamente approvare il disegno di
legge, che fretta ci sarebbe di abolire con
il provvedimento in esame gli stranded
costs e la penale sull’energia idroelettrica ?
Forse, la verità è quella che già ho sentito
in quest’aula, nel corso della discussione
sulle linee generali: non c’è l’urgenza di far
partire la borsa del mercato elettrico (tra
l’altro, in questo testo, viene solo nominata; vi è l’intenzione di attivarla). Ma si
tratta solo di un intervento determinato
soprattutto da un’esigenza, quella di in-
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tervenire per sanare una situazione di
grave sofferenza di bilancio che oggi – lo
sappiamo – vivono alcune importanti società operanti in Italia.
Mi dispiace che, durante la discussione
sulle linee generali, non fosse presente in
aula il ministro delle attività produttive
Marzano il quale avrebbe dovuto farci
conoscere l’impegno del Governo proprio
perché misure legate a questa situazione,
volte a tutelare questo aspetto, sarebbero
gravide del rischio di produrre ulteriori
alterazioni in qualsiasi tentativo di realizzare un’impalcatura organica della disciplina normativa del sistema dell’energia.
Anche con riferimento alle proposte
emendative da noi presentate e che saranno esaminate in questa sede, vorrei
sottolineare due preoccupanti aspetti presenti nel provvedimento in esame. Con
questo decreto-legge, eliminando la penale
sulla rendita idroelettrica, si alleggeriranno, certo, i bilanci di alcune aziende,
ma, dal 2002, la bolletta energetica per gli
utenti si appesantirà di ben oltre mille
milioni di euro che ricadranno sulle famiglie (si calcola, 300 euro a famiglia), ma
soprattutto sul tessuto della produzione
del nostro paese, in particolare sulle piccole aziende, quelle artigianali e commerciali.
Avremo questa grave penalizzazione
dell’utenza nei primi due anni di applicazione di questo decreto-legge. Se cosı̀ non
fosse, d’altra parte, non capiremmo per
quale motivo il Governo non ha portato,
come aveva affermato in Commissione,
dati differenti. Questo – lo vorrei sottolineare – è proprio un bel capolavoro ! Nel
nostro paese, la liberalizzazione del settore energetico comporta, non il contenimento dei costi – come doveva essere, e
come era, l’obiettivo primario –, ma, addirittura, un loro aumento. Mi chiedo se
sia una beffa, uno strano gioco di magia o,
meglio ancora, di stregoneria.
L’altro aspetto che vorrei sottolineare è
il seguente: con questo decreto-legge, si
interviene per determinare una ultrattività
del termine previsto dalla legge n. 55 del
2002, nota come decreto « sblocca centrali », per effettuare la valutazione di im-
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patto ambientale rispetto ai progetti di
realizzazione di nuove centrali. Quindi,
non risponde al vero che si andava centralizzando sul Ministero un’accelerazione
dei tempi, ma se ne deduce che abbiamo
avuto un’ulteriore dilatazione. Questo si fa
in materia di legislazione concorrente con
le regioni, senza il preventivo confronto
con le stesse. Anzi, questo provvedimento
al nostro esame non fa alcun riferimento
all’accordo recentemente raggiunto nel
settembre del 2002 dalla Conferenza Stato-regioni che fissa i rispettivi compiti e
funzioni in tema di attuazione del decreto
« sblocca centrali ». Si dimentica – giustamente, è stato ricordato anche dal collega
Rugghia in sede di discussione sulle linee
generali – la valutazione comparativa, da
parte delle regioni nel caso dell’esistenza
di più progetti presenti in uno stesso
comprensorio, in un’unica area o in un
unico comprensorio, ma che sia luogo di
confine tra più regioni.
Questo decreto-legge non vi accenna !
Si dà, quindi, una spallata ulteriore alle
regioni ed al loro ruolo costituzionalmente
definito dalla riforma del titolo V della
Costituzione. È un grave errore ! Sappiamo, infatti, che alcune regioni hanno
già avviato contestazioni rispetto ai progetti presentati.
Proprio perché non neghiamo che nel
nostro paese sia viva l’esigenza di assicurare un aumento della produzione di energia, non solo paventiamo il rischio di un
improvviso suo deficit, di un temibile
blackout, ma riteniamo anche che, per
dare sostegno al nostro sistema produttivo,
occorrerebbe fissare, d’accordo con le regioni, un quadro di regole e di linee guida
chiare e condivise che determini il numero
di centrali necessarie, dove sia più utile
insediarle, dove e come si debba favorire
l’impiego di fonti alternative e rinnovabili.
Di tutto ciò non v’è nulla, mentre, per
i progetti di nuove centrali, si procede
sempre con l’esame secondo il numero di
protocollo delle domande. Sembra uno
scherzo ! Ma davvero il Governo ritiene
possibile che, attraverso l’accentramento
delle scelte qui a Roma e senza un confronto con le regioni e con gli enti locali,
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si possano realizzare le nuove, necessarie
strutture energetiche ? Senza individuare
una precisa metodologia d’azione, mi domando come il Governo possa pensare di
calare una centrale, dall’esterno, in realtà
territoriali che, a loro volta, hanno già
definito la loro vocazione ed hanno programmato pezzi dei loro comprensori.
