FONDAZIONE DEL SACRO CUORE
CESENA
SCUOLA SECONDARIA
DI PRIMO GRADO
Quaderno del 2008/2009
INTRODUZIONE
“… Quando trovo
in questo mio silenzio
una parola
scavata è nella mia vita
come un abisso”.
(G. UNGARETTI)
È la parola dei ragazzi a dar vita a questo libretto in cui è condensata la storia di un anno denso di esperienze significative, che hanno
acceso le aule scolastiche e gli spazi in cui la scuola si è dilatata.
Generosi nel rispondere alle proposte degli insegnanti, anche quando apparivano impegnative, i ragazzi della scuola media hanno scandagliato con la loro scrittura le diverse tappe vissute insieme, cercando
di farne emergere i contorni ed il riverbero interiore che ne è scaturito.
Nei testi di carattere ora fantastico, ora realistico, ora diaristico noi
sentiamo vibrare le loro scoperte e le loro domande, ammirati dalla
serietà con cui si sono messi alla prova nella scrittura, percependone la
forza conoscitiva e comunicativa.
Se, come ha affermato con energia Benedetto XVI, “sarebbe una
ben povera educazione quella che si limitasse a dare delle nozioni e
delle informazioni, ma lasciasse da parte la grande domanda riguardo
alla verità, soprattutto a quella verità che può essere di guida nella
vita”, ci conforta percepire che, seppure immersi in un contesto che
continuamente li sollecita alla dispersione, i nostri alunni si sono dimostrati in molteplici occasioni capaci di andare a fondo delle tematiche e
delle esperienze proposte.
Si legge in una delle testimonianza dei ragazzi del Coro che hanno
partecipato al grande evento del Te Deum diretto dal Maestro Abbado:
“Ho cantato con tutta la mia forza, tirando fuori da me tutte le emozioni: gioia, rabbia, spirito di gruppo, forza interiore”. Vorremmo che,
crescendo in consapevolezza, essi potessero vivere con questa intensità
ogni giorno di scuola.
la preside
Paola Ombretta Sternini
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“La parola scritta
accende la fantasia
e illumina l’interiorità”
(Laboratorio di scrittura classi Prime)
“La scrittura non è magia ma, evidentemente, può diventare la porta
d’ingresso per quel mondo che sta nascosto dentro di noi. La parola
scritta ha la forza di accendere la fantasia e illuminare l’interiorità”.
Aharon Appelfield
LA FIABA
In relazione alla fiaba “L’acqua della vita” prova ad immedesimarti nel principe e immagina di provare i suoi sentimenti mentre si
trova nel bosco, cacciato dal padre e dai fratelli
Sono il fratello minore della famiglia reale. In questo momento sto
indossando i rozzi abiti di un cacciatore dall’anima nobile, il quale in
cambio dei miei vestiti non ha eseguito l’ordine del re di uccidermi e
mi ha risparmiato. Seduto su una pietra umida coperta di muschio, sto
ripensando amaramente alla mia ingenuità che mi è costatata molto. Il
mio intento di aiutare dapprima mio padre, poi la principessa ed infine
i sovrani dei tre regni è stato vano, poiché i miei fratelli hanno usurpato con l’inganno il trono che spettava a me, anche se di questo più di
tanto non mi importa, e hanno conquistato piena fiducia da parte del re.
Ripenso con sdegno a quando incontrai per la seconda volta il nano;
ricordo con precisione quel che mi disse: “I tuoi fratelli sono rinchiusi
tra due monti, ma guardatene! Hanno il cuore malvagio”! Ma io … Io
non ascoltai il suo saggio consiglio, ed ora mi ritrovo qua, tra rovi spi7
nosi e misteriosi fruscii. Neppure la mia amata mi darà conforto: tra
qualche mese uno dei miei fratelli la sposerà, soltanto per avere il suo
regno.
Rimbombano nella mia mente chiare e forti le sagge parole del
nano, come se volessero uscire dalla mia testa rischiando di farmi
impazzire.
Cerco di rimettere in ordine i fatti e i pensieri, di reprimere l’idea
di essere perduto. E ancora rivedo confusamente le imprese compiute,
risento le parole dolci come miele pronunciate dalla mia incantevole
fidanzata, la principessa, seguite dalla maligna risata dei miei fratelli
maggiori e odo la frase: “Tu hai trovato l’acqua della vita, ma la fatica
è stata tua e il premio è nostro; avresti dovuto essere più furbo e tenere gli occhi aperti”…
Forse… sì, avrei dovuto essere più furbo e tenere gli occhi aperti.
Poi ripenso alle fiabe che le balie mi raccontavano quand’ero fanciullo: tutte avevano un finale perfetto. Anche la mia storia potrà averlo?
Guardo tra i cespugli spinosi e intravedo una rosa sbocciata. E mi convinco a non perdere la speranza.
Cecilia
Nella fiaba “I cigni selvatici” Elisa, la protagonista, affronta un
grande sacrificio per liberare dall’incantesimo i suoi fratelli. A te è
mai capitato di dover sostenere un sacrificio per realizzare un tuo
desiderio? Racconta.
Fin da piccolo ho coltivato la passione per il pianoforte.
Ho cominciato la mia “carriera” di musicista in erba studiando al
Corelli quando avevo sette anni. Dopo tre anni di studio, finito il corso
di pianoforte sperimentale, ho maturato il desiderio di iscrivermi al
Conservatorio per approfondire gli studi. Ma per entrare al Conservatorio occorre superare un esame di ammissione molto impegnativo, essendo i posti in numero ridotto. Per questo ho iniziato alcuni
mesi prima a preparare un mini concerto formato da due studi di
Burgmuller e di Berkovic, una Polacca di Chopin e alcune scale maggiori e minori.
Tenevo molto a quell’esame. La mia insegnante, di settimana in settimana, mi correggeva i pezzi e per me perfezionarli è stata una cosa
molto faticosa.
Già da alcune settimane studiavo più di due ore al giorno e vi mettevo tutto il mio impegno tanto che a volte mi fumava il cervello.
Ho concentrato la maggior parte del tempo sulla Polacca di Chopin:
prima ho studiato le diverse posizioni della mano, i rivolti e le diteggiature, in seguito ho perfezionato le dinamiche, gli staccati, i legati, le
acciaccature.
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Ormai mancavano meno di venti ore al grande giorno, ero tesissimo e avevo una gran paura. Mi alzai alle otto e trenta, ma ero già sveglio da un po’, mi vestii con calma, mi sistemai e alle nove e quindici
partii con i miei genitori in macchina per Ravenna diretto al Conservatorio G. Verdi.
Entrai dentro la scuola e nell’atrio regnava un silenzio tombale.
Insieme a me c’erano altri ragazzini di due o tre anni più grandi, loro si
scambiavano i programmi d’esame perché si conoscevano. Io tremavo
come una foglia al vento e mi veniva da piangere.
Ad un certo punto la bidella ci accompagnò al piano di sopra dove
ci sedemmo ad aspettare il nostro turno. Fui il secondo a sostenere
l’esame. Entrai dentro l’aula, mi presentai alle tre professoresse, mi
sedetti al pianoforte, presi concentrazione e incominciai a suonare. Le
mani all’inizio tremavano, ma andando avanti prendevano sicurezza e
nonostante tutto non sbagliai nessuna nota. La professoressa, che oggi
è la mia insegnante, mi fece alcune domande. Dopo cinque minuti uscii
dalla stanza e corsi al piano inferiore dove i miei genitori mi stavano
aspettando.
Ero contentissimo perché pensavo di aver suonato bene e di non
aver fatto errori.
Appena arrivai di sotto chiamai al telefono la mia insegnante
Sabrina che abita a Pieve di Cento, piccola città ad alcuni chilometri da
Bologna. Lei fu contentissima e mi fece i complimenti.
Dopo due mesi di pieno rilassamento arrivò a casa una lettera del
Conservatorio nella quale era stampata la graduatoria. Io aprii la busta
ad occhi chiusi, tirai fuori il foglio e… “Sìììììììììì!” urlai a squarciagola e saltai sul letto. Ero stato ammesso: neanche i miei genitori ci credevano.
Ero felicissimo, stavo esplodendo dalla contentezza.
E ora studio qui, al Conservatorio, con un’insegnante molto brava
che si chiama Maria Francesca.
Chissà, forse diventerò un grande pianista!?!
Tommaso
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Nelle ultime fiabe d’autore lette: “Il brutto anatroccolo” e “I
cigni selvatici”, compare la descrizione del personaggio che rispecchia l’anima del protagonista…
Anche a me quella volta è accaduto che, guardandomi intorno,
ho scoperto che il paesaggio rispecchiava perfettamente quello che
avevo dentro il cuore.
Una domenica di fine ottobre sono andato con la mia famiglia e
alcuni amici a raccogliere castagne in montagna. Partendo dalla città,
durante il tragitto, vedevo che il paesaggio cambiava continuamente,
ma, alcuni chilometri prima dell’arrivo, tutto intorno a noi era davvero
affascinante. Stavamo percorrendo una strada stretta e tortuosa che
girava intorno ad alte montagne. Ai lati della strada riuscivo a scorgere profondi dirupi coperti da una fitta boscaglia di altissimi e snelli
alberi dai caldi colori autunnali. Quando siamo arrivati ad uno spiazzo
soleggiato abbiamo lasciato le auto e, finalmente, ci siamo inoltrati nei
boschi.
Gli alberi qui erano diversi: i tronchi erano molto robusti e più tozzi
e la chioma era larga. Per abbracciarne uno solo occorrevano almeno
due persone. I rami erano nascosti sotto foglie dai colori molto suggestivi ed il terreno era ricoperto da un bellissimo “tappeto” tra il marrone chiaro, il rosso, l’arancio e il giallo. Qua e là si scorgevano piccole
famiglie di funghi selvatici. Sui castagni, ma soprattutto in terra,
c’erano moltissimi ricci aperti dai quali fuoriuscivano grosse castagne
dalla buccia lucida. Guardando verso l’alto vidi che il fitto fogliame
formava una sorta di soffitto che, di tanto in tanto, lasciava spazio a
qualche pezzetto di cielo azzurro e luminoso! C’era un gran silenzio,
interrotto solamente dal cinguettio di qualche uccellino e dal leggero
tonfo dei ricci che ogni tanto cadevano dai rami.
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Ad un tratto ho fatto un simpatico incontro: con le zampette posteriori appoggiate sul ramo di un grande castagno, c’era un piccolo, allegro e divertente scoiattolino che, disturbato dalla mia presenza, è scappato via balzando da un ramo a un altro e agitando la sua folta coda.
Sentivo un odore di foglie e muschio verde. Mi sentivo sereno e
rilassato, come mai prima di allora, perfettamente a mio agio. Era come
se io fossi sempre stato là… e avevo tanta voglia di scoprire quei posti
che sentivo così familiari…
Le foglie intorno a me danzavano col vento e si appoggiavano dolcemente a terra come per riposare.
Più ci inoltravamo nel boschetto più mi riempivo di stupore.
Ad un certo punto ho sentito uno strano rumore che assomigliava al
gorgoglio dell’acqua e, attratto da quel suono, ho raggiunto un ruscello. L’ho accompagnato, per un tratto, nel suo percorso tortuoso dove
incontrava massi ricoperti di verde muschio che superava formando
piccole cascate.
L’acqua era limpida e il riflesso della mia immagine appariva come
in uno specchio magico.
Sulle sponde crescevano alberi dalle grandi foglie ma anche felci…
Ancora oggi il ricordo di quel bosco mi suscita una indescrivibile
sensazione di tranquillità e pace.
Alessandro
Come nella fiaba “Il brutto anatroccolo” e “I cigni selvatici”, l’estate scorsa ho scoperto un paesaggio che rispecchiava perfettamente
quello che avevo nel cuore.
Ero in vacanza da quasi due mesi e mi sentivo tranquilla, riposata;
potevo dormire a lungo e godermi le giornate giocando con gli amici.
In quei giorni abbiamo deciso di partire per il Gargano, anche se io non
ero soddisfatta perché partivamo da soli e non avrei avuto un amico con
cui giocare per tutta la settimana. Una volta arrivati però sono rimasta
stupita perché il residence era bellissimo: era una villa e noi potevamo
girare per tutto il giardino e rilassarci nel nostro appartamento.
Eravamo in collina e quindi in lontananza si vedevano il mare e la
città.
La notte c’era un gran silenzio, disturbato solo dal canto delle cicale.
Il giorno dopo siamo andati in spiaggia e lì lo stupore è aumentato
perché la spiaggia era molto lunga e larga e la gente era poca, il mare
era limpidissimo, come da noi non si vede mai.
Io, che non amo molto l’acqua, mi sono subito sentita attratta da
quella distesa azzurra e ho cominciato ad avere voglia di fare tanti
bagni. Quando entravo in acqua mi sembrava che una coperta soffice
mi avvolgesse, mi stendevo a pancia in su come sopra a un letto, chiu11
devo gli occhi e galleggiavo; non pensavo a niente, mi godevo quella
tranquillità e mi sembrava di essere in pace con tutto.
Questo clima di assoluto relax si manifestava anche alla sera quando andavamo a cena senza un orario preciso e decidevamo ogni volta
un pasto diverso. Dopo cena mangiavamo il gelato e facevamo una passeggiata per le viuzze piene di negozi di Vieste. Prima di andare a letto
ci sedevamo su uno sdraio nel portichetto davanti al nostro appartamento ad ammirare Vieste dall’alto tutta illuminata, con una musica in
sottofondo: la cantilena delle cicale. Quando sono ritornata a casa ero
molto felice, perché non mi era mai capitato di trovare un paesaggio
così confacente a me e ho proposto ai miei genitori di ritornarvi il prossimo anno.
Silvia
IL RACCONTO FANTASTICO
Immagina di essere Bilbo Baggins e racconta in prima persona la
partenza dall’Ultima Casa Accogliente, la salita su per le montagne
in mezzo alla tempesta, fino al momento dell’entrata nella grotta.
Il mio nome è Bilbo Baggins. Ho lasciato insieme ai nani da lunghi
giorni l’Ultima Casa Accogliente, dove mi sono trovato molto bene. Gli
elfi ed Elrond sono stati gentili con noi e mi è dispiaciuto abbandona12
re quella casa comoda e confortevole. Ho intrapreso una strada lunga e
pericolosa e adesso mi ritrovo qui, a salire un sentiero tortuoso e solitario su per queste montagne. Penso al mio paese e alla mia caverna
hobbit, lontano lontano, dove tutto è azzurro e tranquillo e ho
un’improvvisa voglia di essere là. Il freddo sta diventando sempre più
intenso e il vento soffia fra le rocce. Ogni tanto grossi macigni precipitano giù dalla montagna e passano in mezzo a noi e sopra di noi: che
paura! Siamo fortunati che finora nessuno è finito sotto ad un masso
rimanendo schiacciato. Nonostante questo continuiamo il nostro cammino, ma è molto dura: le notti sono scomode e gelide e i nani non cantano più, anzi parlano poco, perché sembra che il silenzio non voglia
essere rotto. Là sotto è estate e si falcia il fieno e si fanno pic-nic, si fa
la mietitura e se continuiamo di questo passo, ci perderemo tutto ciò.
Quando abbiamo lasciato Elrond, eravamo felici e parlavamo gioiosamente di superare le montagne e di attraversare le terre al di là di esse,
ma adesso siamo tutti assorti nei nostri pensieri e andiamo avanti a testa
bassa. Sono passati tanti giorni e sebbene i pericoli siano tanti, non ci
è ancora successo niente di grave. Ma adesso… sta iniziando a tuonare e arriverà di certo un temporale! Una tempesta violenta può essere
pericolosa in pianura o vicino ad un fiume e questa è sicuramente una
tempesta molto violenta. Ci sono tuoni, fulmini, pioggia, vento e luci
improvvise. Non ho mai visto una cosa simile. Ora sono in alto, in una
strettoia: ci siamo riparati qui per la notte, sotto una roccia sporgente.
Sono avvolto in una coperta e tremo dalla testa ai piedi e guardo fuori.
Vedo, dall’altra parte della valle, giganti di pietra che giocano a tirarsi
enormi macigni che poi cadono più in basso. Inizia a grandinare e il
vento spinge la pioggia e la grandine contro di noi. Siamo bagnati fradici e i nostri pony nitriscono per la paura. Posso udire i giganti che
urlano e ridono rumorosamente. “Qui non va bene per niente” dice
Thorin ed io sono d’accordo con lui; quanto darei per essere a casa al
caldo! Gandalf e Thorin sono di cattivo umore e, dopo una disputa,
decidono di mandare Kili e Fili a cercare un rifugio migliore. So che
succederà qualcosa… Kili e Fili sono già tornati e dicono di aver trovato una grotta asciutta. Gandalf chiede ciò che non osavo chiedere:
“L’avete esplorata molto accuratamente e coscienziosamente?”. I due
rispondono di sì, ma non mi convincono perché si sono assentati veramente per poco. Comunque decidiamo di seguirli. Prendiamo i nostri
pony e i nostri bagagli e partiamo. La grotta non è molto lontana, hanno
detto, e siamo quasi arrivati. Eccola! Passiamo dietro una grossa roccia
e troviamo un passaggio, dove facciamo entrare i pony e i bagagli con
un po’ di fatica. Dentro è asciutto ed è bello udire il vento e la pioggia
al di fuori. Esploriamo la grotta e mi sento già più sicuro, perché sem13
bra che non ci siano pericoli. È una stanza ampia (ora si vede bene grazie al bastone di Gandalf), ma non troppo vasta. C’è posto per noi e per
i pony. Oin e Gloin vogliono accendere un fuoco per asciugare gli indumenti fradici: bellissima idea! Ma Gandalf non vuole. Pazienza, almeno possiamo cambiarci e spargere gli abiti bagnati per terra. Inizio a
dimenticare la pioggia e la tempesta e sembra che anche gli altri si inizino a rilassare. Facciamo anelli di fumo, parliamo, parliamo e parliamo ancora. Discutiamo perfino del tesoro che forse otterremo. E così ci
addormentiamo, stanchi, affaticati, ma con qualche speranza!
Teresa
Affrontando la lettura del romanzo “Lo Hobbit” hai incontrato
un personaggio nuovo: Bilbo Baggins. Presenta l’aspetto di Bilbo, la
sua casa, le sue abitudini, il suo carattere e come avviene il suo coinvolgimento nell’avventura con un compito ben preciso. Infine metti
in evidenza ciò che più ti ha colpito del suo personaggio.
Leggendo il meraviglioso romanzo “Lo Hobbit” ho avuto modo di
conoscere un simpatico personaggio: Bilbo Baggins, uno hobbit. Gli
hobbit sono esserini molto bassi, con un leggero vello sui piedi, che
non sono in grado di compiere grandi magie, se non quella di scomparire in un attimo quando Gente Grossa (così ci chiamano) come noi si
avvicina facendo il rumore di un elefante. Quasi tutti gli hobbit amano
la vita abitudinaria, tranquilla e senza imprevisti, tutti tranne la famiglia dei Tuc, di cui Bilbo è discendente. Infatti, bisogna sapere che
Bilbo è figlio di un Baggins e di una Tuc, precisamente di Belladonna
Tuc, nipote di un eroe che sconfisse gli orchi nei tempi più antichi.
