FONDAZIONE DEL SACRO CUORE CESENA SCUOLA SECONDARIA DI PRIMO GRADO Quaderno del 2008/2009 INTRODUZIONE “… Quando trovo in questo mio silenzio una parola scavata è nella mia vita come un abisso”. (G. UNGARETTI) È la parola dei ragazzi a dar vita a questo libretto in cui è condensata la storia di un anno denso di esperienze significative, che hanno acceso le aule scolastiche e gli spazi in cui la scuola si è dilatata. Generosi nel rispondere alle proposte degli insegnanti, anche quando apparivano impegnative, i ragazzi della scuola media hanno scandagliato con la loro scrittura le diverse tappe vissute insieme, cercando di farne emergere i contorni ed il riverbero interiore che ne è scaturito. Nei testi di carattere ora fantastico, ora realistico, ora diaristico noi sentiamo vibrare le loro scoperte e le loro domande, ammirati dalla serietà con cui si sono messi alla prova nella scrittura, percependone la forza conoscitiva e comunicativa. Se, come ha affermato con energia Benedetto XVI, “sarebbe una ben povera educazione quella che si limitasse a dare delle nozioni e delle informazioni, ma lasciasse da parte la grande domanda riguardo alla verità, soprattutto a quella verità che può essere di guida nella vita”, ci conforta percepire che, seppure immersi in un contesto che continuamente li sollecita alla dispersione, i nostri alunni si sono dimostrati in molteplici occasioni capaci di andare a fondo delle tematiche e delle esperienze proposte. Si legge in una delle testimonianza dei ragazzi del Coro che hanno partecipato al grande evento del Te Deum diretto dal Maestro Abbado: “Ho cantato con tutta la mia forza, tirando fuori da me tutte le emozioni: gioia, rabbia, spirito di gruppo, forza interiore”. Vorremmo che, crescendo in consapevolezza, essi potessero vivere con questa intensità ogni giorno di scuola. la preside Paola Ombretta Sternini 3 “La parola scritta accende la fantasia e illumina l’interiorità” (Laboratorio di scrittura classi Prime) “La scrittura non è magia ma, evidentemente, può diventare la porta d’ingresso per quel mondo che sta nascosto dentro di noi. La parola scritta ha la forza di accendere la fantasia e illuminare l’interiorità”. Aharon Appelfield LA FIABA In relazione alla fiaba “L’acqua della vita” prova ad immedesimarti nel principe e immagina di provare i suoi sentimenti mentre si trova nel bosco, cacciato dal padre e dai fratelli Sono il fratello minore della famiglia reale. In questo momento sto indossando i rozzi abiti di un cacciatore dall’anima nobile, il quale in cambio dei miei vestiti non ha eseguito l’ordine del re di uccidermi e mi ha risparmiato. Seduto su una pietra umida coperta di muschio, sto ripensando amaramente alla mia ingenuità che mi è costatata molto. Il mio intento di aiutare dapprima mio padre, poi la principessa ed infine i sovrani dei tre regni è stato vano, poiché i miei fratelli hanno usurpato con l’inganno il trono che spettava a me, anche se di questo più di tanto non mi importa, e hanno conquistato piena fiducia da parte del re. Ripenso con sdegno a quando incontrai per la seconda volta il nano; ricordo con precisione quel che mi disse: “I tuoi fratelli sono rinchiusi tra due monti, ma guardatene! Hanno il cuore malvagio”! Ma io … Io non ascoltai il suo saggio consiglio, ed ora mi ritrovo qua, tra rovi spi7 nosi e misteriosi fruscii. Neppure la mia amata mi darà conforto: tra qualche mese uno dei miei fratelli la sposerà, soltanto per avere il suo regno. Rimbombano nella mia mente chiare e forti le sagge parole del nano, come se volessero uscire dalla mia testa rischiando di farmi impazzire. Cerco di rimettere in ordine i fatti e i pensieri, di reprimere l’idea di essere perduto. E ancora rivedo confusamente le imprese compiute, risento le parole dolci come miele pronunciate dalla mia incantevole fidanzata, la principessa, seguite dalla maligna risata dei miei fratelli maggiori e odo la frase: “Tu hai trovato l’acqua della vita, ma la fatica è stata tua e il premio è nostro; avresti dovuto essere più furbo e tenere gli occhi aperti”… Forse… sì, avrei dovuto essere più furbo e tenere gli occhi aperti. Poi ripenso alle fiabe che le balie mi raccontavano quand’ero fanciullo: tutte avevano un finale perfetto. Anche la mia storia potrà averlo? Guardo tra i cespugli spinosi e intravedo una rosa sbocciata. E mi convinco a non perdere la speranza. Cecilia Nella fiaba “I cigni selvatici” Elisa, la protagonista, affronta un grande sacrificio per liberare dall’incantesimo i suoi fratelli. A te è mai capitato di dover sostenere un sacrificio per realizzare un tuo desiderio? Racconta. Fin da piccolo ho coltivato la passione per il pianoforte. Ho cominciato la mia “carriera” di musicista in erba studiando al Corelli quando avevo sette anni. Dopo tre anni di studio, finito il corso di pianoforte sperimentale, ho maturato il desiderio di iscrivermi al Conservatorio per approfondire gli studi. Ma per entrare al Conservatorio occorre superare un esame di ammissione molto impegnativo, essendo i posti in numero ridotto. Per questo ho iniziato alcuni mesi prima a preparare un mini concerto formato da due studi di Burgmuller e di Berkovic, una Polacca di Chopin e alcune scale maggiori e minori. Tenevo molto a quell’esame. La mia insegnante, di settimana in settimana, mi correggeva i pezzi e per me perfezionarli è stata una cosa molto faticosa. Già da alcune settimane studiavo più di due ore al giorno e vi mettevo tutto il mio impegno tanto che a volte mi fumava il cervello. Ho concentrato la maggior parte del tempo sulla Polacca di Chopin: prima ho studiato le diverse posizioni della mano, i rivolti e le diteggiature, in seguito ho perfezionato le dinamiche, gli staccati, i legati, le acciaccature. 8 Ormai mancavano meno di venti ore al grande giorno, ero tesissimo e avevo una gran paura. Mi alzai alle otto e trenta, ma ero già sveglio da un po’, mi vestii con calma, mi sistemai e alle nove e quindici partii con i miei genitori in macchina per Ravenna diretto al Conservatorio G. Verdi. Entrai dentro la scuola e nell’atrio regnava un silenzio tombale. Insieme a me c’erano altri ragazzini di due o tre anni più grandi, loro si scambiavano i programmi d’esame perché si conoscevano. Io tremavo come una foglia al vento e mi veniva da piangere. Ad un certo punto la bidella ci accompagnò al piano di sopra dove ci sedemmo ad aspettare il nostro turno. Fui il secondo a sostenere l’esame. Entrai dentro l’aula, mi presentai alle tre professoresse, mi sedetti al pianoforte, presi concentrazione e incominciai a suonare. Le mani all’inizio tremavano, ma andando avanti prendevano sicurezza e nonostante tutto non sbagliai nessuna nota. La professoressa, che oggi è la mia insegnante, mi fece alcune domande. Dopo cinque minuti uscii dalla stanza e corsi al piano inferiore dove i miei genitori mi stavano aspettando. Ero contentissimo perché pensavo di aver suonato bene e di non aver fatto errori. Appena arrivai di sotto chiamai al telefono la mia insegnante Sabrina che abita a Pieve di Cento, piccola città ad alcuni chilometri da Bologna. Lei fu contentissima e mi fece i complimenti. Dopo due mesi di pieno rilassamento arrivò a casa una lettera del Conservatorio nella quale era stampata la graduatoria. Io aprii la busta ad occhi chiusi, tirai fuori il foglio e… “Sìììììììììì!” urlai a squarciagola e saltai sul letto. Ero stato ammesso: neanche i miei genitori ci credevano. Ero felicissimo, stavo esplodendo dalla contentezza. E ora studio qui, al Conservatorio, con un’insegnante molto brava che si chiama Maria Francesca. Chissà, forse diventerò un grande pianista!?! Tommaso 9 Nelle ultime fiabe d’autore lette: “Il brutto anatroccolo” e “I cigni selvatici”, compare la descrizione del personaggio che rispecchia l’anima del protagonista… Anche a me quella volta è accaduto che, guardandomi intorno, ho scoperto che il paesaggio rispecchiava perfettamente quello che avevo dentro il cuore. Una domenica di fine ottobre sono andato con la mia famiglia e alcuni amici a raccogliere castagne in montagna. Partendo dalla città, durante il tragitto, vedevo che il paesaggio cambiava continuamente, ma, alcuni chilometri prima dell’arrivo, tutto intorno a noi era davvero affascinante. Stavamo percorrendo una strada stretta e tortuosa che girava intorno ad alte montagne. Ai lati della strada riuscivo a scorgere profondi dirupi coperti da una fitta boscaglia di altissimi e snelli alberi dai caldi colori autunnali. Quando siamo arrivati ad uno spiazzo soleggiato abbiamo lasciato le auto e, finalmente, ci siamo inoltrati nei boschi. Gli alberi qui erano diversi: i tronchi erano molto robusti e più tozzi e la chioma era larga. Per abbracciarne uno solo occorrevano almeno due persone. I rami erano nascosti sotto foglie dai colori molto suggestivi ed il terreno era ricoperto da un bellissimo “tappeto” tra il marrone chiaro, il rosso, l’arancio e il giallo. Qua e là si scorgevano piccole famiglie di funghi selvatici. Sui castagni, ma soprattutto in terra, c’erano moltissimi ricci aperti dai quali fuoriuscivano grosse castagne dalla buccia lucida. Guardando verso l’alto vidi che il fitto fogliame formava una sorta di soffitto che, di tanto in tanto, lasciava spazio a qualche pezzetto di cielo azzurro e luminoso! C’era un gran silenzio, interrotto solamente dal cinguettio di qualche uccellino e dal leggero tonfo dei ricci che ogni tanto cadevano dai rami. 10 Ad un tratto ho fatto un simpatico incontro: con le zampette posteriori appoggiate sul ramo di un grande castagno, c’era un piccolo, allegro e divertente scoiattolino che, disturbato dalla mia presenza, è scappato via balzando da un ramo a un altro e agitando la sua folta coda. Sentivo un odore di foglie e muschio verde. Mi sentivo sereno e rilassato, come mai prima di allora, perfettamente a mio agio. Era come se io fossi sempre stato là… e avevo tanta voglia di scoprire quei posti che sentivo così familiari… Le foglie intorno a me danzavano col vento e si appoggiavano dolcemente a terra come per riposare. Più ci inoltravamo nel boschetto più mi riempivo di stupore. Ad un certo punto ho sentito uno strano rumore che assomigliava al gorgoglio dell’acqua e, attratto da quel suono, ho raggiunto un ruscello. L’ho accompagnato, per un tratto, nel suo percorso tortuoso dove incontrava massi ricoperti di verde muschio che superava formando piccole cascate. L’acqua era limpida e il riflesso della mia immagine appariva come in uno specchio magico. Sulle sponde crescevano alberi dalle grandi foglie ma anche felci… Ancora oggi il ricordo di quel bosco mi suscita una indescrivibile sensazione di tranquillità e pace. Alessandro Come nella fiaba “Il brutto anatroccolo” e “I cigni selvatici”, l’estate scorsa ho scoperto un paesaggio che rispecchiava perfettamente quello che avevo nel cuore. Ero in vacanza da quasi due mesi e mi sentivo tranquilla, riposata; potevo dormire a lungo e godermi le giornate giocando con gli amici. In quei giorni abbiamo deciso di partire per il Gargano, anche se io non ero soddisfatta perché partivamo da soli e non avrei avuto un amico con cui giocare per tutta la settimana. Una volta arrivati però sono rimasta stupita perché il residence era bellissimo: era una villa e noi potevamo girare per tutto il giardino e rilassarci nel nostro appartamento. Eravamo in collina e quindi in lontananza si vedevano il mare e la città. La notte c’era un gran silenzio, disturbato solo dal canto delle cicale. Il giorno dopo siamo andati in spiaggia e lì lo stupore è aumentato perché la spiaggia era molto lunga e larga e la gente era poca, il mare era limpidissimo, come da noi non si vede mai. Io, che non amo molto l’acqua, mi sono subito sentita attratta da quella distesa azzurra e ho cominciato ad avere voglia di fare tanti bagni. Quando entravo in acqua mi sembrava che una coperta soffice mi avvolgesse, mi stendevo a pancia in su come sopra a un letto, chiu11 devo gli occhi e galleggiavo; non pensavo a niente, mi godevo quella tranquillità e mi sembrava di essere in pace con tutto. Questo clima di assoluto relax si manifestava anche alla sera quando andavamo a cena senza un orario preciso e decidevamo ogni volta un pasto diverso. Dopo cena mangiavamo il gelato e facevamo una passeggiata per le viuzze piene di negozi di Vieste. Prima di andare a letto ci sedevamo su uno sdraio nel portichetto davanti al nostro appartamento ad ammirare Vieste dall’alto tutta illuminata, con una musica in sottofondo: la cantilena delle cicale. Quando sono ritornata a casa ero molto felice, perché non mi era mai capitato di trovare un paesaggio così confacente a me e ho proposto ai miei genitori di ritornarvi il prossimo anno. Silvia IL RACCONTO FANTASTICO Immagina di essere Bilbo Baggins e racconta in prima persona la partenza dall’Ultima Casa Accogliente, la salita su per le montagne in mezzo alla tempesta, fino al momento dell’entrata nella grotta. Il mio nome è Bilbo Baggins. Ho lasciato insieme ai nani da lunghi giorni l’Ultima Casa Accogliente, dove mi sono trovato molto bene. Gli elfi ed Elrond sono stati gentili con noi e mi è dispiaciuto abbandona12 re quella casa comoda e confortevole. Ho intrapreso una strada lunga e pericolosa e adesso mi ritrovo qui, a salire un sentiero tortuoso e solitario su per queste montagne. Penso al mio paese e alla mia caverna hobbit, lontano lontano, dove tutto è azzurro e tranquillo e ho un’improvvisa voglia di essere là. Il freddo sta diventando sempre più intenso e il vento soffia fra le rocce. Ogni tanto grossi macigni precipitano giù dalla montagna e passano in mezzo a noi e sopra di noi: che paura! Siamo fortunati che finora nessuno è finito sotto ad un masso rimanendo schiacciato. Nonostante questo continuiamo il nostro cammino, ma è molto dura: le notti sono scomode e gelide e i nani non cantano più, anzi parlano poco, perché sembra che il silenzio non voglia essere rotto. Là sotto è estate e si falcia il fieno e si fanno pic-nic, si fa la mietitura e se continuiamo di questo passo, ci perderemo tutto ciò. Quando abbiamo lasciato Elrond, eravamo felici e parlavamo gioiosamente di superare le montagne e di attraversare le terre al di là di esse, ma adesso siamo tutti assorti nei nostri pensieri e andiamo avanti a testa bassa. Sono passati tanti giorni e sebbene i pericoli siano tanti, non ci è ancora successo niente di grave. Ma adesso… sta iniziando a tuonare e arriverà di certo un temporale! Una tempesta violenta può essere pericolosa in pianura o vicino ad un fiume e questa è sicuramente una tempesta molto violenta. Ci sono tuoni, fulmini, pioggia, vento e luci improvvise. Non ho mai visto una cosa simile. Ora sono in alto, in una strettoia: ci siamo riparati qui per la notte, sotto una roccia sporgente. Sono avvolto in una coperta e tremo dalla testa ai piedi e guardo fuori. Vedo, dall’altra parte della valle, giganti di pietra che giocano a tirarsi enormi macigni che poi cadono più in basso. Inizia a grandinare e il vento spinge la pioggia e la grandine contro di noi. Siamo bagnati fradici e i nostri pony nitriscono per la paura. Posso udire i giganti che urlano e ridono rumorosamente. “Qui non va bene per niente” dice Thorin ed io sono d’accordo con lui; quanto darei per essere a casa al caldo! Gandalf e Thorin sono di cattivo umore e, dopo una disputa, decidono di mandare Kili e Fili a cercare un rifugio migliore. So che succederà qualcosa… Kili e Fili sono già tornati e dicono di aver trovato una grotta asciutta. Gandalf chiede ciò che non osavo chiedere: “L’avete esplorata molto accuratamente e coscienziosamente?”. I due rispondono di sì, ma non mi convincono perché si sono assentati veramente per poco. Comunque decidiamo di seguirli. Prendiamo i nostri pony e i nostri bagagli e partiamo. La grotta non è molto lontana, hanno detto, e siamo quasi arrivati. Eccola! Passiamo dietro una grossa roccia e troviamo un passaggio, dove facciamo entrare i pony e i bagagli con un po’ di fatica. Dentro è asciutto ed è bello udire il vento e la pioggia al di fuori. Esploriamo la grotta e mi sento già più sicuro, perché sem13 bra che non ci siano pericoli. È una stanza ampia (ora si vede bene grazie al bastone di Gandalf), ma non troppo vasta. C’è posto per noi e per i pony. Oin e Gloin vogliono accendere un fuoco per asciugare gli indumenti fradici: bellissima idea! Ma Gandalf non vuole. Pazienza, almeno possiamo cambiarci e spargere gli abiti bagnati per terra. Inizio a dimenticare la pioggia e la tempesta e sembra che anche gli altri si inizino a rilassare. Facciamo anelli di fumo, parliamo, parliamo e parliamo ancora. Discutiamo perfino del tesoro che forse otterremo. E così ci addormentiamo, stanchi, affaticati, ma con qualche speranza! Teresa Affrontando la lettura del romanzo “Lo Hobbit” hai incontrato un personaggio nuovo: Bilbo Baggins. Presenta l’aspetto di Bilbo, la sua casa, le sue abitudini, il suo carattere e come avviene il suo coinvolgimento nell’avventura con un compito ben preciso. Infine metti in evidenza ciò che più ti ha colpito del suo personaggio. Leggendo il meraviglioso romanzo “Lo Hobbit” ho avuto modo di conoscere un simpatico personaggio: Bilbo Baggins, uno hobbit. Gli hobbit sono esserini molto bassi, con un leggero vello sui piedi, che non sono in grado di compiere grandi magie, se non quella di scomparire in un attimo quando Gente Grossa (così ci chiamano) come noi si avvicina facendo il rumore di un elefante. Quasi tutti gli hobbit amano la vita abitudinaria, tranquilla e senza imprevisti, tutti tranne la famiglia dei Tuc, di cui Bilbo è discendente. Infatti, bisogna sapere che Bilbo è figlio di un Baggins e di una Tuc, precisamente di Belladonna Tuc, nipote di un eroe che sconfisse gli orchi nei tempi più antichi. Bilbo, come vedremo in tutta la storia, presenta due aspetti: quello Baggins, che ama la quiete, e quello Tuc, voglioso di vivere grandi avventure. Questi due aspetti che, sono in continua lotta tra loro, determinano la maggior parte degli eventi. Bilbo vive a Hobbitopoli, la contea degli Hobbit, un luogo verde e allegro che si articola sul fianco di una collina, da sempre chiamata: “La Collina” (evidentemente la gente del luogo non aveva molta fantasia!). La sua dimora è una caverna, non una caverna fredda, sporca e umida, bensì una caverna – hobbit, dotata di ogni tipo di comodità. La sua casa è la più bella e la più grande di tutta la collina. Porte e finestre sono rotonde, l’entrata è spaziosa, e procedendo verso l’interno si attraversa un grande corridoio, sul quale si affacciano molte porte che conducono a delle stanze. Tutte le pareti sono ricoperte di legno, e nella spaziosa cucina si può trovare qualsiasi tipo di cibo! 14 Lo hobbit ama fare lunghe passeggiate, fumare la pipa, mangiare, e infine ricevere visite. La sua vita procedeva così tranquilla fino a quando non arrivò Gandalf. Gandalf era uno stregone cacciatore di avventure. Molti erano stati convinti da lui ad abbandonare la propria casa e la propria famiglia per partire per grandi avventure, ma di questi si era persa la traccia. Quel giorno era venuto per Bilbo, ma non ottenne grandi risultati (infatti non riuscì a convincerlo). Pensò quindi di fargli uno “scherzetto”. Fece un segno sulla sua porta e in men che non si dica Bilbo si ritrovò la casa invasa da dodici nani affamati che la misero completamente in disordine. Gandalf infatti aveva segnato sulla porta del povero hobbit un simbolo che significava “scassinatore cerca lavoro” e quei terribili nani erano pronti per riconquistare il grande tesoro che era stato rubato ai loro antenati da un drago di nome Smog, e per recuperarlo avevano bisogno di uno scassinatore. Bilbo faceva quindi al caso loro. Dopo aver a lungo parlato con i nani, e dopo aver sentito cantare Thorin, il loro capo, si accese in Bilbo l’amore per le cose belle fatte con le proprie mani, la voglia di impugnare la spada anziché il bastone, il desiderio dell’avventura. Decise perciò di intraprendere quel viaggio, di arrivare da Smog alla Montagna Solitaria e di aiutare i nani a riprendersi ciò che era loro! Carlo Durante il suo viaggio in cui incontra orchi e creature malvagie, Bilbo riesce sempre ad affrontarle con abilità, forza d’animo e anche con un pizzico di astuzia e fortuna. Questo mi insegna che nella vita bisogna affrontare le varie difficoltà e avversità come fa Bilbo, senza tirarsi mai indietro. Gianmarco Ciò che mi ha colpito particolarmente di questo personaggio è proprio la continua tensione tra i due aspetti della sua personalità, ovvero il lato tranquillo e sedentario che non ama gli imprevisti, e l’aspetto avventuroso, forse perché riconosco anche in me questo duplice aspetto: momenti in cui mi assale la pigrizia e altri invece in cui predomina la voglia di fare. Ritrovo la tensione dei contrapposti, anche in tanti altri aspetti della vita: come per esempio il buono e il cattivo, la luce e il buio, la gioventù e la vecchiaia… Matteo Giovanni 15 Mi affascina molto questo personaggio che ha in sé due aspetti caratteriali così contrapposti, quello Tuc e quello Baggins, che lo rendono davvero insolito e speciale. Se fosse stato tutto Baggins forse sarebbe stato troppo monotono, così pure, se fosse stato tutto Tuc, sarebbe apparso troppo “ folle e fantasioso”. Invece così com’è lo trovo rassicurante ed eccitante allo stesso tempo. Alessandro Quello che mi ha colpito di più di questo personaggio è il suo fare calmo e pacato, la sua disponibilità e la sua prudenza, ma anche la sua ingenuità e la sua goffaggine. Spesso si mette nei guai, però quando è in pericolo non perde la testa e cerca una soluzione. Si dimostra forte e fragile allo stesso tempo. Nel romanzo è il mio personaggio preferito. Filippo Prova a immedesimarti in Bilbo mentre attraversa l’oscura foresta di Bosco Atro. Descrivi l’ambiente e immagina i tuoi sentimenti. Io e i nani siamo appena entrati in Bosco Atro e camminiamo tutti in fila indiana. L’inizio di un sentiero porta in un tunnel tetro fatto di due grandi alberi i cui rami coperti da muschio ed edera, sono intrecciati come le viscere all’interno del mio stomaco che mi fanno star 16 male. Il sentiero è stretto, lugubre e serpeggia fra le migliaia di alberi; ciò che mi angoscia di più è il silenzio profondo: solo i nostri passi risuonano nel terreno e la natura ostile sembra ascoltarci e osservarci. Senza la presenza di Gandalf non ci sentiamo per niente al sicuro e il mio cuore soffre di tristezza e malinconia. La luce del sole raramente riesce a passare tra i rami perciò ci siamo abituati alla penombra. Qua e là si possono vedere gli occhi indiscreti di molti scoiattoli che velocissimi scappano dal sentiero e corrono via a nascondersi. Ciò che mi fa raggelare il sangue sono gli strani rumori provenienti dal sottobosco che non riesco a identificare. Più si va avanti, più Bosco Atro diventa scuro, afoso e tetro. Ora ci troviamo avvolti da ragnatele scure, robuste, che calano da un ramo all’altro. Mentre tento di passare velocemente, esse cercano di avvolgere il mio corpo: questa sensazione mi dà ribrezzo. Che posto orribile! Qui dentro mi sembera di soffocare e, pure i nani che sono abituati a vivere nel tunnel, sentono il desiderio di vedere almeno un po’ di cielo, un po’ di luce. La notte qui è davvero tremenda. Mentre faccio la guardia vedo occhi enormi che lentamente svaniscono per lasciare il posto ad altri occhi più o meno grandi: tremo come una foglia! In questi momenti mi piacerebbe essere nella mia caverna hobbit, sulla mia poltrona davanti al camino acceso a fumare la mia pipa e con essa fare anelli di fumo. Questo pensiero mi sostiene per passare la notte, nonostante il tormento di migliaia di falene e di terribili pipistrelli. Il tempo passa lentamente e questo cammino sembra non finire mai. La fame e la sete ci accompagnano ed io a volte mi sento mancare, le mie forze sembrano svanire. Ma ecco che finalmente il sentiero viene interrotto da un corso d’acqua che sappiamo però essere stregato. Così pensiamo subito a come oltrepassarlo. Incomincio a farmi forza e a reagire, finchè vedo una barca attraccata all’altra riva, grazie ad essa un po’ alla volta attraversiamo il corso d’acqua. In questo modo tutti siamo al sicuro sull’altra sponda del fiume incantato e finalmente, dopo tanta ansia, paura, sofferenza, il mio cuore si sente leggero e pieno di speranza. Gianmarco Il romanzo “Il principe Caspian” va considerato una fiaba, come ci suggerisce l’autore, C.S. Lewis; infatti egli spiega in un suo saggio che si era innamorato della struttura stessa della fiaba e voleva scrivere delle fiabe. Che sia da considerare una fiaba lo capiamo proprio dalla sua struttura: nelle fiabe infatti –come rivelò Vladimir Propp, uno studio- 17 so russo dei primi anni del Novecento – certe situazioni, certe azioni, certi ruoli dei personaggi si ripetono costantemente, anche se le vicende narrate sono diverse. Per esempio, in tutte le fiabe c’è sempre un eroe protagonista, che deve affrontare una serie di prove e superarle prima di giungere alla vittoria finale. L’eroe protagonista, però, per ottenere il premio finale, deve scontrarsi con un nemico, o antagonista, che cercherà in tutti i modi di ostacolarlo. Vi sono poi gli aiutanti, ossia quei personaggi che dotati di poteri straordinari, aiutano appunto l’eroe fornendogli dei mezzi magici (donatori - aiutanti). Perché il protagonista (l’eroe) viene sottoposto a una o più prove (anche a Narnia)? Innanzitutto la prova deve svelare di cosa è fatta una persona; in secondo luogo, deve insegnare a quella persona a diventare quello che non è ancora (coraggiosa, obbediente, misericordiosa, generosa). La prova poi possiede un’altra funzione, ancora più importante: sembra sempre essere finalizzata al bene di un altro, in gioco c’è sempre il bene di qualcun altro. Al termine della lettura del romanzo i ragazzi hanno risposto a diverse domande: ecco alcuni passaggi dei loro scritti. Il libro “Il Principe Caspian” di C.S. Lewis ti è piaciuto? Perché? Hai scoperto o imparato qualcosa di importante? A me questo libro è piaciuto moltissimo anche se è un libro che parla di guerre e battaglie, insegna amicizia, amore e fiducia. Leggendolo ho paragonato Aslan a Dio perché Dio dà la libertà di mangiare i frutti di un albero. È simile a quello che fa Aslan: lascia ai Telmarini la libertà di andarsene. Mi ha poi colpito la lealtà con cui Peter affronta le cose e le amicizie e la stima che nasce tra i personaggi. Ho capito, come Lucy, che nei momenti di difficoltà qualcuno è sempre vicino a te, pronto ad aiutarti. Teresa 18 Questa libro mi è piaciuto moltissimo perché è pieno di battaglie emozionanti ed è una storia di amicizia e fantasia, con tutte le creature speciali come driadi, leoni e centauri che piacciono a me; da questo libro ho scoperto che per diventare da ragazzini adulti, come Caspian, bisogna vivere tante dolorose, tristi o felici esperienze e secondo me saperlo è importante, perché prima o poi toccheranno anche a noi! Maria Vittoria A me questo libro è piaciuto molto perché parla di una storia di avventura e di magia, per questo mi è piaciuto molto. Da questo libro ho imparato che non bisogna mai perdere la speranza in qualsiasi cosa tu faccia. Giovanni A me questo libro è piaciuto tantissimo perché è un libro molto avventuroso e profondo. Io ho imparato due cose mimportanti: la prima è che le cose non accadono mai allo stesso modo due volte; la seconda è che, per poter vincere il male, bisogna avere sempre degli amici al tuo fianco di cui puoi fidarti. Elisa Questo libro mi è piaciuto molto, perché mi piacciono molto le storie di questo tipo da leggere e ho scoperto che se sei in difficoltà, puoi fidarti di un amico di cui sei affezionato. Giuseppe Questo libro mi è piaciuto molto perché è pieno di avventure e ti fa imparare a fare tante cose: a fidarsi degli amici, a non tirarsi mai indietro e a non arrendersi qualunque cosa stai facendo; soprattutto ho imparato che è importante aiutarsi uno con l’altro ad essere fedeli agli amici Anna Questo libro mi è piaciuto molto, perché quando lo leggevo insieme alla mia classe sentivo di essere dentro a questa fiaba, e da essa ho imparato a fidarmi di più degli amici, ad avere più fiducia in me, e ho imparato che insieme si fare di più di quello che di solito fai da solo. Lucia Sì, a me questo libro è piaciuto molto perché ti lascia immaginare e volare con la fantasia; mi è piaciuto anche per l’avventura e per le bestie mitologiche. 