alex triglias
ARCHETIPO
romanzo di folli passioni di vita e di morte
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ARCHETIPO
romanzo di folli passioni di vita e di morte
alex triglias ‐ acrilico su tela 70x90 Alzare lo sguardo e allungarlo nel vuoto, lontano
Diritto infinito che buca la linea, orizzonte di luce
Pezzetti di luce scomposta che deviano il raggio
Se l’anima umana potesse carpirne i segreti
Chi ha l’idea che un tramonto si possa affittare
Non ha che pulsioni legate ad un nulla totale
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contenuto INTRO................................................................................9
DUE Æ.............................................................................11
Å TRE .............................................................................21
QUATTRO Æ...................................................................26
Å CINQUE ......................................................................33
SEI Æ...............................................................................39
Å SETTE.........................................................................45
OTTO Æ ..........................................................................54
Å NOVE ..........................................................................63
DIECI Æ...........................................................................66
Å UNDICI ........................................................................74
DODICI Æ........................................................................81
Å TREDICI ......................................................................90
QUATTORDICI Æ............................................................99
Å QUINDICI ..................................................................106
SEDICI Æ ......................................................................117
Å DICIASSETTE...........................................................126
DICIOTTO Æ .................................................................131
Å DICIANNOVE ............................................................140
VENTI Æ........................................................................146
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note dell’autore Le due fasi di vita di Marco Rambaldi, temporalmente
divise, un prima ed un dopo, una vita passata e finita, e
una nuova che arriva, inizia con delle aspettative chiare,
ma si sviluppa con scenari inattesi e sconvolgenti, che
trascinano l’uomo in un baratro apparentemente senza
ritorno, ancora più fondo di quello dal quale si era
risollevato a fatica.
Questo romanzo sgorga dalla mente di un autore che
conosce di luoghi e di vite vissute.
alex triglias – acrilico su tela 80x120 La femmina nella radura sprigiona odori d’amore
Il maschio la scruta e l’annusa dall’alto roccioso
Presto la danza rituale avrà luogo
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I personaggi di questo libro sono immaginari. Ogni riferimento a persone, cose, luoghi è puramente casuale. 8
INTRO
Gli sembrava proprio un momento magico, la vita scorreva
veloce e quell’istinto primordiale di animale ferito sembrava
essere svanito.
Almeno apparentemente.
Poi, di fatto, nella mente frullavano parole e frammenti di
ricordi che si ripresentavano ogni volta che si trovava da
solo a riflettere, anche se la novità era che riusciva ad
affrontarli in modo sereno e riflessivo, senza dover
combattere ipertensioni e malumori che fino a qualche
tempo fa lo rendevano indomabile.
Cambiare lavoro era stata una svolta, lasciare la vecchia
Italia e lanciarsi in questo mondo lontano gli avevano
ridato speranza e fiducia in se stesso.
Franca oramai era un ricordo del passato.
Se la ricordava bene quella giovane amazzone, quando la
vide per la prima volta dietro il bancone della reception
dell’hotel Manhattan nel cuore di Roma.
Che donna – aveva pensato un istante - metterebbe
soggezione ad un giovane fante che avesse l’ardire di
tenere il suo sguardo…
Era nata cosi quella passione travolgente, cosi come si
possa sognare che le storie d’amore nascano ma non è
possibile che accadano nella realtà, ed invece… ti ci ritrovi
dentro senza capire come mai sia successo… ma poi
perché mai sprecare il tuo tempo a capire, ti va bene cosi e
l’adrenalina riesce a coprire ogni cosa… non esiste un
contorno, solo il caldo profumo di una travolgente
passione.
Quando un amore è eterno non può morire, ti resta nel
cuore fino all’ultimo battito di vita.
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DUE Æ
-
Morning Sir, nice to see you, how are you today, have a
nice day, thank you…
Era sempre la stessa canzone, piacevole in fondo, uscire
di casa e sentire il portiere, il giardiniere del compound, il
barista di Starbucks, il security guard all’ingresso del
building uffici, la receptionist al piano, la segretaria
executive,,,
-
Good morning everybody! Wonderful life, isn’t it?
La riunione mattutina con il suo team era il momento
topico, un’iniezione di fiducia che dava la giusta spinta per
una giornata di creazione e risultati.
-
Abbiamo fatto un buon lavoro ma dobbiamo fare
meglio, questo cliente non si può proprio perdere, mi
auguro che abbiate delle idee. La gara sta scadendo,
fra due giorni al massimo vorrei vedere una
presentazione snella ma chiara con pochi punti
essenziali che vadano al sodo. Buon lavoro.
L’assenza di incertezza e paura del suo staff lo faceva star
bene. Quelle poche settimane erano bastate per
trasmettere loro il giusto messaggio di una conduzione
forte ma serena nel rispetto totale del ruolo di ognuno.
Sembra facile ma non lo è affatto.
Marika era sempre discreta, entrava in silenzio portando
con se il suo dolce profumo e quelli occhi da maga, il suo
corpo infilato nel tailleur Valentino, porgeva con garbo il
caffè, le news di agenzia e restava in ascolto.
-
Può fermarsi per pranzo? Abbiamo dei commenti
arretrati da fare al progetto, qualche decina di emails
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-
alle quali rispondere ed un paio di lettere importanti…
Lo so che sono invadente e non vorrei esagerare ma
sono sicuro che lei capisca la situazione (bella frase
fatta).
Non si preoccupi Mr. Rambaldi, non avevo di meglio da
fare che rendermi utile.
La ringrazio… per favore mi chiami Paul, ho bisogno di
vederlo urgentemente per una mezz’ora, magari poi
resti anche lei cosi prende appunti.
Quante di lettere da firmare… delle volte sembriamo una
fabbrica di scrittori.
-
-
-
Marco, mi hai fatto chiamare?
Si vieni Paul, per favore accomodati al tavolo tondo che
rivediamo un paio di cosette. Ecco, per esempio quei
corridoi a ponte fra i tre edifici, mi sembrano
eccessivamente pesanti, voglio dire nelle linee. Non c’è
armonia con il resto dei volumi, queste linee delle travi
portanti le vorrei più marcate, ed invece i tunnel
assolutamente più leggeri, come fossero eterei… mi
rendo conto di essere un visionario, ma sono sicuro
che tu abbia capito il messaggio.
Marco non ti preoccupare, ho capito. Cercherò di dare
corpo alla tua idea di etereo, apporteremo le modifiche
e ti risottometterò la cosa nel giro di… per domani
mattina al meeting va bene?
No per favore, preferisco qui da me, poi semmai la
faremo circolare.
OK, a domani
Marika per favore prepari una piccola minuta, un’email
va benissimo, riassumendo quanto detto.
===
Il suo loft a Marina non era male, ad angolo al 34° piano di
un bel grattacielo di vetro, lo aveva scelto fra i tanti
proposti dalle agenzie di real estate, non era enorme e era
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arredato con gusto lasciando liberi gli spazi che un loft
dovrebbe “avere e ridare”. Dalle grandi vetrate la sera si
vedevano a perdita d’occhio le luci della città ed i puntini
delle navi in transito sul mare infinito. Una sensazione di
pace da vivere con se stessi nei momenti di relax, quelli
notturni.
La classica camera da letto ricavata nel mezzanino a
balconata sul living era la cosa che gli era piaciuta di più,
un enorme letto basso e lineare che comunque lasciava
spazio e faceva vivere al meglio i grandi volumi.
Marco si addormentava osservando le luci della notte e
godendo di questa sua nuova vita che tanto aveva voluto.
Il telefono suonava da un po’ mentre si stava radendo, ma
chi mi cerca alle 7 del mattino… raccolse il telefono che
aveva lasciato sul letto la sera prima e rispose.
-
-
-
-
Marco scusa l’ora, sono Paul…
Dimmi Paul, nessun problema, mi stavo radendo e non
avevo sentito gli squilli.
Mi ha appena chiamato il giapponese, dice che
vogliono accelerare l’agreement e che si aspettano una
proposta decisiva per domani mattina alle 10.
Minchia!
Già, ci restano appena 27 ore per chiudere il tutto ed
andare lì con le idee chiare e una buona presentazione
che non lasci spazio a facili critiche.
Va bene, ci vediamo in ufficio alle 8:30, cosi abbiamo
un paio d’ore per discutere i dettagli fra noi, poi voglio
tutto il team pronto alle 11 intorno al tavolo della sala
riunioni con tutta la documentazione aggiornata.
OK
Il primo espresso era sempre il migliore, certo che queste
capsule avevano dato una svolta… una macchinetta, una
capsula, qualche secondo e l’espresso è servito, annusi,
sorseggi e in meno di un istante sei in paradiso… what
else!?
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Wonderful life.
Non ci volevano più di trenta minuti da casa all’ufficio,
ultimamente il traffico era decisamente migliorato. Il
governo aveva investito miliardi nella viabilità e il risultato
era stato eccellente, niente più code chilometriche, al
massimo qualche rallentamento nelle ore di punta.
Anche la metro e i nuovi autobus avevano contribuito,
togliendo dalla strada un numero enorme di minibus di
aziende private che portavano avanti e indietro, casa
lavoro casa, migliaia di lavoratori e impiegati.
Guidare comunque la mattina sotto il sole caldo da Marina
a Business Bay piaceva molto a Marco.
La nuova azienda dove Marco era approdato, nuova per lui
naturalmente, era la Arteko, famosa nel campo della
progettualità creativa in tutti i possibili campi di
applicazione. Dopo un’accurata selezione avevano scelto
lui come Direttore Esecutivo della nuova branch di Dubai,
posizione del tutto consona alla sua esperienza.
Compenso adeguato, bonus in caso di obiettivi raggiunti,
full benefit package, e una certa libertà di azione.
Quando era arrivato qualche mese prima, l’azienda gli
aveva chiesto che macchina desiderasse. Fra quelle
disponibili, aveva scelto una Panamera bianca, pensava
fosse una macchina che lo avrebbe soddisfatto, ed infatti
cosi era stato.
Confortevole, grande personalità, finiture eccellenti,
meccanica al top, insomma una vera Porsche last
generation, nient’altro da aggiungere.
Il nuovo progetto al quale stava lavorando, di importanza
strategica per l’Arteko, era stato chiamato Archetipo, un
complesso amministrativo e commerciale commissionato
dalla JO-Pung International, una società giapponese di
investimenti nel campo dell’energia, con un nuovo e
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consistente programma di sviluppo nel campo delle nuove
energie compatibili con l’ambiente.
L’idea della JO-Pung per la nuova sede di Dubai era
alquanto semplice: un grande volume di tre piani per
accogliere tutti gli spazi comuni, lobby, commerciale,
esposizioni, eventi, etc, Tre torri da 45/50 piani l’una,
collegate con dei “corridor bridges” ad un terzo e a due
terzi dell’altezza totale. Facciate continue di vetro.
Nessun vincolo particolare, a parte il fatto che la torre
centrale avrebbe dovuto avere dei connotati di superiorità
rispetto alle altre due essendo destinata agli uffici della JOPung Dubai Branch. Le atre due torri sarebbero state
destinate una ad uffici da affittare e l’altra ad hotel 5 stelle.
-
-
-
Buongiorno Marika, come mai è già qui… mi lasci
indovinare, l’ha chiamata Paul dicendole di venire in
anticipo vero?
Esatto Mr. Rambaldi, ma ci tengo a dire che sono
venuta di corsa e con piacere, lei è il mio capo e è
quanto basta per essere pronta e reattiva.
La ringrazio Marika. Prendiamoci un bel caffè insieme
che poi si comincia… giornata lunga! Ci pensa lei?
Sorseggiando il caffè, Marika per la prima volta gli chiese
come mai avesse lasciato l’Italia e scelto proprio Dubai.
Marco la guardò per qualche istante arricciando le labbra,
non sapeva esattamente cosa rispondere… la verità?
Troppo complicata! Meglio una semplice bugia
-
Volevo delle esperienze lavorative nuove, ero
semplicemente stufo della solita vita e delle solite
facce.
Marika non si sforzò di crederci neanche un po’, ma annuì
e raccolse le tazze per sottrarsi con garbo.
Come spesso accadeva, Marco lasciò andare lo sguardo
oltre la vetrata perdendosi nei ricordi che sembravano si
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cosi lontani, ma dolorosamente ancora cosi vicini. Sapeva
bene che non se ne sarebbe mai liberato e provava
disagio per questo, ma sapeva benissimo che i ricordi
sono il bagaglio della propria vita e fanno parte di essa.
Rien à faire, malheureusement...
-
Eccomi Marco, puntuale, e tu lo sei anche più di me!
Ciao Paul, sì, ho fatto prima del previsto, niente traffico
e voglia di arrivare in fretta. Allora, mettiamoci al lavoro,
ci sono ancora un bel po’ di cose da chiarire, a parte
gli appunti di ieri credo che anche la lobby e gli ingressi
vadano leggermente rivisti per rendere il tutto più fluido
alla vista e sicuramente anche all’utilizzo.
Alle 11 in punto il team era seduto intorno al tavolo della
sala riunioni, tutti pronti con le loro cartellette e le matite
ben appuntite.
Marco e Paul entrarono dalla porta laterale che era il
collegamento diretto con l’ufficio di Marco.
-
Buongiorno a tutti, vi ringrazio di essere qui. Abbiamo
novità, sarete stati informati che l’appuntamento è stato
anticipato a domani mattina… abbiamo 24 ore per
essere pronti con la nostra presentazione al cliente.
Forza e coraggio, sono sicuro che ce la faremo e
confidente che il cliente apprezzerà. Voglio credere
che il contratto si possa chiudere senza aggiungere
tempi morti. La parte commerciale è cosa mia, adesso
concentriamoci sui dettagli tecnici, ce ne sono diversi
da rivedere e finalizzare.
Eccolo lì il suo Executive Team al lavoro, “pochi ma buoni”,
cosi come gli aveva insegnato il suo mentore storico.
Sei persone. Quattro erano già in altre sedi dell’azienda
prima del suo arrivo, e lui le aveva scelte fra le tante
candidature, e le altredue erano state prese a bordo
perché conosciute e volute da lui; in gergo si direbbe “se le
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era portate dietro”.
o
o
o
o
Marc Legrand
Victoria Guvovitch
Lester Joung
Mansour Ahwadi
Erano i quattro che aveva trovato nell’azienda.
o Paul White
o Jennifer Connelly
Erano i due che lo avevano seguito dal passato.
Tutti architetti.
E poi c’era Marika, la sua assistente esecutiva, l’aveva
assunta alla fine di una lunga selezione, era risultata la
migliore sotto ogni profilo. Parlava e scriveva
perfettamente cinque lingue, ne capiva altre due, era
veloce e fotografava immediatamente parole ed scenari,
ricordava sempre nomi, luoghi, date, facce, sfumature, era
sempre disponibile e presente ma discreta, insomma una
vera assistente esecutiva.
Oltre ogni aspettativa era anche una bella donna, capelli
biondi e caldi come il sole, occhi azzurri infiniti, lineamenti
nord-europa, alta e magra con un bel portamento da
indossatrice, sempre elegante.
La riunione si protrasse per tutta la giornata e verso le
sette di sera decisero di scendere al pub nella lobby per
un’oretta di riposo, qualcosa da mettere sotto i denti.
Sembravano tutti a proprio agio e discorrevano con
serenità.
Marco li osservava con una certa soddisfazione. Erano
passati solo pochi mesi dal suo arrivo in azienda eppure il
team sembrava affiatato come se lavorassero insieme da
anni.
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Diciamo che questa abilità nel creare un team coeso ed
affiatato era una sua prerogativa, lo era sempre stata. Non
aveva mai amato i classici giochetti manageriali e di
potere, lui amava parlava chiaro con tutti mettendo le cose
sul tavolo apertamente, si lavorava insieme, e i risultati
erano per tutti, nel bene e nel male.
Certamente nessuno era obbligato ad avere una vita con i
colleghi al di fuori dell’ambito professionale, eppure le
persone si vedevano anche al di fuori, e questo era di più
di un semplice segno di coesione.
La libertà di pensiero e di espressione era la cosa più
apprezzata, cosi come erano assolutamente bandite le
critiche sterili che non portavano a niente.
In fondo il metodo adottato da Marco era molto semplice,
essere se stessi, lavorare in complicità e sinergia, avere
degli obiettivi chiari e condivisi.
Verso le 23 erano praticamente pronti, tutte le modifiche
erano state apportate, la presentazione tecnica era pronta,
da rivedere un’ultima volta “a mente fresca” l’indomani
mattina prima dell’incontro con il cliente.
Sembravano tutti soddisfatti.
-
Grazie a tutti per la disponibilità e la collaborazione, ci
si rivede domattina puntuali alle 9, buonanotte.
Marco rimase seduto ad osservarli andare via. Paul lo
aveva salutato con complicità strizzandogli l’occhio, lo
faceva sempre quando era soddisfatto.
Come accadeva qualche volta, quando si tirava tardi,
Marco avrebbe accompagnato Marika a casa, il suo
appartamento non era lontano da quello di Marco.
La notte era calda e pulita. Anche se la Sheik Zayed Road
presentava un traffico scorrevole lui scelse la meno
impersonale Jumeira Road, guidando lentamente e con
cura.
Marika sembrava stanca e non parlava molto, la musica
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jazz riposava le menti. Dopo qualche minuto lei si era
addormentata con la testa leggermente reclinata di lato.
Marco non disse nulla rispettando il momento.
Continuando a guidare con cura verso Marina, se ne tornò
lentamente a passeggiare sui sentieri infiniti dei ricordi…
Milano, Roma, il vecchio lavoro, le vecchie abitudini… e
poi Franca, sempre Franca, quell’indomabile creatura cosi
affascinante e folle che gli aveva riempito la vita in maniera
cosi travolgente e cosi distruttiva.
Scese la rampa del garage del building di Marika guidando
piano fino all’ascensore, posò dolcemente una mano sul
braccio di lei che apri gli occhi confusa: - Dove siamo?
disse lei sussurrando… giusto un attimo e si rese conto di
essersi addormentata (che figura, pensò!) Stava per dire
qualcosa ma Marco la precedette sorridendo:
-
-
Ehi, spero tu abbia fatto un bel sogno breve di quelli
che ti danno speranza in una vita migliore. Vai a
dormire che domattina si ricomincia e non manca molto
a domani. Buonanotte e grazie.
Grazie a lei Mr. Rambaldi, mi scusi per prima… a
domani.
Qualche isolato ancora per raggiungere casa ed entrò
fluido nel garage interrato per parcheggiare l’auto.
Gli ascensori di queste torri sono rapidissimi, in pochi
secondi ti sparano al quarantaquattresimo piano
succhiandoti il respiro.
Essendo l’ultimo loft della torre, l’ascensore ti portava
direttamente in casa e la porta si apriva con l’utilizzo di una
carta elettronica dedicata, praticamente si passava dalla
vettura all’appartamento senza dover incontrare nessuno.
Entrando nel loft le luci della città attraverso le grandi
vetrate furono come un’iniezione di valium, ogni volta si
sentiva affascinato e rapito, non riusciva ancora ad
abituarsi a tanta bellezza…
In genere rimaneva cosi nella semi oscurità per permetter
agli occhi di abituarsi.
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Il divano era una meraviglia, comodo e accogliente, ci si
potevano passare ore a pensare, a leggere o a
dormicchiare.
Quando si accomodava immergendosi in questo scenario
notturno, la mente volava e i ricordi affioravano, d’altronde
erano appena sei mesi che aveva “cambiato vita”
lasciandosi alle spalle anni di storia e di vita vissuta, non si
poteva pretendere che tutto fosse sparito con un clic, e poi
forse non era neanche questo che avrebbe voluto.
Il tempo avrebbe smussato le ansie e i ricordi avrebbero
avuto il giusto ruolo che avrebbero dovuto avere, un
bagaglio di esperienza vissuta che aiuta a vivere la vita
che vivi, magari con più consapevolezza e serenità.
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Å TRE
Era la quinta volta che veniva a stare all’hotel Manhattan
per lavoro e Franca era sempre più affascinante.
Esplodeva nelle sue camicette, il sorriso non era sempre
una costante, piuttosto quello sguardo a volte aggressivo
quando socchiudeva gli occhi e sembrava scavare
profondo… l’attrazione si faceva più forte ogni volta e gli
sguardi si incrociavano a lungo, parole sottili quasi
sussurrate, un’eccitazione costante dei sensi che faceva
girare a momenti la testa.
Quando lui la guardava lei si mordeva il labbro inferiore
sinistro e respirava profondamente, e le tette seguivano il
respiro.
Una volta le aveva portato un regalo da Hong Kong e lei si
era commossa.
E questa quinta volta Marco non potette abdicare ancora.
-
Franca parliamoci chiaro, è arrivato il momento di
andarsene a cena lasciando che gli eventi accadano,
senza preconcetti e speranze, lasciamo che gli istinti
seguano il corso del fiume, senza privazioni e senza
limiti, se deve accadere accadrà altrimenti sapremo che
non era destino.
Franca sembrò avesse già la risposta pronta.
-
Ti aspetto alle 21 all’angolo alla fine della strada,
preferisco nessuno ci veda qui dell’hotel, e non mi fare
aspettare!
Quelle ore erano state interminabili, pensieri confusi
nell’attesa del cosa accadrà, di quali parole, di quali
profumi, di quanto lunga è una notte.
La vide lontana in attesa all’incrocio, un paio di passi al
secondo e sarebbe arrivato da lei in meno di un minuto.
Era prima impaurito, eppure la reazione che sentiva
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avvicinandosi era contraria, più si accorciava la distanza e
più il suo cuore si calmava, lasciando posto ad un dolce
calore che dal ventre risaliva sempre più su fino alla gola,
al collo e alla testa.
Lei si voltò come se lo avesse avvertito. Il suo sguardo
tagliò l’aria come per aprirsi un varco privilegiato in mezzo
a tutta quella gente che alle 21 di sera si muoveva rapida
tutto intorno senza alcuna passione.
Lui le si fermò ad una cinquantina di centimetri ma esitava,
la guardava negli occhi ed esitava. Pensò giusto “ci
siamo”. Ma fu lei che guardandolo fiera negli occhi, quasi a
dar voce al pensiero di lui, disse - Ci siamo!
Un brivido, quasi una scarica elettrica, attraversò la spina
dorsale di Marco dalla nuca verso il basso.
Camminando nella sera con il braccio infilato nel suo,
Franca discorreva prevalentemente della sua vita e delle
sue aspettative. Era un fiume in piena. Voleva metterlo al
corrente. D’altronde era la prima volta che si incontravano
fuori cosi in libertà dagli occhi indiscreti del Manhattan.
Aveva studiato lingue, laureata con lode, master in
business and relazioni, aveva fatto delle utili esperienze di
public relation in vari hotel, e da un anno aveva avuto la
fortuna di poter lavorare nel mitico Hotel Manhattan di
Roma, una garanzia per quelli che come lei avevano
bisogno di una esperienza di alto livello per poter spiccare
il volo e dedicarsi come independant consultant alle public
relation internazionali in giro per il mondo.
Ancora qualche anno al Manhattan, ancora un master in
comunicazioni e il target sarebbe stato raggiunto.
L’inizio della vera carriera internazionale cominciava ad
avvicinarsi.
-
Trentacinque anni in fondo sembrano ancora un’età
ideale per cominciare, non trovi?
Era amabile, parlava d’istinto e ti guardava negli occhi.
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Mangiarono con calma ottimo pesce ed ottimo vino gelato.
Erano passate più di due ore e sembravano pochi minuti,
non si stancavano mai di parlare e frugarsi con sguardi
profondi, quel vino secco e gelato aveva fatto la sua parte.
Gli animi liberi, le menti infuocate e voraci, le dita che
sgranellano il pane per poi intrecciarsi in piccoli amplessi.
Nel taxi andando da lei, Marco si sentiva etereo e le parole
continuavano a venir fuori come lava incandescente,
nessun vizio di forma e tanta sostanza, contrappunti
armoniosi che appaiono solo (e purtroppo) nella fase
dell’innamoramento passionale, facendosi spazio nel cuore
e fra i sensi senza offendere mai.
L’unico contatto fisico continuava ad essere le dita della
mano destra lui e della sinistra lei. Si toccavano e
giocavano, si intrecciavano e fuggivano, lasciavano
impronte infuocate che sarebbero passate alla storia.
La chimica c’entra e c’entra di brutto.
L’ascensore li vide baciarsi con cura, sfiorarsi le labbra,
aprirle, protendere le lingue, intrecciarle, scambiarsi il
respiro ansimante, mischiare saliva e sapori.
Marco le teneva le terga strette nelle mani mentre Marika
gli cingeva il collo con le braccia, la nuca nel palmo delle
mani, lo stringeva a se con forza e dolcezza come fa
caldamente una femmina in calore.
Ventre contro ventre si strusciarono e spintonarono fino a
che l’ascensore, arrivato da un pezzo, non riprese la corsa
in discesa chiamato da qualcuno.
Franca rapidamente schiacciò il pulsante dell’alt e poi il
pulsante del suo piano, cosi che l’ascensore riprese la
corsa in salita e si arrestò al piano.
I due uscirono di corsa e si resero conto di essere nel
mondo reale, chissà quanto tempo di trance avevano
passato in quella cabina prima di riemergere nella realtà.
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Restarono lì per un attimo ancora a guardarsi sgomenti
negli occhi davanti la porta d’ingresso.
Franca frugò nella borsa e tirò fuori il mazzo di chiavi,
scelse quella giusta e la infilò con impaccio nella serratura.
Quando la porta si aprì le luci soffuse del monolocale si
accesero automaticamente.
L’occhio allenato dell’architetto inquadrò subito la scena.
La stanza doveva essere di una trentina di metri quadrati,
sulla destra un angolo cottura con penisola in granito nero,
nel fondo un grande finestrone con tende a pacchetto, un
tavolo tondo di vetro con quattro sedie tonneau ed un
grande divano ad elle di tessuto grigio scuro.
Un paio di quadri di arte moderna, un mobile lungo non
alto con ante scorrevoli in cristallo acetato su una delle
pareti, delle lampade a stelo cromato.
-
Allora, sarebbe questo il tuo rifugio, complimenti,
arredato con cura e nel rispetto dei volumi. Avresti
dell’acqua? Ho la bocca asciutta, deve essere
l’adrenalina…
Marco sorrise guardandola, Franca respirava ancora
profondamente, sembrava affannata, si morse il labbro
inferiore sinistro e si girò dirigendosi all’angolo cottura, apri
il frigorifero e tiro fuori una bottiglia di acqua gassata
porgendola a Marco.
Lui bevve dalla bottiglia con piccoli sorsi, continuando a
guardarla negli occhi.
Franca non ne poteva più di questa attesa, le gambe le
tremavano ed il cuore rimbombava belle tempie, fece un
paio di passi indietro verso il mobile a parete, si girò verso
la parete e dandogli le spalle si tirò su la gonna sui fianchi,
mettendo a nude le natiche… un attimo di esitazione e si
sfilò le mutandine sottili piegandosi in avanti.
Marco non credeva ai suoi occhi, gli girava la testa ma non
si mosse continuando ad ammirarla.
Franca si rimise eretta e si girò tenendo su la gonna sui
fianchi, indietreggiò giusto un pochino e, appoggiando le
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mani sul mobile a parete, con un live saltello si mise a
sedere.
Con le gambe socchiuse e guardandolo dritto negli occhi
cominciò ad aprire lentamente i bottoni della camicetta,
uno, poi un altro, un altro ancora e poi il quarto, aprendola
e scostandola sui due lati.
Il seno proruppe imponente, velato da uno di quei
reggiseno di pizzo che avvolgono dolcemente le mammelle
e lasciano intravedere i capezzoli sotto il toulle… le sue
mani aperte ci si posarono sopra comprimendolo con una
certa energia e spingendolo al centro e in alto.
Restò cosi per un attimo e, insistendo il suo sguardo negli
occhi di lui, piegò le gambe alzando le ginocchia, appoggiò
i talloni al bordo del mobile e con delicatezza spalancò le
gambe mostrandosi in tutta la sua intimità.
-
Sono pronta per te, voglio sentirti dentro, fino in fondo,
ti prego.
Nota dell’autore:
Quanto raccontato era stato l’inizio di una passione fuori
dal comune, qualcosa che travalicava la realtà e la fantasia
e che li avrebbe uniti per tre lunghi anni.
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QUATTRO Æ
La mattina seguente erano tutti schierati in sala riunioni,
pronti per dare il meglio e fare una buona impressione con
i giapponesi della JO-Pung Investments.
Quando Mr. Pung entrò nella sala riunioni si alzarono tutti
in piedi, Marco attese il suo solito inchino reverenziale e
stringendogli la mano disse soltanto:
-
Mr. Pung welcome, we are ready to show you our last
efforts, I am quiet sure you will be impressed.
I wish Mr. Rambaldi.
Mr. Pung si sedette composto, schiena dritta e avambracci
appoggiati educatamente sui braccioli, e rimase in silenzio
fissando lo schermo bianco.
Marika abbassò le luci e la prima slide comparve sullo
schermo.
Silenzio totale.
Marco iniziò con calma il suo speech, che sarebbe durato
circa un’ora e trenta, almeno sulla carta.
Mr. Pung non interruppe mai, quasi neanche un cenno per
tutta la durata della presentazione.
-
… that’s why we think the project has all the
potentialities to become a success!
Concluse Marco, che era rimasto in piedi durante tutta la
presentazione.
Poggiò delicatamente il puntatore laser sul tavolo e bevve
un gran sorso di acqua prima di sedersi in attesa.
Silenzio assoluto… solo ansia pesante come un macigno.
Mr. Pung si passò lentamente la mano tra i capelli
abbassando lo sguardo sul tavolo per un istante, poi
guardando Marco dritto negli occhi disse semplicemente
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quello che tutti speravano lui dicesse:
-
Mr. Rambaldi, despite some minor adjustments, this will
be our project, congratulations!
Mr. Pung tese il braccio verso Marco e i due suggellarono
il momento con un’energica e lunga stretta di mano.
Un secondo ancora di gelo e un applauso generale sgorgò
come un’onda liberatoria.
-
-
Mr. Pung, ho prenotato un grande tavolo per tutti noi
questa sera alle 21;00 al “420”, cucina internazionale di
alto livello, la prego di farmi l’onore di partecipare con il
team di fedelissimi.
La ringrazio Mr. Rambaldi, saremo puntuali, consideri
quattro persone me compreso.
Allora a questa sera e grazie ancora per il suo
generoso supporto.
È stato un piacere Mr. Marco, un vero piacere che ha
confermato le mie aspettative.
===
Nota dell’autore:
È dal “420” in poi che la nuova vita di Marco comincia a
cambiare di nuovo senza che lui se ne renda minimamente
conto.