Bilbo, come vedremo in tutta la storia, presenta due aspetti: quello
Baggins, che ama la quiete, e quello Tuc, voglioso di vivere grandi
avventure. Questi due aspetti che, sono in continua lotta tra loro, determinano la maggior parte degli eventi.
Bilbo vive a Hobbitopoli, la contea degli Hobbit, un luogo verde e
allegro che si articola sul fianco di una collina, da sempre chiamata: “La
Collina” (evidentemente la gente del luogo non aveva molta fantasia!).
La sua dimora è una caverna, non una caverna fredda, sporca e
umida, bensì una caverna – hobbit, dotata di ogni tipo di comodità. La
sua casa è la più bella e la più grande di tutta la collina. Porte e finestre
sono rotonde, l’entrata è spaziosa, e procedendo verso l’interno si attraversa un grande corridoio, sul quale si affacciano molte porte che conducono a delle stanze. Tutte le pareti sono ricoperte di legno, e nella
spaziosa cucina si può trovare qualsiasi tipo di cibo!
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Lo hobbit ama fare lunghe passeggiate, fumare la pipa, mangiare, e
infine ricevere visite.
La sua vita procedeva così tranquilla fino a quando non arrivò
Gandalf. Gandalf era uno stregone cacciatore di avventure. Molti erano
stati convinti da lui ad abbandonare la propria casa e la propria famiglia
per partire per grandi avventure, ma di questi si era persa la traccia.
Quel giorno era venuto per Bilbo, ma non ottenne grandi risultati
(infatti non riuscì a convincerlo). Pensò quindi di fargli uno “scherzetto”. Fece un segno sulla sua porta e in men che non si dica Bilbo si
ritrovò la casa invasa da dodici nani affamati che la misero completamente in disordine. Gandalf infatti aveva segnato sulla porta del povero
hobbit un simbolo che significava “scassinatore cerca lavoro” e quei terribili nani erano pronti per riconquistare il grande tesoro che era stato
rubato ai loro antenati da un drago di nome Smog, e per recuperarlo avevano bisogno di uno scassinatore. Bilbo faceva quindi al caso loro.
Dopo aver a lungo parlato con i nani, e dopo aver sentito cantare
Thorin, il loro capo, si accese in Bilbo l’amore per le cose belle fatte
con le proprie mani, la voglia di impugnare la spada anziché il bastone, il desiderio dell’avventura. Decise perciò di intraprendere quel
viaggio, di arrivare da Smog alla Montagna Solitaria e di aiutare i nani
a riprendersi ciò che era loro!
Carlo
Durante il suo viaggio in cui incontra orchi e creature malvagie,
Bilbo riesce sempre ad affrontarle con abilità, forza d’animo e anche
con un pizzico di astuzia e fortuna. Questo mi insegna che nella vita
bisogna affrontare le varie difficoltà e avversità come fa Bilbo, senza
tirarsi mai indietro.
Gianmarco
Ciò che mi ha colpito particolarmente di questo personaggio è proprio la continua tensione tra i due aspetti della sua personalità, ovvero
il lato tranquillo e sedentario che non ama gli imprevisti, e l’aspetto
avventuroso, forse perché riconosco anche in me questo duplice aspetto: momenti in cui mi assale la pigrizia e altri invece in cui predomina
la voglia di fare. Ritrovo la tensione dei contrapposti, anche in tanti
altri aspetti della vita: come per esempio il buono e il cattivo, la luce e
il buio, la gioventù e la vecchiaia…
Matteo Giovanni
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Mi affascina molto questo personaggio che ha in sé due aspetti
caratteriali così contrapposti, quello Tuc e quello Baggins, che lo rendono davvero insolito e speciale. Se fosse stato tutto Baggins forse
sarebbe stato troppo monotono, così pure, se fosse stato tutto Tuc,
sarebbe apparso troppo “ folle e fantasioso”. Invece così com’è lo trovo
rassicurante ed eccitante allo stesso tempo.
Alessandro
Quello che mi ha colpito di più di questo personaggio è il suo fare
calmo e pacato, la sua disponibilità e la sua prudenza, ma anche la sua
ingenuità e la sua goffaggine.
Spesso si mette nei guai, però quando è in pericolo non perde la
testa e cerca una soluzione. Si dimostra forte e fragile allo stesso
tempo. Nel romanzo è il mio personaggio preferito.
Filippo
Prova a immedesimarti in Bilbo mentre attraversa l’oscura foresta di Bosco Atro. Descrivi l’ambiente e immagina i tuoi sentimenti.
Io e i nani siamo appena entrati in Bosco Atro e camminiamo tutti
in fila indiana. L’inizio di un sentiero porta in un tunnel tetro fatto di
due grandi alberi i cui rami coperti da muschio ed edera, sono intrecciati come le viscere all’interno del mio stomaco che mi fanno star
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male. Il sentiero è stretto, lugubre e serpeggia fra le migliaia di alberi;
ciò che mi angoscia di più è il silenzio profondo: solo i nostri passi
risuonano nel terreno e la natura ostile sembra ascoltarci e osservarci.
Senza la presenza di Gandalf non ci sentiamo per niente al sicuro e
il mio cuore soffre di tristezza e malinconia. La luce del sole raramente riesce a passare tra i rami perciò ci siamo abituati alla penombra. Qua
e là si possono vedere gli occhi indiscreti di molti scoiattoli che velocissimi scappano dal sentiero e corrono via a nascondersi. Ciò che mi
fa raggelare il sangue sono gli strani rumori provenienti dal sottobosco
che non riesco a identificare. Più si va avanti, più Bosco Atro diventa
scuro, afoso e tetro.
Ora ci troviamo avvolti da ragnatele scure, robuste, che calano da
un ramo all’altro. Mentre tento di passare velocemente, esse cercano di
avvolgere il mio corpo: questa sensazione mi dà ribrezzo. Che posto
orribile! Qui dentro mi sembera di soffocare e, pure i nani che sono abituati a vivere nel tunnel, sentono il desiderio di vedere almeno un po’
di cielo, un po’ di luce. La notte qui è davvero tremenda. Mentre faccio la guardia vedo occhi enormi che lentamente svaniscono per lasciare il posto ad altri occhi più o meno grandi: tremo come una foglia!
In questi momenti mi piacerebbe essere nella mia caverna hobbit,
sulla mia poltrona davanti al camino acceso a fumare la mia pipa e con
essa fare anelli di fumo. Questo pensiero mi sostiene per passare la
notte, nonostante il tormento di migliaia di falene e di terribili pipistrelli. Il tempo passa lentamente e questo cammino sembra non finire
mai. La fame e la sete ci accompagnano ed io a volte mi sento mancare, le mie forze sembrano svanire.
Ma ecco che finalmente il sentiero viene interrotto da un corso
d’acqua che sappiamo però essere stregato. Così pensiamo subito a
come oltrepassarlo. Incomincio a farmi forza e a reagire, finchè vedo
una barca attraccata all’altra riva, grazie ad essa un po’ alla volta attraversiamo il corso d’acqua.
In questo modo tutti siamo al sicuro sull’altra sponda del fiume
incantato e finalmente, dopo tanta ansia, paura, sofferenza, il mio cuore
si sente leggero e pieno di speranza.
Gianmarco
Il romanzo “Il principe Caspian” va considerato una fiaba, come
ci suggerisce l’autore, C.S. Lewis; infatti egli spiega in un suo saggio
che si era innamorato della struttura stessa della fiaba e voleva scrivere delle fiabe.
Che sia da considerare una fiaba lo capiamo proprio dalla sua
struttura: nelle fiabe infatti –come rivelò Vladimir Propp, uno studio-
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so russo dei primi anni del Novecento – certe situazioni, certe azioni,
certi ruoli dei personaggi si ripetono costantemente, anche se le vicende narrate sono diverse.
Per esempio, in tutte le fiabe c’è sempre un eroe protagonista, che
deve affrontare una serie di prove e superarle prima di giungere alla
vittoria finale. L’eroe protagonista,
però, per ottenere il premio finale, deve
scontrarsi con un nemico, o antagonista, che cercherà in tutti i modi di ostacolarlo.
Vi sono poi gli aiutanti, ossia quei
personaggi che dotati di poteri straordinari, aiutano appunto l’eroe fornendogli
dei mezzi magici (donatori - aiutanti).
Perché il protagonista (l’eroe) viene
sottoposto a una o più prove (anche a
Narnia)?
Innanzitutto la prova deve svelare di
cosa è fatta una persona; in secondo
luogo, deve insegnare a quella persona
a diventare quello che non è ancora
(coraggiosa, obbediente, misericordiosa, generosa). La prova poi possiede un’altra funzione, ancora più importante: sembra sempre essere
finalizzata al bene di un altro, in gioco c’è sempre il bene di qualcun
altro.
Al termine della lettura del romanzo i ragazzi hanno risposto a
diverse domande: ecco alcuni passaggi dei loro scritti.
Il libro “Il Principe Caspian” di C.S. Lewis ti è piaciuto?
Perché? Hai scoperto o imparato qualcosa di importante?
A me questo libro è piaciuto moltissimo anche se è un libro che
parla di guerre e battaglie, insegna amicizia, amore e fiducia. Leggendolo ho paragonato Aslan a Dio perché Dio dà la libertà di mangiare i frutti di un albero. È simile a quello che fa Aslan: lascia ai Telmarini
la libertà di andarsene. Mi ha poi colpito la lealtà con cui Peter affronta le cose e le amicizie e la stima che nasce tra i personaggi. Ho capito, come Lucy, che nei momenti di difficoltà qualcuno è sempre vicino
a te, pronto ad aiutarti.
Teresa
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Questa libro mi è piaciuto moltissimo perché è pieno di battaglie
emozionanti ed è una storia di amicizia e fantasia, con tutte le creature
speciali come driadi, leoni e centauri che piacciono a me; da questo
libro ho scoperto che per diventare da ragazzini adulti, come Caspian,
bisogna vivere tante dolorose, tristi o felici esperienze e secondo me
saperlo è importante, perché prima o poi toccheranno anche a noi!
Maria Vittoria
A me questo libro è piaciuto molto perché parla di una storia di
avventura e di magia, per questo mi è piaciuto molto. Da questo libro
ho imparato che non bisogna mai perdere la speranza in qualsiasi cosa
tu faccia.
Giovanni
A me questo libro è piaciuto tantissimo perché è un libro molto
avventuroso e profondo. Io ho imparato due cose mimportanti: la prima
è che le cose non accadono mai allo stesso modo due volte; la seconda
è che, per poter vincere il male, bisogna avere sempre degli amici al tuo
fianco di cui puoi fidarti.
Elisa
Questo libro mi è piaciuto molto, perché mi piacciono molto le storie di questo tipo da leggere e ho scoperto che se sei in difficoltà, puoi
fidarti di un amico di cui sei affezionato.
Giuseppe
Questo libro mi è piaciuto molto perché è pieno di avventure e ti fa
imparare a fare tante cose: a fidarsi degli amici, a non tirarsi mai indietro e a non arrendersi qualunque cosa stai facendo; soprattutto ho imparato che è importante aiutarsi uno con l’altro ad essere fedeli agli amici
Anna
Questo libro mi è piaciuto molto, perché quando lo leggevo insieme alla mia classe sentivo di essere dentro a questa fiaba, e da essa ho
imparato a fidarmi di più degli amici, ad avere più fiducia in me, e ho
imparato che insieme si fare di più di quello che di solito fai da solo.
Lucia
Sì, a me questo libro è piaciuto molto perché ti lascia immaginare
e volare con la fantasia; mi è piaciuto anche per l’avventura e per le
bestie mitologiche.
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Ho imparato da questo libro che quando si ha bisogno bisogna chiedere aiuto.
Nevio
Questo libro mi è piaciuto molto perché è un libro perché è un libro
d’avventure, quindi non sai mai cosa può succedere. Da questo libro ho
imparat o a credere di più nelle persone, come Susan, Edmund e Peter,
che non volevano credere a Lucy, ma in realtà il leone l’aveva visto
veramente.
Lorenzo
Sì, questo libro mi è piaciuto molto perché parla di un’avventura
fantastica che mi ha coinvolto molto. Da questo libro ho imparato che
il male non può trionfare e che il bene è sempre il vincitore. Ho scoperto che avere gli amici serve moltissimo e che loro possono aiutarti
in ogni momento.
Manuèl
Questo libro mi è piaciuto molto perché rispecchia vari aspetti della
realtà come il bene e il male. Sì, ho imparato a fare le mie scelte e ad
assumermi le mie responsabilità.
Federica
Questo libro mi è piaciuto molto, anche perché è ricco di scene fantastiche, che nella vita reale non esistono. Ho imparato che ci si deve
sempre fidare di un proprio amico o di una persona cara e che insieme
niente è impossibile.
Elena
Questo libro mi è piaciuto molto perché, innanzitutto mi piacciono
i libri di avventura come questo, ma anche perché ho imparato che
quando hai bisogno basta chiederlo a una o più persone care, che l’aiuto
ti viene dato.
Giovanni Pollini
Il romanzo “ Il Principe Caspian” mi ha colpito, ma non è questo il
libro che fa per me. Però, leggendo il libro, ho imparato che le persone
possono cambiare, inoltre che quando ti affezioni particolarmente ad
una persona è difficile staccartene e infine che ovviamente vince sempre il Bene.
Sofia
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Questo libro non mi è piaciuto particolarmente perché non è nei
generi che preferisco. In compenso ho imparato che bisogna sempre
essere gentili con gli altri perché hanno comunque dei sentimenti e,
probabilmente saranno tuoi amici e ti ricambieranno la gentilezza. Ho
imparato anche che le cose arrivano solo a chi combatte per esse, ci
tiene veramente e le sa aspettare. Comunque combattere non vuol dire
essere maleducati con gli altri o fare loro del male.
Luigia
Immagina di essere Lucy o Edmund e di dover prepararti a dire
addio a Narnia e ai suoi abitanti...
Racconta in prima persona cosa vedi, cosa succede dal momento
in cui Peter si rivolge a Edmund e a Lucy invitandoli ad andare, fino
al momento in cui si ritrovano alla stazione dei treni. Non dimenticare di esprimere anche quello che pensi e che provi.
Era una giornata magnifica e speciale. Il sole splendeva alto nel
cielo celeste.
Aslan aveva proposto ai Telmarini che non volevano restare a
Narnia, una nuova patria.
Ero felice, perché sapevo che io, Edmund, Susan e Peter potevamo
restare a Narnia.
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Io ero vicino ai miei fratelli, ma anche ai miei amici: Tartufello,
Briscola, Ripicì...
Eravamo tutti felici e soddisfatti, perché avevamo vinto la battaglia
ed ora Narnia era tornata in possesso a Caspian e agli abitanti di Narnia.
Quel giorno Aslan aveva fatto sistemare due pezzi di legno ad una
certa distanza, e un bastone leggero era stato sistemato sopra gli altri
due, costruendo così una porta, al Guado di Beruna, da cui i Telmarini
che non volevano restare a Narnia dovevano passare.
Hei! Uno dei Telmarini ha attraversato la porta ed è... scomparso!
–, mi disse Briscola spaventato.
Stai tranquillo P.C.A., Aslan sa quello che fa! – gli risposi.
Ma ad un certo punto Peter ci disse che era il nostro momento.
Io mi rabbuiai e dissi: – Ma come! Io voglio restare a Narnia, non
voglio tornare in Inghilterra! –.
Anche Edmund non capiva, ma Peter ci disse: – Forza, andiamo nel
bosco a cambiarci i vestiti–.
Io a malincuore li seguii. Insomma, mi ero svegliata felice, con
l’idea di poter restare a Narnia e ora mi veniva riferito che dovevamo
tornare in Inghilterra? No, io non potevo permetterlo, non ci stavo!
Allora chiesi piagnucolando: – Ma Peter, perché proprio noi? Io non
voglio proprio tornare in quel posto grigio e freddo! Io resto qui! –.
Lucy non essere cocciuta, anche noi vorremmo restare, ma vedi il
fatto è che... –.
Che? Dai, continua, ti prego! – la implorai.
... che dobbiamo andare, punto e basta! –, mi rispose bruscamente
Peter.
Ma Peter, io... – dissi senza più speranze.
Niente “ma”! Forza sbrigatevi voi due, è tardi! – rispose Peter.
Peter ha ragione, Lucy, muoviamoci! – mi disse Edmund.
Quando tornammo al Guado di Beruna, iniziarono i saluti.
Addio P.C.A., non ti scorderò mai, promesso! – dissi a Briscola.
Neanch’ io piccola amica! –, mi rispose.
Addio Tartufello, addio Ripicì, addio a tutti voi! – dissi io con le
lacrime agli occhi.
Ci furono scambi di abbracci e baci e ci furono anche delle lacrime
versate.
Ma il saluto più doloroso era quello ad Aslan.
Aslan... io... io... vorrei... restare..., ma... perché dobbiamo andarcene? – chiesi piangendo ad Aslan.
Tesoro lo capirai... – mi rispose Aslan.
E ora va, va con i tuoi fratelli – continuò.
Io, dopo averlo abbracciato e dopo averlo salutato affettuosamente
andai con i miei fratelli.
22
Mi sentivo sconfortata e triste, anche se Aslan mi aveva consolata.
Solo quando Peter mi parlò di nuovo potei capire tutto.
Io e Susan non potremo più tornare a Narnia, ormai siamo grandi,
e abbiamo imparato tutto ciò che c’ era da imparare –.
Cosa?! – esclamammo insieme io ed Edmund.
Insomma non è possibile, come? – chiese Ed.
Lo capirai quando crescerai. Però voi due potrete tornare un giorno.- ci tranquillizzò Peter.
Tristi attraversammo la porta e accadde una cosa strana.
Prima di arrivare alla stazione ci apparvero tre paesaggi diversi
Contemporaneamente: il primo era un antro di una caverna che si
affacciava sul verde e l’ azzurro profondo di una isola nel Pacifico.
La seconda era il mondo di Narnia, ma la terza era la stazione dove
noi dovevamo andare.
Alla fine, arrivati alla stazione, ci sentivamo tutti un’po’ strani,
insomma, dopo un’ avventura così!
Io mi sento molto fiero, perché sono cambiato, sono più leale,
coraggioso e fiducioso – disse Peter cono aria solenne.
Anch’io sono cambiata, sono diventata più fiduciosa, più coraggiosa, ma soprattutto più consapevole dei miei errori –, disse Susan.
Io invece mi sento più maturo e più paziente – sintetizzò Edmund.
E tu Lucy? – mi chiesero.
Beh, io... – risposi – risposi.
... anch’ io sono cambiata. Mi sento più matura, più coraggiosa, e
più prudente.
Ma ho anche capito che le cose non avvengono mai allo stesso
modo, per questo sono felice –.
Eravamo tutti tristi, perché era finita l’avventura magica a Narnia e
ora dovevamo tornare a scuola, nei college (io ero la più triste: insomma era la prima volta che andavo in collegio!), ma eravamo anche felici perché avevamo vissuto un ‘avventura istruttiva, che ci aveva insegnato molte cose e poi... Narnia è il posto più bello che esista!
