LE ISOLE
DEL
MARTIRIO
DA MONASTERO
A PRIMO
LAGER SOVIETICO
Jurij Brodskij
E ISOLE SOLOVKI, che Isole Solovki
sorgono nel Mar Bianco a
circa 160 km dal Circolo
p o l a r e a r t i c o , pe r le l o r o
caratteristiche geografiche e
climatiche rientrano nelle «regioni
dell’Estremo Nord», dove le
condizioni di vita sono
particolarmente dure.
Eppure questi scogli che
affiorarono dalle acque al termine
dell'era glaciale attirarono gli
abitanti della terraferma fin da tempi immemorabili. Basti pensare che gli antichi
santuari dell’arcipelago, i «labirinti» fatti di massi di pietra, sono notevolmente
anteriori all'Acropoli ateniese: risalgono infatti a quattro millenni fa. Secondo gli
studiosi, per molto tempo alle Solovki non esistettero insediamenti stabili: nella
coscienza degli antichi le isole, sorte dal Caos all'atto della creazione, erano il confine
tra il mondo terreno e l'aldilà e vi si poteva mettere piede solo per compiervi riti sacri,
o per seppellirvi sovrani ed eroi.
Un'isola di santità
All’inizio del XV secolo sull'arcipelago sorse un monastero ortodosso; secondo la
tradizione il primo monaco, Savvatij, giunse sulle isole verso il 1435; a lui si unì lo
starec German, e insieme crearono la prima fondazione sul lago, ai piedi del monte
Sekira (nella località che oggi prende il nome di Savvatievo, dove sorge una chiesa
dedicata alla Vergine Odigitria del 1856-60). Dopo la morte di Savvatij la vita
monastica riprese con un altro eremita, Zosima, intorno a cui si formò la prima
comunità. A lui si deve la prima fondazione della cattedrale della Trasfigurazione,
sul luogo in cui ebbe la visione di una grande chiesa sospesa nei cieli.
Oltre ai fondatori, il monastero delle Solovki annovera anche un altro santo, Filipp
Kolycev (1507-1569), che ne fu l'igumeno fino all'elezione al soglio metropolitano di
Mosca, nel
1566; in seguito, avendo condannato i crimini di Ivan il Terribile,
ricevette il martirio per mano di Maljuta Skuratov, boia e favorito dello zar. Nel
monastero san Filipp sviluppò una notevole attività edilizia, a partire dal 1552,
costruendo in particolare il complesso architettonico centrale: la chiesa in pietra
della dormizione, l'immenso refettorio sormontato dal campanile e l'economato. Nel
1558 cominciò la riedificazione della cattedrale della Trasfigurazione, che a
quell’epoca era la più alta della Russia.
La roccaforte del Nord
n breve le Solovki divennero il baluardo della vita spirituale della Russia
settentrionale, un centro di progresso tecnologico e una meta di pellegrinaggi
per tutto il paese. Grazie all'operato di san Filipp, attraverso le paludi vennero
tracciate strade, i laghi vennero uniti da canali e le isole da dighe con funzione di
ponti. La fortezza delle Solovki, contemporanea dell'amletico maniero di Elsinore, è
un miracolo della tecnica fortificatoria. Nel XVI secolo i monaci costruirono il primo
porto in pietra del paese.
Per difendere i propri possedimenti il monastero in espansione si trovò nella
necessità di mantenere un esercito, organizzare svariate attività e mestieri sia sulle
isole che sulla terraferma, creare leggi e stabilire un proprio tribunale, che si sostituì
all'autorità statale. Venne inoltre creato un carcere, attivo per quasi cinque secoli, in
cui vennero rinchiusi prigionieri laici ed ecclesiastici.
In particolare, lo spirito fiero e guerresco del monastero si dimostrò nell'assedio
sostenuto per otto anni, dal 1668 al 1676, contro le truppe moscovite inviate per far
valere il potere dello zar e le riforme del patriarca Nikon contro lo scisma dei vecchi
credenti, di cui il monastero si era eretto a difensore. Dei 700 difensori solo 14
rimasero in vita quando il monastero, che avrebbe potuto resistere ancora a lungo
per le scorte di viveri e di acqua, capitolò per il tradimento di un monaco. Questa
pagina sanguinosa di storia circondò il monastero delle Solovki di un'aura di
eroismo, per aver difeso la «fede antica», e consolidò i focolai di resistenza dei
vecchi credenti sparsi nei territori della Russia settentrionale.
I mali del XX secolo
l monastero delle Solovki entrò nel XX secolo con il passo baldanzoso di una
fiorente economia: possedeva una propria flotta e il primo bacino a secco della
Russia settentrionale per la riparazione delle imbarcazioni, una delle prime
centrali idroelettriche, un'ampia rete di imprese industriali e agricole, una stazione
radio. L'economia monastica si avvaleva di molte conquiste del progresso
tecnologico.