Il “420” è un resto/lounge situato a 420 metri di altezza
nella torre più alta del mondo, il Burj Khalifa (831 metri
totali).
Classe da vendere, cucina internazionale di altissimo
livello, servizio impeccabile, cantina di vini da fare invidia ai
ristoranti cinque stelle di Parigi, piuttosto che di Londra o
New York.
La vista notturna era mozzafiato, le pareti esterne vetrate
permettevano di ammirare a perdita d’occhio la città
27
illuminata e pulsante.
Gli incredibili getti d’acqua delle famose fontane musicali,
visti cosi dall’alto, davano poi una sensazione inebriante.
Il team Archetipo, arrivato all together verso le 20:30, se la
sbevazzasa allegramente al bar della lounge. Questo
contratto sarebbe stata per la Arteko, che soffriva la crisi
mondiale come tutte le aziende, un’iniezione di energia da
cavallo,
E poi rappresentava la prima vittoria del nuovo team
capitanato da Marco Rambaldi.
Paul era al settimo cielo, gli si era stampata sul viso
un’espressione quasi comica, come quella di un bambino
che a Natale riceve tutti i regali giusti da Babbo Natale,
non stava più nella pelle, continuava a muoversi avanti e
indietro alle spalle dei colleghi appoggiati al bancone del
bar della lounge sparando cazzate inenarrabili sul senso
della vita e della felicità terrena… un giullare, si era
trasformato in un giullare liberando tutte le follie tenute per
lungo tempo sotto chiave!
Marco arrivò dieci alle nove, vestito casual senza problemi,
una polo vinaccia su un jeans chiaro, mocassino Ecco, e al
polso un gran bel IWC Aquatimer Limited Edition Cousteux
Diver.
-
-
28
Allora ragazzi, eccoci qui, vi vedo già su di giri…
speriamo che Mr. Pung non sia troppo formale,
altrimenti ci rovina la festa… oddio, sarà difficile vederlo
ballare la salsa sui tavoli, ma almeno speriamo che non
passi la serata tutto inchini e serietà.
Dai Marco, godiamoci questi 10 minuti tutti per noi – si
inserì Paul – questo champagne per festeggiare il
contratto, il buon lavoro fatto, ma soprattutto per
suggellare un patto di sangue fra i mitici componenti del
nostro super team… ragazzi, siamo i migliori !! e per il
nostro capitano, in alto i calici !!
Marco era entusiasta, ci avevano provato ed i risultati
erano arrivati, e questo voleva dire che avevano lavorato
bene, che il team era un buon team, che lui era ancora un
buon leader. - Ma sì, si disse in silenzio, godiamocela e
affanculo le tristezze e i ricordi di merda, ora è questa la
mia nuova vita!
-
Grazie a tutti, ladies & gentlemen, and don’t forget: this
is just the take-off but the destination will be the moon!
In quell’istante vide tutte le facce cambiare espressione e
puntare dritto gli sguardi alle sue spalle.
Aveva immediatamente capito che i giapponesi erano
arrivati, ma non si girò d’istinto, un attimo ancora per
lasciarli avvicinare.
Si girò nel preciso istante in cui Mr. Pung diceva: - Mr.
Rambaldi, here we are.
Stretta di mano automatica e vigorosa.
Solo che nello stesso istante Marco rimase spiazzato e il
sorriso di convenienza gli si fermò sulle labbra… Mr. Pung
aveva al suo fianco una donna stupenda!
Marco ebbe veramente un attimo di vuoto, la bellezza e
l’eleganza di quella donna lo metteva in imbarazzo.
-
Mr. Rambaldi, let me introduce my wife Hykoro Li Ban
Nice to meet you, it is a real pleasure Madam Li Ban
My pleasure, Marco, nice to meet you… ma mi chiami
più semplicemente Li Ban
Quel chiamarlo per nome lo colpì come una scudisciata.
Dietro di loro due uomini evidentemente giapponesi, dei
quali uno era un giovane fante (come Marco amava
chiamare i ragazzi)
-
This is Pung Junior, my son Ryo
This is Mr. Kintaro, my Executive Manager, you have
already met him once
29
Marco si riprese dallo stupore, attese un attimo i soliti
inchini e strinse caldamente la mano ai due.
-
Una coppa di champagne per festeggiare!
Mr. Pung indossava un jeans e una camicia azzurra
entrambi di Armani, un piccolo foulard giallo nel taschino
della camicia, un mocassino blu Tod’s e al polso un
Audemar Piguet Royal Oak Chrono Offshore in oro bianco.
Pung Junior e Kintaro erano praticamente vestiti uguali,
camicia bianca e jeans, mocassini color cuoio, griffe miste,
solo gli orologi erano visibilmente diversi, Rolex Daytona
acciaio fondo nero per Junior e Brietling acciaio Old
Navitimer per Kintaro.
Gli orologi erano la grande passione di Marco, lo erano
sempre stati, era praticamente la prima cosa che
osservava in un uomo, non aveva neanche bisogno di
pensarci, lo sguardo si posava automaticamente sul polso
di tutti gli uomini che incontrava, una specie di malattia.
Ancora non aveva riacquistato il coraggio di voltarsi di
nuovo. Veramente si sentiva a disagio nel guardare la
donna anche perché cosi come ci provava incrociava lo
sguardo di lei che invece sembrava non levargli gli occhi di
dosso.
Fece uno sforzo enorme per sembrare sciolto.
-
30
Madam Li, è tanto che vive a Dubai? Le piace questa
città?
Vede Marco, sono già 4 anni che sono qui e mi sembra
di essere appena arrivata, la mia curiosità non si riposa
mai, ci sarebbe cosi tanto da vedere e da capire in
questo mondo eppure per ora adoro vivere qui! Mio
marito ovviamente viaggia molto fra qui e il Giappone
ma io non lo seguo quasi più, questa città sembra
divenuta la mia casa e, se non fosse che una volta
l’anno ho bisogno di andare a trovare i miei genitori…
beh, probabilmente non viaggerei più…
Un sorriso generoso le illuminò ancora di più il volto, denti
bianchissimi e perfetti, non poteva essere altrimenti.
-
Madam Li, mi permetta di presentarle il mio team di
creativi…
Con vero piacere, Marco
Naturalmente cominciò dalle donne, in ordine Victoria,
Jennifer e per ultima Marika: - la mia assistente esecutiva!
-
-
-
I’m very glad to meet you… vedo che ci sono ben tre
donne nel team, mi fa molto piacere, sicuramente una
scelta voluta, vero Marco?
Certamente voluta, devo confessarle che se potessi
avrei solo donne nel team creativo!
Uhh, non mi dica che vorrebbe essere… come dite voi
italiani?… il solo gallo del pollaio?
Diciamo che cosi come ogni donna ama essere
sottomessa ma anche sottomettere… anch’io sarei un
po’ gallo e un po’ servitore!
Ci avrei scommesso Marco, ci avrei scommesso!
Una calda risata di lei coinvolse spontaneamente anche
Marika, Victoria e Jennifer, che sicuramente stavano
pensando di non aver mai visto il loro capo cosi intrigante
e sfrontato. Ma in fondo cosa ne sapevano di Marco?
Poco, veramente poco, ancora troppo poco per poter
capire e giudicare.
Mr. Pung sembrava divertirsi, in fondo per avere accanto
una donna come lei, doveva essere un uomo di grande
carattere e di grande umorismo… mah, in fondo chissà
cosa c’era veramente fra di loro.
31
Marco introdusse gli uomini del team, Paul White, il suo
braccio destro, from London, Marc Legrand, l’accento
francese del gruppo, Lester Young, from New York City,
Mansour Ahwadi, il solo Emiratino del gruppo.
-
Hello gentlemen, I am very glad to meet you
Disse lei con tono molto cordiale, supportato da un leggero
cenno del capo in avanti… tutti risposero cordialmente ma
nessuno si sentì di porgerle la mano, chissà poi perche…
Le donne del team non nascondevano il divertimento nel
vedere i “maschi” cosi impacciati davanti alla dea Li Ban…
che spasso!
Marco decise di togliere tutti da questo scenario surreale:
-
32
Tutti d’accordo di accomodarci al tavolo?
Å CINQUE
In pieno Agosto, Roma era una città affascinante,
praticamente vuota, persone poche, traffico zero, giornate
pazzesche di sole e tranquillità e notti calde di eventi nei
monumenti storici più belli del mondo.
Marco l’amava Roma in Agosto, cercava di passarci un po'
di giorni affilati per potersela godere a pieno.
Ancora di più da quando Franca era entrata nella sua vita.
Marco continuava ad usare il Manhattan anche se passava
le notti nel monolocale di Franca.
Era solo una scelta formale anche se il loro rapporto era
divenuto di dominio pubblico al Manhattan, ma nessuno lo
dava a vedere o faceva battute scomode come in genere
succede.
Ed è proprio in una di queste notti magiche….
Erano andati a mangiare a Trastevere in uno di quelle
trattorie che l’estate mettono i tavoli sui marciapiedi o sul
lastricato delle piazzette.
Ad Agosto preferivano stare all’aperto e mangiare piatti
caratteristici romani, mentre invece d’inverno preferivano
comunque fare una serata dal mitico Ciarla… il solo
entrare da Ciarla, accomodarsi in un tavolo d’angolo,
dedicarsi al vino bianco di alto sommelier-aggio, a quei
piatti raffinati di pesce crudo… niente di più sensuale, , la
loro passione si scatenava oltre ogni senso umano e
terreno…
Comunque stasera avevano deciso di stare fuori a godersi
l’estate e un bel piatto di bucatini all’amatriciana, voilà!
Il vino dei Castelli alla brocca era fresco e saporito e
mentre aspettavano la pasta sgranocchiavano una
focaccia appena sfornata.
Parlavano allegramente del più e del meno, del fatto che
Franca avrebbe dovuto passare un mese a Parigi per un
master organizzato dalla direzione del Manhattan, del fatto
che Marco più o meno lo stesso periodo l’avrebbe invece
33
passato a Houston per seguire il FEED di un nuovo
progetto. La cosa era dura ma quasi comica, un mese
intero lui in una parte del mondo e lei nella parte opposta, il
destino delle volte era quasi infame!
Erano ormai due anni e mezzo che stavano insieme e,
dato le due vite professionali completamente incompatibili
per luoghi e tempi, erano costretti a rincorrere i tempi e a
ritagliarsi degli spazi possibili per potersi vedere. Più o
meno ci riuscivano bene, ma per questo mese cosi lontani
non sarebbero riusciti a trovare nessuna possibilità di
incontro.
La pasta fumante fu servita e il profumo era sconvolgente,
dei veri bucatini all’amatriciana con pecorino appena
grattugiato… buon appetito!
Dopo cena, un po' per favorire la digestione, un po' per
godersi la serata, passeggiarono a lungo per le viuzze e le
piazze di Trastevere, senza accorgersi di nulla… c’era
molta gente d’altronde che passeggiava come loro e si
godeva la serata.
Franca passeggiava al suo fianco con il braccio nel braccio
di lui, leggermente sbilanciata verso di lui, quasi
appoggiata a lui, e lui amava sentirsela addosso, sentire il
suo peso e il suo calore, il suo profumo di femmina che lo
faceva impazzire dal primo momento che l’aveva baciata.
Era un’unione passionale, senza dubbio, un’unione di
componenti chimici, di profumi, di odori, di umori e sudori,
di forme e sostanza, e di sesso, tanto sesso.
Franca era pazzesca, una donna potente, nel corpo e
nell’anima, per lei non esistevano le cose a metà, o il tutto
o il niente, e nel mezzo c’era solo il vuoto.
E quando decideva di donarsi si donava totalmente, non
esistevano vie di mezzo, il suo uomo era il suo uomo, il
suo maschio, e lei era la sua donna, la sua femmina, il suo
animale primordiale.
Spesso gli diceva, dopo aver fatto l’amore in maniera
sempre unica e pazzesca:
34
-
Se scoprissi che tu non fossi solo mio, penso ti
ucciderei…
Qualche volta lo diceva sorridendo, qualche altra lo diceva
con una serietà che quasi metteva a disagio Marco, anche
se lì per lì lui si sentiva orgoglioso di questa follia.
D’altronde, l’innamoramento e la passione erano cosi forti
che non lasciavano intravvedere alcuna crepa nel loro
rapporto.
Mentre passeggiavano, ad un tratto Marco sentì il braccio
di lei irrigidirsi, quasi scattare in una presa da spavento.
Lì per lì non aveva realizzato, ma un po' più avanti di loro,
lungo la viuzza, c’erano due ragazzotti sul lato destro, uno
appoggiato al muro e uno appoggiato alla moto di grande
cilindrata. Fumavano tranquillamente senza chiacchierare.
Pensò subito che Franca si fosse spaventata per quella
presenza, niente di particolare, solo magari aveva pensato
ad un possibile pericolo, uno scippo, una rapina.
Eppure non sembrava possibile, l’ora non era ancora cosi
tarda e le strade erano affollate, perché mai quei due
avrebbero dovuto far parte della loro serata?
Intanto la distanza era diminuita e i due erano più visibili.
Marco non era preoccupato, li osservò più attentamente e
gli sembrarono solo due ragazzotti che passavano del
tempo per fatti loro, niente di più.
Eppure la presa di Franca non accennava ad allentarsi,
anzi era più forte di prima, non parlava più da quando si
era irrigidita, ed aveva assunto un’espressione seria,
rigida, contrariata e impaurita.
Ancora qualche passo e passarono al loro fianco, nessuno
dei due si mosse particolarmente, giusto alzarono lo
sguardo focalizzandolo su di lei ma senza dire nulla,
ancora.
Marco e Franca tirarono dritti ovviamente senza sostenere
lo sguardo dei due. Non avevano fatto più di un passo oltre
loro, che uno dei due disse a voce alta rivolgendosi
35
all’altro:
-
A Franco, me sa che nun ce semo capiti, annamo che
pe oggi s’è fatto tardi, ma la pazienza sta pe finì…
Franco sentì il rombo del motore della moto che veniva
accesa, un paio di sgassate e lo sgommare del copertone
sui sampietrini lucidi, e poi via, sparita lontano in pochi
istanti.
Franca era rigida come un pezzo di legno, respirava
affaticata, le sue mani erano sudate, non disse nulla.
Marco l’abbracciò con affetto e le disse piano:
-
Ma dai, ti sei spaventata, non era nulla, hai preso paura
per nulla, non ce l’avevano con noi, non erano lì per
noi, dai, riprenditi, è tutto passato.
Franca tremava e ci mise qualche minuto per riprendersi,
balbettando:
-
Scusami, mi sono spaventata, non so che mi ha preso,
adesso va meglio, sta passando, stammi vicino,
stringimi.
Se ne tornarono abbracciati e in silenzio alla macchina.
Marco guidava piano per evitare i sobbalzi dei sampietrini,
in una mezz’ora furono sotto casa di lei.
Nell’ascensore Franca sembrava meno tesa, entrarono in
casa e lei corse al frigorifero per bere dell’acqua
direttamente dalla bottiglia, e quando staccò le labbra tirò
un sospiro profondo, liberatorio.
-
36
Amore mettiti comodo, io mi faccio una doccia cosi mi
riprendo e poi ci facciamo un po' di coccole, ok?
Certo amore mio, non ti preoccupare, vai pure, e torna
rinata che ho bisogno di te, non posso resistere a
lungo.
Dembrava essere stato un episodio a se stante,
occasionale, Marco non vedeva nessun’altra spiegazione
plausibile. Si servì un dito di cognac, si mise comodo sul
divano, si accese una sigaretta e con il telecomando fece
partire lo stereo, quasi sicuro di sapere quale musica era
su.
Quando Franca dopo una mezz’ora usci dal bagno in
accappatoio, trovò Marco addormentato sul divano con la
testa piegata di lato, si avvicinò piano per dargli una
sistemata, Marco si girò leggermente continuando a
dormire.
Franca rimase lì a guardarselo, il suo Marco
addormentato, e si disse che l’amava veramente questo
uomo cosi generoso e maschio, cosi dolce e violento, cosi
amante e compagno.
Aveva voglia di fare l’amore ma non voleva svegliarlo, si
versò un mezzo bicchiere di cognac e lo mandò giù d’un
fiato. Si accomodò anche lei sul divano e si raggomitolò in
posizione fetale, addormentandosi a sua volta.
Il chiarore dell’alba invadeva il monolocale, Marco e
Franca erano ancora cosi addormentati sul divano.
Fu Franca ad aprire gli occhi per prima e rendersi conto
che era praticamente giorno, si dette una sgranchita come
fanno le gatte e decise di fare il caffè.
L’odore del caffè raggiunse le narici di Marco che con un
lungo respiro aprì gli occhi. La vide in piedi, di spalle,
appoggiata in avanti alla penisola della cucina mentre
probabilmente versava il caffè nelle tazze.
Si avvicinò piano da dietro senza farsi sentire e l’abbracciò
infilandole le braccia sotto le ascelle fino ad afferrarle i
seni. Franca trasalì per un istante trattenendo il respiro ma
subito si rilassò al massaggio inarcandosi e spingendo in
avanti il seno, movimento che automaticamente mise in
risalto le sue terga dalla parte apposta.
Percepì orgogliosa che il suo uomo era pronto, senza
girarsi si sfilò l’accappatoio e lo lasciò cadere, rimanendo
37
nuda e appoggiata con la pancia al marmo freddo della
penisola della cucina.
Girò leggermente la testa da una parte e guardandolo negli
occhi gli sussurrò:
-
Marco che aspetti, fammi volare!
E spiccarono il volo, con figure eleganti, come fenicotteri
innamorati su limpide acque, come tigri rombanti su enormi
savane. Volarono in alto e planarono lievi sulla loro radura
assolata.
38
SEI Æ
La cena era allegra, i conviviali si erano rilassati, complici
gli aperitivi ed i brindisi, tutti discorrevano cordialmente, ma
la vera regina della serata senza di dubbio era proprio
Madam Li Ban.
Gli occhi a mandorla, all’insù, davano un senso di aria al
suo viso ovale. Le labbra perfette e carnose, il naso dritto e
armonioso, la pelle perfetta vellutata e bianca del viso e
del lungo collo, i denti perfetti e bianchissimi. Capelli
nerissimi e lisci, luccicanti. Quelle pupille di un nero infinito
ti penetravano come spade affilate.
-
Marco, lei deve essere un uomo solitario, quel fondo di
tristezza che si porta negli occhi,,, common, non ci
vorrà mica far credere di essere un lupo solitario?
Marco era leggermente imbarazzato, non tanto perché il
giudizio corrispondeva esattamente alla realtà, ma per
essere stato analizzato cosi sfacciatamente da una
persona sconosciuta e davanti a tutto il suo team (come se
anche loro poi non lo sapessero, era solo che non si erano
mai permessi di farglielo notare).
Ed allora attaccò:
-
Li Ban, lei deve aver centrato il problema… essendo
stato smascherato cosi sfacciatamente, sono costretto
a rivelare la mia vera identità. Ho talmente fatto abuso
di donne e di amori, totalmente concedendomi il con
corpo e con l’anima, che ho meritatamente bisogno di
una pausa di pace e di serenità solitaria. Almeno per il
momento, ed aggiungerei per il prossimo futuro, il
mondo femminile non farà parte della mia vita
sentimentale e nessuna donna avrà il piacere di godere
del mio corpo e della mia anima.
39
Tutti erano in attesa della risposta di Li Ban ammiccando e
cercando di nascondere i sorrisini di assenso e stupore.
-
OK Mr. Solitary Wolf, a questo punto sono costretta a
proporle una scommessa… un mese per godere del
suo tracollo. Lei non ne ha conoscenza, ma qui c’è una
femmina a caccia del suo lupo solitario! Nessuno sa chi
sia ma se ne percepisce la presenza, ed è la donna per
la quale lei soccomberà prima che un mese sia
trascorso…
Un attimo di gelo comune per tanta sfrontatezza, cuori
battenti ed orecchie tese in attesa della risposta.
-
E quale sarebbe la posta in gioco?
Quando avrà perso la scommessa, dovrà farsi crescere
la barba per almeno tre mesi. Quella donna la sta
cacciando a sua insaputa e la farà suo nei prossimi
giorni. Nessuno di noi sarà autorizzato a diffondere né
patto né le ragioni del patto che stiamo facendo, solo la
sua barba parlerà per le,i confermando che la caccia ha
avuto esito positivo.
Marco era talmente sicuro di se stesso che non esitò un
solo instante:
-
-
40
Li Ban, certo che accetto la scommessa, sarà un
piacere vederla perdere!
Non canti vittoria prima del tempo! Quando la barba
apparirà sul suo volto tutti sapranno che lei avrà perso
la scommessa.
La certezza che io abbia vinto sarà evidente, nessuno
avrà il piacere di vedermi con la barba. Non che io sia
capace di rinnegare il patto in caso di perdita, ma
perché non potrà mai accadere in un mese quello che
lei si augura sfidandomi. Lei perderà miseramente Li
Ban.
Un applauso spontaneo suggellò la scommessa.
Mr. Pung era li che aveva seguito tutta la cosa, ed era
talmente divertito che non stava più nella pelle, quasi
perdeva la proverbiale saggezza di comportamento
giapponese.
-
Marco-San, mi creda, si è messo in un brutto guaio!
Mia moglie Li Ban è una specialista di profili umani,
laureata in psicologia del comportamento e pluri
masterizzata nelle varie sfumature del campo,
costruisce ed analizza profili per il coroner giapponese
e mi creda (ripeté), se Li Ban l’ha sfidata vuol dire che
ha buone probabilità di vincere!
Marco a quelle parole deglutì la saliva a fatica, ma si
rilassò subito pensando… - Ma che minchia dicono questi
due… ma vaffanculo, sono solo dei giullari che si divertono
alle mie spalle!
La serata continuò tra racconti e barzellette occidentali ed
orientali, racconti di vita e di famiglie, di amici e di nemici,
in tutta cordialità… e il vino faceva la sua parte.
Le tre donne del team erano visibilmente divertite e si
lanciavano occhiatine tra di loro facendo riferimento alla
pazza scommessa accettata da Marco.
Solo Paul era leggermente preoccupato - Speriamo che
questa stupida storiella non coinvolga Marco… proprio
adesso che abbiamo bisogno di serenità e coesione per il
successo del progetto… ma che vado pensando anche io,
figurati se Marco non è padrone di se stesso e non ha
capito che è solo una sfida dei Pung organizzata per
testare la sua integrità professionale!
-
Ladies! It’s time to dance! Let’s go!
Sparirono tutte.
41
Intanto gli uomini si erano spostati nella lounge per un
buon cognac ed un buon sigaro. Rimasero a chiacchierare
per tutto il tempo della situazione congiunturale del mondo
occidentale, di quello asiatico, di quello orientale, di quanto
l’uomo fosse stato avido di false macro economie che
dietro non avevano nulla di concreto, e naturalmente di
quanto la crisi avesse colpito anche l’esplosiva Dubai.
La JO-Pung International non aveva praticamente risentito
della crisi, il campo energetico anzi era esploso in maniera
esponenziale. Finalmente in questo mondo globale ci si
era resi conto che era tempo di pensare al futuro e quindi
aveva aperto al futuro, alle energie alternative compatibili
con l’ambiente, elettrico, eolico, idrogeno, etc.
La JO-Pung stava sviluppando un progetto pilota completo
di distribuzione elettrica cittadina e relativa flotta, a) di
trenini elettrici a monorotaia che avrebbero servito le green
zone e b) city car a ricarica rapida da noleggiare e
restituire a piacimento ad una qualsiasi delle stazioni con
parcheggi a silos a distribuzione automatica… metti la
tessera e la macchinetta arriva, la prendi e vai e poi la
restituisci dove ti fa più comodo. Alla fine del mese ti arriva
la fattura con addebito bancario automatico.
Nei centri delle nuove città che avrebbero adottato questo
progetto, l’unica alternativa ai trenini sarebbero state le city
car, che avrebbero rimpiazzato totalmente altri tipi di auto
circolanti. In pratica se avevi un’auto di altro tipo eri
costretto a lasciarla nei parcheggi periferici all’ingresso
delle green zone dove potevi munirti di una city car o
servirti dei trenini.
La JO-Pung aveva scelto Dubai per installare il suo
quartier generale per una serie di motivi, fra i quali la
posizione favorevole di Dubai rispetto al vecchio
continente ma anche all’Asia e all’Africa, poche tasse,
libertà di circolazione di capitali non tassati, free zone dove
poter importare, trasformare e riesportare in tax free,
42
basso costo di manodopera e servizi… insomma ce n’era
abbastanza!
Le donne tornarono che erano le 2:00 passate, oramai non
restava che accomiatarsi, saluti cordiali e promesse di
rivedersi presto.
Mr. Pung prese da parte gentilmente Marco:
-
-
-
Mr. Rambaldi, domattina saremo da lei verso le 11 per
formalizzare il preliminare del progetto, mi raccomando
sia puntale e fresco, le nostre firme saranno apposte e
l’avventura di fatto comincerà.
Non si preoccupi Mr. Pung, sarà l’inizio di una lunga e
proficua collaborazione, non sarà messo mai nella
condizione di doversi pentire per averci affidato il
progetto Archetipo.
Buonanotte
Buonanotte a lei, a domani
Madam Li Ban si avvicinò e porgendo la mano a Marco lo
salutò cordialmente ringraziandolo per la serata, La sua
mano era ferma e calda:
-
Marco, sapesse cosa le sue colleghe mi hanno detto
lei, credo che siano più o meno tutte innamorate
segreto di lei… ma voglio tranquillizzarla, nessuna
loro è la femmina che lo sta cercando e che presto
troverà!
di
in
di
la
Marco guidava piano verso casa lungo la Jumeira, si
sentiva ancora eccitato per aver vinto l’assegnazione del
contratto, si sentiva ancora eccitato per la serata andata
bene, e si sentiva ancora eccitato per quella stupida
scommessa che aveva deciso di accettare. - Che
puttanata! Ma come le sarà venuto in mente a quella
stronza di provocarmi cosi… ma che tipo! Va bene che
bella com’è può permettersi tutto, ma proprio a me doveva
43
rompere le palle?
Accese lo stereo e mise su Lateralus dei Tool ad alto
volume cosi come un superbo “progressive rock” meritava.
La musica rock, jazz, blues, fusion, era la musica che
l’aveva accompagnato per tutta la vita, ma ultimamente era
il progressive rock e l’heavy metal di livello e di ricerca che
preferiva in assoluto.
Non girava mai senza un IPod in tasca o nella borsa, non
volava mai senza il suo IPod, ci stoccava la musica nuova
per potersela gustare da solo nei suoi momenti di
transizione.
Quando poteva, passava un’oretta o poco più in uno dei
due Virgin Store di Dubai e ascoltava in cuffia le novità da
poter comprare, ma non solo le novità, insomma qualcosa
di buono da poter mettere in macchina e nell’IPod e da
poter consumare a piacimento secondo il momento e lo
stato d’animo.
Ci sono delle cose che si possono fare unicamente da soli,
ed “ascoltare” la musica è una di queste.
44
Å SETTE
Marco Un mese cosi lontani non era il massimo, ma il lavoro è
lavoro, come si dice e come di fatto è, per cui era inutile
piangersi addosso, si sarebbero sentiti via webcam tutte le
sere, che era meglio di niente.
Franca era già a Parigi e si erano sentiti poco prima che
Marco si imbarcasse sul volo per Houston.
14 ore di volo non finivano mai, menomale che fra la
musica in cuffia, lo champagne e una cenetta deliziosa,
era riuscito a dormire un cinque o sei ore, per il resto
aveva visto un film, chiacchierato con le hostess, letto
qualcosa, scritto qualcosa… non finiva mai!
L’hotel era un classico Hilton, bello e moderno, suite plus,
pacchetto business, eccellente.
Gli uffici associati non erano neanche troppo lontani
dall’hotel, e comunque avrebbe avuto a disposizione a
tempo pieno una vettura con autista per andare e venire e
anche per muoversi nel tempo libero. Quattro settimane
non erano come un breve periodo di missione, in qualche
maniera si sarebbe dovuto organizzare anche per il tempo
libero.
Avrebbe fatto delle corse, un po' di palestra e cibo sano,
era tanto tempo che si era trascurato e visto che aveva
finalmente del tempo a disposizione, l’avrebbe dedicato a
se stesso ed a un buon periodo di disintossicazione.
Franca Franca avrebbe dovuto lavorare duro, questo corso era
determinante per la sua carriera, era un corso accessibile
a pochi e lei era stata scelta fra i tanti.
Comunque Parigi era sempre Parigi, avrebbe certamente
trovato il tempo di godersela un po'!
Quando dal corso tornò in hotel erano quasi le 7:00 di
45
sera. Considerando le dieci ore di differenza di fuso orario
(indietro), a Houston erano le 9:00 di mattina… troppo tardi
per poterlo beccare ancora in hotel, uffa! Avrebbe dovuto
aspettare le 7:00 della mattina seguente, da lui sarebbero
state le 9:00 di sera.
Franca si fece una doccia e scese a mangiare qualcosa al
ristorante dell’hotel, una breve passeggiata nel parco e
tornò su per verso le 22:00 per andare a dormire.
Quella notte dormì poco, gli incubi tornavano su, quelle
parole in romanesco di quella notte a Trastevere
continuavano a bombardarle la testa…
-
A pazienza sta pé finì…
Se li vedeva ancora davanti, lì in mezzo alla strada, che la
stavano aspettando per avvisarla che la pazienza era finita
e che avrebbe dovuto affrontare la realtà.
La sveglia suonò puntuale alle 6:00, un’ora prima
dell’appuntamento per avere il tempo di farsi bella e farsi
trovare pronta ed invitante per il suo uomo che purtroppo
era dall’altra parte del mondo!
Era tutta sudata ed il letto era tutto in disordine, come se
durante la notte ci fosse stata una battaglia. Quei maledetti
incubi non accennavano a lasciarla in pace… e sapeva
che prima o poi sarebbe arrivata al capolinea.
Si preparò un Nescafè usando il bollitore e le bustine a
disposizione, si accese una sigaretta e si sedette in bagno,
l’accoppiata caffè e sigaretta era un toccasana, un paio di
sorsi al caffè bollente, un paio di tirate alla sigaretta e
l’evacuazione era immediata.
La doccia semifredda fu una sferzata di vita.
Si asciugò i capelli spazzolandoli con cura ed usci in
terrazza ancora in accappatoio per fumare ancora.
Mancava soltanto un quarto d’ora alla chiamata via Skype.
Marco 46
Marco nel pomeriggio aveva fatto giusto un salto agli uffici
associati, almeno per registrarsi e farsi fare il pass, cosi
l’indomani mattina non avrebbe perso tempo.
Si rese conto che l’hotel non era cosi lontano e non era
indispensabile andare in macchina. Decise quindi di fare
una camminata, almeno per rendersi conto di dove fosse.
