Idee e società 59 Domenica 23 gennaio 2011 I testi accompagnano la nostra esistenza e ce la spiegano Riflessioni sul senso di una forma espressiva La letteratura fa bene L’anno passato è stato caratterizzato dal grido d’allarme per la sua agonia di LUIGI TASSONI NELL'ANNO che ci siamo lasciati alle spalle ha serpeggiato lungamente quello che è sembrato un grido d'allarme per la letteratura, per la sua situazione confusa, agonizzante, equivoca. Confusa certamente da altre proposte di comunicazione creativa, che provengono dal mondo mediatico, dal circuito virtuale, e persino dalla scuola e dall'università; agonizzante a causa delle cattivissime prove che dà di sé attraverso una rete di istituzioni e organizzazioni: spesso premiano e reclamizzano libri di scarsa qualità; equivoca per la fragilità di “falsi” autori (romanzieri, poeti, giornalisti, cuochi, sportivi, veline) di libri prepotentemente in vetrina. Che fare nell'anno appena inaugurato? Purtroppo gli italiani non sono fra quelli che, in Europa, frequentano con curiosità le librerie, che seguono un proprio filo di lettura, che invogliano alla lettura i propri figli, o che si dispongono almeno per un'ora al giorno ad un “ascolto” della pagina. Altrimenti avrebbero saputo opporre ai gridi d'allarme e al pessimismo degli esperti un argomento semplicissimo: la letteratura è un pozzo senza fondo, un universo in continuo fermento, un incontro-confronto fra classici e contemporanei che, con la loro parola, accompagnano la nostra esistenza, e singolarmente ce la spiegano. Proprio così: ce la spiegano. E, invece di disperarsi nel dolorante grido di allarme, i lettori esperti, che godono del privilegio della lettura consapevole, avrebbero dovuto con più efficacia impegnarsi in proposte, in riferimenti “positivi”, persino in consigli. Perché la letteratura non muore, semmai provoca livelli di ricezione differenti e si produce in piani qualitativi diversificati: sono proprio questi sommovimenti che ne fanno un territorio ampio, vasto quanto la storia dell'uomo, naturalmente fra alti e bassi, spazzatura e cristalli luminosissimi. E perché confondere la spazzatura con i cristalli luminosissimi? Due anni fa Tzvetan Todorov da quel grande critico e storico che è, in un libretto molto semplice, anche se in parte deludente per chi si aspettava un testo a livello della consueta sua articolata riflessione, con tanta pazienza ci spiegava: «Come la filosofia e le scienze umane, la letteratura è pensiero e conoscenza del mondo psichico e sociale in cui viviamo. (…) Per questo motivo si può affermare che Dante o Cervantes ci insegnano sulla condizione umana quanto i più grandi sociologi e psicologi e che non esiste alcuna incompatibilità tra la prima e la seconda forma di sapere» (“La letteratura in pericolo”, Garzanti, p.66). La condizione umana: ecco cosa perdiamo di vista, allignati nella minuzia del quotidiano che noi interpretiamo sovente in modo depressivo e depresso, automatico e impossibilista. Ed ecco allora che ci servirebbe il sapere del confronto, per un semplice esercizio di consapevolezza: la storia e la realtà ci insegnano che la sopravvivenza di questa “condizione umana”è stata possibile grazie alla letteratura. Per fare qualche esempio diretto: pensate alla letteratura entrata nella giornata dei prigionieri in mezzo ai carnefici di Auschwitz, come ricorda lo stesso Todorov, e come racconta il Nobel ungherese Imre Kertész, prima che quella “vita bella” diventasse romanzo o film; o pensate alle illimitate difficili prove della vita africana della giovane Aminata Fofana (“La luna che mi seguiva”, Feltrinelli); o alle nostre radici nel mondo essenziale e mitico dell'indimenticabile “Tibi e Tascia”di un maestro come Saverio Strati, che gli editori farebbero bene a restituirci. Sono sicuro che voi, lettori, avete in tasca una miriade di proposte su questo aspetto illuminanti. Come non mantenere oggi come punto di riferimento certe riproposte o scoperte dei libri, ad esempio, di Nabokov, di Calvino, di Meneghello, di Saramago, di Grass? Insomma: come non confrontare con i classici contemporanei le novità, anche eccellenti, della narrativa e della poesia italiana del XXI secolo? E a che pro impegnarsi in un esterno e nevrotico grido