Migliaia di pellegrini visitavano ogni anno le isole. Il monastero
manteneva a proprie spese un ospizio nella capitale, prestava denaro al governo,
aveva in progetto l'acquisto di un aeroplano. Ma all'interno del suo organismo si
evidenziava il bacillo di una pericolosa malattia...
Le Solovki, in quanto parte della Russia, vivevano la storia e i problemi del paese,
anticipando addirittura alcuni fenomeni che si sarebbero verificati solo in un
secondo tempo sulla terraferma. La battuta che circolava nel lager, «oggi capita alle
Solovki, domani in Russia», vale sia per l'epoca di Ivan il Terribile che per i Torbidi e
lo scisma dei vecchi credenti... E lo stesso avvenne nel XX secolo.
All'inizio del secolo alla fraternità monastica si unì un gruppo di soldati, reduci dalla
sconfitta di Port Arthur nel 1904, durante la guerra russo-giapponese. Questi
marinai, che avevano fatto la professione monastica in massa per assolvere un voto,
e subito dopo per disposizione speciale del Sinodo avevano ricevuto gli ordini sacri,
in breve, con il pretesto di battersi contro i privilegi, tentarono di conquistare il
potere nel fiorente monastero. Con azioni illegali riuscirono a deporre il superiore
del monastero, Ioannikij, riproducendo così in miniatura alle Solovki la rivoluzione
di Febbraio. Tuttavia neppure il nuovo superiore Veniamin, benché «eletto dal
collettivo», fu di loro gradimento, così l'ex drappello militare continuò la battaglia.
Nella venuta dei bolscevichi questi monaci videro la «Provvidenza divina» e si
appellarono, come apprendiamo dai documenti conservatisi, all'«aiuto del potere
sovietico» per organizzare «equamente» la vita monastica sulla scorta degli
insegnamenti di san Filipp, da essi definito un «combattente in favore degli
oppressi».
Il monastero diventa un lager
n realtà la presa di potere dei bolscevichi in Russia significò per le Solovki la fine
delle consuete forme di vita. Il monastero venne ribattezzato Cremlino, il lago
Bianco diventò Rosso. «La rigida condizione climatica, il regime di lavoro e la
lotta contro gli elementi naturali saranno un'ottima scuola per ogni tipo di elementi
viziosi!», decretarono i comunisti, e nel 1920, sul territorio del monastero, crearono
un campo di concentramento per prigionieri della guerra civile. Nel 1923 questo
lager avrebbe dato
vita al complesso
dello SLON, i «Lager
a Destinazione
speciale delle
Solovki».
Nel grande Nord,
lontano da occhi
indiscreti, si
e l a b o r a v a
l'organizzazione
della sorveglianza e
la pratica sistematica
delle fucilazioni, si
definivano le norme
di alimentazione e la
t e c n i c a d i
seppellimento dei cadaveri, si studiavano le possibilità di impiego massiccio del
lavoro coatto. Le guardie delle Solovki, dopo l'esperienza fattasi sulle isole,
divennero i dirigenti del GULag, il complesso di lager che si diffuse in tutta l'URSS.
Alle Solovki prese piede l’industria volta a forgiare cittadini con una coscienza
radicalmente nuova, sovietica. I capi del sistema erano convinti di aver creato una
«Fabbrica di uomini», e il detenuto Nikonov battezzò l'impresa «cantiere infernale».
Il primo nucleo del GULag
ull'arcipelago nacque così uno Stato diviso in classi sociali, che aveva una
propria capitale, il Cremlino, un proprio esercito, una flotta, un tribunale e
un carcere interno. Batteva una propria moneta, pubblicava giornali e
riviste suoi propri. Una sessantina di monaci delle Solovki, che avevano accettato il
potere sovietico, lavoravano nel lager in qualità di istruttori salariati. Tutto come
nella vita reale! C'erano addirittura alcuni teatri e una società scientifica che
studiava la natura e i monumenti storici sul territorio del lager.
La «Destinazione speciale» dei lager delle Solovki consisteva nel fatto che
inizialmente vi furono concentrati uomini che rappresentavano una minaccia per
l'idea sovietica. I bolscevichi eliminarono subito gli avversari attivi del potere, che
avevano avuto l'ardire di imbracciare il fucile o diffondere volantini. Alle Solovki
vennero spediti coloro che avevano una formazione estranea alla prassi comunista, e
che grazie alla propria autorevolezza fra il popolo avrebbero potuto coagulare
intorno a se un'opposizione o contribuire al suo sorgere. Questi uomini costituirono
la maggioranza della prima generazione di detenuti.
