– Premessa, antefatti, fatti e misfatti –
Prima di introdurci nei meandri politico-militari della II^ G.M. (con relative conseguenze) è bene
fare alcuni passi indietro e, con una breve premessa, dare un taglio chiaro al problema Italia.
Premessa
Caduto l’impero romano lo status della penisola passò agli Ostrogoti (vedi cartina seguente)
Estensione del regno Goto in Italia (476-553)
Regno effimero quello dei Goti in Italia, appena 77 anni ma carico di speranze per la penisola dato
che man mano quel popolo “barbaro” si stava romanizzando. Purtroppo si scontrarono con il papa
che, accampando e alternando l’eresia ariana alla fedeltà all’imperatore d’Oriente, mise gran mano
alle guerre gotiche; guerre che devastarono l’Italia e ne inibirono, fino al 1870, l’unità.
Ben 1317 anni di stati e staterelli in continua lite fra loro e con soprammercato di un via vai di
eserciti franchi, ungari, musulmani, francesi, svizzeri, spagnoli, austriaci ecc… ecc…
Ogni tentativo di creare le basi per un regno italico fu sistematicamente vanificato dalla Santa Sede,
ricorrendo persino alla soppressione fisica (vedi Corradino di Svevia) dei suoi avversari. Questi
passaggi portano i nomi di Arduino d’Ivrea, Federico I Barbarossa, Federico II, Manfredi di Napoli,
Corradino di Svevia e per finire Arrigo VII di Lussemburgo; personaggi che a vario titolo tentarono
di creare un regno italico o di mantenere il legame dell’Italia con il Sacro Romano Impero. Con
Arrigo VII termina questa possibilità.
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L’Italia fino al 1454 si barcamena in una serie infinita di guerre intestine poi, da questa data,
promotore Lorenzo Il Magnifico, e per quaranta anni, ci sarà la pace e il massimo splendore: il
Rinascimento. L’Italia ha le banche più ricche, la marina più potente, condottieri rinomati e…artisti
insuperabili. Sembra che con la pace e la potenza, ci possano essere i numeri per creare, con il
tempo, un regno italico partendo da una sorta di convivenza federale; non sarà così. Dal 1494
termina tutto; le pruderie francesi e, soprattutto i maneggi dei papi (Alessandro VI e Giulio II) che
chiameranno in loro aiuto ora i francesi ora gli spagnoli, porteranno la nostra penisola sotto il tallone
dei regni di mezza Europa. Tre possibilità, tre speranze svanite (un regno, un’unione imperiale, una
federazione ante litteram).
L’Italia al tempo della pace di Lodi (1454-1494)
Antefatti
Anno 1848, anno cruciale e foriero di future disgrazie, anno in cui termina il periodo della
Restaurazione e tutta l’Europa è attraversata da rivolte a sfondo liberista.
Mentre gli imperi di Russia e Austria-Ungheria “sonnecchiano” raccogliendo i frutti della sconfitta
napoleonica, l’Inghilterra, che aveva usato la restaurazione come mezzo per ampliare e consolidare i
propri domini, inizia un’opera di destabilizzazione partendo proprio dall’Italia. Già perché le
rivoluzioni che nel tempo cambieranno l’Europa sono iniziate nel gennaio del 1848 in Sicilia.
Rivoluzione che nulla aveva a che vedere con la libertà bensì con il desiderio di rivalsa
dell’Inghilterra, che re Ferdinando II aveva estromesso dall’isola perché minava con i suoi monopoli
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(Zolfo, vigneti di Marsala) e con la sua asfissiante presenza, la sovranità del regno. Approfittando
che il regno si basava sull’unione di due corone (Sicilia e Napoli) l’Inghilterra coltivava questa
distinzione per satellizzare l’isola se non farne addirittura una colonia ai fini di dominare
incontrastata tutto il Mediterraneo (ricorda qualcosa?). Usando blandizie e bastone Ferdinando II
prima li estromise dalla Sicilia poi portò il suo regno alla totale autonomia economica, inutile in
questa sede elencarne le conquiste sociali e industriali.
Questa situazione non poteva essere tollerata dall’Inghilterra, ergo servendosi di baroni riottosi (che
di li a pochi anni vedremo seduti sugli scranni del regno di Sardegna) e di idealizzatori di libertà,
scatena la rivolta. Rivolta che pervaderà l’Italia e l’Europa. Erano anche gli anni di Cattaneo e
Gioberti e del sogno di una federazione italiana. Ultima possibilità per il nostro paese, tant’è che
all’alba della prima guerra d’indipendenza alle prime vittorie parteciparono anche il Regno delle Due
Sicilie, il Granducato di Toscana, lo Stato della Chiesa, il governo autonomo della Repubblica Veneta
e il regno di Sardegna.
1848 regno delle Due Sicilie
Ereticamente
1860
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1848 Granducato di Toscana
Ereticamente
Repubblica Veneta 1848-49
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regno di Sardegna 1848-49
Il sogno si infranse nel momento che Carlo Alberto di Savoia rifiutò l’alleanza de jure oltre che de
facto con Ferdinando II. Con la presunzione e l’arroganza tipica del suo casato dichiarò che la
guerra il regno di Savoia era in grado di condurla da solo, in conseguenza di ciò il regno borbonico si
dissociò dalla guerra seguito dalla Toscana e dagli Stati della Chiesa. La conclusione è nota a tutti. I
siciliani solleticati dagli inglesi proposero la corona di Sicilia a Ferdinando Alberto Amedeo di
Savoia, che rifiutò. Ferdinando riconquistò l’isola e gli inglesi dovettero ritirarsi con le pive nel sacco
ma pronti per la rivincita.