Elisa
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IL RACCONTO A SFONDO MITOLOGICO
Immagina di essere un soldato greco che assiste all’invettiva di
Tersite e alla sua punizione da parte di Ulisse. Racconta l’episodio
dal tuo punto di vista.
Uhuh… ho tutta la schiena indolenzita… Ulisse mi ha dato una
bastonata con lo scettro del capo supremo…
Mi ha picchiato perché ho detto che ho una famiglia, che potrei
morire anche domani in guerra, che sto sprecando la mia vita … e
bangh! Ecco la bastonata!
Non sono stato l’unico a subire quest’umiliazione. Però tutti hanno
inveito, a bassa voce, contro Agamennone che ci ha dato la speranza di
tornare a casa e poi, dopo che ci siamo precipitati alle navi, ha balbettato: “ Lo dicevo per vedere se la brama di gloria arde ancora nei vostri
cuori!”.
Purtroppo dopo dieci anni nemmeno i Mirmidoni hanno più voglia
di combattere!
Non fatevi un’idea sbagliata di me, non sono il peggiore guerriero
dei Greci, c’è Tersite prima. È un uomo, anche se sembra un mostro,
molto brutto: non ha capelli, ha una testa aguzza con niente dentro, è
guercio, ha due gobbe… Io non so proprio come sia ancora vivo dopo
questi nove anni di guerra faticosa. Tersite ciarla su tutti i capi dicendo
fandonie; pure io che sono lontano da lui lo sento ancora farneticare, oh
sta dicendo qualcosa: “ Achive, non Achei!”
Questo insulto è risuonato in tutta l’assemblea ed io vorrei fargliela pagare, ma sono tutto un livido e una zuffa non mi gioverebbe... non
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certo per le ferite che mi può infliggere Tersite, ma perché interverrebbe Ulisse che fa sempre di tutto per ripristinare la calma.
Oh, e adesso contro chi inveisce quel coniglio?
Mi sto avvicinando per sentire meglio. Tersite ha insultato Achille!
Achille che è il più forte fra i guerrieri! Gli Achei stanno fremendo di
rabbia, ma si controllano. Quel pazzo dice che se Achille non fosse
stato un vile avrebbe ucciso Agamennone nel momento del litigio: non
sa quel che dice.
Io credo che Agamennone dovrebbe pagare per l’oltraggio al
Pelide, ma se Achille lo avesse colpito con la spada sarebbe scoppiata
una battaglia dentro il campo acheo. Fortunatamente dall’alto l’ha
squadrato Ulisse truce in volto. Egli ha ripreso il controllo della situazione e ha incominciato a rimproverare il cane dileggiatore. Il grande
eroe difende Agamennone che Tersite aveva insultato prima che arrivassi. Ulisse ha detto che quel petulante insulta tanto il capo supremo
per invidia dei doni offertigli dagli Achei. Poi l’ha minacciato di cacciarlo, nudo, dall’assemblea. Adesso voglio vedere la faccia di Tersite.
E’ spavaldo, ma vedo un’ombra di paura nei suoi occhi; e ha ragione!
Pum! Un rumore sordo seguito da un gemito: Ulisse l’ha colpito. Il
gemito è seguito da altre botte e da lacrimoni di dolore. Alla vista della
sua schiena rossa e gobba non mi sono trattenuto: ho riso forte seguito
dai Greci. Poi ho fatto i complimenti ad Ulisse che mi ha ringraziato.
Adesso egli vuole fare un discorso, meglio andare ad ascoltarlo.
Margherita
Il mio nome è Ileo e sono un oplita dell’esercito del re Agamennone. Sono più di nove anni che mi trovo qui a Troia a combattere: ho visto morire mio fratello e mio cugino. Pensavo che questa volta
saremmo davvero tornati a casa: Agamennone l’aveva detto e quindi,
se quello che dice il comandante è legge, ormai era fatta. Si tornava a
casa.
Mentre tutti gioiscono all’idea del ritorno e corrono all’impazzata,
interviene Ulisse che con lo scettro comincia a correre dietro a noi soldati e a darci botte a destra e a sinistra urlando di stare calmi e sedersi.
Tutti si siedono ad ascoltare, tranne uno: Tersite, che è il più brutto
tra noi e sa solo insultare. Comincia a dire cose senza senso: dice che
Agamennone è un avaro e che il bottino che gli eroi o addirittura i soldati semplici, come lui o me, conquistano col sudore vanno ad
Agamennone, che non ha fatto nessuna fatica. Su questo sono pienamente d’accordo; ma io non mi sarei messo a urlarlo davanti a tutti.
Certo che dopo aver capito che la partenza era una bugia, la sua sce25
netta ha tirato un po’ su l’umore di tutti. Mi fermo lì a guardare cos’altro dice, e subito Tersite urla ad alta voce: “Achive non Achei” insultando così noi – e anche se stesso – facendo capire che siamo vili come
delle donne.
Sull’idea che l’assemblea sia vile sono d’accordo, perché non ha
voluto opporsi ad Agamennone difendendo ciò che pensava per paura
del Re dei Re.
Ma che anche noi siamo dei vili è una cosa davvero inaccettabile,
visto che io sono sempre in quella mischia a combattere!
Poi ha detto un’ultima cosa su cui io sono assolutamente contrario,
cioè che Achille figlio di Peleo sia un vile. Ma vi rendete conto di cosa
ha detto? A queste parole gli Achei prorompono tutti in un “oh!” di sdegno. Dopo queste ultime parole Ulisse gli è addosso con il volto scuro
e lo rimprovera duramente, poi per punirlo lo colpisce con lo scettro
finchè Tersite non si siede con la schiena rossa e le lacrime agli occhi.
A questo punto ridiamo tutti di gusto: questo episodio per noi è stato
divertente, ma per quel brutto ceffo di Tersite certamente no.
Alessandro
Immagina di essere un giornalista
incaricato di fare la cronaca della
guerra di Troia e descrivi la scena del
duello tra Paride e Menelao facendo
emergere le differenti personalità.
L’EROE EFFEMINATO:
LA VIOLAZIONE
DEGLI IDEALI GRECI
Il vento soffiava forte, quel giorno.
Gli eserciti si avvicinavano in religioso
silenzio. Era la quiete prima della tempesta. Da una parte Paride, il vanitoso
troiano, vestito della sua sfarzosa pelle
di leopardo, e dall’altra… Menelao, fratello di Agamennone, furioso
per l’oltraggio che ricevette da questi. Il solenne Atride avanza sul suo
cocchio borchiato, e con un balzo acrobatico salta giù, come un leone
assetato di vendetta. A questa vista, il povero Alessandro è terrorizzato
e sbianca in volto, correndo dal fratello Ettore, che indignato e deluso
lo rimprovera aspramente.
26
Ai richiami del fratello, il seduttore sente di dover combattere,
quindi si dice disposto ad affrontare Menelao. Come ben sapete, questo duello deciderà le sorti della guerra, e il vincitore potrà gloriosamente affermare che il trionfo sugli avversari è merito suo. Il vento
cessa e il duello inizia!
Paride scaglia la sua lancia, il tiro è un po’ lento, e come era prevedibile il resistente scudo dell’Acheo lo para abbondantemente. È ora il
turno di Menelao, che però, prima di scagliare l’asta, rivolge una preghiera a Giove perché possa avere piena vendetta sul nemico. Ed ecco
allora che l’arma si libra in cielo fendendo l’aria, il fantastico lancio le
dà una grande potenza, che permette alla punta di trapassare tutte le
difese di Alessandro. Il troiano però, con un salto evita che la lancia gli
perfori lo stomaco e riporta solo una lieve scalfittura. Menelao, giustamente adirato, si scaglia allora sul misero nemico, e con un portentoso
fendente gli colpisce l’elmo. La spada però si spezza, così il fratello di
Agamennone, in preda all’ira, afferra il pennacchio dell’effemminato
nemico e lo trascina per il campo. I lacci dell’elmo stanno strozzando
l’imbelle, che supplica umilmente pietà.
Che scena vergognosa per un eroe!!! A quel punto interviene la
meno bellicosa della dee: Venere, che scioglie i lacci liberando Paride.
Menelao, ora risoluto, impugna una lancia per uccidere il nemico ancora spossato, quand’ecco che questi sparisce in una nebbiolina misteriosa. Che ingiustizia! Proprio ora che Menelao stava per avere piena vendetta sul traditore! Questo duello, cari lettori, come avrete notato, mette
in luce due personaggi: Menelao e Paride. Il primo è un eroe orgoglioso che vuole vendicarsi di colui che lo tradì rubandogli la moglie, mentre il secondo è un effemminato codardo senza gloria. In questo episodio vi è un’eccezione alla calocagazìa, secondo la quale alla bellezza
corrisponde il valore, questa eccezione è Paride, il seduttore di donne,
che pur essendo bello, è un vigliacco.
Carlo, inviato speciale di Edizioni Greco-Romane
LA VITTORIA DI MENELAO CONTRO PARIDE
IL VILE TROIANO
OGGI LA “CALOCAGAZIA” VIENE MESSA IN DUBBIO
Ancora una volta sono stata inviata sul campo di battaglia per raccontare dell’eterna guerra tra Troiani e Achei. Nessun esercito sembra
volersi arrendere, ma oggi, tra la polvere e il sudore, si è verificata una
svolta nella guerra. Per la prima volta Paride è sceso in campo, anche
se non con grande successo. Era bello come un dio, spavaldo come un
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eroe e sfidava i più forti Achei tenendo tra le mani una freccia e l’arco.
Indossava una pelle di leopardo importata dall’Africa appositamente
per lui. Mentre faceva lo spavaldo, ecco arrivare a lunghi passi
Menelao, che guardava con espressione famelica il traditore belloccio.
Quest’ultimo, vedendolo, è saltato indietro impaurito, poi si è girato ed
è corso tra gli Achei veloce come il vento. Ettore guardando Paride con
una faccia disgustata ha incominciato a rimproverarlo con aspre parole
che evidentemente hanno fatto cambiare idea al vile, dato che alla fine
ha deciso di sfidare Menelao a duello.
Erano in un’arena improvvisata, c’era silenzio, finchè Paride, ancora pallido per lo spavento, ma sempre bellissimo, impugnò l’asta ed
ecco che i Troiani cominciarono a tremare per la differenza tra Menelao
e Paride: Paride era un bell’usignolo sullo stesso ramo di un’aquila che
attendeva di mangiarlo. Sorrisini ironici erano invece sulle labbra mute
dei Greci che rispettavano gli ordini dei capi. Toccò a Paride lanciare
l’asta, essa fece un volo lento e si spuntò colpendo il cerchio di ferro
che univa le pelli dello scudo. Al contrario Menelao, dopo attimi di
riflessione, scagliò un colpo veloce e forte che trapassò lo scudo, ma
attutito da questo, non ferì mortalmente il rivale. Così, lanciando un
urlo di rabbia, Menelao corse con la spada contro Paride che, impietrito, non si mosse. Il colpo fu talmente forte che la spada si ruppe in
pezzi, allora Menelao lo prese per l’elmo trascinandolo verso gli Achei,
ma, per fortuna del Troiano, il laccio di cuoio che legava l’elmo alla
testa si slacciò e Menelao lo lanciò tra i suoi che festosi lo presero.
Successivamente una nebbia avvolse Paride ed egli sparì.
L’Atride rabbioso per non averlo potuto uccidere, ma anche sbigottito per la misteriosa sparizione del nemico era lì fermo, mentre aspettava che qualcuno dicesse qualcosa. Alla fine si decretò che il duello
era stato vinto da Menelao, a cui si doveva restituire Elena.
Questo è un caso in cui la calocagazìa viene messa in discussione,
data la bellezza ma anche la viltà di Paride, il più attraente tra i Troiani
e gli Achei.
Margherita, inviata speciale di “Troia, ieri e oggi”
Mi chiamo Leonida e sono un giornalista greco incaricato di scrivere la biografia di Menelao. Ecco, egli era così arrabbiato con Paride
per aver rapito la sua bella moglie Elena, che volle che il momento dell’uccisione del Troiano fosse immortalato per secoli e generazioni. Vi
riporto qui la scena del duello epico che avrebbe segnato le sorti della
battaglia che dura ormai da dieci anni: era circa mezzodì, quando i due
eserciti Troiani e Greci, erano schierati uno di fronte all’altro, guar28
dandosi biecamente e promettendosi una trucida e sanguinosa battaglia,
quand’ecco apparire Paride, il bel traditore che si pavoneggiava con
una pelle di leopardo lanciando sfide ai Greci armati in prima fila. Ma
proprio in quel momento ci fu un grido che squarciò il silenzio, come
un lampo taglia il cielo in una notte buia e tempestosa. Era Menelao,
figlio di Atreo e sposo di Elena. Veduto Paride, egli si infuriò ciecamente, simile a un toro che ha visto un pezzo di stoffa rossa come il
sangue. Presto si avventò contro il Priamide, senza badare ai soldati che
erano proprio dietro di lui. Egli era identico ad un leone, che vedendo
un cervo, fa un grosso balzo su di esso, senza badare ai contadini spaventati, che tentano senza successo di allontanarlo.
Paride, vedendolo avvicinarsi a lui con il cocchio, scappò con la
coda fra le gambe, come chi, vedendo un serpente in montagna corre su
e giù tra gli arbusti, cercando di sfuggire al morso velenoso del rettile
letale.
Menelao è fiero, coraggioso e desideroso di vendetta (e per fortuna
Greco), mentre Paride è bello ma vile. Il Troiano fu poi spronato da
Ettore, che si lamentava di avere un fratello buono solo a sedurre le
donne. Paride allora lanciò una sfida a Menelao, chiedendo che lo scontro fra i due segnasse le sorti della guerra.
I Greci accettarono, prepararono lo spazio dell’arena e dettero il via
al duello. Il traditore fece la prima mossa, scagliando la lancia contro
l’Atride, ma senza successo, poiché lo scudo ne piegò la punta.
Allora Menelao, pregando Giove perché saziasse con il sangue il
suo spirito di vendetta, fece il suo primo attacco, scatenando la sua
lunga asta. Essa trapassò lo scudo, spezzò l’armatura, lacerò la tunica e
sfiorò la pelle, ma il troiano ne uscì senza danno. Menelao, ancora più
irato, sfoderò la spada e la fece cadere con un movimento verticale
sopra l’elmo, ma la spada non resse l’urto, frantumandosi in molti
pezzi. Ora l’eroe, rivolgendosi al padre degli dei, con gli occhi rossi
come il fuoco, emise un grido spaventoso, seguito da queste parole:
“Giove, la tua crudeltà è pari solo alla viltà di questo traditore. Perché
non mi hai assistito nel momento in cui lanciai l’asta e lo colpii con la
spada?”
La scena si stava piano piano riscaldando, poiché i due eroi, con le
loro azioni, stavano dimostrando l’abisso tra viltà e coraggio.
Infatti, Paride, spaventato a morte, rimase immobile come un insulso burattino, pronto a subire gli attacchi del nemico senza reagire.
Menelao lo prese per l’elmo e lo trascinò verso i suoi cercando di soffocarlo e di prendere una nuova lancia dai soldati greci, i quali gridavano, arrabbiati con il Troiano, poiché era per causa sua se erano lontani
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da casa da dieci anni:“ Infilzalo, scotennalo, taglialo a metà, polverizzalo!”
Per la fortuna di Paride, giunse Venere che gli slegò l’elmo, liberandolo. A quel punto Menelao, di nuovo con l’asta alzata, si avventò
contro il traditore, che però gli fu sottratto dalla dea dell’amore che lo
depose nel letto profumato. Qui si nota ancora una volta la straordinaria vigliaccheria di Paride, salvato dalla dea più imbelle anziché da
Marte, sempre schierato con i Troiani.
Michele
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LA NARRAZIONE A SFONDO STORICO
Immagina di essere un contemporaneo di Benedetto, di averlo
incontrato personalmente o di aver assistito a uno dei fatti eccezionali
che lo hanno visto protagonista. Descrivi l’incontro con il Santo, racconta il fatto, metti in evidenza i tuoi sentimenti e i tuoi pensieri.
Sono partito da casa per realizzare un sogno che porto nel cuore. È
da tanto tempo che ci penso e aspetto; la scelta non è stata facile, ma
alla fine ho deciso, voglio essere monaco insieme a Benedetto perché
ho sentito parlare molto di lui e della sua Regola: l’accoglienza dei
bisognosi, la cura degli ammalati, le scuole per i poveri che desiderano
imparare, il lavoro, la preghiera… insomma sono convinto di questa
chiamata da parte di Dio. Ho con me poche cose, lo stretto necessario
per sopravvivere qualche giorno: spero di essere accolto dai monaci.
Sono quasi arrivato al monastero, posso già scorgerlo all’orizzonte e
sento dentro di me una forte emozione, tanto che mi batte forte il cuore.
Busso al grande portone di legno del monastero, mi aprono e mi accolgono a braccia aperte, poi mi dicono che prima di diventare monaco
devo superare un periodo di prova per capire se sono pronto ad affrontare quella vita così dura. Nel frattempo mi offrono cibo e un giaciglio
per la notte. Mi sembra di essermi appena addormentato quando una
campanella mi sveglia: cosa succede? Esco dal dormitorio e vedo i
monaci dirigersi verso la chiesa, capisco che è il momento della preghiera. Li seguo e preghiamo insieme. Comincia così la nostra giornata scandita da sette momenti di preghiera e da tanto lavoro. Vengo inca31
ricato di occuparmi dell’orto: zappare, seminare, raccogliere ...tutte
cose che un tempo mi apparivano insignificanti e umilianti, ma se condivise con i fratelli e offerte a Dio diventano nuove e importanti. Dopo
vari mesi di noviziato divento monaco e Benedetto mi chiama con sé.
La cosa che più mi colpisce di lui è la santità che emana da ogni sua
azione. Un giorno mi ha chiesto di accompagnarlo ad un incontro speciale con sua sorella Scolastica, anche lei chiamata dal Signore a vivere per Lui. Ci siamo ritrovati insieme in una casetta a metà strada tra i
due monasteri. Io me ne stavo zitto, in disparte, mentre loro parlavano
delle “cose” di Dio. Erano così presi dalla preghiera e dalla conversazione che non si erano accorti che il tempo era passato ed era già sera:
era ora di tornare ai nostri monasteri. Benedetto stava per avviarsi mentre Scolastica lo pregava di rimanere per la notte. Il padre le diceva di
non poter accettare perché la Regola vieta di rimanere la notte fuori dal
monastero. Allora Scolastica si è messa a pregare e improvvisamente è
cominciato a piovere così forte che non siamo potuti uscire. Benedetto
l’ha rimproverata, ma lei gli ha risposto che lui non l’aveva ascoltata,
invece il suo Signore l’aveva accontentata.
Gli avvenimenti miracolosi che riguardano il nostro padre
Benedetto sono tanto numerosi che mi lasciano senza parole, ma mi
aiutano ad avvicinarmi sempre più a Dio: sono riuscito anche a camminare sull’acqua grazie alla sua fede. Vivo con lui ormai da tanti anni
e ringrazio continuamente il Signore di questa e di tante altre grazie che
mi dà.