La zona era tranquilla, con dei giardini pubblici lungo tutto
il percorso da lì all’hotel, di giorno sembrava affollata, ma
ci avrebbe scommesso che dopo le 18:00 si sarebbe
svuotata come tute le zone dedicate ad uffici.
Comunque era strapulita, non c’era un pezzettino di carta
o un mozzicone di sigaretta neanche a cercarli, rinunciò
perfino ad accendersi una sigaretta, d'altronde nessuno
fumava tutto intorno.
In una mezzora aveva raggiunto l’hotel ed erano quasi le
18:00, aveva tutto il tempo di bere una birra, tornare su,
farsi una doccia, scendere a mangiare qualcosa veloce in
uno dei ristoranti dell’hotel… alle 21:00 sarebbe stato bello
pronto di fronte al computer.
Il BB avvertì l’arrivo di un sms.
In genere erano le email che arrivavano a tutte le ore, gli
sms erano quasi sempre delle pubblicità, delle promozioni
o dello spam, per cui non lo controllò… magari dopo.
Bevve la sua birra al bancone del bar e se ne tornò in
camera.
Il telefono gracchiò ancora per l’arrivo di un nuovo sms, ma
lui era già sotto la doccia.
Un quarto alle 20:00 scese nella hall e si guardò intorno,
c’era un pannello che listava i sei ristoranti dell’hotel:
Chinese, Indian, steak house, German, Italian,
International buffet… scelse l’italiano, magari facevano la
pizza.
Non era poi cosi male la margherita cotta al forno a legna,
la mozzarella era autentica e il cameriere sudamericano
era simpatico, anche se gli fece due palle cosi con le
origini italiane dei suoi nonni.
47
Il BB era rimasto in camera… - Fa niente, al massimo
guarderò le email sul laptop dopo lo Skype con Franca - si
disse.
Alle 20:45 era in camera, accese il computer, controllò che
la connessione fosse buona (figurati se a Houston non lo
era), ed uscì in terrazza a fumare. in America non
esistevano più da un pezzo le camere fumatori ed anche in
terrazza era proibito… che vuoi che mi facciano!
La serata era magnifica, calda e tranquilla, mi sa che
aveva ragione: - Dopo le 18:00 non c’è anima viva in giro
in questo posto.
Parigi: 7:00 di mattina Æ
Houston: 9:00 della sera prima Æ
-
-
Buongiorno tesoro, ti vedo fresca e riposata e
bellissima! Sei ancora in kimono?
Marco mi prendi in giro? Ho dormito malissimo, devo
ancora vestirmi ma ho già fatto la doccia. Veramente
avevo pensato di farti vedere la nuova guepiere che ho
comprato a Parigi… mi però sa che non te la sei affatto
meritata…
Attenta… cosi mi ecciti
Io lo sono già
Dai fammi vedere
Dalle 7:00 alle 8:00, cosi come dalle 21:00 alle 22:00, ci
passa esattamente un’ora, un’ora di webcam che fu una
delle ore di webcam che sarebbero staste per sempre una
pietra miliare del loro erotismo di coppia.
Marco si svegliò alle 7:30 della mattina successiva e alle
8:30 era pronto per uscire, l’autista lo attendeva puntuale
nel parcheggio dell’hotel. Alle nove in punto era già seduto
in ufficio.
Estrasse il BB per dare un’occhiata e sfogliando si accorse
di un sms arrivato da mittente sconosciuto. Il solito spam
48
probabilmente, ma prima di cancellarlo lo aprì lo stesso
che non si sa mai. Rimase di stucco…
< la pazienza sta finendo >
Il telefonino gli sfuggì di mano cadendo e rimbalzando sul
tavolo… lo raccolse, la mano tremava, e sperò per un
attimo di aver letto male. No, era proprio vero, il messaggio
era li, e quelle parole rimbalzarono subito nel ricordo di
quella notte a Trastevere.
Respirò forte cercando di calmarsi e di affrontare la
situazione a mente lucida. Ma come diavolo avevano avuto
il suo cellulare, e cosa diavolo volevano!?
Nella mente si sommavano possibilità, le più strane e
confuse… uno scherzo? Un’intimidazione? Un ricatto per
qualcosa? Ma poi per cosa? Non aveva pendenze con
nessuno, non aveva nemici, non aveva mai avuto a che
fare con gente poco rispettabile… non era possibile!
Era forse solo una coincidenza, anche se assurda,
sarebbe rimasto in attesa degli eventi senza parlarne con
nessuno, tantomeno con Franca .
La prima vera riunione negli Studi Associati ebbe luogo
dopo un paio di giorni dal suo arrivo a Houston. Fu una
vera tortura, l’accento degli americans era forte e faceva
fatica a stargli dietro. Arrivavano in riunione col tazzone di
caffè che durava un paio d’ore di sorsi, certamente
qualcuno era simpatico, ma in generale Marco non si
sentiva a proprio agio.
Dopo i primi giorni passati cosi, pensò che quel mese non
sarebbe passato mai. Il lavoro non era interessante, il
progetto di un nuovo quartiere residenziale completo di
ogni ben di dio, già visto e rivisto decine di volte… niente di
nuovo.
Oramai quel lavoro gli stava stretto, ma non tanto per il
lavoro in se, è che non aveva più stimoli.
49
Guidare sempre la stessa squadra di tecnici solo a valle di
un concettuale già approvato non gli interessava davvero
più, aveva bisogno di spazio e creatività. Ma era chiaro
che per anni sarebbe dovuto restare allo stesso livello,
senza poter accedere al livello creativo, quello dove si
tirano fuori le idee vere e le si mettono sul tavolo
prendendosene tutte le responsabilità.
Insomma non vedeva davanti a sé nessuna salita irta di
ostacoli da conquistare e da superare… sarebbe stata
ancora e forse per sempre una dolce stradella
pianeggiante dove andare in bicicletta pedalando
lentamente come si farebbe la domenica mattina andando
a comprare il giornale.
Ci pensava da mesi… comunque la rigirasse, la situazione
non aveva nessuna via di uscita.
Era ora di prendere una decisione, tornato da Houston si
sarebbe messo in cerca di un nuovo lavoro che gli avrebbe
dato le soddisfazioni che meritava, bisognava continuare a
“pensare positivo”.
Pensare positivo era sempre stata una filosofia di vita per
Marco, restare lucidi e pensare positivo era la sola strada
per trovare le soluzioni giuste ai problemi, che fossero
piccoli problemi quotidiani o grandi problemi di vita. Non
puoi prendere nessuna decisione consistente se ti lasci
andare alla confusione dell’ira.
Non amava farsi prendere dall’ansia davanti a un
problema, non amava portare rancore, non amava urlare in
faccia alle persone, non amava avere paura, non amava
farsi grande, non amava essere arrogante, non amava
umiliare gli altri, e neanche se stesso, insomma non
amava un sacco di cose e di comportamenti.
In compenso ne amava profondamente molti altri, e come
se li amava.
Dopo qualche giorno era di nuovo venerdì.
Uno dei colleghi con il quale aveva legato, Philippe era di
origini francesi, lo invitò a casa per un classico barbecue
50
domenicale:
-
-
-
Dai vieni, vedrai che ti divertirai e passerai una
domenica simpatica, un po' di amici e di amiche, big
steaks, birra a volontà… insomma la solita domenica
yankee!
Ok Dave, mi fa piacere ricevere il tuo invito! Se spieghi
al mio autista dove si trova la casa, sarò da te
domenica verso le 11:00.
Quando vuoi, ci saranno delle belle ragazze, bien sure!
Quella sera era rientrato in anticipo, come ogni venerdì
non c’era nessuno in giro e quindi decise di darsi una
curatina al corpo e alla mente. Un po' in palestra, due di
vasche in piscina e per finire una bella sauna tonificante e
rilassante.
Franca Franca a Parigi passava le giornate seguendo il master e
studiando. Qualche volta usciva per passeggiare o per
andare a mangiare qualcosa al Quartiere Latino, ma di
preferenza si concentrava sul lavoro, anche per attenuare
quel senso di disagio che l’accompagnava da tempo.
Franca era sempre stata una ragazza cocciuta ed
intraprendente, e anche se i suoi non avevano avuto
abbastanza soldi da poterla mantenere all’università, lei ce
l’aveva fatta.
Non importa come ma ce la farò.
Non importa come, ce l’ho fatta.
Se lo ripeteva come un mantra.
E ce l’aveva fatta, era uscita col migliore dei voti, tante lodi
e cotillions, ed era la ragazza più orgogliosa del mondo.
Purtroppo il periodo dell’università era stato il periodo buio
della sua vita durante il quale era stata obbligata ad
accettare compromessi che l’avrebbero segnata sempre.
Parigi le piaceva molto, ci avrebbe vissuto volentieri, forse,
51
o forse no.
Venire dal sud non era mai stata cosa facile per nessuno,
ma dopo tanto soffrire ora si sentiva libera, cittadina del
mondo. In fondo non le importava molto dove era e dove
sarebbe finita a vivere, quello che le importava veramente
era vivere da qualche parte con un uomo da amare, una
famiglia da crescere e un po' di rispetto, se lo meritava
dopo tanti sacrifici… le sembrava di stare sulla strada
giusta, inshallah.
Le passavano talmente tanti pensieri e tanti sogni in quella
testa che spesso pensava fossero troppi e non si
sarebbero mai avverati.
Franca era bella, lo era sempre stata, una donna
mediterranea con il fascino del sud, procace e sensuale in
tutta se stessa. Lei si piaceva cosi com’era, e sapeva bene
quanto fascino e quanta spontanea femminilità emanava
con cosi tanta naturalezza.
Eppure non se ne approfittava, e non aveva bisogno di
usare la sua innata sensualità per far cadere gli uomini ai
suoi piedi… proprio non le interessava.
A Parigi, come in ogni luogo del mondo dove era
transitata, stava facendo strage di maschi dal testosterone
impazzito, senza donarsi a nessuno di loro.
Franca aveva un solo uomo nella testa da un po' di tempo,
ed era il suo Marco, quell’uomo che l’aveva fatta
innamorare dal primo istante che lo aveva visto entrare
nella hall del Manahattan.
E rimasta subito colpita dal quel viso reale, sincero,
sereno, da quegli occhi caldi e voluttuosi, da quel misto di
espressioni a tratti di uomo e a tratti di bambino, da quel
portamento dinoccolatamente sincero.
Ed aveva sentito tutti i classici sintomi del colpo di fulmine,
l’adrenalina irrorarle il corpo e la mente, il battito del cuore
salirle in gola e il sudore inumidirle il palmo delle mani.
Ed una notte magica quell’uomo era entrato pesantemente
52
nella sua vita, lasciandola rapita e sconvolta come mai
avesse potuto immaginare possibile.
Franca aveva sempre paura di perderlo.
Che qualcosa tornasse fuori dal passato per mettere in
pericolo la sua vita che stava costruendo da tempo con
cosi tanta determinazione, non era proprio una cosa da
escludere.
Il suo passato turbolento era sempre in agguato, sapeva
bene che gli errori fatti non si cancellano mai con un colpo
di spugna, che le persone che aveva frequentato durante
quel periodo potevano riapparire all’improvviso…
purtroppo gente che non ha nulla da perdere e quindi
sempre qualcosa da guadagnare sulla pelle e dagli errori
degli altri.
Delle volte si sentiva sporca, sporcata e violata di fuori e di
dentro, nel fondo del corpo ma soprattutto dell’anima.
Le cose che aveva fatto per denaro avevano raggiunto
livelli pazzeschi e le ferite le erano rimaste tutte
appiccicate addosso, ferite che non si vedevano ma si
sentivano, e facevano male, molto male!
53
OTTO Æ
Quante volte se ne era già andato a camminare da solo
sulle lunghe spiagge di Marina verso Jumeira il venerdì
mattina molto presto, quando Dubai dorme e la notte
appena passata è stata protagonista di cene, di drink, di
danze e di amori.
Era successo anche a lui qualche volta di andarsene per
locali con il mio amico Paul.
Una serata al Jambase, un bel locale del Medinat, il lungo
bancone del bar, l’ottimo cibo, la musica dal vivo, era
esattamente quello che preferivano.
Ci andavano verso le 20:30, un paio di drink al bar
ascoltando musica funky dal vivo, e poi un bel tavolo
prenotato per una superba bistecca rib eye irlandese.
Verso le 21:00 il locale comincia a riempirsi piano piano,
gente di provenienza internazionale che lavora a Dubai
comincia ad ammassarsi al bar, a riempire i tavoli per la
cena, mentre i musicisti ci danno dentro col funky e con i
virtuosismi di guitar & bass.
La gente si scalda, si beve e si chiacchiera, si beve e si
ascolta, le ragazze e le donne tutte in tiro ed eccitate, con i
maschi che annusano e fremono… un vero spettacolo!
Ci sono storie che si intrecciano e diventano calde.
Dopo la cena la musica dal vivo diventa dance, anni 70 &
80, con cantanti vivaci, e la pista da ballo diventa una
bolgia di corpi… che spettacolo!
Verso le 2:00 la serata comincia a scemare, le carte di
credito fanno la fila per pagare i conti della serata, e la
gente si avvia. Fuori dal Medinat c’è la fila per prendere il
taxi che ti riporta a casa, in hotel, da qualche parte, alla tua
vita reale della quotidianità metropolitana.
E nell’alba di Dubai, Marco se ne andava passeggiando
sulla spiaggia, gustandosi l’alba limpida e godendo del
sole che sale e comincia a scaldare le ossa.
La vita vissuta, i ricordi che aleggiano intorno come se
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fossero li, violenti o dolcissimi, che volano in alto lontani e
planano ancora cosi lentamente per farsi sentire, vedere e
gustare, negli attimi folli di lucida solitudine.
===
Giusto cinque minuti alle 11:00 del giorno dopo quando Mr.
Pung, suo figlio Junior ed il Contract Manager entrarono
nell’ufficio di Marika, grande sorriso ed inchino
giapponese.
-
-
-
Miss Marika, are how you? Vedo che è sopravvissuta
senza conseguenze alla serata… nottata, spero si sia
divertita!
Mr. Pung, una bellissima serata e mi lasci dire… sua
moglie Li Ban è una donna speciale, cordiale e
simpatica e direi ha qualcosa di veramente speciale
Senza di lei non sarei quello che sono., ma non lo dica
in giro!
Parole apparentemente scontate, che non avrebbero
lasciato il segno in quel momento, ma che prima o poi
sarebbero riemerse.
-
-
Mr. Rambaldi l’attende nel suo ufficio… giusto un
attimo per informarlo del suo arrivo, si accomodi un
istante.
Restiamo in piedi, grazie, sono sicuro che Mr.
Rambaldi ci riceverà prima di aver il tempo di sederci.
In quel preciso istante la voce di Marco riempi la stanza, si
era appena affacciato dalla porta del suo ufficio:
-
Mr. Pung, gentlemen, good morning! Preciso al
secondo come sempre, ma la prego si accomodi, è un
piacere vederla!
Mr. Pung aveva un’aria impeccabile, sembrava che la
55
serata (la nottata), non lo avesse neanche sfiorato da
lontano. Gessato blu leggerissimo di alta fattura con
camicia bianca aperta senza cravatta, era invidiabilmente
perfetto.
L’occhio di Marco andrò diritto al polso sinistro per scoprire
quale orologio avesse indossato, ma la manica della
giacca sfortunatamente copriva il polso… poco male,
l’attesa della scoperta sarebbe stata più eccitante.
Si accomodarono sui divanetti, d’altronde non c’era alcun
bisogno di andare in sala riunioni.
-
-
-
-
-
Marco-San, devo ringraziarla per la splendida serata,
diciamo pure nottata… mia moglie Li Ban le manda i
saluti e la ringrazia. In effetti, è stata una magnifica
sorpresa trovarsi tutti cosi a proprio agio come se ci
conoscessimo da anni.
Concordo totalmente con lei Mr. Pung, e la ringrazio a
nome di tutto il mio team per l’onore che ci ha concesso
nell’accettare il nostro invito. Sua moglie Madam Li Ban
è una donna speciale e ha riempito di luce la serata.
La ringrazio. Ma veniamo a noi Mr. Rambaldi, il mio
Contract Manager Mr. Kun è qui per controllare i termini
della lettera di intenti e darmi l’autorizzazione a firmare.
Faccio portare subito la documentazione cosi da
rileggerla insieme prima di apporre le nostre firme. I
signori preferiscono un caffè, un the?
Dell’acqua andrà benissimo, grazie. Ieri sera abbiamo
un po' esagerato, ricorda?
Pung era rimasto cosi composto con gli avambracci cosi
ben ordinati ai lati del corpo, che quel fottuto orologio era
ancora coperto.
In quel preciso istante il Direttore Finanziario della Arteko
entrò in ufficio con un paio di cartellette in mano, salutando
caldamente.
Si accomodò su uno dei divanetti dall’altra parte del tavolo
basso e appoggiò le due cartellette sul vetro:
56
-
Mr. Pung, quando vuole possiamo cominciare, i due
files sono perfettamente uguali, possiamo rileggere
insieme l’accordo e se avesse dei commenti li potremo
discutere prima di incorporarli nella versione finale da
firmare, prenda pure una delle cartelle.
Pung fece quello che Marco si aspettava, si sporse in
avanti con il busto allungando le braccia per prendere con
delicatezza la sua cartelletta.
Immancabilmente le maniche della giacca si tirarono in
su… e voilà, eccolo li, in tutto il suo splendore: Patek
Philippe Calatrava 36mm, oro bianco, quadrante bianco
con lancette blu, secondi a ore 6, cinturino nero di
coccodrillo, meccanico a carica manuale, pulito come un
angelo. Un classico intramontabile di un’eleganza senza
tempo.
Marco era finalmente soddisfatto, direi appagato.
Il Direttore Finanziario della Arteko lesse lentamente
l’accordo scandendo bene la parole. Pung era fisso sulle
pagine senza alzare la testa, senza annuire, senza
commentare, in un’espressione assolutamente asettica.
Alla fine della lettura un attimo di silenzio generale che
sembrò un’eternità, poi Pung sollevò la testa guardando i
suoi interlocutori:
-
Molto bene, ho visto solo delle piccole correzioni che
non impattano sui termini sull’accordo, il nostro
Contract Manager sarà lieto di ritirarsi con lei per
apportare le correzioni, io e Mr. Rampaldi attenderemo
la versione finale da firmare, intanto avremo tempo di
parlare del nostro viaggio a Tokyo della prossima
settimana…
Marco fu sorpreso da questa novità:
-
Stiamo andando a Tokyo??
Certo Marco-San, vorrei che lei visitasse il nostro
Corporate Head Quarter per familiarizzare con il nostro
57
-
-
-
-
-
-
“modus vivendi et operandi”, in modo da affrontare la
progettazione avendo la giusta conoscenza di noi.
Ah, certamente Mr. Pung, nessun problema, mi sembra
un’ottima idea, naturalmente verrò a Tokyo con Paul
che è la mia interfaccia creativa ed operativa con il
team di progetto, per quando la missione?
Possiamo partire domani sera in modo da essere a
Tokyo per la mattina seguente, uno degli aerei della
JO-Pung sarà pronto al decollo… diciamo alle 21:30.
Nessun problema, mi faccia avere i dati del volo e
saremo al gate in tempo utile. Quanto pensa rimarremo
a Tokyo?
Diciamo una settimana? Naturalmente sarà ospite in
uno dei nostri magnifici hotel ed avrà una vettura con
autista a sua totale disposizione.
Grazie, very kind of you, I appreciate.
Mr. Marco, lei è mai stato a Tokyo?
Solo di passaggio scalando negli hotel aeroportuali,
quindi possiamo dire che non conosco affatto la città,
né tantomeno le usanze e il costume dei Giapponesi,
se non quello che più o meno è nelle conoscenze
comuni di tutti.
Le assicuro che rimarrà stupefatto!
Non ne dubito, Mr. Pung, non ne dubito affatto!.
I due manager tornarono con le due cartellette contenenti
la documentazione, il Contract Manager della Jo-Pung non
disse nulla, si limitò a guardare Pung e a fare un breve
cenno affermativo col capo.
Il Direttore Finanziaro disse sorridendo: - Tutto a posto, si
può procedere alla firma.
Mr. Pung prese una delle due cartellette, la apri e cominciò
a siglare le pagine in basso a destra, mentre Marco faceva
la stessa cosa con il secondo originale dell’accordo, poi la
firma per esteso con data sull’ultima pagina: Si
scambiarono le cartellette per completare il rituale delle
firme.
Era il momento della foto di rito con lo scambio dei
58
documenti e la stretta di mano.
E voilà, les jeux sont faits, rien ne va plus.
Marika era rimasta tutto il tempo seduta su una sedia in
modo discreto a fianco di Marco, e Pung le si rivolse con
cordialità:
-
Miss Marika, lei non verrà a Tokyo?
Marika non sapeva cosa rispondere, si sentiva
leggermente in imbarazzo, la risposta non toccava a lei ma
al suo capo…
-
-
-
Mr. Pung, lei sicuramente scuserà Miss Marika per
questa volta, abbiamo degli altri impegni da portare a
termine e la sua presenza qui è indispensabile.
Nessun problema, capisco, ma la prossima volta non
potrà rifiutare.
Mr. Rambaldi, allora ci vedremo domani sera in
aeroporto alle 20:00, riceverà in giornata i dettagli del
volo e del terminal.
A domani Mr. Pung, porga i miei più cordiali saluti alla
sua signora.
Non mancherò Marco-San, non mancherò!
Marco restò solo in ufficio, si accomodò alla scrivania
reclinando lo schienale della poltrona e chiuse gli occhi,
restando per qualche minuto così, da solo e in silenzio a
gustarsi la vittoria.
Era questa la sua nuova vita che aveva voluto.
E di questo era sicuro, almeno era sicuro di esserlo
(sicuro).
Come spesso accadeva, aveva voglia di stare da solo,
volare via su un altro pianeta per un po' per starsene in
pace con se stesso, come aveva sempre amato. Fin da
quando era bambino, si nascondeva nell’armadio e li
59
passava i suoi momenti intimi migliori, pensando alla vita,
al passato, al presente, al futuro cosi sconosciuto, al senso
di questa vita cosi piena di tutto e di niente, al sogno
inconfessato di poter diventare una mente libera,
democratica, tollerante e serena, aperta al pensiero degli
altri e alla critica costruttiva da proporre o ricevere con lo
stesso metro di valutazione, e tutto questo non era facile,
non era affatto facile, la gente, il mondo, la vita, non era
affatto cosi amabilmente semplice.
Come per tutto il genere umano dotato di cervello
pensante, intrinsecamente, la vita cambiava ad ogni
scandire del tempo, ogni secondo passato non sarebbe
ripassato mai più, ogni minuto, ogni ora, ogni giorno, ogni
mese, ogni anno… il tempo passato non poteva in nessun
modo essere emendato.
Era questo il problema essenziale di una vita vissuta
coscientemente alla luce del proprio sole e della propria
luna.
Il tempo scandito… era per questo che amava gli orologi,
queste piccole macchine rotanti piene di classica
tecnologia che da sempre scandiscono il tempo, piccole
macchine perfette che da un paio di secoli escono dalle
mani di artigiani e designer creativi in ogni parte del
mondo, di ogni nazionalità, sulla scorta del centro Europa
che ne è stata la patria e continua a creare magnifici
esemplari che segnano il tempo e che non moriranno mai.
Primo fra tutti Breguet, l’inventore dell’orologio da persona
cosi come lo conosciamo oggi.
Chiaramente si parla di orologi meccanici, non certo di
quelle patacche al quarzo che non hanno nulla di umano,
niente cuore, nessun ticchettio, nessun bilanciere
oscillante e nessuno degli altri mille piccoli fanti che
compongono il plotone al galoppo del tempo.
E poi le lancette, due sole essenziali, che con moto
perenne scandiscono la tua vita che passa, senza curarsi
se tu sia all’inizio o alla fine.
Stereotipo: orologio da polso meccanico, possibilmente a
carica manuale, in quanto questa tipologia presuppone un
60
rapporto mutuale (nel senso che se non dai la corda lui si
ferma).
Marco si era sempre sentito attratto dagli orologi da polso,
ma la vera passione iniziò da quando aveva recuperato
l’orologio del nonno, un cronografo Britix anteguerra
meccanico a carica manuale, un vero gioiello meccanico,
di quelli con i pulsanti del crono che ne senti bene lo scatto
quando li premi, anzi devi proprio insistere perché non ci
sono compromessi, devi sbloccare direttamente il cane
d’acciaio del crono come se fosse un cane di una pistola a
tamburo.
Lo aveva fatto restaurare magnificamente ed era una di
quelle piccole cose che l’avrebbero seguito per la vita.
Qualche anno dopo si aggiunse l’orologio del padre, uno
Zenith Elite Quadrato, in oro giallo, anni 50/60, meccanico
automatico, quadrante bianco con lancette oro e datario a
ore 5, anche questo fatto restaurare magnificamente,
anche questo parte delle piccole cose che l’avrebbero
seguito per la vita
Negli anni la sua collezione di orologi era cresciuta, piano
piano, prima con pezzi di marche conosciute (classico di
chi si affaccia al mondo dell’orologeria meccanica), e poi
alla ricerca di piccole case artigianali o quasi che fanno
pochi pezzi di concezione ed evoluzione propria, che
hanno il coraggio di sperimentare evoluzioni per un
mercato di nicchia, e che oltretutto non costano una
fortuna come quelli delle brand commerciali, che più che
un prodotto si fanno pagare per il nome che hanno e per la
lunga storia secolare che rappresentano.
-
Mr. Rambaldi, mi scusi se la disturbo, c’è il Presidente
in linea che la sta cercando
Oh grazie, si me lo passi qui
Presidente buongiorno!
Marco, ti stavo cercando per congratularmi con te e la
tua squadra. Questo è un grande giorno per la Arteko e
per noi tutti, la tua prima vittoria mi da la conferma che
non mi ero sbagliato ad appoggiare la tua candidatura
61
-
-
-
-
Presidente mi scusi ma il telefono era off, eravamo qui
con il giapponese per la firma dell’accordo… la
ringrazio di cuore a nome mio e del mio team per il suo
appoggio, abbiamo lavorato bene e il progetto sarà un
successo, vedrà che non la deluderemo!
Senti Marco presto sarò a Dubai per una breve visita
per ribadire a tutti il sostegno mio e del CA dell’Arteko,
vi voglio tutti a cena all’Atlantis, ti farò sapere il giorno
esatto.
Presidente, tenga conto che fra due giorni vado a
Tokyo con Pung per una settimana, per familiarizzare
con la JO-Pung e il loro modo di lavorare, un po' di
Giappone per osservare gli stili di vita, dettagli
essenziali per sviluppare il progetto in maniera
consistente con loro… la terrò informata sui tempi del
mio rientro a Dubai cosi che lei potrà pianificare la sua
visita.
Perfetto Marco, allora ancora congratulazioni e in
bocca al lupo!
Crepi! La saluto, a presto!
Marco era alle stelle, l’adrenalina correva veloce nel suo
corpo.
-
62
Marika, per favore mi chiami il team in sala riunioni, ho
bisogno di vedere tutti fra 15 minuti.
Å NOVE
Da ragazzo, come ogni buon ragazzo, Marco aveva
cominciato a riconoscere nel mucchio le persone che
inconsapevolmente avrebbe indirizzato la sua vita, il suo
carattere sociale, i suoi gusti, insomma tutto quel bagaglio
di esperienza vissuta che ognuno di noi si porta nel
fardello che ci accompagna, ci segna, ci forma, ci aiuta a
capire il senso della vita.
Il primo gruppo, il primo vero amico, la prima canna, il
primo amore, il primo sesso, una sequenza di cose nuove
che non erano nulla di quello che la famiglia ti aveva detto.
Era il mondo fuori, osservato e scoperto nella luce e nelle
tenebre dei meandri dell’adolescenza.
Come ognuno di noi, Marco si ricordava perfettamente
facce, situazioni, odori, colori, corpi, pericoli, allegria e
cameratismo, sofferenza e solitudine, tutto così
squisitamente impagabile, che ti rimane appiccicato
addosso per la vita intera, che ti entra cosi in fondo nei
nascondigli del cuore e dell’anima, che vive e cammina
con te.
Da adulto navigato, quando aveva conosciuto Franca, non
aveva avuto dubbi: - Questa donna sarà la compagna della
mia vita!
E cosi sembrava fosse.
Franca A Parigi Franca si muoveva fra il traffico e i casini con
nonchalance, ma per una persona che spende la vita
lavorando, la grande città è sempre pesante, almeno di
giorno.
La notte è diversa, chi non ama la notte?
Un fascino particolare, sembra che non ci siano limiti, che
tutto ti sia permesso. Che tu sia in un luogo appartato a
sentire del jazz o che tu stia sfrecciando nel buio fra le luci
63
dei locali che trasformano la realtà.
Può accadere di tutto di notte.
Qualcuno si sente appagato nel restare al calduccio delle
mura di casa, qualcuno si sente appagato nel farsi
schizzare la testa e sentirsi sparato dal nulla nel tutto.
-
Ma chi se ne frega! Ognuno può vivere e morire come
vuole!
Era questo che Franca pensava ai tempi dell’università.
Ai tempi dell’università, frequentando i locali notturni di
Roma, si era trovata spesso in situazioni imbarazzanti e
anche pericolose.
La gente di notte si trasforma, quasi che il buio sia come
una specie di lasciapassare, alcool a fiumi e droghe di ogni
genere scaldano il corpo e bruciano i cervello, si entra in
un limbo di disinibizione, ed ogni volta hai bisogno di un
tantino di più per metterti al livello… e basta veramente
poco per andare fuori di testa, dapprima di senti un leone e
con l’andare del tempo diventi uno zombie.
E poi ci sono i furboni, quelli che su queste storie ci vivono
e ci guadagnano soldi veri, quelli che “ognuno di noi o di
voi o di loro” non è una fonte di guadagno, e dal privato al
pubblico non cambia nulla quando si fanno soldi sulla pelle
della gente.
Sono quelli che tirano le fila della vita di menti deboli e
forse innocenti.
Franca si rendeva conto di essere sola, ma conosceva il
suo target e per questo si era immolata al qualunquismo,
al menefreghismo. Tanto lo so che è una merda, ma
questa merda è a tempo e ne sarò fuori una volta
raggiunto il mio scopo.
La sua era stata una stata una scelta consapevole, se lo
ripeteva sempre.
Il giorno e la notte di Franca ai tempi dell’università, due
spaccati di vita drasticamente incompatibili.
Ed eccola qui Franca, a Parigi, assorta nei mille pensieri di
64
vite passate e di vite a venire.
