http://federicodileva.altervista.org Genesi Fuori, nella città, il caos impazzava. I più, richiusi al sicuro nei loro appartamenti, scrutavano in strada dalle finestre, velati da una tenda appena discosta, appannando il vetro con il fiato ansante. Lungo i viali e le strade vi erano autobus in fiamme, auto capovolte o con i vetri infranti; e i cassonetti dell’immondizia – scombussolati e ribaltati sull’asfalto – avevano riversato a terra il loro mefitico contenuto. Un po’ dappertutto vi erano schegge di vetro, carcasse di piccioni, e bandiere strappate e bruciacchiato. Otto persone – scampate alle misteriose orde di guerrieri che, da giorni, avevano invaso la città – avevano trovato riparo all’interno di una vecchia autorimessa. Questi pochi superstiti avevano tutta l’aria di essere persone comuni e – chi con ancora le cuffie nelle orecchie (un ragazzetto), chi con ancora la busta della spesa (una massaia), o la ventiquattrore (un uomo d’affari, o un professore) – avevano tutti l’aspetto di chi è stato colto alla sprovvista da un evento del quale ignora la causa, la natura, e l’entità. Unicamente quando si fu richiuso, alle loro spalle, il pesante portellone metallico – simile in tutto e per tutto ad una palpebra cigolante e rugginosa – gli otto uomini poterono considerarsi al sicuro. Solo a quel punto un uomo di mezza età, col viso segnato e gli occhi languidi – fece per parlare e, dal modo in cui lo fece, sembrò che volesse fare il punto della situazione, o che semplicemente bramasse di cercare consolazione nell’unico © Federico Di Leva – all rights reserved – [email protected] http://federicodileva.altervista.org strumento che – in una simile situazione – potesse ispirare la sicurezza della condivisione, ed il piacere della condivisione: il linguaggio. Non appena l’uomo aprì la bocca per parlare, tuttavia, si scoperse muto. E così pure gli altri… Gli otto rifugiati, divenuti muti per il terrore suscitato in loro dal feroce disordine che pareva aver sottratto il senno alle persone, si fissarono negli occhi a lungo, tutti con la medesima espressione interrogativa negli occhi. Pareva volessero chiedersi, reciprocamente, una spiegazione plausibile per quell’inferno che aveva invaso la città, come riemerso dal sottosuolo attraverso i tombini ed i pozzetti di scolo, alla ricerca di quella luce che, prima di allora, gli era sempre stata negata. D’improvviso, l’uomo dal volto segnato – forse il più intraprendente del gruppo, forse semplicemente quello che, più degli altri, riusciva ancora a mantenere i nervi saldi – dopo aver frugato nell’immondizia che era ammonticchiata un po’ ovunque, in quel luogo, trasse fuori da un vecchio portadocumenti un libretto. E, per la precisione, il libretto di istruzioni di un’automobile. Il manuale, roso dall’umido e bruciato in più punti, conservava intatta una minima parte del suo contenuto. Dopo che l’uomo intraprendente l’ebbe sfogliato a lungo, alla ricerca di ciò che potesse fare al caso suo, ecco che lo rivolse verso gli altri membri del gruppo, indicando tre simboli. Essi altro non erano i disegni adoperati per indicare, sul cruscotto delle auto, il funzionamento dei segnalatori di direzione, del triangolo, delle luci abbaglianti… © Federico Di Leva – all rights reserved – [email protected] http://federicodileva.altervista.org Quei segni erano tra i pochi che erano sopravvissuti alla grande estinzione tipografica che aveva portato alla scomparsa delle frasi troppo lunghe ed arzigogolate, all’estinzione delle parole difficili e desuete, e all’oblio delle lettere troppo complesse e di dubbio utilizzo, come la q, la y, e l’h. Ormai – rese analfabete dall’assunzione in dosi massicce di reality show, fiction televisive, e chi più ne ha più ne metta – le persone non sapevano più leggere… Le icone del cruscotto dell’auto erano tra i pochi, pochissimi glifi che ancora potevano suscitare delle emozioni nella gente… per quanto le sensazioni da esse indotte fossero alquanto semplici e primitive. Al simbolo era infatti attribuito il senso di “io girare”. Alle terne semaforiche, di qualunque colore fosse la luce accesa in quel momento, era attribuito il generico senso di “alt”. Senso che, per reazione, suscitava nei più l’interpretazione opposta: “io andare… e sperare che nessun altro andare, oppure grande botto”. All’icona... ... era attribuito il concetto di “home page”, poi traslato e declinato in vari ambiti con il significato di “casa”, “inizio”, “principio ontologico del reale” e – perché no – “scaturigine cosmica di ogni evento”… Per farla breve, insomma, a sempre meno segni veniva richiesto di dire sempre di più. Tuttavia, o per l’incapacità che avevano quagli emblemi di sobbarcarsi troppi significati, o © Federico Di Leva – all rights reserved – [email protected] http://federicodileva.altervista.org forse per la pigrizia della gente, che non aveva più voglia di perdersi in sfumature di senso, bensì abbisognava soltanto di certezze, ecco che quei pochi segni finirono con l’esprimere ancor meno di quanto potessero dire in origine. E l’eredità delle parole scomparse fu dimenticata… Eppure, quello che l’uomo volle far dire ai simboli fu altro da ciò che essi già dicevano. Egli – mosso forse dalla paura, forse dalla stupidità dei suoi simili – avvertì fortissima, in sé, l’esigenza di produrre un racconto… L’uomo mostrò dunque l’emblema che solitamente era adoperato per indicare il funzionamento delle quattro frecce. Trascorsi alcuni istanti nella più totale immobilità – come a voler sottolineare un momento di stacco, una sottolineatura nel senso di quella sua pantomima, o semplicemente una subordinata – pose il suo dito su un altro simbolo: Questa volta, però, le frecce sembravano voler dire davvero qualcosa di più del solito “io girare”. Subito dopo, il dito di questo insolito narratore zitto andò a posarsi sul logo: Il narratore, tuttavia, tenne particolarmente a sottolineare che quel disegnetto andava interpretato solo a seguito di una rotazione di novanta gradi... come a volergli attribuire, non il senso di una luce emanata da un fanale, bensì quella di un grosso oggetto che cade dal cielo... Infine fu la volta del simbolo: . © Federico Di Leva – all rights reserved – [email protected] http://federicodileva.altervista.org Gli occhi attoniti degli osservatori di quella storia muta impiegarono pochissimi istanti a decifrare la serie dei simboli e, dunque, a scoprire il mistero che stava dietro alla guerra civile che, da giorni, straziava la città, deturpava le vie, e divorava con gli incendi le case di persone innocenti: Dio – raffigurato dal simbolo della trinità – al fine di porci dinanzi ad una scelta fondamentale (quella che avrebbe potuto fare di noi degli esseri umani o delle bestie) aveva deciso di aprirci gli occhi. E per far sì che le nostre coscienze si destassero dall’ipnosi che le attanagliava da tempo, il signore aveva bombardato gli stadi, ponendo fine al Campionato di Calcio. © Federico Di Leva – all rights reserved – [email protected]