Fratello Mauro
Giulia
Era l’anno ’500 e stavo completando gli studi letterari a Roma. Io
ero un compagno di Benedetto da Norcia, ero uno di quei ragazzi che
lui considerava viziati e superficiali. Noi, da parte nostra, lo deridevamo perché era diverso da noi.
Un giorno Benedetto decise di lasciare gli studi e di ritirarsi in un
luogo deserto e solitario, perché secondo lui l’unico modo per non perdere se stesso era consegnare la sua vita a Cristo.
Tutti noi eravamo sconcertati e pensavamo che fosse un folle a fare
una scelta del genere. La mia vita invece continuava nel vizio e l’unica
cosa a cui pensavo era il divertimento. Col passare del tempo però sentivo crescere in me un’insoddisfazione e una strana inquietudine, mi
ero reso conto che la mia vita era vuota, senza uno scopo; così, in un
momento di riflessione, mi tornò in mente Benedetto, la scelta che
aveva fatto e decisi anch’io di cercare la mia strada.
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Abbandonai i beni materiali (gioielli, vestiti lussuosi, denaro) ed
incominciai a vagare di paese in paese in cerca di pace e serenità.
Lungo il mio viaggio incontrai di nuovo Benedetto e rimasi meravigliato da una scena a cui assistetti. Stavo camminando lungo la riva di
un lago quando vidi un giovinetto che sulla sponda opposta attingeva
l’acqua con un secchio. Ad un certo punto, a causa di una distrazione,
egli cadde nell’acqua, io purtroppo ero lontano e non potevo fare niente per aiutarlo, ma all’improvviso un giovane monaco arrivò di corsa
dirigendosi verso colui che stava annegando, e, cosa straordinaria,
camminò sull’acqua, lo afferrò e lo riportò a riva. Stupito, di corsa li
raggiunsi, e qui rividi Benedetto. Il giovane salvatore, resosi conto di
quello che aveva fatto, gli si rivolse e gli disse che ciò che era accaduto era merito suo e che era un miracolo, anche il fanciullo che aveva
rischiato di morire annegato confermò raccontando che mentre veniva
salvato vedeva sopra di lui il viso dell’abate. Io mi inginocchiai davanti a Benedetto ed incominciai a piangere chiedendo perdono per come
avevo agito in passato. Lui mi guardò con grande tenerezza, poi mi
mise le mani sulle spalle e mi disse di alzarmi.
Incominciai a raccontandogli della mia vita vuota, della sensazione
di inutilità e superficialità, delle mie giornate sempre uguali e del desiderio di cambiare vita, di rinascere, di avere qualcosa di importante da
fare, come aveva fatto lui. Insieme a lui cominciai una vita di preghiera, di lavoro e di carità.
Carlotta
33
Tenendo conto della visita a Villa Adriana immagina di essere
l’imperatore Adriano, un personaggio della sua corte o uno schiavo.
Descrivi la tua vita senza tralasciare i tuoi sentimenti e i tuoi pensieri.
Oggi mi sono svegliato e, con una splendida vista sulla piscinetta
che circonda la mia “residenza acquatica”, ho fatto colazione a base di
feta, un formaggio greco e con il miele delle api che hanno il loro
alveare sulle mie splendide acacie. Poi mi sono fatto un bagno lavando
bene i miei capelli castano scuri ricciuti e il mio corpo esile e poco
abbronzato. Subito dopo si è svegliato il mio ospite, nonché mio
migliore amico, Gaio Licinio, soprannominato “Vitulo” per la larghezza delle sue spalle e per i suoi bicipiti e tricipiti sovrasviluppati.
Ha servito l’esercito per diversi anni come centurione e, durante
una delle sue campagne si è procurato uno sfregio che gli attraversa
tutta la schiena. E’ un uomo alto e, come ho già detto muscoloso, con
addominali così ben scolpiti che farebbero intimidire anche Marte, una
chioma mora lunga fino al collo, una pelle abbronzata dalla palla di
fuoco che Apollo porta in cielo ogni giorno e due occhi penetranti che
esprimono severità, ma anche generosità. Che felicità vederlo!
Le cose che io e lui abbiamo in comune sono tante, come quelle che
ci differenziano: io sono basso ed esile, mentre lui è un colosso, io
m’interesso di politica, lui di guerra, però amiamo lo sport, la sauna,
passeggiare per la mia villa-città e raccontarci episodi della nostra vita.
Ci stiamo avviando verso le “piccole terme”, riservate a me e alla mia
corte, quando Vitulo mi fa una domanda: mi chiede dove siano i miei
schiavi dato che, dice lui, non ne abbiamo ancora incontrato nessuno.
Io indico a terra e lui esclama: “Li hai murati vivi sottoterra?”. Io, dopo
34
una sonora risata, gli rispondo: “No, sciocco, si muovono lungo dei
condotti sotterranei che girano per tutta la villa. Non ti sei mai chiesto
cosa fossero quei buchi che portano in quelle gallerie?”. E lui, visibilmente sorpreso, ammette: “Veramente no”.
Ah, un bel bagno caldo mi ci voleva proprio! È molto rilassante e
ha degli effetti incredibili se si è stressati. Ad un certo punto il mio
gigantesco amico mi confida un segreto: ha una cotta per la mia ancella Quinta e vorrebbe chiederle di sposarlo. Io gli rispondo di farlo,
anche se so che lui è molto timido, così decidiamo di lasciar perdere.
Torniamo alla mia residenza e facciamo un lauto pranzo a base di
cinghiale, di ottimo formaggio di capra e pesce.
Sono felice di poter trascorrere una giornata con un amico a mangiare, ridere e scherzare; purtroppo mi capita sempre più raramente
perché sono preso dai miei impegni di imperatore. Essere a capo
dell’Impero è un grande onore, ma è anche molto faticoso e occupa
tutta la mia giornata: è un’enorme responsabilità. È estremamente
pesante sapere che l’impero potrebbe cadere per una mia mossa sbagliata e io quindi devo ponderare e soppesare ogni mia decisione, cercando di prevederne le conseguenze. Neppure il più bravo indovino
riuscirebbe a non sbagliare mai.
A volte non riesco neppure a dormire pensando alla risposta giusta
a tutti i quesiti che mi vengono posti. Vorrei essere ricordato come un
imperatore saggio, colto, generoso, che vuole il meglio per il suo popolo, ma raggiungere questi obiettivi mi sembra impossibile, a meno che
Giove non intervenga guidando il mio operato. Ecco perché sto godendo dei benefici della compagnia dell’amico più caro e che ogni uomo
vorrebbe avere: Vitulo.
Oggi pomeriggio voglio proprio cavalcare con lui sulla via Appia
per respirare il profumo dei pini e dei fiori che crescono a primavera.
Spero che il vento, che mi scompiglia i capelli, mi liberi anche la mente
dai pensieri che mi assillano.
Ludovico
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RACCONTARE L’ESPERIENZA
LA DESCRIZIONE
Anche a me è capitato alcune volte di trovarmi di fronte ad un paesaggio che rispecchiava perfettamente il mio stato d’animo.
Mi ricordo di un’estate in cui ero andato in vacanza a san Martino
di Castrozza. Una mattina io, la mia famiglia e alcuni amici siamo partiti per fare una passeggiata in
alta montagna. La funivia ci ha
portato fino a 2500 m di altitudine e poi, con una guida che ci
indicava la strada, abbiamo iniziato a camminare sulla cresta
della montagna. Il paesaggio
attorno era brullo, tutto roccioso,
con alcuni attraversamenti in
mezzo alla neve; in lontananza si
scorgeva qualche ghiacciaio che
dalla vetta arrivava fino alle pendici della montagna. Mentre camminavo questo paesaggio aspro e desolato rispecchiava quello che sentivo, perché ero stanco e infreddolito, con la neve dentro gli scarponi.
Dopo alcune ore siamo giunti a un lago con l’acqua così trasparente e
gelata che si poteva scorgere cosa c’era al centro. Una lastra di ghiaccio, lucida come una lama di coltello, galleggiava sulle acque limpide
dal fondale sassoso. Alzando lo sguardo si poteva vedere un enorme
ghiacciaio che partiva dalla cima della montagna, terminando sul lago
con una parete di ghiaccio alta circa tre metri, azzurra come il cielo in
piena estate, da cui partiva una cascata d’acqua che dalla parete andava ad immergersi nel lago. Attorno a questa “oasi” erano presenti solo
sassi, ghiaccio e rocce taglienti come il freddo invernale. In quel
momento ho provato una sensazione stranissima: mi sentivo leggero e
libero da ogni pensiero come quell’acqua che scendeva dalla cascata,
felice e soddisfatto di essere arrivato alla meta. In quel momento,
davanti a quel laghetto incantato, circondato da un deserto di roccia mi
sono sentito come quel lago, pieno di vita e raggiante sotto il sole, ma
isolato lassù, un po’ sperduto, piccolo in mezzo all’universo.
Oggi, ripensandovi, sono felice di aver vissuto quell’esperienza,
non solo perché ero in vacanza e mi sono divertito molto, ma anche
perché ho provato nuove sensazioni e ho scoperto una parte di me che
non conoscevo.
Filippo
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“Alla ricerca del tesoro”
Diario di un anno
(Classi Seconde)
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INTRODUZIONE
Abbiamo vissuto l’anno scolastico come una ricerca, la ricerca di
un tesoro, proprio come quello della famosa isola, immagine centrale
del romanzo che abbiamo letto nel primo quadrimestre.
Solo che noi l’abbiamo vissuta nella realtà, scontrandoci ogni giorno con la fatica della crescita, dello studio, dei compiti, delle verifiche,
tutti elementi che a poco a poco sono diventati la strada, o meglio la
rotta, per dirla con Stevenson, per approdare “sull’isola del tesoro”.
Queste pagine vogliono documentare le tappe del cammino, le scoperte, le storie incontrate, le tempeste superate. E, infine, il tesoro trovato che è fatto non di dobloni o di oro, ma di consapevolezza della
propria esperienza e di amicizia.
LA PARTENZA
Il primo giorno di scuola: emozioni, sentimenti, incontri, ricordi
del passato, novità.
Ore 7.40. La macchina di mio papà rallenta, rallenta, rallenta sempre più. Si ferma. La mia portiera si apre con uno scatto, con altrettanta velocità si richiude, soffocando le dolci e familiari voci, che per un
po’, hanno continuato ad incalzarmi e a calmare i miei nervosissimi
neuroni, tesi come corde di violino.
Dietro di me un’estate vissuta all’insegna dei viaggi, degli amici,
dei parenti. Davanti a me la seconda media, un nuovo anno, oltre otto
mesi durante i quali cambierò radicalmente il mio modo di ragionare,
di osservare, di vivere: tutto questo racchiuso da un massiccia porta in
legno, sulla quale è appesa una piccola targhetta, su di essa sono incise poche parole in una calligrafia molto elegante, che il mio cervello,
ancora ottenebrato dalla fitta e umida nebbia del sogno, mal interpreta.
In quei pochi miscugli armoniosi di lettere, è racchiusa oltre la metà
della mia vita: “Fondazione del Sacro Cuore”, questo è il risultato dell’approfondito ragionamento, ciò che la mia mente ha appurato dopo
una lunga riflessione.
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Suono il piccolo campanello e dopo pochi secondi di attesa, durante
i quali ripenso ai tanti momenti, alle numerose esperienze che ho vissuto fino ad oggi durante il mio percorso scolastico, ottengo una risposta.
Con un perentorio scatto la porta rimane socchiusa, lentamente la
mia mano raggiunge come mossa da una sua forza di volontà la maniglia di scuro metallo; è fredda; il muscolo del braccio accumula forza:
prima spinta, il portone rimane impassibile, sicuro della sua lignea
imponenza, seconda spinta, sembra essersi accorto della mia presenza
e perciò, si apre lievemente, terza spinta, in essa concentro tutta la mia
forza, la mia decisione, e il portone si spalanca in un lieve e fastidioso
cigolio.
Entro.
La luce arancione è ancora soffusa e richiudo la porta in una sorda
botta. La lunga e rettangolare saletta è semivuota, la percorro con grande lentezza, il rumore di ogni passo mi rimbomba nella vuota testa.
Intanto vedo il mio grande amico Marco, mi corre incontro nella sua
consueta goffaggine, è l’unico “componente” della mia classe: la
prim… la seconda B. Insieme chiacchieriamo per un po’ delle nostre
vacanze, quando, al discorso si aggiunge quello sfrontato di Valerio,
poi Tommaso, Riccardo… e, molto lentamente mentre i minuti trascorrono, la mia classe si riforma, i suoi “membri” si riuniscono in una
chiassosa e disordinata massa di ventisei ragazzi che uniti, hanno vissuto uno splendido anno, insieme, legati dalla grande amicizia che lo
studio suscita aiutandosi vicendevolmente. Una nuova ragazza di nome
Sara, si è unita al gruppo e, subito si è integrata nell’atmosfera traboccante di allegria che vige fra noi.
Suona la prima campanella e la saletta, divenuta estremamente gremita, come si era colmata, si svuota e una moltitudine di ragazzi affolla la scala; ciascuno si dirige verso la propria aula, io raggiungo la mia
e vi noto una sostanziale novità: la targhetta appesa alla porta è stata
“barbaricamente” sostituita e vi è incisa la scritta “CLASSE 2ª B”, e la
vecchia e familiare targhetta è stata assegnata ad altri! Che ingiustizia!
La seconda campanella suona e nell’aula entra la professoressa di
matematica, la prof. Dell’Amore, accolta da tutti i ragazzi in piedi che
la salutano in coro: “Buon giorno prof.!”…
Un nuovo anno e una nuova avventura sono cominciati…
Jacopo
Il mio primo giorno di scuola e stato ricco di emozioni, sentimenti
e di allegria.
Appena entrata a scuola, rivedendo tutti i miei amici, le mie conoscenze, mi sono venute le lacrime agli occhi dalla gioia, ho abbraccia40
to tutti i miei amici, uno per uno, stringendoli forte per sentirli finalmente vicini dopo aver passato tutto quel tempo lontani.
Ero ansiosa di ricominciare la scuola,naturalmente ero molto preoccupata per quest’ anno sapendo che è duro e impegnativo mi sentivo
come inadeguata per questo grande compito che è fare la 2° media.
Però appena arrivata a scuola, vedendo tutti quei sorrisi amichevoli e
familiari, vedendo le occhiate di intesa dei miei amici, e capendo quante persone mi vogliono bene, mi si è allargato il cuore, in quel momento volevo solo essere me stessa, aperta, spontanea e solare, volevo stare
vicino a tutti i miei compagni e a tutte le prof. che, anche se le faccio
impazzire, so che ci tengono a me.
Dopo tutti quegli abbracci e quei saluti, mi sentivo a mio agio pronta pronta ad iniziare il mio anno scolastico!
Il primo giorno, giustamente, è stato di assestamento sia per noi che
per le professoresse.
Ci hanno spiegato un po’ le nuove regole, il nuovo sistema dei voti.
Tutte le prof. hanno cercato di essere il meno esigenti possibile per
farci un po’ sfogare la tensione del primo giorno: e così stato, infatti
dopo due ore passate con la prof. Dell’Amore, tutti noi di seconda ci
siamo ritrovati in una grande aula tutti insieme. Eravamo come un
grande uragano pronto ad esplodere, infatti abbiamo fatto molta confusione, però ci siamo divertiti, Purtroppo non abbiamo visto il film come
avremmo dovuto perchè la televisione era rotta, ma, con il nostro grande stupore, invece che ritornare nelle nostre classi, siamo stati a cantare e a divertirci per il resto delle ore scolastiche. Secondo me, è naturale avere paura all’inizio di un anno scolastico, è come iniziare una
nuova strada, un nuovo viaggio, dove puoi solo andare avanti.
Io all’inizio di ogni anno, anche se impaziente di ricominciare, ho
anche un po’ paura di essere schiacciata dall’enorme peso dei libri e dei
compiti, ho paura di non accontentare come dovrei i miei prof. e i miei
genitori e ho il terrore di prendere brutti voti, mi ricordo che fin dalla
seconda elementare, avendo una maestra molto severa, avevo paura di
ricominciare e volevo solo che la mia maestra si dimenticasse di me
lasciandomi fantasticare nei miei sogni di bambina,
Andando più avanti, crescendo, ho capito che non bisogna avere
paura, e bisogna solamente impegnarsi, niente di più per intraprendere
lo splendido viaggio dello studio.
Ma, anche se consapevole di questo, tutte le volte ho paura di iniziare la scuola.
Quest’anno ci sono state molte novità: per prima cosa i voti, questi
giudizi, sono diventati semplici numeri, essendo più grandi abbiamo
anche più distrazioni e, per noi, è sempre più difficile stare attenti quan41
do un argomento non affascina particolarmente, e poi, visto che siamo
in seconda, dobbiamo piano piano abituarci all’idea che i professori
non ci possono aiutare più come una volta e, ci sosterranno sempre
meno, perchè bisogna imparare a cavarsela da soli. Quando la Prof.
Dell’ Amore ci ha spiegato molto più appropriatamente queste cose, mi
sentivo piccola piccola e indifesa come una povera bimba che non sa
che fare, come reagire e come comportarsi di fronte a tutte queste
novità. Adesso, ripensandoci, mi viene solo da dire che debbo solo pensare di farmi forza che comunque, non sono l’unica ad affrontare questo percorso, tanti come me l’hanno fatto e lo stanno facendo o lo
dovranno fare, incontrando magari le mie stesse difficoltà o, facendo le
mie stesse osservazioni.
Consapevole che non tutto per forza deve piacere,sono anche
cosciente che molte cose nella scuola sono interessanti e piacevoli e
altre educative, sono anche divertenti.
Non tutto è pauroso, non tutto deve essere per forza duro o impegnativo a tal punto da far nascere timore dentro di temere la scuola. Ci
sono momenti di allegria, di armonia, dove si ride e si scherza.
Spero che in quest’anno più dell’anno scorso, io riesca a vincere i
miei limiti, a godermi questa avventura al meglio con allegria, forza di
volontà, attenzione, ma, soprattutto con la cosa che non mi manca affatto, la grinta.
In quest’anno, visto che l’inizio è stato positivo, ricco di emozioni
e di buoni propositi, spero che, durante questi mesi di scuola io riesca
a dare il meglio di me, riesca a fare capire quanto tengo a tutte le persone che ogni giorno mi sostengono e mi aiutano a partire dalla mia
migliore amica a finire alla prof. che mi sta meno simpatica.
Voglio impegnarmi!
Perciò se l’inizio è stato grandioso il finale non può solo che essere migliore!
Marianna
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PRIMA TAPPA:
L’IMMEDESIMAZIONE NELLA STORIA
DI JIM. IL PROTAGONISTA DE “L’ISOLA DEL TESORO”
Immagina di essere un inviato speciale di un quotidiano per il
quale devi scrivere un articolo che da conto della battaglia del
XXI capitolo e del suo esito finale.
ATTACCO AL FORTINO, VITTORIA SCHIACCIANTE SUI PIRATI: Assalitori costretti ad una repentina fuga.