Senza un incontro, come quello fissato
dalla Conferenza Stato-regioni, senza la
concertazione, senza un ed un confronto
sui progetti, non si risolverà nulla ! È
questo il grande limite del decreto-legge al
nostro esame.
Dopo le discussioni che, di recente,
abbiamo affrontato sulla riforma del CNR,
sull’ASI, sulla stessa riforma della scuola,
abbiamo l’ennesima riprova che il Governo – perdonatemi l’abuso della metafora calcistica – entra a piedi uniti, rifiutando qualsiasi concertazione e qualsiasi
confronto con i soggetti realmente interessati alla soluzione dei vari problemi che
abbiamo davanti.
Questo decreto-legge non serve, non ha
respiro, non rientra in un disegno e,
purtroppo, come tanti altri vostri atti,
danneggia le famiglie, gli utenti, le imprese
ed il complessivo sistema paese (Applausi
dei deputati del gruppo dei Democratici di
sinistra-l’Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare
l’onorevole Buglio. Ne ha facoltà.
SALVATORE BUGLIO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevole rappresentante del Governo, siano chiamati,
ancora una volta, a convertire un decretolegge del Governo, l’ennesimo che si occupa della materia energetica.
Di questo provvedimento non si capisce
la necessità ! Durante l’esame in Commissione, non abbiamo compreso del tutto le
motivazioni che hanno spinto all’adozione
del provvedimento d’urgenza relativamente alla materia dell’energia che, come
grande questione nazionale, dovrebbe essere affrontata con una riforma organica
del settore ed attraverso il concorso dei
tanti soggetti interessati.
L’esecutivo ha presentato numerosi
provvedimenti, contraddittori e di dubbia
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efficacia, motivati soprattutto dalla volontà
di procedere ad una revisione delle leggi
più importanti approvate negli ultimi anni.
È lungo l’elenco dello « spezzatino » legislativo: il decreto « sblocca centrali »,
quello « blocca tariffe », il disegno di legge
sull’iniziativa privata e per lo sviluppo
della concorrenza, la legge di semplificazione amministrativa, il decreto-legge
n. 281 del 2002, che doveva consentire,
transitoriamente, il mantenimento in esercizio delle tre centrali che superano i
limiti di emissione.
Con questa abbondante produzione legislativa, si è manifestata, da un lato,
l’incapacità di procedere in modo organico
e, dall’altro, la volontà, direi anche la
velleità, di forzare la normativa vigente, gli
indirizzi comunitari, il potere concorrente
in materia energetica delle regioni, nonché
il ruolo delle autorità garanti.
Con questo modo confuso di procedere,
con questi provvedimenti adottati, che
hanno prodotto risultati controproducenti,
il Governo sembra aver perso il controllo
della situazione. Nessuna delle indicazioni
emerse nel corso delle audizioni svolte da
parte della X Commissione nell’ambito
dell’indagine conoscitiva sul settore energetico è stata tradotta in fatti.
PRESIDENTE. Scusate, onorevoli colleghi della Lega nord Padania, immagino
che i vostri conversari siano interessanti,
ma sta parlando un collega; abbiate un
minimo di riguardo.
SALVATORE BUGLIO. Grazie presidente, ma fa lo stesso, non si preoccupi.
Oggi, indubbiamente, dopo due anni di
Governo del centrodestra, la situazione è
peggiorata per ciò che concerne l’efficienza e la sicurezza della produzione
energetica, la liberalizzazione e la concorrenza, il rispetto delle funzioni e delle
competenze delle regioni, la tutela dell’ambiente. Perché, signor ministro, questo ulteriore ed inutile decreto da convertire in
una legge poco efficace, considerato, inoltre, che presso la Commissione attività
produttive è in avanzata fase di esame il
provvedimento di riordino del sistema
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energetico, chiesto con un ordine del
giorno approvato dalla Camera dei deputati ? Per quale motivo si è ritenuto necessario dover stralciare dal testo di riforma l’articolo 14 relativo agli oneri generali del sistema elettrico per farne un
decreto-legge ?
Si afferma la necessità di dover disciplinare gli oneri di sistema che gravano
sulla bolletta degli utenti e, in particolare,
gli stranded costs per determinare condizioni uniformi di concorrenza fra operatori vecchi e nuovi e per eliminare possibili vantaggi competitivi in funzione delle
operazioni della futura borsa elettrica di
imminente realizzazione. Allo stesso
tempo, si fa decorrere la data delle « eliminazioni » dal 1o gennaio del 2004. Allora, ci chiediamo perché viene adottato
un decreto-legge, qual è l’urgenza, cosa
impedisce di aspettare l’approvazione imminente delle leggi di riforma e di riordino
del settore ? E perché non avete accettato,
quando lo abbiamo richiesto con i nostri
emendamenti all’articolo 1, di far coincidere la decorrenza degli oneri di sistema
con l’avvio della borsa elettrica (e non con
la data del 1o gennaio 2004) ? Tra l’altro,
l’istituzione della borsa elettrica nell’attuale situazione economica produttiva del
paese, considerando la specificità del nostro sistema energetico, potrà produrre
effetti positivi sulla regolazione del mercato solo dopo atti concreti e coerenti che
l’esecutivo purtroppo non ha assunto.