19 Ho imparato da questo libro che quando si ha bisogno bisogna chiedere aiuto. Nevio Questo libro mi è piaciuto molto perché è un libro perché è un libro d’avventure, quindi non sai mai cosa può succedere. Da questo libro ho imparat o a credere di più nelle persone, come Susan, Edmund e Peter, che non volevano credere a Lucy, ma in realtà il leone l’aveva visto veramente. Lorenzo Sì, questo libro mi è piaciuto molto perché parla di un’avventura fantastica che mi ha coinvolto molto. Da questo libro ho imparato che il male non può trionfare e che il bene è sempre il vincitore. Ho scoperto che avere gli amici serve moltissimo e che loro possono aiutarti in ogni momento. Manuèl Questo libro mi è piaciuto molto perché rispecchia vari aspetti della realtà come il bene e il male. Sì, ho imparato a fare le mie scelte e ad assumermi le mie responsabilità. Federica Questo libro mi è piaciuto molto, anche perché è ricco di scene fantastiche, che nella vita reale non esistono. Ho imparato che ci si deve sempre fidare di un proprio amico o di una persona cara e che insieme niente è impossibile. Elena Questo libro mi è piaciuto molto perché, innanzitutto mi piacciono i libri di avventura come questo, ma anche perché ho imparato che quando hai bisogno basta chiederlo a una o più persone care, che l’aiuto ti viene dato. Giovanni Pollini Il romanzo “ Il Principe Caspian” mi ha colpito, ma non è questo il libro che fa per me. Però, leggendo il libro, ho imparato che le persone possono cambiare, inoltre che quando ti affezioni particolarmente ad una persona è difficile staccartene e infine che ovviamente vince sempre il Bene. Sofia 20 Questo libro non mi è piaciuto particolarmente perché non è nei generi che preferisco. In compenso ho imparato che bisogna sempre essere gentili con gli altri perché hanno comunque dei sentimenti e, probabilmente saranno tuoi amici e ti ricambieranno la gentilezza. Ho imparato anche che le cose arrivano solo a chi combatte per esse, ci tiene veramente e le sa aspettare. Comunque combattere non vuol dire essere maleducati con gli altri o fare loro del male. Luigia Immagina di essere Lucy o Edmund e di dover prepararti a dire addio a Narnia e ai suoi abitanti... Racconta in prima persona cosa vedi, cosa succede dal momento in cui Peter si rivolge a Edmund e a Lucy invitandoli ad andare, fino al momento in cui si ritrovano alla stazione dei treni. Non dimenticare di esprimere anche quello che pensi e che provi. Era una giornata magnifica e speciale. Il sole splendeva alto nel cielo celeste. Aslan aveva proposto ai Telmarini che non volevano restare a Narnia, una nuova patria. Ero felice, perché sapevo che io, Edmund, Susan e Peter potevamo restare a Narnia. 21 Io ero vicino ai miei fratelli, ma anche ai miei amici: Tartufello, Briscola, Ripicì... Eravamo tutti felici e soddisfatti, perché avevamo vinto la battaglia ed ora Narnia era tornata in possesso a Caspian e agli abitanti di Narnia. Quel giorno Aslan aveva fatto sistemare due pezzi di legno ad una certa distanza, e un bastone leggero era stato sistemato sopra gli altri due, costruendo così una porta, al Guado di Beruna, da cui i Telmarini che non volevano restare a Narnia dovevano passare. Hei! Uno dei Telmarini ha attraversato la porta ed è... scomparso! –, mi disse Briscola spaventato. Stai tranquillo P.C.A., Aslan sa quello che fa! – gli risposi. Ma ad un certo punto Peter ci disse che era il nostro momento. Io mi rabbuiai e dissi: – Ma come! Io voglio restare a Narnia, non voglio tornare in Inghilterra! –. Anche Edmund non capiva, ma Peter ci disse: – Forza, andiamo nel bosco a cambiarci i vestiti–. Io a malincuore li seguii. Insomma, mi ero svegliata felice, con l’idea di poter restare a Narnia e ora mi veniva riferito che dovevamo tornare in Inghilterra? No, io non potevo permetterlo, non ci stavo! Allora chiesi piagnucolando: – Ma Peter, perché proprio noi? Io non voglio proprio tornare in quel posto grigio e freddo! Io resto qui! –. Lucy non essere cocciuta, anche noi vorremmo restare, ma vedi il fatto è che... –. Che? Dai, continua, ti prego! – la implorai. ... che dobbiamo andare, punto e basta! –, mi rispose bruscamente Peter. Ma Peter, io... – dissi senza più speranze. Niente “ma”! Forza sbrigatevi voi due, è tardi! – rispose Peter. Peter ha ragione, Lucy, muoviamoci! – mi disse Edmund. Quando tornammo al Guado di Beruna, iniziarono i saluti. Addio P.C.A., non ti scorderò mai, promesso! – dissi a Briscola. Neanch’ io piccola amica! –, mi rispose. Addio Tartufello, addio Ripicì, addio a tutti voi! – dissi io con le lacrime agli occhi. Ci furono scambi di abbracci e baci e ci furono anche delle lacrime versate. Ma il saluto più doloroso era quello ad Aslan. Aslan... io... io... vorrei... restare..., ma... perché dobbiamo andarcene? – chiesi piangendo ad Aslan. Tesoro lo capirai... – mi rispose Aslan. E ora va, va con i tuoi fratelli – continuò. Io, dopo averlo abbracciato e dopo averlo salutato affettuosamente andai con i miei fratelli. 22 Mi sentivo sconfortata e triste, anche se Aslan mi aveva consolata. Solo quando Peter mi parlò di nuovo potei capire tutto. Io e Susan non potremo più tornare a Narnia, ormai siamo grandi, e abbiamo imparato tutto ciò che c’ era da imparare –. Cosa?! – esclamammo insieme io ed Edmund. Insomma non è possibile, come? – chiese Ed. Lo capirai quando crescerai. Però voi due potrete tornare un giorno.- ci tranquillizzò Peter. Tristi attraversammo la porta e accadde una cosa strana. Prima di arrivare alla stazione ci apparvero tre paesaggi diversi Contemporaneamente: il primo era un antro di una caverna che si affacciava sul verde e l’ azzurro profondo di una isola nel Pacifico. La seconda era il mondo di Narnia, ma la terza era la stazione dove noi dovevamo andare. Alla fine, arrivati alla stazione, ci sentivamo tutti un’po’ strani, insomma, dopo un’ avventura così! Io mi sento molto fiero, perché sono cambiato, sono più leale, coraggioso e fiducioso – disse Peter cono aria solenne. Anch’io sono cambiata, sono diventata più fiduciosa, più coraggiosa, ma soprattutto più consapevole dei miei errori –, disse Susan. Io invece mi sento più maturo e più paziente – sintetizzò Edmund. E tu Lucy? – mi chiesero. Beh, io... – risposi – risposi. ... anch’ io sono cambiata. Mi sento più matura, più coraggiosa, e più prudente. Ma ho anche capito che le cose non avvengono mai allo stesso modo, per questo sono felice –. Eravamo tutti tristi, perché era finita l’avventura magica a Narnia e ora dovevamo tornare a scuola, nei college (io ero la più triste: insomma era la prima volta che andavo in collegio!), ma eravamo anche felici perché avevamo vissuto un ‘avventura istruttiva, che ci aveva insegnato molte cose e poi... Narnia è il posto più bello che esista! Elisa 23 IL RACCONTO A SFONDO MITOLOGICO Immagina di essere un soldato greco che assiste all’invettiva di Tersite e alla sua punizione da parte di Ulisse. Racconta l’episodio dal tuo punto di vista. Uhuh… ho tutta la schiena indolenzita… Ulisse mi ha dato una bastonata con lo scettro del capo supremo… Mi ha picchiato perché ho detto che ho una famiglia, che potrei morire anche domani in guerra, che sto sprecando la mia vita … e bangh! Ecco la bastonata! Non sono stato l’unico a subire quest’umiliazione. Però tutti hanno inveito, a bassa voce, contro Agamennone che ci ha dato la speranza di tornare a casa e poi, dopo che ci siamo precipitati alle navi, ha balbettato: “ Lo dicevo per vedere se la brama di gloria arde ancora nei vostri cuori!”. Purtroppo dopo dieci anni nemmeno i Mirmidoni hanno più voglia di combattere! Non fatevi un’idea sbagliata di me, non sono il peggiore guerriero dei Greci, c’è Tersite prima. È un uomo, anche se sembra un mostro, molto brutto: non ha capelli, ha una testa aguzza con niente dentro, è guercio, ha due gobbe… Io non so proprio come sia ancora vivo dopo questi nove anni di guerra faticosa. Tersite ciarla su tutti i capi dicendo fandonie; pure io che sono lontano da lui lo sento ancora farneticare, oh sta dicendo qualcosa: “ Achive, non Achei!” Questo insulto è risuonato in tutta l’assemblea ed io vorrei fargliela pagare, ma sono tutto un livido e una zuffa non mi gioverebbe... non 24 certo per le ferite che mi può infliggere Tersite, ma perché interverrebbe Ulisse che fa sempre di tutto per ripristinare la calma. Oh, e adesso contro chi inveisce quel coniglio? Mi sto avvicinando per sentire meglio. Tersite ha insultato Achille! Achille che è il più forte fra i guerrieri! Gli Achei stanno fremendo di rabbia, ma si controllano. Quel pazzo dice che se Achille non fosse stato un vile avrebbe ucciso Agamennone nel momento del litigio: non sa quel che dice. Io credo che Agamennone dovrebbe pagare per l’oltraggio al Pelide, ma se Achille lo avesse colpito con la spada sarebbe scoppiata una battaglia dentro il campo acheo. Fortunatamente dall’alto l’ha squadrato Ulisse truce in volto. Egli ha ripreso il controllo della situazione e ha incominciato a rimproverare il cane dileggiatore. Il grande eroe difende Agamennone che Tersite aveva insultato prima che arrivassi. Ulisse ha detto che quel petulante insulta tanto il capo supremo per invidia dei doni offertigli dagli Achei. Poi l’ha minacciato di cacciarlo, nudo, dall’assemblea. Adesso voglio vedere la faccia di Tersite. E’ spavaldo, ma vedo un’ombra di paura nei suoi occhi; e ha ragione! Pum! Un rumore sordo seguito da un gemito: Ulisse l’ha colpito. Il gemito è seguito da altre botte e da lacrimoni di dolore. Alla vista della sua schiena rossa e gobba non mi sono trattenuto: ho riso forte seguito dai Greci. Poi ho fatto i complimenti ad Ulisse che mi ha ringraziato. Adesso egli vuole fare un discorso, meglio andare ad ascoltarlo. Margherita Il mio nome è Ileo e sono un oplita dell’esercito del re Agamennone. Sono più di nove anni che mi trovo qui a Troia a combattere: ho visto morire mio fratello e mio cugino. Pensavo che questa volta saremmo davvero tornati a casa: Agamennone l’aveva detto e quindi, se quello che dice il comandante è legge, ormai era fatta. Si tornava a casa. Mentre tutti gioiscono all’idea del ritorno e corrono all’impazzata, interviene Ulisse che con lo scettro comincia a correre dietro a noi soldati e a darci botte a destra e a sinistra urlando di stare calmi e sedersi. Tutti si siedono ad ascoltare, tranne uno: Tersite, che è il più brutto tra noi e sa solo insultare. Comincia a dire cose senza senso: dice che Agamennone è un avaro e che il bottino che gli eroi o addirittura i soldati semplici, come lui o me, conquistano col sudore vanno ad Agamennone, che non ha fatto nessuna fatica. Su questo sono pienamente d’accordo; ma io non mi sarei messo a urlarlo davanti a tutti. Certo che dopo aver capito che la partenza era una bugia, la sua sce25 netta ha tirato un po’ su l’umore di tutti. Mi fermo lì a guardare cos’altro dice, e subito Tersite urla ad alta voce: “Achive non Achei” insultando così noi – e anche se stesso – facendo capire che siamo vili come delle donne. Sull’idea che l’assemblea sia vile sono d’accordo, perché non ha voluto opporsi ad Agamennone difendendo ciò che pensava per paura del Re dei Re. Ma che anche noi siamo dei vili è una cosa davvero inaccettabile, visto che io sono sempre in quella mischia a combattere! Poi ha detto un’ultima cosa su cui io sono assolutamente contrario, cioè che Achille figlio di Peleo sia un vile. Ma vi rendete conto di cosa ha detto? A queste parole gli Achei prorompono tutti in un “oh!” di sdegno. Dopo queste ultime parole Ulisse gli è addosso con il volto scuro e lo rimprovera duramente, poi per punirlo lo colpisce con lo scettro finchè Tersite non si siede con la schiena rossa e le lacrime agli occhi. A questo punto ridiamo tutti di gusto: questo episodio per noi è stato divertente, ma per quel brutto ceffo di Tersite certamente no. Alessandro Immagina di essere un giornalista incaricato di fare la cronaca della guerra di Troia e descrivi la scena del duello tra Paride e Menelao facendo emergere le differenti personalità. L’EROE EFFEMINATO: LA VIOLAZIONE DEGLI IDEALI GRECI Il vento soffiava forte, quel giorno. Gli eserciti si avvicinavano in religioso silenzio. Era la quiete prima della tempesta. Da una parte Paride, il vanitoso troiano, vestito della sua sfarzosa pelle di leopardo, e dall’altra… Menelao, fratello di Agamennone, furioso per l’oltraggio che ricevette da questi. Il solenne Atride avanza sul suo cocchio borchiato, e con un balzo acrobatico salta giù, come un leone assetato di vendetta. A questa vista, il povero Alessandro è terrorizzato e sbianca in volto, correndo dal fratello Ettore, che indignato e deluso lo rimprovera aspramente. 26 Ai richiami del fratello, il seduttore sente di dover combattere, quindi si dice disposto ad affrontare Menelao. Come ben sapete, questo duello deciderà le sorti della guerra, e il vincitore potrà gloriosamente affermare che il trionfo sugli avversari è merito suo. Il vento cessa e il duello inizia! Paride scaglia la sua lancia, il tiro è un po’ lento, e come era prevedibile il resistente scudo dell’Acheo lo para abbondantemente. È ora il turno di Menelao, che però, prima di scagliare l’asta, rivolge una preghiera a Giove perché possa avere piena vendetta sul nemico. Ed ecco allora che l’arma si libra in cielo fendendo l’aria, il fantastico lancio le dà una grande potenza, che permette alla punta di trapassare tutte le difese di Alessandro. Il troiano però, con un salto evita che la lancia gli perfori lo stomaco e riporta solo una lieve scalfittura. Menelao, giustamente adirato, si scaglia allora sul misero nemico, e con un portentoso fendente gli colpisce l’elmo. La spada però si spezza, così il fratello di Agamennone, in preda all’ira, afferra il pennacchio dell’effemminato nemico e lo trascina per il campo. I lacci dell’elmo stanno strozzando l’imbelle, che supplica umilmente pietà. Che scena vergognosa per un eroe!!! A quel punto interviene la meno bellicosa della dee: Venere, che scioglie i lacci liberando Paride. Menelao, ora risoluto, impugna una lancia per uccidere il nemico ancora spossato, quand’ecco che questi sparisce in una nebbiolina misteriosa. Che ingiustizia! Proprio ora che Menelao stava per avere piena vendetta sul traditore! Questo duello, cari lettori, come avrete notato, mette in luce due personaggi: Menelao e Paride. Il primo è un eroe orgoglioso che vuole vendicarsi di colui che lo tradì rubandogli la moglie, mentre il secondo è un effemminato codardo senza gloria. In questo episodio vi è un’eccezione alla calocagazìa, secondo la quale alla bellezza corrisponde il valore, questa eccezione è Paride, il seduttore di donne, che pur essendo bello, è un vigliacco. Carlo, inviato speciale di Edizioni Greco-Romane LA VITTORIA DI MENELAO CONTRO PARIDE IL VILE TROIANO OGGI LA “CALOCAGAZIA” VIENE MESSA IN DUBBIO Ancora una volta sono stata inviata sul campo di battaglia per raccontare dell’eterna guerra tra Troiani e Achei. Nessun esercito sembra volersi arrendere, ma oggi, tra la polvere e il sudore, si è verificata una svolta nella guerra. Per la prima volta Paride è sceso in campo, anche se non con grande successo. Era bello come un dio, spavaldo come un 27 eroe e sfidava i più forti Achei tenendo tra le mani una freccia e l’arco. Indossava una pelle di leopardo importata dall’Africa appositamente per lui. Mentre faceva lo spavaldo, ecco arrivare a lunghi passi Menelao, che guardava con espressione famelica il traditore belloccio. Quest’ultimo, vedendolo, è saltato indietro impaurito, poi si è girato ed è corso tra gli Achei veloce come il vento. Ettore guardando Paride con una faccia disgustata ha incominciato a rimproverarlo con aspre parole che evidentemente hanno fatto cambiare idea al vile, dato che alla fine ha deciso di sfidare Menelao a duello. Erano in un’arena improvvisata, c’era silenzio, finchè Paride, ancora pallido per lo spavento, ma sempre bellissimo, impugnò l’asta ed ecco che i Troiani cominciarono a tremare per la differenza tra Menelao e Paride: Paride era un bell’usignolo sullo stesso ramo di un’aquila che attendeva di mangiarlo. Sorrisini ironici erano invece sulle labbra mute dei Greci che rispettavano gli ordini dei capi. Toccò a Paride lanciare l’asta, essa fece un volo lento e si spuntò colpendo il cerchio di ferro che univa le pelli dello scudo. Al contrario Menelao, dopo attimi di riflessione, scagliò un colpo veloce e forte che trapassò lo scudo, ma attutito da questo, non ferì mortalmente il rivale. Così, lanciando un urlo di rabbia, Menelao corse con la spada contro Paride che, impietrito, non si mosse. Il colpo fu talmente forte che la spada si ruppe in pezzi, allora Menelao lo prese per l’elmo trascinandolo verso gli Achei, ma, per fortuna del Troiano, il laccio di cuoio che legava l’elmo alla testa si slacciò e Menelao lo lanciò tra i suoi che festosi lo presero. Successivamente una nebbia avvolse Paride ed egli sparì. L’Atride rabbioso per non averlo potuto uccidere, ma anche sbigottito per la misteriosa sparizione del nemico era lì fermo, mentre aspettava che qualcuno dicesse qualcosa. Alla fine si decretò che il duello era stato vinto da Menelao, a cui si doveva restituire Elena. Questo è un caso in cui la calocagazìa viene messa in discussione, data la bellezza ma anche la viltà di Paride, il più attraente tra i Troiani e gli Achei. Margherita, inviata speciale di “Troia, ieri e oggi” Mi chiamo Leonida e sono un giornalista greco incaricato di scrivere la biografia di Menelao. Ecco, egli era così arrabbiato con Paride per aver rapito la sua bella moglie Elena, che volle che il momento dell’uccisione del Troiano fosse immortalato per secoli e generazioni. Vi riporto qui la scena del duello epico che avrebbe segnato le sorti della battaglia che dura ormai da dieci anni: era circa mezzodì, quando i due eserciti Troiani e Greci, erano schierati uno di fronte all’altro, guar28 dandosi biecamente e promettendosi una trucida e sanguinosa battaglia, quand’ecco apparire Paride, il bel traditore che si pavoneggiava con una pelle di leopardo lanciando sfide ai Greci armati in prima fila. Ma proprio in quel momento ci fu un grido che squarciò il silenzio, come un lampo taglia il cielo in una notte buia e tempestosa. Era Menelao, figlio di Atreo e sposo di Elena. Veduto Paride, egli si infuriò ciecamente, simile a un toro che ha visto un pezzo di stoffa rossa come il sangue. Presto si avventò contro il Priamide, senza badare ai soldati che erano proprio dietro di lui. Egli era identico ad un leone, che vedendo un cervo, fa un grosso balzo su di esso, senza badare ai contadini spaventati, che tentano senza successo di allontanarlo. Paride, vedendolo avvicinarsi a lui con il cocchio, scappò con la coda fra le gambe, come chi, vedendo un serpente in montagna corre su e giù tra gli arbusti, cercando di sfuggire al morso velenoso del rettile letale. Menelao è fiero, coraggioso e desideroso di vendetta (e per fortuna Greco), mentre Paride è bello ma vile. Il Troiano fu poi spronato da Ettore, che si lamentava di avere un fratello buono solo a sedurre le donne. Paride allora lanciò una sfida a Menelao, chiedendo che lo scontro fra i due segnasse le sorti della guerra. I Greci accettarono, prepararono lo spazio dell’arena e dettero il via al duello. Il traditore fece la prima mossa, scagliando la lancia contro l’Atride, ma senza successo, poiché lo scudo ne piegò la punta. Allora Menelao, pregando Giove perché saziasse con il sangue il suo spirito di vendetta, fece il suo primo attacco, scatenando la sua lunga asta. Essa trapassò lo scudo, spezzò l’armatura, lacerò la tunica e sfiorò la pelle, ma il troiano ne uscì senza danno. Menelao, ancora più irato, sfoderò la spada e la fece cadere con un movimento verticale sopra l’elmo, ma la spada non resse l’urto, frantumandosi in molti pezzi. Ora l’eroe, rivolgendosi al padre degli dei, con gli occhi rossi come il fuoco, emise un grido spaventoso, seguito da queste parole: “Giove, la tua crudeltà è pari solo alla viltà di questo traditore. Perché non mi hai assistito nel momento in cui lanciai l’asta e lo colpii con la spada?” La scena si stava piano piano riscaldando, poiché i due eroi, con le loro azioni, stavano dimostrando l’abisso tra viltà e coraggio. Infatti, Paride, spaventato a morte, rimase immobile come un insulso burattino, pronto a subire gli attacchi del nemico senza reagire. Menelao lo prese per l’elmo e lo trascinò verso i suoi cercando di soffocarlo e di prendere una nuova lancia dai soldati greci, i quali gridavano, arrabbiati con il Troiano, poiché era per causa sua se erano lontani 29 da casa da dieci anni:“ Infilzalo, scotennalo, taglialo a metà, polverizzalo!” Per la fortuna di Paride, giunse Venere che gli slegò l’elmo, liberandolo. A quel punto Menelao, di nuovo con l’asta alzata, si avventò contro il traditore, che però gli fu sottratto dalla dea dell’amore che lo depose nel letto profumato. Qui si nota ancora una volta la straordinaria vigliaccheria di Paride, salvato dalla dea più imbelle anziché da Marte, sempre schierato con i Troiani. Michele 30 LA NARRAZIONE A SFONDO STORICO Immagina di essere un contemporaneo di Benedetto, di averlo incontrato personalmente o di aver assistito a uno dei fatti eccezionali che lo hanno visto protagonista. Descrivi l’incontro con il Santo, racconta il fatto, metti in evidenza i tuoi sentimenti e i tuoi pensieri. Sono partito da casa per realizzare un sogno che porto nel cuore. È da tanto tempo che ci penso e aspetto; la scelta non è stata facile, ma alla fine ho deciso, voglio essere monaco insieme a Benedetto perché ho sentito parlare molto di lui e della sua Regola: l’accoglienza dei bisognosi, la cura degli ammalati, le scuole per i poveri che desiderano imparare, il lavoro, la preghiera… insomma sono convinto di questa chiamata da parte di Dio. Ho con me poche cose, lo stretto necessario per sopravvivere qualche giorno: spero di essere accolto dai monaci. Sono quasi arrivato al monastero, posso già scorgerlo all’orizzonte e sento dentro di me una forte emozione, tanto che mi batte forte il cuore. Busso al grande portone di legno del monastero, mi aprono e mi accolgono a braccia aperte, poi mi dicono che prima di diventare monaco devo superare un periodo di prova per capire se sono pronto ad affrontare quella vita così dura. Nel frattempo mi offrono cibo e un giaciglio per la notte. Mi sembra di essermi appena addormentato quando una campanella mi sveglia: cosa succede? Esco dal dormitorio e vedo i monaci dirigersi verso la chiesa, capisco che è il momento della preghiera. Li seguo e preghiamo insieme. Comincia così la nostra giornata scandita da sette momenti di preghiera e da tanto lavoro. Vengo inca31 ricato di occuparmi dell’orto: zappare, seminare, raccogliere ...tutte cose che un tempo mi apparivano insignificanti e umilianti, ma se condivise con i fratelli e offerte a Dio diventano nuove e importanti. Dopo vari mesi di noviziato divento monaco e Benedetto mi chiama con sé. La cosa che più mi colpisce di lui è la santità che emana da ogni sua azione. Un giorno mi ha chiesto di accompagnarlo ad un incontro speciale con sua sorella Scolastica, anche lei chiamata dal Signore a vivere per Lui. Ci siamo ritrovati insieme in una casetta a metà strada tra i due monasteri. Io me ne stavo zitto, in disparte, mentre loro parlavano delle “cose” di Dio. Erano così presi dalla preghiera e dalla conversazione che non si erano accorti che il tempo era passato ed era già sera: era ora di tornare ai nostri monasteri. Benedetto stava per avviarsi mentre Scolastica lo pregava di rimanere per la notte. Il padre le diceva di non poter accettare perché la Regola vieta di rimanere la notte fuori dal monastero. Allora Scolastica si è messa a pregare e improvvisamente è cominciato a piovere così forte che non siamo potuti uscire. Benedetto l’ha rimproverata, ma lei gli ha risposto che lui non l’aveva ascoltata, invece il suo Signore l’aveva accontentata. Gli avvenimenti miracolosi che riguardano il nostro padre Benedetto sono tanto numerosi che mi lasciano senza parole, ma mi aiutano ad avvicinarmi sempre più a Dio: sono riuscito anche a camminare sull’acqua grazie alla sua fede. Vivo con lui ormai da tanti anni e ringrazio continuamente il Signore di questa e di tante altre grazie che mi dà. Fratello Mauro Giulia Era l’anno ’500 e stavo completando gli studi letterari a Roma. Io ero un compagno di Benedetto da Norcia, ero uno di quei ragazzi che lui considerava viziati e superficiali. Noi, da parte nostra, lo deridevamo perché era diverso da noi. Un giorno Benedetto decise di lasciare gli studi e di ritirarsi in un luogo deserto e solitario, perché secondo lui l’unico modo per non perdere se stesso era consegnare la sua vita a Cristo. Tutti noi eravamo sconcertati e pensavamo che fosse un folle a fare una scelta del genere. La mia vita invece continuava nel vizio e l’unica cosa a cui pensavo era il divertimento. Col passare del tempo però sentivo crescere in me un’insoddisfazione e una strana inquietudine, mi ero reso conto che la mia vita era vuota, senza uno scopo; così, in un momento di riflessione, mi tornò in mente Benedetto, la scelta che aveva fatto e decisi anch’io di cercare la mia strada. 32 Abbandonai i beni materiali (gioielli, vestiti lussuosi, denaro) ed incominciai a vagare di paese in paese in cerca di pace e serenità. Lungo il mio viaggio incontrai di nuovo Benedetto e rimasi meravigliato da una scena a cui assistetti. Stavo camminando lungo la riva di un lago quando vidi un giovinetto che sulla sponda opposta attingeva l’acqua con un secchio. Ad un certo punto, a causa di una distrazione, egli cadde nell’acqua, io purtroppo ero lontano e non potevo fare niente per aiutarlo, ma all’improvviso un giovane monaco arrivò di corsa dirigendosi verso colui che stava annegando, e, cosa straordinaria, camminò sull’acqua, lo afferrò e lo riportò a riva. Stupito, di corsa li raggiunsi, e qui rividi Benedetto. Il giovane salvatore, resosi conto di quello che aveva fatto, gli si rivolse e gli disse che ciò che era accaduto era merito suo e che era un miracolo, anche il fanciullo che aveva rischiato di morire annegato confermò raccontando che mentre veniva salvato vedeva sopra di lui il viso dell’abate. Io mi inginocchiai davanti a Benedetto ed incominciai a piangere chiedendo perdono per come avevo agito in passato. Lui mi guardò con grande tenerezza, poi mi mise le mani sulle spalle e mi disse di alzarmi. Incominciai a raccontandogli della mia vita vuota, della sensazione di inutilità e superficialità, delle mie giornate sempre uguali e del desiderio di cambiare vita, di rinascere, di avere qualcosa di importante da fare, come aveva fatto lui. Insieme a lui cominciai una vita di preghiera, di lavoro e di carità. Carlotta 33 Tenendo conto della visita a Villa Adriana immagina di essere l’imperatore Adriano, un personaggio della sua corte o uno schiavo. Descrivi la tua vita senza tralasciare i tuoi sentimenti e i tuoi pensieri. Oggi mi sono svegliato e, con una splendida vista sulla piscinetta che circonda la mia “residenza acquatica”, ho fatto colazione a base di feta, un formaggio greco e con il miele delle api che hanno il loro alveare sulle mie splendide acacie. Poi mi sono fatto un bagno lavando bene i miei capelli castano scuri ricciuti e il mio corpo esile e poco abbronzato. Subito dopo si è svegliato il mio ospite, nonché mio migliore amico, Gaio Licinio, soprannominato “Vitulo” per la larghezza delle sue spalle e per i suoi bicipiti e tricipiti sovrasviluppati. Ha servito l’esercito per diversi anni come centurione e, durante una delle sue campagne si è procurato uno sfregio che gli attraversa tutta la schiena. E’ un uomo alto e, come ho già detto muscoloso, con addominali così ben scolpiti che farebbero intimidire anche Marte, una chioma mora lunga fino al collo, una pelle abbronzata dalla palla di fuoco che Apollo porta in cielo ogni giorno e due occhi penetranti che esprimono severità, ma anche generosità. Che felicità vederlo! Le cose che io e lui abbiamo in comune sono tante, come quelle che ci differenziano: io sono basso ed esile, mentre lui è un colosso, io m’interesso di politica, lui di guerra, però amiamo lo sport, la sauna, passeggiare per la mia villa-città e raccontarci episodi della nostra vita. Ci stiamo avviando verso le “piccole terme”, riservate a me e alla mia corte, quando Vitulo mi fa una domanda: mi chiede dove siano i miei schiavi dato che, dice lui, non ne abbiamo ancora incontrato nessuno. Io indico a terra e lui esclama: “Li hai murati vivi sottoterra?”. Io, dopo 34 una sonora risata, gli rispondo: “No, sciocco, si muovono lungo dei condotti sotterranei che girano per tutta la villa. Non ti sei mai chiesto cosa fossero quei buchi che portano in quelle gallerie?”