ISOLA DEL TESORO-MAR…
Quando Long John Silver scomparve oltre la palizzata era chiaro
che l’attacco pirata sarebbe stato imminente e che gli uomini di Capitan
Smollett avrebbero dovuto adeguatamente prepararsi.
Da allora, qui sull’Isola del Tesoro si respira un’aria satura di attesa e l’atmosfera è colma di effimera tensione. Ogni minuto qui trascorre inesorabile e calmo, beffardo per chi attende la battaglia, favorevole
a chi gioca d’astuzia per schierare i propri uomini secondo la migliore
strategia d’attacco. Questo scontro tra pirati e onest’uomini, tra Long
John Silver e Alexander Smollett, tra il “Jolly Roger” e il “Union Jeck”
non è solo una battaglia per determinare chi entrerà in possesso di un
favoloso tesoro.
Per chi, come me, rende conto degli avvenimenti in tutto il mondo,
questa è un’occasione unica nella vita: fra poco assisterò ad uno scon43
tro che rimarrà nella storia, che contrapporrà non solo due schieramenti, ma due ideali: l’uno che vive di sregolatezze e atrocità, una vita imbevuta dal rum e da passioni corporali; l’altro che incarna un’esistenza
scandita da regole, adempiendo ai propri doveri, vivendo con onestà e
semplicità di cuore…
Un’ora è passata senza che i pirati si decidano a passare all’attacco… quand’ecco che una potente detonazione, proveniente dalla selva,
infrange il silenzio. Ad essa segue una carambola di spari, proveniente
da tutti i punti cardinali, ma diretti verso un unico bersaglio: il fortino.
I proiettili si susseguono incalzanti, senza che nemmeno uno di essi
penetri nel forte, ma, grazie ad essi si comprende come l’attacco principale provenga da Nord, lato più esposto e lungo, protetto solamente
dal Signor Trelawney e dal marinaio Grey.
Quando un unico colpo fa breccia nel lato Est, Joyce, che ne è il
difensore, risponde al fuoco senza rallegranti risultati, ma, proprio in
questo istante, un festoso urrà esplode nella boscaglia e gli assalitori si
mostrano in una confusa e scomposta nube, proveniente da Nord, e
come un sol uom iniziano a scavalcare la palizzata. Gli uomini del fortino premono ognuno il proprio grilletto e una prima scarica di colpi si
abbatte nefasta sui malcapitati pirati, ferendone due e mandandone un
altro riverso nella polvere.
Ma i loro sforzi sono vani, perché quattro manigoldi riescono a
penetrare nella cerchia delimitata dalla palizzata: molte acclamazioni
di sostegno giungono indistinte dai compagni, che si mescolano alle
frenetiche detonazioni provenienti dal fortino per abbattere i ribelli.
Un’atmosfera caotica aleggia in tutto il campo di battaglia grazie ad
un denso e cinereo fumo che avviluppa il fortino. I secondi che seguono sono ricolmi di grida sconnesse e gli esiti della battaglia sono confusi come la sagome dei superstiti. I miei occhi arrossati dal fumo
umido e bigio cercano di cogliere ogni minimo particolare, movimento o dettaglio che permetta di percepire le sorti della battaglia.
Dopo pochi secondi di confusa e intricata baruffa, finalmente compare il dottor Livesey che, coltellaccio in pugno, è all’inseguimento di
un pirata, ucciso con grande freddezza da un portentoso fendente in
volto. Anche Jim Hawkins appare dal grigio pulviscolo; egli è il più
giovane della spedizione, ma la sua giovane età cela grande coraggio,
che nuovamente dimostra schivando con agilità la lama di Job Anderson, anche se scivola, rotolando giù per il pendio. Improvvisamente
compare Gray al fianco del possente nostromo e, con grande rapidità,
lo accoltella uccidendolo mantenendo, così, intatto il suo onore nei
confronti del capitano.
In pochi attimi la coltre fumosa si attenua rendendo chiare le sorti
della battaglia e, così, lo scontro termina a favore degli onesti, pur es44
sendovi una grave perdita: la tragica morte di Joyce, trafitto da un
proiettile mentre serviva il suo amato padrone anche in questa temeraria impresa, rattrista i compagni.
Dall’altro fronte, però vi sono numerose perdite: ben cinque morti
e due feriti; ciò dimostra che l’audacia e il coraggio di chi si batte sempre per scopi alti e onorevoli sono sempre premiati, anche se a volte al
caro prezzo di una vita.
La calma e il silenzio sembrano tornati a regnare dopo il clamore
dello scontro, che, anche se non è stato risolutivo, è stato una vittoria
importante e…soltanto il buon esito di tante battaglie porta alla vittoria
della guerra!!
Per oggi è tutto,
dall’Isola del Tesoro… il nostro inviato Jacopo
Sono un inviato speciale del Corriere Cesenate e sono stato mandato dal mio giornale a seguire in diretta sull’isola del tesoro la furiosa e
cruenta battaglia fra il capitano Smollet e l’equipaggio a lui fedele e la
ciurma del pirata Long John Silver.
Smollett, che ha occupato da giorni il fortino e i suoi uomini, il
conte Trelawney, il dottor Livsey, Hunter, Joice, Gray, Jim, stanno
aspettando la comparsa degli avversari già da qualche tempo. Il capitano ha dato disposizioni precise ai suoi uomini per la difesa delle feritoie del fortino e le armi, una ventina di moschetti, munizioni e coltelli, sono pronte. Prima dello scontro il capitano Smollett, grande uomo
d’azione, rivolge parole di incoraggiamento ai suoi uomini sottolineando che anche se sono in numero minore, possono vincere poiché combattono al coperto e disciplinatamente; poi, nella calura della mattinata, mentre ogni cosa, compreso me, sembra liquefarsi al sole, comincia
l’attesa angosciosa dell’attacco.
Ad un tratto ha inizio la battaglia con una pioggia di fuoco da parte
dei pirati contro il fortino, a cui risponde colpo su colpo l’equipaggio
di Smollett, entrambi gli schieramenti sparano incessantemente: chi a
difesa del fortino, chi contro questo.
Si è sollevato un gran polverone, ma sono riuscito a vedere che nessuna pallottola è penetrata nel forte e non vi è alcun ferito da entrambe
le parti.
I pirati si sono dileguati nella foresta appena cessato il fuoco, probabilmente per prendere nuovi moschetti e per caricare quelli inutilizzati.
Essi non si sono arresi e il loro attacco continua, hanno solo cambiato tattica; infatti eccoli poco dopo assalire in gruppo il fortino. Ora
stanno scavalcando lo steccato, ma il capitano e gli altri hanno aperto
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il fuoco, un pirata è steso a terra, sembra privo di vita, mentre gli altri
due sono stati semplicemente feriti, vedo però che ben quattro pirati
sono riusciti a superare lo steccato incolumi. Le cose sembrano precipitare per i nostri. I quattro stanno correndo, sembra si stiano dirigendo verso la casa. Non riesco bene a rendermi conto di ciò che sta accadendo. Vedo fumo, sento urla, lamenti e spari ovunque.
Risuona la battaglia: i nostri sono riusciti a scappare dal fortino, si
combatte sia con pistole, che corpo a corpo, che con i coltelli. Il dottore Livsey è riuscito con un colpo di coltello ad uccidere il suo avversario, mentre Gray ha abbattuto il nostromo, Job Anderson.
La battaglia è terminata e la vittoria è di Smollet e dei suoi compagni.
Ho appena saputo che il povero Hunter è stato colpito da un pirata
e ha perso la vita, Joyce è stato ucciso da un colpo di moschetto, mentre Smollet è stato ferito.
Sfortunatamente nella battaglia sono morti due bravi uomini, però
grazie anche al loro valore il nostro equipaggio ha avuto la meglio sui
pirati di Silver, forse grazie a questa battaglia i nostri amici riusciranno
a tornare in Inghilterra.
Tommaso
Immagina di essere Jim che dentro al barile delle mele ascolta
Long John: immedesimati nei sentimenti del ragazzo mentre ascolta
i discorsi del vecchio pirata e inventa un finale per la tua storia.
…“mi sono portati in un posto dove non dovrei essere” mi dissi io
mentre mi trovavo sulla soglia della cabina del Capitano Smollett, “e
spero proprio che nessuno venga quaggiù prima che io me ne sia andato”. Mentre cercavo di tranquillizzarmi, dei passi pesanti e zoppicanti
si avvicinarono al barile del rum: era Arrow, ubriaco fradicio, ma
comunque per essere sicuro che non mi vedesse, mi infilai nel barile
delle mele, mentre il secondo di Smollett era impegnato a riempire di
alcol il bicchiere. Poco dopo un rumore di gruccia mi fece capire che
era entrato anche Long John: per fortuna che mi ero nascosto! Infatti
sarei balzato fuori per salutarlo, ma decisi di ascoltare ciò che diceva a
Israel il quartiermastro. “Io penso che il Capitano Smollett sia da eliminare insieme a tutti quei marinai d’acqua dolce che egli chiama fieramente ciurma”. In quell’istante dei passi stavolta leggeri e svelti, ai
quali seguì una forte pacca sulla spalla, si avvicinarono: mi sporsi dal
barile e riconobbi un giovane diligente che si chiamava Dick. “Caro
Dick” diceva Porco Arrostito “tu sei meglio di tutti gli altri fannulloni
che ci sono a bordo di questa bagnarola e sono sicuro che potresti
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diventare un ottimo cavaliere di ventura e che potresti unirti a me per
l’ammutinamento. Direi che il momento migliore per sbarazzarci di
quegli esseri schifosi sarà quando, sulla via del ritorno, ci avranno
riportato almeno negli alisei. “Dick rispose”: Ma quando avremo un
pugno il dottore e gli altri cosa ne faremo? “a questo punto Long John
rispose in un modo che mi fece rabbrividire:” Ecco uno che ha un po’
di senso pratico. Con la mia esperienza potrei dire che la cosa migliore è tagliarli a pezzettini in modo che non possano poi tornare come i
mostri del passato e rovinarci tutto. “Poi egli aggiunse”: Israel (il quartiermastro che era arrivato prima di Dick) prendimi una mela. “Pensavo
che quella sarebbe potuta essere la fine prematura di un ragazzo troppo
fiducioso in John, come lo ero stato io. Ecco però che, mentre Israel
infilava la mano nel barile, Dick soggiunse”: Lascia stare, Hands, che
quella roba è putrefatta. Andiamo a prenderci un sorso di acqua con
rum. “Per fortuna lo ascoltarono e io ebbi qualche minuto per riflettere. Pensai proprio queste cose”: E pensare che io mi fidavo di quell’uomo. Devo avvisare il Capitano Smollett. “Proprio mentre stavo
uscendo dal barile, il pappagallo di Long John cominciò a parlare”:
Intruso, iiiintruso! il Porco Arrostitosi affrettò a tornare dove prima stavano parlando e cercò dappertutto, tranne che nel barile delle mele. Ero
miracolosamente salvo e potevo continuare ad ascoltare i loro loschi
discorsi. Non feci in tempo ad origliare qualche parola che la fame atroce mi spinse a mangiare una di quelle luride mele. Per mia sfortuna il
picciolo cadde fuori dal barile ed Israel se ne accorse. Ecco che la mano
di Long John Silver mi tirava fuori dal barile tenendomi per i capelli.
In quel momento si udì forte e chiara la voce di Smollett:” Siamo attaccati!!” a qual punto i tre si precipitarono sul ponte, non prima avermi
mollato due schiaffoni che mi fecero svenire. Rimasi lì molto tempo e
quando mi risvegliai ero immerso in un’acqua rossastra, forse un misto
di acqua, rum e sangue. Salii sul ponte e lì trovai il Capitano Smollett
e i sopravvissuti che cercavano di medicare i feriti e scorsi Dick che
buttava in acqua i cadaveri dei morti. Stavo correndo verso il capitano,
quando mi accorsi che Long John mi seguiva, imbufalito. Mi inseguì
per tutta la nave, su e giù, col suono della gruccia che mi ricordava il
bastone di Pew. Mi infilai nella cabina di Arrow, dove John non mi
cercò più cercavo di stare il più possibile vicino al barile delle mele
perché dovevo recuperare un’altra mappa, quella dell’isola che non
avevo consegnato a Smollett. Mentre Long John e Israel giravano su,
sul ponte, io mi rinfilai nel barile e mi affrettai ad intascare la mappa.
Fu in quello istante che sentii un forte scossone, e poi un altro e mi
bastavano per capire che il mare era in tempesta. Sul ponte molti furono scaraventati fuori dall’Hispaniola ed anch’io, all’interno del barile,
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sfondai l’oblò di vetro e mi catapultai in mare. Fortunatamente la corrente mi spingeva verso l’isola (poiché eravamo molto vicini all’obiettivo) e fui rilasciato, non proprio dolcemente, sugli scogli: era dalla
parte opposta a quella dove dovevamo andare! Mentre l’Hispaniola
arrancava faticosamente sulle onde, io cominciai il mio viaggio all’interno dell’isola. Dopo giorni e giorni mi parve di sentire la voce di due
uomini: mi avvicinai e capii che erano Smollett e John, gli unici due
sopravvissuti. Mi unii a loro e mi raccontarono che l’Hispaniola era
affondata con tutte le mappe di Bill e che quindi non c’era più possibilità di trovare il tesoro. Credo che nessuno fosse mai stato più felice di
loro quando dissi che io mi ero tenuto la mappa dell’isola. Trovammo,
non so dove, la forza di cercare e di trovare il tesoro. Ci caricammo di
gioielli e collane e partimmo alla volta di una scialuppa che si era salvata dal naufragio. Mentre il cuoco ci raggiungeva, ed era ancora intento a raccattare oro, io e Smollett partimmo e lasciammo Long John
Silver al suo destino di traditore. Mentre navigavamo, trovammo molti
corpi, di cui due ancora mezzi vivi: erano i signori Livesey e Trelawney
che tornarono con noi in patria. Tutti fummo felicissimi di tornare a
casa e io mi precipitai all’“Ammiraglio Benbow” dove trovai mia
mamma occupata a servire ai tavoli. In fondo, Billy Bones era stato la
rovina della locanda, ma anche, grazie al suo tesoro, la salvezza della
mia famiglia perché non dovemmo affrontare problemi di soldi mai
più, mai più, mai più.
Giacomo
Jim, di fronte alle rivelazioni di Silver, si sente tradito da quello
che credeva essere un suo amico. Tu hai mai vissuto un’esperienza
simile, ti sei mai sentito tradito da un amico, come hai reagito?
Racconta.
Nel romanzo “L’ISOLA DEL TESORO” abbiamo visto come
Silver tradisce Jim, facendolo precipitare in un abisso di paura e di
sconforto.
Anche io ho provato questa esperienza sentendomi tradita da una
delle mie migliori amiche. Tutto
è iniziato quando ero in quinta elementare. Questa mia amica mi
era stata sempre fedele, era simpatica, ed era una delle mie più care
amiche. Un giorno le avevo rivelato un segreto molto importante per
me e lei aveva detto che non lo avrebbe rivelato a nessuno.
Il giorno dopo, alle mie spalle, l’aveva già rivelato alle femmine
della mia classe. Io ero molto felice di essermi confidata con lei, non
credevo che mi potesse tradire così.
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Un bel giorno, usciti in giardino, una mia compagna, decise di
dirmi la verità. Io all’inizio non ci volevo credere, mai e poi mai avrei
dubitato di un’amica così cara. Ma poi la rabbia che avevo dentro
esplose. Andai in contro a questa mia amica, e le dissi che noi due avevamo chiuso,che non le avrei mai più parlato. Lei fece finta di niente,
ma nel suo cuore lo sapeva bene il male che mi aveva provocato!
Insomma, quel giorno fu devastante, quasi tutti quelli della mia
classe si erano schierati contro di me, e mi facevano i dispetti. In quel
momento mi sentii triste, tradita, era come se volessi mandare indietro
il tempo per non essere mai stata sua amica.
Per molto tempo non ci parlammo più, se non per sgridare. Ma poi
lei disse che le dispiaceva, e io, anche se dentro di me avevo una gran
rabbia, da farle del male, ho trovato il coraggio di essere ancora sua
amica, perché anche le amiche sbagliano, e non credo che ci sia qualcuno di perfetto a questo mondo. Così anche lei confessò di non essere per niente brava a mantenere i segreti.
Da quel giorno noi due siamo ancora amiche, perché abbiamo riconosciuto di non essere perfette!!!
Ringrazio il Signore di avermi donato questa forza di perdonare la
mia amica. E ora siamo ancora compagne e felici, ci incontriamo in
parrocchia,anche se magari non siamo della stessa scuola.
Quindi, questa esperienza mi ha fatto capire che bisogna perdonare,non tenersi dentro la rabbia, si devono capire i difetti di ognuno di
noi, in questo caso della mia amica, e rimediare ai propri errori.
Noemi
Anche una mattinata scolastica può essere vissuta come un’avventura. Ti è mai capitato? Racconta.
Zaino pronto, merenda incartata e giubbotto infilato: così mi sono
diretto a scuola lo scorso sedici febbraio. Dopo cento metri di corsa arrivo davanti al mio istituto; i miei compagni mi osservano per un momento e poi ributtano lo sguardo su un quaderno ad anelli: è quello di matematica. Ancora due o tre minuti di ripasso delle radici e dovremmo entrare in classe per l’ennesima verifica di aritmetica. È veramente strano
vedere come il suono di una campanella comandi i movimenti di centoventi persone, ed è altrettanto strano che alcuni di noi siano contenti di
essere un’altra volta all’interno di quella classe, davanti ad un professore o ad una professoressa, chiedendosi se il risultato di quell’espressione
sarà giusto oppure ci sottrarrà mezzo voto nella valutazione finale. Ma
basta pensare alla riduzione dei voti, le verifiche bisogna pur farle:
aggancio con mano ferma e presa sicura la mia penna, e comincio questa nuova missione. Dei piccoli calcoli con le proprietà ne sbaglio uno,
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ma lo recupererò con i facoltativi. A proposito, qual è la radice quadrata
di 1,69? Comunque, dopo un’ora ed un quarto, il mio susseguirsi di
dubbi è finito: è ora di consegnare. Scrivo il nome sul retro e consegno
la mia verifica direttamente nella mano della prof. Dell’Amore. I miei
pensieri riguardano le cose di cui non sono sicuro: pazienza, se ho sbagliato qualcosa ci sono sempre gli esercizi facoltativi per recuperare. Ma
ancora per una mezz’oretta devo pensare ai numeri: ci attende la geometria! Non mi offro per correggere e mi limito a controllare la corretta
esecuzione degli esercizi, dando anche una sbirciatina alle regole delle
aree per essere preparato ad una eventuale chiamata alla lavagna.
Zoffoli, Vallone, Turchi… Mancano solo due minuti, anche questa volta
ce l’ho fatta. L’assegnazione del compito è quasi un sollievo dopo due
ore di calcoli continui. Ora è il momento della lezione di religione. Ci
alziamo tutti insieme quando da dietro la porta sbuca la faccia della prof.