È difficile pensare ad una reale concorrenza fra produttori se non verrà rinnovato e reso competitivo il parco di
generazione elettrica nazionale. La borsa
difficilmente potrà regolare con la trasparenza delle quotazioni tra i produttori
nazionali un mercato che dipende in larga
misura dalla valorizzazione dell’energia di
importazione. Come è noto, il prezzo medio dell’energia delle centrali italiane è
stimato all’ingrosso in 120 lire a kWh, con
80 lire di costo per il combustibile, laddove il prezzo di importazione è inferiore
alle 60 lire. È evidente che è necessario
intervenire per ridurre le asimmetrie dei
costi produzione elettrica nel nostro paese,
se non vogliamo favorire soprattutto i
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produttori esteri senza tutelare i nostri
consumatori e le imprese nazionali che
sono costrette a raccogliere la sfida della
competitività dei mercati internazionali in
condizioni di estremo svantaggio.
Nel decreto-legge presentato per la
conversione si prevede la compensazione
fra l’eliminazione dei costi sostenuti dai
produttori prima della direttiva 96/92/CE
di apertura del mercato, non recuperabili
per effetto del cambiamento del contesto
economico istituzionale, e l’obbligo di restituzione da parte dei produttori della
rendita idroelettrica. Però, mentre l’abolizione del riconoscimento degli stranded
costs partirebbe dal 1o gennaio 2004, la
non compensazione decorrerebbe dal
primo gennaio 2002. A noi sembrerebbe
più logico unificare i termini delle soppressioni e della compensazione delle rendite idroelettriche senza dare la sensazione di voler riconoscere per il 2002 e per
il 2003 ai produttori vecchi e nuovi una
sorta di indennizzo supplementare.
Ma, lo ripeto, essendo ormai giunti alla
vigilia dell’approvazione del progetto di
riforma e di riordino (l’atto Camera
n. 3297) gli obiettivi fissati nel decretolegge in esame con riferimento alle discipline degli oneri di sistema, non ci sembra
abbiano un carattere di urgenza utile a
giustificare il ricorso a tale strumento.
Forse il Governo considera la seconda
parte del provvedimento, quella disciplinata dall’articolo 3, una materia da affrontare con urgenza per determinare,
come si legge sulla relazione, una più
efficace attuazione del decreto-legge 7 febbraio 2002, n. 7, convertito dalla legge 9
aprile 2002 n. 55, cosiddetto sblocca centrali. Qui, in effetti, si interviene con
urgenza su una precisa scadenza temporale, prorogando di ulteriori 90 giorni i
tempi ammissibili (pari a 185 giorni) per
effettuare la valutazione di impatto ambientale. Il tempo massimo è ormai concluso e 10 progetti, a causa dei ritardi
accumulati, sono a rischio di scadenza. Ma
non ci avevate detto che con il decreto
sblocca centrali, attraverso l’autorizzazione unica, rilasciata dal Ministero delle
attività produttive e le procedure sempli-
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ficate escogitate per il via, sarebbe stato
possibile un più spedito esame delle richieste per evitare il tenuto blackout energetico ? Ora, dopo più di un anno, vengono
smentite queste previsioni ottimistiche e si
allungano di altri 9 mesi i tempi per
l’esame della valutazione di impatto ambientale.
Dunque, con un nuovo decreto-legge,
adottato senza preventivo confronto con le
regioni, in una materia di legislazione
concorrente, si interviene per determinare
una ultrattività del termine previsto della
legge n. 55 del 2002. Il provvedimento in
esame tace sull’accordo raggiunto, in sede
di conferenza Stato-regioni, il 5 settembre
2002, volto a dare attuazione al decreto
sblocca centrali con l’esercizio dei rispettivi compiti e funzioni in materia di produzione di energia elettrica e per gestire la
procedura di autorizzazione in via transitoria; non si fa cenno all’accordo che
prevedeva la valutazione comparativa da
parte delle regioni nel caso di più progetti
presentati per uno stesso territorio. Inoltre, al comitato paritetico, previsto della
legge n. 55 del 2002, per il monitoraggio
dell’efficacia delle disposizioni e la valutazione delle potenze installate, si affida,
con questo nuovo decreto-legge, l’approvazione periodica dell’elenco dei progetti
che rientrano nelle priorità.
Dunque, per la valutazione di impatto
ambientale si prevede di procedere in
contraddizione con le norme esistenti ed
anche con il decreto sblocca centrali. Insomma, si dà un’ulteriore spallata alle
regioni che pure hanno aderito all’accordo
nella Conferenza unificata del 5 settembre
e che non hanno alcuna responsabilità per
i ritardi dei provvedimenti autorizzativi.
Per motivare tali scelte la relazione di
accompagnamento fa riferimento alla criticità strutturale delle situazioni di produzione di energia elettrica e alla pressoché totale carenza di riserve. Pur ritenendo eccessivo e strumentale l’allarmismo del Governo noi non neghiamo
l’esigenza di aumentare la produzione
energetica del nostro paese e siamo convinti che occorra scongiurare il rischio di
una condizione di emergenza della pro-
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duzione energetica necessaria a sostenere
l’apparato produttivo e l’economia nazionale. Nella politica dell’esecutivo constatiamo, però, l’assenza di una visione strategica e di una seria programmazione.