. E lui, visibilmente sorpreso, ammette: “Veramente no”. Ah, un bel bagno caldo mi ci voleva proprio! È molto rilassante e ha degli effetti incredibili se si è stressati. Ad un certo punto il mio gigantesco amico mi confida un segreto: ha una cotta per la mia ancella Quinta e vorrebbe chiederle di sposarlo. Io gli rispondo di farlo, anche se so che lui è molto timido, così decidiamo di lasciar perdere. Torniamo alla mia residenza e facciamo un lauto pranzo a base di cinghiale, di ottimo formaggio di capra e pesce. Sono felice di poter trascorrere una giornata con un amico a mangiare, ridere e scherzare; purtroppo mi capita sempre più raramente perché sono preso dai miei impegni di imperatore. Essere a capo dell’Impero è un grande onore, ma è anche molto faticoso e occupa tutta la mia giornata: è un’enorme responsabilità. È estremamente pesante sapere che l’impero potrebbe cadere per una mia mossa sbagliata e io quindi devo ponderare e soppesare ogni mia decisione, cercando di prevederne le conseguenze. Neppure il più bravo indovino riuscirebbe a non sbagliare mai. A volte non riesco neppure a dormire pensando alla risposta giusta a tutti i quesiti che mi vengono posti. Vorrei essere ricordato come un imperatore saggio, colto, generoso, che vuole il meglio per il suo popolo, ma raggiungere questi obiettivi mi sembra impossibile, a meno che Giove non intervenga guidando il mio operato. Ecco perché sto godendo dei benefici della compagnia dell’amico più caro e che ogni uomo vorrebbe avere: Vitulo. Oggi pomeriggio voglio proprio cavalcare con lui sulla via Appia per respirare il profumo dei pini e dei fiori che crescono a primavera. Spero che il vento, che mi scompiglia i capelli, mi liberi anche la mente dai pensieri che mi assillano. Ludovico 35 RACCONTARE L’ESPERIENZA LA DESCRIZIONE Anche a me è capitato alcune volte di trovarmi di fronte ad un paesaggio che rispecchiava perfettamente il mio stato d’animo. Mi ricordo di un’estate in cui ero andato in vacanza a san Martino di Castrozza. Una mattina io, la mia famiglia e alcuni amici siamo partiti per fare una passeggiata in alta montagna. La funivia ci ha portato fino a 2500 m di altitudine e poi, con una guida che ci indicava la strada, abbiamo iniziato a camminare sulla cresta della montagna. Il paesaggio attorno era brullo, tutto roccioso, con alcuni attraversamenti in mezzo alla neve; in lontananza si scorgeva qualche ghiacciaio che dalla vetta arrivava fino alle pendici della montagna. Mentre camminavo questo paesaggio aspro e desolato rispecchiava quello che sentivo, perché ero stanco e infreddolito, con la neve dentro gli scarponi. Dopo alcune ore siamo giunti a un lago con l’acqua così trasparente e gelata che si poteva scorgere cosa c’era al centro. Una lastra di ghiaccio, lucida come una lama di coltello, galleggiava sulle acque limpide dal fondale sassoso. Alzando lo sguardo si poteva vedere un enorme ghiacciaio che partiva dalla cima della montagna, terminando sul lago con una parete di ghiaccio alta circa tre metri, azzurra come il cielo in piena estate, da cui partiva una cascata d’acqua che dalla parete andava ad immergersi nel lago. Attorno a questa “oasi” erano presenti solo sassi, ghiaccio e rocce taglienti come il freddo invernale. In quel momento ho provato una sensazione stranissima: mi sentivo leggero e libero da ogni pensiero come quell’acqua che scendeva dalla cascata, felice e soddisfatto di essere arrivato alla meta. In quel momento, davanti a quel laghetto incantato, circondato da un deserto di roccia mi sono sentito come quel lago, pieno di vita e raggiante sotto il sole, ma isolato lassù, un po’ sperduto, piccolo in mezzo all’universo. Oggi, ripensandovi, sono felice di aver vissuto quell’esperienza, non solo perché ero in vacanza e mi sono divertito molto, ma anche perché ho provato nuove sensazioni e ho scoperto una parte di me che non conoscevo. Filippo 36 “Alla ricerca del tesoro” Diario di un anno (Classi Seconde) 37 INTRODUZIONE Abbiamo vissuto l’anno scolastico come una ricerca, la ricerca di un tesoro, proprio come quello della famosa isola, immagine centrale del romanzo che abbiamo letto nel primo quadrimestre. Solo che noi l’abbiamo vissuta nella realtà, scontrandoci ogni giorno con la fatica della crescita, dello studio, dei compiti, delle verifiche, tutti elementi che a poco a poco sono diventati la strada, o meglio la rotta, per dirla con Stevenson, per approdare “sull’isola del tesoro”. Queste pagine vogliono documentare le tappe del cammino, le scoperte, le storie incontrate, le tempeste superate. E, infine, il tesoro trovato che è fatto non di dobloni o di oro, ma di consapevolezza della propria esperienza e di amicizia. LA PARTENZA Il primo giorno di scuola: emozioni, sentimenti, incontri, ricordi del passato, novità. Ore 7.40. La macchina di mio papà rallenta, rallenta, rallenta sempre più. Si ferma. La mia portiera si apre con uno scatto, con altrettanta velocità si richiude, soffocando le dolci e familiari voci, che per un po’, hanno continuato ad incalzarmi e a calmare i miei nervosissimi neuroni, tesi come corde di violino. Dietro di me un’estate vissuta all’insegna dei viaggi, degli amici, dei parenti. Davanti a me la seconda media, un nuovo anno, oltre otto mesi durante i quali cambierò radicalmente il mio modo di ragionare, di osservare, di vivere: tutto questo racchiuso da un massiccia porta in legno, sulla quale è appesa una piccola targhetta, su di essa sono incise poche parole in una calligrafia molto elegante, che il mio cervello, ancora ottenebrato dalla fitta e umida nebbia del sogno, mal interpreta. In quei pochi miscugli armoniosi di lettere, è racchiusa oltre la metà della mia vita: “Fondazione del Sacro Cuore”, questo è il risultato dell’approfondito ragionamento, ciò che la mia mente ha appurato dopo una lunga riflessione. 39 Suono il piccolo campanello e dopo pochi secondi di attesa, durante i quali ripenso ai tanti momenti, alle numerose esperienze che ho vissuto fino ad oggi durante il mio percorso scolastico, ottengo una risposta. Con un perentorio scatto la porta rimane socchiusa, lentamente la mia mano raggiunge come mossa da una sua forza di volontà la maniglia di scuro metallo; è fredda; il muscolo del braccio accumula forza: prima spinta, il portone rimane impassibile, sicuro della sua lignea imponenza, seconda spinta, sembra essersi accorto della mia presenza e perciò, si apre lievemente, terza spinta, in essa concentro tutta la mia forza, la mia decisione, e il portone si spalanca in un lieve e fastidioso cigolio. Entro. La luce arancione è ancora soffusa e richiudo la porta in una sorda botta. La lunga e rettangolare saletta è semivuota, la percorro con grande lentezza, il rumore di ogni passo mi rimbomba nella vuota testa. Intanto vedo il mio grande amico Marco, mi corre incontro nella sua consueta goffaggine, è l’unico “componente” della mia classe: la prim… la seconda B. Insieme chiacchieriamo per un po’ delle nostre vacanze, quando, al discorso si aggiunge quello sfrontato di Valerio, poi Tommaso, Riccardo… e, molto lentamente mentre i minuti trascorrono, la mia classe si riforma, i suoi “membri” si riuniscono in una chiassosa e disordinata massa di ventisei ragazzi che uniti, hanno vissuto uno splendido anno, insieme, legati dalla grande amicizia che lo studio suscita aiutandosi vicendevolmente. Una nuova ragazza di nome Sara, si è unita al gruppo e, subito si è integrata nell’atmosfera traboccante di allegria che vige fra noi. Suona la prima campanella e la saletta, divenuta estremamente gremita, come si era colmata, si svuota e una moltitudine di ragazzi affolla la scala; ciascuno si dirige verso la propria aula, io raggiungo la mia e vi noto una sostanziale novità: la targhetta appesa alla porta è stata “barbaricamente” sostituita e vi è incisa la scritta “CLASSE 2ª B”, e la vecchia e familiare targhetta è stata assegnata ad altri! Che ingiustizia! La seconda campanella suona e nell’aula entra la professoressa di matematica, la prof. Dell’Amore, accolta da tutti i ragazzi in piedi che la salutano in coro: “Buon giorno prof.!”… Un nuovo anno e una nuova avventura sono cominciati… Jacopo Il mio primo giorno di scuola e stato ricco di emozioni, sentimenti e di allegria. Appena entrata a scuola, rivedendo tutti i miei amici, le mie conoscenze, mi sono venute le lacrime agli occhi dalla gioia, ho abbraccia40 to tutti i miei amici, uno per uno, stringendoli forte per sentirli finalmente vicini dopo aver passato tutto quel tempo lontani. Ero ansiosa di ricominciare la scuola,naturalmente ero molto preoccupata per quest’ anno sapendo che è duro e impegnativo mi sentivo come inadeguata per questo grande compito che è fare la 2° media. Però appena arrivata a scuola, vedendo tutti quei sorrisi amichevoli e familiari, vedendo le occhiate di intesa dei miei amici, e capendo quante persone mi vogliono bene, mi si è allargato il cuore, in quel momento volevo solo essere me stessa, aperta, spontanea e solare, volevo stare vicino a tutti i miei compagni e a tutte le prof. che, anche se le faccio impazzire, so che ci tengono a me. Dopo tutti quegli abbracci e quei saluti, mi sentivo a mio agio pronta pronta ad iniziare il mio anno scolastico! Il primo giorno, giustamente, è stato di assestamento sia per noi che per le professoresse. Ci hanno spiegato un po’ le nuove regole, il nuovo sistema dei voti. Tutte le prof. hanno cercato di essere il meno esigenti possibile per farci un po’ sfogare la tensione del primo giorno: e così stato, infatti dopo due ore passate con la prof. Dell’Amore, tutti noi di seconda ci siamo ritrovati in una grande aula tutti insieme. Eravamo come un grande uragano pronto ad esplodere, infatti abbiamo fatto molta confusione, però ci siamo divertiti, Purtroppo non abbiamo visto il film come avremmo dovuto perchè la televisione era rotta, ma, con il nostro grande stupore, invece che ritornare nelle nostre classi, siamo stati a cantare e a divertirci per il resto delle ore scolastiche. Secondo me, è naturale avere paura all’inizio di un anno scolastico, è come iniziare una nuova strada, un nuovo viaggio, dove puoi solo andare avanti. Io all’inizio di ogni anno, anche se impaziente di ricominciare, ho anche un po’ paura di essere schiacciata dall’enorme peso dei libri e dei compiti, ho paura di non accontentare come dovrei i miei prof. e i miei genitori e ho il terrore di prendere brutti voti, mi ricordo che fin dalla seconda elementare, avendo una maestra molto severa, avevo paura di ricominciare e volevo solo che la mia maestra si dimenticasse di me lasciandomi fantasticare nei miei sogni di bambina, Andando più avanti, crescendo, ho capito che non bisogna avere paura, e bisogna solamente impegnarsi, niente di più per intraprendere lo splendido viaggio dello studio. Ma, anche se consapevole di questo, tutte le volte ho paura di iniziare la scuola. Quest’anno ci sono state molte novità: per prima cosa i voti, questi giudizi, sono diventati semplici numeri, essendo più grandi abbiamo anche più distrazioni e, per noi, è sempre più difficile stare attenti quan41 do un argomento non affascina particolarmente, e poi, visto che siamo in seconda, dobbiamo piano piano abituarci all’idea che i professori non ci possono aiutare più come una volta e, ci sosterranno sempre meno, perchè bisogna imparare a cavarsela da soli. Quando la Prof. Dell’ Amore ci ha spiegato molto più appropriatamente queste cose, mi sentivo piccola piccola e indifesa come una povera bimba che non sa che fare, come reagire e come comportarsi di fronte a tutte queste novità. Adesso, ripensandoci, mi viene solo da dire che debbo solo pensare di farmi forza che comunque, non sono l’unica ad affrontare questo percorso, tanti come me l’hanno fatto e lo stanno facendo o lo dovranno fare, incontrando magari le mie stesse difficoltà o, facendo le mie stesse osservazioni. Consapevole che non tutto per forza deve piacere,sono anche cosciente che molte cose nella scuola sono interessanti e piacevoli e altre educative, sono anche divertenti. Non tutto è pauroso, non tutto deve essere per forza duro o impegnativo a tal punto da far nascere timore dentro di temere la scuola. Ci sono momenti di allegria, di armonia, dove si ride e si scherza. Spero che in quest’anno più dell’anno scorso, io riesca a vincere i miei limiti, a godermi questa avventura al meglio con allegria, forza di volontà, attenzione, ma, soprattutto con la cosa che non mi manca affatto, la grinta. In quest’anno, visto che l’inizio è stato positivo, ricco di emozioni e di buoni propositi, spero che, durante questi mesi di scuola io riesca a dare il meglio di me, riesca a fare capire quanto tengo a tutte le persone che ogni giorno mi sostengono e mi aiutano a partire dalla mia migliore amica a finire alla prof. che mi sta meno simpatica. Voglio impegnarmi! Perciò se l’inizio è stato grandioso il finale non può solo che essere migliore! Marianna 42 PRIMA TAPPA: L’IMMEDESIMAZIONE NELLA STORIA DI JIM. IL PROTAGONISTA DE “L’ISOLA DEL TESORO” Immagina di essere un inviato speciale di un quotidiano per il quale devi scrivere un articolo che da conto della battaglia del XXI capitolo e del suo esito finale. ATTACCO AL FORTINO, VITTORIA SCHIACCIANTE SUI PIRATI: Assalitori costretti ad una repentina fuga. ISOLA DEL TESORO-MAR… Quando Long John Silver scomparve oltre la palizzata era chiaro che l’attacco pirata sarebbe stato imminente e che gli uomini di Capitan Smollett avrebbero dovuto adeguatamente prepararsi. Da allora, qui sull’Isola del Tesoro si respira un’aria satura di attesa e l’atmosfera è colma di effimera tensione. Ogni minuto qui trascorre inesorabile e calmo, beffardo per chi attende la battaglia, favorevole a chi gioca d’astuzia per schierare i propri uomini secondo la migliore strategia d’attacco. Questo scontro tra pirati e onest’uomini, tra Long John Silver e Alexander Smollett, tra il “Jolly Roger” e il “Union Jeck” non è solo una battaglia per determinare chi entrerà in possesso di un favoloso tesoro. Per chi, come me, rende conto degli avvenimenti in tutto il mondo, questa è un’occasione unica nella vita: fra poco assisterò ad uno scon43 tro che rimarrà nella storia, che contrapporrà non solo due schieramenti, ma due ideali: l’uno che vive di sregolatezze e atrocità, una vita imbevuta dal rum e da passioni corporali; l’altro che incarna un’esistenza scandita da regole, adempiendo ai propri doveri, vivendo con onestà e semplicità di cuore… Un’ora è passata senza che i pirati si decidano a passare all’attacco… quand’ecco che una potente detonazione, proveniente dalla selva, infrange il silenzio. Ad essa segue una carambola di spari, proveniente da tutti i punti cardinali, ma diretti verso un unico bersaglio: il fortino. I proiettili si susseguono incalzanti, senza che nemmeno uno di essi penetri nel forte, ma, grazie ad essi si comprende come l’attacco principale provenga da Nord, lato più esposto e lungo, protetto solamente dal Signor Trelawney e dal marinaio Grey. Quando un unico colpo fa breccia nel lato Est, Joyce, che ne è il difensore, risponde al fuoco senza rallegranti risultati, ma, proprio in questo istante, un festoso urrà esplode nella boscaglia e gli assalitori si mostrano in una confusa e scomposta nube, proveniente da Nord, e come un sol uom iniziano a scavalcare la palizzata. Gli uomini del fortino premono ognuno il proprio grilletto e una prima scarica di colpi si abbatte nefasta sui malcapitati pirati, ferendone due e mandandone un altro riverso nella polvere. Ma i loro sforzi sono vani, perché quattro manigoldi riescono a penetrare nella cerchia delimitata dalla palizzata: molte acclamazioni di sostegno giungono indistinte dai compagni, che si mescolano alle frenetiche detonazioni provenienti dal fortino per abbattere i ribelli. Un’atmosfera caotica aleggia in tutto il campo di battaglia grazie ad un denso e cinereo fumo che avviluppa il fortino. I secondi che seguono sono ricolmi di grida sconnesse e gli esiti della battaglia sono confusi come la sagome dei superstiti. I miei occhi arrossati dal fumo umido e bigio cercano di cogliere ogni minimo particolare, movimento o dettaglio che permetta di percepire le sorti della battaglia. Dopo pochi secondi di confusa e intricata baruffa, finalmente compare il dottor Livesey che, coltellaccio in pugno, è all’inseguimento di un pirata, ucciso con grande freddezza da un portentoso fendente in volto. Anche Jim Hawkins appare dal grigio pulviscolo; egli è il più giovane della spedizione, ma la sua giovane età cela grande coraggio, che nuovamente dimostra schivando con agilità la lama di Job Anderson, anche se scivola, rotolando giù per il pendio. Improvvisamente compare Gray al fianco del possente nostromo e, con grande rapidità, lo accoltella uccidendolo mantenendo, così, intatto il suo onore nei confronti del capitano. In pochi attimi la coltre fumosa si attenua rendendo chiare le sorti della battaglia e, così, lo scontro termina a favore degli onesti, pur es44 sendovi una grave perdita: la tragica morte di Joyce, trafitto da un proiettile mentre serviva il suo amato padrone anche in questa temeraria impresa, rattrista i compagni. Dall’altro fronte, però vi sono numerose perdite: ben cinque morti e due feriti; ciò dimostra che l’audacia e il coraggio di chi si batte sempre per scopi alti e onorevoli sono sempre premiati, anche se a volte al caro prezzo di una vita. La calma e il silenzio sembrano tornati a regnare dopo il clamore dello scontro, che, anche se non è stato risolutivo, è stato una vittoria importante e…soltanto il buon esito di tante battaglie porta alla vittoria della guerra!! Per oggi è tutto, dall’Isola del Tesoro… il nostro inviato Jacopo Sono un inviato speciale del Corriere Cesenate e sono stato mandato dal mio giornale a seguire in diretta sull’isola del tesoro la furiosa e cruenta battaglia fra il capitano Smollet e l’equipaggio a lui fedele e la ciurma del pirata Long John Silver. Smollett, che ha occupato da giorni il fortino e i suoi uomini, il conte Trelawney, il dottor Livsey, Hunter, Joice, Gray, Jim, stanno aspettando la comparsa degli avversari già da qualche tempo. Il capitano ha dato disposizioni precise ai suoi uomini per la difesa delle feritoie del fortino e le armi, una ventina di moschetti, munizioni e coltelli, sono pronte. Prima dello scontro il capitano Smollett, grande uomo d’azione, rivolge parole di incoraggiamento ai suoi uomini sottolineando che anche se sono in numero minore, possono vincere poiché combattono al coperto e disciplinatamente; poi, nella calura della mattinata, mentre ogni cosa, compreso me, sembra liquefarsi al sole, comincia l’attesa angosciosa dell’attacco. Ad un tratto ha inizio la battaglia con una pioggia di fuoco da parte dei pirati contro il fortino, a cui risponde colpo su colpo l’equipaggio di Smollett, entrambi gli schieramenti sparano incessantemente: chi a difesa del fortino, chi contro questo. Si è sollevato un gran polverone, ma sono riuscito a vedere che nessuna pallottola è penetrata nel forte e non vi è alcun ferito da entrambe le parti. I pirati si sono dileguati nella foresta appena cessato il fuoco, probabilmente per prendere nuovi moschetti e per caricare quelli inutilizzati. Essi non si sono arresi e il loro attacco continua, hanno solo cambiato tattica; infatti eccoli poco dopo assalire in gruppo il fortino. Ora stanno scavalcando lo steccato, ma il capitano e gli altri hanno aperto 45 il fuoco, un pirata è steso a terra, sembra privo di vita, mentre gli altri due sono stati semplicemente feriti, vedo però che ben quattro pirati sono riusciti a superare lo steccato incolumi. Le cose sembrano precipitare per i nostri. I quattro stanno correndo, sembra si stiano dirigendo verso la casa. Non riesco bene a rendermi conto di ciò che sta accadendo. Vedo fumo, sento urla, lamenti e spari ovunque. Risuona la battaglia: i nostri sono riusciti a scappare dal fortino, si combatte sia con pistole, che corpo a corpo, che con i coltelli. Il dottore Livsey è riuscito con un colpo di coltello ad uccidere il suo avversario, mentre Gray ha abbattuto il nostromo, Job Anderson. La battaglia è terminata e la vittoria è di Smollet e dei suoi compagni. Ho appena saputo che il povero Hunter è stato colpito da un pirata e ha perso la vita, Joyce è stato ucciso da un colpo di moschetto, mentre Smollet è stato ferito. Sfortunatamente nella battaglia sono morti due bravi uomini, però grazie anche al loro valore il nostro equipaggio ha avuto la meglio sui pirati di Silver, forse grazie a questa battaglia i nostri amici riusciranno a tornare in Inghilterra. Tommaso Immagina di essere Jim che dentro al barile delle mele ascolta Long John: immedesimati nei sentimenti del ragazzo mentre ascolta i discorsi del vecchio pirata e inventa un finale per la tua storia. …“mi sono portati in un posto dove non dovrei essere” mi dissi io mentre mi trovavo sulla soglia della cabina del Capitano Smollett, “e spero proprio che nessuno venga quaggiù prima che io me ne sia andato”. Mentre cercavo di tranquillizzarmi, dei passi pesanti e zoppicanti si avvicinarono al barile del rum: era Arrow, ubriaco fradicio, ma comunque per essere sicuro che non mi vedesse, mi infilai nel barile delle mele, mentre il secondo di Smollett era impegnato a riempire di alcol il bicchiere. Poco dopo un rumore di gruccia mi fece capire che era entrato anche Long John: per fortuna che mi ero nascosto! Infatti sarei balzato fuori per salutarlo, ma decisi di ascoltare ciò che diceva a Israel il quartiermastro. “Io penso che il Capitano Smollett sia da eliminare insieme a tutti quei marinai d’acqua dolce che egli chiama fieramente ciurma”. In quell’istante dei passi stavolta leggeri e svelti, ai quali seguì una forte pacca sulla spalla, si avvicinarono: mi sporsi dal barile e riconobbi un giovane diligente che si chiamava Dick. “Caro Dick” diceva Porco Arrostito “tu sei meglio di tutti gli altri fannulloni che ci sono a bordo di questa bagnarola e sono sicuro che potresti 46 diventare un ottimo cavaliere di ventura e che potresti unirti a me per l’ammutinamento. Direi che il momento migliore per sbarazzarci di quegli esseri schifosi sarà quando, sulla via del ritorno, ci avranno riportato almeno negli alisei. “Dick rispose”: Ma quando avremo un pugno il dottore e gli altri cosa ne faremo? “a questo punto Long John rispose in un modo che mi fece rabbrividire:” Ecco uno che ha un po’ di senso pratico. Con la mia esperienza potrei dire che la cosa migliore è tagliarli a pezzettini in modo che non possano poi tornare come i mostri del passato e rovinarci tutto. “Poi egli aggiunse”: Israel (il quartiermastro che era arrivato prima di Dick) prendimi una mela. “Pensavo che quella sarebbe potuta essere la fine prematura di un ragazzo troppo fiducioso in John, come lo ero stato io. Ecco però che, mentre Israel infilava la mano nel barile, Dick soggiunse”: Lascia stare, Hands, che quella roba è putrefatta. Andiamo a prenderci un sorso di acqua con rum. “Per fortuna lo ascoltarono e io ebbi qualche minuto per riflettere. Pensai proprio queste cose”: E pensare che io mi fidavo di quell’uomo. Devo avvisare il Capitano Smollett. “Proprio mentre stavo uscendo dal barile, il pappagallo di Long John cominciò a parlare”: Intruso, iiiintruso! il Porco Arrostitosi affrettò a tornare dove prima stavano parlando e cercò dappertutto, tranne che nel barile delle mele. Ero miracolosamente salvo e potevo continuare ad ascoltare i loro loschi discorsi. Non feci in tempo ad origliare qualche parola che la fame atroce mi spinse a mangiare una di quelle luride mele. Per mia sfortuna il picciolo cadde fuori dal barile ed Israel se ne accorse. Ecco che la mano di Long John Silver mi tirava fuori dal barile tenendomi per i capelli. In quel momento si udì forte e chiara la voce di Smollett:” Siamo attaccati!!” a qual punto i tre si precipitarono sul ponte, non prima avermi mollato due schiaffoni che mi fecero svenire. Rimasi lì molto tempo e quando mi risvegliai ero immerso in un’acqua rossastra, forse un misto di acqua, rum e sangue. Salii sul ponte e lì trovai il Capitano Smollett e i sopravvissuti che cercavano di medicare i feriti e scorsi Dick che buttava in acqua i cadaveri dei morti. Stavo correndo verso il capitano, quando mi accorsi che Long John mi seguiva, imbufalito. Mi inseguì per tutta la nave, su e giù, col suono della gruccia che mi ricordava il bastone di Pew. Mi infilai nella cabina di Arrow, dove John non mi cercò più cercavo di stare il più possibile vicino al barile delle mele perché dovevo recuperare un’altra mappa, quella dell’isola che non avevo consegnato a Smollett. Mentre Long John e Israel giravano su, sul ponte, io mi rinfilai nel barile e mi affrettai ad intascare la mappa. Fu in quello istante che sentii un forte scossone, e poi un altro e mi bastavano per capire che il mare era in tempesta. Sul ponte molti furono scaraventati fuori dall’Hispaniola ed anch’io, all’interno del barile, 47 sfondai l’oblò di vetro e mi catapultai in mare. Fortunatamente la corrente mi spingeva verso l’isola (poiché eravamo molto vicini all’obiettivo) e fui rilasciato, non proprio dolcemente, sugli scogli: era dalla parte opposta a quella dove dovevamo andare! Mentre l’Hispaniola arrancava faticosamente sulle onde, io cominciai il mio viaggio all’interno dell’isola. Dopo giorni e giorni mi parve di sentire la voce di due uomini: mi avvicinai e capii che erano Smollett e John, gli unici due sopravvissuti. Mi unii a loro e mi raccontarono che l’Hispaniola era affondata con tutte le mappe di Bill e che quindi non c’era più possibilità di trovare il tesoro. Credo che nessuno fosse mai stato più felice di loro quando dissi che io mi ero tenuto la mappa dell’isola. Trovammo, non so dove, la forza di cercare e di trovare il tesoro. Ci caricammo di gioielli e collane e partimmo alla volta di una scialuppa che si era salvata dal naufragio. Mentre il cuoco ci raggiungeva, ed era ancora intento a raccattare oro, io e Smollett partimmo e lasciammo Long John Silver al suo destino di traditore. Mentre navigavamo, trovammo molti corpi, di cui due ancora mezzi vivi: erano i signori Livesey e Trelawney che tornarono con noi in patria. Tutti fummo felicissimi di tornare a casa e io mi precipitai all’“Ammiraglio Benbow” dove trovai mia mamma occupata a servire ai tavoli. In fondo, Billy Bones era stato la rovina della locanda, ma anche, grazie al suo tesoro, la salvezza della mia famiglia perché non dovemmo affrontare problemi di soldi mai più, mai più, mai più. Giacomo Jim, di fronte alle rivelazioni di Silver, si sente tradito da quello che credeva essere un suo amico. Tu hai mai vissuto un’esperienza simile, ti sei mai sentito tradito da un amico, come hai reagito? Racconta. Nel romanzo “L’ISOLA DEL TESORO” abbiamo visto come Silver tradisce Jim, facendolo precipitare in un abisso di paura e di sconforto. Anche io ho provato questa esperienza sentendomi tradita da una delle mie migliori amiche. Tutto è iniziato quando ero in quinta elementare. Questa mia amica mi era stata sempre fedele, era simpatica, ed era una delle mie più care amiche. Un giorno le avevo rivelato un segreto molto importante per me e lei aveva detto che non lo avrebbe rivelato a nessuno. Il giorno dopo, alle mie spalle, l’aveva già rivelato alle femmine della mia classe. Io ero molto felice di essermi confidata con lei, non credevo che mi potesse tradire così. 48 Un bel giorno, usciti in giardino, una mia compagna, decise di dirmi la verità. Io all’inizio non ci volevo credere, mai e poi mai avrei dubitato di un’amica così cara. Ma poi la rabbia che avevo dentro esplose. Andai in contro a questa mia amica, e le dissi che noi due avevamo chiuso,che non le avrei mai più parlato. Lei fece finta di niente, ma nel suo cuore lo sapeva bene il male che mi aveva provocato! Insomma, quel giorno fu devastante, quasi tutti quelli della mia classe si erano schierati contro di me, e mi facevano i dispetti. In quel momento mi sentii triste, tradita, era come se volessi mandare indietro il tempo per non essere mai stata sua amica. Per molto tempo non ci parlammo più, se non per sgridare. Ma poi lei disse che le dispiaceva, e io, anche se dentro di me avevo una gran rabbia, da farle del male, ho trovato il coraggio di essere ancora sua amica, perché anche le amiche sbagliano, e non credo che ci sia qualcuno di perfetto a questo mondo. Così anche lei confessò di non essere per niente brava a mantenere i