di allarme sulle sorti “non progressive” della letteratura? Un grido che peraltro parte da quanti potrebbero e saprebbero adoperare meglio gli strumenti della comunicazione e del sapere. E faccio alcuni esempi illuminanti. Il poeta Davide Rondoni che scrive “Contro la letteratura. Una strage quotidiana a scuola (Il saggiatore); e il critico Andrea Cortellessa che firma con Luca Archibugi il documentario “L'Italia 'senza scrittori'”. O ancora un autore e un'intelligenza di tutto rispetto, qual è Giulio Ferroni, che il suo specialissimo disappunto, motivato senza dubbio dall'orrore per tanti brutti romanzi circolanti in Italia, venduti e premiati, lo concentra in un dossier giustamente pungente, ovvero nel volumetto “Scritture a perdere. La letteratura degli anni zero” (Laterza, pp.110, Euro 9). Perché questo titolo mortificante? Ecco Ferroni: «Oggi assistiamo al paradosso di una letteratura che si moltiplica e contemporaneamente arretra, assediata dall'impero dei media, dalla vacuità della comunicazione, dalla degradazione del linguaggio e della vita civile: come schiacciata da tutto ciò che ha alle spalle e dall'eccesso in cui continua ad espandersi, confinata in una condizione che da tempo è definibile come “postuma”» (p.101). Il punto è proprio questo: le formule, gli slogans, le ricette svuotano la possibilità di dire, di comunicare e di consigliare. Spesso si premiano e si reclamizzano libri di scarsa qualità Le copertine di alcuni saggi che si occupano della letteratura in pericolo; a destra: Dante ritratto da Andrea del Castagno; in alto: Miguel de Cervantes ritratto da Frederick Mackenzie E' vero che, e non solo in Italia, l'incoscienza, l'eccesso, la superbia mediatici demotivano il riflesso della condizione umana, e allontanano un lettore già frastornato, lo deviano dalla consapevolezza delle sue scelte, come dalla consapevolezza dell'uso della propria parola. Ma proprio per questo mi piacerebbe che ci si affidasse in maniera meno mistificata alla fiducia in critici attenti che, nel loro approccio alla letteratura, sanno che è ipocrita supporre grandi masse di “ascolto”, e che non si deve pensare con i numeri di un concerto rock o d'uno stadio di calcio (farebbero la felicità degli editori, non dei lettori). Il lettore di oggi ha bisogno anche di un po' di silenzio, di tanta attenzione e di rispetto da parte di chi è nel/del mestiere. Un mestiere, quello del critico o dell'esperto, sempre meno antipatico, e sempre meno servile (ricordo un titolo autoironico e un li- bro esemplare di Cesare Garboli, che era il bellissimo “Scritti servili”). A questo punto, poco importa se un “passaggio” televisivo vale per un libro enormemente di più del motivato “consiglio” dalle pagine di un quotidiano, o del tam tam di un “compagno di banco” che ha letto prima di noi. La nostra curiosità di lettori, il nostro entusiasmo per la letteratura, la nostra fiducia nella possibilità di mondi che possono aprirsi dentro di noi consapevolmente, il nostro piacere di sfogliare le prime pagine di un romanzo, di un libro di poesie, di un saggio sul bancone di una affollata libreria, valgono molto di più. Riprendiamoci questo valore. Ferroni conclude il suo libretto con un richiamo perplesso ai doveri dello scrittore: «Ricerca essenziale, impegno nell'ascolto del mondo, cura per il suo destino, disposizione a dislocare l'invenzione e a toccare il cuore del linguaggio. Ci saranno nel paese scrittori all'altezza di questa necessità?» (p.110). Ebbene sì, ci sono, ci sono, e c'erano fino a qualche anno fa prima che gli editori se li dimenticassero, e ci saranno, dato l'ottimo livello di tanti autori giovani non pubblicizzati. Farli conoscere è un impegno etico, altro che classifiche dei più venduti! Sì, perché la letteratura non può essere relegata in una condizione “postuma”, e neanche da hit parade. La sua naturale, storica, civile e umana funzione la pone sempre nella più entusiasmante contemporaneità rispetto al lettore, al suo quotidiano, al suo pensiero, alla sua consapevolezza non ingenua. Come scrive Todorov ricordando Kant, occorre imparare a «pensare mettendosi al posto d'ogni altro», ovvero imparando a pensare diversamente a noi stessi. Coraggio, lettori, fatevi avanti, cosa aspettate?