Non si possono adottare provvedimenti
che, indiscriminatamente, avviano la procedura di autorizzazione per oltre 609
centrali per una potenza complessiva di
115 mila Megawatt senza fissare, d’intesa
con le regioni, un quadro di regole e di
linee guida, per determinare quante siano
le centrali di cui ha bisogno l’Italia, dove
debbano essere collocate, considerato il
bilancio energetico delle diverse regioni,
quali carburanti debbano essere usati per
produrre nuove energie, e come favorire
l’impiego di fonti rinnovabili.
Signor Presidente, siamo contro questo
provvedimento perché parte da presupposti sbagliati, perché dà risposte sbagliate
anche ad esigenze reali.
Per generare nuove energie, per ristrutturare il parco nazionale delle centrali,
per sviluppare il processo di liberalizzazione del mercato e per garantire la salvaguardia dell’ambiente, anche con l’attuazione degli impegni sottoscritti dal nostro paese a Kyoto, occorrono altre scelte
e provvedimenti di maggiore efficacia,
provvedimenti che finora questo Governo
non ha saputo adottare. Quando verranno
presentati non faremo mancare il contributo delle nostre idee e delle nostre proposte (Applausi dei deputati del gruppo dei
Democratici di sinistra-l’Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare
l’onorevole Cazzaro. Ne ha facoltà.
BRUNO CAZZARO. Signor Presidente, i
colleghi intervenuti prima di me hanno già
segnalato i punti fondamentali che sono
alla base del nostro giudizio critico nei
confronti di questo provvedimento. Siamo
critici non solo rispetto al merito, ma
anche perché consideriamo sbagliato il
metodo che il Governo segue nell’affrontare questi problemi. Su una questione
strategica nazionale, come quella del fabbisogno energetico, si continua infatti a
procedere a stralci, a spizzichi e bocconi,
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e cosı̀ operando si perde il quadro di
insieme: gli interventi perdono efficacia ed
i problemi veri continuano a rimanere
irrisolti, restando nella stagnazione ed aggravandosi.
Vanno svolte alcune considerazioni di
ordine generale. Giustamente, veniva richiamato il lavoro che è in corso in
Commissione su tale argomento: mi riferisco al provvedimento che va sotto il
titolo: riordino del settore energetico. Da
questo testo si estrapolano alcune norme,
applicandole per decreto-legge. Ciò aumenta la confusione e l’incertezza, confusione ed incertezza che riscontriamo essere presente anche nel testo citato del
riordino dell’intero settore (su tale testo
siamo peraltro impegnati in un lavoro di
miglioramento). Davvero non si capisce
dove il Governo intenda andare a parare.
È da tutto questo che emerge la nostra
insoddisfazione, nonché il limite dell’azione del Governo.
Siamo in una fase importante e delicata: dobbiamo gestire con cura e con idee
chiare soprattutto la fase transitoria che ci
dovrà portare ad una situazione di effettiva liberalizzazione del mercato dell’energia. Nel disegno di legge di riforma questo
obiettivo non appare in modo chiaro,
mentre dovrebbe essere lampante che non
intendiamo difenderci dai processi di liberalizzazione, dovendo infatti assecondare, favorire percorsi, agevolare l’azione
dei soggetti che intendono misurarsi nel
mercato. Sono molti i segnali di inadeguatezza della politica praticata: l’utente non
appare come il principale soggetto di riferimento, è inadeguato il rapporto che si
prevede di stabilire con l’autorità e con gli
enti territoriali interessati da parte del
Governo e del ministero.
L’indagine conoscitiva sul settore energetico ha fornito indicazioni utili, informazioni che dovremmo utilizzare e delle
quali dovremmo tenere conto. Certo, l’evoluzione dei processi reali chiede di apportare aggiustamenti legislativi; è indubbio
che vi sono fatti nuovi: la modifica del
titolo V della Costituzione, la configurazione di nuovi operatori nazionali, la complessa vicenda delle genco, il venir meno
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della posizione dominante di ENI e di
ENEL. Ebbene, a nostro giudizio, dal Governo non proviene una politica chiara:
non si agisce in continuità con le riforme
avviate e dove si potrebbero pure apportare i correttivi necessari si tenta, con
questa fobia – sicuramente presente – di
rovesciare tutto ciò che è stato fatto in
precedenza, di colpire i punti importanti
dei decreti Bersani e Letta.
Non pensiamo che questa sia la strada
maestra per adeguare la nostra politica
energetica nazionale. Riteniamo che la
legislazione vigente debba essere applicata
interamente per produrre benefici alle
imprese e alle famiglie. Insieme occorre
stimolare la capacità competitiva sul terreno internazionale dei nostri più importanti operatori, i quali sempre più devono
uscire da una logica di richiesta di protezione e tutela ed affrontare la sfida del
mercato e della competizione.
Un’altra grande questione riguarda la
disponibilità di energia per rispondere al
fabbisogno nazionale. Allora, il problema
va affrontato adeguatamente e su più
versanti: quello delle fonti di approvvigionamento e quello di una vera ed efficace
programmazione per i nuovi impianti.
Invece, si continua a non affrontare
adeguatamente la questione strategica
della programmazione, che certo passa
anche attraverso un nuovo sistema di
collaborazione con regioni ed enti locali
per la realizzazione delle infrastrutture
necessarie. Non è semplificando con una
impostazione centralistica che scavalca le
regioni che risolveremo il problema. Occorre, invece, praticare un terreno più
complesso, certamente più faticoso, ma
più sicuro per quanto riguarda il risultato,
che è quello della concertazione e della
responsabilizzazione.