segreti. Da quel giorno noi due siamo ancora amiche, perché abbiamo riconosciuto di non essere perfette!!! Ringrazio il Signore di avermi donato questa forza di perdonare la mia amica. E ora siamo ancora compagne e felici, ci incontriamo in parrocchia,anche se magari non siamo della stessa scuola. Quindi, questa esperienza mi ha fatto capire che bisogna perdonare,non tenersi dentro la rabbia, si devono capire i difetti di ognuno di noi, in questo caso della mia amica, e rimediare ai propri errori. Noemi Anche una mattinata scolastica può essere vissuta come un’avventura. Ti è mai capitato? Racconta. Zaino pronto, merenda incartata e giubbotto infilato: così mi sono diretto a scuola lo scorso sedici febbraio. Dopo cento metri di corsa arrivo davanti al mio istituto; i miei compagni mi osservano per un momento e poi ributtano lo sguardo su un quaderno ad anelli: è quello di matematica. Ancora due o tre minuti di ripasso delle radici e dovremmo entrare in classe per l’ennesima verifica di aritmetica. È veramente strano vedere come il suono di una campanella comandi i movimenti di centoventi persone, ed è altrettanto strano che alcuni di noi siano contenti di essere un’altra volta all’interno di quella classe, davanti ad un professore o ad una professoressa, chiedendosi se il risultato di quell’espressione sarà giusto oppure ci sottrarrà mezzo voto nella valutazione finale. Ma basta pensare alla riduzione dei voti, le verifiche bisogna pur farle: aggancio con mano ferma e presa sicura la mia penna, e comincio questa nuova missione. Dei piccoli calcoli con le proprietà ne sbaglio uno, 49 ma lo recupererò con i facoltativi. A proposito, qual è la radice quadrata di 1,69? Comunque, dopo un’ora ed un quarto, il mio susseguirsi di dubbi è finito: è ora di consegnare. Scrivo il nome sul retro e consegno la mia verifica direttamente nella mano della prof. Dell’Amore. I miei pensieri riguardano le cose di cui non sono sicuro: pazienza, se ho sbagliato qualcosa ci sono sempre gli esercizi facoltativi per recuperare. Ma ancora per una mezz’oretta devo pensare ai numeri: ci attende la geometria! Non mi offro per correggere e mi limito a controllare la corretta esecuzione degli esercizi, dando anche una sbirciatina alle regole delle aree per essere preparato ad una eventuale chiamata alla lavagna. Zoffoli, Vallone, Turchi… Mancano solo due minuti, anche questa volta ce l’ho fatta. L’assegnazione del compito è quasi un sollievo dopo due ore di calcoli continui. Ora è il momento della lezione di religione. Ci alziamo tutti insieme quando da dietro la porta sbuca la faccia della prof. Siete mai stati in seconda B all’inizio della terza ora? È come stare in autostrada durante l’ora di punta: un continuo viavai di ragazzi che si dirigono verso il bagno, ed è veramente difficile oltrepassare la porta delle toilettes da quante persone ci si accampano davanti. Io preferisco aspettare la ricreazione in modo da trovare meno fila. L’ora di religione non è noiosa, anzi, accendiamo spesso delle discussioni su cose che riguardano la vita di tutti i giorni. Non credo che esista coda più lunga di quella che c’è a ricreazione davanti alle macchinette: anche qui infatti sembra che in un quarto d’ ora la fila non diminuisca mai. La cosa più strana è che se hai voglia di cioccolato, quello davanti a te prenderà l’ultima scatola di cioccolatini, se volessi delle patatine, vengono esaurite proprio prima che tu inserisca i soldi nella macchinetta. Quando invece quello che desidereresti è rimasto nel distributore, significa PER FORZA che quel numero è fuori servizio. Così a stomaco vuoto mi avvio mestamente verso la classe per… due ore di arte! La prof. Battistoni ci propone di copiare un’immagine fatta con strumenti di precisione a mano libera: bene, credo che in queste due ore mi divertirò. Mi pare un sogno sentire che: “Per oggi niente domande di storia dell’arte”. Ma sì, tra due settimane c’è la verifica, ripasseremo lunedì prossimo. Un’altra campanella suona e noi pensiamo che sia finita un’altra giornata, ma è solo un’illusione poiché ci spetta un’altra ora di disegno. Mancano solo tre minuti e la prof. ci dice di metter via il materiale da lavoro. Il suono della campanella avviene ben dieci secondi prima del previsto e per questo non siamo ancora pronti per uscire. Comunque, zaino in spalla e giubbotto in una mano, mi avvio insieme ai miei compagni verso il portone d’uscita, ma anche qui si rischia di rimanere imbottigliati nel traffico dell’una ed un quarto. Io mi apposto sempre nel mio angolino, mi infilo il giubbotto e parto con passo svelto verso casa. D’altronde, ho appena affrontato cinque ore di avventura, o no? 50 LA SECONDA TAPPA: LA GITA A ROMA … “La gita a Roma, per me, è stata un’esperienza magnifica, ricca di momenti molto significativi e belli. Sono cresciuta molto grazie a questa esperienza, ho capito che con delle persone che ti aiutano e vogliono farti diventare grande, puoi intraprendere un cammino fantastico. Da esse devi farti aiutare, farti tenere per mano e farti guidare nel lungo e duro viaggio della vita. La gita, fatta di momenti bellissimi di convivenza e di altri di ascolto avvenuto con la testa, ma soprattutto con il cuore, mi ha fatto capire quanto sia bello essere circondati da persone, amici e insegnanti, che vogliono solo il tuo bene, vogliono farti crescere e guidarti verso nuovi orizzonti, vogliono indirizzarti ala vita futura facendoti maturare come persona”… Marianna “Il 29 e il 30 ottobre scorsi, la nostra scuola ci ha fatto immergere nella Roma del 1500, portandoci in gita in questa bellissima città che non si finisce mai di scoprire. Là abbiamo potuto respirare l’aria della Controriforma e visitare i luoghi dei Santi che l’hanno realizzata… Ad esempio la Chiesa Nuova, dove operò San Filippo Neri. Si dice che qui Filippo fosse andato in estasi, alzandosi da terra, che emanasse calore 51 dal suo corpo e che avesse il cuore così grande, per il dono dello Spirito Santo, da averne due costole rotte…”. Guido … “A Roma il luogo che mi ha colpito di più è stato quello di San Camillo, l’Ospedale di Santo Spirito in Saxia.San Camillo visse gli ultimi trent’anni della sua vita a Roma, dedicandosi alla cura dei malati. Era il periodo del Rinascimento, tutti quelli che erano brutti e malati gravemente erano considerati meno di niente, invece Camillo li prese tutti con sé e li portò all’Ospedale di Santo Spirito dove lui lavorò per ventinove anni, servendo tutti i malati e facendo di tutto per salvarli…”. Marco … “La gita è stata un’occasione anche per conoscere un amico, don Gabriele, che ci ha guidato nella visita alle varie chiese e ci ha spiegato la vita di alcuni Santi molto famosi, come San Filippo Neri e Sant’Ignazio di Loyola”. Camilla … “La sera, prima di andare a letto, ho riflettuto sulla storia dei Santi e ho capito che essi sono stati dei veri e propri riformatori della Chiesa perché la loro storia di uomini che hanno cambiato radicalmente la loro vita dopo l’incontro con Cristo è stata di esempio per tutti gli altri, avviando così un vero e proprio processo di riforma della Chiesa. Io penso che questa gita mi sia servita molto per comprendere la storia di questi Santi riformatori inoltre mi sono divertito a vivere un’esperienza così grande come quella di visitare la città di Roma e stare in compagnia di amici e insegnanti…”. Alberto 52 LA GITA A ROMA Partenza veloce e affrettata verso quella che la nostra gita a Roma sarebbe stata. Con trepidazione siamo giunti alla stazione. Arrivati alla Capitale abbiamo provato un’emozione tale che non si può immaginare. Grandi verità del passato sulle quali noi avevamo lavorato, grandi sentimenti vedendo le chiese e i loro intenti. Dal “Gesù” siamo partiti vedendo il corpo di Sant’Ignazio di Loyola stupiti conservato nella sua meravigliosa cappella. E che dire della mano di Francesco Saverio il Santo che uomini, donne, bambini è andata battezzando? Passiamo poi a San Filippo il Buono della cui vita si stupisce uno, egli leggeva barzellette rare per non farsi dal suolo elevare. Il giorno dopo a veder San Paolo siamo andati e che fosse l’ultimo monumento ci siamo rattristati. Dopo aver attraversato il gran cortile e il portone non certo sottile ci siamo trovati davanti alla statua dell’ Apostolo, il tredicesimo, ma non certo l’ultimo. Infine a casa siamo tornati dai genitori da noi amati. Gianluca 53 TERZA TAPPA: L’OPEN DAY LUTERO SAN CARLO BORROMEO SAN CAMILLO DE LELLIS SAN FILIPPO NERI SANT’IGNAZIO DI LOYOLA OPEN DAY: un’occasione per vivere la scuola da protagonisti. Racconta come hai vissuto questo momento, sia nella sua preparazione che nel suo svolgimento. Esprimi poi il tuo giudizio su questo gesto. Domenica 30 novembre, l’Open Day. Sin dalle elementari noi ragazzi della F.S.C. abbiamo vissuto questo momento insieme alle insegnanti, con preparazioni che iniziavano un mese prima. Quando ero più piccolo ero inconsapevole e non capivo l’importanza di questa occasione e non avevo paura di sbagliare. In questo ultimo Open Day mi sono trovato molto in difficoltà. Avevo paura di non essere all’altezza di questo momento e non mi era mai capitato. Forse crescendo ho capito la vera importanza di questo momento. 54 Noi ragazzi di seconda avevamo il compito di parlare delle emozionanti vite dei santi che vissero a Roma tra il XV e il XVI secolo. Io dovevo esporre la vita di S. Camillo de Lellis. Fu un personaggio molto importante perché fu il vero fondatore della Croce Rossa. La particolarità degli Open Day alle medie è che siamo noi a preparare ed allestire il tutto mentre alle elementari erano i genitori che lavoravano (Mio babbo ha disegnato molti scenari d’allestimento delle aule. Con la prof. di arte abbiamo preparato i disegni sui santi che hanno decorato i cartelloni dedicati ai vari personaggi. Con la prof. di italiano abbiamo preparato i lavori di esposizione. Molti bambini e genitori sono venuti a visitare la scuola e a osservare i nostri lavori. È molto importante svolgere un buon lavoro per far fare bella figura sia alle insegnanti che alla scuola. Al momento dell’inizio eravamo tutti molto tesi, ma ognuno era al suo posto, proto ad immedesimarsi nel ruolo da protagonisti ed affrontare la realtà con impegno e coraggio. Tutti abbiamo svolto un bel lavoro e abbiamo saputo affrontare con grinta gli imprevisti come il disturbo rumoroso creato dal microfono o la cinepresa a venti centimetri da noi. In questo Open Day mi sono veramente sentito protagonista e mi sono immedesimato talmente tanto nella figura del mio santo che quando esponevo mi sembrava di essere nel XVI secolo e di curare i malati proprio come S. Camillo de Lellis. Di questa occasione posso trovare alcuni aspetti positivi e altri negativi. Per quanto riguarda gli elementi negativi, mi ha dato molto fastidio avere una cinepresa a così poca distanza. Io non amo mettermi in mostra, ma soprattutto non mi piace stare al centro dell’attenzione. Per quanto riguarda gli elementi positivi è stato sicuramente un’esperienza che mi ha aiutato molto a capire il vero valore di questa manifestazione. Ho riflettuto anche sul fatto che ho veramente fortuna a poter studiare in questa scuola con dei professori esperti che sanno spiegare bene la loro materia. Da questa esperienza ho anche potuto capire che sto crescendo e non sono più un bambino, ma mi rendo conto che non sono neanche un adulto e che ho bisogno della guida di persone più grandi. Alessandro Quest’anno, in occasione dell’Open Day, noi alunni di seconda abbiamo parlato di Lutero e di santi che hanno realizzato la Controriforma, approfonditi con la gita a Roma. 55 Al momento delle ripartizioni delle parti eravamo tutti eccitati anche se un po’ spaventati perché avevamo paura di ricevere argomenti difficili, quindi di non riuscire nell’esposizione. A me e Giuditta la prof. aveva assegnato la gita a Roma, con la ripresa dei vari luoghi ove operarono numerosi santi: San Camillo de Lellis, Sant’Ignazio, San Francesco Saverio e San Filippo. Inizialmente, se devo essere sincera, non mi piaceva molto la mia parte, in quanto si prospettava molto difficile e faticosa, perché durante la gita a Roma non sono sempre stata attenta, in quanto un po’ distratta tra scherzi e risate e avevo timore che questo avrebbe influenzato la mia esposizione. Durante la formulazione del mio discorso e di conseguenza dello studio, mi sono ricreduta, perché mi veniva quasi naturale raccontare un’esperienza vissuta personalmente e pensavo a quanto sarebbe stato bello ed emozionante poter far capire a tutti, attraverso le descrizioni dei luoghi visitati, la magia di quella gita. Il grande giorno era finalmente arrivato e mi recai nella mia aula, pronta all’esposizione. La cosa che mi tranquillizzava era che non ero l’unica emozionata e un po’ spaventata e quindi non sarei stata, forse, la sola a potersi confondere per l’agitazione e sbagliare. Mentre turbinavo nella mia mente queste riflessioni non mi ero accorta che l’Open Day era iniziato e che presto sarebbe toccato a me. Entrata la mia mamma mi tranquillizzai… Poi entrarono anche il resto dei genitori e allora incominciarono a tremarmi entrambi le gambe. Dopo poco tempo, Sabrina mi passò il microfono: era giunto il mio momento, io ero protagonista della scena, tutti gli occhi erano su me. Con la voce un po’ tremante iniziavo a esporre: mi concentravo sulla parte e guardavo soprattutto mia mamma e la prof. Ricci; così sarebbe stato più semplice, tutto mi pareva come un’interrogazione. Finito il mio turno tirai un sospiro di sollievo e passai il microfono a Silvia. È stato un momento magico, rimarrà sempre nel mio cuore, come una scritta indelebile. Dentro me era come se ci fossero un uragano di emozioni belle e brutte che combattevano per prevalere. Ma la cosa che non scorderò mai sarà l’immagine dei miei genitori che si interessavano alla mia esposizione. È solo grazie all’interesse che essi hanno dimostrato, che posso dire di essere stata fiera del mio discorso. Costanza 56 QUARTA TAPPA: IL CIRCOLO LETTERARIO “Scegli una frase dal romanzo di Stevenson che sia rappresentativa della personalità di uno dei protagonisti o della situazione narrata. Commentala in riferimento al testo e spiega il motivo della tua scelta”. Il libro “Lo strano caso del Dottor Jekyll e del signor Hyde” di Stevenson è appassionante, avventuroso e riesce a comunicare suspance nel lettore. Infatti, Stevenson sa creare nel lettore una tensione spasmodica, ma soprattutto, in questo caso, ci mostra quale maledetta trappola sia l’idea di separare il bene dal male. Mi è piaciuto anche leggerlo, perché solitamente quei pochi libri che ho letto di Stevenson, non mi hanno colpito, ma leggendo questo, sono proprio rimasta incantata dalla bellezza delle tante descrizioni trovate. Leggendo il libro però, mi è rimasta impressa in mente un frase, che ho anche ben sottolineato. Questa frase è pronunciata dal dottor Jekyll nell’ultimo capitolo, mentre racconta il modo e il motivo per cui si trasforma in Edward Hyde, bevendo una specie di droga. La frase dice: “Questo, a parer mio, deriva proprio dal fatto che gli esseri umani, così come noi li incontriamo, sono un miscuglio di bene e di male”. Io ho scelto questa frase perché secondo me è quella più rappresentativa della descrizione d’Edward Hyde o del dottor Jekyll (come lo vogliamo chiamare), ma rispecchia anche noi stessi. Secondo me questa frase è verissima, è giusta, perché anche per me la nostra anima è come divisa in due parti, certe volte è buona e così noi di conseguenza siamo generosi, gentili, coscienti di quello che stiamo facendo; mentre altre volte il bene è come se dormisse, mentre il male è sveglio e noi diventiamo all’improvviso cattivi, maleducati, non più coscienti di quello che stiamo facendo. Lo stesso avviene al dottor Jekyll, ma in modo un po’ diverso. Il dottor Jekyll diventa crudele solamente dopo aver bevuto una pozione, ma con quest’ultima, oltre a cambiare carattere, cambia anche aspetto: da uomo ricco, ordinato, dotato di eccellenti qualità, diventa un uomo magro, di statura molto bassa, con vestiti rozzi e fitti peli neri sulle mani nodose. A causa della pozione il passaggio dal bene al male accade in modo diverso del nostro: il dottor Jekyll diventando più cattivo, cambia anche aspetto, mentre noi anche se diventiamo cattivi, conserviamo il nostro primitivo aspetto. 57 Anche nel libro letto a scuola “L’isola del tesoro”, di Stevenson, vediamo che ci sono due gruppi con due personalità diverse: abbiamo la parte degli onesti, e quindi di Jim, che è composta da persone brave, generose, che aiutano gli amici nei momenti più difficili, mentre abbiamo Silver e i pirati che sono solo dei grandi imbroglioni, persone di cui si ha paura, persone di cui non ci si può fidare, che devono e che non sono perciò coscienti di quello che stanno compiendo. Un altro personaggio dalla doppia personalità lo abbiamo invece visto l’anno precedente, quando abbiamo letto il libro di Tolkien “Lo Hobbit”. Questo personaggio è Gollum, anch’esso con due diverse caratteristiche: quella del bene e quella del male, ma in questo caso non abbiamo nessuna trasformazione, poiché Gollum è come se avesse già al suo interno due persone, infatti parla e fa domande a se stesso e subito dopo si risponde, ma quando risponde, usa parole cattive nei confronti dell’altra personalità che invece è buona; in lui possiamo vedere un vero contrasto tra il bene e il male. Mi è piaciuta molto questa frase, perché rispecchia anche noi, persone normali, oltre che il dottor Jekyll, sempre di Stevenson, e Gollum anche se parliamo di uno scrittore diverso: Tolkien. Rebecca Leggendo il libro di Stevenson “Il dottor Jekyll e mister Hyde” ho individuato un breve brano che fa capire le caratteristiche di Hyde: “All’improvviso vidi due figure: un ometto che arrancava rapidamente e una bambina di otto o dieci anni che arrivava di corsa da una via laterale. Ebbene, giunti all’angolo i due si scontrarono, ma a questo punto accadde una cosa orribile; l’uomo calpestò tranquillamente il corpo della bambina e la lasciò in terra a gridare”. Questo fatto è citato da Richard, cugino del protagonista, il signor Utterson. Esso vuole far capire ai lettori la cattiveria e il cinismo di questo mostro nei confronti della bambina. Hyde è la controparte del dottor Jekyll: mentre uno è dalla parte del bene, una persona elegante, raffinata e gentile, l’altro è malefico, un mostro cattivo e brutto. Infatti Jekyll e Hyde sono la stessa persona, ma hanno un carattere totalmente diverso. Hyde, inoltre non fa del male solo alla bambina ma compie due gravissimi delitti, uccide 58 infatti un cliente di Utterson, Sir Danvers Carew e il dottor Lanyon, Il quale muore a causa di uno shock. Possiamo quindi capire che Hyde non è una persona, ma una bestia, infatti anche il suo aspetto fisico, al contrario di quello di Jekyll è molto brutto. Egli, infatti è un giovane molto basso e di aspetto ripugnante; ma la cosa più strana di questo mostro non è la presentazione esteriore ma è la personalità, di solito appare calmo e indifferente, poi di colpo viene preso da attacchi d’ ira e diventa violento e crudele. Inoltre non ama parlare con gli altri, e quando lo fa spesso è scortese e maleducato. Ho voluto scegliere questo brano perché in questo libro mi ha molto colpito Hyde, il quale è la stessa persona di Jekyll, ma con un animo diverso. Questo personaggio ci rivela come potremmo diventare se non riuscissimo a controllare la parte cattiva del nostro animo cioè andare più in basso fino a suicidarci o ad uccidere persone innocenti. Benedetta Nel romanzo di Stevenson “Il ragazzo rapito” si parla di un giovane, David Balfour, che, rimasto orfano, decide di abbandonare il paese nel quale è sempre vissuto per raggiungere uno zio che dovrebbe garantirgli il futuro. Lo zio però, non volendo privarsi di ricchezze, che egli considera sue, a favore del nipote, cerca in tutti i modi di disfarsi di lui, arrivando a farlo salire con l’inganno su un brigantino che dovrebbe portarlo definitivamente via dalla Scozia. È dal momento in cui David entra in casa dello zio che il romanzo si rivela appartenere al genere dell’avventura, ma è soprattutto da quando David sale sul Covenant, il bastimento di cui ho appena parlato, che le sue peripezie si moltiplicano, fino ad arrivare alla conclusione nella quale il protagonista riuscirà ad ottenere il riconoscimento di ciò che gli spetta. “Il ragazzo rapito” è dunque un romanzo d’avventura e di questo tipo di racconto ha tutti gli ingredienti: i buoni in lotta con i cattivi, gli inganni, il mare e il naufragio, la guerra, la natura selvaggia. È però anche una storia di amicizia. Sul brigantino, infatti, David conosce uno strano personaggio che lo accompagnerà in gran parte delle sue avventure e che stringerà con lui un forte rapporto: Alan Breck. 59 La frase che voglio commentare in questo testo, perchè mi sembra significativa dei due personaggi e del loro legame, si trova nella seconda parte del romanzo e viene detta da Alan a David: ”Ci sono delle volte in cui sei troppo prudente e Whig per stare in compagnia di un gentiluomo come me, ma ce ne sono altre in cui ti dimostri un vero scapestrato, ed è allora che ti amo come un fratello”. Mi immagino che per chi non ha letto il libro, questo enunciato possa risultare poco chiaro, ma per chi conosce la storia esso riassume sia le caratteristiche fondamentali di Alan e David sia l’intensità del sentimento che li lega. Se mai infatti ci sono state sulla Terra due persone diverse tra loro, queste sono proprio David e Alan. La loro diversità riguarda prima di tutto le scelte politiche in quanto David è un fedele suddito di re Giorgio, un Whig, mentre Alan è un sostenitore di Giacomo II Stewart, per appoggiare il quale ha combattuto ed è diventato un ricercato. David inoltre è un ragazzo onesto, cresciuto secondo una morale rigorosa, un giovane che non beve, non gioca a carte, tiene al proprio onore più che a qualunque altra cosa, è incapace di mentire e spesso va incontro a dei guai proprio per la sua sincerità. Alan è un adulto coraggioso e impulsivo, disposto a dare la vita per i propri ideali, ma talvolta violento; è un uomo irascibile, che ha molta stima di se stesso e che mette l’onore suo e del suo clan sopra ogni cosa, che è capace di sacrificare la propria vita per David, ma che riesce anche a perdere tutti i soldi suoi e dell’amico giocando a carte. Nel punto in cui Alan dice le parole che ho riportato sopra, i due sono in fuga dai soldati di re Giorgio che li ritengono gli assassini della Volpe Rossa, una spia scozzese che ha avuto loschi rapporti con gli Inglesi e David, pur non avendo il coraggio di Alan, sceglie comunque di seguirlo. I due personaggi sono attratti l’uno dall’altro pur sapendo di essere tanto diversi perchè vedono ognuno i pregi dell’altro, si stimano, sanno di essere due persone d’onore. David ammira il coraggio di Alan, la sua scaltrezza; Alan apprezza l’onestà di David, i suoi tentativi di essere all’altezza dell’amico nei momenti di pericolo. Ma due personaggi tanto diversi sono inevitabilmente portati anche a litigare e a discutere, a confrontarsi su tutto e anche ad offendersi reciprocamente. L’amore che c’è tra loro, però, sa vincere tutte le difficoltà: David riuscirà nella sua missione e diventerà adulto anche grazie ad Alan e quest’ultimo imparerà dal giovane amico il valore dell’amicizia. 60 Quando alla fine della storia si lasceranno, proveranno un grande dispiacere perchè sono troppe le cose che li hanno uniti ed in un certo senso ben poco importanti quelle che li hanno divisi. Ognuno dei due deve la vita all’altro, ognuno dei due ha dovuto rinunciare a qualcosa per il bene del proprio amico e non sarà facile vivere lontani. Questo libro appartiene ad un genere che non amo molto. Nonostante ciò, esso mi ha appassionato abbastanza e sono riuscita, in maniera moderata, ad immedesimarmi nel protagonista, David, e nel suo compagno, Alan. Silvia Io ho letto il libro “Il Master di Ballantrae” e per rappresentare il carattere di uno dei principali protagonisti ho prelevato una frase dal contenuto del capitolo “Persecuzioni sopportate da M. Henry”, uno dei più discorsivi di tutta l’opera. La frase che ho deciso di commentare viene pronunciata proprio da M. Henry nei confronti di suo fratello, che sarà il suo nemico e antagonista per tutto lo svolgimento del racconto. La frase è: “Ho già pagato tanto caro il guaio d’avere un fratello perverso, che ho dovuto spogliarmi anche della paura. Non rimane cosa in cui possiate colpirmi” In questo punto del libro M. Henry si trova in una difficile situazione perché i soldi mancano e la proprietà di famiglia rischia di andare perduta. Egli ed il personaggio in cui si immedesima Stevenson, cioè il suo aiutante Mackellar, sono gli amministratori di quelle proprietà e quindi in questo momento M. Henry è quasi disperato, costretto com’è anche a sopportare i continui sbeffeggiamenti del fratello. Infatti Giacomo, il fratello, gli rubava buona parte dell’oro di famiglia facendoselo inviare a Parigi perché, come era solito dire, “anche lui doveva vivere” e per questo sfruttava i beni della famiglia Durrisdeer. Giacomo poi piano piano si stava portando anche le attenzioni della moglie di M.Henry, con la quale passava buona parte del suo tempo. Questa frase secondo me indica tutto il disprezzo che il protagonista nutriva per Giacomo, perché il dire che l’aver avuto un fratello perverso l’aveva spogliato di tutto significa che M. Henry aveva già vissuto e provato su se stesso tutte le sofferenze che una persona può portare alla vita di un uomo felice e così rovinarla. Giacomo era nato per deridere suo fratello e per portare tristezza nella sua famiglia, e questa frase mi dice che M. Henry, qualsiasi sbeffeggiamento avesse subito, sarebbe stato in grado di ribattere, 61 poiché in nessun campo egli poteva essere colpito dal fratello nemico. Ho scelto questa frase perché secondo me è come uno sfogo dell’odio provato da M. Henry nei confronti di suo fratello, che dopo un’assenza per via di una guerra era tornato tra le lodi di tutti per rovinare l’esistenza al suo parente. Con questa frase vengono racchiusi tutti i travagli di M. Henry perché una vita vicino a suo fratello significava per lui una vita di sofferenze. Giacomo QUINTA TAPPA: IL RACCONTO GIALLO Secondo te qual è il metodo investigativo di Maigret? Secondo me Maigret riesce a risolvere i casi che i superiori gli affidano, in quanto conosce l’animo umano e riesce a immedesimarsi nel cuore i altre persone: in quello del criminale, in quello del testimone e in quello della vittima. Egli sa ascoltare la gente, non si lascia innervosire anche se la persona che ha difronte è un po’ dura o antipatica, perché nella sua consapevolezza c’è che ogni cosa ha un motivo e perciò se una persona è più “aspra”, lui riesce a risalire al motivo, a comprenderlo e a compatirlo. Per risolvere i suoi casi preferisce dialogare con i sospettati piuttosto che cercare indizi o tracce su luoghi (criterio preferito dall’investigatore S. Holmes). Questo suo metodo si capisce anche quando non prende appunti, sia perché non vuole far intuire alla persona che gli sta difronte la sua ipotesi, sia perché ad un interrogatorio freddo e distaccato, preferisce un dialogo più umano e che mette più a proprio agio. Egli non effettua un ragionamento logico e di deduzione, ma la soluzione gli appare come intuizione inaspettata, mentre è rilassato, o fuma la sua inseparabile pipa o chiacchiera con sua moglie o come nel brano “La testimonianza del chierichetto”, febbricitante, rivive nei ricordi la sua infanzia. Ti piace più Holmes o Maigret? La persona che più mi piace è Maigret perché è più umano e sensibile infatti quando riesce a scoprire un criminale non è contento e soddisfatto, non critica e non giudica ma è dispiaciuto per il male che c’è nel mondo. Holmes secondo me è una persona molto lontana e distaccata perché la sua ricerca non lo coinvolge umanamente, ma sfama soltanto il bisogno della sua mente. Holmes viene considerato come un “genio”, 62 un consulente che può risolvere ogni caso ed è reputato come un investigatore superiore agli altri. Senza la sua inseparabile “spalla”, l’amico Watson, curioso, incredulo, stupefatto, risulterebbe meno gradevole. È l’amico che mette le emozioni, lui solo la sua impressionante logica. Maigret è una persona più semplice, che si dà meno importanza. Holmes ritiene il suo lavoro la sua vita e senza di esso non vive perché ha bisogno di stimoli e di