Siete mai stati in seconda B all’inizio della terza ora? È come stare in
autostrada durante l’ora di punta: un continuo viavai di ragazzi che si
dirigono verso il bagno, ed è veramente difficile oltrepassare la porta
delle toilettes da quante persone ci si accampano davanti. Io preferisco
aspettare la ricreazione in modo da trovare meno fila. L’ora di religione
non è noiosa, anzi, accendiamo spesso delle discussioni su cose che
riguardano la vita di tutti i giorni. Non credo che esista coda più lunga di
quella che c’è a ricreazione davanti alle macchinette: anche qui infatti
sembra che in un quarto d’ ora la fila non diminuisca mai. La cosa più
strana è che se hai voglia di cioccolato, quello davanti a te prenderà
l’ultima scatola di cioccolatini, se volessi delle patatine, vengono esaurite proprio prima che tu inserisca i soldi nella macchinetta. Quando
invece quello che desidereresti è rimasto nel distributore, significa PER
FORZA che quel numero è fuori servizio. Così a stomaco vuoto mi avvio
mestamente verso la classe per… due ore di arte! La prof. Battistoni ci
propone di copiare un’immagine fatta con strumenti di precisione a
mano libera: bene, credo che in queste due ore mi divertirò. Mi pare un
sogno sentire che: “Per oggi niente domande di storia dell’arte”. Ma sì,
tra due settimane c’è la verifica, ripasseremo lunedì prossimo. Un’altra
campanella suona e noi pensiamo che sia finita un’altra giornata, ma è
solo un’illusione poiché ci spetta un’altra ora di disegno. Mancano solo
tre minuti e la prof. ci dice di metter via il materiale da lavoro. Il suono
della campanella avviene ben dieci secondi prima del previsto e per questo non siamo ancora pronti per uscire. Comunque, zaino in spalla e
giubbotto in una mano, mi avvio insieme ai miei compagni verso il portone d’uscita, ma anche qui si rischia di rimanere imbottigliati nel traffico dell’una ed un quarto. Io mi apposto sempre nel mio angolino, mi infilo il giubbotto e parto con passo svelto verso casa. D’altronde, ho appena affrontato cinque ore di avventura, o no?
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LA SECONDA TAPPA: LA GITA A ROMA
… “La gita a Roma, per me, è stata un’esperienza magnifica, ricca
di momenti molto significativi e belli. Sono cresciuta molto grazie a
questa esperienza, ho capito che con delle persone che ti aiutano e
vogliono farti diventare grande, puoi intraprendere un cammino fantastico. Da esse devi farti aiutare, farti tenere per mano e farti guidare nel
lungo e duro viaggio della vita. La gita, fatta di momenti bellissimi di
convivenza e di altri di ascolto avvenuto con la testa, ma soprattutto
con il cuore, mi ha fatto capire quanto sia bello essere circondati da persone, amici e insegnanti, che vogliono solo il tuo bene, vogliono farti
crescere e guidarti verso nuovi orizzonti, vogliono indirizzarti ala vita
futura facendoti maturare come persona”…
Marianna
“Il 29 e il 30 ottobre scorsi, la nostra scuola ci ha fatto immergere
nella Roma del 1500, portandoci in gita in questa bellissima città che
non si finisce mai di scoprire. Là abbiamo potuto respirare l’aria della
Controriforma e visitare i luoghi dei Santi che l’hanno realizzata… Ad
esempio la Chiesa Nuova, dove operò San Filippo Neri. Si dice che qui
Filippo fosse andato in estasi, alzandosi da terra, che emanasse calore
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dal suo corpo e che avesse il cuore così grande, per il dono dello Spirito
Santo, da averne due costole rotte…”.
Guido
… “A Roma il luogo che mi ha colpito di più è stato quello di San
Camillo, l’Ospedale di Santo Spirito in Saxia.San Camillo visse gli ultimi trent’anni della sua vita a Roma, dedicandosi alla cura dei malati. Era
il periodo del Rinascimento, tutti quelli che erano brutti e malati gravemente erano considerati meno di niente, invece Camillo li prese tutti con
sé e li portò all’Ospedale di Santo Spirito dove lui lavorò per ventinove
anni, servendo tutti i malati e facendo di tutto per salvarli…”.
Marco
… “La gita è stata un’occasione anche per conoscere un amico, don
Gabriele, che ci ha guidato nella visita alle varie chiese e ci ha spiegato la vita di alcuni Santi molto famosi, come San Filippo Neri e
Sant’Ignazio di Loyola”.
Camilla
… “La sera, prima di andare a letto, ho riflettuto sulla storia dei
Santi e ho capito che essi sono stati dei veri e propri riformatori della
Chiesa perché la loro storia di uomini che hanno cambiato radicalmente la loro vita dopo l’incontro con Cristo è stata di esempio per tutti gli
altri, avviando così un vero e proprio processo di riforma della Chiesa.
Io penso che questa gita mi sia servita molto per comprendere la storia
di questi Santi riformatori inoltre mi sono divertito a vivere un’esperienza così grande come quella di visitare la città di Roma e stare in
compagnia di amici e insegnanti…”.
Alberto
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LA GITA A ROMA
Partenza veloce e affrettata
verso quella che la nostra gita a Roma sarebbe stata.
Con trepidazione
siamo giunti alla stazione.
Arrivati alla Capitale
abbiamo provato un’emozione tale
che non si può immaginare.
Grandi verità del passato
sulle quali noi avevamo lavorato,
grandi sentimenti
vedendo le chiese e i loro intenti.
Dal “Gesù” siamo partiti
vedendo il corpo di Sant’Ignazio di Loyola stupiti
conservato nella sua meravigliosa cappella.
E che dire della mano di Francesco Saverio il Santo
che uomini, donne, bambini è andata battezzando?
Passiamo poi a San Filippo il Buono
della cui vita si stupisce uno,
egli leggeva barzellette rare
per non farsi dal suolo elevare.
Il giorno dopo a veder San Paolo siamo andati
e che fosse l’ultimo monumento ci siamo rattristati.
Dopo aver attraversato il gran cortile
e il portone non certo sottile
ci siamo trovati davanti alla statua dell’ Apostolo,
il tredicesimo, ma non certo l’ultimo.
Infine a casa siamo tornati
dai genitori da noi amati.
Gianluca
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TERZA TAPPA: L’OPEN DAY
LUTERO
SAN CARLO
BORROMEO
SAN CAMILLO
DE LELLIS
SAN FILIPPO NERI
SANT’IGNAZIO
DI LOYOLA
OPEN DAY: un’occasione per vivere la scuola da protagonisti.
Racconta come hai vissuto questo momento, sia nella sua preparazione che nel suo svolgimento. Esprimi poi il tuo giudizio su questo gesto.
Domenica 30 novembre, l’Open Day. Sin dalle elementari noi
ragazzi della F.S.C. abbiamo vissuto questo momento insieme alle
insegnanti, con preparazioni che iniziavano un mese prima.
Quando ero più piccolo ero inconsapevole e non capivo l’importanza di questa occasione e non avevo paura di sbagliare. In questo ultimo Open Day mi sono trovato molto in difficoltà.
Avevo paura di non essere all’altezza di questo momento e non mi
era mai capitato. Forse crescendo ho capito la vera importanza di questo momento.
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Noi ragazzi di seconda avevamo il compito di parlare delle emozionanti vite dei santi che vissero a Roma tra il XV e il XVI secolo. Io
dovevo esporre la vita di S. Camillo de Lellis.
Fu un personaggio molto importante perché fu il vero fondatore
della Croce Rossa. La particolarità degli Open Day alle medie è che
siamo noi a preparare ed allestire il tutto mentre alle elementari erano i
genitori che lavoravano (Mio babbo ha disegnato molti scenari
d’allestimento delle aule.
Con la prof. di arte abbiamo preparato i disegni sui santi che hanno
decorato i cartelloni dedicati ai vari personaggi. Con la prof. di italiano
abbiamo preparato i lavori di esposizione. Molti bambini e genitori
sono venuti a visitare la scuola e a osservare i nostri lavori. È molto
importante svolgere un buon lavoro per far fare bella figura sia alle
insegnanti che alla scuola.
Al momento dell’inizio eravamo tutti molto tesi, ma ognuno era al
suo posto, proto ad immedesimarsi nel ruolo da protagonisti ed affrontare la realtà con impegno e coraggio. Tutti abbiamo svolto un bel lavoro e abbiamo saputo affrontare con grinta gli imprevisti come il disturbo rumoroso creato dal microfono o la cinepresa a venti centimetri da
noi.
In questo Open Day mi sono veramente sentito protagonista e mi
sono immedesimato talmente tanto nella figura del mio santo che quando esponevo mi sembrava di essere nel XVI secolo e di curare i malati proprio come S. Camillo de Lellis.
Di questa occasione posso trovare alcuni aspetti positivi e altri
negativi. Per quanto riguarda gli elementi negativi, mi ha dato molto
fastidio avere una cinepresa a così poca distanza.
Io non amo mettermi in mostra, ma soprattutto non mi piace stare
al centro dell’attenzione. Per quanto riguarda gli elementi positivi è
stato sicuramente un’esperienza che mi ha aiutato molto a capire il vero
valore di questa manifestazione.
Ho riflettuto anche sul fatto che ho veramente fortuna a poter studiare in questa scuola con dei professori esperti che sanno spiegare
bene la loro materia.
Da questa esperienza ho anche potuto capire che sto crescendo e
non sono più un bambino, ma mi rendo conto che non sono neanche un
adulto e che ho bisogno della guida di persone più grandi.
Alessandro
Quest’anno, in occasione dell’Open Day, noi alunni di seconda abbiamo parlato di Lutero e di santi che hanno realizzato la Controriforma, approfonditi con la gita a Roma.
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Al momento delle ripartizioni delle parti eravamo tutti eccitati
anche se un po’ spaventati perché avevamo paura di ricevere argomenti difficili, quindi di non riuscire nell’esposizione.
A me e Giuditta la prof. aveva assegnato la gita a Roma, con la
ripresa dei vari luoghi ove operarono numerosi santi: San Camillo de
Lellis, Sant’Ignazio, San Francesco Saverio e San Filippo.
Inizialmente, se devo essere sincera, non mi piaceva molto la mia
parte, in quanto si prospettava molto difficile e faticosa, perché durante la gita a Roma non sono sempre stata attenta, in quanto un po’
distratta tra scherzi e risate e avevo timore che questo avrebbe influenzato la mia esposizione.
Durante la formulazione del mio discorso e di conseguenza dello
studio, mi sono ricreduta, perché mi veniva quasi naturale raccontare
un’esperienza vissuta personalmente e pensavo a quanto sarebbe stato
bello ed emozionante poter far capire a tutti, attraverso le descrizioni
dei luoghi visitati, la magia di quella gita.
Il grande giorno era finalmente arrivato e mi recai nella mia aula,
pronta all’esposizione. La cosa che mi tranquillizzava era che non ero
l’unica emozionata e un po’ spaventata e quindi non sarei stata, forse,
la sola a potersi confondere per l’agitazione e sbagliare.
Mentre turbinavo nella mia mente queste riflessioni non mi ero
accorta che l’Open Day era iniziato e che presto sarebbe toccato a me.
Entrata la mia mamma mi tranquillizzai… Poi entrarono anche il
resto dei genitori e allora incominciarono a tremarmi entrambi le
gambe.
Dopo poco tempo, Sabrina mi passò il microfono: era giunto il mio
momento, io ero protagonista della scena, tutti gli occhi erano su me.
Con la voce un po’ tremante iniziavo a esporre: mi concentravo
sulla parte e guardavo soprattutto mia mamma e la prof. Ricci; così
sarebbe stato più semplice, tutto mi pareva come un’interrogazione.
Finito il mio turno tirai un sospiro di sollievo e passai il microfono
a Silvia.
È stato un momento magico, rimarrà sempre nel mio cuore, come
una scritta indelebile. Dentro me era come se ci fossero un uragano di
emozioni belle e brutte che combattevano per prevalere.
Ma la cosa che non scorderò mai sarà l’immagine dei miei genitori che si interessavano alla mia esposizione.
È solo grazie all’interesse che essi hanno dimostrato, che posso dire
di essere stata fiera del mio discorso.
Costanza
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QUARTA TAPPA: IL CIRCOLO LETTERARIO
“Scegli una frase dal romanzo di Stevenson che sia rappresentativa della personalità di uno dei protagonisti o della situazione narrata. Commentala in riferimento al testo e spiega il motivo della tua
scelta”.
Il libro “Lo strano caso del Dottor Jekyll e del signor Hyde” di
Stevenson è appassionante, avventuroso e riesce a comunicare suspance nel lettore.
Infatti, Stevenson sa creare nel lettore una tensione spasmodica, ma
soprattutto, in questo caso, ci mostra quale maledetta trappola sia l’idea
di separare il bene dal male. Mi è piaciuto anche leggerlo, perché solitamente quei pochi libri che ho letto di Stevenson, non mi hanno colpito, ma leggendo questo, sono proprio rimasta incantata dalla bellezza delle tante descrizioni trovate. Leggendo il libro però, mi è rimasta
impressa in mente un frase, che ho anche ben sottolineato. Questa frase
è pronunciata dal dottor Jekyll nell’ultimo capitolo, mentre racconta il
modo e il motivo per cui si trasforma in Edward Hyde, bevendo una
specie di droga.
La frase dice: “Questo, a parer mio, deriva proprio dal fatto che gli
esseri umani, così come noi li incontriamo, sono un miscuglio di bene
e di male”.
Io ho scelto questa frase perché secondo me è quella più rappresentativa della descrizione d’Edward Hyde o del dottor Jekyll (come lo
vogliamo chiamare), ma rispecchia anche noi stessi. Secondo me questa frase è verissima, è giusta, perché anche per me la nostra anima è
come divisa in due parti, certe volte è buona e così noi di conseguenza
siamo generosi, gentili, coscienti di quello che stiamo facendo; mentre
altre volte il bene è come se dormisse, mentre il male è sveglio e noi
diventiamo all’improvviso cattivi, maleducati, non più coscienti di
quello che stiamo facendo.
Lo stesso avviene al dottor Jekyll, ma in modo un po’ diverso.
Il dottor Jekyll diventa crudele solamente dopo aver bevuto una
pozione, ma con quest’ultima, oltre a cambiare carattere, cambia anche
aspetto: da uomo ricco, ordinato, dotato di eccellenti qualità, diventa un
uomo magro, di statura molto bassa, con vestiti rozzi e fitti peli neri
sulle mani nodose.
A causa della pozione il passaggio dal bene al male accade in modo
diverso del nostro: il dottor Jekyll diventando più cattivo, cambia anche
aspetto, mentre noi anche se diventiamo cattivi, conserviamo il nostro
primitivo aspetto.
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Anche nel libro letto a scuola “L’isola del tesoro”, di Stevenson,
vediamo che ci sono due gruppi con due personalità diverse: abbiamo
la parte degli onesti, e quindi di Jim, che è composta da persone brave,
generose, che aiutano gli amici nei momenti più difficili, mentre abbiamo Silver e i pirati che sono solo dei grandi imbroglioni, persone di cui
si ha paura, persone di cui non ci si può fidare, che devono e che non
sono perciò coscienti di quello che stanno compiendo.
Un altro personaggio dalla doppia personalità lo abbiamo invece
visto l’anno precedente, quando abbiamo letto il libro di Tolkien “Lo
Hobbit”. Questo personaggio è Gollum, anch’esso con due diverse
caratteristiche: quella del bene e quella del male, ma in questo caso non
abbiamo nessuna trasformazione, poiché Gollum è come se avesse già
al suo interno due persone, infatti parla e fa domande a se stesso e subito dopo si risponde, ma quando risponde, usa parole cattive nei confronti dell’altra personalità che invece è buona; in lui possiamo vedere
un vero contrasto tra il bene e il male.
Mi è piaciuta molto questa frase, perché rispecchia anche noi, persone normali, oltre che il dottor Jekyll, sempre di Stevenson, e Gollum
anche se parliamo di uno scrittore diverso: Tolkien.
Rebecca
Leggendo il libro di Stevenson “Il
dottor Jekyll e mister Hyde” ho individuato un breve brano che fa capire le
caratteristiche di Hyde: “All’improvviso
vidi due figure: un ometto che arrancava
rapidamente e una bambina di otto o
dieci anni che arrivava di corsa da una
via laterale. Ebbene, giunti all’angolo i
due si scontrarono, ma a questo punto
accadde una cosa orribile; l’uomo calpestò tranquillamente il corpo della bambina e la lasciò in terra a gridare”. Questo
fatto è citato da Richard, cugino del protagonista, il signor Utterson. Esso vuole
far capire ai lettori la cattiveria e il cinismo di questo mostro nei confronti della
bambina. Hyde è la controparte del dottor Jekyll: mentre uno è dalla
parte del bene, una persona elegante, raffinata e gentile, l’altro è malefico, un mostro cattivo e brutto. Infatti Jekyll e Hyde sono la stessa persona, ma hanno un carattere totalmente diverso. Hyde, inoltre non fa
del male solo alla bambina ma compie due gravissimi delitti, uccide
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infatti un cliente di Utterson, Sir Danvers Carew e il dottor Lanyon, Il
quale muore a causa di uno shock.
Possiamo quindi capire che Hyde non è una persona, ma una bestia,
infatti anche il suo aspetto fisico, al contrario di quello di Jekyll è molto
brutto. Egli, infatti è un giovane molto basso e di aspetto ripugnante;
ma la cosa più strana di questo mostro non è la presentazione esteriore
ma è la personalità, di solito appare calmo e indifferente, poi di colpo
viene preso da attacchi d’ ira e diventa violento e crudele.
Inoltre non ama parlare con gli altri, e quando lo fa spesso è scortese e maleducato.
Ho voluto scegliere questo brano perché in questo libro mi ha molto
colpito Hyde, il quale è la stessa persona di Jekyll, ma con un animo
diverso.
Questo personaggio ci rivela come potremmo diventare se non riuscissimo a controllare la parte cattiva del nostro animo cioè andare più
in basso fino a suicidarci o ad uccidere persone innocenti.
Benedetta
Nel romanzo di Stevenson “Il ragazzo rapito” si parla di un giovane, David
Balfour, che, rimasto orfano, decide di
abbandonare il paese nel quale è sempre
vissuto per raggiungere uno zio che
dovrebbe garantirgli il futuro.
Lo zio però, non volendo privarsi di
ricchezze, che egli considera sue, a favore del nipote, cerca in tutti i modi di
disfarsi di lui, arrivando a farlo salire con
l’inganno su un brigantino che dovrebbe
portarlo definitivamente via dalla Scozia.
È dal momento in cui David entra in
casa dello zio che il romanzo si rivela
appartenere al genere dell’avventura, ma
è soprattutto da quando David sale sul Covenant, il bastimento di cui ho
appena parlato, che le sue peripezie si moltiplicano, fino ad arrivare alla
conclusione nella quale il protagonista riuscirà ad ottenere il riconoscimento di ciò che gli spetta.
“Il ragazzo rapito” è dunque un romanzo d’avventura e di questo
tipo di racconto ha tutti gli ingredienti: i buoni in lotta con i cattivi, gli
inganni, il mare e il naufragio, la guerra, la natura selvaggia. È però
anche una storia di amicizia.
Sul brigantino, infatti, David conosce uno strano personaggio che
lo accompagnerà in gran parte delle sue avventure e che stringerà con
lui un forte rapporto: Alan Breck.