-
Bonsoir Madame
Oui bonsoir… ce n’est que moi, qui merci, oui oui, c’est
parfait
Un bicchiere di vino bianco gelato in un bistrot del
Quartiere Latino alle otto di sera vale bene lasciare l’hotel.
Se poi ci aggiungi uno di quei “piattini” di cibo cosi delicati
ed insulsi che solo i francesi sono capaci di preparare (ma
che comunque fanno tanto chic), la giornata di lavoro
lascia il posto al relax e la beauté Parisienne rapisce la
mente ed il cuore, portandoti a spasso in favole fatte di
dame e di fanti.
E la sua favola sembrava prendere forma, ed il suo fante di
cuori era Marco.
Aveva paura che fosse realmente una favola, eppure
quell’uomo sembrava reale, vivo e raggiante come solo un
fante innamorato sa essere.
Questo mese sarebbe passato e Franca sarebbe tornata al
Manhattan ad attendere Marco.
Rapirselo tutto per lei per vivere notti di lucida e folle
passione, nella sua piccola casa che divenuta oramai la
loro segreta e confortevole alcova.
65
DIECI Æ
-
-
-
-
Cari colleghi, per cominciare vi riporto i saluti e i
complimenti del nostro Presidente. Detto questo…
insomma qui si comincia a fare sul serio, i sogni sono
finiti, il contratto l’abbiamo portato a casa, si passa alla
fase esecutiva. Domani sera io e Paul voliamo a Tokyo
con Pung per una settimana di full immersion con i
Giapponesi. Contiamo di tornare con le idee chiare.
Sicuramente durante la nostra permanenza potremmo
organizzare delle video conferenze con voi per potervi
passare quello assorbiamo. Tokyo è cinque ore avanti
rispetto a Dubai, quindi ad ora di pranzo noi possiamo
collegarci quando voi sarete in ufficio da poco.
Mi sembra perfetto (Jennifer)
A proposito di Tokyo, sarebbe il caso di comprare un
presente per Pung. Cosa pensate sia la cosa adatta
per un uomo come lui che ha di tutto di più? Non
parliamo di orologi naturalmente, da quel poco che ho
visto non ne ha certo bisogno!
Io proporrei una collezione di 5 cinque cravatte di
Marinella (Jennifer), un classico italiano di stile.
Una buona idea, e tu che dici Victoria?
Una penna Montegrappa… roba da intenditori
Marika… e tu?
Mr. Marco, io avrei pensato a qualcosa di Ferrari, ha
presente un pistone in bacheca di plexiglas che ha fatto
parte reale di una delle monoposto famose?
Vedo che si va a finire sempre sui prodotti italiani!
(Paul)
D’altronde la classe è classe, dear! (Jennifer)
OK, qua la cosa si fa difficile, la scelta non è
semplice… facciamo cosi, ci scambiamo un’email e
ognuno dice la sua fra le tre cose proposte, sarà
acquisita quella che prende più voti al primo turno, con
2 alla pari si va al ballottaggio.
Il team scemò e Marco si sedette di nuovo alla sua
66
scrivania, guardando e riguardando i bozzetti del nuovo
centro Archetipo… più li guardava e più gli piacevano.
Certamente il progetto aveva bisogno di un enorme lavoro
per essere sviluppato, ma questo non lo metteva a disagio,
anzi era uno stimolo e una sfida, non vedeva l’ora di
entrare nel vivo.
Certo entrare nella mentalità dei giapponesi non sarebbe
stato facile… non era chiaro esattamente cosa Pung gli
stesse chiedendo, però non pensava sicuramente ad
un’enclave giapponese nel cuore di Dubai, piuttosto ad un
complesso internazionale dinamico e moderno con una
fusione non di stili ma di modus vivendi, qualcosa che
rendesse fluidi e facilmente fruibili gli spazi e i volumi
lavorativi, probabilmente in un versione familiare alla
concezione giapponese di fluidità e fruibilità.
Certamente non sarebbe stato facile riportare su carta la
sintesi di millenni di storia di un paese e di un popolo cosi
diverso dalla nostra cultura occidentale… era proprio
questo il punto e lo percepiva come un “tallone d’Achille”.
Paul lo chiamò dal suo ufficio:
-
-
Marco i ragazzi sono gasatissimi, stiamo già lavorando
sulle linee essenziali delle facciate e dei bridges,
stavamo provando a marcare le linee della torre
centrale con degli elementi filanti doppi, in modo da
distinguerla dalle altre due e darle una presenza più
marcata, che anche in 2D la porta al centro della
visuale anche trovandosi su un piano arretrato. Inoltre
vorrei il tuo parere… o meglio abbiamo bisogno di idee
per le linee di chiusura delle teste delle torri, che anche
in questo caso devono conservare una presenza più
marcata per la torre centrale.
Paul, andate pure avanti, domattina a mente fresca ci
sediamo e vediamo di dare un senso compiuto alle
linee principali… scusa ma oggi sono completamente
svanito… capirai, con tutte le emozioni degli ultimi
giorni mi sento scombussolato… mi sa che mi sto
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-
-
-
facendo vecchio…
Ma quale vecchio! Non è questione di vecchiaia, hai
solo avuto il tuo primo risultato importante nella Arteko
e non mi pare cosa da niente!
“Abbiamo” avuto
Certo che “abbiamo”, ma sei tu quello che ci
rappresenta da entrambe le parti… lo sai meglio di me,
vittorie e sconfitte ricadono principalmente sulle tue
spalle!
Andiamo a mangiare una pizza e bere qualcosa
stasera, dai ci rilassiamo un po’.
Con piacere, facciamo cosi… vattene pure a casa e
riposati un pochino, ti prendo io verso le otto ok?
Dopo una mezzoretta Marco si mosse veramente per
andare a casa. In genere non l’avrebbe mai fatto (figurati,
non l’avrebbe schiodato neanche una bomba), ma questa
era un’occasione unica e meritava qualche ora di riposo
per fare il punto della situazione.
Il suo loft gli sembrò bellissimo quando varcò la soglia di
ingresso, molto ma molto più bello del solito.
Mise su Dexter Gondon, si distese sul divano e chiuse gli
occhi, erano appena le 16:30.
Il telefono suonava insistentemente da alcuni minuti…
quando se ne rose conto ed apri gli occhi, dalle grandi
finestre del loft il sole aveva lasciato da un pezzo la scena
alle luci notturne.
Naturalmente era Paul:
-
68
Cavolo, che ora è… scusa devo essermi addormentato
sul divano
Te lo dico io che ora sono: le otto e un quarto!! Ricordi
che eravamo d’accordo che sarei venuto a prenderti
alle otto per andare fuori?
Si si, certo, sei di strada? Mi faccio una doccia cosi mi
rilasso, ti lascio la porta accostata cosi puoi entrare.
Sto arrivando, anzi facciamo cosi, passo prima a
-
-
prendere due amiche che avevo invitato e poi sono da
te, cosi ti lascio il tempo di restaurarti.
Lo sapevo io! Non posso proprio fidarmi della tua testa
da puttaniere!
Cosi come sei conciato, ho pensato che un paio di
gnocche ti avrebbero fatto piacere, la compagnia
femminile è quello che ci vuole… e poi decidi tu se ti va
di approfondire, sennò hai passato qualche ora di
svago e ciao.
OK mi faccio la doccia, quando arrivi squilla.
La doccia lo svegliò del tutto, un jeans e una camicia pulita
e voilà, si sentiva brand new!
Si accomodò sul lato passeggero del SUV di Paul, e si girò
sorridendo per salutare le due ragazze sedute sui sedili di
dietro. Prima di riuscire ad arrivare con lo sguardo
all’altezza delle facce, la visuale fu riempita da lunghe
cosce accavallate e minigonne… wow! – Mi sa che stasera
si mette male - Pensò Marco.
Come c’era da aspettarsi, Pamela e Liza erano due
splendide ragazze, naturalmente giovani e simpatiche, ma
non volgari, non sembravano escort… infatti non lo erano
affatto, erano solo due normali impiegate conosciute da
Paul ad ora di pranzo in uno dei “resto” della piazza
centrale del DIFC. I posti erano tutti occupati e si erano
ritrovati con un solo piccolo tavolo da due, lui aveva ceduto
il passo a loro anche che se era arrivato prima, ed allora le
due l’avevano invitato a sedersi con loro.
Chiacchierare simpaticamente all’aperto sotto il sole
“invernale” di Dubai e cosa magnifica, le parole volano, le
menti sono aperte, multi etniche ed abituate a vedere e
parlare con persone provenienti da ogni parte di mondo,
cosi che viene facile intavolare una conversazione, se solo
cominci a scambiare notizie tipo “di dove sei, cosa fai,
dove eri prima di arrivare a Dubai, etc etc”.
E poi le cose vanno da se, ci si scambia i numeri di
telefono e, sempre che ci sia stato un minimo di feeling,
69
prima o poi ci si ricontatta e magari si va fuori per un drink
o per una cena, o per tutti e due.
-
-
Allora, Paul, dove ci porti? (Marco)
Ragazze, va bene se prima andiamo a bere un drink al
quarantaquattresimo e poi scendiamo giù a mangiare
qualcosa al Buddha Bar? Vista l’ora evitiamo il traffico.
It’s sound brilliant, let’s go!
Il quarantaquattresimo è un bar “chiccoso” che si trova
appunto al quarantaquattresimo piano del Grosvenor
Housel all’inizio di Marina, ci sono vetrate a tutt’altezza sui
tre lati, un bancone circolare al centro, proprio all’ingresso,
e poi divanetti e tavolini con poltroncine posizionati nelle
due ali laterali.
Un bel pianoforte nero a coda con pianista ed una
cantante garbata, che canta canzoni jazzate ad un volume
accettabile e mai fastidioso.
Dalle vetrate vedi una bella fetta della città, Marina con i
suoi centinai di grattacieli, il mare, la Jumeira Palm da una
parte, e dall’altra tutta l’area residenziale degli Emirates
Hills con il famoso campo da golf.
Le ragazze erano cordiali e simpatiche, si conversava
davanti ad un paio di flute di champagne. Paul teneva
banco come al solito, al momento opportuno sapeva
essere un giullare di corte (e gli piaceva esserlo).
Delle due, Marco era stato attratto da Pamela, una
ragazza australiana sulla trentina che da un paio di anni
viveva e lavorava a Dubai come Finance Advisor in una
delle tante società con ufficio nei palazzi del DIFC.
Pamela era bionda, i tacchi contribuivano ad evidenziare la
sua già naturale altezza, non era magrissima ma le forme,
vista l’altezza, le stavano benissimo, e poi aveva un sorriso
smagliante con denti bianchissimi e modi soavi.
Durante la cena, al Buddha Bar si riesce a parlare ma devi
alzare il tono della voce, peggio se il tavolo è vicino al bar
dove c’è sempre un gran casino, musica e gente che parla.
70
Pamela anche per questo si era accostata a Marco con la
sedia ed il busto, e si parlavano vicini, respiravano i propri
odori e la chimica faceva la sua parte.
Più tardi, non facevano quasi più attenzione a Paul e Liza,
che d'altronde stavano egualmente discorrendo fra loro
senza curarsi di cosa e di chi fosse intorno.
Gli champagnini del quarantaquattresimo e il vino bianco
della cena avevano scaldato gli animi, Pamela era radiosa
e raccontava le proprie storielle di vita vissuta divertendosi
un mondo.
Marco era eccitato come un lupo di steppa sulla cresta di
una collina che annusa gli odori portati dal vento di una
femmina a fondo valle.
Non pensava neanche più a chi fosse, dove stesse, che
stesse facendo… ma poi in fondo non poteva fregargliene
di meno… era una vita che non aveva rapporti e questa
sera si sentiva euforico e libero da tutto e da tutti.
Pamela se lo guardava e se lo mangiava con gli occhi quel
maschio italiano dagli occhi cosi dolci e cosi tristi nel
fondo.
Uscirono prima di Paul e Liza ed all’esterno dell’hotel con
un cenno del capo il loro taxi fu pronto in un baleno,
staccandosi dalla fila ed accostandosi a loro.
Il dopocena tardi, fuori dal Grosvenor House, è
chiaramente un casino, persone che attendono, macchine
che arrivano e che partono, taxi, voci… il cortile è più
popolato di notte che di giorno!
Il taxi andava via veloce, e poi dal Grosvenor House a
casa di Marco ci vogliono giusto pochi minuti.
Nell’ascensore si strusciavano e si baciavano, quando
entrarono nel loft erano a mille, Pamela si lasciò andare
sul divano a gambe aperte, mostrando le cosce e lo slip di
seta nera bagnato d’umori.
Marco restò lì a guardare un istante e si lasciò cadere in
ginocchio tuffandosi fra quelle cosce aperte che lo
chiamavano urlanti.
Non era facile svegliarsi la mattina seguente dopo una
71
notte di alcool e sesso, la testa pesante, e il cervello
faceva fatica a connettersi.
Cercò di fare mente locale e come un flash la figura di
Pamela rimbalzò nella mente… ma dove era finita, lui si
era svegliato nel letto e lei non c’era,,, si levò a fatica e si
diresse al parapetto affacciandosi sul salone di sotto…
sembrava non ci fosse nessuno… forse in cucina…
-
Pamela? Sei lì da qualche parte?
Nessuna risposta.
Dette un’occhiata veloce nel bagno ma niente.
Scese le scale e si diresse alla macchinetta Nespresso per
farsi un caffè. Evidentemente era andate via… mah, forse
era meglio cosi, un angelo arrivato dal nulla e scomparso
nel nulla. Perfetto.
Il caffè era buono, se ne preparò un altro ed usci sul
balcone a fumare.
Dubai era bella, era stata una buona decisione cambiare
vita e lavoro, e poi questa città sembrava fatta su misura
per lui, cosi viva, cosi multi etnica e multi culturale, cosi
pulita e funzionante, cosi senza criminalità.
Insomma, sembrava proprio la sua città.
Era tardi e doveva fare in fretta per arrivare al lavoro in
tempo ragionevole. La giornata non sarebbe stata così
lunga, e la sera stessa lui e Paul sarebbero dovuti partire
con Pung.
Si diresse su per prepararsi. Quando entrò nel bagno per
radersi e farsi la doccia trovò un post-it giallo sullo
specchio, lo prese e lo lesse:
Marco, you great!
Thank you for the wonderful night!
Pamela
Una punta d’amaro gli punse la gola, avrebbe voluto che
lei fosse ancora lì in quel preciso istante per poterle dire
qualcosa, per poterla baciare… mah, in fondo era meglio
72
cosi! Non stava di certo cercando un rapporto, non era il
momento, era ancora un animale ferito, e poi questa fase
professionale era troppo importante per lasciarsi andare ad
altre distrazioni.
Il BB chiaramente iniziò a suonare, e la suoneria dedicata
era quella di Paul:
-
-
Morning Marco, sei sveglio? Devo mandarti un dottore?
(sghignazzava come un cretino)
Che bastardo che sei, mi hai incastrato ieri sera e non
me ne sono neanche reso conto!
Ma dai! Sei sempre lì a fare il lupo solitario! Ha ragione
Li Ban? Ogni tanto un diversivo ci vuole, altrimenti lo
stress si accumula e picchi la testa nei muri.
E te che fine hai fatto?
Niente di strano… notte con Liza e ciao!
Tu non hai mai avuto un briciolo di cuore, sei proprio un
bastardo puttaniere.
Ascolta Marco, ci vediamo tra un’oretta in ufficio? Ti
ricordi che stasera dobbiamo partire col Giap?
Figurati se me lo scordo… la cosa più importante della
mia vita! Ci vediamo in ufficio.
73
Å UNDICI
Houston gli stava proprio rompendo le balle, si domandava
in continuazione come facesse questa gente a vivere in
una città cosi asettica.
Comunque oggi era il giorno del barbecue del suo collega,
il francese Philippe lo stava aspettando con i suoi amici,
magari si sarebbe divertito e rilassato.
Si mise su un jeans ed una camicia chiara, tenuta fuori, e
scese nel parcheggio davanti all’ingresso ad aspettare
l’autista.
Giornata bellissima, poco traffico, si andava via leggeri
sulle highway. C’era uno di quei mega mall sul percorso
dove si fermò ad acquistare un paio di buone bottiglie di
vino da portare. Il quartiere dove Philippe abitava era un
classico quartiere residenziale di villette raggruppate in
compounds, viali alberati e prati verdissimi, si vedevano
bimbi, signore, persone fare jogging, accompagnare cani,
giocare con i cani, andare in bicicletta… insomma un
classico spaccato domenicale di un quartiere residenziale.
La villa era la numero 26 della strada 13 del compound 2.
-
-
Sir, here we are
Grazie Mike, facciamo cosi, una volta che sono dentro
ti faccio un sms per dirti se tutto è ok e a che ora puoi
tornare a riprendermi.
All right Sir
In quel preciso istante venne fuori dalla villetta un ragazzo
sulla quindicina:
-
Hey man, you Marco?
Yes I am
Welcome, I am Toby, my father is in the garden waiting
for you… please follow me.
La villetta era carina, su un solo livello, come si direbbe in
74
Italia “all’americana”, una bella sala spaziosa con cucina a
giorno e vetrate sul giardino.
Philippe era lì in giardino in un angolo intento a curare la
carbonella del barbecue, con una birra nella mano sinistra.
C’erano diverse persone sparse qua e là, ad occhio sette o
otto fra maschi e femmine.
-
-
Marco! Benvenuto!! (disse Philippe alzando la birra in
alto). Per prima cosa serviti, prendi una birra dal cool
box!
Ciao Philippe, tutto ok? Ho portato un paio di bottiglie di
vino, tuo figlio credo le abbia sistemate in cucina.
Grazie… non era necessario, dai serviti che ti presento
i miei amici!
Philippe era gentile come sempre, e gli amici erano
simpatici, tutti di origine francese, le ragazze erano quattro
ed erano mediamente belle e giovani, diciamo tra i ventotto
e i trentacinque, e gli sembrarono tutte lo stereotipo di
un’impiegata da agenzia immobiliare… chissà poi perché a
Marco avevano fatta questa impressione… comunque
sembravano amiche da parecchio perché chiacchieravano
in maniera familiare e confidenziale fra loro.
Le domande si sprecarono, tutti i presenti avevano chiesto
a Marco da dove venisse, di cosa si occupasse, come mai
fosse Houston, per quanto tempo, etc etc…
NOTA DELL’AUTORE Dovunque tu possa andare nel mondo, essere Italiani è una specie di “passepartout” al dialogo e alla meraviglia delle “prerogative” italiane, dalla pizza agli spaghetti, dalla mafia al Padrino (inteso come film), dalla torre di Pisa al Vaticano, dal Milan alla Ferrari, da Berlusconi all’immondizia di Napoli … insomma chi più ne ha più ne metta… menomale che non si parla più di Brigate Rosse (in un certo senso appartengono ad un passato remoto)… E poi ultimamente era tutto un luogo comune (che palle!). Con i francesi poi la cosa diventa ancora più pesante… Sarkò e 75
Carla Bruni (italiana), tanto per dirne una (che palle!)… Questa volta comunque la combriccola era simpatica, e i
discorsi scorrevano fluidi fra battute e risate.
La carne era ottima, T-Bon Steak enormi di prima qualità,
a parte le immancabili salsiccette francesi “marquise” (che
a Marco avevano fatto sempre abbastanza schifo!), patate
tagliate a metà e ben cotte sulla brace,
Le birre andavano giù che era una meraviglia.
In effetti, tutte e quattro le ragazze lavoravano nella stessa
agenzia immobiliare, due di loro assunte regolarmente e le
altre due invece lo erano state, ma con la crisi immobiliare
erano state messe a provvigione, se vendevano qualcosa
beccavano una percentuale e se non vendevano niente…
niente!
Spiegarono che ultimamente il mercato sembrava avere
una leggera ripresa, soprattutto perché gran parte delle
case in vendita erano in mano alle banche (riprese a
compratori che non avevano più potuto pagare il mutuo) e
quindi i prezzi si erano dimezzati. E poi c’era il fattore euro
cosi forte sul dollaro, così che molti europei stavano
investendo nelle città americane della costa… si spendeva
di meno che in Europa per belle case e gli affitti erano alti,
un buon investimento che rendeva molto di più che in
Europa.
I ragazzi, se cosi si può dire, gli amici di Philippe, erano
invece in diverse aziende francesi con interessi nel campo
Oil & Gas, diciamo società di servizi alle compagnie
petrolifere.
Il pomeriggio passò in fretta e il tramonto cominciava il suo
corso, Marco si sentiva appesantivo dalla birra e dalla
carne, però la giornata era stata bella e spensierata e in
cuor suo ringraziava Philippe per averlo invitato.
76
Si rese conto di non aver quasi mai pensato a Franca!
Strano ma vero! – Sarà che uscire da quel cavolo di
albergo e la buona compagnia mi hanno “spensierato” per
un po'. A proposito, alle 21:00 dovrei essere in hotel per la
solita chat con Franca… ma come faccio ad andarmene
cosi? Philippe ci resterebbe male, proprio non posso…
Passarono un’oretta in relax ascoltando della buona
musica e fumando, erano quasi le 20:00.
-
-
Philippe, hai mica degli spaghetti in questa casa francoamericana?
Testina di italiano presuntuoso… certo che ce li ho!
Che ne dite se faccio due spaghi aglio e olio e
piccante? Un classico italiano? Sempre che ci siano
tutti gli ingredienti…
Ci sono, ci sono, per il piccante puoi usare l’harissa,
sempre che tu sappia cosa sia!
Ma li mortè!
Un’uscita in romanesco significava che Marco si sentiva
bene, a proprio agio, e poi tanto non l’avrebbe capito
nessuno…
-
Li mortaccitua
Scandì una delle ragazze con forte accento francese…
risata generale con varie prese per il culo sul romanesco!
La serata si concluse con una bella spaghettata e tante
promesse di rivedersi presto.
Marco non aveva più pensato veramente a Franca e si era
anche dimenticato di avvertirla che quella sera non
avrebbero potuto sentirsi via Skype. Tornando in macchina
le fece un sms scusandosi, ma chiaramente non ricevette
risposta, oramai Franca era a lezione e avrebbe riacceso il
cellulare direttamente nel pomeriggio.
77
Franca non ci era rimasta proprio male… forse un pochino
si… era la prima volta che Marco spariva cosi… doveva
aver avuto un contrattempo, non era collegato in internet,
non aveva risposto al telefono… pazienza, ne avrebbe
saputo di più l’indomani.
Quando se ne andò a dormire verso le 23 non riusciva a
prendere sonno, questo “buco” di collegamento, o meglio il
non averlo sentito senza aver ricevuto neanche una
spiegazione, l’aveva tirata facilmente in uno stato di paura,
paura per quello che era potuto succedere… no, diciamo
pure paura che Marco l’avesse trascurata… magari la
stava tradendo… o magari si stava stufando di questo
rapporto cosi intenso… o magari era soltanto un segnale
per ricordarle che era lei la parte fragile del rapporto…
Si addormentò solo dopo aver preso un leggero sonnifero
e la notte la avvolse.
Franca stava andando al lavoro e camminava come ogni
mattina per andare a prendere la metro sul marciapiede di
una delle traverse abbastanza strette da essere a senso
unico. Un furgone bianco che procedeva a passo d’uomo
si fermò mentre la superava e il conducente si sporse dal
finestrino per chiedere un’informazione su un indirizzo,
sembrava un ragazzo cordiale e gentile.
Franca non vedeva ragioni per non rispondere
cortesemente e quindi si accostò al furgone per capire
esattamente cosa l’uomo le stesse chiedendo… non le
restò neanche il tempo di capire… il portellone laterale si
spalancò scorrendo sulle guide e op! quattro braccia
robuste comparvero e afferrandola con forza per le ascelle
la issarono a bordo coprendole contemporaneamente la
bocca con un panno che emanava un odore terribilmente
pungente…
Neanche il tempo di realizzare cosa stesse accadendo che
le palpebre si chiusero pesanti come il piombo e tutto
intorno a lei svanì nel nulla.
Quando Franca si svegliò, cominciando lentamente a
78
realizzare, si rese subito conto in quale cavolo di
situazione fosse finita. Aveva gli occhi bendati e non
riusciva a vedere, un cerotto che le tappava la bocca che
le impediva di parlare, le braccia in alto, con i polsi tenuti
insieme da polsiere attaccate in alto ad una corda, forse ad
un gancio… insomma era quasi appesa, anche se le
piante dei piedi nudi toccavano il pavimento freddo.
Sentiva caldo, era sudata, ansimava e… si rese conto di
essere nuda! Non si sentiva i vestiti! Ca-zo era nuda! Mache-caz-zo succede? Dove-caz-zo? Chi-caz-zo?
In quel preciso instante un getto di acqua gelata la investi
in piena pancia facendola arretrare di un po' sui talloni, E
non smetteva, acqua gelata a pressione sulle gambe, sul
seno, sull’inguine, acqua gelata che le faceva male come
una lama di rasoio, che la bruciava come una lama di
rasoio arroventata, era irresistibile!
Non poteva gridare, il cerotto le serrava la bocca, riusciva
solo a mugolare ed ad ansimare come un animale
impaurito, legato e violentato prima del colpo di grazia!
Il getto d’acqua si arrestò, Franca tremava vistosamente,
sentì all’improvviso un respiro caldo vicino l’orecchio e una
voce che senza alcuna enfasi, quasi sospirando:
-
-
Franca perché stai facendo questo a te stessa, noi non
vogliamo farti del male, non vogliamo torturarti e non
vogliamo ucciderti, vogliamo solo quello che hai rubato
con l’inganno, poi ti lasceremo andare e potrai sparire
per sempre.
Adesso ti diamo 10 minuti per riflettere e poi ti farò la
stessa domanda. Mii attendo solo un cenno del capo,
positivo o negativo… naturalmente se la risposta sarà
negativa te ne assumerai tutta la responsabilità. Il
trattamento sarà incredibilmente lungo e doloroso e
terremo in vita il più possibile per fartelo gustare fino in
fondo, ti do solo un assaggino che ti aiuterà a riflettere
e poi resto lì in attesa per 10 minuti.
79
Silenzio glaciale… percepì giusto il calore della persona
allontanarsi da lei… nessun rumore, niente di niente…
Franca scandiva i secondi che passavano. Un passo
felpato dietro di lei, lo schiocco secco di qualcosa nell’aria
ed ancora qualche secondo di nulla.
All’improvviso,
senza
nessun
avvertimento,
una
scudisciata si abbatté sulla sua schiena con una violenza
inaudita… Franca grugnì come un animale e il respiro le si
strozzò in gola, il dolore ed il bruciore erano insopportabili,
agitava la testa come una forsennata a destra e sinistra, le
lacrime le invasero gli occhi, sentiva la carne della schiena
lacerata dove aveva ricevuto la scudisciata. Mentre
perdeva i sensi e la testa si abbandonava sulla spalla
sinistra, percepì quasi lontana la voce che sussurrava: Rifletti Franca… rifletti…
-
AAAAAHHHHHHH!!!!!!!!!!! NOOOOOOO!!!!!!!!!!!!!!!!!
Franca non si rendeva esattamente conto cosa stesse
succedendo, era scattata a sedere sul letto gridando come
una pazza… apri gli occhi serrati e si guardò intorno
smarrita… era fradicia di sudore e tremava forte… Merda!
Merda!
Si rese conto che aveva vissuto un incubo terribile, ma si
sentiva spossata come se fosse stato reale… ripercorse
con la mente tutto lo scenario dell’incubo… si girò a
guardare l’orologio elettronico sul comodino e vide che
erano le 4 meno 5.
Si lasciò andare di nuovo sul letto e si rannicchiò in
posizione fetale coprendosi con lenzuolo e coperta, sentiva
freddo e continuava a tremare… tutto si annebbiò e
sprofondò lentamente ancora nel sonno.
80
DODICI Æ
Il risultato della votazione per il regalo da fare a Pung era
netto: 5 su 8 avevano scelto Montegrappa. Non restava
che fare un salto al Dubai Mall a comprare la penna, anche
se chiamarla penna è riduttivo e non si trattava di
comprarne una di serie, bisognava scegliere fra quelle a
Edizione Limitata, una del tipo “capolavori”, quasi
inutilizzabili e che vengono esposti perlopiù in vetrina per
collezionisti incalliti.
-
-
-
Marika, tu conosci i miei gusti… potresti accompagnare
Victoria ad acquistare la Montegrappa? Confido
ciecamente nel vostro gusto femminile!
Certo Sir, no problem, possiamo andare e tornare in un
paio d’ore… quanto volete spendere?
Marika! Abbiamo appena firmato un accordo come
Archetipo e tu ti preoccupi dei soldi? Fai comandare il
gusto e l’amore a prima vista, il resto non conta!
OK Boss, sorry!
Era la prima volta che lo chiamava Boss ma Marco non ci
fece caso, era troppo preso dalle tante cose da fare prima
di sera.
-
-
Paul ha che punto sei? Mi raccomando portati tutti i file
non solo nel portatile, fai un backup anche su una flash
memory… anzi su due, non si sa mai!
Non ti preoccupare Marco, stai tranquillo, sto pensando
a tutto, non avremo problemi, vedrai!
OK Paul, sono solo in apprensione… possiamo vederci
più tardi per un’oretta di meeting con la truppa?
Certo, più tardi ti faccio sapere.
Il pomeriggio non passava, i secondi sembravano minuti e
i minuti sembravano ore, Marco si sforzava di stare
tranquillo ma il momentum era topico, non si poteva
permettere di non avere tutto sotto controllo; era sicuro di
81
se stesso, certo, ma si sentiva addosso il peso della
responsabilità del buon esito del progetto ed anche della
gente che ci stava lavorando. Forse si faceva troppi
scrupoli, forse non aveva proprio bisogno di auto caricarsi
di questi macigni, in fondo era bravo e il primo step lo
aveva acchiappato, in fondo adesso non rimaneva che fare
un buon lavoro in tutta serenità… - Hai detto niente!
Alle 19:00 c’era del traffico per andare in aeroporto, e
qualche rallentamento era normale, ma di tempo ce n’era.
Capirai, pur di non arrivare tardi erano partiti una mezz’ora
prima in caso fossero stati rallentati dal traffico.
Il terminal dei voli privati era anch’esso in linea con le
installazioni aeroportuali, anche se non era cosi sgargiante
come quelli di linea.
Erano le 20:15 quando varcarono la soglia della sala
d’attesa…
< BANG!! >
Li Ban era li, maneggiando il cellulare ben accomodata su
uno dei divani… Marco rimase di stucco dalla sorpresa ma
non ebbe il tempo di realizzare che la voce di Pung si
materializzò alle sue spalle:
-
-
-
82
Marco-San, vorrà perdonare la mia audacia, ma la mia
signora ha espresso la volontà di viaggiare con noi per
avere la possibilità di sbrigare delle faccende personali
a Tokyo durante la settimana, spero non le dia fastidio
questa nostra libertà in un viaggio d’affari.