Anni 1859-1861, seconda guerra d’indipendenza e sbarco dei Mille; definizioni retoriche che
mascherano una realtà sottesa quanto inequivocabile. Ritengo essere cosa chiara e conosciuta,
almeno spero, che la guerra si fece con le baionette francesi e le sterline inglesi; la partecipazione
italiana ai fatti fu marginale anche se con valore. L’impero austro-ungarico, sconfitto a Solferino dai
francesi, consegnò alla Francia la Lombardia e non al regno dei Savoia; riconoscendo di fatto di
essere stata sconfitta dai francesi e non dagli italiani. Nessun senso di vergogna nel ricevere da un
regno straniero le terre per le quali dici di combattere. I brogli conseguenti ai referendum
sull’annessione, l’esilio volontario del piccolo esercito del ducato di Modena la dicono lungo sulle
reali volontà della cittadinanza.
Lo sbarco dei Mille fu gestito dalla massoneria, sovvenzionato dalle sterline inglesi, protetto dalla
marina di Sua Maestà Britannica che fece schermo con le sue navi a quelle borboniche che non si
erano fatte corrompere. Un esercito che alza il tricolore e sovvenzionato da un paese straniero,
combatte contro un esercito che alza il tricolore e non è sovvenzionato da nessuno.
I sintomi ci sono tutti. Comprati gli ammiragli e i generali borbonici, sbarcate a Marsala le giubbe
rosse inglesi frammischiate alle camice rosse così da impedire alle truppe borboniche una pronta
reazione. I famosi “picciotti” altri non erano che la manovalanza dei baroni siciliani, inviati da questi
ad ingrossare le truppe di Garibaldi.
Anno 1866, terza guerra d’indipendenza. Si ripete l’opera, l’Italia sconfitta in pieno a Custoza e a
Lissa, riceve dall’alleato prussiano, vincitore, il Veneto. Cause: liti fra Cialdini e La Marmora,
arroganza e supponenza dell’ammiraglio Persano. E’ bene rimarcare che a Lissa la flotta austriaca
era per la gran parte composta da veneti ed istriani, che la lingua ufficiale era il veneto e che la
battaglia si concluse al grido “San Marco vince”.
Le conseguenze di tutti questi eventi non potevano essere che quelle conosciute.
Riepiloghiamo
1) Il Vaticano procura l’intervento di regni stranieri onde evitare la iattura di un regno italico,
2) La Gran Bretagna briga per la secessione della Sicilia dal Regno Borbonico al fine di una completa
satellizzazione dell’isola,
3) La supponenza savoiarda e i maneggi massonici creano i presupposti per far naufragare
un’indipendenza italiana su basi federalistiche e, soprattutto, con le sole baionette italiane,
4) Sterline inglesi, baionette francesi e brogli liberisti (massonici) creano sì l’Italia “unita” ma la
rendono debitrice in tutto e per tutto,
5) L’unità della penisola viene fatta a scapito dell’indipendenza di altri stati italiani e non con l’unità
di tutti, utilizzando la sola corruzione ed il tradimento,
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6) I destinatari della corruzione sono gli alti gradi della marina borbonica, quadri cha saranno la
base per la creanda marina italiana. In breve: corruzione, tradimento, brogli, pressappochismo
militare e politico limitazione della sovranità e maneggi massonici furono le basi su cui fondare
l’Italia; ovviamente premi e prebende per chi tradendo l’uno servì l’altro (es. Francesco Crispi, che
fomenta la rivolta siciliana contro il suo re, per gli interessi baronali, organizza di poi la spedizione
dei Mille, forte dei suoi contatti nell’isola, divenendo poi capo del governo. Vario il numero di
deputati che pagati dall’Inghilterra divennero onorevoli del regno d’Italia).
Anno 1870. Con la fine del potere temporale dei papi si realizza l’unità d’Italia, almeno sulla carta,
nella realtà le cose non andranno esattamente così. Estromessa dal potere terreno la Santa Sede
inizia a scalzare l’unità dall’interno, prima osteggiando il rapporto tra popolo e sovrano usando la
sua presa religiosa sugli animi – periodo 1870-1929; quindi sfruttando i Patti Lateranensi per minare
dall’interno il governo. La tattica è la stessa, sul piano religioso ma con una marcia in più inserendo
l’affarismo politico-bancario. Il Vaticano dismette la corona ed indossa il doppio petto. E il peggio
deve ancora venire.
Fatti
La seguente “filastrocca” può essere utile per ben comprendere la logica degli eventi che
caratterizzarono la storia d’Italia dal 1870 ai giorni nostri.