Il lavoro inizialmente aveva solo una funzione «educativa». Sotto la sorveglianza
dell' «autoscorta», cioè di ex cekisti o ex ufficiali dell'esercito che per qualche motivo
avevano subito una condanna, detenuti che costituivano spesso il fiore della nazione
trasportavano l'acqua da un pozzo all’altro o rotolavano i tronchi da una catasta
all’altra, gridavano esclamazioni di saluto alle autorità fino a perdere i sensi.
Naturalmente, i migliori erano i primi a soccombere... Questo periodo di arbitrio si
concluse con la strage prodotta fra i detenuti dall'epidemia di tifo nel 1929, e con
l'eliminazione degli uomini della sorveglianza che avevano eseguito zelantemente
l'ordine di reprimere.
L'arcipelago si ramifica
l passo successivo nell'evoluzione del sistema concentrazionario alle Solovki è
legato al tentativo di ottenere il massimo profitto dal lavoro coatto dei detenuti e
alla creazione di sempre nuovi lager sulla terraferma, dalla provincia di
Leningrado fino a Murmansk e agli Urali; lager che, sorti fuori del territorio
dell'arcipelago delle Solovki, per qualche tempo continuarono ad essere chiamati
«delle Solovki». Il contingente dei detenuti aumentò notevolmente, al suo interno si
formò un certo numero di specialisti, tecnici e operai qualificati. La nuova legge del
lager suonava così: «Pane quanto ve ne guadagnate!». I malati, i debilitati, gli
anziani adesso erano condannati a morte fin dal primo momento, mentre quelli che
adempivano le norme di lavoro ricevevano la razione intera di cibo, si
guadagnavano diplomi e supplementi di viveri, e i loro ritratti venivano esposti
all'«Albo d'onore». Stalin propose addirittura di insignire i detenuti di onorificenze,
senza però rilasciarli dal lager, «perché in libertà non si guastassero nuovamente»...
A questo punto le Solovki, dopo aver risospinto la maggioranza dei propri detenuti
sulla terraferma alla costruzione del canale mar Bianco-mar Baltico, si
trasformarono dalla «Parigi dei lager settentrionali» (come le aveva argutamente
definite un detenuto, il professor Ozerov), in uno dei tanti luoghi di detenzione
dell'URSS. Questa fase è segnata dalla distruzione delle risorse naturali
dell'arcipelago, i boschi, protetti e curati dai monaci fin dal XVI secolo. Il regime
diventava sempre più duro, trasformandosi in regime carcerario. Nell'autunno del
1937 circa 2000 prigionieri vennero fucilati. Ma i carnefici che eseguirono la
sentenza e i carnefici moscoviti che avevano dato l'ordine delle repressioni di massa
non vissero molto più a lungo delle loro vittime, la maggior parte di essi sarebbe stata
fucilata di lì a poco.
Una guerra senza vincitori
ntrambe le fasi del lager delle Solovki, prima e dopo il '29, si conclusero con
l'eccidio di massa dei detenuti e repressioni nei confronti
dell'amministrazione dei campi. La maggioranza dei funzionari che
avevano messo mano all'edificazione dei lager sulle isole venne annientata. Zorin, il
cekista che aveva innalzato la bandiera rossa sul monastero delle Solovki, in capo a
tre anni vi fece ritorno in qualità di detenuto. Bogovoj, il funzionario di Archangel'sk
che per primo aveva proposto di trasformare le Solovki in un grande lager, venne
fucilato. Unslicht, il vicepresidente della Ceka che aveva elaborato il progetto dei
lager a Destinazione speciale, venne anch'egli fucilato. Rykov e Gorbunov, i
dirigenti governativi che firmarono il decreto di costituzione dei Lager a
Destinazione speciale delle Solovki, vennero anch'essi fucilati. Molte vite di capi del
lager delle Solovki si conclusero tragicamente. Insomma, fu una sconfitta senza
vincitori. Il sistema era contro l'uomo.
Il carcere di Solovki
opo le fucilazioni di massa del 1937 l'arcipelago delle Solovki passò da
lager a gigantesca prigione, dotata di 5 distaccamenti sulle varie isole.
Solo il personale addetto al complesso carcerario superava le mille unità.
Il carcere delle Solovki era famoso per il regime durissimo, era il culmine del sistema
repressivo, ma finì anche per essere il suo vicolo cieco. Nel 1939 terminò la
costruzione del Padiglione carcerario principale. Coloro che lo inaugurarono
sarebbero stati compagni di sventura del Commissario del Popolo Ezov, fucilato a
Mosca.