Mr. Pung, assolutamente no, lei è troppo gentile, ci
mancherebbe… e poi in tutta verità ci fa piacere
rivedere Madam Li Ban, una donna gentile e bellissima
Marco! Allora come sta? Proprio ieri chiedevo di lei a
mio marito e voilà… ci si ritrova a viaggiare insieme
nella mia terra natia, non sa che piacere mi fa, anzi,
sarò felice di mostrarle la città e le sue meraviglie… Mr.
Paul, tutto bene?
Mamma mia, Li Ban era più bella che mai! Gonna
plissettata bianco avorio giusto sopra al ginocchio,
camicetta ecru aderente con polsini larghi, scarpe decolté
rosso opaco con tacchi da 10, una larga cintura di pelle in
vita con un medaglione centrale, capelli raccolti sulla parte
alta della nuca, un filo di perle al collo e un orologio Cartier
Tank Francais con diamanti, trucco leggero… la camicetta
attillata avvolgeva i seni e lasciava intravedere un
reggiseno di pizzo bianco… Marco non aveva tralasciato
nessun particolare.
Paul era senza parole, era rimasto in piedi, lì, fermo come
uno scemo… sembrava un idiota imbambolato!
Rimasero seduti sul divano a chiacchierare, la situazione
era un po’ tesa ma il sorriso di Li Ban riusciva a colmare
ogni incertezza ed imbarazzo.
Pung si divertiva compostamente, quasi senza parlare,
d’altronde ci pensava sua moglie a riempiere ogni possibile
vuoto.
Erano quasi le nuove quando il pilota entrò nella sala
d’attesa, facendo il classico inchino, e quasi sussurrando
disse qualcosa in coreano indirizzandosi a Pung:
-
Il pilota avverte che l’aereo è pronto, it’s time to go!
Marco rimase qualche instante seduto per godersi Li Ban
quando si sarebbe alzata… ed eccola li la venere
orientale, scavallare le gambe e tirarsi su con incredibile
leggerezza quasi fosse una farfalla.
In appena dieci minuti furono a bordo.
Sembrava di essere in un salotto, ma senza fronzoli,
qualcosa di puro design da architetto nordeuropeo, linee
perfette e pelle beige a due toni che dava subito un
accogliente calore, inserti e accessori in legno chiaro
laccato trasparente lucido, ferramenta in acciaio satinato
quasi ghiaccio.
83
Una spada volante come quella certamente meritava una
riflessione.
Certo Pung non era uno sprovveduto, e anche la scelta del
jet non era casuale. Niente era casuale in Pung, si
percepiva subito la sua classe nel scegliere le cose, che
non aveva nulla del falso arricchito né tantomeno del falso
colto, ed il tutto era sempre ordinato e quasi armonioso;
niente ostentazione, niente superbia, solo una confortevole
sottile eleganza.
Il Gulfstream G650 non è un giocattolo per tutti, circa
13000 km di range per otto passeggeri comodamente
accomodati in varie isole living, working and resting.
Dubai Tokyo sono circa 8000 km, quindi niente scali tecnici
per fare propellente, anzi addirittura si potrebbe
raggiungere Houston senza scali, se non fosse che i
13000 km di distanza Dubai/Houston, che corrispondono al
total range dell’aereo, presuppongono uno scalo tecnico
intermedio per non arrivare alla meta, in andata e/o ritorno,
a serbatoi quasi vuoti; troppo pericoloso se si è costretti
per ogni evenienza a cambiare rotta o a volare per una
mezz’ora in tondo in attesa dell’autorizzazione ad atterrare.
L’hostess era chiaramente giapponese e riverenziale come
nello stile giap, ma come per il contesto era uno stile
discreto che non risultava affatto stucchevole.
Marco cominciava a domandarsi insistentemente cosa
l’avrebbe aspettato a Tokyo e se sarebbe sopravvissuto a
tutto questo…
Li Ban scelse la seconda poltrona rivolta verso la cabina,
mentre Pung si scusò dicendo che aveva un pochino da
lavorare e poi avrebbe fatto una dormita:
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-
Marco-San mi scusi, mia moglie le terrà compagnia,
d’altronde oramai avrà capito che Li Ban è una donna
di compagnia… delle volte devo obbligarla a darmi la
parola altrimenti non riesco a parlare!
L’ilarità di Pung fu contagiosa e tutti risero caldamente
mentre lui scompariva dietro la porta scorrevole che
divideva la zona living dalla zona relax.
-
-
-
Marco, si accomodi qui nella poltrona di fronte, potremo
chiacchierare un po' se anche lei non pensa di “dover
lavorare” come mio marito!
Ma certo che no, e visto sono in viaggio verso una
nuova realtà spero di carpire qualche anteprima da lei.
Il mondo e la cultura orientali sono troppo distanti da
quelli occidentali per non averne timore… soprattutto
per me in questo momento.
Non abbia timore Marco. Vede, la nostra tendenza,,,
preoccupazione direi, è di mettere sempre a proprio
agio il nostro ospite, nel fisico e nell’anima, senza
creare barriere, anzi, cercando di allentare e rimuovere
quelle che troviamo. Non è sempre facile, anzi, ma con
lei sono sicura che le sue eventuali barriere saranno
vulnerabili e cadranno senza insistere troppo.
Mentre pronunciava questa ultima frase, Li Ban fletté il
capo in avanti senza abbassare lo sguardo, giusto un
leggero chiudersi di palpebre, lieve come il battito di ali di
una farfalla. Una scarica di adrenalina invase la spina
dorsale di Marco, un brivido caldo lo avvolse nel collo… la
sensualità di quello sguardo e l’inflessione nella pronuncia
di quelle parole… adesso Marco si sentiva leggermente in
imbarazzo, considerando anche che Li Ban aveva
percepito completamente il suo imbarazzo alla sua
provocazione.
I minuti e le mezz’ore scorrevano veloci, Li Ban parlava
quasi senza sosta, passando dalla moda giapponese alle
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tendenze dei giovani, dall’arte moderna alla famiglia.
NOTA DELL’AUTORE: Li Ban cita Naoto Hattori (1975‐alive) un’icona della Vision Art, ma anche una sorta di moderno Hieronymus Bosch (1450‐1516). Quel che dice lui di se stesso e della sua arte: “My vision is like a dream, whether it’s a sweet dream, a nightmare, or just a trippy dream. I try to see what’s really going in my mind, and that’s a practice to increase my awareness in stream‐of‐consciousness creativity. I try not to label or think about what supposed to be, just take it in as it is and paint whatever I see in my mind with no compromise. That way, I create my own vision”. ===
La famiglia di Li Ban evidentemente era stato un nucleo
coeso, consolidato nel tempo dalla buona riuscita del
progetto, e soprattutto dall’amore e dal rispetto reciproco.
-
86
Mia madre era una donna affascinante e giovanile,
grande studiosa di letteratura e filosofia sia orientale
che occidentale. Con cinque figli aveva dovuto
rinunciare alla sua carriera di professoressa
universitaria, ma non aveva mai abbandonato lo studio
e la ricerca. Quando non poteva di giorno, beh... lo
faceva di notte dopo essersi assicurata che tutti
fossimo andati al letto sereno, a volte dopo aver fatto
l’amore con mio padre, cosi come una coppia sposata
e con cinque figli può fare solo dopo essersi accertata
che tutto è a posto, che tutti dormono sereni e anche
“questa giornata è passata senza complicazioni ed in
tutta serenità”. Come vede la parola “serenità” è un
qualcosa, direi un concetto che ricorre spesso... quante
volte l’avrò già nominata? Beh, era la parola preferita
dai miei genitori, in primis mia madre che non smetteva
mai di ripeterla: “stai serena”, “una vita serena”, “ un
rapporto sereno”, “siamo una famiglia serena”, “Li Ban,
affronta le cose della vita con serenità”... la verità e’ che
-
era lei la donna serena Non l’ho mai vista una sola
volta piangere se non di gioia, ed il suo animo sereno ci
ha accompagnato nella crescita, da quando eravamo
dei cuccioli indifesi fino alla sua morte 5 anni fa per un
tumore al seno. Ed ancora ci accompagna, mi
accompagna ovunque, anche adesso, in questo
preciso istante lei è qui con me e mi rassicura e mi dice
di stare serena.
Con lei mi sento particolarmente rasserenata Marco,
sarà forse questa sua aria da tenebroso riflessivo e
imperscrutabile… non so, ma le si legge negli occhi
una ferita legata al passato che vive li nel profondo del
suo cuore e che non si risarcirà mai malgrado lei abbia
potuto cambiar vita, luoghi, persone, lavoro… non è
forse cosi Marco?
Marco non sapeva esattamente cosa rispondere.
Li Ban lo guardava forzando lo sguardo, insistente e diritto
negli occhi di lui. E lui era lì, senza parole, sentendo il
dolore riaffiorare dal profondo del ventre, sentiva la spada
affilata delle parole di lei entrargli lentamente nel fegato
togliendogli il respiro.
-
-
Non si preoccupi più di tanto Marco, pensi solo che le
poche persone che riescono a cogliere i sui lati deboli
dietro la sua forte corteccia di gomma, sono solo
persone che hanno avuto delle esperienze simili alla
sua, non importano modalità e dettagli. Mi riferisco solo
a quelle persone che sanno cosa è veramente la vita.
Ne colgono e ne vivranno, sempre ed apertamente,
tutte le modalità e le sfaccettature, senza negarsi mai,
senza mai pretendere nulla prima di aver dato il meglio
di se stessi.
In fondo la vita “è uno stato mentale” ed ognuno ne
soffre e ne gode del proprio.
Marco trasalì… ma come cavolo faceva questa qui a
conoscere questa icona della letteratura e della filmografia
87
occidentale degli anni settanta?
-
Mi scusi solo un attimo, ho bisogno della rest room
Li Ban si alzò dalla poltrona sulla quale stava rannicchiata
con le gambe piegate di lato sulla seduta, e nel compiere
la manovra la gonna inevitabilmente si tirò su scoprendo
quasi totalmente le cosce e lasciando intravedere per un
attimo il pizzo nero dello slip.
Lei se ne rese conto ma senza imbarazzo sorrise
leggermente guardandolo arrossire al suo posto.
Sgattaiolò via come una libellula e Marco percepì giusto lo
scatto della serratura della porta della toilette.
Cavolo che situazione! Non è che Marco si sentisse
proprio a suo agio… questa donna lo teneva sempre sul
filo del rasoio e i suoi colpi erano sempre ben mirati e
colpivano dritti nel segno. Forse aveva ragione Paul, cosi
come gli aveva detto la sera della cena, forse era tutta una
tattica di Pung per mettere alla prova la sua integrità
intellettuale e professionale… merda, gli ci sarebbe voluto
uno scudo spaziale per riuscire a difendersi da quello
tsunami intelligente e sensuale che era Li Ban… però che
pezzo di figa… se la sarebbe fatta li sulla poltrona in tutti i
modi possibili, a dispetto di Pung che apparentemente era
lì che dormiva al di là del separé.
Paul si era tenuto in disparte per tutto il tempo, aveva
lavorato al computer e oramai dormiva del suo.
===
I tempi dei giovani fanti erano finiti da un pezzo, Marco se
ne rendeva conto benissimo. Eppure li rimpiangeva
sempre quando la mente sorvolava il passato e i ricordi
della sua gioventù, le giovani ragazze che si facevano
desiderare, le scorpacciate di sesso acerbo e tutto da
scoprire, le mani sotto i maglioni e sotto le gonne, i peli del
88
pube… già, che oramai erano una vera rarità.
Oggi era tutto così diverso, tutti così conosciuto, tutto così
scontato.
Ma che belli quei tempi da giovani fanti e donzelle!
La permanenza di Li Ban nella toilette durava più del
previsto, Marco non aveva per nulla sonno e si sentiva
l’adrenalina a mille come se fosse al suo primo giorno di
scuola.
Dopo circa 15 minuti Marco percepì lo scrocco della
serratura della porta della toilette, il flap della porta che si
apriva a libretto ed infine il profumo di Li Ban venirne fuori.
-
-
Marco mi scusi se ci ho messo del tempo ma avevo da
riflettere un pochino in disparte e godermi degli attimi
che non è possibile condividere fisicamente con lei. P
er farmi perdonare le racconterò i dettagli, ma non
adesso, solo quando sarò più sicura della sua
discrezione e affidabilità.
Non sono sicuro di aver capito bene…
Io invece credo che lei abbia capito benissimo, caro
Marco… non faccia l’ingenuo… o lei crede che
starsene qui a parlare con me sia una cosa scontata?
Il tono di Li Ban era improvvisamente divenuto tagliente,
pur sempre mantenendo la cortesia e l’aplomb di sempre.
Era lo sguardo più che il tono della voce, gli occhi fessurati
e gli zigomi esposti… quel cavolo di sguardo lo trapanava
senza mollarlo un solo istante, incalzava e avanzava…
facendosi breccia.
89
Å TREDICI
Franca Quando un mese sembra lungo e sembra non debba
passare mai… non passa mai!
Erano tre settimane e la lontananza pesava come un
macigno sul cuore di Franca. Sordida in fondo al suo cuore
la leggera paura di perdere Marco era sempre in agguato.
Anche perché da qualche giorno, anzi da quella notte di
quel sogno cosi forte, la paura del passato era tornata più
forte che mai. Purtroppo non se ne sarebbe mai liberata di
quel passato, e la sua assicurazione sulla vita, se vogliamo
chiamarla cosi, forse non sarebbe mai bastata a tenere
lontano da lei la vendetta di quel pezzo di merda.
Neanche le puntatine rilassanti al Quartiere Latino
riuscivano a tirarle su il morale più di tanto.
Le webcam con Marco si erano un po' diradate a causa
degli orari che non riuscivano proprio a combaciare, e poi
francamente la webcam è una di quelle cose che dopo un
po' comincia a dare noia, va bene ogni tanto ma non tutti i
giorni, è fredda e non presuppone nessun odore e tanto
meno nessun contratto fisico…
Franca sapeva bene che tutti questi pensieri “globalmente
negativi” erano il risultato del suo stato d’animo… una volta
a Roma con il suo Marco le cose si sarebbero di nuovo
stabilizzate. Voleva crederci.
Marco A Marco mancavano un paio di giorni e sperava
passassero in fretta, il lavoro a Houston era praticamente
concluso, un paio di giorni per rivedere e condividere la
relazione finale sarebbero stati più che sufficienti.
Catherine, una delle amiche del suo collega francese, da
90
giorno del barbecue a casa di Philippe gli aveva fatto il filo
senza ottenere un bel nulla da Marco. Gli sms, anche
piccanti, si erano sprecati, ma Marco niente, le aveva
cortesemente risposto ai primi due o tre e poi stop.
Non aveva proprio voglia di distrarsi con un’altra donna,
non era proprio il momento, e poi, di fatto, lui era
innamorato di Franca e anche molto, non vedeva nessuna
scusa plausibile nel passare qualche ora con una
sconosciuta seppur bella come Catherine. In quel
momento il sesso per il sesso non lo interessava affatto.
Pensava di essersene liberato.
Quando invece nel tardo pomeriggio varcò la soglia
dell’hotel tornando dall’ufficio, se la trovò lì nella hall, ben
accomodata su uno dei divani d’angolo, che
evidentemente lo aspettava da un pezzo!
-
Catherine… ma che ci fai qui?
Marco per favore non ti arrabbiare, volevo solo vederti,
lo so che stai partendo, e siccome probabilmente non ti
vedrò mai più, beh… ho deciso di passarti a salutare.
Catherine era bella nei suoi fuseaux color fuxia, e la T-shirt
bianca e attillatissima la fasciava mettendo in risalto il
ventre piatto, le spalle dritte e i piccoli seni appuntiti… un
corpo da fitness e la giovane età… poteva avere non più di
25 o 26 anni e se li portava tutti meravigliosamente bene.
-
Catherine…
Ripeté Marco piegando le spalle in avanti
-
-
Lo sai che sono un uomo impegnato stabilmente con
una donna che amo, mi pareva di essere stato chiaro…
e poi non ho nessuna intenzione di approfittare di te, tu
sei bella e simpatica ma non mi pare il caso.
Marco, ma insomma! Sono venuta fin qui per vederti
prima che tu parta e tu mi dici che sei innamorato di
91
un’altra. Ma che centra col fatto che io sia venuta a
salutarti… sarai normale? E poi non trattarmi come una
ragazzina stupida e noiosa, non lo sono affatto e vorrei
solo passare qualche minuto con te per avere da te dei
consigli professionali. Ho capito che non mi vuoi
scopare, anche se mi sarebbe piaciuto, però per
favore, abbandonando l’ipotesi scopare, potresti darmi
qualche consiglio che ne ho tanto bisogno? Non sei tu il
famoso architetto Rambaldi invidiato da tutti? Beh, io
ho bisogno di qualche buona dritta per avere il coraggio
di tentare il take-off professionale.
Marco rimase in silenzio a cercare di metabolizzare quello
che la ragazza gli aveva appena detto e si rese conto di
aver esagerato.
La ragazza non lo mollava mica lo sguardo!
-
… OK, ordiniamo un drink e raccontami in che cosa ti
posso aiutare, ti prometto di ascoltare e dirti cosa
penso sia giusto per te, magari se posso ti do’ un paio
di dritte con un paio di nomi ai quali rivolgerti.
Catherine era giovane e dopo la laurea in architettura
conseguita a Parigi era venuta a Houston per un master in
uno degli studi polifunzionali di ingegneria e architettura
più accreditati degli USA. Dopo i primi sei mesi di master ci
era rimasta a lavorare con uno stipendio da fame che non
riusciva a coprire le spese, ma un anno e mezzo di lavoro
con architetti d’avanguardia le aveva dato la possibilità di
fare un’esperienza che non avrebbe potuto fare da
nessun’altra parte.
Adesso era il momento di lasciare e di prendere il volo,
tentare altre strade in altri studi creativi di architettura,
proponendosi con il suo CV di esperienza accumulata in
questi due anni.
D’altronde non poteva rimanere nello stesso studio, non
avrebbe funzionato. Diciamo che viene da se, si fa il
92
master e si accumula esperienza più che si può per un
paio di anni, e poi ci si mette sul mercato sperando in un
colpo di fortuna. Certo è che se non hai una qualche
dritta… rischi di rimanere appesa per chissà quanto tempo!
-
OK, ti chiederai perché sono venuta proprio da te…
beh, per il semplice fatto che di te si parla bene
nell’ambiente, non c’è una sola persona che ti abbia
criticato o denigrato, sei considerato una persona seria
ed intellettualmente onesta, ed è questa la dote che ti si
attribuisce di più al di là della tua notevole esperienza e
dei notevoli progetti firmati.
Marco la prese come una sviolinata ma ora si era rilassato.
Dopo il primo drink cominciò a parlarle di come lui vedeva
la cosa, di quello era veramente rappresentava per lui
l’architettura creativa, di quello che lei avrebbe dovuto e
non dovuto fare per andare dritta alla meta, ma anche del
fatto che neanche lui era ancora riuscito a realizzarsi nella
maniera voluta, che la strada era lunga e tutta in salita.
Catherine ascoltava con attenzione e con passione ed il
tempo passava veloce. Senza che i due se ne rendessero
conto si erano fatte le 21:30 e la fame si faceva sentire,
cosi decisero di continuare la conversazione davanti ad
una pizza e una birra.
Verso le 23:30 fumarono un paio di sigarette nel giardino
dell’hotel e Catherine sembrava felice di aver ottenuto un
pieno di informazioni e di dritte, era quasi commossa e non
finiva mai di ringraziarlo.
-
Marco, scusami se mi sono permessa di farti delle
avances, ma d'altronde sono una ragazza libera e
sessualmente attiva, nel senso che a me il sesso piace
e se consensuale non è mai un tabu. Credimi per me
non ci sarebbe stato nessun clash ma rispetto ed
apprezzo la tua sincerità. Ed ho capito che anche
questo fa parte della tua onestà intellettuale, cosa
posso dire… complimenti!
93
-
-
-
C’è solo una cosa che ho bisogno di dirti prima di
andare. Sono stata seduta sul quel cavolo di divano
nell’angolo della hall per più di un’ora aspettando il tuo
arrivo, ero assorta nel tipo di scuse che avrei dovuto
snocciolare al tuo arrivo, quando mi sono accorta che
qualcuno si era avvicinato e me lo sentivo alle spalle, in
silenzio. Ho fatto piano il gesto di voltarmi ma una voce
di uomo, quasi sussurrata, mi ha detto gentilmente:
Per favore non si volti Catherine, non ce n’è bisogno,
devo solo lasciarle un messaggio da dare a Mr.
Rambaldi. Sia gentile, glielo dia senza fare domande.
Merde, mi sono irrigidita come una stecca e non sono
neanche riuscita a girare la testa di un solo millimetro…
ma come cavolo fa questo a saper che… Ho visto una
piccola busta bianca appare sulla spalla sinistra e
cadermi giù sulle gambe… qualche secondo e mi sono
voltata… non c’era nessuno! Ma la busta era lì sulle
mie gambe ed eccola qui.
Catherine la sfilò dalla piccola borsa che aveva con lei e la
porse a Marco. Marco la fissò per un istante e la prese
delicatamente. La piccola busta del formato di un quarto di
A4, tipo biglietti di auguri per intenderci, era bianca senza
una sola parola né davanti né dietro ed era sigillata.
-
-
-
94
OK, grazie Catherine, non ti allarmare, magari un
messaggio di lavoro, me lo leggerò con calma più tardi,
comunque grazie, ambasciator non porta pena, ricordi?
Si certo, nessun problema, magari è solo una
coincidenza, magari quello ha chiesto alla reception
alla stessa persona alla quale anche io avevo chiesto
se tu eri già tornato, e la persona della reception gli ha
detto che io ti stavo aspettando…
Ma sì, non c’è da farsi dei film, direi piuttosto che è ora
di salutarci, ti faccio i miei migliori auguri per una
carriera sfolgorante, sono sicuro che lavorando
duramente e con un po' di fortuna diventerai un
architetto creativo di fama… magari ne riparliamo fra
-
una ventina d’anni!
Ti ringrazio di cuore e ti prometto che un giorno ci
rivedremo… magari quando sarò bella e famosa!
Bella lo sei anche adesso!
Catherine si avvicinò e gli dette un bacio sulle labbra,
sussurrandogli:
-
Peccato per il sesso, ti volevo proprio!
Sgattaiolò via senza voltarsi e la vide sparire nel nulla.
Si incamminò verso l’ascensore.
Non l’avrebbe più rivista.
Quando entrò nella camera, si disse solo che finalmente
domani sarebbe stato l’ultimo giorno, anche questa cavolo
di camera non l’avrebbe più rivista.
La busta era lì nella tasca dei pantaloni, la sfilò e la poggiò
sul tavolo insieme a sigarette, accendino e ai due cellulari,
l’avrebbe letta dopo, prima una doccia.
Quando uscì dalla doccia era oramai mezzanotte e mezza
e francamente era troppo stanco per pensare ad altro, si
distese un attimo nudo sul letto per gustarsi l’aria
condizionata e nel giro di un paio di minuti dormiva
profondamente.
Riaprì gli occhi che la luce dell’alba aveva invaso la
camera, si rese conto che erano appena le 5:45, era nudo
e nella stessa posizione di quando qualche ora prima si
era disteso per godersi un po' di fresco, solo che adesso
sentiva quasi freddo, si infilò sotto le lenzuola e si
riaddormentò.
Alle 8:00 il BB suonava come un’orchestra sinfonica,
madonna che fiati! Era ora di alzarsi ad affrontare l’ultima
giornata negli “studi associati” di Houston, finalmente
stasera avrebbe chiuso le pratiche e via sull’aereo che
l’avrebbe riportato a Roma.
Non vedeva l’ora di riabbracciare Franca e farle tutto
95
quello che aveva sognato di farle durante questo mese
costretti lontani.
Quando si avvicinò al tavolo per raccogliere le sue cose, si
rese conto che aveva completamente dimenticato la
piccola busta… chi se ne frega, sarà senz’altro una rottura
di balle, magari proprio qualcuno che voleva una
raccomandazione o roba del genere… se la mise in tasca
pensando di aprirla più tardi in ufficio.
La giornata fu impegnativa, chiudere la relazione finale non
fu proprio una passeggiata, cavilli e postille a decine, ma
alla fine Marco era riuscito a mettere tutti d’accordo e tirare
abbastanza d’acqua al proprio mulino.
La firma finale fu una vera liberazione, arrivederci e grazie!
Erano circa le 18:00 quando finalmente lasciò gli studi
associati per andarsene in aeroporto, il volo Emirates era a
mezzanotte e mezza, aveva tutto il tempo di passare in
hotel, prendere la valigia, fare il check-out e dirigersi in
aeroporto per arrivare tranquillamente verso le 22:00, in
pieno orario per fare il check-in, bere una cosa alla
business lounge, quattro passi di prassi al duty free, e via
al gate ad un quarto alla mezza.
-
-
-
96
Tesoro, allora come stai? Sei già arrivata?
No, sono a Marsiglia, ho deciso di tornare in auto per
godermi un po’ di costa e di sole, sarò comunque a
Roma in tempo per preparare la nostra alcova prima
del tuo arrivo.
Eccitata? Io sono in aeroporto, ancora 14 ore di volo
ma quando arrivo ti segrego in casa per un paio di
giorni fino allo sfinimento totale dei sensi! Non ti farai
mica venire le tue cose per sfuggirmi?
Amore mio, mi sento eccitata come una bimba che
riceve per la prima volta una bambola… direi che mi
sento anche una femmina in calore da un mese senza
maschio, quando vieni ti sbrano e mi faccio sbranare
senza limiti fino alla morte!
Senza limiti?
-
Nessun limite!
Finalmente Marco era in aereo comodamente accomodato
in business, champagnino gelato e hostess gentili.
Tirò fuori dalla tasca la busta bianca e la rigirò un paio di
volte, il contenuto al tatto era abbastanza rigido, sembrava
contenesse un biglietto di auguri o un biglietto di invito.
Alzò con cura un lembo e ci infilò sotto la punta della
penna per poter tagliare la busta lungo il bordo senza
rovinarla.
Con il pollice e l’indice della mano destra sfilò il contenuto,
quello che credeva essere un cartoncino.
Non era un cartoncino, era una fotografia, anzi era un
pezzo di fotografia ritagliato da una fotografia molto più
grande. Essendo appunto solo un pezzo di fotografia non
era molto chiaro, Marco lo girò e rigirò un paio di volte fino
a decidere che forse era quello il verso giusto.
A questo punto l’immagine lo colpi come uno schiaffo!
Era chiaramente una porzione di tatuaggio identico a
quello che Franca aveva sul fondo schiena, una sorte di
aquila stilizzata con le ali aperte che sembrava venire fuori
dall’incavo delle natiche per aprire le ali in volo. Era un
tatuaggio comune, diverse donne lo hanno cosi simile. Ad
un occhio esperto, ogni tatuaggio è un pezzo unico nello
stile, nel tocco del disegnatore, nei colori, ma quello li era
facilmente riconoscibile anche da un profano come lui. Era
uguale a quello di Franca, anzi “era” quello di Franca, visto
che guardando proprio bene fra le linee del disegno si
riconosceva un piccolo neo che era esattamente quello di
Franca!
Marco rimase interdetto. Poteva solo essere stato uno
scherzo (a sfondo erotico) di Franca… aveva organizzato
mandando il ritaglio della foto all’hotel e chiedendo a
qualcuno della reception di farglielo avere senza far capire
che… Marco non vedeva altra spiegazione plausibile.
Franca 97
Franca aveva un paio di giorni a disposizione e quindi
aveva deciso di tornare in treno, Parigi Lione Marsiglia, e
poi in macchina fino a Roma. Avrebbe affittato una vettura
a Marsiglia e se la sarebbe goduta guidando lungo la
Costa Azzurra, avrebbe pernottato a Nizza o a Montecarlo
e poi via, Genova, Livorno, Civitavecchia, tutta una tirata
lungo la costa Tirrena fino a Fiumicino, e poi finalmente
Roma.
Ed è quello che fece.
A conti fatti sarebbe arrivata una mezza giornata prima di
Marco, il tempo di arieggiare la casa, fare la spesa,
preparare un bel letto di lenzuola di raso di seta,
parrucchiere, estetista, e voilà! Sarebbe stata pronta e
perfetta per accogliere il suo uomo nella loro piccola e
confortevole alcova d’amore.
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QUATTORDICI Æ
Tokyo L’Aeroporto Internazionale di Haneda tratta una cosa come
64 milioni di passeggeri l’anno, è al quinto posto nel
mondo.
Quando arrivi con l’aereo e guardi giù dall’oblò, non ti
riesce di capire quanto grande possa essere Tokyo… 13
milioni di persone assembrate in una densità di 6000
persone per km quadrato, probabilmente la più elevata del
mondo.
NOTA DELL’AUTORE In verità Tokyo non è neanche una città, per la legge Giapponese è una Metropoli, cioè un vasto agglomerato di quartieri e città riuniti (e) sotto un unico governo chiamato Tokyo‐to (Metropoli di Tokyo). Tokyo è uno degli agglomerati urbani più grandi del mondo per estensione e per densità di popolazione. Tokyo “centro” (circa 8,5 milioni di residenti) è suddivisa in 23 “quartieri speciali”, municipalità che si autogovernano, ogni quartiere con un proprio centro (solitamente una stazione ferroviaria). Setagaya è il quartiere più popolato. Tokyo comprende inoltre altre 26 città, 5 paesi e 8 villaggi, ognuno dei quali possiede un governo locale. Il Governo Metropolitano di Tokyo è condotto da un governatore pubblicamente eletto e da un'assemblea metropolitana con sede nel quartiere di Shinjuku. Capitale Orientale del Giappone in quanto si trova più ad oriente rispetto alla precedente capitale imperiale Kyoto, Tokyo è indicata comunemente come capitale del Giappone dato che il Governo Giapponese e l'attuale Imperatore risiedono lì nel quartiere di Chiyoda. 99
Quartieri speciali Adachi ‐ Aoyama ‐ Arakawa ‐ Bunkyo ‐ Chiyoda ‐ Chūō ‐ Edogawa ‐ Itabashi ‐ Katsushika ‐ Kita ‐ Kōtō ‐ Meguro ‐ Minato ‐ Nakano ‐ Nerima ‐ Ōta ‐ Setagaya ‐ Shibuya ‐ Shinagawa ‐ Shinjuku ‐ Suginami ‐ Sumida ‐ Toshima ‐ Taitō Pung era ricomparso da una mezz’ora, fresco e profumato,
jeans Armani con cintura di cuoio ed camicia bianca Polo
RL con i polsi ripiegati due volte. Al polso un invidiabile
Ulisse Nardin Maxi Marine Le Locle in acciaio, quadrante
classico bianco, cinturino di gomma nera. Mocassino Tod’s
cuoio.