Chi governa Roma,
governa l’Italia
Chi governa l’Italia,
governa il Mediterraneo
Chi governa il Mediterraneo,
governa il mondo
1) A seguito della crisi italo-francese del 1881 per il possesso della Tunisia, l’Italia da un lato firma
l’alleanza militare con l’impero germanico e con quello austro-ungarico (Triplice Alleanza), dall’altro
indirizza le sue forze nell’area del Corno d’Africa (Eritrea, Etiopia e Somalia). All’Inghilterra non
sfugge l’importanza strategica di quelle terre e, timorosa per lo stretto di Bab el Mandeb, occupa
quella parte di Somalia conosciuta come Somaliland (la Francia era già entrata i possesso dell’area
di Gibuti).
Questa situazione darà inizio alla crisi italo-inglese e avrà ripercussioni fondamentali per gli eventi
bellici del 1939-’45.
2) 1914-’18 Maneggi franco-inglesi uguale accordi franco/serbi + alleanza russo/serba + colonnello
Api e Mano Nera = Sarajevo e Prima Guerra Mondiale che forse è meglio definirla prima Guerra
Civile Europea e che porterà, in 30 anni, il continente alla rovina. I governi italiani dell’epoca pur
continuando a confermare l’alleanza con Germania e impero austriaco iniziano, more solito, ad
intrattenere rapporti con Francia ed Inghilterra stimolati anche dalle pressioni che la massoneria,
sia attraverso suoi alti esponenti (es. Nathan sindaco di Roma) ed il suo giornale L’idea Democratica,
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esercitano sull’opinione pubblica, sia sui legami di fratellanza che legano casa Savoia all’Inghilterra.
L’Italia nel maggio 1915 salta il fosso e dichiara guerra all’Austria-Ungheria. A guerra finita e
vittoriosa gli accordi di Londra, accordi con i quali i franco-anglo-russi si impegnavano a
riconoscimenti territoriali in Dalmazia (soprattutto) a favore del nostro paese, furono completamente
disattesi. L’Italia aveva rinunciato ai suoi interessi prioritari (Tunisia, Nizza, Malta, porzioni della
provincia di Trento, territori in Africa) per una vuota enunciazione. Mai e poi mai l’Inghilterra
avrebbe concesso che l’Adriatico diventasse un lago italiano. Al fine di non appesantire l’articolo e
rendere più comprensibili quegli eventi consiglio l’ottimo testo di Michele Rallo Il coinvolgimento
dell’Italia nella Prima Guerra Mondiale e la “Vittoria Mutilata” ed Settimo Sigillo. Mi limito a
riportare due stralci: uno dal testo citato a) e l’altro dal primo volume dell’opera La Grande Guerra
1914-1918 di Riccardo Posani ed. Sadea/Sansoni b).
a) <<…D’altro canto – come abbiamo già avuto modo di rilevare – era preciso intento dell’Inghilterra
il tenere l’Italia lontana dal Mediterraneo orientale. Troppo dinamica, troppo ambiziosa, troppo
intraprendente, ora più di prima Roma era considerata concorrente pericolosa e spregiudicata in un
settore ove Londra voleva imporre le regole della propria assoluta egemonia>>
b) In un taccuino del ministro Daneo – grafia difficile e piena di abbreviazioni – (20 e 22 febbraio
1915) <<…colloquio con Giolitti. Paese preoccupato non vuole guerra; nessuna fiducia generali
italiani, non uno che valga un soldo. …>>
I fermenti per quello che di lì a 25 anni sarebbe accaduto ci sono tutti.
Misfatti
In altri articoli (armi e armamenti…) mi sono soffermato su alcuni esempi del come
l’equipaggiamento dell’esercito italiano fosse stato volutamente trascurato. Purtroppo era solo un
aspetto, volto a farlo sentire “povero” ed abbandonato agli eventi, occorreva anche demotivarlo
negandogli quelle azioni belliche che avrebbero potuto gratificarlo. Qui di seguito riporto per punti
alcuni eventi che possono rendere più trasparente la superficie opaca che li ricopre.
Anni 1922-1943.
Il fascismo, assunto il potere nel 1922, dimostra fin da subito una vivacità politica a 360 gradi,
incidendo velocemente nella vita sociale e politica dell’Italia. Se in venti anni fonda lo stato sociale
con una massa di leggi e interventi (42 i più significativi), non è da meno in politica estera. Azioni
che nel loro insieme determineranno interventi esterni, attraverso il collaudato metodo della
corruzione e del tradimento.
– Delitto Matteotti. Lasciamo da parte le accuse di brogli elettorali che lasciano il tempo che trovano,
soffermiamoci su ciò che un poco alla volta sta venendo a galla: il petrolio, i maneggi della Standard
Oil americana e la massoneria inglese (Matteotti era massone).
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Parentesi personale
Diversi anni or sono ero in nord Italia per aggiornamento di lavoro, durante quel periodo fui in
contatto con una persona, che identificherò, per ovvie ragioni, come W.S. Costui, nel periodo 1944’45, svolse mansioni di portaordini per il Comitato di Liberazione per l’Alta Italia e, come spesso
accade, dal lavoro si passò a parlare fra le altre cose di quel periodo. Parlando del caso Matteotti,
W.S., glissò adducendo che di quei fatti erano in molti a parlarne e non poteva esprimere alcun
parere; chiuse però il discorso dicendo che Vittorio Emanuele III era azionista della compagnia del
canale. Tempo dopo, leggendo l’articolo su Matteotti apparso sulla Nazione del 1 novembre 1985 e
venendomi in mente quel colloquio, non fu certo difficile fare due più due; il testo di F. Scalzo (Il
caso Matteotti), i ricchi giacimenti di petrolio in Italia, chiusero il cerchio.