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La frase che voglio commentare in questo testo, perchè mi sembra
significativa dei due personaggi e del loro legame, si trova nella seconda parte del romanzo e viene detta da Alan a David: ”Ci sono delle
volte in cui sei troppo prudente e Whig per stare in compagnia di un
gentiluomo come me, ma ce ne sono altre in cui ti dimostri un vero scapestrato, ed è allora che ti amo come un fratello”.
Mi immagino che per chi non ha letto il libro, questo enunciato
possa risultare poco chiaro, ma per chi conosce la storia esso riassume
sia le caratteristiche fondamentali di Alan e David sia l’intensità del
sentimento che li lega.
Se mai infatti ci sono state sulla Terra due persone diverse tra loro,
queste sono proprio David e Alan.
La loro diversità riguarda prima di tutto le scelte politiche in quanto David è un fedele suddito di re Giorgio, un Whig, mentre Alan è un
sostenitore di Giacomo II Stewart, per appoggiare il quale ha combattuto ed è diventato un ricercato.
David inoltre è un ragazzo onesto, cresciuto secondo una morale
rigorosa, un giovane che non beve, non gioca a carte, tiene al proprio
onore più che a qualunque altra cosa, è incapace di mentire e spesso va
incontro a dei guai proprio per la sua sincerità.
Alan è un adulto coraggioso e impulsivo, disposto a dare la vita per
i propri ideali, ma talvolta violento; è un uomo irascibile, che ha molta
stima di se stesso e che mette l’onore suo e del suo clan sopra ogni
cosa, che è capace di sacrificare la propria vita per David, ma che riesce anche a perdere tutti i soldi suoi e dell’amico giocando a carte.
Nel punto in cui Alan dice le parole che ho riportato sopra, i due
sono in fuga dai soldati di re Giorgio che li ritengono gli assassini della
Volpe Rossa, una spia scozzese che ha avuto loschi rapporti con gli
Inglesi e David, pur non avendo il coraggio di Alan, sceglie comunque
di seguirlo.
I due personaggi sono attratti l’uno dall’altro pur sapendo di essere
tanto diversi perchè vedono ognuno i pregi dell’altro, si stimano, sanno
di essere due persone d’onore.
David ammira il coraggio di Alan, la sua scaltrezza; Alan apprezza
l’onestà di David, i suoi tentativi di essere all’altezza dell’amico nei
momenti di pericolo.
Ma due personaggi tanto diversi sono inevitabilmente portati anche
a litigare e a discutere, a confrontarsi su tutto e anche ad offendersi
reciprocamente.
L’amore che c’è tra loro, però, sa vincere tutte le difficoltà: David
riuscirà nella sua missione e diventerà adulto anche grazie ad Alan e
quest’ultimo imparerà dal giovane amico il valore dell’amicizia.
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Quando alla fine della storia si lasceranno, proveranno un grande
dispiacere perchè sono troppe le cose che li hanno uniti ed in un certo
senso ben poco importanti quelle che li hanno divisi. Ognuno dei due
deve la vita all’altro, ognuno dei due ha dovuto rinunciare a qualcosa
per il bene del proprio amico e non sarà facile vivere lontani.
Questo libro appartiene ad un genere che non amo molto.
Nonostante ciò, esso mi ha appassionato abbastanza e sono riuscita, in maniera moderata, ad immedesimarmi nel protagonista, David, e
nel suo compagno, Alan.
Silvia
Io ho letto il libro “Il Master di Ballantrae” e per rappresentare il carattere
di uno dei principali protagonisti ho prelevato una frase dal contenuto del capitolo “Persecuzioni sopportate da M. Henry”, uno dei più discorsivi di tutta l’opera. La frase che ho deciso di commentare viene pronunciata proprio da M.
Henry nei confronti di suo fratello, che
sarà il suo nemico e antagonista per tutto
lo svolgimento del racconto. La frase è: “Ho già pagato tanto caro il
guaio d’avere un fratello perverso, che ho dovuto spogliarmi anche
della paura. Non rimane cosa in cui possiate colpirmi” In questo punto
del libro M. Henry si trova in una difficile situazione perché i soldi mancano e la proprietà di famiglia rischia di andare perduta. Egli ed il personaggio in cui si immedesima Stevenson, cioè il suo aiutante
Mackellar, sono gli amministratori di quelle proprietà e quindi in questo momento M. Henry è quasi disperato, costretto com’è anche a sopportare i continui sbeffeggiamenti del fratello. Infatti Giacomo, il fratello, gli rubava buona parte dell’oro di famiglia facendoselo inviare a
Parigi perché, come era solito dire, “anche lui doveva vivere” e per questo sfruttava i beni della famiglia Durrisdeer. Giacomo poi piano piano
si stava portando anche le attenzioni della moglie di M.Henry, con la
quale passava buona parte del suo tempo. Questa frase secondo me indica tutto il disprezzo che il protagonista nutriva per Giacomo, perché il
dire che l’aver avuto un fratello perverso l’aveva spogliato di tutto
significa che M. Henry aveva già vissuto e provato su se stesso tutte le
sofferenze che una persona può portare alla vita di un uomo felice e così
rovinarla. Giacomo era nato per deridere suo fratello e per portare tristezza nella sua famiglia, e questa frase mi dice che M. Henry, qualsiasi sbeffeggiamento avesse subito, sarebbe stato in grado di ribattere,
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poiché in nessun campo egli poteva essere colpito dal fratello nemico.
Ho scelto questa frase perché secondo me è come uno sfogo dell’odio
provato da M. Henry nei confronti di suo fratello, che dopo un’assenza
per via di una guerra era tornato tra le lodi di tutti per rovinare
l’esistenza al suo parente. Con questa frase vengono racchiusi tutti i travagli di M. Henry perché una vita vicino a suo fratello significava per
lui una vita di sofferenze.
Giacomo
QUINTA TAPPA: IL RACCONTO GIALLO
Secondo te qual è il metodo investigativo di Maigret?
Secondo me Maigret riesce a risolvere i casi che i superiori gli affidano, in quanto conosce l’animo umano e riesce a immedesimarsi nel
cuore i altre persone: in quello del criminale, in quello del testimone e
in quello della vittima. Egli sa ascoltare la gente, non si lascia innervosire anche se la persona che ha difronte è un po’ dura o antipatica, perché nella sua consapevolezza c’è che ogni cosa ha un motivo e perciò
se una persona è più “aspra”, lui riesce a risalire al motivo, a comprenderlo e a compatirlo.
Per risolvere i suoi casi preferisce dialogare con i sospettati piuttosto che cercare indizi o tracce su luoghi (criterio preferito dall’investigatore S. Holmes). Questo suo metodo si capisce anche quando non
prende appunti, sia perché non vuole far intuire alla persona che gli sta
difronte la sua ipotesi, sia perché ad un interrogatorio freddo e distaccato, preferisce un dialogo più umano e che mette più a proprio agio.
Egli non effettua un ragionamento logico e di deduzione, ma la
soluzione gli appare come intuizione inaspettata, mentre è rilassato, o
fuma la sua inseparabile pipa o chiacchiera con sua moglie o come nel
brano “La testimonianza del chierichetto”, febbricitante, rivive nei
ricordi la sua infanzia.
Ti piace più Holmes o Maigret?
La persona che più mi piace è Maigret perché è più umano e sensibile infatti quando riesce a scoprire un criminale non è contento e soddisfatto, non critica e non giudica ma è dispiaciuto per il male che c’è
nel mondo.
Holmes secondo me è una persona molto lontana e distaccata perché la sua ricerca non lo coinvolge umanamente, ma sfama soltanto il
bisogno della sua mente. Holmes viene considerato come un “genio”,
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un consulente che può risolvere ogni caso ed è reputato come un investigatore superiore agli altri. Senza la sua inseparabile “spalla”, l’amico
Watson, curioso, incredulo, stupefatto, risulterebbe meno gradevole. È
l’amico che mette le emozioni, lui solo la sua impressionante logica.
Maigret è una persona più semplice, che si dà meno importanza.
Holmes ritiene il suo lavoro la sua vita e senza di esso non vive perché ha bisogno di stimoli e di gratificazioni. Quando conclude un caso
non si emoziona, rimane freddo e assume “un’aria trionfale”. Per lui è
importante solo la logica e tratta persone e fatti allo stesso modo: elementi di un enigma.
Holmes è più distaccato dagli uomini, perché si basa solo sulle sue
capacità notevoli.
Maigret si serve della sua semplicità, del suo quotidiano e vive i
suoi casi. Holmes e Maigret sono accomunati dalla loro capacità di far
appassionare, ma il primo incuriosisce solo, mentre l’altro coinvolge.
Sara
Sapresti immaginare un finale diverso per il racconto “Barbaglio
d’Argento”? Calati nei panni di Conan Doyle e inventa.
Holmes era appena riuscito a risolvere il caso quando un oggetto sconvolse i suoi pensieri, era andato in bagno a
lavarsi le mani quando una piccola
lamella che scintillava ai bordi del
lavandino attirò la sua attenzione, la
prese in mano. Era un bisturi da chirurgo, ma allora perché c’erano due bisturi?
(uno trovato in mano al cadavere e
l’altro in bagno) Il ragionamento fatto
fin ora da Holmes filava: il cane che non
abbaiava perché conosceva Straker, il
bisturi usato perché voleva tranciare i
tendini del cavallo, la giacca che doveva
essere usata per fermare l’emorragia, il montone al curry, le pecore e
tutto il resto. Dove aveva sbagliato? A me aveva riferito prima di tutto
i fatti, ma ora questa cosa sconvolgeva anche me. L’investigatore guardava impietrito il bisturi. Subito allora iniziò a tutti i libri e gli attrezzi
per la medicina e la chirurgia che aveva Straker e notò qualcosa, o
almeno mi pareva. Aveva in faccia un’ espressione strana, felice e schifata allo stesso tempo. Gli avevo chiesto più volte di dirmi cosa aveva
capito, ma le mie domande rimasero senza risposta. Non so perché, ma
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aveva voluto esaminare la casa di Simpson e la sua attenzione era caduta sulla libreria e sul porta ombrelli in cui c’era un bastone torto.
Tornato poi alla scuderia, aveva dato una botta al cane ed esso non
aveva abbaiato, ma si era scosso tentando invano di ululare. Tutto questo mi aveva confuso. Dalle mie parti i cani abbaiano e mordono quando dai loro una bastonata, perché questo no? Il giorno dopo era quello
della corsa e si era presentato un cavallo diverso da Barbaglio d’
Argento per correre. Il cavallo era Arrivato terzo e il possessore dell’
equino era felice, ma voleva sapere da Holmes come erano andate le
cose. Allora Scherlok iniziò a parlare: “Tutti gli indizi all’ inizio mi
portavano a Sracker che voleva tranciare i tendini del cavallo, ma poi
il bisturi che ho trovato in bagno accostato al lavandino mi ha fatto
cambiare pista, infatti Sraker non è il colpevole, in realtà è stato
Simpson”. La polizia che si era man mano radunata vicino ad Holmes
aveva fatto una faccia annoiata, infatti fin dall’inizio gli agenti avevano pensato a lui. Scherlok riprese: “Infatti Straker era andato all’inseguimento di Simpson che aveva preso il bisturi di nascosto e aveva
tagliato le corde vocali al cane per non farlo abbaiare quando sarebbe
scappato col cavallo. Il montone al curry era un piatto perfetto dove
nascondere la droga, infatti Simpson aveva spiato molte notti cosa c’
era per cena prima di trovare il piatto giusto. In più un contadino qui
vicino si è ritrovato delle pecore azzoppate il che vuol dire che Simpson aveva fatto pratica su di loro, in più nell’ enciclopedia medica di
Straker manca un libro che è stato ritrovato a casa dell’ accusato e quel
libro è proprio quello che spiega la chirurgia. Probabilmente durante la
lotta contro Simpson Straker era riuscito a sottrargli il bisturi e Simpson aveva iniziato a colpirlo col suo bastone da passeggio e in seguito il cavallo ha dato il colpo di grazia. Durante tutto questo però Straker
è riuscito a ferire col bisturi la gamba di Simpson e ha permesso così al
cavallo di scappare. Infatti questo è Barbaglio d’Argento.” Disse con
un tono compiaciuto e riprese: “Basterà solo lavargli muso e zampe e
tornerà, ci sono domande?” Un poliziotto alzando la mano iniziò a parlare: “Si, ma come spiega la giacca e lo scontrino trovato nella tasca di
Straker?” Holmes allora disse: “Ho parlato con la famiglia del morto e
i parenti hanno detto che su quello scontrino c’è scritto il costo del
regalo per sua cugina che a lui era tanto cara e voleva renderla felice
per il compleanno, mentre la giacca sarebbe servita per fermare
l’emorragia”: Holmes aveva di nuovo risolto il caso, non mi aspettavo
però che la sua ipotesi finale coincidesse con quella della polizia.
L’importante però e che il caso fosse risolto.
Cristina
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Parla dei personaggi del romanzo “Dieci piccoli indiani” che ti hanno
particolarmente colpito ed esprimi un giudizio sul loro comportamento.
Nel romanzo “Dieci piccoli indiani”, fra i dieci invitati dall’assassino nel falso paradiso di Nigger Island, abbiamo anche la presenza di
due signorine: Emily Brent e Vera Claythorne, entrambe, come del
resto anche gli altri ospiti, hanno una colpa da scontare. Le due signorine hanno due caratteri, modi di fare ed atteggiarsi completamente
diversi fra loro; la signorina Brent è una vecchia zitella, rigida e moralista, ossessionata da una mania religiosa, si crede infatti uno strumento nelle mani di Dio, è estremamente seria e fredda, e non cerca di creare un legame per spezzare quella disarmonia che c’è tra lei e Vera, è
un’anziana donna completamente chiusa nel suo guscio, poiché si
crede superiore agli altri. La signorina Vera è invece una ragazza giovane, insegnante elementare di ginnastica, possiede un certo sangue
freddo, ma questo non significa che lei si sia chiusa in se stessa come
ha fatto la signorina Brent, Vera al contrario, cerca di socializzare, persino con Emily, e a differenza di quest’ultima sa provare pietà e si sa
commuovere di fronte alle morti degli altri ospiti. Possiamo quindi dire
che, la dolcezza di Vera urta contro la rigidezza e la freddezza della
signorina Brent; avendo così entrambe due caratteri diversi, esse
affrontano i rimorsi per le loro colpe in modi diversi. Emily Brent, è
stata accusata di aver provocato la morte di una ragazza, Beatrice
Taylor; mentre Vera è stata accusata dalla Voce del grammofono di aver
ucciso un bambino di nome Cyril. Quando, all’inizio della storia, la
Voce dal tono sovrumano e spassionato accusa Emily Brent di aver
ucciso Beatrice Taylor, la vecchia zitella rimane sulle sue, e inizialmente non dice a nessuno, i motivi del decesso di Beatrice, però una
mattina( la stessa in cui muore il Generale), mentre lei e Vera erano
uscite insieme per una passeggiata, noi lettori, capiamo meglio e
approfondiamo, ciò che è successo a Beatrice, del resto l’autrice, col
procedere della storia, fa scoprire al lettore le colpe di ogni personaggio. La signorina Taylor lavorava a casa della signorina Brent, e sebbene sembrasse una ragazza per bene, in realtà rimase incinta fuori dal
matrimonio, e questo suo “sbaglio” non le venne perdonato né dai suoi
genitori, che probabilmente erano rigidi e moralisti come Emily Brent,
né da quest’ultima, e Beatrice Taylor venne cacciata sia dalla sua casa,
che da quella della signorina Brent. La ragazza, disperata e sconvolta
per essere stata abbandonata da coloro che le stavano vicino, si suicidò
gettandosi in un fiume. La signorina Brent, però non si commosse, e
non provò rimorsi per quello che era successo, pensava infatti, che
fosse quella la giusta punizione per Beatrice. Esaminiamo ora la colpa
della signorina Claythorne, ella era infatti al servizio come babysitter
presso una famiglia, e il bambino di cui si doveva occupare, sebbene
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fosse molto più piccolo era destinato ad ereditare un ricco patrimonio
lasciatogli dal padre. Inizialmente, prima della nascita del bambino, si
pensava che il patrimonio dovesse andare a suo zio, ovvero ad Hugo,
che in questo modo avrebbe potuto sistemare la sua situazione economica, ma poi era nato Cyril… e questo aveva cambiato le cose. Hugo
non provava rabbia o odio per il nipote,
per lui questi sentimenti non esistevano,
sapeva solo provare amore, affetto,
come i profondi sentimenti, gli stessi
che provava per Vera, i due infatti si
amavano. Vera voleva solo il bene di
Hugo, per questo, quando l’insistente
voce di Cyril le aveva chiesto(per
l’ennesima volta): “Signorina Claythorne, signorina Claythorne, posso nuotare
fino agli scogli?” Lei aveva risposto di sì
senza pensarci due volte, del resto era
già tutto pianificato, come poteva andare storto qualcosa? Quando poi Cyril
stava annegando, Vera si era tuffata in
mare per cercare di salvarlo, ma aveva
nuotato apposta troppo lentamente, e
non era riuscito a salvare il piccolo, ma Hugo aveva capito tutto, aveva
visto negli occhi della sua amata un guizzo, e per quanto Vera non fosse
oggettivamente sospettabile(non c’erano prove contro di lei), Hugo
l’aveva lasciata, era vero, che dopotutto aveva bisogno di soldi, ma non
voleva la morte di Cyril. A differenza della signorina Brent, provava
rimorsi per quello che era successo, per il fatto di aver ucciso un bambino e di essere stata abbandonata da colui che amava di più. La signorina Brent rimane chiusa nel suo guscio, impassibile, ma vediamo in lei
un cambiamento, che avviene nel corso della storia, soprattutto prima
di essere uccisa. A questo punto, viene da porgersi delle domande, sia
sull’uno che sull’altro comportamento, per esempio: Vera che aveva
provocato la morte di Cyril, per favorire Hugo, provava vero amore per
quest’ultimo? Oppure, la religione della signorina Brent, era veramente una religione, oppure era un modo per Emily di vivere secondo certe
regole la fede in Dio, tanto da esserne ossessionata? È vero che la
signorina Brent non prova rimorsi per ciò che era successo a Beatrice?