Veramente l’impressione di Marco fu che Pung era un po’
troppo perfettino, quasi stucchevole.
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D’altronde è vero che le cose belle sono belle anche
perché le sai portare bene, però non bisogna mai
esagerare e sconfinare nel modello “reclame”.
Paul si era svegliato da un pezzo e si era subito riattaccato
al laptop, sembrava una macchinetta impazzita, chissà poi
cosa cavolo voleva finire per forza prima dell’atterraggio
che non avrebbe potuto finire anche dopo. È anche vero
che le idee le devi mettere giù quando ti vengono, se
aspetti che il momentum passi sei fregato, non saranno
mai più come quando ti sono arrivate.
Ecco perché tutti gli architetti, un po' come tutti gli artisti,
sono dei grafomani.
Il G650 atterrò come un alieno frenando in pochissimi metri
e svoltando per andare al parcheggio.
Sotto l’aereo c’erano due Lexus Land Cruiser LX570 nere,
immacolate, con autisti in divisa nera.
-
-
Mr. Marco, una vettura è per voi, a vostra totale
disposizione 24 ore al giorno per tutta la durata del
vostro soggiorno, l’autista parla perfettamente inglese e
conosce a perfezione la città. Adesso passiamo
insieme a fare i controlli doganali e poi ci dividiamo,
l’autista vi accompagnerà all’hotel dove sarete ospitati
e se non ha nulla in contrario ci rivedremo direttamente
domattina in ufficio.
Nessun problema, Mr. Pung, il programma mi sembra
perfetto, e la sua cortesia “even more”.
Le pratiche al customs gate non presero più di una
quindicina di minuti… Li Ban era sempre più splendida:
-
Marco, mi dispiace doverla salutare, veramente
pensavo di ospitarvi da noi, ma mio marito ha suggerito
che sareste stati più liberi in hotel, probabilmente ha
ragione. Tokyo è una città che offre tutto e stando in
hotel sarete liberi di spaziare a vostro piacimento.
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Anche se non penso che due persone adulte abbiano
bisogno di consigli speciali, è bene non dimenticare che
Tokyo è una città enorme e in alcune zone anche molto
pericolosa, come d’altronde tutte le metropoli del
mondo. Tranne Dubai, come ben sapete. Per cui fate
molta attenzione, ci si perde facilmente e non parlate la
lingua. Comunque non pensi di essersi liberato di me!
Vorrò essere il suo cicerone per mostrarle la Tokyo che
da solo non avrebbe mai la possibilità di scoprire,
sempre che lei abbia la vitalità e il coraggio necessari!
Lo guardò diritto negli occhi senza mollare lo sguardo,
inalando un profondo respiro e mordendosi per un istante
la parte sinistra del labbro inferiore.
Ma che cavolo, questa qui non mollava mai!
-
Li Ban, sa benissimo che non potrei mai rinunciare, una
occasione tanto interessante non potrebbe ripresentarsi
mai più in tutta la mia vita… scoprire una città
accompagnato da un autoctono cambia completamente
le cose. La Tokyo per tutti lasciamola ai turisti! Quando
vuole, Li Ban, a sua completa disposizione, potrà fare
di me tutto quello che vorrà! Le chiederò solo di farmi
uscire vivo… non sono ancora così vecchio per poterci
lasciare la pelle!
La risata fu contagiosa, e Pung sembrava diversi più di
tutti.
-
Allora a domani! Alle 10 nel mio ufficio.
A domani. E grazie di tutto Mr. Pung. Madam Li…
La macchina correva veloce sulle highway, traffico medio
ma sostenuto, chissà quanto tempo ci sarebbe voluto per
raggiungere l’hotel.
102
Non più di mezz’ora, quaranta minuti, Mr. Pung (disse
-
cortesemente l’autista), speriamo che il traffico non
aumenti, Minato-Ku è il primo distretto, praticante ci
siamo già dentro.
Nessun problema, si figuri, per noi è la prima volta a
Tokyo e osservare un po' la città dalla macchina non ci
annoierà affatto.
Paul sembrava pensieroso, o meglio, dalla dogana si era
evidentemente impensierito…
-
-
-
Marco, la tipa mi preoccupa, non è che ti lasci sedurre
e mi tocca venirti a cercare per recuperarti col
cucchiaino? La partita è troppo importante per perdere
la testa!
Paul ma che dici? Cavolo, mi conosci fin troppo bene,
figurati se mi lascio intorpidire da un paio di gambe e
da uno sguardo la gatta in calore, ma dai! Ma non l’hai
visto che è tutto un gioco? Si sono messi d’accordo per
testare la mia integrità e vedere fino a che punto sono
disposto a lasciarmi andare senza mettere in pericolo il
progetto… ma dai! Ti sembro forse un bambino?
Ma quale bambino, Marco, queste sono cose da adulti
e la tipa la sa lunga. È chiaro che il test continua, ma
non farti fregare! Ok, non ne parliamo più, ma se ti
vedo coinvolto ti spacco la faccia e ti riporto alla realtà
a calci nel culo, chiaro?
Paul concluse la frase sghignazzando per non creare
tensione, ma era sicuro che il messaggio fosse arrivato a
segno.
Grand Hyatt Tokyo.
Era quanto di meglio potesse sperare Marco, lui era un fan
dei Grand Hayatt.
-
Allora signori, sarò qui domattina alle 9:00 in punto per
essere in ufficio alle 10:00 precise: Benvenuti a Tokyo
e buon riposo… domani comincerà la kermesse!
103
-
Grazie… mi scusi, non credo di aver capito il suo
nome…
Ken, Sir, my name is Ken.
Perfetto Ken, grazie, saremo nella hall alle 9:00 in
punto.
La hall era ovviamente enorme, la reception di
conseguenza.
All’ingresso poterono rinfrescarsi con dei tovaglioli imbevuti
di acqua di rose, cortesemente offerti da ragazze in
kimono.
Non erano arrivati a metà della distanza dalla porta
girevole alla reception che una bella ragazza in tailleur
nero e capelli raccolti sulla nuca venne loro incontro
sorridendo e chiamandoli per nome:
-
-
Mr. Rambaldi, Mr. White, you are most welcome to the
Grand Hayatt Hotel of Tokyo Minato-Ku. The flight was
ok? I am sure you will enjoy your staying in the Grand
Hayatt and in Tokyo. You don’t need any formality, just
give me your passports and take a seat on the sofa for
a second; I will be back with your keys… something to
drink?
Some sparkling water will be perfect.
La ragazza tornò indietro in un paio di minuti con le due
card elettroniche, le porse a Marco e Paul:
-
104
Grand Executive Suites 3701 e 3721, i vostri bagagli li
troverete già in camera, avete accesso libero ai quattro
business club aperti 24h e a tutte le facilities dell’hotel
Grand Hayatt, palestre, piscine, health centre, spa. I
nostri pub, bar, discoteche e ristoranti sono a vostra
completa disposizione. La vostra sola incombenza sarà
quella di firmare i ticket. Naturalmente è tutto incluso
nel soggiorno offerto dalla Jo-Pung.
Come tutto incluso? (chiese Marco)
All included, Marco-san. Enjoy your stay.
Grand Executive Suite… praticamente un appartamento
completo di ogni confort, con vetrate sulla città di Tokyo
che di notte è uno scenario mozzafiato di luci e colori, cuori
che esplodono pulsando streams di sangue di vari colori
nelle arterie, nelle vene e nei capillari della metropoli
sconfinata.
Marco era senza parole. Pung ci teneva a far vedere che
poteva offrire il meglio senza problemi. OK, forse il tutto
era anche un pochino esagerato: - Ma in fondo chi se ne
frega, se lo ha fatto è perché voleva farlo, e poi
evidentemente ce lo meritiamo!
Marco alzò la cornetta del telefono:
-
-
-
Ehi Paul, che ne dici di farci un giretto dell’hotel fra una
mezzora? Poi ce ne andiamo a cena nel miglior
ristorante dell’hotel alla faccia di Pung e tanti saluti!
Ma si dai, ci vediamo agli ascensori fra mezz’ora… ma
perché poi ci avranno dato due suite ai lati opposti del
trentasettesimo invece di darcene due contigue?
Mah, forse erano tutte occupate…
Sarà… ci vediamo fra un po'
OK
La doccia lo rimise al mondo, una camicia pulita e
profumata di fresco era proprio quello che ci voleva prima
di andare a cena. Malgrado non avesse sudato per niente
durante il viaggio, era sua abitudine comunque darsi una
rinfrescata e cambiarsi almeno la camicia prima di uscire la
sera.
Tirò fuori dal bagaglio la scatola da viaggio con i 4 orologi
che lo avevano seguito, scelse il Reverso Grand Taille
meccanico a carica manuale e lo caricò con cura prima di
indossarlo. Aggiunse un paio di sprizzi del suo amato
Chanel Blue e si chiuse la porta alle spalle.
105
Å QUINDICI
Franca Marsiglia le era sempre piaciuta. A parte la città in quanto
tale, Marsiglia le stava simpatica perché sembrava una
città del sud dell’Italia, persone schiette e solari, facce
aperte e pochi orpelli, gente vera che ha da sbarcare la
vita e si ingegna per questo.
E poi c’è la lingua, la pronuncia è bellissima come tutte le
città del sud di ogni paese.
Franca aveva prenotato una Golf cabriolet e passò a
ritirarla, il rent a car era proprio fuori dalla stazione
ferroviaria.
Guidava dolcemente, voleva godersi il sole e la musica.
La verità è che voleva rivivere delle sensazioni lontane nel
tempo, quando ai tempi dell’università si erano prese a
nolo una 205 cabriolet bianca e con la sua amica se ne
erano andate in giro per l’Italia a fare le Telma & Luise.
Sara l’aveva conosciuta in facoltà, le era piaciuta subito,
uno spirito libero e ribelle come il suo, senza catene e
senza legami.
Sara maneggiava denaro con disinvoltura ed era sempre
generosa con Franca, praticamente pagava sempre lei e le
diceva sempre:
-
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Franca non stare sempre lì a scusarti e a ringraziare,
toccherà a te quando ne avrai le possibilità, per il
momento sono io che ho il grano e l’importante è
divertirsi. L’unica cosa che non dobbiamo però mai
perdere di vista è la laurea, a quella non si rinuncia. Si
studia, si fanno gli esami, si fanno i sacrifici, e solo
quando abbiamo del tempo libero, un po' di grano e la
voglia di divertirci… beh, ci divertiamo! E poi i soldi
costano e vanno spesi bene, prima per le necessità e
poi per il divertimento, se ne avanzano.
Franca lo sapeva bene che “i soldi costano”, quasi tutte le
mattine all’alba se ne andava a pulire un pub o un
ristorante per tirare su quanto le occorreva per pagare
l’affitto e tutto il resto.
Sara invece i soldi li aveva sempre senza lavorare, forse
aveva alle spalle una famiglia che non le faceva mancare
nulla.
Dopo qualche tmepo scoprì che non era proprio cosi.
Una notte erano in una discoteca dove non erano mai
andate, qualche drink e la musica alta le avevano mandate
un po' su di giri, si divertivano come due pazze scatenate
ballando fra loro, senza prestare nessuna attenzione ai
ragazzi che cercavano di attaccare bottone in tutti i modi.
Sara si allontanò per la terza volta per andare in bagno,
niente di anormale solo che questa volta non tornava.
Dopo una ventina di minuti, dato che le scappava anche a
lei, Franca si diresse verso le toilette, magari l’avrebbe
trovata lì.
Il lungo corridoio per raggiungere i servizi era in fondo alla
sala, con una fontana a mezza strada che faceva da
rondò, i bagni per gli uomini a sinistra e quelli per le donne
a destra. Il corridoio poi continuava per una manciata di
metri e girava ad angolo retto, non era dato sapere dove
conducesse, c’era un cartello ben evidente il “vietato
l’accesso”.
Franca entrò nei bagni delle donne e si guardò intorno, era
pieno di ragazze che discutevano, si truccavano, si
lavavano, che entravano ed uscivano dalle toilette.
No, sembrava che Franca non ci fosse, forse aveva fatto la
fila per usare le toilette e ora era dentro. Franca si mise in
fila. Dopo cinque o sei minuti era arrivato il suo turno ma di
Sara neanche l’ombra. Quando tornò fuori si diresse ai
lavabi per lavarsi le mani. Di Sara nessuna traccia. Tornò
in sala da ballo, poi al bar, poi di nuovo in sala, niente.
107
Si diresse di nuovo verso i bagni. Arrivata all’altezza della
fontana sentì delle voci piuttosto animate provenire dal
corridoio privato, litigavano… ma una delle voci era quella
di Sara!
Cavolo, ma che sta succedendo? Franca si irrigidì
preoccupata e rimase in ascolto facendo più attenzione.
Era proprio la voce di Sara. Franca si fece coraggio e si
incamminò lungo il corridoio ma prima di svoltare l’angolo
si fermò ancora ad origliare.
Ora le voci erano chiare, Sara e la voce di un uomo… I
due litigavano pesantemente.
-
-
-
-
Hai capito che devi fare quello che diciamo noi? O vuoi
passare un guaio? O magari la tua bella faccina non ti
piace più? Vuoi che te la sfascio per sempre?
Sei un bastardo! Mi avevate promesso libertà totale,
solo se e quando ti va! Invece adesso che volete? Che
diventi la vostra schiava? Io non sono una puttana di
strada, e non erano questi i patti… solo con chi e
quando ne vale la pena… erano questi i patti giusto?
Carina, le cose cambiano, hai capito che cambiano?
C’è poco da fare la schizzinosa, adesso il periodo è
cosi e tu ti adegui senza rompere le palle, chiaro? Ti è
piaciuto fare i soldi facili fino ad ora o mi sbaglio? E non
voglio più ritornare sull’argomento. Quando chiamo
voglio solo sentire un sì, un ok, un nessun problema…
e non le tue stupide lamentele da troia! E adesso
vattene e non ci provare mai più a rifiutare un
appuntamento! Siamo intesi?
Sei un bastardo! Ma parlerò con chi di dovere.
Fai pure deficiente, solo che non te lo consiglio, ti
faranno a pezzi prima che tu te ne accorga.
Ma vaffanculo!
Franca sentì i passi di Franca risalire il corridoio, non
voleva assolutamente farsi trovare li, corse indietro e si
sedette di spalle sulla panchina rotonda della fontana in
modo da non essere vista da Sara.
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Si girò giusto un po' per vedere Sara entrare nei bagni e a
quel punto tornò in sala andando dritta al bancone del bar.
-
Un Martini cocktail col Tanquerey (le tremavano le
gambe)
Il barista fu velocissimo e le porse il calice, Franca lo
prese, tirò via lo stecchino con l’oliva verde, portò il calice
alle labbra e con un grande sorso ne buttò giù la metà.
Cavolo che storia!
Ma chi era veramente Sara?
E quel tipo?
Come era possibile?
Pensava di sapere tutto di lei.
Forse aveva solamente capito male o mal interpretato le
parole.
Sara arrivò di lì a poco piuttosto sconvolta, disse giusto:
-
Franca, andiamo via, forse mi ha fatto male bere o
chissà cosa, non mi sento bene, voglio tornare a casa.
Certo, nessun problema, andiamo a casa.
Quella notte Franca non chiuse occhio, non era possibile…
Sara aveva rapporti con tipi poco raccomandabili che la
minacciavano. Ma di cosa? Sinceramente più ci pensava e
più non riusciva a collegare.
Verso le undici la sveglia suonò e Franca si accorse di
essere sola nel letto, forse Sara era andata via senza
svegliarla.
Si alzò e si incamminò verso il bagno che era dall’altra
parte del corridoio della sua casa da studentessa fuori
sede, vicino al cucinotto.
Adesso sentiva chiaramente i singhiozzi provenire dal
bagno, si affrettò, spalancò la porta e vide Sara nella
vasca da bagno, immersa nell’acqua calda schiumosa, che
piangeva come una bambina.
109
-
Sara ma che cavolo succede? Questa notte ero lì che ti
cercavo ed ho sentito tutto… ma chi era quel tipo che ti
minacciava? In che guaio ti sei cacciata?
Sara scoppiò a piangere più forte, non si tratteneva più.
Franca la prese tra le braccia, la tirò su e l’abbracciò forte,
cosi, tutta bagnata, poi l’avvolse nel suo accappatoio e
cingendola forte la riportò in camera facendola stendere
sul letto:
-
Adesso mi dici tutto, ok?
E Sara le raccontò tutto.
Passarono un paio di giorni e Sara era tornata quella di
sempre. Non ne aveva più parlato e Franca non le chiese
più niente per qualche giorno. Franca però non riusciva a
trattenere curiosità ed attrazione. Forse avrebbe potuto
farlo anche lei per un po’. Insomma un po' di soldi facili le
avrebbero fatto comodo anche a lei per pagare l’affitto,
mangiare, qualche extra. Altro che spaccarsi la schiena
pulendo dei pub per pochi euro.
In fondo era il mestiere più antico del mondo, e poi non era
mica per strada come una battona qualunque.
Escort era la parola magica, escort!
Ti chiamano, vai a cena con uno con i soldi, poi ci vai a
letto, ti becchi cinquecento euro puliti e ciao, chi si è visto
si è visto.
Se lo faccio una volta a settimana, cinque per quattro fa
venti, duemila euro cash per qualche scopata protetta,
niente rischi e soldi buoni, lo faccio per un po' e poi ciao!
Magari se lo faccio sei volte invece di quattro mi metto
anche un po' di soldi da parte.
Fu cosi che convinse Sara ad introdurla nel giro.
Se la ricordava ancora la prima volta, un uomo
interessante sulla cinquantina, pulito, simpatico, e tanti
soldi. Quella notte tornò a casa con mille euro in contanti,
metà per lei e metà da versare ai referenti (era cosi che si
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facevano chiamare).
Sara si era poi trasferita da lei.
Studiavano e studiavano e non perdevano neanche un
esame. Franca non doveva più andare a spezzarsi la
schiena la mattina all’alba nei pub e nei ristoranti per 6 o 7
euro l’ora. Un paio di volte la settimana arrivava la
chiamata e via, qualche ora di sacrificio e i soldi
crescevano, nessun problema per affitto, spese, mangiare,
bollette… nessun problema.
Qualche volta la serata gliela combinavano insieme, ed
allora perché no, insieme si alzavano più soldi, nessun
problema.
E poi il lavoro è lavoro… e quello non era che un lavoro!
Se lo ripetevano sempre, smetteremo quando ne avremo
voglia e soldi abbastanza da dire addio.
Erano passati un paio di anni, Franca cominciava ad
essere stanca di tutto quello schifo, aveva accumulato
diversi soldi che le avrebbero permesso di terminare
l’università. Era ora di farla finita.
In questi due anni ne aveva viste di tutti i colori, oramai ne
aveva la nausea, i tempi del divertimento, perché in fondo
si era anche divertita, e poi del “chi se ne frega tanto è solo
un lavoro” erano passati, oramai si sentiva sporca e
sporcata nel più profondo di se stessa, nella carne e
nell’anima, nel corpo e nella mente.
Negli ultimi mesi aveva cominciato a capire che era proprio
uno schifo, non aveva più pulsioni se non di repellenza,
oramai quegli occhi e quelle mani su di lei le facevano solo
un grande schifo.
Le mancava appena un anno per arrivare alla laurea.
Sara oramai anche lei era sulla stessa linea d’onda, lei
oltretutto aveva cominciato ben prima di Franca. Aveva
provato a dire di volerne uscire fuori, ma in risposta aveva
ricevuto aggressioni verbali e minacce.
-
Franca è ora di dire basta, siamo andate oltre ed è ora
111
-
di farla finita. Che ne dici se ci trasferiamo in un’altra
città per l’ultimo anno di università? Questi qui non ci
lasceranno mai in pace se restiamo qui.
Potrebbe essere una soluzione. Pensiamoci bene
perché non è così semplice come dirlo, dovremmo
sparire dalla sera alla mattina senza lasciare alcuna
traccia per non farci ritrovare.
Franca aveva anche un problema di più.
Erano circa tre mesi che aveva avuto un incontro con un
tipo piuttosto duro, un tipo che aveva tutto l’aspetto di
essere un arricchito della mala, ma non uno che viene
dalla strada, piuttosto uno con un passato di famiglia per
bene che un bel giorno ha incontrato delle persone adatte
con le quali ha messo su un bel giro d’affari, coperture
comprese, che rende bene e che non crea troppi rischi.
Tutto sotto controllo, niente mani sporche di rapine e
omicidi, niente di tutto questo, piuttosto del buon traffico di
cose preziose, oppure di denaro, oppure di società
offshore, insomma qualcosa del genere.
Era un bell’uomo sulla quarantina, sempre ben vestito e
gentile, sempre con copertura al seguito, sempre di poche
parole.
Normalmente gli incontri con escort non professioniste non
hanno mai una frequenza costante, si, magari ci si vede un
paio di volte, o magari ci si rivede dopo mesi, ma non è
comune che un cliente cominci a chiedere con insistenza
sempre della stessa escort, magari un giorno si e l’altro
pure. Non va, non funziona cosi, non è possibile. Franca le
prime volte non aveva fatto storie, lo aveva preso come un
cliente come tanti, che magari era lì per qualche settimana
e lei gli era piaciuta particolarmente.
Poi il tipo era diventato geloso, appiccicoso, quasi
ossessivo:
-
112
Te sei solo mia e non ti voglio dividere con nessun
altro, ti do quello che vuoi ma tu devi essere solo mia!
“Ma sì, chi se ne frega, tanto questo sgancia un sacco di
soldi, prima o poi sparirà”… aveva detto a Sara.
Ma lui non era sparito, e questi tre mesi Franca aveva
lavorato praticamente solo con lui. Durante i rapporti
sessuali il tipo era diventando anche violento. Era tempo di
chiudere, Franca lo sapeva, la cosa stava diventando
troppo pesante e pericolosa.
Era un giovedì pomeriggio quando la chiamata arrivò dopo
un paio di giorni di silenzio. Franca si disse ok, oggi è
l’ultima volta, gli dico che abbiamo passato il segno, mi
spiego con calma e lui capirà.
L’hotel era uno di quelli di sempre, oltre il raccordo in zona
neutra, era un hotel di lusso ma nessuno ti guardava o ti
faceva domande, perfetto e “coperto” per quel tipo di
lavoro.
Il tipo era tranquillamente spaparazzato sul divano, fumava
un sigaro e beveva un drink, sembrava rilassato.
-
-
Ciao Franca, finalmente! Lo sai che non mi piace
aspettare. E poi io sono qui per te, quando ti chiamo
vuol dire che ho bisogno di te, subito!
Ho solo trovato del traffico, niente di più. Piuttosto
vorrei parlarti seriamente… Andrea, sono stanca.
Cosa sei?
Sì, sono stanca, hai capito bene, perché non la
facciamo finita? Lo sai che per me è solo un lavoro, e
anche un temporaneo, insomma questa non è proprio
l’aspirazione della mia vita. Cerca di capire, io non
faccio la puttana a tempo pieno, ho solo bisogno di
pagarmi le spese per poter completare l’università, e ci
sono quasi! Adesso tu che vorresti da me… sposarmi?
Scusami, devo andare in bagno, torno subito.
Il tipo era rimasto di stucco, occhi bassi e duri, fumava
senza dire una parola. Era un uomo ferito.
Franca nel bagno si senti persa, si guardò allo specchio e
113
capi di avere paura, chissà che tipo di reazione avrebbe
trovato uscendo da li, quello era anche capace di riempirla
di botte… merda!
Sentì all’improvviso dei rumori ovattati, forse a causa della
moquette che li smorzava, un leggero tafferuglio e poi una
voce con accento spagnolo che diceva:
-
Stai fermo, oramai siamo qui, non ti agitare, non ne
vale la pena, siamo venuti per te e se collabori faremo
presto senza farti soffrire…
A Franca le si gelò il sangue nelle vene ma non ce la fece
a resistere, se stavano cercando anche lei, voleva almeno
vedere chi l’avrebbe ammazzata.
Aprì non più di 4 o 5 cm la porta scorrevole del bagno,
un’anta scorrevole senza serratura quindi niente rumore,
solo un lieve fruscio.
Nella stanza c’erano due uomini oltre ad Andrea. Andrea
era seduto su una seggiola. Uno dei due lo aveva
immobilizzato tenendogli le braccia tirate con forza dietro
lo schienale della seggiola.
L’altro era in piedi davanti ad Andrea e lo guardava con un
certo disprezzo.
Fu più forte di lei… Franca cominciò a riprendere con la
camera del telefonino, quasi un gesto automatico, una
sorte di inconscio contratto di assicurazione per la sua vita
se mai ne fosse uscita viva.
Aveva tutta la scena inquadrata, immagini nitide di facce
impegnate in un crimine efferato.
L’uomo in piedi si sedette sulle ginocchia di Andrea, rivolto
verso di lui con le gambe larghe, come se volesse
cavalcarlo. Andrea aveva un cerotto sulla bocca, di quelli
da pacco, quindi non poteva parlare, piuttosto mugugnava
qualcosa ma i due non erano minimamente interessati ad
eventuali parole. La sua espressione era indefinibile.
L’uomo con la mano sinistra afferrò i capelli al centro del
capo di Andrea, tenendolo fermo e continuando a
guardarlo negli occhi con aria seria, quasi inespressiva.
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Con la mano destra estrasse dalla tasca posteriore dei
jeans una specie di cacciavite, sembrava un cacciavite ma
con lo stelo a punta. Il manico era pure di acciaio, più che
un cacciavite sembrava uno strumento da sala operatoria,
un punteruolo lungo una ventina di centimetri.
L’uomo lo mostrò ad Andrea che sgranò immediatamente
gli occhi mugugnando forte e scuotendo la testa… aveva
oramai capito le modalità dell’esecuzione.
L’uomo con voce secca disse soltanto:
-
Questo te lo manda Pedro Romero, con i suoi omaggi.
L’uomo spinse indietro la testa di Andrea con la mano
sinistra che stringeva i capelli, fino all’estensione completa
del braccio. Caricò il braccio destro ruotando le spalle ed
aprendolo all’indietro e verso il basso, come una molla.
Osservò la posizione per un istante immaginando la
traiettoria che avrebbe dovuto seguire.
Andrea chiuse gli occhi.
Il braccio destro scattò violentemente e il punteruolo
penetrò nella parte sinistra del collo di Andrea, a fianco
all’esofago sotto la mascella, con un angolo di circa
quarantacinque gradi in direzione della parte posteriore del
cervello.
La violenza del colpo fece affondare il punteruolo
completamente fino al manico. Andrea emise giusto un
rantolo irrigidendosi completamente per un istante, giusto
l’istante nel quale moriva. Poi Il corpo si rilassò.
L’uomo lasciò la presa della mano sinistra e la testa
oramai inerte di Andrea rimase inclinata all’indietro, con il
punteruolo ancora piantato nel collo.
Non c’era praticamente sangue, solo una goccia veniva giù
lungo il collo fra la pelle e il punteruolo.
L’altro uomo, che aveva tenuto Andrea immobilizzato da
dietro sulla seggiola, aveva lentamente mollato la presa,
accompagnando verso il basso le braccia oramai inermi.
Andrea era lì, abbandonato, oramai solo nella sua morte.
Non una parola dai due, solo uno sguardo serio e un
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leggero cenno di capo.
L’assassino, comprimendo la mano sinistra aperta sul viso
di Andrea, estrasse con un colpo secco il punteruolo dal
collo, scartando di lato per non essere colpito dal getto di
sangue che cominciò a sgorgare dal buco ormai libero,
scendendo lungo il corpo a imbrattare di rosso scuro la
camicia bianca di Andrea.
L’uomo si mosse verso il letto ed usando il bordo del
lenzuolo ripulì con calma dal sangue il punteruolo. Se lo
rimise nella tasca dei pantaloni.
-
Job done, vamos.
Furono quelle le sole parole pronunciate prima di uscire
dalla scena del crimine. I due sparirono dalla sua vista e
Franca sentì la porta della camera aprirsi e richiudersi con
un leggero clap. Silenzio assoluto. Il rumore dei movimenti
era stato assorbito dalla moquette spessa del pavimento.
Franca era impietrita ma fece mente locale. In una
situazione del genere doveva pensare velocemente e
trovare una via di fuga. Le impronte… pensò intensamente
a cosa avesse toccato… le maniglie delle porte, il marmo
del ripiano del lavabo… prese un piccolo asciugamano da
bidet e ripulì con perizia sia le maniglie che il ripiano,
anche i rubinetti, e se lo mise in borsa.
Uscendo dal bagno fu invasa da una pena infinita, quel
corpo abbandonato le faceva ribrezzo, ma anche tanta
pietà.
La stanza era al piano terreno e la porta finestra che dava
sul giardino nella parte posteriore dell’hotel era aperta.
Uscì con calma sul giardino guardandosi intorno, non c’era
anima viva. S’incamminò lentamente al parcheggio, si infilò
in macchina, accese, fece manovra e andò via infilandosi
nel traffico.
Con la sua assicurazione in tasca, se mai un giorno
fossero arrivati anche a lei.
116
SEDICI Æ
L’Head Quarter della JO-Pung era impressionante.
Un solo grattacielo di 160 metri, completamente vetrato
color argento, a base quadrata di una quarantina di metri
di lato, nessuna modanatura sulle facciate, solo vetro,
nient’altro che vetro, di una eleganza sollite, con una sola
grande scritta nero lucido sul grande ingresso principale:
JO‐Pung HQ
38 piani di uffici con 5 ascensori centrali, di cui uno
dedicato al 38° piano, quello della Direzione.
10 minuti alle 10 c’era una ragazza ad attenderli nella hall,
che venne loro incontro non appena li vide varcare la porta
girevole:
-
Mr. Rambaldi, Mr. White, welcome to the JO-Pung
Head Quarter, please follow me, I will drive you to the
top of the tower at the 38th floor, Mr. Pung is waiting for
you.
L’ascensore era incredibilmente veloce, in pochi secondi
raggiunsero il piano. La reception del piano era molto
bella, tutto parquet, col bancone circolare e le pareti di
legno bordeaux e grigio scuro, poltroncine nere con
modanature cromate.
L’impiegata li guidò lungo i corridoi di moquette rosso
bordeaux fino all’ufficio dell’assistente di Pung, che scattò
in piedi come una molla pre caricata facendo loro segno di
seguirla.