gratificazioni. Quando conclude un caso non si emoziona, rimane freddo e assume “un’aria trionfale”. Per lui è importante solo la logica e tratta persone e fatti allo stesso modo: elementi di un enigma. Holmes è più distaccato dagli uomini, perché si basa solo sulle sue capacità notevoli. Maigret si serve della sua semplicità, del suo quotidiano e vive i suoi casi. Holmes e Maigret sono accomunati dalla loro capacità di far appassionare, ma il primo incuriosisce solo, mentre l’altro coinvolge. Sara Sapresti immaginare un finale diverso per il racconto “Barbaglio d’Argento”? Calati nei panni di Conan Doyle e inventa. Holmes era appena riuscito a risolvere il caso quando un oggetto sconvolse i suoi pensieri, era andato in bagno a lavarsi le mani quando una piccola lamella che scintillava ai bordi del lavandino attirò la sua attenzione, la prese in mano. Era un bisturi da chirurgo, ma allora perché c’erano due bisturi? (uno trovato in mano al cadavere e l’altro in bagno) Il ragionamento fatto fin ora da Holmes filava: il cane che non abbaiava perché conosceva Straker, il bisturi usato perché voleva tranciare i tendini del cavallo, la giacca che doveva essere usata per fermare l’emorragia, il montone al curry, le pecore e tutto il resto. Dove aveva sbagliato? A me aveva riferito prima di tutto i fatti, ma ora questa cosa sconvolgeva anche me. L’investigatore guardava impietrito il bisturi. Subito allora iniziò a tutti i libri e gli attrezzi per la medicina e la chirurgia che aveva Straker e notò qualcosa, o almeno mi pareva. Aveva in faccia un’ espressione strana, felice e schifata allo stesso tempo. Gli avevo chiesto più volte di dirmi cosa aveva capito, ma le mie domande rimasero senza risposta. Non so perché, ma 63 aveva voluto esaminare la casa di Simpson e la sua attenzione era caduta sulla libreria e sul porta ombrelli in cui c’era un bastone torto. Tornato poi alla scuderia, aveva dato una botta al cane ed esso non aveva abbaiato, ma si era scosso tentando invano di ululare. Tutto questo mi aveva confuso. Dalle mie parti i cani abbaiano e mordono quando dai loro una bastonata, perché questo no? Il giorno dopo era quello della corsa e si era presentato un cavallo diverso da Barbaglio d’ Argento per correre. Il cavallo era Arrivato terzo e il possessore dell’ equino era felice, ma voleva sapere da Holmes come erano andate le cose. Allora Scherlok iniziò a parlare: “Tutti gli indizi all’ inizio mi portavano a Sracker che voleva tranciare i tendini del cavallo, ma poi il bisturi che ho trovato in bagno accostato al lavandino mi ha fatto cambiare pista, infatti Sraker non è il colpevole, in realtà è stato Simpson”. La polizia che si era man mano radunata vicino ad Holmes aveva fatto una faccia annoiata, infatti fin dall’inizio gli agenti avevano pensato a lui. Scherlok riprese: “Infatti Straker era andato all’inseguimento di Simpson che aveva preso il bisturi di nascosto e aveva tagliato le corde vocali al cane per non farlo abbaiare quando sarebbe scappato col cavallo. Il montone al curry era un piatto perfetto dove nascondere la droga, infatti Simpson aveva spiato molte notti cosa c’ era per cena prima di trovare il piatto giusto. In più un contadino qui vicino si è ritrovato delle pecore azzoppate il che vuol dire che Simpson aveva fatto pratica su di loro, in più nell’ enciclopedia medica di Straker manca un libro che è stato ritrovato a casa dell’ accusato e quel libro è proprio quello che spiega la chirurgia. Probabilmente durante la lotta contro Simpson Straker era riuscito a sottrargli il bisturi e Simpson aveva iniziato a colpirlo col suo bastone da passeggio e in seguito il cavallo ha dato il colpo di grazia. Durante tutto questo però Straker è riuscito a ferire col bisturi la gamba di Simpson e ha permesso così al cavallo di scappare. Infatti questo è Barbaglio d’Argento.” Disse con un tono compiaciuto e riprese: “Basterà solo lavargli muso e zampe e tornerà, ci sono domande?” Un poliziotto alzando la mano iniziò a parlare: “Si, ma come spiega la giacca e lo scontrino trovato nella tasca di Straker?” Holmes allora disse: “Ho parlato con la famiglia del morto e i parenti hanno detto che su quello scontrino c’è scritto il costo del regalo per sua cugina che a lui era tanto cara e voleva renderla felice per il compleanno, mentre la giacca sarebbe servita per fermare l’emorragia”: Holmes aveva di nuovo risolto il caso, non mi aspettavo però che la sua ipotesi finale coincidesse con quella della polizia. L’importante però e che il caso fosse risolto. Cristina 64 Parla dei personaggi del romanzo “Dieci piccoli indiani” che ti hanno particolarmente colpito ed esprimi un giudizio sul loro comportamento. Nel romanzo “Dieci piccoli indiani”, fra i dieci invitati dall’assassino nel falso paradiso di Nigger Island, abbiamo anche la presenza di due signorine: Emily Brent e Vera Claythorne, entrambe, come del resto anche gli altri ospiti, hanno una colpa da scontare. Le due signorine hanno due caratteri, modi di fare ed atteggiarsi completamente diversi fra loro; la signorina Brent è una vecchia zitella, rigida e moralista, ossessionata da una mania religiosa, si crede infatti uno strumento nelle mani di Dio, è estremamente seria e fredda, e non cerca di creare un legame per spezzare quella disarmonia che c’è tra lei e Vera, è un’anziana donna completamente chiusa nel suo guscio, poiché si crede superiore agli altri. La signorina Vera è invece una ragazza giovane, insegnante elementare di ginnastica, possiede un certo sangue freddo, ma questo non significa che lei si sia chiusa in se stessa come ha fatto la signorina Brent, Vera al contrario, cerca di socializzare, persino con Emily, e a differenza di quest’ultima sa provare pietà e si sa commuovere di fronte alle morti degli altri ospiti. Possiamo quindi dire che, la dolcezza di Vera urta contro la rigidezza e la freddezza della signorina Brent; avendo così entrambe due caratteri diversi, esse affrontano i rimorsi per le loro colpe in modi diversi. Emily Brent, è stata accusata di aver provocato la morte di una ragazza, Beatrice Taylor; mentre Vera è stata accusata dalla Voce del grammofono di aver ucciso un bambino di nome Cyril. Quando, all’inizio della storia, la Voce dal tono sovrumano e spassionato accusa Emily Brent di aver ucciso Beatrice Taylor, la vecchia zitella rimane sulle sue, e inizialmente non dice a nessuno, i motivi del decesso di Beatrice, però una mattina( la stessa in cui muore il Generale), mentre lei e Vera erano uscite insieme per una passeggiata, noi lettori, capiamo meglio e approfondiamo, ciò che è successo a Beatrice, del resto l’autrice, col procedere della storia, fa scoprire al lettore le colpe di ogni personaggio. La signorina Taylor lavorava a casa della signorina Brent, e sebbene sembrasse una ragazza per bene, in realtà rimase incinta fuori dal matrimonio, e questo suo “sbaglio” non le venne perdonato né dai suoi genitori, che probabilmente erano rigidi e moralisti come Emily Brent, né da quest’ultima, e Beatrice Taylor venne cacciata sia dalla sua casa, che da quella della signorina Brent. La ragazza, disperata e sconvolta per essere stata abbandonata da coloro che le stavano vicino, si suicidò gettandosi in un fiume. La signorina Brent, però non si commosse, e non provò rimorsi per quello che era successo, pensava infatti, che fosse quella la giusta punizione per Beatrice. Esaminiamo ora la colpa della signorina Claythorne, ella era infatti al servizio come babysitter presso una famiglia, e il bambino di cui si doveva occupare, sebbene 65 fosse molto più piccolo era destinato ad ereditare un ricco patrimonio lasciatogli dal padre. Inizialmente, prima della nascita del bambino, si pensava che il patrimonio dovesse andare a suo zio, ovvero ad Hugo, che in questo modo avrebbe potuto sistemare la sua situazione economica, ma poi era nato Cyril… e questo aveva cambiato le cose. Hugo non provava rabbia o odio per il nipote, per lui questi sentimenti non esistevano, sapeva solo provare amore, affetto, come i profondi sentimenti, gli stessi che provava per Vera, i due infatti si amavano. Vera voleva solo il bene di Hugo, per questo, quando l’insistente voce di Cyril le aveva chiesto(per l’ennesima volta): “Signorina Claythorne, signorina Claythorne, posso nuotare fino agli scogli?” Lei aveva risposto di sì senza pensarci due volte, del resto era già tutto pianificato, come poteva andare storto qualcosa? Quando poi Cyril stava annegando, Vera si era tuffata in mare per cercare di salvarlo, ma aveva nuotato apposta troppo lentamente, e non era riuscito a salvare il piccolo, ma Hugo aveva capito tutto, aveva visto negli occhi della sua amata un guizzo, e per quanto Vera non fosse oggettivamente sospettabile(non c’erano prove contro di lei), Hugo l’aveva lasciata, era vero, che dopotutto aveva bisogno di soldi, ma non voleva la morte di Cyril. A differenza della signorina Brent, provava rimorsi per quello che era successo, per il fatto di aver ucciso un bambino e di essere stata abbandonata da colui che amava di più. La signorina Brent rimane chiusa nel suo guscio, impassibile, ma vediamo in lei un cambiamento, che avviene nel corso della storia, soprattutto prima di essere uccisa. A questo punto, viene da porgersi delle domande, sia sull’uno che sull’altro comportamento, per esempio: Vera che aveva provocato la morte di Cyril, per favorire Hugo, provava vero amore per quest’ultimo? Oppure, la religione della signorina Brent, era veramente una religione, oppure era un modo per Emily di vivere secondo certe regole la fede in Dio, tanto da esserne ossessionata? È vero che la signorina Brent non prova rimorsi per ciò che era successo a Beatrice? Per trovare una risposta a questi quesiti è necessario confrontare i due personaggi. Da una parte abbiamo infatti Vera che è dolce, e prova rimorsi per ciò che ha fatto, per il suo amore verso Hugo, e dall’altra abbiamo la rigida e moralista signorina Brent, che rimane impassibile davanti agli avvenimenti, tuttavia non li vive in modo passivo, come il Generale Macarthur; e secondo lei, le improvvise morti avvengono per 66 un giudizio divino. Ora per rispondere, esaminiamo il caso di Vera: lei amava Hugo, persino da uccidere un bimbo per lui, ma se lo avesse veramente amato, avrebbe accettato e condiviso l’affetto di Hugo per Cyril e la sua situazione di povertà, questo significa che per lei quell’amore, non era altro che un’ossessione, una semplice infatuazione, un falso amore, così come per la signorina Brent, il discorso sulla religione e sul suo credo, che l’aveva spinta a chiudersi in stessa come una cozza e a rimanere impassibile davanti alle situazioni, tanto da spingere una giovane ragazza a uccidersi, solo per il fatto di essere incinta. Quella della signorina Brent, può essere chiamata come mania religiosa, essendo una falsa religione, basata sulle sue rigide regole morali, è infatti un’ossessione, che la signorina Brent denomina religione. Infine, è giusto dire che inizialmente, la signorina Brent non voleva pensare a Beatrice Taylor, però nel corso della storia, i suoi pensieri sono sempre più rivolti all’ex cameriera, tant’è che il ricordo della morte di quest’ultima è il suo ultimo pensiero prima di morire, possiamo quindi dire che anche questa è una forma di rimorso, ovvero il ricordare cos’era successo. A mio parere, le due figure, sebbene abbiano due caratteri diversi fra loro, hanno un punto in comune, ovvero un’ossessione, per la quale compiono un omicidio, e anche se preferisco i modi di fare della signorina Claythorne, ciò non significa che essa non sia una figura negativa, come la signorina Brent, tuttavia entrambe non sono riuscite ad uscire dalla loro negatività per trasformarla in positività, venendo uccise per mano di un assassino, non sono riuscite a redimersi per ottenere la salvezza dal loro errore. Costanza SESTA TAPPA: IL CONCORSO STEVENSON E GITA A FIRENZE Il lavoro sul romanzo d’avventura è sfociato nel concorso letterario e artistico su Stevenson e nella bella gita a Firenze. Ripercorri le fasi per te più significative del lavoro e parla del momento più emozionante dell’uscita. Il giorno 27 marzo 2009 siamo andati in gita a Firenze per partecipare al concorso su Stevenson. Siamo partiti presto ed è stata una giornata lunga e stancante, ma ne è valsa la pena, perché siamo tornati a casa vincitori. Tutto era partito all’inizio dell’anno scolastico, quando la professoressa di italiano ci avvisò che per il primo quadrimestre avremmo letto “L’isola del tesoro” di Stevenson. Devo ammettere che la lettura del libro non mi entusiasmava, anzi detesto particolarmente i libri di avventura, tuttavia, il romanzo letto in classe non mi è dispiaciuto così tanto. 67 Tornati dalle vacanze di Natale la prof. ci spiegò il progetto per il concorso di Stevenson e ci iniziò ad aiutare nella scrittura del racconto d’avventura. Esistevano due tipi di concorso: quello scritto e quello grafico. Alcuni della nostra classe avevano deciso di partecipare al concorso grafico, mentre io con i miei quattro compagni decidemmo di scrivere un racconto. Iniziammo con la descrizione del luogo principale in cui si sarebbe svolta la nostra storia: un’isola. Ci trovammo tutti insieme un pomeriggio e in quattro ore scrivemmo solamente dieci righe e da lì capii che non sarebbe stata una passeggiata. Per fortuna la descrizione andò bene e riuscimmo a prendere anche un bel voto. Ora la cosa che mi preoccupava tantissimo era la consegna del racconto di avventura. Continuavo a guardare sul diario e giorno dopo giorno mi accorgevo che quella data si avvicinava sempre di più. Infatti Martedì 20 gennaio arrivai a scuola con il racconto dentro allo zaino spaventata dal risultato che avremmo ottenuto. Ero sicura di aver fatto un buon lavoro e sapevo di essermi impegnata in tutto e per tutto nello scrivere quel racconto, quindi quando vidi l’8 scritto a penna rossa sopra alla pagina finale del racconto, tirai un sospiro di sollievo, ma in fondo mi resi conto che era un voto meritato. Da lì iniziò l’attesa per la partenza verso Firenze. Il 27 marzo appunto, alle ore dieci circa, entrammo nel teatro Odeon, e rimasi affascinata dalla bellezza di quel posto. Dopo una breve pausa e una lettura recitata iniziarono ad annunciare i vincitori. Prima premiarono il concorso d’inglese, poi le tesine e poi arrivò il momento per cui ci trovavamo lì: la premiazione dei racconti d’avventura. Il cuore iniziò a battermi forte, avevo caldo, caldissimo e mi sentivo le guance infuocate. Guardavo la prof che era seduta vicino a me notavo la sua espressione tesa, e fu così che iniziarono a fare i nomi dei vincitori. Prima consegnarono le quattro menzioni d’onore, poi iniziarono a chiamare i tre racconti arrivati sul podio. 68 Quando per il terzo posto chiamarono un’altra scuola fui presa da un grande sconforto. Poi, mentre leggevano la spiegazione del racconto del secondo posto, vidi il volto della mia prof illuminarsi e vennero pronunciati i nomi di alcuni ragazzi della sezione B. La felicità era al massimo, vedevo la gioia negli occhi delle prof. e dei miei compagni. Ero contentissima, eravamo contentissimi! Mentre scendevano dal palco, dopo avere ritirato il premio, iniziarono a descrivere il racconto che era arrivato al primo posto. Ormai noi non ci pensavamo neanche più eravamo contenti già così, ma finita la spiegazione la signora che aveva diretto le premiazioni annunciò: “un applauso a Francesca Pizzi, Federica Remor, Ilaria Gasperoni e Colaci Sabrina!” io mi sentivo veramente fuori di testa. Primo premio a livello nazionale: Sabrina Colaci, Quattro mie comIlaria Gasperoni, Francesca Pizzi, Federica Remor pagne di classe erano arrivate prime ad un concorso a livello nazionale al quale partecipavano più di centoventi racconti!! Iniziai ad urlare correndo incontro alle mie compagne e, abbracciandole forte, mi resi conto che mi mancavano le forze. Ero contentissima, più di felice, vedevo le mie grandi amiche salire sul palco e non potevo fare altro che provare una gioia immensa. Loro che erano le mie inseparabili amiche dalla prima elementare erano là sul palco vincitrici di un concorso nazionale! Ero fiera di loro, ci mettemmo tutti ad urlare e le nostre voci rimbombavano nel teatro. La cosa più bella è che era una vittoria più che inaspettata, tanto che anche loro ci misero un po’ di tempo per rendersene conto. Quando ci fummo calmati premiarono i disegni, ma eravamo troppo felici per seguire il resto della premiazione. Anche se il mio gruppo non aveva vinto mi resi conto che non ero dispiaciuta, anzi ero felicissima per le mie amiche! È stata un’esperienza fantastica che mi ha dato tanta fatica, ma che mi ha ripagata portandomi tantissima gioia! Sara 69 A dicembre scorso la professoressa d’italiano, Ricci, si presentò una mattina in classe e ci propose di partecipare a un concorso letterario nazionale su Stevenson, l’autore del romanzo “L’Isola del tesoro”, che stavamo leggendo insieme in classe. Chi desiderava aderire avrebbe potuto scegliere la sezione racconto e in quel caso avrebbe dovuto inventare un racconto d’avventura, oppure quella artistica, per la quale si sarebbe dovuta rappresentare graficamente una scena che descrivesse la personalità di un personaggio di un romanzo di Stevenson. Avremmo quindi dovuto dividerci in gruppi, scegliere tra le due tipologie di concorso e leggere uno dei romanzi di Stevenson proposti dalla prof. Io, senza esitare, decisi di partecipare al concorso letterario insieme ai miei compagni Riccardo, Jacopo, Alberto e Giacomo. Decidemmo di concorrere per la sezione racconto, così ci mettemmo all’opera leggendo ciascuno un libro diverso di Stevenson per capire il suo stile e per cercare di trarre qualche idea per il nostro racconto. Io e Alberto leggemmo “Lo strano caso del dottor Jekyell e di mister Hyde”, Jacopo lesse “la Freccia nera”, Riccardo “Rapito” e Giacomo “Il conte di Ballantrie”. Tutti trovammo le nostre letture molto interessanti, poi una mattina in classe relazionammo i libri letti e li confrontammo e commentammo con l’aiuto dell’insegnante. Il lavoro diventava sempre più appassionante. Successivamente cominciammo a trovarci un pomeriggio o due alla settimana a casa ora di uno ora dell’altro per iniziare il nostro testo. Prima decidemmo la storia e ci accordammo sulla vicenda di cinque ragazzi che si mettevano in cerca del tesoro dei loro padri mai conosciuti, cercando anche le loro origini, poi pensammo di dividerla in capitoli per ricavare una bella storia avvincente. Inizialmente eravamo molto indecisi sul racconto da scrivere e non avevamo la minima idea di come iniziare, quindi procedevamo molto lentamente, anche perché ci distraevamo facilmente, ed essendo in cinque, non riuscivamo ad accordarci. Però, finito il secondo capitolo, miracolosamente ci venne l’ispirazione decisiva, così velocemente correggemmo il lavoro fatto e proseguimmo a gonfie vele. Dopo circa quattro incontri eravamo giunti quasi alla fine del racconto, infatti mancavano ancora cinque pagine, ma, anche se queste erano le più facili, si avvicinava il giorno della consegna, infatti dopo sei giorni avremmo dovuto consegnare il testo completo alla prof., così ci facemmo prendere dal panico. Fortunatamente, Jacopo, il saggio del gruppo, suggerì che ognuno di noi scrivesse una pagina per conto proprio, poi negli ultimi due incontri avremmo assemblato e corretto il tutto. 70 Noi lo ascoltammo e grazie al suo consiglio superammo l’ultimo problema e, soddisfatti, il giorno stabilito consegnammo il nostro racconto. Eravamo molto contenti del lavoro svolto, e un’ulteriore soddisfazione venne quando, a casa con lo streptococSecondo premio a livello nazionale: Tommaso Zoffoli, co, seppi da mia mamJacopo Calzoni, Alberto Vallone, Giacomo Mazzotti, ma che la prof. Ricci Riccardo Consalici ci aveva dato dieci. Venerdì 27 marzo, ci recammo a Firenze per assistere alle premiazioni. Partimmo alle sei, dopo tre lunghe ore di viaggio giungemmo a Firenze e ci recammo al luogo dell’incontro, sfortunatamente arrivammo in ritardo e, oltre a doverci sedere per terra tutti ammassati, il relatore aveva appena finito di parlare del dualismo dell’uomo raccontato da Stevenson nel libro da me letto “Lo strano caso del Dr. Jekyell e di mister Hyde”. Dopo una breve pausa la giuria iniziò ad elencare i nomi dei classificati per ogni lavoro e dopo qualche tempo giunse il turno della nostra categoria. Essendo settecento i partecipanti, io non pensavo che saremmo mai arrivati tra i primi tre. Ad un certo punto il giudice di gara iniziò a leggere la motivazione della scelta del secondo racconto classificato, e stando molto attento, sentii che in pratica quello che stava leggendo coincideva con il nostro racconto, poi quando vennero pronunciati i nomi: Jacopo Calzoni, Riccardo Consalici, Giacomo Mazzotti, Alberto Vallone e Tommaso Zoffoli rimasi per un attimo di stucco, quasi inebetito, e quando capii che eravamo arrivati veramente secondi saltai addosso ai miei compagni gridando. Anche tutti i miei compagni di classe strillarono e fecero una gran confusione. Allora salimmo sul palco e quando fui lassù ero emozionatissimo e molto felice, poi quando annunciarono i primi classificati la nostra gioia e quella dei nostri amici crebbe ancora di più poiché le prime furono delle ragazze dell’altra sezione. 71 Con questa grande gioia ed emozione nel cuore terminammo la nostra gita visitando il grandioso palazzo Pitti e riposandoci un po’nel giardino dei Boboli, anch’ esso stupendo. Poi alle otto tornammo a casa e quando dissi la notizia ai miei genitori si congratularono con me. Così dopo quella lunga e faticosa giornata andai a dormire con il sorriso della vittoria sulle labbra. Tommaso Il romanzo di Stevenson: “L’isola del Tesoro” ci ha accompagnato ed ispirato in questo lungo cammino di circa quattro mesi che si è concluso con la visita a Palazzo Pitti a Firenze e con un concorso tutto dedicato allo scrittore inglese. La prof. Ricci ci ha aiutato facendoci capire bene ogni capitolo del racconto per interpretare ed assimilare al meglio tutto quello che ci sarebbe stato utile per il concorso. Infatti, divisi in gruppi, dovevamo scrivere un racconto di dieci pagine totalmente ispirato al romanzo di Stevenson e, soprattutto, totalmente nostro, inventato. Il mio gruppo era formato da: me Tommaso, Riccardo, Alberto e Jacopo; ero veramente contento di avere loro quattro come compagni di lavoro. Trovandoci ogni volta a casa di ognuno di noi, abbiamo scritto questo racconto, che avrebbe poi portato il “Sacro Cuore” sui due gradini più alti d’Italia. Così la marzo siamo partiti di buon ora per recarci a Firenze, dove avremmo saputo se il nostro lavoro e la nostra fatica avrebbero fruttato. Una delle fasi più significative di quest uscita è stata senza dubbio l’entrata nel cine-teatro Odeon: mentre gli altri erano già seduti comodamente sulle poltrone, noi, arrivati con qualche minuto di ritardo, ci siamo accasciati a terra stanchi per la lunga camminata. Dopo circa due ore di interessanti interpretazioni dei romanzi di Stevenson, finalmente sono arrivate le premiazioni. “Ed ecco, per la sezione racconti…” a queste parole Tommy mi disse: “Cosa speri, Mazzo, mancano solo il primo ed il secondo premio…”. Io lo rassicuravo, ma lui rimaneva comunque quasi senza speranza di vittoria. Le varie parti del giudizio che gli esperti di Stevenson sottolinearono ci fecero venire un presentimento: “E se fossimo noi”? L’ultima frase ci convinse e noi esultavamo già prima che il giudice proclamasse i nostri nomi. Così, scortati da Filippo Turchi e dal suo solito “Vai raga!” salimmo sul palco tra un’ovazione generale. Si sentivano ben pochi fischi: o le altre scuole erano molto leali, oppure, (e questo è più probabile) non li sentivamo a causa dell’infernale tifo da stadio, un rombo di tuono che proveniva dalla curva sud… cioè, volevo dire dal fondo del cinema, dove c’erano i nostri compagni! Tornammo al nostro posto e scoprimmo che tutte e due le seconde erano festose e 72 felici per il nostro successo. Ma le emozioni per noi non erano ancora finite: infatti le prime classificate sono state quattro ragazze della 2A! L’uscita si è conclusa con la bellissima visita a Palazzo Pitti, ma soprattutto con lo stupendo giro all’interno del giardino dei Boboli: con il caldo che faceva, anch’io come i Medici avrei voluto riempirla per avere una vasca da bagno gigante! Verso sera siamo risaliti in pullman per tornare a Cesena: io avevo informato i miei genitori del successo, ma probabilmente l’aveva fatto anche un mio compagno, poiché suo babbo ci ha accolto con n mano il cartello “CAMPIONI!” così mi sono avviato verso casa, ancora incredulo per il fantastico bis ottenuto dalla nostra scuola. Giacomo La mattina del 27 marzo mi sono svegliata emozionata perchè sapevo che avrei trascorso una bellissima giornata a Firenze in compagnia della mia classe e dell’altra seconda e che avrei avuto la possibilità di vincere il concorso letterario e artistico su Stevenson. Sui romanzi dello scrittore avevamo fatto un lungo lavoro durante il quale la nostra professoressa di italiano era riuscita a darci molte spiegazioni interessanti. Alla fine ci ha proposto di partecipare ad un concorso con un lavoro di gruppo. Io e alcuni miei compagni abbiamo lavorato con passione, mettendo nelle avventure che raccontavamo molto di noi e di quello che avevamo imparato e ispirandoci dunque alla produzione del grande Stevenson. È stata l’occasione per passare alcuni pomeriggi insieme in modo diverso e creativo e ognuno di noi ha dato il suo contributo. A Firenze sapevamo che avremmo ascoltato un esperto appassionato dei libri di Stevenson e immaginavo che sarebbe riuscito a raccontarci in modo più approfondito i romanzi mettendo in evidenza le cose più importanti. Infatti fu proprio così. Peccato che arrivammo in ritardo e perciò non riuscimmo ad ascoltare tutto ciò che venne spiegato. Comunque mi colpì molto il signore che narrò parte dell’Isola del Tesoro e, nonostante il modo in cui narrava il romanzo fosse un po’ buffo, compresi quello che voleva comunicarci. In seguito ci fu la premiazione: prima sui racconti scritti in inglese, poi sulle tesi, poi sui racconti in italiano e infine sui disegni. Io e il mio gruppo non abbiamo vinto però sono stata molto felice per i miei compagni i quali, invece, ne hanno avuto la possibilità, ma 73 soprattutto perchè ho avuto l’opportunità di conoscere uno scrittore a me sconosciuto e di leggere due dei sui romanzi e di ampliare le mie conoscenze e la mia cultura. Dopo la premiazione siamo andati a mangiare e in seguito siamo andati a visitare la residenza estiva del Granduca di Toscana: Palazzo Pitti. Le pareti del palazzo sono tutte affrescate e al suo interno si trovano i molti doni che i principi e i duchi di tutta Europa fecero anni fa alla famiglia dei Medici. Attorno a Palazzo Pitti si estende un meraviglioso giardino (Giardino di Boboli) nel centro del quale si trova una grande fontana e, più avanti, grandi gradinate. Tutto questo paesaggio è avvolto dal verde e ciò lo rende come incantato. Mi sarebbe piaciuto vivere nel 1600 per passare un’estate in quell’edificio favoloso e soprattutto per fare di nascosto il bagno nella fontana, fingendo di essere la regina di Francia (visto che Boboli si ispira al giardino di Versailles). Non c’è stato un momento di questa giornata che mi abbia particolarmente emozionato, ma posso dire che le emozioni si sono susseguite l’una dopo l’altra e che alla soddisfazione di veder premiati i miei amici si è aggiunta anche quella di visitare un posto di favola. Silvia 74 Lo scandaglio della parola (Laboratorio di scrittura classi Terze) LA PAROLA POETICA Una lezione particolare: il valore delle parole Per introdurci alla poesia, la nostra insegnante di italiano ha pensato di chiedere al professore Mariani, insegnante di Italiano e Latino al Liceo della Fondazione, di farci una lezione sul significato della parola. Durante la sua conversazione ci ha spiegato che la parola deriva dal termine parabola: un racconto dove è nascosto un legame con un significato più profondo. Il legame tra una parola e un oggetto è un legame libero, ma non è casuale; ciò vuol dire che tutto è collegato e niente è casuale, proprio per questo l’italiano è una lingua che deriva dal latino. Gli inventori delle parole non sono quelli che le creano, ma sono quelli che le trovano, perchè a creare è solamente Dio. Questa cosa che il professore ci ha detto mi ha colpito molto perché, pensandoci bene, tutte le parole non sono a caso e si possono ricongiungere a una parola latina, questa è anche la ragione per cui, noi ragazzi di terza media, abbiamo incominciato già dall’anno scorso a studiare la lingua latina. Un esempio che il professore ci ha fatto è questo: dicendo a una ragazza “Sei il mare” le dici molto più che “Esci con me”, usando pur sempre tre parole. Sei il mare può significare che quella persona è come il mare, cioè come il mare è -infinito, immenso -meraviglioso -tempestoso -profondo -tranquillo -bello -inquieto così lo è quella persona Questo esempio ci fa proprio capire come è fatta la poesia. La poesia ha un andamento diverso dal discorso normale o dal discorso dei romanzi perchè si usano metafore, similitudini e altre figu- 77 re retoriche, grazie alle quali possiamo conoscere più profondamente la realtà. Come nell’esempio precedente, gli aggettivi nascosti dentro la metafora “sei il mare”, riescono a farci capire come è la persona a cui ci si riferisce. Secondo me la lezione con il professore Mariani ci ha aiutato a comprendere meglio che la poesia ha sempre un significato più profondo. Margherita A confronto con “Il sabato del villaggio” di Giacomo Leopardi L’atmosfera di attesa e di fermento descritta da Leopardi nella sua poesia: “Il sabato del villaggio” penso si possa estendere a tutti i “villaggi”. Nel luogo in cui vivo, ad esempio, nel giorno dell’attesa la mia casa si mobilita: mia madre è in fermento nelle pulizie domestiche, ella prepara la casa rendendola accogliente e pulita attendendo il giorno del meritato riposo. Mio padre allegramente si dedica ai lavori in giardino;aspettando lieto il giorno di pausa. Si scorge poi la signora della casa accanto, intenta a nascondere al meglio i suoi amati vasi di fiori dalla visita dei suoi amati nipoti, il giorno seguente. Infine ci sono io, che cammino felice per le vie del centro stringendo la mano alle mie amiche. Le strade della città sono ricolme di gente indaffarata che cammina a passo sostenuto attendendo inquieta di accogliere il suono delle campane festose della domenica. Io però, non sono inquieta,sono immersa in una calma attesa fatta di speranze, desideri e aspettative che riguardano il giorno che viene. L’attesa è il momento che preferisco, il momento nel quale sono piena di buoni propositi e progetti, tranquilli momenti di preparazione. Durante il sabato non so cosa mi attende per la domenica,lo posso solo immaginare, quindi immagino il meglio che possa accadere. Così cammino felice aspettando le gite e le sorprese del giorno di festa. Arriva finalmente la tanto attesa domenica, l’atmosfera è cambiata: l’attesa è finita, alcune aspettative sono dissolte e con esse alcuni buoni propositi. Rivolgo il mio pensiero al successivo giorno di lavoro; non però con rammarico, infatti sono contenta di aver sperato, atteso e di 78 essere giunta al giorno tanto desiderato.Cerco così di vivere al meglio gli ultimi momenti di riposo; spesso si attende molto, ma poi non si vive pienamente quello che si è atteso, si tende sempre a guardare al futuro senza accorgersi della bellezza del presente. Condivido quindi, solo in parte l’opinione del poeta, ovvero che il settimo giorno (l’età matura) non è lieto e sereno come il sabato (la giovinezza). Io penso che con l’età si possano perdere i desideri, la freschezza e i sogni dell’adolescenza, ma non la gioia e la speranza. Intendo dire che il pensiero, nell’età matura sarà sempre rivolto alla vecchiaia, ma non con rammarico, perché si sarà lieti dei bei momenti passati e delle emozioni provate nella giovane età e soprattutto si vivranno al meglio e molto intensamente le gioie e le emozioni del presente. Caterina A CONFRONTO CON L’EPICA Dopo venti anni di lontananza finalmente Ulisse torna nella amata Itaca e rivede dapprima i cari luoghi, poi le persone da lui amate. Descrivi l’arrivo ad Itaca mettendo in evidenza le impressioni e le emozioni provate dall’eroe e scegli quindi di raccontare e descrivere uno degli incontri da lui vissuto lasciando emergere anche le tue considerazioni. 