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…a scoprire i giacimenti di petrolio,
nei pressi di Tripoli, nel lontano 1938
– Accordi per basi navali nelle Canarie. Sotto la dittatura del generale Primo De Rivera, padre del
più famoso José Antonio, la Spagna e l’Italia aprono un tavolo di trattative per la concessione, da
parte spagnola, di una base navale all’Italia nelle isole Canarie.
La trattativa si interrompe per la caduta del governo spagnolo – 1930 – e l’esilio del generale De
Rivera che morirà a Parigi di lì a pochi giorni in maniera mai chiarita.
– 1935-’36. L’Italia, dopo le amare vicissitudini del fine secolo precedente, sottoposta a provocazione
(con sotterfugi dall’Inghilterra) vince e occupa l’Etiopia. I rapporti con l’ex alleata raggiungono il
calor rosso. Il 9 maggio del 1936 proclama l’impero.
Africa Orientale Italiana 1936-1941
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Dalla cartina si può ben vedere la forte ipoteca che l’Italia aveva messo sullo stretto di Bab el
Mandeb, sulla sua colonia del Somaliland e, soprattutto, sui collegamenti con le sue colonie orientali
con prevedibili conseguenze disastrose (più avanti se ne riparlerà). L’Inghilterra, l’alta finanza e, per
altri versi, il Vaticano non possono tollerare oltre.
– Rodi 1939 – Attacco all’Italia. Se gli ambienti “occulti” a mala pena tolleravano l’Italia dinamica e
spregiudicata del 1911-’18; quella della marcia su Roma e della conquista dell’Etiopia era un nemico
da debellare. Se nel 1935, nel pieno della crisi con l’Italia, la Gran Bretagna aveva studiato un piani
per uno sbarco sulle coste italiane e l’annientamento della flotta navale italiana (progetto rimasto
alla fase di studio); nell’autunno del 1938 fu ripreso con la variante dell’obiettivo: il Dodecanneso. Il
governo di Sua Maestà Britannica riponeva in una sconfitta militare la caduta del fascismo e la
colonia del Dodecanneso si prestava bene alla bisogna: attacco breve e devastante accompagnato da
una campagna navale di poche settimane. Il 29 gennaio del 1939. L’operazione sarebbe stata
condotta insieme alla Turchia, per quanto concerne le operazioni terrestri, mentre le flotte anglofrancesi si sarebbero accollate l’onere delle operazioni navali. Occorreva però che la Germania
rimanesse neutrale e il tutto si potesse risolvere in un breve scontro solo contro l’Italia. Il servizio
segreto italiano, molto attivo in medio oriente, venne a conoscenza del tutto, Mussolini anticipò le
mosse avversarie stipulando il 7 febbraio un accordo commerciale con l’URSS, la Germania non
diede risposta alla richiesta di neutralità e il 22 maggio 1939 veniva firmato il patto d’Acciaio.
L’operazione avversaria che doveva prendere il via a partire dal 6 maggio andò in fumo. Era solo
questione di mesi e sarebbe scoppiata la Seconda Guerra Civile Europea, detta anche II^ Guerra
Mondiale.
– II^ GM – campagna in AOI.
Il Mediterraneo ha due ingressi, uno è lo stretto di Gibilterra, l’altro non è il canale di Suez bensì lo
stretto di Ba bel Mandeb, stretto che separa il Corno d’Africa dalla penisola arabica; al centro dello
stretto c’è l’isolotto di Perim. Chiudere lo stretto significa bloccare la flotta inglese d’Alessandria e
impedirgli qualsiasi via di fuga che non contempli uno scontro aeronavale o nel canale di Sicilia o
nello stretto menzionato. Occupare Perim, minare lo stretto (di conseguenza ipotecare la base
inglese di Aden), pattugliare in forze il canale di Sicilia; significava eliminare la flotta inglese nel
Mediterraneo: significava vincere la guerra in breve tempo e con poca spesa.
Forze nell’area del Corno d’Africa:
Italia
–
Aviazione,
354 velivoli
–
Esercito.
260.000 fra nazionali ed ascari
–
Marina,
8 smg., 8 cacciatorpediniere, 1 inc. aus.
Regno Unito (forze distribuite fra Sudan, Kenia, Aden e Somaliland)
–
Aviazione,
127 velivoli
–
Esercito,
19.475 fra nazionali e coloniali
–
Marina,
non quantizzabile
Con un rapporto di forze di 13 a 1 per l’esercito e di 2,8 a 1 per l’aviazione. Adeguate le forze navali
italiane se ben condotte.