La conferma di una impostazione sbagliata viene anche dal tentativo di depotenziare il ruolo dell’Autorità per l’energia
elettrica e il gas. L’Autorità, invece, va
salvaguardata nel ruolo di soggetto indipendente con funzioni di terzietà e non va
messa in libertà vigilata dal Governo, il
quale pensa di dettarne i comportamenti,
le valutazioni di merito, fino a sostituirsi
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ad essa. Occorre, quindi, affrontare con
una visione effettivamente d’insieme un
problema di tale rilevanza, tenendo insieme i vari elementi che compongono
un’adeguata politica energetica, dalla combinazione delle fonti pulite e rinnovabili ai
progetti innovativi da finanziare, dai problemi dell’approvvigionamento dall’estero
ad un organica riforma dei servizi pubblici
locali e via dicendo.
Procedendo, cosı̀, invece, con decretilegge e provvedimenti di emergenza, i veri
problemi – come ho detto prima – rimangono sullo sfondo irrisolti.
Per questo motivo, riteniamo sbagliato
il provvedimento e per questo motivo non
rinunciamo a misurarci e a dare un contributo per migliorarlo con gli emendamenti che abbiamo depositato, che presenteremo, che sosterremo e che speriamo
possano trovare accoglimento anche da
parte della maggioranza (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l’Ulivo e della Margherita, DL-l’Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare
l’onorevole Ruggeri. Ne ha facoltà.
RUGGERO RUGGERI. Signor Presidente, signor ministro, il gruppo della
Margherita, DL-l’Ulivo non frenerà la conversione in legge di questo decreto-legge.
Lo ritiene in gran parte inutile e, soprattutto, senza la giustificazione (almeno
quella dichiarata) dell’urgenza. Tuttavia,
certamente vi è qualche aspetto positivo.
Svolgerò una breve relazione indicando
questi aspetti positivi, ma anche una critica molto forte alla politica energetica di
questo Governo, sempre ovviamente rispettando le persone.
L’aspetto positivo è che anche in questo
decreto-legge vi è una linea di continuità
con le riforme del centrosinistra. Oggi,
preoccuparsi della borsa elettrica significa
preoccuparsi del motore dell’economia,
vuol dire avere la volontà di liberalizzare
un sistema che ha bisogno di ossigeno e
che ha bisogno che la gente partecipi, che
creda e che possa investire. Ciò può avvenire attraverso la borsa elettrica. Pertanto, questo aspetto presente nel decretolegge è certamente un fatto positivo.
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Tuttavia, il riferimento all’urgenza della
borsa non giustifica del tutto la presenza
del decreto-legge. Non vi è l’urgenza della
realizzazione della borsa elettrica, che
avrebbe potuto benissimo essere attuata
altrove e, comunque, questa non è una
giustificazione.
Si prevede poi di rendere più efficace il
decreto « sblocca centrali ». Anche questo
è un aspetto positivo perché abbiamo
constatato sul campo che tale decreto non
ha funzionato.
Si vogliono, poi, superare alcune difficoltà per mantenere in servizio le centrali
termoelettriche previste nel provvedimento
che abbiamo approvato la scorsa settimana: si tratta di un altro fatto positivo
perché si rimedia ad un errore, proprio in
questa situazione di difficoltà relativa all’avere a disposizione una potenza del
nostro sistema energetico.
Il provvedimento riguarda anche una
rideterminazione degli oneri generali afferenti al sistema elettrico. Vi è una serie
di indicazioni, di calcoli, una reintegrazione dei costi che prima non erano rimborsabili in riferimento all’ENEL ed alle
tre Genco. Non è stato chiarito chi deve
sostenere tali nuovi oneri, dato che si dice
che il provvedimento è a costo zero.
Vorrei ringraziare il relatore che, con
molta lealtà, ha detto che vi è stato un
contributo anche da parte dell’opposizione
per migliorare il provvedimento. Mi riferisco, ad esempio, alla partita degli stranded cost sulla cui determinazione vi è una
nuova formulazione ed alle voci che riguardano la rendita idroelettrica. Un contributo dell’opposizione, anche del mio
gruppo, è stato quello di inserire il ruolo
che dovrebbe avere l’Autorità dell’energia
elettrica e del gas. Abbiamo lavorato bene
anche sul punto riguardante l’annullamento degli oneri negativi maturati dalle
tre Genco con un parere preventivo da
parte dell’autorità.
La vera urgenza non sta nella borsa
elettrica, ma nella situazione drammatica
che stiamo vivendo. Nel giro di pochi mesi
abbiamo rischiato due volte il blackout del
nostro sistema elettrico: questa è l’urgenza
vera per sbloccare le centrali e per au-
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mentare la potenza. Ciò tanto più oggi che
il rischio lo abbiamo già corso e siamo in
un momento di stasi, di tranquillità, in cui
non vi è una forte domanda del nostro
apparato produttivo e, soprattutto, non vi
è ancora una situazione di guerra con le
inevitabili ripercussioni non solo sui
prezzi, ma sulle quantità di greggio che
arriveranno in Italia. Questa è la vera
urgenza ed è il motivo per cui non poniamo un freno al provvedimento.