79 Ulisse dopo anni di viaggi e di fatiche, dopo aver trovato un sovrano benevolo in grado di aiutarlo a rivedere la sua patria, imbarcato su una nave sente il peso di tutte le sue avventure e si addormenta. I Feaci guidano la nave sulla scogliera di Itaca e lasciano il dormiente Ulisse sulla spiaggia accompagnato dai suoi tesori. Anche in questo momento il fato si rivela difficile per l’eroe: egli si sveglia ma invece di provare immensa gioia e felicità, la fine della nostalgia che sempre lo aveva inseguito, non riconosce la patria. Si alza e fissa il paesaggio circostante con un ritmo rapido cadenzato dall’angoscia di essere stato nuovamente ingannato. Decine di pensieri affollano la sua mente: “ Dove sono? Quale terra si svela ai miei occhi? Perché mi hanno nuovamente truffato? Incontrerò un popolo amichevole oppure qui dovrò concludere il mio viaggio terreno?”Non è certamente l’arrivo che sempre aveva sognato e la frustrazione insieme al senso di completo abbandono colmano il suo cuore. Desolato e dubbioso non sa che decisione prendere ma ecco che un aiuto arriva dal cielo e come un raggio di sole che splendente si apre un varco in una coltre di nubi, così la dea Atena giunge in suo soccorso scendendo dall’Olimpo. Dapprima non si svela e si finge un mercante ma poi si rende conto della situazione di Ulisse e lo aiuta. Ecco che gli mostra quei luoghi che era solito frequentare: essi sono cambiati ma risvegliano i lontani ricordi di Ulisse che finalmente si rende conto dell’importanza di quell’unico momento. Nel suo cuore commosso un solo pensiero si fa strada sostituendo tutti gli altri: “SONO A CASA” . Ma l’eroe deve aspettare a rivelarsi ad amici e parenti per preparare la vendetta contro i proci, usurpatori della sua reggia. Camuffato da anziano mendicante, sotto il consiglio della dea, si allontana dalla riva… ecco un uomo che si avvicina, Ulisse è sicuro di conoscerlo… certamente è Eumeo, il suo vecchio porcaro! Domandandosi se egli gli sia rimasto fedele gli chiede ospitalità capendo che l’uomo non è affatto cambiato. L’incontro successivo è secondo me molto importante come anche molto profondo, infatti Ulisse finalmente incontra il figlio Telemaco. Lo vede arrivare e subito il suo cuore sobbalza: “Quanto tempo è passato? Quanto è cambiato mio figlio?”. I pensieri paterni dell’eroe vengono, però, nascosti con fatica: non è ancora giunto il momento giusto. Ma il cuore di Ulisse è in tumulto, troppe emozioni si sovrappongono fra loro!!! Atena, allora, gli permette di rivelarsi. Ulisse e Telemaco lasciati soli da Eumeo si guardano… l’eroe tornato vigoroso come prima viene scambiato dal figlio per un dio, Tele80 maco è abbagliato ma, dopo tanti inganni, non crede che quello possa essere suo padre. Ulisse, che fino a quel momento aveva trattenuto le emozioni, si commuove a tal punto da piangere… finalmente Telemaco lo riconosce, si abbracciano ed entrambi piangono… lasciano uscire lacrime di gioia che pongono fine a quell’indesiderata nostalgia che mai li aveva abbandonati. È un incontro molto profondo che mi ha colpito perché emerge l’umanità di Ulisse che piange davanti a ciò che un padre ritiene il più grande tesoro: un figlio. Sinceramente non pensavo che un eroe del suo calibro potesse commuoversi ma è un evidente segno che tutti gli uomini, per quanto siano potenti, coraggiosi e ricchi, sono uomini proprio perché provano emozioni, le quali rendono ciascuno di noi unico e differente dagli altri. Federica Dopo vent’anni finalmente Ulisse torna ad Itaca accompagnato dai Feaci su una nave che il loro re aveva messo a sua disposizione. Appena arrivato l’eroe fatica a riconoscere subito la sua amata terra sia perché è avvolta dalla nebbia sia perché dopo anni di lontananza non riesce a riconoscere subito il posto e perciò si dispera perché pensa che i Feaci lo abbiano ingannato dato che lui si era addormentato durante il viaggio. Gli appare però Minerva che disperde la nebbia e gli mostra i luoghi dove ha vissuto e dove è cresciuto. Quindi, dopo che la bellicosa dea lo ha trasformato in mendicante per far sì che non sia riconosciuto, Ulisse si avvia verso il suo palazzo. Prima di giungervi incontra Eumeo, il buon porcaro che dopo tanto tempo gli è ancora fedele ma che ormai ha ben poche speranze nel suo ritorno;nella sua capanna l’eroe si svela al figlio Telemaco anch’egli lì sopraggiunto. L’emozione provata dai due è forte e indescrivibile: il padre e il figlio che dopo venti anni di lontananza finalmente si riabbracciano, vengono toccati a tal punto che arrivano a piangere miseramente. Il re greco rivede anche il suo vecchio cane Argo che, ormai stanco e debole, dopo averlo salutato muovendo la coda con la poca forza che gli rimane esala l’ultimo respiro: questo è uno degli episodi più conosciuti dell’Odissea dove Ulisse incontra dopo tanto il suo caro cane con cui ha vissuto tante avventure e lo vede debole e sfinito, accasciato sopra ad un letamaio. Questo è straziante per lui dato che non può nemmeno dare libero sfogo ai suoi sentimenti perché altrimenti verrà scoperto. Tuttavia l’episodio che mi ha colpito maggiormente è quello di Iro, il pitocco. Ulisse dopo essere arrivato al palazzo ed aver parlato con 81 Penelope sotto le vesti di mendicante, incontra i Proci e lì vicino vede l’accattone Iro. Quest’ultimo era solito andare a spizzicare gli avanzi dei principi ed era famoso per la sua statura e per le sue fattezze. Visto il nuovo mendico ha paura che questo possa rubargli il posto e perciò lo schernisce e cerca di cacciarlo. Iro, secondo me, fa questo perché è sempre stato costretto a lottare per guadagnarsi il cibo e ora che ha trovato qualcuno che bene o male gliene da un po’ non vuole vedersi tolta la possibilità di procurarsi da mangiare. Quindi i Proci incitano i due ad una lotta (mettendo anche in palio il posto di mendico del palazzo) ma quando Ulisse mostra i muscoli l’accattone e i principi si stupiscono e Iro viene spinto a forza a combattere dato che la paura lo ha come bloccato. Il re di Itaca vince facilmente ma non uccide l’avversario, bensì lo trascina fino all’ingresso e lo rimprovera dicendogli che prima o poi gli potrebbe capitare di peggio. Se l’episodio viene ben analizzato si possono trovare alcuni valori nascosti. Come prima cosa ci mette davanti alla lotta quotidiana che i poveri devono fare per procurarsi il cibo, triste e assurda, degli uomini che devono umiliarsi solo per ottenere l’indispensabile, ciò che a noi sembra scontato. Iro si mostra così irriverente e forse cattivo nei confronti dell’eroe greco non solo perché è quello il suo carattere ma anche perché è un uomo segnato da questa continua lotta per la sopravvivenza che deve affrontare giornalmente e che perciò lo ha cambiato in negativo. Quindi anche se si mostra così vile dovremmo avere compassione per lui, cosa che ha appunto il nobile re che decide di risparmiarlo. Inoltre qui, a mio parere, emerge anche la cattiveria dei Proci e il poco rispetto che hanno nei confronti di quelli meno fortunati di loro: infatti trattano Iro e Ulisse come due buffoni e si mettono a ridere a crepapelle quando l’eroe picchia a sangue l’accattone, il quale si mette a urlare di dolore: scena di fronte alla quale ridere è segno di mancanza di rispetto per il ferito. Ad un certo punto un amico di Antinoo (il capo dei Proci) schernisce Ulisse pesantemente che però non vuole farsi umiliare e che gli risponde degnamente, il risultato di tutto questo è una rissa fermata poi da Telemaco. Per concludere dico che questo episodio mi ha incuriosito perché tratta qualcosa di vicino alla vita di tutti i giorni di ognuno di noi e ci può far fare un confronto fra la vita dei poveri del passato e di oggi: sempre dura e difficile! Alessandro 82 A CONFRONTO CON LA STORIA Immagina di essere un soldato italiano della Prima guerra mondiale e di scrivere alla tua famiglia una lettera dal fronte Asiago, 2 Settembre 1918 Cara Anna, ti scrivo dal fronte. Mi trovo ad Asiago, fa freddo e ho nostalgia di casa. La vita in trincea è durissima, siamo infossati in cave del terreno, recintate da filo spinato e in alcuni punti da casematte di cemento. Abbiamo fatto moltissimi attacchi, assalti con le baionette e ho ucciso degli uomini. Non mi sento più la persona di un tempo, sento di essere cambiato, so di aver posto fine a delle vite umane, anche quando quel compito non è il mio. Questi anni di guerra hanno fatto crescere la mia fede in Dio. Molto spesso alla fine di un attacco a cui sono sopravvissuto mi chiedo: “Sono ancora vivo grazie al buon Dio... ma perché mai Lui vorrà proprio me vivo? Mi vuole vivo quando vedo morire i miei compagni, quando vedo morti i miei nemici... perché?”. Non ho ancora trovato risposta a questa domanda, ma penso che sia perché esisti tu, dolce amore mio, perché esistono i nostri bambini: Bruna, Giusto e Paolina. Sono molto grato a Dio, ogni sera prego per te, per la nostra famiglia, prego perché la guerra possa finire, perché è soltanto cruda e inutile. È tardi qui, la notte ha già avvolto il manto celeste, piove, si sentono delle frane e i comandi del caporale che regola il cambio della sentinella. Ho nostalgia dei dolci profumi di casa, l’odore del pane fresco che hai appena sfornato, l’odore della polenta abbrustolita sulla brace... 83 Qua si sentono solo la puzza della muffa e dei cadaveri che vengono seppelliti dopo settimane, quando qualcuno scende a valle. Ricordo con nostalgia il rumore che fanno i bambini quando giocano con la palla, perché qui invece gli unici rumori che sento sono le grida dell’“avanti!”, quelle di dolore dei soldati colpiti e il rumore dei fucili e delle baionette: l’attacco è sempre improvviso e in pochi attimi la vallata risuona di urla e scoppi. Fra non molto combatteremo l’ultima battaglia contro gli Austriaci, e i generali dicono che vinceremo.. Si, la loro sarà una vittoria, ma per noi soldati? Per noi la guerra è sempre una sconfitta, un’inesorabile perdita di migliaia di vite umane. L’ultimo orrore che i comandanti hanno fatto è stato quello di fare arruolare i ragazzi del ’99, che hanno combattuto valorosamente con noi nella battaglia sul fiume Piave, per fermare l’avanzata degli Austriaci e dei Tedeschi. Ho conosciuto un giovane orfano, e ora è qui accanto a me che dorme. Penso che se tutto finirà e rimarremmo vivi entrambi lo porterò a casa con me, è un caro ragazzo, si chiama Giovanni. Lui non ha mai conosciuto gli affetti materni, ma ha invece incontrato gli orrori della guerra: questo è inaccettabile, è un ragazzo forte, ma ha bisogno di amore. Il mio cuore geme ogni giorno sapendo che siamo così lontani. Voglio che tu ritorni tra le mie forti braccia, desidero sentire di nuovo il dolce profumo di lavanda che ti circonda sempre, voglio riaverti mia, desidero baciare i miei bambini, che mi mancano così tanto. La vita senza voi è un inferno, ora un’ultima battaglia, un ultimo assalto e se Dio lo vorrà tornerò da te. Se questo non succederà ricorda che ti amerò per sempre, anche su in cielo tu sarai sempre nel mio cuore. Consegnerò questa lettera al mio amico Roberto, che la porterà in segreto da te, perché sai amore? Qui c’è la censura totale di tutto, non potrei nemmeno scriverti, ma voglio rischiare, voglio salutarti un’ultima volta se per caso non tornerò. Vorrei però che questo fosse solo un arrivederci. Tuo per sempre, Gaetano. Francesca Novembre, 1915 Cara Eleonora vi penso sempre anche se sono lontano, penso a te, ai bambini, alla mia terra e rimpiango le belle domeniche quando andavamo a passeggio sfoggiando i nuovi acquisti. Ti scrivo dall’interno della trincea, sento l’acqua che mi scende nella schiena, ormai però ci sono abituato e non sono più tanto noioso 84 come quando ero a casa e capitava che tornassi dal lavoro bagnato fradicio per aver incontrato un’acquazzone. La vita qui è terribile, anche nel momento del riposo non riesco a dormire per i tonfi assordanti dei cannoni e il fragore dei sassi che si staccano dalle imponenti montagne alle spalle della trincea; stamani quando hanno dato l’attacco per la conquista della posizione nemica ho avuto un tuffo al cuore come sempre e quasi mi sono sentito male, mi sono rifiutato di bere gli alcolici che ci portano sempre per far sì che si offuschino le menti e quindi si possa meglio affrontare il pericolo; come sempre ho pregato Dio e Lui mi ha ascoltato anche se non siamo riusciti a conquistare la posizione. Ogni giorno c’è un numero spaventoso di morti, il mio amico che si dilettava a scrivere poesie, prima dell’attacco ad una trincea nemica, sicuro di andare incontro alla morte mi ha lasciato il suo taccuino; ci sono poesie bellissime, ti prometto che quando tornerò te le leggerò tutte: pensa ne ha scritta una anche su di noi, me, te e i bambini, gliel’ho chiesto io! Sai cara ho nostalgia anche della tua cucina, qui il cibo è pessimo e gli animali più ripugnanti come se non bastasse sono nostri compagni giornalieri. Qui ci sono molti padri di famiglia, io nella scomoda divisa tengo sempre una foto dei nostri quattro piccoletti a casa, la guardo sempre quella foto, ti assicuro mi dà forza! Non vedo l’ora di tornare per vedere come state, come siete cambiati… voglio tornare a vivere la mia vita, questa orribile guerra mi opprime, inoltre non ci sono conclusioni, non si ottiene mai niente dagli scontri sporadici e cruenti… non ne posso più, mi chiedo perché gli uomini si facciano del male a vicenda, in fondo siamo tutti fratelli, figli di uno stesso Padre! Per ora ciò a cui mi posso affidare è la fede, prego sempre per voi e perché la guerra finisca. Ora mi devo preparare fra poco sono di guardia, spero che ti arrivi questa mia lettera, forse ci metterà un po’ prima deve passare nelle mani della censura, quelli non si fidano di nessuno poi ciò che mi infastidisce è che non ci chiamano mai per nome, per loro siamo solo un numero! Ora devo lasciarti, statemi bene, pregate, vedrete che tornerò. Per ora saluta i bambini e dì loro che sono il mio raggio di luce,ciò che in questo buco nero che devo fronteggiare ogni giorno mi fa sperare in un mondo migliore e mi fa vivere. Vi voglio bene. Arrivederci da Pietro. Elena 85 Abbiamo letto pagine tratte dal testo “Verso l’assoluto”, di Don Primo Soldi, sulla vita di Pier Giorgio Frassati, e abbiamo incontrato a Torino l’autore del libro a cui abbiamo rivolto molte domande. Facendo riferimento al testo ed anche all’incontro fatto, scrivi che cosa ti ha interessato e colpito di questo giovane santo torinese, e le impressioni che il dialogo con Don Primo Soldi ha suscitato in te. Pier Giorgio Frassati è entrato a far parte delle mie conoscenze scolastiche dal giorno in cui la prof Golinucci ci ha dato un fascicolo composto da alcuni brani tratti dal libro “Verso l’assoluto”. Inizialmente mi è sembrata una semplice lezione in preparazione alla gita a Torino, ma pian piano, scoprendo chi era Pier Giorgio e cosa ha caratterizzato la sua vita, ho cambiato idea ed è nata in me la voglia di approfondire questa conoscenza. Infatti Pier Giorgio poteva sembrare un ragazzo come tutti gli altri, ma aveva qualcosa in più che inizialmente non si vedeva. Egli infatti era una valanga di vita, come lo definisce Don Primo Soldi, tanto che i suoi compagni per scherzo lo avevano soprannominato Fracassi. Vissuto all’inizio del Novecento, partecipava a tutte le associazioni possibili e si prendeva la responsabilità di partecipare diligentemente a ciascuna di esse. La sua vita di ragazzo era sempre piena di impegni che lui amava svolgere, la maggior parte riguardanti la vita cristiana. Mi ha colpito molto anche il fatto che avesse deciso di aiutare i minatori, la classe più disagiata di tutti gli occupati nell’industria. Ma 86 non soltanto li aveva messi nella lista dei bisognosi del suo aiuto, Pier Giorgio si era iscritto addirittura al corso di Ingegneria Meccanica al Politecnico di Torino, cioè aveva deciso di usare il suo futuro, le sue possibilità, per aiutare gente che nemmeno conosceva bene, e questo dà prova di una grande anima. Pier Giorgio faceva anche completo affidamento sui suoi amici e ciò si può notare nell’atteggiamento che aveva quando chiedeva loro di pregare per lui affinchè Dio lo aiutasse in ciò che doveva fare. Questo può sembrare un po’ esagerato oggigiorno, ma dimostra quanta fiducia Frassati riponesse in Dio e negli amici, cosa non da poco. Il giovane santo torinese quindi già da ragazzo considerava Dio come parte integrante della sua vita, che faceva in modo fosse cristiana in ogni momento, chiedendo a Dio di riuscire a viverla a fondo. Pier Giorgio amava molto la poesia, cosa inverosimile visto il suo carattere di fracassone e simpaticone. Si perdeva nei libri e diceva che, come bisogna allenare il corpo con gli esercizi fisici, così lui allenava la mente leggendo. Era attratto anche dall’arte e dalla musica. Con gli amici fondò la Società dei Tipi Loschi, una compagnia dove ognuno veniva chiamato con un soprannome che corrispondesse al suo carattere. Pier Giorgio era Robespierre. Oltre a tutto questo Pier Giorgio era estremamente caritatevole e altruista. Riuscì addirittura a convincere una tabaccaia che non era mai andata a Messa a parteciparvi. Il Vangelo annunciato da Pier Giorgio era diverso perché lui, oltre a invitare all’incontro con Cristo, si metteva nei panni della gente che incontrava e trovava per ognuna il motivo strettamente legato alla sua vita per cui sarebbe dovuta andare a Messa. Ad esempio la tabaccaia sarebbe dovuta andare a Messa almeno per suo figlio. In questo modo la maggior parte delle persone che lui incontrava restavano colpite dalle sue parole e seguivano il suo consiglio. Pensandoci, ho realizzato che è molto difficile convincere uno sconosciuto a partecipare alla vita cristiana quando non lo ha mai fatto, quindi mi rendo conto che Frassati credeva veramente in quello che annunciava, se no non avrebbe avuto tale successo. Ma la parte di vita di Pier Giorgio che più mi è rimasta impressa nella mente sono stati i suoi ultimi giorni di vita. Frequentando i tuguri dei poveri, aveva contratto la poliomelite fulminante, una malattia che lo uccise nel giro di una settimana. Pier Giorgio fu sfortunato, perché proprio in quei giorni anche sua nonna stava per finire la sua vita e tutta la famiglia Frassati badava solo a lei e nessuno si accorse di ciò che stava succedendo al giovane Pier Giorgio. Egli diede mostra ancora una volta del suo altruismo senza 87 sviare quindi l’attenzione dei suoi familiari su di lui e, quando ormai la paralisi aveva avuto la meglio su di lui, si sforzò di raggiungere il letto della nonna aiutato dalla cameriera e si inginocchiò per pregare per lei. Poi volle scrivere personalmente il biglietto con le indicazioni per portare la scatola di iniezioni ai suoi poveri, esattamente l’ultimo giorno di vita. Nemmeno allora si risparmiò. Quando Don Primo Soldi ci ha parlato di lui sembrava che lo avesse conosciuto personalmente mentre invece aveva ricevuto le notizie sul santo torinese quasi tutte da sua sorella Luciana. È incredibile vedere come il ricordo di Pier Giorgio Frassati sia rimasto vivido nelle menti di coloro che lo hanno conosciuto e amato, di coloro che hanno avuto anche solo un assaggio della sua bontà. Parlare con Don Primo Soldi è stato molto interessante e il sacerdote ci ha dimostrato la sua ammirazione verso Frassati rispondendo così a una delle nostre domande: “Magari avessi almeno uno dei difetti di Pier Giorgio!”. E ora si sono aggiunti cinquanta alunni alla lista lunghissima di persone che lo ricordano e lo stimano. Pier Giorgio “Fracassi”, fracassone, ma santo. Martina R. Ogni cosa che mi è stata raccontata su Pier Giorgio Frassati da Don Primo Soldi e che ho letto in classe con la professoressa e con i compagni, mi è sembrata bella e significativa, mi ha incuriosito molto e mi ha suscitato delle domande che ho avuto l’opportunità di porre direttamente al sacerdote, autore del libro intitolato “Verso l’assoluto”, che racconta appunto la storia del beato vissuto all’inizio del Novecento. All’inizio dell’incontro che abbiamo avuto a Torino con don Soldi ero prevenuta e mi immaginavo che ci sarebbe stato semplicemente ripetuto ciò di cui avevamo già parlato in classe. Ma il clima che si è creato fra i miei compagni ascoltando il sacerdote è stato subito di grande attenzione e questo mi ha aiutato ad ascoltare con il cuore aperto e pieno di curiosità e desiderio di scoprire ciò che la storia di Pier Giorgio poteva insegnare alla mia vita. Ho posto a Don Primo una domanda specifica sull’episodio che mi aveva maggiormente colpito: quello della malattia di Frassati. In particolare, mi interessava sapere come Pier Giorgio ha affrontato il suo ‘Calvario’ in solitudine, senza che nessuno fosse consapevole della gravità della sua malattia. Sono rimasta molto impressionata dal fatto che lui riuscisse ad affrontare il suo dolore enorme solo con la preghiera e il silenzio, senza condividere con nessuno la sua croce, se non con Gesù stesso. Nello stesso periodo in cui Pier Giorgio si ammala infatti, 88 la famiglia Frassati vive un momento molto duro, perché la nonna sta per morire: tutte le attenzioni, dunque, sono rivolte a lei e Pier Giorgio, umilmente, non aggrava il dolore della sua famiglia tenendo nascosta la sua malattia. Solo quando sta già quasi per morire a causa di una poliomielite fulminante, la famiglia scopre che egli era stato colpito da una grave malattia. Sono rimasta meravigliata di come, pur nella sofferenza personale, il pensiero di Pier Giorgio fosse sempre rivolto ai poveri e ai bisognosi: appena prima di morire, usa le sue ultime forze per dare alla sorella l’indirizzo di una delle tante famiglie povere che lui aiutava, affinché portasse i medicinali e l’assistenza che lui non aveva avuto tempo di portare a causa della malattia fulminante. Questo mi è sembrato un gesto straordinario e da questo esempio ho capito perfettamente ciò che don Soldi sottolineava: Pier Giorgio Frassati era santo nella normalità della sua esistenza. Ma prima ancora che per la sua sofferenza e la santità della sua morte, la figura di Pier Giorgio mi ha colpito per la vivacità e la solarità della sua vita, breve, ma piena di gioia e movimento. Egli amava molto la montagna e, insieme agli amici, andava a fare scalate sulle cime intorno a Torino. Inoltre Pier Giorgio era sempre gioioso perché la carità con cui viveva lo rendeva felice e lo colmava pienamente. “Mai vivacchiare, ma vivere…”: mi è piaciuta la frase che tutti i giorni Pier Giorgio ripeteva a se stesso perchè lui viveva sempre tutto intensamente e non “vivacchiava”. Ma soprattutto Frassati era colmo della Presenza di Gesù, che ogni giorno riceveva in sé con l’Eucarestia. Infatti Pier Giorgio sentiva sempre l’urgenza di partecipare quotidianamente alla Messa, anche se i genitori, che non erano persone di fede, non avrebbero voluto. Don Soldi ha detto che, nella vita di Pier Giorgio, Dio “si è imposto” come Assoluto, come primo pensiero, e subito dopo il prossimo. Un altro dei tanti episodi della vita di Frassati che mi è rimasto impresso è quello dell’incontro e del dialogo con la tabaccaia. Ogni giorno Pier Giorgio si fermava davanti ad una tabaccheria e, con tanti pacchi, spariva dietro un portone. La tabaccaia poiché Pier Giorgio le sembrava un ragazzo che ispirava confidenza, attaccò discorso e gli propose di fare lei quel lavoro che non le sembrava adatto e dignitoso per un “signore” come lui. Ma il giovane Frassati rispose che era più contento di portare i pacchi lui stesso, per poter incontrare di persona la famiglia, parlare con le persone per infondere coraggio e soprattutto invitare ad offrire a Dio le sofferenze e proporre di andare a Messa. La tabaccaia rispose che lei non andava a Messa: Pier Giorgio si limitò a chiederle il motivo e le disse che se non voleva andarci per se stessa, 89 almeno ci andasse per il suo bambino, perché lei era una buona mamma. L’umile tabaccaia rimase così colpita che la domenica successiva andò a Messa. Che modo semplice e cordiale di convincere la gente guidandola all’incontro con Gesù ! Pier Giorgio era così sicuro e credeva così fermamente in ciò che diceva che contagiava con la sua fede le persone che incontrava. La gente che lo incontrava percepiva perfettamente che Pier Giorgio non era lì, solo per “consegnare” vestiti o medicinali, ma che era lì per accogliere, ascoltare, comprendere e donare parole e gesti di vera fede. Sono stata molto contenta di aver conosciuto questo santo torinese che viveva la