Le due ante di una grande porta di legno a pannelli
orizzontali si spalancarono, mettendo in mostra un ufficio
enorme, praticamente una sala da ballo con pareti vetrate
sui due lati esterni. La scrivania di Pung era enorme
anch’essa ma risultava proporzionata alle dimensioni
dell’ufficio. Sulla destra un tavolo da riunioni, sulla sinistra
una zona divani.
117
La superficie libera del pavimento, fra zone moquettate e
parquettate, era almeno 3 volte quella occupata dai mobili.
Pung era seduto alla sua scrivania immerso nel lavoro.
Come li vide entrare si alzò e venne loro incontro:
-
-
Marco-San… Paul-San… siete i benvenuti al JO-Pung
Head Quarter, è un onore avervi qui nel mio ufficio!
Mr. Pung, l’onore è tutto nostro. Complimenti per
l’ufficio, sinceramente non avevo mai visto un ufficio
dirigenziale così imponente in vita mia. Degno di un
vero generale!
È la prima osservazione da registrare… pensi quante
ne avrà alla fine della missione.
Pung sorrise, le battute reciproche erano arrivata a segno.
-
-
Prego, accomodiamoci nella zona divani, saremo più
comodi e potremo stilare il programma della vostra
visita.
Con molto piacere Mr. Pung
Non c’era niente di scontato, mai, le parole bisognava
saperle usare ed i momenti anche. Una parola sbagliata
può incrinare anche le migliori relazioni, sia professionali
che private. Era una delle ragioni per cui Marco era
riflessivo e parco, pensava sempre prima di parlare, in
passato aveva pagato una certa “libertà di espressione”
che gli aveva creato dei problemi.
Marco non era uno che alzava la voce, preferiva sempre
prima ascoltare e poi parlare, come preferiva sempre
riflettere un attimo di più prima di dare un consiglio, un
ordine, una risposta.
Era proprio questo che lo rendeva “speciale”.
Dava il giusto valore all’aspetto umano delle persone,
osservando poi come le stesse si comportavano da un
punto di vista professionale e con i colleghi.
Marco era un convinto fautore del fattore umano come
cosa determinante per una buona riuscita professionale.
118
Il fattore umano incide su quello professionale. Se sei una
persona equilibrata, lucida ed intellettualmente onesta,
interagisci positivamente con la tua vita professionale. Se
al contrario sei un animale insicuro e aggressivo di tuo,
inevitabilmente sarai insicuro e aggressivo anche
professionalmente, rischiando la solitudine.
Marco era sempre più convinto dei successi non si
conquistino con l’arroganza del potere, ma con l’umiltà di
un vero leader.
La prima visita guidata dallo stesso Pung durò circa tre
ore, e fu giusto una passeggiata attraverso i vari
dipartimenti nei 38 piani della JO-Pung HD Tower, dei
quali 35 erano adibiti ad uffici e laboratori tecnici veri e
propri. Dei rimanenti 5, uno era l’enorme mensa con le
cucine ed i quarters degli addetti, uno accoglieva gli asili
per i figli degli impiegati da zero ad età scolare ed una
nutrita libreria con testi sia cartacei che in supporto
elettronico, ed uno infine una bellissima palestra con
annessa piscina, saune, massaggi, etc.
Insomma, per gli impiegati della JO-Pung, l’Head Quarter
era una sorta di casa nella quale trascorrevano la giornata
fino alla sera, per poi tornare nelle loro case periferiche
dovendosi preoccupare solo di una parte delle loro
necessità quotidiane.
Questa non era una prerogativa solo della JO-Pung, molte
società si preoccupano di dare ai loro dipendenti il
massimo che possono. In genere le coppie si formano
all’interno della Società stessa, diventano famiglie, i figli
nascono. L’imprenditore preferisce che famiglie non si
disgreghino, che restino in seno all’azienda che si cura in
parte anche della loro vita privata. In fondo è solo una
strategia per tenerli legati per il resto della vita.
I vari dipartimenti erano impressionati, decine e decine di
impiegati per ogni piano che lavoravano come formiche
senza quasi emettere neanche un suono, tutto sembrava
perfetto, profumato, anche se ad occhi occidentali di Marco
119
e Paul tutta questo doveva sembrare molto alienante. Ma
la percezione occidentale è lontana anni luce da quella
orientale. E viceversa.
Questi giorni di visita gli avrebbero dato l’opportunità di
capire in parte le necessità di base, che poi in parte
sarebbero state integrate nel nuovo progetto.
Quando alle 18.00 uscirono dalla torre la serata era bella e
serena, c’era ancora luce, il sole sarebbe tramontato alle
19:00.
-
-
-
Paul che ne dici, passiamo in hotel, ci facciamo una
doccia e poi ci facciamo portare in un bel ristorante
tipico e ci facciamo una mangiata di sushi e sashimi.
Approvo, d'altronde se non approfittiamo qui…
Ken ci aspetterebbe una mezz’ora? Facciamo una
doccia e poi vorremmo andare a mangiare dove lei ci
consiglierà, Japanese cuisine of course!
My pleasure Sir!
Tokyo di notte è un gran casino, traffico da matti e fiumane
di persone che si cercano, si incontrano, si trovano, si
esibiscono, si scrutano, si parlano. I ragazzi nei centri
commerciali e fuori i locali alla moda ti fanno impazzire
solo a vederli. Il quartiere di Shibuya (il quartiere dei
giovani) ne è l’apoteosi. All’esterno della, Shibuya
Crossing è probabilmente il punto di incontro più trafficato
del mondo. Il venerdì e il sabato sera c’è l’estremismo del
fashion pompato fino e oltre l’esasperazione dei trend.
Capelli, colori, piercing, vestiti, stivali, scarpe, unghie,
trucchi, occhiali. Bellissimi, punkissimi, darkissimi,
barbygirllissimi, dandyssimi, heavymetalissimi… fra la
statua a grandezza naturale del cane Achiko e il fashion
shopping mall 109 è una totale follia.
Ken aveva parcheggiato in un multipiano ed ora Marco e
Paul lo seguivano a fatica nella folla davanti ai ristoranti e
ai locali notturni. Eccolo finalmente quello che Ken
120
cercava. Il Sushiko, un buon ristorante dove si tratta solo
pesce freschissimo sfilettato dietro i grandi vetri della
cucina, tutto a vista per rassicurare il cliente dell’onestà
della casa. C’è un lungo rullo continuo che trasporta ai
tavoli i piattini di sushi e sashimi freschissimi (simile ai rulli
per i bagagli in arrivo negli aeroporti). Si sceglie man mano
che i piattini passano, alla fine si paga quello che è stato
consumato. Questo tipo di ristoranti giapponesi sono
divenuti famosi nel mondo, a Dubai ce ne sono diversi.
-
-
Paul, credo la prossima settimana sarà interessante ma
sicuramente molto impegnativa per noi. Da quello che
abbiamo visto oggi, en passant, la cosa mi sembra
seria. Questa gente ha delle abitudini ben precise e
strutturate. Sicuramente si aspetta un cambiamento
evidente, ma anche il mantenimento degli schemi di
base, una sorte di compromesso non traumatico.
Hai ragione Marco, stessa netta impressione. Consiglio
una tre giorni di full immersion nei vari dipartimenti cosi
così da farci una idea di chi sono, cosa fanno, come lo
fanno, che tempi hanno, quale filosofia di base e di
dettaglio adottano, e poi ce ne torniamo da Pung con
un minimo di idee per capire fino a che punto lui è
disposto ad arrivare, che tipo di compromesso è
disposto a fare.
In quel preciso istante il BB di Marco emise il suono di un
sms in arrivo. – Che palle! Pensò Marco, gli sms
continuavano a non piacergli, come non gli erano mai
piaciuti. Fece uno sforzo solo perché poteva essere Pung.
< Marco cena da noi domani alle 20:00. La prego di farci
l’onore di accettare. L’autista è già stato istruito. Li Ban >
-
Pau, si comincia con le danze. domani sera a cena dai
coniugi Pung.
Dimmi pure che non te l’aspettavi!
121
< Ci saremo senz’altro, grazie e a domani >
===
La casa di Pung era strabiliante.
Una Penthouse all’ultimo piano di uno dei grattacieli nel
modernissimo quartiere Odaiba. Il garage sembrava un
salotto, completamente piastrellato com’era pavimento e
pareti. Ascensore dedicato direttamente dal garage al
Penthouse. L’ascensore arrivò al piano con la solita
velocità supersonica, giusto un fruscio. Le porte si aprirono
e alla loro vista si presentò un enorme patio piastrellato di
pietra grigia, con aiuole fiorite e pratini di erba inglese,
piante di limoni e camelie.
La luce veniva su da spot armoniosamente integrati alla
base delle piante ed ai bordi delle zone pavimentate.
Pung venne loro incontro sorridendo come sempre, solito
jeans firmato e camicia di lino bianca con i polsini delle
maniche arrotolati su un paio di volte, questa volta però la
camicia era di quelle con il colletto tagliato alla “coreana”,
ed era lasciata libera fuori dai pantaloni.
Nel patio si aggiravano un paio di donnine minute in vestiti
orientali, si muovevano in silenzio a passettini, proprio
come un occidentale immagina che si muovano le donne
orientali stile Geisha.
In questo magnifico giardino pensile c’erano un paio di
grandi zone divani, una piscina a gradoni, una grande
Jacuzzi, lettini in legno ed ombrelloni quadrati in tela color
ecru.
E poi la zona pranzo, sotto un grande gazebo di tela
anch’esso color ecru. Un grande tavolo in legno di quercia,
impressionante, almeno 2 metri per 6 per 2 pollici di
spessore, e delle sedie in midollino con schienale alto.
Candele di tutti i tipi e colori e profumi erano dappertutto.
La vista di Tobyo by night era mozzafiato.
Si accomodarono in una delle zone divani.
Una delle donnine si avvicinò spingendo un carrellino, era
122
un contenitore di acciaio lucido, con un cupola di vetro
trasparente incernierata, all’interno una bottiglia di
champagne e dei flute adagiati su un letto di graniglia
bianca di ghiaccio.
-
-
Mia moglie ci raggiunge fra qualche istante, è busy a
telefono con qualcuno della sua famiglia. Quando Li
Ban è a Tokyo non la mollano mai, comprensibile.
Nessun problema Mr. Pung, piuttosto devo farle dei
gran complimenti per questa meraviglia.
C’è molto di Li Ban in tutto questo, è stata lei l’architetto
ideatore
Marco rimase colpito da quelle parole… Li Ban aveva delle
doti notevoli, non era solo una bella donna.
In quel preciso momento Li Ban stava uscendo dalla
vetrata del living e si avvicina alla zona divani.
Bellissima come sempre, con una tunica azzurra, piedi
nudi e niente gioielli, capelli neri lucidissimi sciolti sulle
spalle.
-
-
Buonasera Marc, buonasera Paul, siate i benvenuti in
casa Pung!
Madam Li Ban, è un onore per noi. Suo marito ci ha
appena informati che lei ha curato di persona la
realizzazione della vostra casa, mi inchino al suo
talento, non pensavo avesse un ingegno così orientato
all’architettura creativa.
Marco, lei non sa molte cose, forse è per questo che è
qui.
Ha ragione… ma questa quanto è grande città? Anche
da qui, così in alto, non se ne intravede la fine.
Tokyo è enorme, non basterebbe una vita per riuscire a
scoprirla tutta, forse neanche per scoprire i soli
“quartieri centrali”… una metropoli come Tokyo non è
solo grande, è un contenitore di ceti sociali, culture,
dialetti, mentalità. Mi creda, non è facile conoscere
questa città, neanche per noi che ci siamo nati. Per voi
123
occidentali credo proprio sia impossibile. Ma beviamo
una coppa di champagne, è tempo di brindare alla
vostra presenza.
Marco combatteva con se stesso, sentirsi a proprio agio
non era semplice, la presenza di Li Ban lo metteva sempre
in soggezione. La sua sicurezza, la straordinaria bellezza,
quel fascino che non si negava mai, la consapevolezza di
poter fare di ogni uomo il suo personale adulatore. Chissà
cos’altro si nascondeva dietro quegli occhi famelici. Da
quella donna ci si poteva aspettare di tutto.
Marco non era mai stato attratto da questo tipo di donna,
per molto meno le aveva sempre scansate. Purtroppo Li
Ban era la moglie di Pung, il committente di Archetipo, non
era proprio possibile scansarla dal suo cammino. Avrebbe
cercato di non darle ulteriori spunti per affondare le unghie
nella sua carne, anche se Li Ban lasciava intendere senza
troppa indiscrezione di conoscere il suo potere e di volerlo
esercitare.
La cosa che Marco non riusciva tanto a capire era come si
ponesse Pung di fronte a tutto questo. O era un tonto
totale, succube, o era consenziente. In tal caso il gioco era
testare la resistenza di Marco. fino a che punto fosse
affidabile per portare avanti un progetto come Archetipo
senza lasciarlo a metà.
Era questa la teoria di Paul, glielo aveva già detto più di
una volta.
Durante la conversazione, piccole quantità di cibo
arrivavano in continuazione, piattini prelibati, coppettine di
varie zuppe di pesce, sashimi freschissimo con erbe
speziate, tazzine di the diversi da abbinare ai diversi
piattini, bicchierini di sakè caldo per sciacquare via i sapori
fra un piattino ed un altro. Si andò avanti lentamente,
senza fretta e senza tempo, parlando e scherzando, per
circa tre ore, con la partecipazione totale dei conviviali.
124
Marco non si era conto di essere brillo. Quando si alzò per
andare in bagno, per un instante barcollò… si riprese
subito con una battuta di spirito e si incamminò verso le
toilette ridendo fra se e se.
Quando si guardò nel grande specchio al disopra del piano
di marmo dei lavabi, scoppiò in una risata liberatoria
-
Marco sei grande! È questa la vittoria che volevi su te
stesso! Vai avanti cosi!
Quando uscì dalla toilette qualche minuto dopo, c’era
ancora una volta Li Ban sulla sua strada. I due quasi si
scontrarono, arrestandosi ad una distanza impercettibile.
Marco più che sorpreso si sentiva frustrato da questa
nuova situazione inattesa. Lei invece era lucidissima e
come sempre padrona di se. Con il suo solito sguardo
perforante, si avvicinò pericolosamente con la sua guancia
a quella di lui e gli sussurrò quasi impercettibilmente:
-
Marco, c’è un regno nel quale non è dato di accedere a
tutti i mortali. Ci vuole coraggio ma credo di potermi
fidare di lei. Domani le comunicherò il nome del luogo e
l’ora dell’incontro. Buonanotte.
125
Å DICIASSETTE
Franca naturalmente glielo aveva confessato a Sara. Le
aveva raccontato tutto per filo e per segno. Anche del
video preso col telefonino. Le aveva anche detto:
-
-
-
Se mai dovessero scoprire qualcosa ed arrivare a me,
andrei direttamente alla polizia, racconterei tutto e
consegnerei il video clip che li inchioderebbe tutti,
esecutori e mandante. Vai a sapere chi è questo Pedro
Romero… dal nome sudamericano sembrerebbe una
storia di droga. Credo comunque di poter stare
tranquilla, non si sono accorti che ero lì, altrimenti mi
avrebbero uccisa subito.
Sei sicura che non ti abbia visto nessuno, né entrare né
uscire?
Lo sai anche tu come funzionano queste cose, non ci
sono telecamere e nessuno ti vede.
Non perdiamo la testa e aspettiamo gli eventi, se nel
giro di qualche settimana non succede nulla vuol dire
che la storia è finita li.
Ho trasferito il videoclip su un CD, dovrò nasconderlo
per bene, è la mia assicurazione.
Intanto pensiamo a finire l’università, ci mancano solo
un paio di esami e la tesi.
Franca aveva commesso l’errore più grande della vita.
Ci sono cose che non possono essere raccontate,
neanche ad una sorella, neanche ad una madre, neanche
ad un prete! E questa era una di quelle.
In realtà non successe nulla né durante le settimane né
durante i mesi successivi. La storia sembrava conclusa ma
Franca avrebbe convissuto sempre con la paura.
Con l’assassinio di Andrea, i “referenti” sembravano spariti,
forse erano implicati in una qualche maniera direttamente
o indirettamente.
Magicamente la vita era tornata alla normalità, niente più
126
chiamate, niente più prostituzione. Tutto quello schifo
sembrava appartenere al passato.
L’università era finita.
Le due ragazze passarono ancora qualche mese insieme,
si concessero un bel viaggio e dei bei regali. Con il
passare del tempo inevitabilmente le strade si sarebbero
divise.
Franca cominciò a muoversi fra corsi, stage, master, e poi
trovò il primo lavoro. Cosi fu anche per Sara. In diverse
città. Come spesso accade, la lontananza aiuta ad
allontanarsi.
Passarono degli anni.
Franca aveva trovato lavoro al Manhattan di Roma ed era
contenta, la sua vita scorreva benone, era oramai divenuta
una donna formata e cominciava a guardarsi intorno.
Un rapporto stabile con un uomo con il quale avrebbe
potuto costruire una vita. Ed eccolo lì il suo uomo, quel
Marco Rambaldi che le aveva fatto girare la testa dalla
prima volta che lo aveva visto entrare al Manhattan.
Sentiva di amarlo al di là di ogni passione, anche se
quest’ultima stava giocando un ruolo troppo forte.
Quel mese passato lontani era finito.
Franca guidava lungo la costa alla volta di Roma. Marco
l’avrebbe trovata ad aspettarlo, più bella ed innamorata e
passionale che mai.
Chissà che fine aveva fatto Sara. No news, good news!
Era sicura che anche lei avesse imboccato la strada
giusta, I tempi dell’università erano finiti da un pezzo, finiti
e sepolti, no shit anymore, ciao!
Sara Purtroppo non era cosi. Le cose per Sara avevano ripreso
una brutta piega.
127
Dopo un paio di esperienze lavorative non esaltanti, Sara
si era ritrovata di nuovo senza soldi, era disperata. Non
avuto il coraggio di chiedere aiuto a Franca, non poteva
farlo, era una sconfitta troppo grande e la vergogna non le
aveva lasciato campo.
Il salto nel passato era stato fin troppo facile, ed aveva
ricominciato a fare la escort. Di nuovo le notti nei letti di
ricchi porconi, nelle toilette dei ristoranti di lusso fra una
portata ed un’altra.
La depressione aveva cominciato a prendere il
sopravvento, si sentita fallita, umiliata, distrutta nel corpo e
nel cuore. La cocaina era stata il principio della fine. Aveva
cominciato a sniffare cosi, per tirarsi su, per reggere allo
schifo, per sopportare se stessa nell’abisso nel quale era
ripiombata. I tempi dell’università erano un ricordo e le
speranze di una giovane ragazza erano svanite.
La cocaina le stava bruciando il cervello.
Anche il fisico ne risentiva, la cocaina e l’alcool la stavamo
minando, la sua bellezza svaniva. Di conseguenza il
numero delle prestazioni era aumentato e i compensi
erano drasticamente diminuiti. Ben presto i soldi che
faceva non le bastavano più per pagarsi la cocaina.
Quando cominciò a chiedere soldi in anticipo sulle
prestazioni era oramai nelle mani dei “papponi”, ai quali i
“referenti” l’avevano ceduta.
Passava le giornate a cercare la cocaina che le avrebbe
dato la forza di affrontare le notti e passava le notti a farsi
umiliare nel corpo e nell’anima per i soldi che le servivano
a comprare la cocaina.
Non aveva più nulla da perdere.
Vendere Franca era l’ultima cosa che avrebbe voluto mai
fare nella vita… Però quella stronza ce l’aveva fatta, in
qualche modo meritava una lezione.
-
128
Perché lei sì e io no!? Adesso tocca a me. Con i soldi
che mi farò dare potrò ricominciare da capo,
andarmene via, disintossicarmi,
dall’altra parte del mondo!
rifarmi
una
vita
Ed è quello che fece. Vendere Franca.
Ne parlò col pappone raccontando la storia dell’omicidio di
Andrea e della prova filmata che Franca aveva con se.
Non le fu difficile essere creduta, quel delitto di qualche
anno prima era rimasto nella memoria di tutti nel giro.
Un tipo duro e rispettato come Andrea si era fatto credere
capace di poter sfidare il “colombiano”.
La sua vita era finita velocemente in una stanza d’albergo
con un solo foro di arma di taglio che dal collo gli aveva
raggiunto il cervello.
Anche per il pappone era una occasione unica. Rivendette
la notizia direttamente a Pedro Romero, o meglio ad uno
dei suoi uomini che si interessava delle “relazioni esterne”.
Il pappone fu considerato attendibile ed incassò l’anticipo
della vendita. Cosi come vanno queste cose, decise di
tenersi tutto per se. Figurati cosa poteva fregargliene di
una puttana bruciata come Sara. Quando il video clip
sarebbe stato recuperato, e cosa ne avrebbero fatto di
Franca non era affar suo, avrebbe intascato la seconda
tranche ed il suo potere sarebbe aumentato, il rispetto
nell’ambiente sarebbe cresciuto, e magari sarebbe riuscito
a comprarsi una fetta di mercato da gestire direttamente
come un vero boss.
Bisognava che Sara sparisse. Eliminarla fu cosa assai
facile. Una buona dose di cocaina tagliata con polvere
chimica letale. Sara era contenta, questo regalo le sembrò
una specie di grazie per l’affare concluso.
-
Divertiti bella, che fra un paio di giorni l’affare si chiude!
Furono le ultime parole che le fu possibile udire da viva.
Una come tante, una drogata bruciata da una overdose di
merda. La trovarono dopo una settimana a causa del
cattivo odore che usciva dal suo appartamentino.
129
Franca Franca arrivò a Roma in mattinata, fece tutte le cose che si
era ripromessa di fare, restituire la macchina a nolo, aprire
la casa, fare la spesa, passare dal parrucchiere e
dall’estetista, tornare a casa in tempo per preparare una
cenetta romantica.
Tutto secondo i piani, in orario perfetto.
Marco Quando l’aereo da Houston atterrò a Fiumicino, il tramonto
romano era splendido. Mentre l’aereo rullava lentamente
verso il finger, Marco riaccese il BB e chiamò Franca ma il
cellulare di Franca era spento. Forse era scarico, o forse
l’aveva dimenticato spento, forse si era addormentata…
ma com’era possibile, sapeva bene che lui sarebbe
arrivato a quell’ora!
Niente di niente, il telefonino era spento, mentre aspettava
il bagaglio, mentre aspettava il turno per il taxi, mentre
viaggiava nel traffico.
130
DICIOTTO Æ
Marco era eccitato ed impaurito come un ragazzino, alle
22:00 Ken sarebbe passato a prelevarlo per
accompagnarlo all’appuntamento con Li Ban.
Si era vestito di nero, con un vestito leggero di misto lino,
camicia grigio scuro, cinta e scarpe nere. Apri la scatola di
pelle da viaggio e scelse il Rolex Cellini Prince oro rosa
con cinturino in alligatore nero, uno dei suoi preferiti, lo
caricò con cura, rimise l’ora esatta e lo indossò con
soddisfazione.
Si sentiva in ordine e ben curato, pronto ad affrontare
l’apparente follia della donna, a contrastarla se mai fosse
accaduto qualcosa di strano.
Non pensava affatto ad un classico menage sessuale,
troppo semplice e scontato, piuttosto ad una trappola per
metterlo davanti ad un qualche fatto compiuto eclatante
per verificare come Marco avrebbe reagito per difendere la
sua integrità.
Era lì che fumava ansioso nel valet dell’hotel quando vide
arrivare la Lexus di Ken, spense la sigaretta e si avvicinò,
aprì la porta destra posteriore e si infilò nella vettura
velocemente quasi non rendendosi conto che sulla parte
sinistra del sedile posteriore era già seduta Li Ban.
Un colpo al cuore inaspettato.
Pensava l’avrebbe incontrata direttamente nel luogo
indicatogli, ed invece eccola lì, era venuta a prenderlo di
persona.
-
Li Ban…
Sì, sono venuta di persona, avevo timore che avrebbe
dato forfait
Marco optò per una risposta diplomatica.
In realtà aveva solo voglia di prenderla a sberle per farle
confessare cosa mai volesse da lui e quale strategia
stesse adottando per metterlo in difficoltà.
131
In effetti se la prese con se stesso. Che cosa ci faceva in
questa situazione? Perché si stava facendo coinvolgere?
Aveva firmato con merito il contratto della sua nuova vita,
era venuto a Tokyo per lavoro, e si ritrovava di notte in
macchina diretto chissà dove con la moglie del suo
cliente… avrebbe dovuto prendere a schiaffi se stesso!
Li Ban lo guardò sorridendo:
-
Marco la vedo nervoso, ha forse paura?
Assolutamente no Li Ban, altrimenti non sarei qui!
Relax… le prometto che ci divertiremo
Dove siamo diretti?
Adesso chiede troppo, mi distrugge la sorpresa
La macchina correva della notte, stranamente i vetri erano
più scuri del normale, quasi non si riusciva a vedere fuori.
Li Ban era vestita di bianco con una vestito morbido si seta
lungo fino ai piedi. Come sempre era bellissima, i capelli
neri sciolti sulle spalle le davano un’aria da dea, il rossetto
rosso fuoco risplendeva sul viso leggermente velato di
bianco. Emanava un profumo particolarmente speziato che
riempiva prepotentemente l’abitacolo della Lexus.
Marco inalò profondamente e chiuse gli occhi per un
attimo, lasciandosi andare.
-
-
Una sola raccomandazione Marco. Mio marito non è a
conoscenza di questo nostro incontro, la prego quindi
di non farlo partecipe del nostro segreto, vorrebbe dire
infliggergli una sofferenza gratuita ed inutile… le chiedo
la sua parola.
Non si preoccupi, non avrei nulla da guadagnare, ne
andrebbe anche della mia credibilità personale e
professionale.
Un grande cancello nero, anonimo, iniziò a spalancarsi
davanti a loro. Giusto il tempo di attendere che le ante
132
fossero completamente aperte e la macchina proseguì
rullando piano lungo un viale alberato leggermente in
discesa, illuminato da spot a led piazzati sui bordi, che ne
delineavano il percorso.
Quando la macchina arrivò davanti alla villa erano passati
circa una decina di minuti.
Da quello che si riusciva ad intravedere attraverso i vetri
scuri, la villa doveva essere enorme, ad un piano, uno stile
modernissimo quasi essenziale nelle linee e nei volumi.
-
Marco siamo arrivati
Dove siamo?
Lo scoprirà da solo fra qualche istante
La Lexus aveva parcheggiato sotto il patio.
Le porte della macchina vennero aperte dall’esterno,
Marco scese e rimase in attesa che Li Ban venisse fuori
dalla parte opposta.
Le luci erano soffuse, i valletti erano uomini vestiti di nero,
eleganti, con il classico auricolare di sicurezza.
-
Venga Marco, le faccio strada
L’ingresso era chiaro, illuminato da un grande lampadario
di cristallo. Entrarono in un grande salone ovattato da
moquette. Un certo numero di isole con grandi divani ne
spartiva i volumi. Il colore predominante era il beige in
varie tonalità.
Le isole erano in parte delineate da separé con struttura di
legno nero e pannelli chiari, alti non più di un metro e
mezzo, che assicuravano un minimo di privacy.
C’erano parecchie persone, indistintamente uomini e
donne, che chiacchieravano, passeggiavano, sorridevano,
occupavano parte dei divani.
Sul lato destro del salone c’era un lungo bancone da bar,
con avventori intenti a bere o ad attendere il loro drink.
Nel fondo del grande salone il bel palcoscenico con un
gruppo musicale che suonava musica jazz.
133
Al loro passaggio tutti salutavano Li Ban con rispetto ed
inchini e lei ricambiava con leggerissimi cenni del capo.
Marco si sentiva tutti gli occhi addosso.
Si diressero in una delle piccole isole composta da tre
divanetti a due posti ed un tavolino basso centrale.
-
-
-
-
Marco eccoci qui… allora, le sembra un posto cosi
strano? Deluso? Cosa si aspettava, un macello per
uomini soli?
Ma no Li Ban! è lei che mi mette consapevolmente in
soggezione con la sua bellezza e il suo fascino, per il
resto non ho nessun motivo di essere preoccupato.
La ringrazio per i complimenti ma come dice lei sono
consapevole e mi piace approfittarne, mi scusi ma mi
diverte vedere un uomo che entra in confusione per un
battito di ciglia!
Fosse solo un battito di ciglia! Non sia falsamente
modesta adesso, le sue prerogative sono ben altre!
Devo prendere anche questo come un complimento?
Una delle donne dedicate alla sala in vestito classico tipo
geisha (a Marco vestite cosi sembravano tutte delle
geishe) si avvicinò, il solito inchino e disse qualcosa in
giapponese a Li Ban, lei assentì e la donna si ritirò.
-
-
Sono invidioso… cosa le ha detto la geisha?
Ah ah, lei non distingue una geisha da una cameriera…
non ha idea di quale differenza ci sia! Comunque mi ha
solo informato che il direttore del club arriva subito da
noi.
Mah… per me sono tutte uguali!
Marco si stava rilassando, forse aveva esagerato nel
preoccuparsi, in fondo Li Ban voleva solo essere gentile ad
introdurlo in un club esclusivo, cosi come sembrava fosse.
Poteva essere un segno di stima e di amicizia.
134
-
Li Ban-Sama! Quale onore! Perché non mi ha avvertito
della sua presenza a Tokyo?
Un uomo sulla quarantina si era avvicinato al tavolo. Il suo
inchino e le sue parole erano particolarmente reverenziali.
-
-
-
Ryo-San, le presento un mio caro amico, Mr. Marco, un
famoso architetto italiano, che ci ha fatto l’onore di
accettare una notte nel nostro club esclusivo. Mi
raccomando, voglio il meglio per lui! Cominciamo con
uno spettacolo classico, poi passiamo ad uno
estremamente moderno, non più di una mezz’ora
ognuno, e poi… vedremo, lasciamo gli sviluppi al
proprio destino.
Li Ban-Sama, può fidarsi di me, sarà tutto perfetto!
Per favore faccia servire del Dom Perignon millesimato,
del caviale beluga, sushi & sashimi, e ci dedichi una
delle migliori che si prenda cura di noi.
Mr. Marco, benvenuto e buona serata, è un onore
averla qui.
L’inchimo fu il più reverenziale che Marco avesse mai visto
dal suo arrivo a Tokyo.
-
-
Li Ban, come mai tutta questa attenzione?
Semplicemente perché il club mi appartiene, ma non si
faccia ingannare dalle apparenze, tutti i nostri soci sono
trattati in maniera estremamente professionale. Questo
è il 121 e non siamo sulle guide turistiche, per esser
socio devi essere una persona estremamente
altolocata culturalmente ed economicamente.
Accidenti! Non la facevo un’imprenditrice…
Passione Marco, diciamo solo passione pura, niente di
solamente economico… non si può fare qualsiasi cosa
solo con soldi!