Vi è anche un altro aspetto importante
che riguarda le procedure per il rilascio
dell’autorizzazione per costruire nuovi impianti o il potenziamento di impianti esistenti. Vorremmo che, oltre ad aver scritto
che vi è una priorità per i progetti che si
impegnano all’ambientalizzazione, questo
costituisse il vincolo per dare l’autorizzazione a nuove centrali o a nuovi ampliamenti. Dunque, il vero problema è vedere
come oggi sia possibile risolvere il
blackout.
Vengo al giudizio sulla politica energetica del centrodestra che, a mio avviso, è
fallimentare. Dopo circa due anni di Governo del centrodestra la questione energetica sta scoppiando: mi riferisco al
blackout. Il paese è già in una situazione
concreta di blackout energetico mentre il
Governo non riesce a concretizzare una
pur minima contromisura. Questo è l’effetto di una conflittualità pesante, in
primo luogo all’interno del Governo, tra il
Ministero delle attività produttive e quello
dell’economia. La politica vincente è quella
di Tremonti: aumentare le entrate dello
Stato, magari vendendo al meglio – al
meglio contabilmente – pezzi dell’ENEL e
dell’ENI.
Il ministro Marzano mi pare che non
abbia la forza politica di riavviare i processi di liberalizzazione e di privatizzazione iniziati del centrosinistra in un’ottica
industriale. L’ENEL sta andando a pezzi,
nel senso che vi è un’emorragia continua
di risorse finanziarie ed umane. Essa viene
valorizzata solo contabilmente e non industrialmente. Domani accadranno dei
guai nella sicurezza dei servizi del sistema
elettrico, perché le professionalità interne
all’ENEL non vengono neppure difese, né
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dall’ENEL né dal ministro dell’industria,
né tanto meno dal ministro dell’economia.
Vi è pure una conflittualità all’interno
della maggioranza politica fra Governo
nazionale e Governo regionale. Il provvedimento denominato « sblocca centrali »,
che aveva lo scopo di approvare l’installazione di nuove centrali ed aumentare la
potenza di quelle già esistenti, è stato a
sua volta bloccato proprio dalle regioni del
centrodestra (Lombardia e Veneto). Vi è
poi una conflittualità all’interno della
maggioranza tra Parlamento e Governo;
infatti il decreto del Governo, che ho citato
all’inizio, che avrebbe dovuto salvare la
produzione delle tre centrali di Brindisi,
Porto Tolle e San Filippo del Mela, è stato
del tutto snaturato da un emendamento di
un deputato della maggioranza e approvato con il contributo della maggioranza
stessa contro il Governo. Vi è una conflittualità all’interno della maggioranza
che si avverte sul decreto Marzano inerente il riordino del sistema energetico. Il
decreto staziona, senza l’urgenza di avviare una politica industriale dell’energia
che possa rispondere alle necessità strutturali delle imprese e delle famiglie. Un
ulteriore sintomo della conflittualità fra
l’ottica industriale di Marzano (che io
appoggio senza riserve) e quella contabile
di Tremonti; lo stiamo avvertendo proprio
all’interno della Commissione attività produttive. Non a caso nella discussione sul
provvedimento generale di riordino del
sistema dell’energia abbiamo in Commissione un tutor di Tremonti, un tutor dei
sottosegretari di Marzano, dei colleghi
parlamentari della maggioranza e addirittura un tutor per il presidente della Commissione. Vorrei sapere cosa ne pensa il
ministro Marzano di questo tutoraggio.
Infine, vi è poca volontà politica a
procedere alla modifica del titolo V della
Costituzione per ridare allo Stato la competenza esclusiva sull’energia. Quest’ultimo è stato a mio avviso un punto negativo del Governo di centrosinistra ma per
tutto il resto la responsabilità dell’abbandono e del non governo del sistema energetico attuale è del centrodestra, con gravissime conseguenze proprio sullo sviluppo
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dell’economia reale del nostro paese (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-l’Ulivo e dei Democratici di
sinistra-l’Ulivo).
PRESIDENTE. Nessun altro chiedendo
di parlare sulle proposte emendative riferite agli articoli del decreto-legge, invito il
relatore ad esprimere il parere della Commissione.
LUIGI GASTALDI, Relatore. Signor
Presidente per il momento mi limito ad
esprimere il parere della Commissione
sugli emendamenti riferiti all’articolo 1 del
decreto-legge. Vi è un invito al ritiro degli
emendamenti Polledri 1.6 e Martinelli 1.7,
mentre il parere è contrario su tutti gli
altri emendamenti riferiti all’articolo 1 del
decreto-legge.
PRESIDENTE. Qual è il parere del
Governo ?
GIOVANNI DELL’ELCE, Sottosegretario
di Stato per le attività produttive. Il Governo esprime parere conforme a quello
del relatore.
PRESIDENTE. In base alle intese intercorse tra i gruppi, il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Modifica nella composizione della Commissione parlamentare di inchiesta sull’affare Telekom-Serbia
PRESIDENTE. Comunico che il Presidente del Senato, in data 19 marzo
2003, ha chiamato a far parte della
Commissione parlamentare di inchiesta
sull’affare Telekom-Serbia il senatore Nicodemo Francesco Filippelli, in sostituzione del senatore Cesare Marini, dimissionario.
Sull’ordine dei lavori (ore 18,18).