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Per quanto il rapporto di forze fosse a nostro favore, per quanto già nel periodo 1935-’36 il Quartier
Generale delle forze armate avesse previsto l’occupazione di Perim con una forza di circa 800
uomini, seguita da uno sbarco veloce sulla costa araba e minaccia conseguente su Aden: niente fu
messo in opera per chiudere rapidamente la partita. Non solo non venne attuato lo sbarco, non solo
non fu minato lo stretto ma le nostre forze furono impiegate in maniera errata e clamorosamente
sconfitte nella battaglia del Giuba. Battaglia gestita dal generale Pesenti (vedi Capitolo finale) e
che capovolse la situazione a favore del nemico. Nonostante la gravità della situazione a Cheren dal
31 gennaio al 27 marzo del 1941 fu condotta una battaglia che corremmo il rischio di vincere.
Battaglia misconosciuta, in Italia, ma ben valutata in tutta la sua importanza dal nemico, così la
stampa inglese:
“La cattura di Cheren è stata certamente l’episodio vitale di tutta la campagna in Africa orientale se
non la più importante di tutta la guerra…”
“Chi combatté su altri fronti sa che nulla, nulla è stato peggio di Cheren: combattimenti sanguinosi,
sgomentanti e paurosi”.
Sul ciglione di Cheren caddero alpini, granatieri, camice nere e si concluse l’epopea del IV
battaglione ascari eritrei “Toselli”. Tremila inglesi, indiani, francesi e dodicimila italiani e coloniali
chiusero 56 giorni di combattimenti. Il generale Carnimeo, nel momento cruciale della battaglia,
compresa la crisi del nemico, chiese i rinforzi che sostavano a Gondar: rinforzi che furono rifiutati
dal generale Frusci. Uolchefit, Qulquaber, le scorribande della cavalleria del maggiore Guillet e i
guerriglieri che combatterono fino al 1943 (per gli ascari fino al 1947) sono solo conseguenze del
tradimento e dell’insipienza. Dallo stretto transitarono petrolio, derrate, armi, navi e uomini che gli
USA profusero agli inglesi fino all’entrata in guerra dell’impero giapponese.
– II^ GM – campagna di Grecia. Poche righe che definiscono da sole quella campagna. Il 16 agosto
1940 su richiesta dello Stato Maggiore, il generale Guzzoni prepara un piano di attacco alla Grecia
con obiettivi Salonicco e Atene. L’attacco prevede l’utilizzo di 18 divisioni rafforzate, suddivise in 6
corpi d’armata. Il sottosegretario alla guerra, generale Pariani, prudenzialmente ne consiglia 20.
Alla vigilia dell’attacco lo Stato Maggiore, a capo del quale è bene ricordare c’è il maresciallo
Badoglio, approva il piano con una variante: le divisione da 18÷20 passavano a 8. Come è andata lo
sanno tutti.
Capitolo finale
Quanto di seguito riportato è tratto, per stralci, dall’opera di Pietro Sella “El Alamein e la guerra
sbagliata” – L’Uomo Libero n°55. Tutte le fonti d’origine sono il processo Trizzino, i processi post
bellici intentati dalla neonata Repubblica Italiana contro i vertici militari (sic) ed i capitolati di resa
del 1945 e seguenti (esempio per tutti il caso Maugeri).
Per l’onore e la grandezza dell’Italia… nella realtà
…Sembrava che, con le incessanti perdite di navi mercantili, la sfortuna si accanisse contro la nostra
bandiera; ma non si trattava di sfortuna. La colpa era del tradimento che si annidava nei massimi
gradi della marina. Da sempre filo monarchica e filo britannica (casa Savoia è adepta della
massoneria dai tempi di Vittorio Emmanule II), questa forza armata aveva nei suoi quadri un gran
numero d’ufficiali ostili al regime. A molti di loro, poi, un regolamento cervellotico e una dirigenza
politica troppo accomodante avevano consentito di restare in servizio pur avendo sposato donne
straniere.
Gli ufficiali in queste condizioni erano, tra esercito e marina, qualche centinaio.
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Capitano di vascello Alberto Lais, addetto navale italiano a Washington sposato con
un’americana, vende agli americani il cifrario della marina.
Il generale Carboni, responsabile del servizio spionaggio dell’esercito, figlio di un’americana
dell’Alabama, è un esperto nella disinformazione. Oltre a gonfiare sistematicamente le forze
del nemico, ha l’opportunità d’inserire elementi a lui graditi nelle varie strutture militari.
L’ammiraglio Vittorio Tur, di padre francese e sposato ad una inglese. Presente a Tolone in
qualità di membro della delegazione della Commissione Armistiziale con la Francia; attraverso
la resistenza francese, passa informazioni a Londra. In questo nido di traditori faceva da
cerniera Enrico Paolo Tur, fratello dell’ammiraglio, già compagno d’accademia a Livorno,
dell’ammiraglio De Feo che capeggia la Commissione d’Armistizio. Non può essere un caso
che, quando viene programmato l’attacco a Malta, il comando dell’operazione sia affidato
proprio all’ammiraglio Tur. Alle sue dipendenze, alla guida di una delle divisioni che dovranno
sbarcare, la Friuli, c’è il generale Carboni, il quale semina pessimismo e si muove per sabotare
l’azione. Dopo il rinvio sine die dello sbarco e l’occupazione della Francia “libera” seguita
dall’invasione alleata del Nord Africa, – novembre 1942 – troviamo Tur al comando della
piazzaforte di Tolone. In questa stessa città, nel giugno del ’43, il fratello dell’ammiraglio viene
finalmente colto con le mani nel sacco dal nostro controspionaggio. Il responsabile dei servizi,
generale Amè, si presenta con Senise, capo della polizia, al cospetto di Mussolini e gli mostra i
documenti sequestrati al contatto francese di Enrico Paolo Tur. Visto che i traditori sono
marinai, il Duce passa i documenti al controspionaggio della marina, senza sapere che lì c’è il
capo banda delle spie l’ammiraglio Maugeri. L’ammiraglio Tur, invece di essere
prudenzialmente messo in fortezza, viene trasferito al comando marittimo del basso Tirreno,
con giurisdizione sulla Sicilia, proprio dove gli alleati sbarcheranno il mese successivo. Hanno
saputo, guerda caso, che la flotta italiana, per l’occasione, non si sarebbe mossa per
ostacolarli. per le benemerenze che abbiamo ora ricordato, la spia Enrico Paolo Tur fu
riammesso in servizio e gli fu concessa, nel dopo guerra, la pensione della marina militare
(libretto n. 397016).