Marco piano piano cominciava a perdere la testa, anche se
non poteva ancora rendersene conto, sicuramente ne
135
rifiutava l’idea. Tutto questo era inaspettato e pazzesco.
Da quando la sua prima fase di vita si era conclusa, era la
prima volta che si sentiva fatalmente attratto da una
donna. Non solo fisicamente, questo era scontato data
l’estrema bellezza e la sensualità di Li Ban, ma anche
mentalmente, visceralmente, con un coinvolgimento totale
ed imbarazzante che lui cercava inutilmente di respingere.
Presto avrebbe capito la portata del suo coinvolgimento,
molto presto.
Il primo spettacolo, quello classico, iniziò di lì a poco.
Questa volta c’erano veramente le geishe, Marco chiese
conferma a Li Ban. Lei annui sorridendo.
Musiche calme, melodiche ma anche stridule, archi,
campanelli e piattini di bronzo, una musica che se non la
conosci non riesci ad apprezzarla, cosi lontana dal
concetto di melodia occidentale.
Però il tutto era estremamente gradevole, gli attori
danzavano elegantemente nei loro abiti.
Li Ban gli spiegò che si rappresentava il destino di una
ragazza che era nata in un famiglia per bene ed era stata
scelta per diventare una geisha, lei non era contenta del
suo destino prefissato, ma aveva comunque accettato il
volere della famiglia ed aveva studiato tutta la vita per
diventare la migliore geisha del Giappone.
La morale era che anche se sei costretto a fare una cosa
che non vorresti fare, la soluzione è farla al meglio per
essere comunque fiero di te stesso.
Alla fine della rappresentazione Li Ban, divertita più che
mai, spiegò a Marco che gli attori che aveva visto erano
rigorosamente tutti uomini, come nella tradizione del teatro
giapponese… Marco rimase di stucco… non se ne era
accorto minimamente!
Si rese conto di essere lontano migliaia di anni luce.
Lo champagne aveva fatto il suo effetto, Marco si sentiva
completamente disinibito.
136
Lo spettacolo “estremamente moderno”, come l’aveva
definito Li Ban, era un happening di danza moderna tirata
all’estremo, scenografia completamente bianca e corpi di
ambo i sessi fasciati di bianco che si intrecciavano e
volteggiavano in performance di una difficoltà estrema,
danzando su basi musicali ritmiche sia strumentali che
digitali tirate all’estremo. Sullo sfondo venivano proiettati
fasci di colori e di immagini in rapida successione. Uno
spettacolo veramente esaltante.
-
-
-
-
-
Complimenti Li Ban, tutto altamente affascinante, non
avevo chiaramente mai assistito a delle performance
cosi diverse dai nostri canoni occidentali
Mi fa piacere che stia apprezzando Marco, spettacoli di
questo livello sono assolutamente rari da vedere anche
nei migliori teatri di Tokyo.
Li Ban, voglio essere onesto con lei. Non so
esattamente perché, o forse lo so, ma mi aspettavo
oltre questo qualcosa di più particolare. Voi giapponesi
siete famosi per la vostra filosofia fetish.
Mi aspettavo che me lo chiedesse, crede di sentirsi
pronto per affrontare l’argomento?
Non saprei esattamente, questa notte mi sento pronto a
tutto, sarà lo champagne e la sua sensuale presenza,
ma sono disposto a tutto.
Disposto a tutto è un’affermazione pericolosa Marco,
solo se lei insiste ed è “veramente” disposto a tutto
Per te sarei disposto a tutto Li Ban, solo per te!
Li Ban rimase in silenzio per alcuni secondi che a Marco
sembrarono un’eternità.
Marco era completamente risucchiato dalla situazione e
l’adrenalina lo stava bruciando.
-
OK Marco… mi segua!
Li Ban si avviò verso l’entrata dalla sala, oltrepassò
l’ingresso e svoltò a destra imboccando un corridoio
137
soffusamente illuminato lungo una decina di metri.
Alla fine del corridoio una porta d’ascensore in acciaio
satinato, Li Ban schiacciò il pulsante e le porte si aprirono.
L’ascensore non era molto grande ed era rivestito di
tessuto rosso bordeaux e la luce era ancora più soffusa.
Le porte si chiusero e cominciarono a scendere.
Marco si avvicinò a Li Ban per annusare il suo profumo.
Lei si sporse in avanti con il capo sussurrando:
-
Da qui non si torna più indietro… voglio proprio vedere
la tua resistenza e scoprire i tuoi limiti.
Sono pazzo di te, sono disposto a tutto per averti, fai di
me quello che vuoi, senza limiti.
Io non conosco limiti.
Marco tentò di baciarla ma lei si ritrasse.
-
Non avere fretta Marco, devi avere pazienza, molta
pazienza.
Non mi fare impazzire però.
È proprio quello che voglio.
Uscirono dall’ascensore ed entrarono in una piccola saletta
con due poltroncine blu e un tavolinetto basso di acciaio,
sul tavolo c’era una piccola brocca di vetro e due coppette
di acciaio. Si accomodarono sulle due poltroncine.
Li Ban riempi una delle coppette e la porse a Marco:
-
Bevi, questo è un miscuglio di alcool e veleno di
serpente, un’antica specialità giapponese che dona
forza e durata all’uomo, ti darà la forza per affrontare le
prossime ore.
Marco rimase un attimo in bilico se accettare o no… la
mente spaziava veloce fra le varie possibilità che potevano
presentarsi… aveva paura ma la follia che si stava
impadronendo della sua mente lo spingeva ad andare
avanti. Voleva quella donna più di ogni altra cosa al
138
mondo, non c’era limite che potesse tenerlo oramai. Buttò
giù d’un sorso il contenuto della coppetta… il sapore era
terribilmente amaro e l’alcool puro gli tagliò la gola come
una lama affilata.
Li Ban lo fissava senza parlare, il suo sguardo era cosi
penetrante che Marco si senti perforare le pupille, un fuoco
tremendo risaliva dallo stomaco infuocandogli il petto, la
gola, il collo, le orecchie. Il cuore sembrava scoppiargli nel
petto. All’improvviso non vide più nulla, aveva perso
conoscenza abbandonandosi sul divano.
Li Ban restò a fissarlo per qualche istante, assaporando la
vittoria, con un lieve sorriso stampato sulle labbra.
Schiacciò un piccolo pulsante al lato del tavolo di acciaio e
prontamente due inservienti vestiti si nero entrarono nella
saletta.
Li Ban non alzò neanche lo sguardo e disse in maniera
secca:
-
Preparatelo! Lo voglio pronto in trenta minuti.
139
Å DICIANNOVE
Marco suonò al citofono dell’appartamento di Franca.
Nessuna risposta. Suonò ancora. Ancora nessuna
risposta.
Frugò nella borsa in cerca delle chiavi, sperava di averle
portate con se durante la trasferta. Invece no.
Si diresse nella parte posteriore del fabbricato da dove si
potevano vedere le due finestre dell’appartamento. Le luci
erano spente.
Scese la rampa del garage per controllare se la vettura
fosse li. Non c’era.
Cosa poteva esserle capitato, forse un contrattempo?
OK ma Franca avrebbe potuto telefonare, fare un sms,
insomma qualsiasi cosa per tranquillizzarlo.
Decise di andare al Manhattan.
Il traffico era tanto e il taxi ci mise 40 minuti.
Quando entrò nella hall del Manhattan, la receptionist lo
salutò caldamente ma con aria sorpresa:
-
-
-
140
Sig. Rambaldi! Cosi ci fa qui? Ha dimenticato di
prenotare? Lo sa bene che siamo sempre pieni.
Buonasera Gabriella, mi scusi, sono rientrato a Roma
da Houston ma non pensavo di fermarmi. Posso farle
una domanda riservata? Ha notizie di Franca? Non
riesco a trovarla. Sarebbe dovuta rientrare a Roma
stamattina dal master di Parigi, ma da quando sono
arrivato e ho riacceso il BB, il suo telefonino risulta
spento, a casa sua non c’è, la sua macchina non è in
garage… pensavo fosse qui.
No, qui non è venuta, aveva qualche giorno di ferie
dopo il master, credo tre o quattro, non aveva nessun
motivo per passare di qui oggi.
Mah, forse avrà avuto un contrattempo durante il
viaggio di ritorno, anche se mi sembra strano che non
abbia avuto modo di avvertire. Senta, potrebbe fare un
qualche miracolo e trovarmi una stanza libera per un
paio di giorni? La prego…
-
Mi lasci vedere cosa posso fare, si accomodi pure
nell’area divani, la chiamo appena riesco ad avere uno
slot libero.
Marco raggiunse uno dei divani e si lasciò andare,
accusava la stanchezza del jetlag e poi era veramente
preoccupato per Franca.
Si erano fatte le 23 quando Gabriella riuscì a trovargli una
stanza libera grazie ad un cliente che non era arrivato.
Marco aveva provato a chiamare ancora Franca almeno
una decina di volte. Niente.
Cadde addormentato vestito sul letto per la grande
stanchezza.
La mattina seguente Marco fu svegliato dai raggi del sole
che invadevano la camera, si levò a fatica, riprese
conoscenza e provò ancora a chiamare Franca. Niente.
Barba, doccia, vestiti freschi, scese nella hall e Gabriella
era ancora li, il suo turno di notte stava per terminare.
-
-
Sig. Rambaldi, ha avuto notizie di Franca?
Niente, il telefonino è sempre spento, vado a fare
ancora un giro a casa sua per controllare se sia arrivata
durante la notte… speriamo non le sia successo nulla.
La prego mi faccia sapere, questo è il numero del mio
cellulare.
Ci conti, grazie per la camera e a presto.
Marco tornò a casa di Franca, ripeté tutta la trafila della
sera prima. Non c’era traccia né di Franca né del suo
passaggio.
Cominciava ad essere seriamente preoccupato.
Gli venne in mente una prova per verificare se Franca
fosse arrivata a Roma: gli aveva detto di aver preso una
Golf alla Hertz di Marsiglia. Si recò direttamente nel punto
Hertz del quartiere, non lontano dalla casa di Franca, dove
si supponeva che lei avrebbe restituito la vettura.
L’impiegata lo riconobbe, aveva restituito proprio lì diverse
141
volte le macchine noleggiate in aeroporto.
Marco le disse di Franca, l’impiegata non lo fece neanche
terminare:
-
-
Certo Sig. Rambaldi, la signora Franca ha riportato una
Golf presa in Francia proprio ieri mattina prima di
pranzo, c’ero io di turno quindi sono sicurissima.
Ah si? Beh, almeno è rientrata a Roma… OK la
ringrazio per la sua cortesia, a presto.
Cosa rimaneva da fare? Era arrivata, aveva restituito la
macchina, e poi era sparita.
L’unica cosa da fare era andare dai Carabinieri, ed è
quello che fece. Si sentì rispondere molte cose, che non
era un parente, che era passato troppo poco tempo dalla
presunta scomparsa, che magari la donna si era recata
urgentemente da qualche parte. Prima di tutto bisognava
attendere almeno l’indomani, nel frattempo Marco poteva
cercare di rintracciare dei parenti della donna. Marco si
rese conto all’improvviso di non sapere nulla di Franca:
niente di più che del fatto che era nata in un paese della
Calabria… non si ricordava neanche il nome del paese.
Se ne tornò in hotel per fare mente locale e pensare con
tutta calma ad una possibile soluzione per mettere in moto
le ricerche ufficiali.
La giornata passò invano, la notte pure, telefonino spento,
nessuna notizia di Franca.
La mattina seguente tornò al commissariato e riuscì a
parlare con un commissario che si occupava proprio di
persone scomparse.
-
142
Signor Rambaldi, ci vorrebbe una denuncia di un
parente, dopo 48 ore in genere cominciamo le ricerche.
Comunque ho capito benissimo la situazione, entro
stasera faccio partire una ricerca d’ufficio, vediamo
cosa riusciamo a scoprire. Senz’altro cominceremo
dalla Hertz per accertarci esattamente a che ora la
signora ha restituito la vettura, poi passeremo
-
all’abitazione chiedendo ai vicini e ai negozi intorno, per
verificare se qualcuno l’ha vista fra ieri ed oggi,
controlleremo la porta di casa se dall’esterno ci fossero
dei segni di infrazione, etc.
Ho delle foto di Franca nel mio BB, se ha un cavetto
USB le può scaricare nel suo computer.
Certamente, lo facciamo subito. Le posso dire fin d’ora
che dopo un primo giro di accertamenti, se non
abbiamo riscontri, possiamo chiedere al magistrato
l’autorizzazione ad entrare nell’appartamento. Intanto
lei resti qui a Roma e si tenga a disposizione, la terrò al
corrente degli sviluppi.
Marco era distrutto, intanto aveva chiamato in società ed
avvisato che avrebbe preso una settimana di ferie.
Dopo una giornata in hotel a rimuginare come un cane
bastonato, decise di fare anche lui qualche indagine
intorno a casa di Franca. Sapeva dove lei era abituata a
fare la spesa, quale era il suo parrucchiere, e anche
l’estetista.
Mentre usciva per prendere un taxi e recarsi sul posto, il
commissario lo chiamò sul BB:
-
-
Signor Rambaldi, abbiamo accertato che la signora è
tornata la mattina secondo il suo programma e come lei
sa ha restituito la vettura alla Hertz. Poi sappiamo per
certo che è andata a casa, una vicina ci conferma di
averla incrociata verso le 13 nella hall del palazzo e di
averci scambiato un paio di parole. Poi la signora è
andata dal parrucchiere e dall’estetista, anche questi
passaggi confermati, ed infine a fare la spesa al
supermercato. Dal supermercato in poi, erano circa le
16, si sono perse le tracce. Pensiamo sia rientrata in
casa, ma la macchina non è nel parcheggio. Ho chiesto
alla centrale operativa di rintracciare il segnale del
cellulare, e al magistrato l’autorizzazione per entrare in
casa.
Grazie commissario, per favore mi faccia sapere a che
143
-
ora entrate in casa, vorrei essere lì con lei, potrei
essere utile conoscendo bene l’appartamento.
Veramente non si potrebbe ma lei si faccia trovare
domattina alle 11:30 sotto al palazzo, vedremo di
gestire la cosa.
Alle 11:15 Marco era davanti al portone, il commissario
con due agenti e un fabbro arrivarono di lì a pochi minuti.
-
Signor Rambaldi, ho ottenuto dal magistrato
autorizzazione verbale a che lei sia presente
all’apertura della porta e alla perlustrazione in quanto è
l’unica persona che conosce la signora da tempo e che
saltuariamente viveva con lei. Ad un patto però. Non
faccia nulla, non tocchi nulla, non dica nulla se non
interrogato da me.
Il fabbro non ci mise più di 15 minuti liberare la serratura
della porta, anche se era di quelle blindate e ben sigillate.
Si allontanò dalla porta e il commissario dette l’OK con un
cenno del capo ad uno degli agenti che spinse l’anta con
un piede tenendo la pistola spianata davanti a se.
In quel preciso istante Marco capi che tutto era finito, il
mondo crollava e anche lui insieme al mondo, risucchiati in
un buco nero senza fine.
Una zaffata potente di puzza di morte aveva investito il
ballatoio.
Marco svenne e andò giù come un sacco.
NOTA DELL’AUTORE Questo segna la fine della prima fase della vita di Marco. I sei mesi seguenti furono un inferno per lui. Fortunatamente la morte di Franca fu stabilita fra le 17 e le 19, quando l’aereo che lo riportava da Houston atterrava a Fiumicino, quindi il suo coinvolgimento personale fu totalmente escluso. Franca l’avevano trovata riversa sul divano con un foro sul collo da arma da taglio, piuttosto un punteruolo, l’autopsia accertò che era arrivato fino al cervello. 144
La casa non era un granché in disordine, sembrava non mancasse niente, l’assassino o gli assassini avevano fatto un lavoro pulito, da professionisti. Probabilmente erano andati via con la macchina della vittima, che non fu mai ritrovata. Marco fu risucchiato in un vortice di disperazione e
depressione, si congedò dal lavoro e si mise in cura da
uno psichiatra per mesi, fino a quando, sentendosi fuori
dalla fase critica, decise di trovare un nuovo lavoro con la
possibilità di dare un taglio al passato ed iniziare una
nuova vita da qualche altra parte del mondo.
I colloqui con la Arteko andarono bene e la trattativa andò
in porto. La società gli affidava la conduzione della nuova
branch di Dubai come Direttore Creativo.
145
VENTI Æ
Tokyo, una città senza limiti. Marco si risvegliò in un letto, aprì gli occhi e vide che
intorno a lui tutto era bianco. Era confuso, non riusciva ad
inquadrare bene tempo e luogo, non ricordava nulla.
Si guardò intorno ruotando la testa, forse era in ospedale,
sembrava proprio un ospedale.
Aveva una flebo infilata nel dorso della mano sinistra, se
ne rese conto perché l’ago pungeva.
Tentò di sollevare la testa ma non ci riuscì, era
pesantissima.
In quel momento comparve un’infermiera, il volto
schermato dietro la mascherina, che accarezzandolo sulla
fronte gli disse:
-
Sir, non si muova, è una bella cosa vedere che si è
svegliato, adesso chiamo il dottore, stia giù, non c’è
niente da preoccuparsi.
Il volto dell’infermiera svanì.
Marco non riusciva a prendere contatto con la realtà;
cercava di ricordare cosa fosse successo, perché si
trovasse lì, ma nessun ricordo sembrava affiorare dalla
mente confusa.
Dopo un paio di minuti nella penombra della stanza si
materializzò la figura di un uomo in camice.
-
146
Mr. Rambaldi, finalmente si è svegliato, ottimo. Come si
sente? Provi a parlare se se la sente… OK, no non è
importante per il momento, stia solo tranquillo, più tardi
i miei colleghi verranno a constatare le sue condizioni e
proveranno a scambiare due chiacchiere. Tutti
attendiamo con ansia di rivederla in piena forma il più
presto possibile. Avvertirò personalmente il suo amico
e collega Mr. Paul, vedrà che prestissimo arriverà a
trovarla!
Marco chiuse gli occhi e sprofondò di nuovo in una nebbia
pesante.
-
Mr. Rambaldi può sentirmi? Apra gli occhi
Una nuova voce arrivava da lontano. Aprì gli occhi a fatica
e vide ancora un uomo con la mascherina.
-
-
Può sentire la mia voce? Coraggio Mr. Rambaldi è di
nuovo tra noi! Riesce a dire qualcosa? Provi
lentamente, senza fretta
Dove sono? Cosa mi è successo?
Bisbigliò Marco a fatica…
-
-
-
-
Siamo in ospedale. Dieci giorni fa lei è stato trovato per
strada in stato confusionale, era ferito e senza vestiti, è
stato soccorso e trasportato al pronto soccorso dove le
hanno riscontrato ferite multiple su tutto il corpo,
probabilmente è stato vittima di un’aggressione. E’
rimasto in uno stato di semi coscienza per tutto questo
tempo.
Non è possibile…
Stia tranquillo, le sue condizioni sono ancora precarie,
ha riportato un importante trauma cranico e il
versamento di sangue le ha creato una compressione
endocranica. È stato operato e credo si riprenderà.
Occorre tempo e una buona dose di pazienza. Al
momento devo metterla a conoscenza del fatto che la
funzionalità degli arti inferiori risulta parzialmente
compromessa, ma confidiamo in un completo recupero.
Paul?
Fra poco sarà qui… ma non si stanchi più del
necessario, solo pochi minuti di colloquio, è ancora
troppo debole.
Grazie…
147
Marco chiuse di nuovo gli occhi, faceva una fatica enorme
a tenerli aperti. Cadde di nuovo in un torpore senza luce.
-
Mi raccomando non lo faccia stancare.
Marco mi senti? Sono Paul, mi senti?
Marco riapri di nuovo gli occhi.
-
-
-
-
-
Paul… finalmente… ma cosa diavolo mi è successo?
Questo dovresti dirmelo tu, Marco. Cosa diavolo ti è
saltato in mente di andartene in giro da solo per Tokyo
di notte senza dire nulla? Potevi rimetterci la pelle! Ti
hanno trovato nudo in un quartiere malfamato a luci
rosse, gettato per strada come un cane e con il corpo
completamente coperto di ecchimosi e ferite… ma ti
rendi conto? Sei un pazzo!
Li Ban… ma io ero con Li Ban…
Ma quale Li Ban… i Pung si sono preoccupati quando
non sei arrivato all’appuntamento per andare a teatro e
mi hanno chiamato. Ho risposto loro che tu eri già
uscito, allora sono sceso giù e ho trovato Ken che
nell’attesa si era addormentato sul sedile. Era passata
più di un’ora… ma tu che fine avevi fatto? Cosa ti è
saltato in mente?
Ma io… ma è tutto falso! Io sono uscito non Li Ban che
è venuta a prendermi con la vettura di Ken per andare
a vedere uno spettacolo! Veramente non mi ricordo più
cosa sia successo poi… non ricordo, sono stanco…
Vaneggi! I Pung non sanno darsi una spiegazione, si
sentono in qualche modo responsabili. Li avvertirò più
tardi del tuo risveglio. Ma ti rendi conto? Sei salvo per
miracolo!
Mr. Paul basta cosi, adesso per favore lasci riposare il
paziente, domani avrà modo di tornare ancora. Il
medico si avvicinò con cortese fermezza.
Marco, ancora sotto l’effetto dei sedativi, ripiombò in uno
stato di incoscienza. Paul se ne andò nel giardino
148
dell’ospedale a fumare tentando per l’ennesima volta di
trovare una qualche plausibile spiegazione.
Erano dieci giorni che non pensava ad altro e non riusciva
a trovare il bandolo della matassa. Cercò di riordinare
ancora una volta le idee.
I Pung li avevano invitati per una serata a teatro per
assistere ad uno spettacolo classico giapponese.
Paul aveva ringraziato ma si era defilato con una scusa; in
effetti, non si sentiva troppo bene, troppo sushi, sashimi,
troppi sapori, troppi odori. Aveva preferito una serata di
riposo.
Marco per ovvi motivi non si era potuto negare, i Pung gli
avevano cortesemente messo a disposizione l’auto. Ken
sarebbe passato a prenderlo dopo cena.
Marco, preciso per sua natura come un orologio svizzero,
un quarto alle dieci era giù che lo aspettava. Tutto secondo
i programmi.
Alle 23, o giù di lì, Pung aveva chiamato Paul dicendo che
Marco non si era presentato, che lui aveva chiamato Ken
scoprendo che era ancora nel parcheggio dell’hotel in
attesa, ma che nel frattempo si era addormentato…
Insomma, dov’era Marco? E perché mai il suo BB era
spento?
Paul lo aveva cercato in camera, al bar, dovunque
poteva… niente.
-
Mr. Pung… io non l’ho trovato, mi spiace… Forse
Marco non ha incontrato Ken e ha deciso di prendere
un taxi per raggiungervi? Vedrà che fra poco sarà da
voi!
Paul sapeva bene che Marco non è il tipo che crea casini e
tutta la faccenda non lo convinceva affatto.
-
OK, se arriva da noi la contatto immediatamente, lei mi
chiami pure a qualsiasi ora. Siamo estremamente
preoccupati.
149
L’attesa di tutti risultò vana, Marco non era riapparso né
durante la notte né la mattina seguente.
Ad una certa ora Paul fu contattato dal direttore dell’hotel,
Marco era stato ritrovato per strada nudo in totale stato
confusionale ed era stato trasportato in ospedale.
A Paul crollò il mondo addosso… si precipitò in ospedale.
Le condizioni di Marco erano molto serie.
Tutta la faccenda era una cosa seria, molto seria.
I coniugi Pung arrivarono in ospedale nel pomeriggio,
apparivano sconvolti per l’accaduto, sembrava non
potessero perdonarsi di non aver potuto evitare quanto
accaduto.
Sul volto di Li Ban apparvero lacrime silenziose nel vedere
Marco inerme oltre il vetro.
Dopo il delicato intervento per rimuovere l’ematoma
endocranico i giorni passarono nell’attesa del suo risveglio.
Lentamente Marco cominciò a migliorare e dopo un paio di
settimane Paul spingeva dolcemente la sedia a rotelle
lungo i viali del giardino dell’ospedale.
Sarebbero occorsi mesi per riabilitare l’uso degli arti.
-
-
150
Ti ripeto…. quella sera sono andato via con Li Ban che
è venuta a prendermi in hotel, l’auto ci ha condotto in
un club privato per assistere ad uno spettacolo. La
vettura era la solita e l’autista era Ken… almeno
credo… Ricordo che abbiamo bevuto e a un tratto Li
Ban mi invitato in un privè. Credo che fosse nel piano
sottostante, ma da quell’attimo i miei ricordi svaniscono
nel nulla.
Non essere ridicolo! Tutta questa storia è nella tua
fantasia, non è accaduto niente di tutto questo! I Pung ti
aspettavano a teatro e tu non sei andato, anche se non
si riesce a capire perché… Forse perché ti sei
-
-
avventurato da solo, di notte, per Tokyo? Non hai
pensato che poteva essere pericoloso? Chissà in quale
situazione ti sei cacciato e ora non hai il coraggio di
ammetterlo. Che devo pensare? Che eri talmente fatto
che non ti ricordi niente… Non capisco però perché tu
debba insistere con la storia di Li Ban!
Ti dico che è andata come dico, perché non vuoi
credermi?
Ma perché non è plausibile cavolo! Ma ti rendi conto
che stai accusando la moglie di Pung di averti ridotto
così? Hai perso la testa? Avrebbero già potuto
rispedirci a casa con un bel calcio nel culo… porca
miseria! Proprio non me l’aspettavo da te, cacciarti in
un guaio simile. Oltretutto hai creato un danno enorme
al progetto e alla Arteko, il presidente mi ha chiamato, è
dispiaciuto per quello che ti è accaduto, ma è furioso
per la situazione assurda che si è creata. Sicuramente
perderemo il contratto e anche la reputazione.
Ma io sono una vittima! Vuoi capirlo o no che è tutta
colpa di quella puttana?
I giorni passarono con il solito scenario fatto di sogno e
realtà, di eventi forse accaduti e negati, di percezioni
divenute forse concrete emozioni, di crude e contrastanti
realtà. Ma dove iniziavano e da cosa scaturivano le
solitarie fantasie di Marco…
Marco non poteva pensare ad altro e nel vortice dei suoi
pensieri e dei ricordi, che a sprazzi si affacciavano alla
mente, cominciava a temere di impazzire. Perchè Li Ban
gli aveva fatto tutto questo? Perché lo aveva distrutto cosi
violentemente nel corpo e nell’anima? Forse era pazza,
era una pazza malata che con il suo fascino fatale
adescava le prede per appagare le sue follie criminali.
E il marito? Che cosa era successo veramente quella
notte? Domande, martellanti domande… certo solo la
misteriosa e sfuggente Li Ban avrebbe potuto fornire
risposte.
151
Con il passare dei giorni, Marco sprofondò lentamente in
una depressione profonda, il costante uso di sedativi lo
rendeva sempre più introverso e taciturno.
Paul lo accompagnava spesso in giardino e gli parlava
della loro vita comune, lo stimolava nel tentativo di
riportarlo alla realtà. Lo confortava con la sua amicizia e lo
teneva legato a sé per permettergli di risalire la china.
Niente, nessuna emozione.
Solo parole confuse che riportavano sempre a lei, a Li
Ban… perché gli aveva fatto tutto questo, perché.
In un pomeriggio assolato, uno come tanti già trascorsi,
Marco era in giardino sulla sedia a rotelle, lo sguardo
perso nel vuoto e Paul al suo fianco, seduto sulla solita
panchina.
Una Lexus LX570 nera imboccò il viale dell’ospedale e si
fermò nel parcheggio di fronte ai giardini.
Ken, ancora lui, scese dall’auto e con il consueto gesto,
aprì lo sportello posteriore.
Dopo un interminabile attimo due gambe di donna
apparvero sotto la linea della portiera, pantaloni bianchi
slim fit e mocassini viola chiaro.
Ed eccola apparire in tutto il suo splendore, camicetta a
maniche lunghe dello stesso colore dei mocassini, un filo
di perle bianche al collo, i capelli neri e lisci, liberi sulle
spalle, il rossetto rosso carminio che metteva in risalto le
sue labbra fatali. Occhiali da sole scuri.
Marco la intravedeva camminare lentamente verso di lui,
pensava stesse sognando, ma lei si avvicinava sempre di
più e in attimo gli fu davanti. Si sfilò gli occhiali da sole e lo
guardò con i suoi occhi penetranti. Sorrideva lievissima.
-
152
Marco come sta? Non la disturbo, spero. Mi creda, ho
pensato a lei in ogni istante! Che terribili giorni. Mi
sento responsabile di quanto accaduto… se io e mio
marito non l’avessimo invitata a teatro quella sera,
forse non sarebbe accaduto nulla. Ho saputo che non è
stato in grado di ricostruirne la dinamica. Purtroppo
andarsene in giro da soli di notte in una metropoli come
Tokyo può riservare dei pericoli veri. E’ una città bella e
misteriosa e nella notte tutto può accadere
all’improvviso. In fondo come in ogni altra grande città
del mondo. Mi creda, io e mio marito le siamo
profondamente vicini. Speriamo di cuore nella sua
rapida e totale guarigione.
Marco aveva ascoltato le parole di Li Ban come in sogno,
non se ne faceva capace… avrebbe voluto saltarle
addosso e strangolarla con le sue mani quella puttana
criminale… ma non ne aveva la forza… non riuscì
neanche a gridarle tutto il suo disprezzo per quello che era
stata capace di fare… si sentiva perso. La sua parola
contro quella di tutti, la sua storia tanto assurda, ma
tragicamente vera, alla quale nessuno sembrava credere.
Restò in silenzio e chiuse gli occhi per non vederla più.
-
Marco, mi dispiace ma devo andare, tornerò presto a
trovarla di nuovo.
Si piegò verso Marco sfiorandone la guancia e gli sussurrò
nell’orecchio:
-
A proposito… lo sa che la barba le dona?
Si levò e fissando lo sguardo di Paul nell’atto di andare:
-
A presto Paul, non lo faccia stancare!
fine 153
154
autore Alex Triglias (Alessio D’Ascenzo)
Nasco in Italia a L’Aquila il 8 giugno 1959, cresco, studio e
lavoro a L’Aquila fino al 1990.
Vivo e lavoro all’estero dai primi anni ’90 e, oltre la mia vita
professionale, ne coltivo una parallela fatta di pittura,
scultura e scrittura.
pubblicazioni POESIE
cinquanta emozioni la vita è uno stato mentale ROMANZO ARCHETIPO romanzo di folli passioni di vita e di morte Libri pubblicati e disponibili su: www.ilmiolibro.it & Librerie Feltrinelli 155
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File - alex triglias