Ma d'un tratto la prigione venne evacuata in fretta e furia per ordine del nuovo
Commissario del Popolo Berija. Cominciava la seconda guerra mondiale e il
territorio dell'arcipelago delle Solovki serviva per organizzare una base della
marina militare. I detenuti furono trasferiti in altre prigioni e lager del GULag, dove
furono a lungo riconoscibili per la particolare uniforme carceraria che avevano
ricevuto alle Solovki.
Un simbolo di purificazione
ltre un milione di detenuti lasciò la vita o parte della vita alle Solovki o sul
canale del mar Bianco-mar Baltico. Non è la cifra più grossa nel computo
delle vittime del regime comunista. Ciò che colpisce è che un monastero,
che aveva creato a suo tempo capolavori architettonici oggi inseriti nell’elenco delle
opere protette dall'UNESCO, e che vantava cinque secoli di esistenza, in soli
vent'anni di attività come lager sovietico sia diventato per intere generazioni di russi
un simbolo di repressione. Non a caso come monumento a tutte le vittime del GULag,
a Mosca sulla piazza della Lubjanka, davanti al quartier generale del KGB, è stata
posta la «Pietra delle Solovki», un masso di granito portato appunto dall'ex capitale
del sistema concentrazionario.
La storia del nucleo originario dell'«arcipelago GULag» era finora sconosciuta,
sebbene siano in molti a volerla conoscere: i familiari di migliaia di detenuti, gli
abitanti delle Solovki, i pellegrini che vengono a visitare il monastero recentemente
riaperto, i turisti che giungono sulle isole per ammirare i capolavori architettonici.
Sull'arcipelago per ora non esiste un memoriale che permetta di sapere dell’alma
mater dei lager sovietici, così come non sono rimasti testimoni oculari della
«barbarie» del XX secolo. Lo slogan «Spingiamo con pugno di ferro l'umanità verso
la sua felicità» in realtà ha condotto alla morte la maggioranza di coloro che
capitavano a tiro di questo «pugno di ferro». Il KGB per decenni ha bloccato ogni
tentativo di svolgere ricerche sul tema del lager, le tracce materiali del GULag sulle
isole sono state scientemente distrutte.
Eppure la parola «Solovki» non è solo e innanzitutto il simbolo del patibolo allestito
per la sesta parte del globo terrestre. La storia dei Lager a Destinazione speciale
delle Solovki, dove si è manifestato un concentrato della disumanità comunista, in
ultima analisi è un frammento del quadro eterno e universale della lotta fra bene e
male. Questa storia conosce splendidi esempi di uomini che, nonostante la bestialità
del sistema e delle sofferenze da esso inferte, hanno saputo conservare fino in fondo
la propria dignità di esseri umani. Grazie al sacrificio di questi uomini le Solovki,
proprio come la croce di Cristo, da simbolo di repressione e di morte sono diventate
nella nostra coscienza un simbolo di purificazione.
Testo ed immagini tratti da:
“Le isole del Martirio. Da Monastero a primo lager sovietico” ,
mostra realizzata, in occasione del “Meeting per l’Amicizia fra i popoli”
Rimini, 20-26 Agosto 2000, a cura della Fondazione Russia Cristiana.
La mostra è stata esposta a Melzo, Palazzo Trivulzio dal 29 Marzo al 9
Aprile 2001 a cura del Centro Culturale Marcello Candia, in collaborazione
con Asssesorato alla Cultura-Comune di Melzo e Provincia di Milano.
Il libro di Jurij Brodskij
“Solovki. Le isole del Martirio. Da Monastero a primo lager sovietico”
è edito da La CASA DI MATRIONA
ttualmente la popolazione dell'arcipelago (circa 1500 persone) è
concentrata nel villaggio sotto le mura della fortezza del Cremlino,
nell'isola Grande. Sulle altre isole non esistono insediamenti stabili, ma
solo temporanei, legati al lavoro o ad escursioni turistiche. Dal 1992 è rinata la
comunità monastica, che oggi conta 15 membri, e anche gli edifici storici del
monastero, che appartengono formalmente al Museo statale, rientrano gradualmente
in possesso della Chiesa ortodossa. Gli abitanti dell'isola si occupano di attività
legate al mare (pesca, navigazione, raccolta e lavorazione di alghe), ma ormai solo
per il consumo interno. Parallelamente si sviluppano anche l'attività turistica e il
lavoro di restauro dei monumenti storici. Nel periodo invernale i contatti con il
continente sono assicurati solo per via aerea con Archangel'sk (300 km), mentre con
l'inizio della navigazione imbarcazioni private fanno la spola tra l'arcipelago e il
golfo di Kem' (60 km).
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Le Isole del Martirio - Centro Culturale Marcello Candia