PRESIDENTE. Informo che non sono
state presentate questioni pregiudiziali e
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sospensive, preannunciate in sede di Conferenza dei presidenti di gruppo, sui provvedimenti il cui esame è previsto per la
prossima settimana. Per tale motivo, il
relativo punto non sarà iscritto all’ordine
del giorno di domani e lunedı̀ si passerà
alla discussione generale dei progetti di
legge in questione.
PIERO RUZZANTE. Chiedo di parlare
sull’ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PIERO RUZZANTE. Signor Presidente,
già la scorsa settimana ho avuto modo di
segnalare il problema del ritardo con il
quale il Governo risponde agli atti di
sindacato ispettivo presentati sia dalla
maggioranza sia dall’opposizione.
Dunque, con questo mio intervento,
invito la Presidenza a sollecitare la risposta su tutti gli atti di sindacato ispettivo a
mia prima firma.
PRESIDENTE. Onorevole
reitererò la sua richiesta.
Ruzzante,
ENZO RAISI. Chiedo di parlare sull’ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ENZO RAISI. Signor Presidente, intervengo per un fatto gravissimo che si è
verificato oggi pomeriggio, a Bologna. Durante un corteo della cosiddetta Sinistra
giovanile, alcuni giovani si sono staccati
dal corteo ed hanno invaso un’aula dell’università, dove alcuni ragazzi di Azione
giovani stavano fornendo un servizio agli
studenti. Questi ragazzi sono stati malmenati e fatti oggetto di lancio di bottiglie,
che, fortunatamente, li hanno sfiorati e
non colpiti. Sono stati aggrediti da otto,
dieci scalmanati che, poi, sono diventati
circa un centinaio. Si tratta di un fatto
gravissimo, anche perché segue altri avvenimenti analoghi che si sono verificati,
sempre nel corso della settimana, a Massa
Carrara, dove una sede di Azione giovani
è stata assaltata, in questo caso da gruppi
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di estrema sinistra. È grave, innanzitutto,
che ciò sia avvenuto in un corteo organizzato dalla Sinistra giovanile e, quindi,
da giovani legati ad un partito rappresentato in Parlamento. Oltretutto, ciò è avvenuto, guarda caso, alla luce di un clima di
violenza e di odio che si sta ormai propagando in tutto il paese.
Credo sia importante e fondamentale
che il Parlamento sia messo a conoscenza
di questi fatti, per riuscire, tutti quanti, a
porre fine civilmente al clima di violenza
che sta emergendo, non certo per colpa di
chi siede da questa parte dei banchi.
Credo sia opportuno e necessario fare ciò,
affinché non si ricada nella logica degli
anni settanta che, purtroppo, ha devastato
questo paese. Pertanto la mia denuncia è
ferma, come quella del segretario provinciale e del presidente provinciale del mio
partito, a Bologna. Ho voluto, dunque,
porre all’attenzione dei miei colleghi questo fatto veramente criminale e grave accaduto a Bologna.
PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole
Raisi.
Credo che quello che lei ha denunciato
sia un fatto estremamente grave ed importante, che riguarda la civile convivenza
che deve esprimersi anche nelle più accese
controversie politiche. Se ci sono responsabilità penali, penso che dovrà occuparsene l’autorità giudiziaria, competente
sempre per le iniziative di carattere giurisdizionale.
Per quanto attiene ai problemi dell’ordine pubblico e della necessità che esso sia
mantenuto, il Governo può – se crede –
intervenire e riferire su sollecitazione sua
o di altri colleghi.
Mi auguro sempre che le azioni politiche degne di questo nome non abbiano
mai bisogno di essere accompagnate da
violenza né fisica né morale, che svilisce
gli stessi concetti e valori per cui si
accendono gli animi. Questi sono fatti che
devono essere condizionati dalla capacità
di resistere anche alle proprie pulsioni
interne.
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Ordine del giorno
della seduta di domani.
e delle abbinate proposte di legge:
COLA e LISI; GIRONDA VERALDI ed
altri; LA RUSSA; SINISCALCHI ed altri;
FANFANI (1235-1996-2261-2715-2836).
PRESIDENTE. Comunico l’ordine del
giorno della seduta di domani.
— Relatori: Boato (per la I Commissione) e Mazzoni (per la II Commissione).
Giovedı̀ 20 marzo 2003, alle 9,30:
1. – Seguito della discussione del disegno di legge:
Conversione in legge del decreto-legge
18 febbraio 2003, n. 25, recante disposizioni urgenti in materia di oneri generali
del sistema elettrico (3688-A).
— Relatore: Gastaldi.
2. – Seguito della discussione della risoluzione Vianello ed altri n. 7-00162 sul
progetto per la salvaguardia della laguna e
della città di Venezia (sistema MO.SE.)
(articolo 117, comma 3, del regolamento).
3. – Seguito della discussione del disegno di legge costituzionale:
S. 1187 – Modifiche dell’articolo 117
della Costituzione (Approvato, in prima
deliberazione, dal Senato) (3461).
— Relatore: Bruno.
4. – Seguito della discussione del testo
unificato delle proposte di legge:
STUCCHI; VITALI ed altri; LUCIANO
DUSSIN ed altri: Disposizioni in materia di
sottoscrizione delle liste e delle candidature
in occasione delle elezioni politiche, provinciali e comunali (1619-2451-2676-A).