carità come attenzione al destino della gente, come passione di annunciare ai poveri il suo incontro con Gesù. Ringrazio i miei professori che ci hanno introdotto all’incontro con questo beato attraverso il racconto della sua vita e che ci hanno proposto l’incontro con Don Primo Soldi, per me significativo e molto importante. Elena A CONFRONTO CON L’ATTUALITÀ Attraverso i giornali e la televisione abbiamo seguito la vicenda di Eluana Englaro: quali sono stati i tuoi pensieri, le tue reazioni, le tue domande? Di tante parole ascoltate, quali ti hanno aiutato a riflettere o a capire qualcosa di importante per te? Non mi sono mai interessata troppo alla cronaca del telegiornale o ai fatti in prima pagina sul quotidiano. Ma questa volta è stato diverso. Eluana Englaro si è catapultata nella mia vita senza preavviso e mi ha insegnato a riflettere. Sono venuta a conoscenza della storia di questa ragazza attraverso il dialogo con i nostri professori. Ognuno raccontava la vicenda con parole sue, mettendo in luce gli aspetti che più considerava importanti. A scuola io assorbivo i punti di vista sia di insegnanti che di amici, senza esprimermi riguardo al mio. Non riuscivo a capire quale fosse la mia opinione perchè ogni volta che ascoltavo una nuova interpretazione dei fatti, cambiavo idea. All’inizio provavo compassione per il padre di 90 Eluana e pensavo che fosse meglio farla morire. Mi sembrava di una logica schiacciante, ma dopo averne discusso anche con i miei genitori e aver letto qualche articolo sui giornali ho capito che quella ragazza, per terribili che fossero le sue condizioni di vita, meritava di vivere. Il fatto che lei, in passato, quando un suo amico si era trovato in quelle condizioni che poi sono diventate le sue, avesse pregato affinchè lui morisse, mi lasciava comunque spiazzata, ma non penso che il padre potesse considerare ciò come un testamento biologico. La scuola inoltre ha organizzato un incontro con un medico di Cesena per fare più chiarezza sullo avvenuto con una persona preparata in materia. Egli ha fatto un bellissimo discorso e si è anche infervorato parlando della ingiustizia che l’impotente Eluana ha dovuto subire. Abbiamo anche potuto ascoltare una sua poesia dove Eluana viene paragonata a Cristo morente in croce, molto commovente. Anche se ormai era stato dato il via al processo di riduzione dell’alimentazione e dell’idratazione, io continuavo ad avere la speranza che la ragazza si svegliasse prima che fosse troppo tardi. Nonostante cercassi di pensare positivo, ogni attimo della mia vita mi sembrava sprecato, sapendo che intanto Eluana lentamente moriva, e mi sentivo impotente. Chi siamo noi per dire che lei non merita di vivere? Chi siamo noi per dire, come molti sostenevano, che quella non è vita? Se lei era morta 17 anni fa, allora perchè prendere tante precauzioni e aspettare tanto? Lei era ancora viva e lo si poteva vedere dalle reazioni del suo corpo. Le suore che la accudivano affermavano di sentire la sua presenza. Anche la vita di Eluana aveva uno scopo, un senso: aiutava le suore e le impegnava in un’opera buona. Perchè non continuare a sperare? Perchè far finire tutto per colpa della disperazione di un padre? Ora lui non può nemmeno più vedere gli occhi aperti della figlia velati dalla malattia. Non è sempre la speranza l’ultima a morire? Io non riesco ancora a capire come tutto questo sia potuto succedere, ma so che una grandissima ingiustizia è stata portata a compimento in modo disumano e questa ingiustizia ha colpito proprio lei: Eluana Englaro. Martina R. Ultimamente, soprattutto a scuola, abbiamo molto parlato e seguito il caso di Eluana Englaro, una ragazza in stato vegetativo da diciassette anni, a cui il padre ha voluto togliere l’idratazione e l’alimentazione, facendola così morire di sete e fame. Appena ho sentito questa storia ho avuto molti pensieri, ma quello più martellante era: Cos’è la vita? Molti medici dicevano che Eluana era morta da diciassette anni, ma io non riuscivo a capire il perché: 91 secondo gli esami fatti il suo cuore batteva, lei respirava autonomamente, apriva gli occhi di giorno e li chiudeva la sera. Ma allora, perché toglierle la vita in quel modo così inumano? Perché suo padre voleva toglierle quel po’ di speranza che aveva di risvegliarsi? La cosa che più mi ha lasciato triste e addolorata era il sentimento di impotenza che avevo davanti a questo fatto: non potevo fare nulla, non potevo oppormi al gesto che stavano per fare, quello di decidere la morte di una ragazza che non si poteva difendere, una ragazza che non veniva considerata come una persona umana, ma come una cosa, un’idea; lei invece c’era, forse non era capace di manifestare quello che sentiva, ma c’era. Con questo gesto, ingiusto e non umano, la Vita è stata “trascurata”: non si può decidere di darla o toglierla, c’è Qualcuno, più grande, più forte, onnipotente, che la dà o la toglie. Sono state dette molte cose, molte parole, a proposito di Eluana; a me ha colpito molto l’incontro che abbiamo fatto, a scuola, con il dottor Franco Casadei, il quale ha scritto una poesia molto vera a questo proposito, che sottolinea il fatto che la mamma di Eluana non ha mai espresso il suo parere: solo una sua parola l’ avrebbe potuta salvare… Io ho capito una cosa molto importante, ho capito che la Vita ci è stata regalata, e non si può né respingere, né buttare via. Leggendo un volantino, mi hanno colpito molto queste parole:”Neanche a Cristo è stato risparmiato lo sgomento del dolore e del male, fino alla morte. Ma che cosa in lui ha fatto la differenza? Che fosse più bravo? Che avesse più energia morale di noi? No, tanto è vero che nel momento più terribile della prova, ha domandato che gli fosse risparmiata la croce. In Cristo è stato vinto il sospetto che la vita fosse ultimamente un fallimento (…)”. Queste frasi, per me, per quanto difficili da capire, mi hanno confermato il valore e l’importanza della Vita. Agnese In queste ultime settimane mi è capitato spesso di ascoltare alcuni discorsi legati al caso di Eluana Englaro. La ragazza di Lecco dopo un terribile automobilistico, avvenuto quando aveva solo ventuno anni, è stata costretta a vivere in stato vegetativo per diciassette anni in attesa di qualche segno di miglioramento, mai avvenuto. Questo caso ha suscitato molto scalpore ed è stato al centro delle attenzioni di tutto il mondo e dell’Italia, prima della sua morte, dal momento che il padre di Eluana, Beppe Englaro, ha ottenuto di poter 92 sospendere l’alimentazione e l’idratazione artificiale per lasciarla morire, dato che sosteneva e affermava con decisione che quella sarebbe stata la volontà della figlia. Il padre, però, voleva che questo accadesse in Italia, a Lecco,nel centro dove era stata accolta da alcune suore che, ogni giorno, si prendevano cura di lei: la vestivano, la lavavano e l’alimentavano attraverso una sonda. Quello che il padre voleva è,di fatto, l’eutanasia, cosa che in Italia non è ammissibile soprattutto per la chiesa ed i cattolici. A questo punto, dopo continue lotte, dibattiti e discussioni tra avvocati,politici e parti civili, la vicenda si conclude con la vittoria del padre Beppe Englaro: da questo momento l’Italia ed il mondo restano divisi in due parti. Anch’io mi sono accorta di questa spaccatura. Anche se discutendo con la mia classe, in famiglia, con gli amici, mi sono accorta che la maggior parte di noi condivide lo stesso parere, cioè che Eluana non doveva morire e soprattutto per volere del padre, dato che non è l’uomo a decidere quando morire non è l’uomo che ci ha creati e ci farà tornare in polvere come eravamo e sarà Lui a decidere il momento della nostra morte. Questa sentenza a favore dell’interruzione dell’alimentazione e dell’idratazione è stata pronunciata da un giudice il quale non ha aspettato che il governo promulgasse una legge. Così il governo è stato costretto in poco tempo a dover elaborare una nuova legge che impedisse tutto questo, ma questa legge non è stata accettata da tutti i ministri e quindi non è stata firmata; in pochi giorni è avvenuto l’impensabile: Eluana è stata portata nel centro di Udine: “La quiete” dove alcuni medici hanno avuto la responsabilità, di sospendere poco per volta l’alimentazione e l’idratazione a Eluana, fondamentali per la sopravvivenza di tutti gli uomini, infatti nessuno potrebbe mai farne a meno. Così dopo pochi giorni Eluana è morta. Tutto il clamore intorno a lei piano piano si è spento e sono rimasti alcuni dubbi e domande sul vero valore che acquista la vita sulla terra. Ed anche riflettendo in classe con alcuni professori ci sono sorte alcune domande che abbiamo esposto loro. Abbiamo capito che la vita è veramente molto importante ed insieme a loro abbiamo avuto la possibilità di approfondire questo argomento anche attraverso l’incontro con il dottor Franco Casadei, che ha risposto ad alcuni nostri quesiti. Questo dialogo ci ha aiutati a capire che gli ospedali e i centri, i medici, il personale infermieristico sono nati ed esistono per salvare la vita delle persone e migliorare la loro condizione di salute. 93 Inoltre ho appreso che anche solo una parola della figlia da parte della madre, o la firma della legge proposta dal governo da parte di tutti i ministri, sarebbero bastate a salvare la vita a quella ragazza, una vita sacra come quella di tutti gli uomini presenti sulla terra. Ed anche di fronte alle lacrime ed alla commozione che hanno accompagnato la lettura di una poesia che il medico-poeta, aveva dedicato ad Eluana, mi sono accorta di quanto importante sia per lui, come per tutti, la vita sulla terra. Guardando dal mio punto di vista vedo che la vita acquista un valore importante ogni giorno che la vivo: mi sembra di assaporare i momenti più o meno belli che la vita mi riserva e cerco di vivere questi il più intensamente possibile, dato che la vita è un dono e come tale va rispettata,amata,vissuta fino infondo anche nei momenti più difficili dove occorre avere una maggior forza, volontà e sensibilità, perché ogni giorno essa ci riserva qualcosa di importante, che noi talvolta trascuriamo. Per questo ognuno di noi ha diritto alla vita che non può essere messa in mano a dei giudici o ad altre persone dal momento che è un dono e quindi va rispettato e tenuto con la massima cura e consapevolezza. Anna La vicenda di Eluana Englaro, naturalmente, la conosciamo tutti ed è stata davvero terribile. La cosa che mi ha dato più fastidio in assoluto è che non solo la tv in tutti questi anni ha sempre fatto passare notizie false o in parte censurate, ma anche che la Cassazione e prima ancora il padre di Eluana, Beppino Englaro, abbiano deciso di porre fine a una vita umana, senza il minimo diritto e soprattutto senza il consenso della diretta interessata che, ovviamente, non era cosciente e non poteva opporsi, essendo in stato definito dai medici “vegetativo”. È gravissimo che delle persone abbiano deciso la morte di questa ragazza, perché non spetta a noi deciderlo, ma all’unico e universale giudice, Dio. Lei sarebbe morta di morte naturale come tutti dovrebbero morire, se non si fosse intervenuti. Io non mi capacito di come i medici, senza il minimo ritegno o compassione, abbiano avuto il coraggio di lasciare morire una persona che non ha mai smesso di vivere, perché il suo cuore continuava a battere, respirava da sola senza l’uso di nessuna macchina e l’unica cosa di cui aveva bisogno era di essere nutrita e di essere amata di più. Non riesco a capire come facciano a dire i medici che Eluana era morta quella fatidica notte di diciassette anni fa!!! 94 Lei, di fatto, era ancora qui tra noi, solo che aveva bisogno di essere curata e seguita molto di più, un po’ come i bambini piccoli che hanno bisogno della mamma, non essendo autosufficienti; è come aver ucciso un bambino handicappato che per vivere ha bisogno della carrozzina: è comunque una persona! Non è una pianta, ce l’ha un’anima! (Mio nonno, che è medico anestesista (che tra l’altro è anche ateo), era della stessa opinione di tanti medici: lei per loro era morta! Io ci sono rimasta malissimo. Ma come, mio nonno dice una cosa del genere?!? Roba da matti!) E il babbo, Beppino Englaro, come ha potuto decidere di far morire la sua unica figlia? Eluana, da ragazza, avrà anche potuto dire che lei non avrebbe mai voluto trovarsi in quella situazione e che in tal caso avrebbe preferito morire, ma un conto è dirlo così per dire, quando si sta bene, e un altro è quando si è tra la vita e la morte. Credo che a nessuno faccia piacere lasciare questo mondo prima del dovuto… Che ne sappiamo noi se Eluana ha detto veramente questa frase e se la pensava ancora? Il padre per diciassette anni si è sempre e solo attaccato a questa frase, ma secondo me non ha mai fatto realmente niente per la figlia! Le uniche persone che si sono prese cura di lei sono le suore che tutti i giorni costantemente per diciassette anni le davano da mangiare, la accudivano, la vestivano, ecc... Hanno fatto tutto quello che il padre non ha più fatto per lei! Povera Eluana, io spero con tutto il cuore che ora sia in un posto migliore, anzi ne sono quasi convinta e un po’ mi consolo, ma io credo che questa vicenda resti immorale ed esagerata. Eluana è stata strumentalizzata per portare anche in Italia l’eutanasia. Lei non era l’unica persona in stato vegetativo; in Italia ci sono molti casi come il suo, ma almeno le altre famiglie si prendono cura amorevolmente delle persone care in questo stato. La cosa più strana è che in tutti questi anni sua madre non abbia mai detto una parola, malattia non malattia; anche un solo “no” forse avrebbe potuto cambiare la triste e “dolorosa” sorte di Eluana. Chiunque davanti alle parole di una madre avrebbe pietà. Secondo me, non ha mai parlato per paura del marito. Quest’uomo non voleva nemmeno fare un funerale alla figlia, almeno per dirle addio in modo dignitoso: l’unico che ha insistito per il funerale in chiesa è stato lo zio. Io non so cosa pensasse il padre o cosa gli passasse per la testa, ma di certo ora è divorato dal dolore. 95 La morte di Eluana è stata straziante perché non essendoci l’eutanasia, sono stati “costretti” (anche se non è la parola più adatta perché hanno comunque ucciso una persona) a toglierle il nutrimento e quindi nel giro di quattro/cinque giorni è morta di fame e di sete, disidratata. I medici, pur essendo convintissimi che lei fosse solo un corpo incosciente che non “meritasse” di vivere, le hanno dato lo stesso gli antidolorifici per non farla “soffrire”. Questo è davvero il colmo! La vogliono uccidere perché secondo loro è una specie di vegetale, incosciente, che non serve a niente, non prova nulla, ecc…, e gli danno gli antidolorifici?! È un controsenso! Ma allora, mi domando, perché la vuoi far morire se non sei sicuro di quanto affermi? Le suore che l’accudivano dicevano che lei di giorno apriva gli occhi e di notte li chiudeva, era in dormiveglia: il suo organismo era perfettamente funzionante. Poi dicevano che certe volte, quando le facevano una battuta o le dimostravano affetto, le compariva sulle labbra una specie di sorrisosmorfia… Non sappiamo se una parte del suo cervello funzionasse o meno. Magari lei aveva coscienza, capiva cosa le succedeva intorno, ma non riusciva a comunicare. Facciamo l’ipotesi che capisse, sentisse quello che accadeva intorno: chissà come si sarebbe sentita se avesse capito che la volevano far morire, chissà la disperazione, l’angoscia e peggio ancora l’impotenza di esprimere la sua opinione per salvarsi… Io, ad esempio, impazzirei, visto che sono una che non riesce mai a stare zitta e che deve sempre dire la sua. E chissà che dolore e sconforto sapere che la persona che vuole la tua morte è tuo padre! Che tristezza trovarsi da un giorno all’altro accudita e nutrita e poi senza cibo e assolutamente sola nel tuo letto di morte. Sinceramente se fossi stata nei panni di Beppino Englaro avrei preferito vedere mia figlia stesa in un letto addormentata, sapendola viva, piuttosto che morta in una bara sottoterra!!! Comunque, una cosa è certa: io se finisco in stato vegetativo non voglio fare la stessa brutta fine di Eluana. In ogni caso questo fatto resta gravissimo e sconvolgente. Martina G. Eluana Englaro era una giovane ragazza di Lecco che diciassette anni fa è entrata in stato vegetativo a causa di un incidente automobilistico. Il padre, Beppino Englaro, non vedendo la figlia reagire come 96 una persona in normali condizioni di vita, da molti anni voleva sospendere la sua alimentazione, quindi farla morire. Soprattutto negli ultimi mesi i telegiornali e i giornali parlavano molto di questa vicenda, così i professori hanno provato a chiedere a noi alunni il nostro parere a riguardo. I miei primi pensieri riguardo alle affermazioni di Beppino Englaro sono stati molto istintivi: un padre non può assolutamente permettersi di togliere la vita alla propria figlia, cioè ucciderla perché un uomo non può mai far morire una persona, neppure se si trova in quelle condizioni! Eluana inoltre era accudita da alcune suore che ogni giorno la lavavano, le davano da mangiare, le facevano fare un giro nel cortile interno della casa di cura, addirittura la depilavano... insomma il padre non poteva neanche lamentarsi di dover accudire la figlia! È proprio per questo che io non capisco il senso della sua decisione. Secondo me il padre di Eluana si è fatto influenzare da ciò che dicevano i medici, cioè che secondo loro la ragazza era già morta diciassette anni fa e ormai non c’erano speranze che si risvegliasse. Inoltre un’amica di Eluana si ricordava di un giorno in cui un loro amico era andato in coma e vedendolo in tali condizioni Eluana aveva affermato di non voler vivere in quelle condizioni se le fosse accaduto un incidente, quindi anche questo può essere un fatto che ha portato Beppino a prendere certe decisioni. Guardando i telegiornali e accorgendomi di giorno in giorno che la situazione si aggravava, ho subito pensato che sotto c’era lo zampino del demonio, perché la sospensione dell’alimentazione passava come un aiuto alla ragazza, un accompagnamento a morire, addirittura come un bene per Eluana, come un gesto di ‘pietà’ e non per ciò che in realtà era davvero un’ UCCISIONE!!! Devo dire che in quei giorni ero molto arrabbiata, ma soprattutto non riuscivo a capacitarmi del fatto che i medici facevano il contrario di quello che in realtà dovrebbe essere il loro lavoro, perché il medico è nato per guarire una persona, non per farla morire! Leggendo poi l’intervista fatta alla vedova Coletta mi sono resa veramente conto del dramma che stava accadendo in Italia; lei diceva che Eluana di giorno apriva gli occhi e di notte li richiudeva, aveva un ciclo mestruale regolare, tossiva... e secondo i medici lei era morta??! Certo non c’erano molte possibilità che si risvegliasse dal suo stato vegetativo, ma almeno la si poteva lasciar morire di morte naturale; invece no, l’hanno fatta morire di fame e di sete e col dubbio che lei potesse soffrire! Ma il padre adesso che l’ha uccisa, sarà contento di aver ottenuto ciò che desiderava da anni? Secondo me adesso che è travolto da tanto clamore non si rende ben conto, ma io sono sicura che quando uscirà dal suo ‘stato vegetativo’ e 97 capirà di aver sbagliato, allora si pentirà, ma purtroppo nella vita si può solo andare avanti, non si torna indietro. Questa vicenda mi ha aiutato molto a riflettere e se mi dovesse capitare un’esperienza simile (spero di no!), sceglierei la vita, ma soprattutto mi ha ha fatto capire che bisogna stare molto attenti alla mentalità del mondo d’oggi, perché talvolta per nascondere la verità che può risultare scomoda o troppo cruda, si può arrivare ad affermare con convinzione quasi violenta la menzogna: in questo caso specifico nessuno diceva chiaramente che Eluana era stata condannata a morte. Chiara Attraverso i giornali e la televisione abbiamo seguito il caso di Eluama Englaro, la ragazza in stato vegetativo a cui è stata tolta l’alimentazione e l’idratazione per una decisione del suo padre. Suo padre ha preso questa decisione perchè diceva che quando Eluana era sana, aveva un amico in stato vegetativo e Eluana aveva detto che se lei fosse stata mai in quelle condizioni, avrebbe preferito morire! Secondo me una persona non si può permettere di togliere l’alimentazione e l’idratazione ad un’altra persona, perchèla vita è un dono e bisogna viverla fino all’ultimo secondo, anche se sei in stato vegetativo. In un giornale ho letto, che probabilmente, il fatto che il padre di Eluana dica che Eluana aveva detto se fosse mai stata in quelle condizioni avrebbe preferito morire, non è vero e che si è inventato tutto. Ciò mi fa pensare: perchè se non è vero ciò che ha detto l’ha voluta uccidere? È vero che non ce la faceva più a vedere in quelle condizioni sua figlia, ma per me non è un motivo valido per uccidere una persona!! Appena è stata data la notizia che sarebbe stata sospesa l’alimentazione e l’idratazione ad Eluana, io ci sono rimasta malissimo e da quel momento ho incominciato a sperare che all’ultimo minuto lei si risvegliasse, così tto si sarebbe sistemato e suo padre e i medici, i quali non le davano da mangiare e da bere, avrebbero capito che non è giusto decidere la morte di una persona, ma purtroppo ciò non è successo, anche se io ci speravo davvero. Si dice che Eluana sia morta per morte naturale, ma secondo me non è assolutamente vero, perchè a Eluana imedici non davano più cibo ed acqua, quindi si è voluto ucciderla!!!! Eluana era VIVA!!! Quando ho saputo che l’avevano uccisa non ci riuscivo a credere!! Questo fatto gravissimo, però, mi ha confermato che la vita è un dono, e solo Dio sa quando e come finirà e nessuno può permettersi di sprecarla! Margherita 98 Il campionato di giornalismo de “Il Resto del Carlino” Per il secondo anno la redazione giornalistica della Scuola Media della Fondazione del Sacro Cuore ha partecipato al Campionato di giornalismo de “Il Resto del Carlino”, ricevendo il premio speciale della giuria per il taglio giornalistico degli articoli. Le quattro pagine pubblicate 101 I GIRONE IL NOSTRO INCONTRO CON VAN GOGH Il report di una visita che Brescia ha dedicato al pittore olandese Nel mese di Gennaio abbiamo visitato la mostra che la città di Brescia ha dedicato a Vincent Van Gogh. Mostra interessante, soprattutto perché offre la possibilità di vedere i primi disegni della carriera artistica del pittore. Buona parte delle sue opere sono ordinate in ordine cronologico, dall’anno in cui comincia a disegnare (1880), fino all’anno della sua morte (1890). Da autodidatta, all’inizio della sua carriera Van Gogh copiava i quadri di altri pittori famosi per capire i loro stili e formarne uno proprio. Uno dei primi esercizi a matita di Van Gogh rappresenta un anziano signore seduto davanti ad un caminetto; la sua figura è sproporzionata, le ombre non sono rappresentate realisticamente e l’ambiente non è in prospettiva. Anche se il disegno è sproporzionato, il vecchio è molto espressivo: si può scorgere infatti la stanchezza e la tristezza nei suoi occhi, che sembrano assenti e immersi in pensieri malinconici. Questo esercizio a matita appartiene alla fase pittorica realistica. Nelle successive fasi in cui si articola il suo apprendistato, Van Gogh acquisisce gradualmente uno stile che caratterizzerà molte tele, specie quelle immediatamente precedenti la sua morte. In queste tele Van Gogh si dimostra completamente padrone del proprio mezzo espressivo (tra l’altro usa correttamente la prospettiva), che ha conquistato dopo un tenace e duro apprendistato, e supera in un colpo sia il realismo che l’impressionismo. Ad esempio nel quadro “I cipressi” riesce a dare l’idea di rilievo. Realizza l’opera usando la parte posteriore del pennello e, quindi, non stende più il colore ma lo modella nella tela dopo averlo sparso prima abbondantemente, e dando nel complesso un esito quasi spettacolare, grazie all’effetto vagamente scultoreo. Questa opera rappresenta due maestosi cipressi che si innalzano imponenti nel cielo e fanno contrasto con le tonalità dell’azzurro schiarite dal bianco delle nuvole. Sotto i cipressi si vedono due donne vestite di bianco che si distinguono tra il prato fiorito. Sullo sfondo, in prospettiva, una casa di campagna immersa in un campo di dimensioni inferiori rispetto agli altri elementi del quadro. Amaducci Serena, Belluzzi Elena, Brotto Francesca, Casadei Margherita, Pianese Federica, Taioli Agnese 105 II GIRONE LA BELLA STORIA DEL PORTIERE DI RISERVA L’incontro con Jimmy Fontana: è solo un panchinaro, ma ha realizzato un sogno DURANTE una delle uscite didattiche proposte dalla nostra scuola abbiamo avuto la fortuna di incontrare il portiere di riserva del Torino: Alberto Maria Fontana detto Jimmy. Parlando con il calciatore sono emersi alcuni importanti discorsi sul latoB side del calcio, come lui ama chiamarlo. Secondo noi il mondo del calcio è sfavillante; per noi i calciatori sono sportivi di grande talento che si possono permettere le auto costose e che conquistano le modelle. Invece non è sempre così! Dal racconto di Jimmy abbiamo appreso che, se la maggior parte degli atleti vive così, lui invece non fa una vita come ce la immaginiamo… FONTANA ha fatto molta “gavetta” prima di approdare ai massimi livelli. Infatti non tutti i calciatori sono fenomeni precoci, ma si sono dovuti formare col tempo e hanno dovuto abbinare al loro talento e alla loro passione per il calcio una grande voglia di sfondare anche attraverso delle rinuncie; basti solo pensare al nostro intervistato (o ad un grande campione come Christian Abbiati) che prima di approdare in serie A ha incominciato la sua carriera nel Monza e nel Borgosesia in C1. Fontana ha giocato quasi sempre come portiere di riserva, e solo dopo molto tempo è riuscito, grazie a una fortunata coincidenza, a far parte della sua squadra del cuore, realizzando così quello che era il suo sogno nel cassetto. Jimmy ha fatto molti sacrifici, anche se a lui non piace chiamarli così, per arrivare in serie A; andava spesso a giocare lontano dalla sua famiglia e dalla sua casa e col passare degli anni non ha mai perso la sua semplicità e umiltà; si è sempre allenato con impegno e costanza dimostrando di essere un vero atleta e un vero uomo. Essendo consapevole che la carriera del calciatore è limitata nel tempo e non essendo sicuro di poter competere ai vertici delle categorie calcistiche per sempre, si è dedicato e si dedica ancora oggi ad altre attività lavorative. Per esempio ha acquistato un bar a Torino, ha fondato una scuola calcio per giovani portieri e ha una sua linea di abbigliamento. ANCHE se Jimmy non può essere considerato un fuoriclasse, sicuramente è un grande esempio di sportivo perché ha raggiunto il suo sogno attraversandomomenti negativi e positivi senza darsi mai per vinto! Di tutto il dialogo ci ha colpito la sua determinazione e il suo attaccamento ai colori granata: è questa la cosa che ci ha sorpreso e ci 106 ha fatto pensare che è possibile realizzare i propri sogni prendendo sul serio i propri desideri. Francesco Medri, Luca Giorgini, Pierpaolo Fantini III TWILIGH, UNA STORIA D’AMORE CHE HA CONQUISTATO NOI RAGAZZE Un libro best seller e un film campione d’incassi Negli ultimi anni uno dei romanzi più letti da noi ragazze è stato “Twilight”, di S. Meyer, pubblicato nel 2006. È la storia di un amore nato tra una ragazza, Isabella Swan, e un vampiro, Edward Cullen. L’amore tra i due ragazzi nasce dopo il trasferimento di Isabella nella piovosa cittadina di Forks per vivere con il padre, Charlie, divorziato dalla madre, Renèe. Arrivata nella nuova scuola Isabella incontra Edward, inconsapevole del segreto di costui. Il giorno in cui Jessica, un’amica di Isabella, le racconta della famiglia Cullen, Isabella sente subito una particolare “attrazione” verso quei ragazzi dalla pelle diafana, bellissimi. Edward pur essendo un vampiro “vegetariano”, ovvero che si nutre di sangue di animali, prova una grande tentazione di morderla, poiché il suo sangue è diverso; ogni vampiro ha infatti un essere umano per il quale il suo sangue ‘canta’ e quindi gli fa sentire sensazioni mai provate, portandolo a perdere il suo auto-controllo. Tuttavia Edward prova un grande amore per la ragazza e ciò lo porta a resistere all’odore del suo sangue. Isabella presto scopre la verità su Edward, ma questo non la spaventa in quanto l’amore che prova per lui è irrefrenabile. Isabella alla fine del romanzo viene minacciata da un vampiro sadico, James, che tenta di ucciderla e sarà proprio Edward a salvarla. In seguito James morde Isabella e Edward la salva succhiando via il veleno. Isabella dopo questa brutta avventura prende la decisione più importante della sua vita, della sua intera esistenza: decide di rimanere a fianco di Edward, anche se per il momento non condividerà l’immortalità del vampiro, e sarà proprio lui che, amandola, le chiederà di rimanere mortale. Un aspetto di questo romanzo che ha colpito gran parte di noi è stato l’amore che provano i protagonisti l’uno per l’altro e che continua a resistere di fronte alle difficoltà e le diversità tra i due. Il rapporto tra loro è di totale sincerità perché entrambi sanno tutto l’uno dell’altro e di questo ne sono felici. Isabella si fida a tal punto di Edward da riuscire a recarsi a casa sua per conoscere i genitori e fratelli, tutti vampi107 ri. Un’altra cosa che ci ha colpito è stata la totale diversità tra i due protagonisti: Isabella è una creatura umana dolce, sensibile, responsabile; Edward è un vampiro, a volte anche insensibile, ma sa amare, di un amore fedele, quella semplice ragazza umana che ha stravolto la sua vita, facendogli provare emozioni del tutto nuove. Bedei Chiara, Cecchetti Giulia, Elena Teodorani, Giada Pedemonte IV ALIMENTAZIONE & PUBBLICITÀ MA GLI AZZURRI DAVVERO VANNO MATTI PER LA NUTELLA? Uno spot che lascia qualche dubbio Gli spot nel campo alimentare che oggi colpiscono maggiormente i giovani sono quelli che vedono protagonisti personaggi famosi, calciatori, attori, comici. Questo perché, oggi, sempre più i ragazzi vogliono cercare di seguire in tutti i modi i loro idoli, imitandoli allo scopo di diventare come loro. Abbiamo scelto la pubblicità della Nutella, la crema spalmabile sponsor della Nazionale di Calcio. Analizzando lo spot si deducono due aspetti fondamentali: sport all’aria aperta e l’alimentazione. Chiaramente, puntando sulla Nazionale di calcio, vincitrice degli ultimi Mondiali, i pubblicitari arrivano al cuore dei consumatori, collegando tra loro il senso di appartenenza nazionale degli Italiani e una sana alimentazione, che è fondamentale, soprattutto in questi ultimi anni, nei quali anche in Italia l’obesità è sempre più diffusa. Ciò accade poiché le ultime generazioni non badano troppo ad un’alimentazione sana che darebbe loro un corpo veramente in forma, ma vengono attirate da pubblicità spesso ingannevoli e riferite a cibi non idonei all’organismo umano. Nello specifico, lo spot dedicato al prodotto Nutella, così come viene presentato, può essere ingannevole perchè i giocatori non assumono realmente questo alimento nelle quantità che lo spot suggerisce. Infatti, i calciatori seguono diete specifiche per stare in forma, consigliate da dietologi e cuochi professionisti: si nutrono principalmente di frutta, verdura e carboidrati contenuti nella pasta. 