L’ammiraglio Bruno Brivonesi anche lui con moglie inglese. Il 10 novembre 1941 è di
scorta, con la III^ divisione navale (2 incrociatori pesanti, il Trento ed il Trieste e 10
cacciatorpediniere), a 4 piroscafi e tre petroliere che portano in Libia 389 carri armati, 17.281
tonnellate di benzina, 1.579 tonnellate di munizioni oltre a 15.000 di materiali vari. I
mercantili che viaggiano ciascuno, in pratica, protetto da due navi da guerra e per i quali
Supermarina ha tracciato una rotta molto particolare, sono sorpresi da 2 incrociatori leggeri e
2 cacciatorpediniere. Mentre i trasporti del convoglio italiano sono colpiti e affondano tutti, il
Brivonesi, che durante lo scontro si era tenuto a distanza di sicurezza, si rintana con le sue 12
navi a Taranto. la sua condotta gli costa la destituzione dal comando e il deferimento alla corte
marziale, ma gli ammiragli che lo giudicano sono evidentemente della stessa pastae lo assolve
perché <<il fatto non costituisce reato>>. Nel dopo guerra, il Brivonesi qurelò per
diffamazione e vilipendio Antonino Trizzino, il quale nel suo libro Navi e poltrone, l’aveva
accusato di codardia di fronte al nemico. Ebbene, nel 1954, la corte d’assise di Milano assolse
il Trizzino con formula piena. A volte il risultato desiderato da Supermarina lo si può cogliere
con la fuga.
Ammiragli Iachino e Parona. Un altro caso emblematico è quello della seconda battaglia
della Sirte. Anno 1942; gli inglesi nel Mediterraneo sono privi di portaerei dal maggio 1941 e,
dal dicembre dello stesso anno, di corazzate (perdita della Valiant e Queen Elisabeth). Per la
scorta di un convoglio diretto a Malta, l’MW10, che esce da Alessandria il 20 marzo 1942,
dispongono solo di pochi incrociatori leggeri e qualche cacciatorpediniere. Per intercettare il
convoglio esce da Taranto, al comando dell’ammiraglio Iachino, la corazzata Littorio scortata
dai cacciatorpediniere Aviere, Ascari, Oriani e Grecale. Da Messina al comando
dell’ammiraglio Parona, muovono gli incrociatori pesanti Gorizia e Trento, nonché il leggero
Bande Nere con i cacciatorpediniere Alpino, Bersagliere, Fuciliere e Lanciere. Affrontato dai
Ereticamente
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caccia inglesi, il Parona comunica a Iachino di avere assunto rotta nord e di “essere inseguito
dal nemico!” Iachino si avvicina e, a questo punto, le due squadre italiane sono affrontate a più
riprese, con salve di artiglieria e lancio di siluri, dai quattro caccia inglesi che difendono il
convoglio. per dare un’idea della sproporzione di forze, il peso della bordata italiana era di
11.000 kg., quella inglese di 2.500; ma nessuna delle piccole unità inglesi è colpita. Dopo aver
incassato sulla lIttorio un colpo sparato da uno dei caccia che si era, con grande coraggio,
avvicinato fino a 5.000 metri, Iachino decide di rientrare a Taranto. Il convoglio nemico è
salvo. <<Indescrivibile fu il nostro sollievo quando ci confermarono che gli italiani si
stavano ritirando>>. Così, ancora incredulo, l’ammiraglio Cunningham ad Alessandria.
Questa del marzo 1942 fu l’ultima ingloriosa uscita della flotta italiana prima dell’8 settembre.
Contrammiraglio Massimo Girosi. Una parte negli eventi, che in questa data vivrà la
marina tocca al contrammiraglio Massimo Girosi. Già uomo del SIM di carboni, il Girosi è
assegnato all’Ufficio Operazioni di Supermarina; qui lo raggiunge una comunicazione da parte
del fratello Mario che, a New York, stava collaborando con il naval Intelligence, lo spionaggio
navale americano, al quale aveva fornito documenti definiti dlla marina USA “di valore
inestimabile”. Questa attività gli varrà, dal nemico, la Silver Star. Il messaggio del fratello, che
Massimo Girosi riporta orgoglioso all’ammiraglio Raffaele De Courten, divenuto ministro della
marina con il 25 luglio 1943, contiene la proposta per la flotta italiana di ritirarsi, di fatto,
dalla lotta e di prepararsi a passare dalla parte degli alleati. Il De Courten mostra di
apprezzare l’invito e ne parla, compiaciuto, a Badoglio. La marina, prima ed unica tra le forze
armate, scavalca il proprio governo e si dichiara pronta alla resa (logica conclusione di tre
anni di connivenza con il nemico n.d.c.).