6. – Seguito della discussione della proposta di legge:
DUILIO ed altri: Delega al Governo
per la tutela dei diritti patrimoniali degli
acquirenti di immobili da costruire (38-A)
e delle abbinate proposte di legge:
CARLI ed altri; VENDOLA e RUSSO
SPENA; PAOLO RUSSO; CARLI ed altri;
AGOSTINI ed altri; BONDI (2256-18772512-2591-2821-2842).
— Relatore: Fanfani.
7. – Seguito della discussione della proposta di legge costituzionale:
BOATO ed altri: Modifica all’articolo
79 della Costituzione in materia di amnistia e indulto (2750-A)
e dell’abbinata proposta di legge costituzionale: CENTO (456).
— Relatore: Boato.
8. – Seguito della discussione del disegno di legge:
Norme in materia di risoluzione dei
conflitti di interessi (Approvato dalla Camera e modificato dal Senato) (1707-C).
— Relatore: Bruno.
9. – Seguito della discussione della
mozione Sergio Rossi ed altri n. 1-00093
sul costo della vita.
— Relatore: Saponara.
(p.m., al termine delle votazioni)
5. – Seguito della discussione della proposta di legge:
BOATO: Disposizioni per l’attuazione
dell’articolo 68 della Costituzione (185-A)
10. – Svolgimento di interpellanze urgenti.
La seduta termina alle 18,25.
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CONSIDERAZIONI INTEGRATIVE DEGLI
INTERVENTI DEI DEPUTATI MONICA
STEFANIA BALDI E GIUSEPPE GAMBALE IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE
COMUNICAZIONI DEL GOVERNO SUGLI
SVILUPPI DELLA CRISI IRACHENA
MONICA STEFANIA BALDI. Il conflitto è sempre una catastrofe umana:
molte persone subiranno violenze e sofferenze; dobbiamo lavorare da subito per
aiutare questa gente a ritrovare la democrazia, la libertà e lo Stato di diritto.
È necessario affrontare il problema
della ricostruzione, sotto l’egida delle Nazioni Unite e con il supporto di tutta la
comunità internazionale.
È triste ricordare le violazioni dei diritti umani del regime iracheno, che hanno
portato a soprusi terribili, violenze e torture, soprattutto sui più deboli, quali bambini, anziani e donne.
In questi ultimi dodici anni la tensione
nella penisola araba è stata particolarmente elevata, gli stessi paesi del Golfo si
sono mossi per evitare la destabilizzazione
dell’intera area ed è serrata l’azione diplomatica della Lega araba in queste ore.
Lo stesso Kuwait ha chiesto più volte,
da anni, al Governo iracheno di cooperare
nel dar conto dei prigionieri kuwaitiani e
dei paesi terzi, vittime del dopoguerra e
detenuti illegalmente in Iraq, o di restituire i beni del Kuwait illegalmente confiscati come riportato nella risoluzione
1441 delle Nazioni Unite.
La paura di ritorsioni è sempre stata
presente, specie dopo gli attentati terroristici dell’11 settembre, ed in questi giorni
forte è il timore dell’utilizzo di armi
biochimiche, come l’antrace, il gas nervino,
che possono portare inquietanti conseguenze.
E il mio pensiero va ai circa duecento
italiani rimasti, anche se mi risulta che
l’ambasciata italiana in Kuwait stia attuando un forte piano di sicurezza, che
abbia dotato i nostri connazionali di mezzi
di sopravvivenza, compresa la realizza-
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zione di rifugi sigillati nella propria abitazione, e che abbia previsto un piano di
evacuazione di emergenza via terra e via
mare.
Ma il mio pensiero in questo momento
va soprattutto ai bambini iracheni ed è
colmo di speranza per il loro futuro, un
futuro in cui non vi sia antrace, in cui non
vi sia fame, in cui non debbano più subire
la perdita di un genitore ucciso ingiustamente.
GIUSEPPE GAMBALE. E torno al
punto dal quale ho iniziato questo breve
intervento: il ruolo della politica.
Il Presidente Prodi richiamava l’Europa
a imparare la lezione: davvero solo un’Europa unita può garantire la pace. Dobbiamo ricominciare da qui: ritessere i fili
dell’unità europea. L’Europa che ha conosciuto la guerra al suo interno, l’Europa
dove convivono da sempre diversità di
popoli e culture può e deve diventare
motore e lievito della ricostruzione di
relazioni internazionali nuove.
Sempre l’onorevole Igino Giordani in
quest’aula, nel 1949, diceva: « L’umanità si
svena sempre per le stesse ragioni, o
meglio per gli stessi pretesti. Per esempio
si dice: « Si vis pacem para bellum » (Se
vuoi la pace prepara la guerra). E invece
per noi la verità è un’altra. Se vuoi la pace
prepara la pace. Se prepari la guerra, i
fucili ad un certo momento spareranno da
soli, come è stato detto. Chi prepara la
guerra alla guerra finisce. Se vogliamo
arrivare alla pace, dobbiamo cominciare a
costruirla fra noi »; e poi ancora: « Se
vogliamo arrivare alla pace dobbiamo cominciare a costruirla fra noi. Siamo gente
razionale, tutti comprendiamo questa verità; che la pace comincia veramente da
ciascuno di noi, la pace comincia da noi ».
IL CONSIGLIERE CAPO
DEL SERVIZIO RESOCONTI
ESTENSORE DEL PROCESSO VERBALE
DOTT. VINCENZO ARISTA
Licenziato per la stampa alle 20,30.
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