108 Naturalmente, il prodotto non è dannoso se assunto in quantità moderate; ed è qui che deve intervenire il buon senso dello spettatore e del consumatore. Luca Giorgini, Francesco Medri, Pierpaolo Fantini FRANKLIN ROOSVELT PUBBLICITARIO MANCATO Gli spot pubblicitari sono un’importante mezzo per la promozione dei prodotti, i quali colpiscono i telespettatori o i lettori, che sono portati a comprare i prodotti proposti dal testimonial. Per fare pubblicità bisogna avere la capacità di intuire la migliore soluzione per convincere il consumatore a comprare l’oggetto del desiderio, e molto spesso intervengono anche gli psicologi per la costruzione delle pubblicità perché grazie a colori, suoni particolari, musiche, messaggi esclusivi si riesce a colpire il cliente. Quindi il potere della pubblicità è grande ed è necessario che sia usato con responsabilità e indirizzato verso il bene comune. In questo senso la intendeva anche il celebre presidente degli Stati Uniti, Franklin Delano Roosevelt, il quale il 15 giugno 1931, in un discorso all’Advertising Federation of America disse: «Se ricominciassi la mia vita, credo che preferirei lavorare in pubblicità che in qualsiasi altra professione. Perché la pubblicità è arrivata a coprire l’intera gamma delle esigenze umane; e unisce autentica fantasia allo studio profondo della psicologia umana. Poiché porta a un gran numero di persone la conoscenza di cose utili, la pubblicità è essenzialmente una forma di educazione... Il generale miglioramento delle condizioni di vita nelle civiltà moderne sarebbe stato impossibile senza quella conoscenza di livelli più elevati che è diffusa dalla pubblicità». La pubblicità però, come qualsiasi altra cosa, può essere usata male, cioè essere ingannevole, sleale e diseducativa specialmente nei confronti dei giovani, che sono attratti dal bello, dalla perfezione che viene rappresentata negli spot, come ad esempio il mondo fantastico, quasi surreale, presente in certe pubblicità di giochi, automobili, viaggi. Certo, l’uomo, come gli Antichi insegnano nella loro arte e letteratura, è attratto dal bello, e, in un certo senso, la pubblicità può essere una forma d’arte. Tuttavia, di fronte ad uno spot pubblicitario occorre saper distinguere quando una proposta d’acquisto è sleale o ingannevole. Francesca Brotto 109 Il Coro del Sacro Cuore Grandi eventi SABATO 25 OTTOBRE 2008 Bologna PalaDozza TE DEUM DI BERLIOZ DIRETTO DAL MAESTRO ABBADO 113 Il PalaDozza si prepara all’evento Roberto Benigni saluta il coro prima di eseguire “Pierino e il lupo” Il maestro Abbado dirige il Coro Foto di gruppo dei ragazzi del Sacro Cuore IL RACCONTO DEI PROTAGONISTI Ho cominciato quest’anno l’esperienza del Coro nella mia scuola e, a partire dalla fedeltà all’impegno del martedì pomeriggio, dopo le lezioni, mi sono ritrovato a vivere un’esperienza nuova e davvero grande per me. Non l’avrei mai immaginato! Le sorprese sono state tante ed io le ho vissute con entusiasmo una dopo l’altra. Ricordo il martedì in cui ho appreso la notizia dalla mia insegnante che eravamo stati selezionati… (…) Abbiamo incontrato musicisti professionisti, Benigni e il celebre direttore Claudio Abbado. Nelle ultime prove che abbiamo fatto con il maestro Claudio Abbado, ho capito che l’opera era grandiosa e i nostri interventi musicali erano preceduti dal coro degli adulti e dall’orchestra. C’era anche la Rai e ho avuto l’impressione di aver partecipato ad un avvenimento straordinario, emozionante che non dimenticherò mai. La musica è entrata nel mio cuore e non ne uscirà più; il Concerto del Te Deum si è impresso nella mia memoria e il tempo della mia vita non potranno cancellarne né la bellezza né la gioia che ho provato in questa indimenticabile esperienza. Matteo Aiutati dalla mia insegnante Chiara Rocculi, abbiamo eseguito numerose prove per arrivare ben preparati all’audizione. Il giorno del provino siamo andati a Bologna; eravamo tutti molto emozionati e preoccupati di sbagliare o di stonare e quindi non far parte del coro di voci bianche, ma per fortuna tutto è andato bene e noi siamo stati scelti. A questa notizia eravamo felicissimi, anche se sapevamo che dovevamo studiare con disciplina e duramente. Quando ho dato la notizia alla mia famiglia, mio padre, che è un musicista, è stato molto contento e mi ha suggerito di cogliere quell’occasione con serietà ed entusiasmo poiché non capita tutti i giorni di poter vivere un’esperienza simile! Sabrina Salimmo in fila indiana e a mano amano che il Paladozza svelava il suo aspetto, passo a passo, mi sentivo presa da una bellezza mozzafiato: tutti i riflettori puntati su di noi, un coro di seicento voci. Dopo mezz’ora circa arrivarono i musicisti con lo strumento saldo in mano e la tensione salì alle stelle; ecco apparire il Maestro Claudio Abbado da dietro la porta e, quando tutti si accorsero di lui, scoppiò un oceano gioioso di formato da onde di applausi e schiuma di grida. Il Maestro cominciò a muovere la sua bacchetta magica e gli strumenti presero naturalmente vita. Ad uno scatto della sua bacchetta il coro degli adulti cominciò a cantare: sembrava un coro di angeli. Silvia Rossi, la 116 nostra capo-coro, ci fece segno, con una lucina, di incominciare: il coro di seicento voci bianche cominciò a cantare. Cantare in un coro di seicento voci è stato molto emozionante, tutti eravamo concentratissimi sui piccoli segni che svolgeva la bacchetta magica di Abbado che per noi volevano dire molto. Quando vedevo che tutti gli archetti dell’orchestra andavano insieme, come se un burattinaio invisibile li facesse muovere tutti allo stesso tempo, mi veniva la pelle d’oca. Claudia Ho cantato con tutta la mia forza, tirando fuori da me tutte le emozioni: gioia, rabbia, spirito di gruppo, forza interiore. In un attimo mi sono passati davanti tutti i sacrifici che avevo fatto per arrivare fino a quel momento: le ore di prove a scuola, i lunghi e interminabili giorni di prove fatte a Bologna… Tutto per cantare con i miei amici e per la gioia di essere diretto da Claudio Abbado, un vero maestro di vita e non solo di orchestra. Gianluca Appena arrivati nel salone dove avremmo dovuto cantare, girai gli occhi in qua e in là e, accorgendomi dell’immensità della struttura, mi mancò il fiato. Tutto era gigantesco: il palco, le luci… e la quantità di sedie. Noi bambini che cantavamo eravamo seicento e occupavamo metà delle seggiole, quindi le proporzioni erano davvero enormi! L’orchestra era formata da dozzine e dozzine di musicisti che suonavano divinamente. (…) Il tempo passò velocissimo e, solo quando vennero consegnati i fiori alle insegnanti, mi accorsi che una lacrima di commozione stava scendendo lungo la mia guancia. Sì, io che avevo disprezzato quel posto per il suo calore e la poca ventilazione piangevo di commozione. Agnese Abbiamo conosciuto il famoso maestro Claudio Abbado. Mi hanno molto impressionato la sua bravura e professionalità; noi eravamo, in tutto, seicento elementi e lui ci ha guidato con semplicità e disinvoltura, ma anche con rigore e attenzione. È stata un’avventura faticosa e molto impegnativa, ma sicuramente unica e indimenticabile. Io mi sono divertita tantissimo e penso che solo tra qualche anno, ripensandoci, mi renderò conto della grande opportunità che ci è stata offerta: quella di vivere momenti unici con accanto a noi persone veramente speciali. Ilaria 117 Mi ha colpito tantissimo la bellezza dei movimenti del maestro Claudio Abbado nel dirigere noi e l’orchestra; a volte rimanevo incantata e solo la potenza delle seicento voci tutte insieme mi “svegliava”. Il concerto è stato molto appassionante e, secondo il giudizio dei nostri genitori, quasi “mozzafiato”. È stata un nuova esperienza, bellissima che mi ha richiesto tanta fatica e tanto impegno. Ho fatto di tutto per arrivare fino alla fine, fino a ciò che volevo per concludere questa esperienza stupenda e… ne è valsa totalmente la pena. Belluzzi 118 23 DICEMBRE 2008 Teatro Bonci - Cattedrale - Piazza del Popolo PRESEPE VIVENTE Il coro accompagna il quadro dell’Annunciazione davanti al Bonci La Benedizione finale del Vescovo 119 4 APRILE 2009 Cattedrale RECITAL DI PASQUA 120 Esecuzioni strumentali degli allievi del Conservatoio “B. Maderna” Flauto: Arpa: Violini: Nicoletta Sarti Daniele Belluco Angela Mazza Rita Forlivesi Violoncello: Sara D’Angelo Basso Continuo: Cesare Pezzi • • • • • • • • • • • • • • • • • Programma Musica: Pachelbel, Canone per flauto e arpa Canto: Dal profondo Lettura: da C. Peguy, Il mistero della carità di Giovanna d’Arco, “La più grande storia del mondo” Canto: Ojos de cielo Lettura: da C. Peguy, Il mistero della carità di Giovanna d’Arco “Era stato un buon figlio” Canto: My song is love unknown Lettura: da C. Peguy, Il mistero della carità di Giovanna d’Arco “Sua madre da tre giorni piangeva” Canto: Stabat mater Lettura, da Peguy, Il mistero della carità di Giovanna d’Arco “Maria piangeva” Canto: Sometimes I feel like a motherless child Dal Vangelo secondo Matteo “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” Musica: J. S. Bach - Trio Sonate in Sol maggiore BWV 1034 Lettura, dal vangelo secondo Matteo. 6Non è qui. È risorto, come aveva detto; Canto: Gaudete Canto: Toda la vida Lettura corale: da Peguy, Il mistero della carità di Giovanna d’Arco Canto: As the Deer / Hallelu-Hallelujah 121 I ragazzi raccontano l’esperienza Come è tradizione nella nostra scuola, anche quest’anno ci si è impegnati nel preparare e svolgere al meglio il recital di Pasqua. Le tre parti fondamentali che lo formavano erano i lettori, il coro recitante e il coro; io facevo parte di quest’ultimo. Sin da bambina ho un talento, una passione per il canto, e da sempre mi piace esprimermi tramite questo mezzo; per questo motivo ho deciso di prendere l’impegno di partecipare al coro della scuola, il coro che ha arricchito e approfondito le mie conoscenze. Abbiamo cominciato a impostare e preparare i canti da circa metà febbraio, per essere certi di arrivare all’atteso giorno pronti e sicuri… Il giorno del recital, il quattro aprile ero molto ansiosa, meno degli anni passati, poiché abituata, ma comunque felice. La chiesa era piena, silenziosa e dopo la breve introduzione della Preside abbiamo cominciato. Il coro era molto emozionato, con davanti la Rocculi che faceva di tutto per farlo sorridere; e come sempre ci riusciva... anche troppo. Le letture erano interrotte dai canti e dai brani preparati da alcuni ragazzi del conservatorio… Pian piano si avvicinava il tempo della canzone “Sometimes I feel”. Adoravo questa canzone, piena di sentimento e decisione. L’ultima lettura è quella che mi ha colpito maggiormente: due ragazzi di seconda annunciavano il dolore di Maria, alternandosi in parole ed emozioni, fino ad unirsi, come in un vortice. Le ultime canzoni sono state quelle più ritmate e piaciute e la fine si è conclusa con le parole del coro recitante e il bis della canzone “Toda la Vida”. Alla fine c’è stato un caloroso applauso, poi i ringraziamenti della Preside e del Vescovo. Anche quest’anno è passato, troppo velocemente; mi mancherà il coro..era diventato una famiglia, e io mi sentivo parte di essa. Miriam Anche quest’anno la scuola, in occasione della Pasqua, ha pensato di realizzare un recital insieme ai ragazzi e alle loro famiglie. Questa occasione è stato un altro momento di ritrovo, svolto soprattutto per far riflettere le persone sull’avvenimento che da lì a pochi giorni sarebbe avvenuto: la Pasqua. Per aiutare a fare ciò sono stati proposti testi letti da alcuni alunni e canti svolti dal coro della scuola. Io facevo parte del coro e questa è stata l’ultima partecipazione, che noi ragazzi di terza, abbiamo fatto in esso perché Pasqua è l’ultimo momento dell’anno in cui famiglie, alunni e professori si riuniscono e l’ultima occasione in cui il coro canta. Sinceramente a me è dispiaciuto molto che sia finito perché ci tenevo ed era anche un’occasione di stare insieme e di imparare a cantare divertendoci anche se a volte andavo alle prove svoglia124 ta o pensando che fosse noioso. Per questo recital ci siamo preparati moltissimo, lavorando duramente per tre lunghi mesi. Abbiamo imparato tanti nuovi canti e molti nuovi metodi per scaldare la voce. Tutto questo è avvenuto lavorando sodo, usando molte energie e avendo la pazienza di capire e sfumare e curare anche i più piccoli e minimi particolari come i finali delle canzoni oppure le varie voci che potevamo fare all’interno dei ritornelli. In questo non è mancato il divertimento da parte di tutti e mai ci siamo arresi neppure nei momenti difficili o quando vi erano problemi. Facendo molte prove alla fine è riuscito tutto al meglio, e di questo ne abbiamo avuto la prova non solo il giorno stesso della presentazione ma anche all’ultima prova, quella fatta in Duomo, la sera prima del grande giorno. È stata una serata lunghissima e molto faticosa: abbiamo cantato, stando in piedi, per due ore e mezza, facendo e rifacendo i brani più volte fino che la prof Rocculi non è stata soddisfatta. Finalmente il grande giorno: 4 Aprile 2009; il giorno che stavamo aspettando da tanto tempo stava arrivando, tutti eravamo pronti a dare il meglio di noi; impegnandoci e mettendo il cuore in quello che stavamo facendo. Noi del coro ci siamo recati in Duomo alla mattina presto per fare gli ultimi ritocchi e per curare le ultime imperfezioni. Alle ore 11 la chiesa ha cominciato a popolarsi e il tutto è iniziato con il discorso della preside, seguito dall’esibizione di alcuni studenti del conservatorio di Cesena che, in gruppo, hanno suonato alcuni brani. Tutto stava procedendo bene man mano che ci si stava avvicinando alla conclusione. La prof Rocculi era fiera di noi, noi orgogliosi e tutti eravamo sorpresi della bellezza e della passione in cui la comunità si stava avvolgendo. I canti e le letture sono state molto profonde. Alla fine c’è stato un lungo applauso grazie al quale il nostro cuore si è commosso, non con le lacrime, ma con l’anima; esso ci ha aiutati a capire cos’è stato per loro ciò che abbiamo creato e in qualche modo è come se ci avessero ringraziato. La sensazione che ho avuto è stata bellissima, ma non la so spiegare, è stata del tutto nuova anche per me. A mio parere è stato bellissimo, il più bello e coinvolgente tra i recital svolti. Mi attendevo molto meno perché non credevo che noi riuscissimo a svolgere un gesto così bello. Di ciò sono stata molto felice, ma mi dispiace molto che sia finito. Chiara Anche questo anno con la mia scuola, il 4 aprile, abbiamo organizzato un grande recital per celebrare insieme l’arrivo della Pasqua con canti e letture. Insieme ad altri 55 ragazzi circa facevo parte del coro; avevamo lavorato diverse ore puntando a grandi risultati. Ogni martedì e alcune volte il Giovedì, il coro, i musicisti e la prof Rocculi insieme 125 a Luigi( un direttorre d’orchestra che ci aiutava con i canti più complessi) e Mirella eravamo a scuola per lavorare al fine di uno spettacolo meraviglioso; ogni volta dovevo rimanere con una dozzina di ragazze fino alle 4 poichè lavoravamo a un canto con solo noi solisti. Questa esperienza con il coro, per noi di terza è stata l’ultima, me penso anche una delle più belle. Mi mancheranno molte cose, la prof Rocculi con la sua simpatia, i litigi e le sgridate per le sedie durante la prova, ma soprattutto, mi mancherà quella sensazione che ho provato anche quella mattina: quando la gente ti guarda con l’aspettativa di uno spettacolo che non vorrà dimenticare, e ti emozioni così tanto da sentire “le formiche nello stomaco” e il massimo che ti senti di fare è sorridere. Quella sensazione, quella mattina, si avvertì in ogni singola parte del mio corpo; eravamo in Duomo e il Vescovo si sedette al centro della chiesa tra le due file di panchine e ci guardava sorridente con il volto pieno di orgoglio. Sembrava che la gente non smettesse più di arrivare ed era difficile pensare che venisse per vedere noi. Dopo i primi cinque minuti la chiesa era piena, piena di gente venuta per noi, poi ecco il discorso della preside che segnò l’inizio dello spettacolo e di quella magnifica esperienza che si concluse con il bis di Toda la Vida, un brano che emette gioia dal primo momento. Da questa esperienza ho imparato che cantare è come pregare due volte e se lo si fa bene rende felice e orgoglioso non solo te ma anche chi ti ascolta. Giulia 126 “Sister Act” Teatro in lingua inglese 129 Viaggio in Baviera Il viaggio si è svolto nelle giornate del 10-11-12 settembre 2008 e ha visto la partecipazione degli alunni della sezione di tedesco (1B, 2B e 3B) accompagnati dal prof. Paolo Bragagni e dalla prof.ssa Lidia Dradi. Gli alunni hanno frequentato per 2 giorni lezioni in lingua tedesca presso la Scuola Sprachforum di Augsburg (Augusta) dove hanno respirato un’atmosfera decisamente internazionale. La visita del fiabesco castello di Neuschwanstein, la città romana di Augusta, il dinamico capoluogo bavarese Monaco con l’elegante residenza di Nymphenburg, la vivace piazza Marienplatz con il carillon, l’antica birreria Hofbräuhaus e il mirabolante stadio Allianz Arena e la pittoresca città tirolese di Innsbruck insieme alla vicina fabbrica di Swarovski contornata dalle Alpi, sono state le principali mete turistiche toccate durante il viaggio. Veduta del castello di Neuschwanstein immortalato dalla Walt Disney nei suoi cartoni animati 139 Scorcio del castello dal ponte sospeso La fontana di Augusto nel centro della meravigliosa città di Augusta fondata dall’imperatore romano La Torre del Municipio, la Perlach Turm, consta di 285 gradini per raggiungere la sommità e assistere allo spettacolo delle campane L’affascinante primo piano del castello di Nymphenburg ricco di sconfinati prati verdi Il quartier generale della BMW, la casa automobilistica tedesca con sede a Monaco Il Neues Rathaus mit Glockenspiel: la svettante torre gotica del Municipio di Monaco impreziosito dal favoloso carillon Die Teufelsspur : L’impronta del diavolo all’interno del Duomo di Monaco intorno alla quale aleggia un alone di mistero e leggenda L’interno della famosa birreria Hofbräuhaus tra assaggi di gustosa birra e abbuffate di Brezen, il tipico pane monacense A scuola di tedesco: allo Sprachforum insieme al mitico professore Hansjörg Un magnifico vialetto all’interno della Fuggerei, l’insediamento sociale più antico al mondo, e le casette lillipuziane incorniciate da bellissime piante di edera Foto di gruppo all’interno della Fuggerei Lo splendido stadio di Monaco, l’Allianz Arena, dalle magiche luci: bianco e rosso con la squadra di serie A, il Bayern München, bianco e blu con la squadra di serie B, il TSV 1860, tutto bianco con la nazionale tedesca. L’ingresso allo show-room di Swarovski: da una collinetta spunta una scultura di foglie con due occhi di cristallo e una bocca da cui sgorga l’acqua per una scenografia da mille e una notte Il centro storico di Innsbruck è un tripudio di insegne e affreschi molto pittoreschi Irresistibili delizie al Café Sacher in un’atmosfera d’altri tempi I RAGAZZI RACCONTANO L’ESPERIENZA Andando alla Fuggerei, l’insediamento sociale più antico al mondo, abbiamo potuto ammirare la bravura dell’uomo che l’ha realizzata, Jakob Fugger, il quale nella progettazione ha pensato unicamente ai poveri chiedendo un affitto simbolico di 0,88 centesimi al mese e 3 preghiere al giorno alla sua memoria. Inoltre, queste casette lillipuziane hanno la particolarità di avere un campanello differente per facilitare il rientro notturno a casa in assenza di illuminazione pubblica. Quando ci siamo recati presso queste casette ci siamo divertiti a suonare i campanelli e a disturbare scherzosamente la gente. Queste case nonostante costino poco hanno tutto il necessario e qualunque bisognoso può andarci a vivere a condizione che sia nato ad Augusta. Alberto Durante la nostra gita scolastica attraverso l’Austria una cosa che mi ha colpito molto è stato il complesso di Swarovski costruito sulla sommità di una collina. All’interno si possono trovare molti tipi di oggetti, tutti però rigorosamente in cristallo Swarovski. Fuori del museo si estende un immenso giardino verde ben curato dove abbiamo giocato a rincorrerci. Peccato che siamo dovuti partire in fretta. Valerio Durante la gita in Germania mi ha colpito particolarmente il castello di Neuschwanstein all’interno del quale ho visto numerose sale decorate con il simbolo del cigno, l’ animale prediletto del principe, e ho capito il significato del nome del castello (Il Nuovo Castello della Pietra del Cigno). Inoltre mi è piaciuto giocare nel parco del castello di Nymphenburg, a Monaco, dove ci siamo divertiti ma abbiamo rischiato una multa perché il parco è un ambiente non riservato ai giochi di gruppo. Riccardo Consalici La cosa che mi ha colpito di più della gita in Germania è stato andare sul campanile che sovrastava la piazza di Augusta e il momento più emozionante è stato quando hanno incominciato a suonare le campane. Tutti ci siamo protetti le orecchie perché le campane erano sulla nostra testa e tutti siamo scesi un po’ storditi dal campanile a causa del suono molto forte. L’altra cosa che mi è piaciuta è stata l’imponente chiesa di Monaco dove si trova la famosa impronta del diavolo e quello che mi 146 ha colpito è stato che il piede del prof. Bragagni calzava perfettamente con quell’impronta! (…della serie I nuovi diavoli!) Simone Della gita fatta in Germania e in Austria con la mia classe e il prof. Bragagni mi sono piaciuti il negozio di Swarosvki con i suoi gioielli brillanti e a Monaco, la magnifica Marienplatz con il carillon del palazzo comunale. Un’altra visita molto interessante è stata anche la chiesa a Monaco della Frauenkirche dove c’era l’impronta del diavolo. Benedetta La cosa che mi è piaciuta di più è stato il castello di Neuschwanstein, in particolare il ponte panoramico sulla cascata dietro il castello e gli arredi sfarzosi dell’interno dove risiedeva il re Ludwig. Giacomo Durante la vacanza con la classe di tedesco siamo andati a Innsbruck e poi a Monaco. Durante la prima tappa ci siamo fermati a visitare il castello di Neuschwanstein. Questa è stata la mia tappa preferita. Mi hanno colpito soprattutto tutte le belle stanze del castello e gli intricati corridoi. In particolare era bellissima la camera del re Ludwig. Davvero splendida. Agnese Di tutta la gita in Germania, la cosa che mi ha divertita e affascinata di più è stata la torre Perlach nel centro della città di Augusta. Prima di salire in cima abbiamo dovuto percorrere 285 scalini a chiocciola. Arrivati in cima le campane hanno iniziato a suonare producendo un rumore assordante: da lassù si poteva vedere tutto il paesaggio. Rebecca La cosa che mi è piaciuta di più in questa gita stupenda in Germania è stato il palazzo comunale di Monaco nella piazza Marienplatz, il salotto della città, gremita di gente in attesa di vedere il carillon che si aziona tre volte al giorno e che ricorda il matrimonio tra il Duca Guglielmo V con la Principessa Renate di Lorena e la danza dei bottai che segna il ritorno della città alla normalità dopo la peste del 1515-17. Tommaso Questa gita mi ha entusiasmato particolarmente in quanto era tutto l’anno che aspettavo quel momento e gli studenti degli anni preceden- 147 ti me ne avevano parlato molto bene. In questa nuova esperienza ho potuto conoscere le tradizioni e le abitudini di un nuovo stato ammirando splendidi monumenti antichi come Neuschwanstein o più recenti come l’Allianz Arena Stadion, lo stadio dove gioca il Bayern München. La cosa che ho apprezzato di più è stata la compagnia dei miei amici con cui mi sono potuto confrontare e mi sono divertito molto. Inoltre la loro compagnia mi è servita molto perché questo viaggio per me non sarebbe stato così bello come è stato poiché non c’è vacanza senza amici e per me gli amici sono come l’acqua e il calcio. Senza non potrei vivere. Alberto Della gita fatta in Germania con la mia classe e il prof. Bragagni mi sono piaciute due cose: la chiesa della Frauenkirche dove è riprodotta l’impronta del diavolo e anche la Marienplatz dove siamo rimasti tutti a testa alta e con le orecchie aperte per ascoltare il carillon della piazza. Rita A Monaco siamo anche andati nella famosa birreria HB Hofbräuhaus e abbiamo mangiato Brezen e assaggiato la birra da un boccale gigante e nello stesso quartiere abbiamo comprato la bandiera del Bayern München, appesa ora nella nostra aula di tedesco. ...All’interno del Duomo si dice che il diavolo abbia impresso una impronta perché l’architetto l’aveva invitato a scorgere almeno una delle 66 finestre presenti nella chiesa ma dalla posizione in cui si era fermato il diavolo non scorse nessuna finestra. Irritato per aver perso la scommessa fatta con l’architetto saltò e lasciò un’impronta. Oggi si dice che quella persona la cui impronta calza perfettamente potrebbe essere il diavolo tornato per vendicarsi. Riccardo Mi è piaciuta molto l’atmosfera all’interno del caffè Sacher a Innsbruck dove abbiamo assaggiato le celebri torte Sacher e lo strudel: il locale era molto elegante, con divanetti, poltroncine e sedie in velluto e tavoli antichi in legno. Sembrava di essere tornati all’epoca di Sissi! Marco 148 Foto di classe 1A 1B 2A 2B 3A 3B INDICE Introduzione “La parola scritta accende la fantasia e illumina l’interiorità” (Laboratorio di scrittura classi Prime) “Alla ricerca del tesoro” Diario di un anno (Classi Seconde) Lo scandaglio della parola (Laboratorio di scrittura classi Terze) Il campionato di giornalismo de “Il Resto del Carlino” Il Coro del Sacro Cuore Grandi eventi p. 3 5 37 75 99 111 “Sister Act” Teatro in lingua inglese 127 Foto di classe 149 Viaggio in Baviera 137 155 Finito di stampare nella Stilgraf di Cesena nel mese di giugno 2009