Ammiraglio Gino Pavesi, comandante dell’isola, nonché piazzaforte, di Pantelleria,
presidiata da 12.000 uomini; è l’unica isola in tutta la storia militare che si arrende solo per
un’azione aerea. Quando è il momento dello sbarco, 10 luglio 1943, la flotta non modifica la
sua strategia; non va incontro al nemico, non si muove dai porti. Era già scritto che le grandi
navi da battaglia dovessero restare intatte per il <<dopo>>. Con la sua rete di ammiragli
traditori, la Regia marina aveva concluso con il nemico un armistizio privato, sulla falsariga
della proposta dei fratelli Girosi. Le regole dell’intesa, dettate a Lisbona dagli anglo-americani
agli uomini di Maugeri, i capitani di vascello Cippico e Cugio, quest’ultimo già addetta navale a
Washington, erano queste: la marina italiana non doveva intervenire nelle operazioni militari,
gli anglo-americani non avrebbero bombardato i suoi porti. Un simile gentlemen’s agreement
sarebbe certamente stato un’ottima base per una cordiale collaborazione, da instaurarsi non
appena le navi si fossero trasferite a Malta.
Ammiraglio Leonardi. Il <<contratto>> concluso da Supermarina era disciplinatamente
applicato a livello locale. Come a Pantelleria c’era stato pavesi, così in Sicilia, ad Augusta, al
comando di una delle basi navali più munite al mondo, si trovava un altro uomo d’onore,
l’ammiraglio Leonardi. La sera del 12 luglio, due cacciatorpediniere nemiche e altri mezzi da
sbarco entrano nel porto di Augusta e attraccano alle banchine. Le cisterne di carburante, le
prese d’acqua, i magazzini, sono intatti. I cannoni della piazzaforte, tra cui 16 pezzi da 305 e
29 batterie di grosso calibro, oltre ad un treno blindato, non sparano un colpo.uando è il
momento dello sbarco, 19 luglio 1943,
Se gli alti gradi della marina hanno dato il meglio di loro per “trascurare” la guerra, i generali del
Regio Esercito non sono da meno, significativamente e soprattutto quelli preposti alla difesa del
Corno d’Africa (Eritrea, Somalia ed Etiopia).
Generali Frusci e Trezzani rispettivamente comandante del settore Nord (regione Eritrea) e
capo di Stato Maggiore del duca dì’Aosta. Dopo la resa dell’A.O.I. sono trasferiti negli USA
ancora neutrali e sono ricevuti alla Casa Bianca. Frusci è lo stesso che negò al generale
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Carnimeo i rinforzi, durante la battaglia di Cheren (battaglia che corremmo il rischio di
vincere e che vide l’olocausto del IV battaglione ascari Toselli n.d.c). Trezzani, dopo la
“liberazione” sarà il primo Capo di Stato Maggiore Generale. Come collega, in qualità di Capo
di Stato Maggiore della marina, avrà l’ammiraglio Maugeri, ex capo del SIS, lo spionaggio
navale decorato dagli alleati per i servizi loro prestati durante la guerra (1).
Il generale Gustavo Pesenti, comandante in capo delle truppe della Somalia, è degno di
essere ricordato. Quando gli inglesi, provenienti dal Kenia, attaccano, ai primi di gennaio del
’41, El Uach, nell’Oltregiuba, il presidio si dissolve in un attimo senza combattere, lasciando in
mano al nemico armi, munizioni e persino le pentole delle cucine. Informato da radio Londra
della vicenda, il Viceré raggiunge per una spiegazione (?) il Pesenti, il quale gli propone di
firmare una pace separata con il nemico: <<La guerra è perduta (ad appena sei mesi!) – dice il
generale – e noi affetteremo la fine del conflitto, che gli italiani non sentono, salvando l’impero
che ci è costato tanti sacrifici (sic). Se, come è prevedibile – continua il Pesenti – Roma
sconfesserà Vostra Altezza, noi faremo la guerra al fascismo>>. Sfuggito alla cattura (2) in
Africa e riparato in Italia nel ’42, il Pesenti si propone a Badoglio come comandante di un
reparto da formarsi in Africa con i prigionieri italiani contrari al regime fascista. L’idea di
servirsi dei vertici militari dell’AOI era già balenata al nemico. Il generale Platt, il vincitore di
Cheren, alla resa del Viceré così si era espresso: <<Ho sempre avuto la premonizione che
verrà il giorno in cui l’Italia cambierà schieramento (more solito). Quel giorno avremo bisogno
di un intermediario, e nessuno potrà essere più indicato del duca d’Aosta>>.
L’onore dal punto di vista del maresciallo Badoglio e di casa Savoia
– Roma 3 settembre 1943 (data effettiva della resa). Badoglio riceve l’incaricato d’affari tedesco
Rudolf Rahn, che ha sostituito l’ambasciatore Manchensen, e lo rassicura: <<…Sono uno dei tre più
vecchi Marescialli d’Europa, Manchensen, Petain ed io; e ci consideriamo rappresentanti e
depositari dell’onore militare europeo. E’ inconcepibile che il governo del Reich dubiti della mia
parola. L’ho data e la manterremo. Dovete fidarvi di noi.>> Nello stesso giorno a Cassibile veniva
firmata la resa (In tale situazione non c’è da meravigliarsi se il Re ed il governo temessero per la
propria vita. Avevano dato la parola d’onore sapendo che stavano mentendo – n.d.c.)
… dal punto di vista del generale Eisenhower.
“The crooked deal” – un affare disonesto. Così il comandante in capo degli eserciti alleati,
rifiutandosi di sottoscriverlo personalmente e delegando il suo capo di Stato Maggiore generale
Bedell Smith.
… e sarcasmo tedesco
– Novembre 1943 <<1.255.660 fucili, 33.333 mitragliatrice, 9.986 pezzi d’artiglieria, 970 carri
armati, e cannoni semoventi, 4.553 aeroplani, 15.000 automezzi, 28.600 tonnellate di munizioni,
123.114 metri cubi di carburante per veicoli… militarmente, il maggior servizio reso dall’Italia al suo
alleato>>; così il generale Jodl Capo di Stato Maggiore della Wehrmacht
Questa carrellata di eventi può sembrare un affastellamento di notizie a caso; così non è. Per quanto
in maniera sintetica indica da quanto tempo all’Italia e agli italiani è impedito di riconoscersi in una
storica comunità nazionale ed europea. Interessi di parte da un lato (Vaticano), timori politici
dall’altro (Inghilterra, Stati Uniti) e una incancrenita inaffidabilità tutta italiana, non consentiranno,
se non via miracolistica, una vera unità d’Italia.
Gli italiani vivono in modo masochistico la politica e la società e la vivono ciclicamente; con Alleati
contro fascisti, con i democristiani e missini contro i comunisti, con i comunisti contro i capitalisti,
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con i capitalisti contro i nazionalisti e con i nazionalisti contro tutti; mai che l’italiano abbia guardato
all’Italia senza mettere in ballo giustificazioni. Giustificazioni che hanno portato allo sfacelo attuale e
che entro un pugno di decadi cancelleranno l’Italia e gli italiani.
Oggi viviamo in pieno le conseguenze di quei fatti, oggi chi ha occhi per vedere ed intelletto per
ragionare può valutare compiutamente quegli eventi. Una nazione impoverita, allo sbando senza
riferimenti, una classe politica corrotta, superficiale, un esercito al servizio dello straniero, una
immigrazione mirata a dissociare completamente italiani e Italia. Farne un elenco ulteriore è inutile,
questi tempi li stiamo vivendo e soffrendo.
Il periodo 1922-1942 è stato l’unico che dalla caduta di Roma ha dato a questa nostra terra onore,
orgoglio, potenza, forza e giustizia sociale.
Chi ha nel cuore tutto ciò deve sentirsi orgoglioso di quel periodo, di quell’Italia ed elevare a
leggenda gli eventi e le gesta di chi quegli eventi creò e di chi li difese con la propria vita.
Gianfranco Bilancini
In onore
IV Btg. ascari “Toselli”
Rgt. cavalleria coloniale “Penne di falco”
136a div. “Giovani Fascisti”
Div. paracadutisti “Folgore”
7.000 guerriglieri in A.O.I.
Inc. di marina Xa MAS
Div. Cor. “Ariete” e “Littorio”
63a Lg. CC.NN. “Tagliamento”
1° Gruppo Caccia
Smg. “Da Vinci” e “Tazzoli”
In ricordo di:
– Adamo Profico che con il suo carro, durante la battaglia della piana di Catania distrusse 25
automezzi di una colonna anglo-americana
– Vito Procida e Francesco Cargnel che unici superstiti di un reparto ADRA, penetrati dietro le linee
nemiche distrussero al suolo 25 quadrimotori nemici.
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e di tutti coloro che dal Corno d’Africa ai cieli d’Inghilterra, dall’Atlantico alle steppe russe hanno
versato il loro sangue per un sogno e per una nazione che oramai non esistono più.
Fonti bibliografiche
a) Cambridge University Press – Storia del mondo antico, vol.
VIII e IX.
b) La Storia Manipolata – Luciano Salera, ed. Controcorrente
c) L’Inghilterra contro il Regno delle Due Sicilie – Erminio De
Biase, ed. Controcorrente
d) L’Era di Re Ferdinando – F. M. Di Giovine, ed. Controcorrente
e) El Alamein e la guerra sbagliata, Piero Sella, ed. L’Uomo
Libero n°55
f) Il delitto Matteotti (che il mandante fosse il re…) – art. su La
Nazione 1 novembre 1985.
Il caso Matteotti – Franco Scalzo, ed. Settimo Sigillo
g) Rodi 1939: Londra voleva la guerra con l’Italia – Storia
Illustrata art. di M. Valle
h) Cheren – Renato Loffredo, ed. Longanesi.
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