Per trovare una risposta a questi quesiti è necessario confrontare i due
personaggi. Da una parte abbiamo infatti Vera che è dolce, e prova
rimorsi per ciò che ha fatto, per il suo amore verso Hugo, e dall’altra
abbiamo la rigida e moralista signorina Brent, che rimane impassibile
davanti agli avvenimenti, tuttavia non li vive in modo passivo, come il
Generale Macarthur; e secondo lei, le improvvise morti avvengono per
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un giudizio divino. Ora per rispondere, esaminiamo il caso di Vera: lei
amava Hugo, persino da uccidere un bimbo per lui, ma se lo avesse veramente amato, avrebbe accettato e condiviso l’affetto di Hugo per Cyril e
la sua situazione di povertà, questo significa che per lei quell’amore, non
era altro che un’ossessione, una semplice infatuazione, un falso amore,
così come per la signorina Brent, il discorso sulla religione e sul suo
credo, che l’aveva spinta a chiudersi in stessa come una cozza e a rimanere impassibile davanti alle situazioni, tanto da spingere una giovane
ragazza a uccidersi, solo per il fatto di essere incinta. Quella della signorina Brent, può essere chiamata come mania religiosa, essendo una falsa
religione, basata sulle sue rigide regole morali, è infatti un’ossessione,
che la signorina Brent denomina religione. Infine, è giusto dire che inizialmente, la signorina Brent non voleva pensare a Beatrice Taylor, però
nel corso della storia, i suoi pensieri sono sempre più rivolti all’ex cameriera, tant’è che il ricordo della morte di quest’ultima è il suo ultimo pensiero prima di morire, possiamo quindi dire che anche questa è una
forma di rimorso, ovvero il ricordare cos’era successo. A mio parere, le
due figure, sebbene abbiano due caratteri diversi fra loro, hanno un
punto in comune, ovvero un’ossessione, per la quale compiono un omicidio, e anche se preferisco i modi di fare della signorina Claythorne, ciò
non significa che essa non sia una figura negativa, come la signorina
Brent, tuttavia entrambe non sono riuscite ad uscire dalla loro negatività
per trasformarla in positività, venendo uccise per mano di un assassino,
non sono riuscite a redimersi per ottenere la salvezza dal loro errore.
Costanza
SESTA TAPPA: IL CONCORSO STEVENSON E GITA A FIRENZE
Il lavoro sul romanzo d’avventura è sfociato nel concorso letterario e artistico su Stevenson e nella bella gita a Firenze.
Ripercorri le fasi per te più significative del lavoro e parla del
momento più emozionante dell’uscita.
Il giorno 27 marzo 2009 siamo andati in gita a Firenze per partecipare al concorso su Stevenson.
Siamo partiti presto ed è stata una giornata lunga e stancante, ma ne
è valsa la pena, perché siamo tornati a casa vincitori.
Tutto era partito all’inizio dell’anno scolastico, quando la professoressa di italiano ci avvisò che per il primo quadrimestre avremmo letto
“L’isola del tesoro” di Stevenson.
Devo ammettere che la lettura del libro non mi entusiasmava, anzi
detesto particolarmente i libri di avventura, tuttavia, il romanzo letto in
classe non mi è dispiaciuto così tanto.
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Tornati dalle vacanze di Natale la prof. ci spiegò il progetto per il
concorso di Stevenson e ci iniziò ad aiutare nella scrittura del racconto
d’avventura.
Esistevano due tipi di concorso: quello scritto e quello grafico.
Alcuni della nostra classe avevano deciso di partecipare al concorso grafico, mentre io con i miei quattro compagni decidemmo di scrivere un racconto.
Iniziammo con la descrizione del luogo principale in cui si sarebbe
svolta la nostra storia: un’isola.
Ci trovammo tutti insieme un pomeriggio e in quattro ore scrivemmo solamente dieci righe e da lì capii che non sarebbe stata una passeggiata.
Per fortuna la descrizione andò bene e riuscimmo a prendere anche un bel voto.
Ora la cosa che mi preoccupava tantissimo
era la consegna del racconto di avventura.
Continuavo a guardare sul diario e giorno
dopo giorno mi accorgevo che quella data si
avvicinava sempre di più.
Infatti Martedì 20 gennaio arrivai a scuola
con il racconto dentro allo zaino spaventata dal
risultato che avremmo ottenuto.
Ero sicura di aver fatto un buon lavoro e
sapevo di essermi impegnata in tutto e per tutto
nello scrivere quel racconto, quindi quando vidi
l’8 scritto a penna rossa sopra alla pagina finale del racconto, tirai un sospiro di sollievo, ma
in fondo mi resi conto che era un voto meritato.
Da lì iniziò l’attesa per la partenza verso Firenze.
Il 27 marzo appunto, alle ore dieci circa, entrammo nel teatro
Odeon, e rimasi affascinata dalla bellezza di quel posto.
Dopo una breve pausa e una lettura recitata iniziarono ad annunciare i vincitori.
Prima premiarono il concorso d’inglese, poi le tesine e poi arrivò il
momento per cui ci trovavamo lì: la premiazione dei racconti d’avventura.
Il cuore iniziò a battermi forte, avevo caldo, caldissimo e mi sentivo le guance infuocate.
Guardavo la prof che era seduta vicino a me notavo la sua espressione tesa, e fu così che iniziarono a fare i nomi dei vincitori.
Prima consegnarono le quattro menzioni d’onore, poi iniziarono a
chiamare i tre racconti arrivati sul podio.
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Quando per il terzo posto chiamarono un’altra scuola fui presa da
un grande sconforto.
Poi, mentre leggevano la spiegazione del racconto del secondo
posto, vidi il volto della mia prof illuminarsi e vennero pronunciati i
nomi di alcuni ragazzi della sezione B.
La felicità era al massimo, vedevo la gioia negli occhi delle prof. e
dei miei compagni.
Ero contentissima, eravamo contentissimi!
Mentre scendevano dal palco, dopo avere ritirato il premio, iniziarono a descrivere il racconto che era arrivato al primo posto.
Ormai noi non ci
pensavamo neanche
più eravamo contenti
già così, ma finita la
spiegazione la signora
che aveva diretto le
premiazioni annunciò:
“un applauso a Francesca Pizzi, Federica
Remor, Ilaria Gasperoni e Colaci Sabrina!” io mi sentivo veramente fuori di testa.
Primo premio a livello nazionale: Sabrina Colaci,
Quattro mie comIlaria Gasperoni, Francesca Pizzi, Federica Remor
pagne di classe erano
arrivate prime ad un concorso a livello nazionale al quale partecipavano
più di centoventi racconti!!
Iniziai ad urlare correndo incontro alle mie compagne e, abbracciandole forte, mi resi conto che mi mancavano le forze.
Ero contentissima, più di felice, vedevo le mie grandi amiche salire sul palco e non potevo fare altro che provare una gioia immensa.
Loro che erano le mie inseparabili amiche dalla prima elementare
erano là sul palco vincitrici di un concorso nazionale!
Ero fiera di loro, ci mettemmo tutti ad urlare e le nostre voci rimbombavano nel teatro.
La cosa più bella è che era una vittoria più che inaspettata, tanto che
anche loro ci misero un po’ di tempo per rendersene conto.
Quando ci fummo calmati premiarono i disegni, ma eravamo troppo felici per seguire il resto della premiazione.
Anche se il mio gruppo non aveva vinto mi resi conto che non ero
dispiaciuta, anzi ero felicissima per le mie amiche!
È stata un’esperienza fantastica che mi ha dato tanta fatica, ma che
mi ha ripagata portandomi tantissima gioia!
Sara
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A dicembre scorso la professoressa d’italiano, Ricci, si presentò una
mattina in classe e ci propose di partecipare a un concorso letterario
nazionale su Stevenson, l’autore del romanzo “L’Isola del tesoro”, che
stavamo leggendo insieme in classe. Chi desiderava aderire avrebbe
potuto scegliere la sezione racconto e in quel caso avrebbe dovuto
inventare un racconto d’avventura, oppure quella artistica, per la quale
si sarebbe dovuta rappresentare graficamente una scena che descrivesse
la personalità di un personaggio di un romanzo di Stevenson. Avremmo
quindi dovuto dividerci in gruppi, scegliere tra le due tipologie di concorso e leggere uno dei romanzi di Stevenson proposti dalla prof.
Io, senza esitare, decisi di partecipare al concorso letterario insieme
ai miei compagni Riccardo, Jacopo, Alberto e Giacomo. Decidemmo di
concorrere per la sezione racconto, così ci mettemmo all’opera leggendo ciascuno un libro diverso di Stevenson per capire il suo stile e per
cercare di trarre qualche idea per il
nostro racconto. Io e Alberto leggemmo “Lo strano caso del dottor
Jekyell e di mister Hyde”, Jacopo lesse “la Freccia nera”, Riccardo
“Rapito” e Giacomo “Il conte di Ballantrie”. Tutti trovammo le nostre
letture molto interessanti, poi una mattina in classe relazionammo i
libri letti e li confrontammo e commentammo con l’aiuto dell’insegnante. Il lavoro diventava sempre più appassionante.
Successivamente cominciammo a trovarci un pomeriggio o due alla
settimana a casa ora di uno ora dell’altro per iniziare il nostro testo.
Prima decidemmo la storia e ci accordammo sulla vicenda di cinque
ragazzi che si mettevano in cerca del tesoro dei loro padri mai conosciuti, cercando anche le loro origini, poi pensammo di dividerla in
capitoli per ricavare una bella storia avvincente.
Inizialmente eravamo molto indecisi sul racconto da scrivere e non
avevamo la minima idea di come iniziare, quindi procedevamo molto
lentamente, anche perché ci distraevamo facilmente, ed essendo in cinque, non riuscivamo ad accordarci.
Però, finito il secondo capitolo, miracolosamente ci venne l’ispirazione decisiva, così velocemente correggemmo il lavoro fatto e proseguimmo a gonfie vele.
Dopo circa quattro incontri eravamo giunti quasi alla fine del racconto, infatti mancavano ancora cinque pagine, ma, anche se queste
erano le più facili, si avvicinava il giorno della consegna, infatti dopo
sei giorni avremmo dovuto consegnare il testo completo alla prof., così
ci facemmo prendere dal panico. Fortunatamente, Jacopo, il saggio del
gruppo, suggerì che ognuno di noi scrivesse una pagina per conto proprio, poi negli ultimi due incontri avremmo assemblato e corretto il
tutto.
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Noi lo ascoltammo
e grazie al suo consiglio superammo l’ultimo problema e, soddisfatti, il giorno stabilito consegnammo il
nostro racconto. Eravamo molto contenti
del lavoro svolto, e
un’ulteriore soddisfazione venne quando, a
casa con lo streptococSecondo premio a livello nazionale: Tommaso Zoffoli, co, seppi da mia mamJacopo Calzoni, Alberto Vallone, Giacomo Mazzotti,
ma che la prof. Ricci
Riccardo Consalici
ci aveva dato dieci.
Venerdì 27 marzo, ci recammo a Firenze per assistere alle premiazioni.
Partimmo alle sei, dopo tre lunghe ore di viaggio giungemmo a
Firenze e ci recammo al luogo dell’incontro, sfortunatamente arrivammo in ritardo e, oltre a doverci sedere per terra tutti ammassati, il relatore aveva appena finito di parlare del dualismo dell’uomo raccontato
da Stevenson nel libro da me letto “Lo strano caso del Dr. Jekyell e di
mister Hyde”.
Dopo una breve pausa la giuria iniziò ad elencare i nomi dei classificati per ogni lavoro e dopo qualche tempo giunse il turno della nostra
categoria.
Essendo settecento i partecipanti, io non pensavo che saremmo mai
arrivati tra i primi tre.
Ad un certo punto il giudice di gara iniziò a leggere la motivazione
della scelta del secondo racconto classificato, e stando molto attento,
sentii che in pratica quello che stava leggendo coincideva con il nostro
racconto, poi quando vennero pronunciati i nomi: Jacopo Calzoni,
Riccardo Consalici, Giacomo Mazzotti, Alberto Vallone e Tommaso
Zoffoli rimasi per un attimo di stucco, quasi inebetito, e quando capii
che eravamo arrivati veramente secondi saltai addosso ai miei compagni gridando. Anche tutti i miei compagni di classe strillarono e fecero
una gran confusione.
Allora salimmo sul palco e quando fui lassù ero emozionatissimo e
molto felice, poi quando annunciarono i primi classificati la nostra
gioia e quella dei nostri amici crebbe ancora di più poiché le prime
furono delle ragazze dell’altra sezione.
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Con questa grande gioia ed emozione nel cuore terminammo la
nostra gita visitando il grandioso palazzo Pitti e riposandoci un po’nel
giardino dei Boboli, anch’ esso stupendo.
Poi alle otto tornammo a casa e quando dissi la notizia ai miei genitori si congratularono con me.
Così dopo quella lunga e faticosa giornata andai a dormire con il
sorriso della vittoria sulle labbra.
Tommaso
Il romanzo di Stevenson: “L’isola del Tesoro” ci ha accompagnato
ed ispirato in questo lungo cammino di circa quattro mesi che si è concluso con la visita a Palazzo Pitti a Firenze e con un concorso tutto dedicato allo scrittore inglese. La prof. Ricci ci ha aiutato facendoci capire bene ogni capitolo del racconto per interpretare ed assimilare al
meglio tutto quello che ci sarebbe stato utile per il concorso. Infatti,
divisi in gruppi, dovevamo scrivere un racconto di dieci pagine totalmente ispirato al romanzo di Stevenson e, soprattutto, totalmente
nostro, inventato. Il mio gruppo era formato da: me Tommaso, Riccardo, Alberto e Jacopo; ero veramente contento di avere loro quattro
come compagni di lavoro. Trovandoci ogni volta a casa di ognuno di
noi, abbiamo scritto questo racconto, che avrebbe poi portato il “Sacro
Cuore” sui due gradini più alti d’Italia. Così la marzo siamo partiti di
buon ora per recarci a Firenze, dove avremmo saputo se il nostro lavoro e la nostra fatica avrebbero fruttato. Una delle fasi più significative
di quest uscita è stata senza dubbio l’entrata nel cine-teatro Odeon:
mentre gli altri erano già seduti comodamente sulle poltrone, noi, arrivati con qualche minuto di ritardo, ci siamo accasciati a terra stanchi
per la lunga camminata. Dopo circa due ore di interessanti interpretazioni dei romanzi di Stevenson, finalmente sono arrivate le premiazioni. “Ed ecco, per la sezione racconti…” a queste parole Tommy mi
disse: “Cosa speri, Mazzo, mancano solo il primo ed il secondo premio…”. Io lo rassicuravo, ma lui rimaneva comunque quasi senza speranza di vittoria. Le varie parti del giudizio che gli esperti di Stevenson
sottolinearono ci fecero venire un presentimento: “E se fossimo noi”?
L’ultima frase ci convinse e noi esultavamo già prima che il giudice
proclamasse i nostri nomi. Così, scortati da Filippo Turchi e dal suo
solito “Vai raga!” salimmo sul palco tra un’ovazione generale. Si sentivano ben pochi fischi: o le altre scuole erano molto leali, oppure, (e questo è più probabile) non li sentivamo a causa dell’infernale tifo da stadio, un rombo di tuono che proveniva dalla curva sud… cioè, volevo
dire dal fondo del cinema, dove c’erano i nostri compagni! Tornammo
al nostro posto e scoprimmo che tutte e due le seconde erano festose e
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felici per il nostro successo. Ma le emozioni per noi non erano ancora
finite: infatti le prime classificate sono state quattro ragazze della 2A!
L’uscita si è conclusa con la bellissima visita a Palazzo Pitti, ma soprattutto con lo stupendo giro all’interno del giardino dei Boboli: con il
caldo che faceva, anch’io come i Medici avrei voluto riempirla per
avere una vasca da bagno gigante! Verso sera siamo risaliti in pullman
per tornare a Cesena: io avevo informato i miei genitori del successo,
ma probabilmente l’aveva fatto anche un mio compagno, poiché suo
babbo ci ha accolto con n mano il cartello “CAMPIONI!” così mi sono
avviato verso casa, ancora incredulo per il fantastico bis ottenuto dalla
nostra scuola.
Giacomo
La mattina del 27 marzo mi sono svegliata emozionata perchè sapevo che avrei trascorso una bellissima giornata a Firenze in compagnia
della mia classe e dell’altra seconda e che avrei avuto la possibilità di
vincere il concorso letterario e artistico su Stevenson.
Sui romanzi dello scrittore avevamo fatto un lungo lavoro durante
il quale la nostra professoressa di italiano era riuscita a darci molte
spiegazioni interessanti.
Alla fine ci ha proposto di partecipare ad un concorso con un lavoro di gruppo.
Io e alcuni miei compagni abbiamo lavorato con passione, mettendo nelle avventure che raccontavamo molto di noi e di quello che avevamo imparato e ispirandoci dunque alla produzione del grande Stevenson.
È stata l’occasione per passare alcuni pomeriggi insieme in modo
diverso e creativo e ognuno di noi ha dato il suo contributo.
A Firenze sapevamo che avremmo ascoltato un esperto appassionato dei libri di Stevenson e immaginavo che sarebbe riuscito a raccontarci in modo più approfondito i romanzi mettendo in evidenza le cose
più importanti.
Infatti fu proprio così.
Peccato che arrivammo in ritardo e perciò non riuscimmo ad ascoltare tutto ciò che venne spiegato.
Comunque mi colpì molto il signore che narrò parte dell’Isola del
Tesoro e, nonostante il modo in cui narrava il romanzo fosse un po’
buffo, compresi quello che voleva comunicarci.
In seguito ci fu la premiazione: prima sui racconti scritti in inglese,
poi sulle tesi, poi sui racconti in italiano e infine sui disegni.
Io e il mio gruppo non abbiamo vinto però sono stata molto felice
per i miei compagni i quali, invece, ne hanno avuto la possibilità, ma
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soprattutto perchè ho avuto l’opportunità di conoscere uno scrittore a
me sconosciuto e di leggere due dei sui romanzi e di ampliare le mie
conoscenze e la mia cultura.
Dopo la premiazione siamo andati a mangiare e in seguito siamo
andati a visitare la residenza estiva del Granduca di Toscana: Palazzo
Pitti.
Le pareti del palazzo sono tutte affrescate e al suo interno si trovano i molti doni che i principi e i duchi di tutta Europa fecero anni fa alla
famiglia dei Medici.
Attorno a Palazzo Pitti si estende un meraviglioso giardino
(Giardino di Boboli) nel centro del quale si trova una grande fontana e,
più avanti, grandi gradinate.
Tutto questo paesaggio è avvolto dal
verde e ciò lo rende
come incantato.
Mi sarebbe piaciuto vivere nel 1600 per
passare un’estate in
quell’edificio favoloso e soprattutto per fare di nascosto il bagno
nella fontana, fingendo di essere la regina
di Francia (visto che
Boboli si ispira al giardino di Versailles).
Non c’è stato un momento di questa giornata che mi abbia particolarmente emozionato, ma posso dire che le emozioni si sono susseguite l’una dopo l’altra e che alla soddisfazione di veder premiati i miei
amici si è aggiunta anche quella di visitare un posto di favola.
Silvia
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Lo scandaglio della parola
(Laboratorio di scrittura classi Terze)
LA PAROLA POETICA
Una lezione particolare: il valore delle parole
Per introdurci alla poesia, la nostra insegnante di italiano ha pensato di chiedere al professore Mariani, insegnante di Italiano e Latino al
Liceo della Fondazione, di farci una lezione sul significato della parola. Durante la sua conversazione ci ha spiegato che la parola deriva dal
termine parabola: un racconto dove è nascosto un legame con un significato più profondo.
Il legame tra una parola e un oggetto è un legame libero, ma non è
casuale; ciò vuol dire che tutto è collegato e niente è casuale, proprio
per questo l’italiano è una lingua che deriva dal latino.
Gli inventori delle parole non sono quelli che le creano, ma sono
quelli che le trovano, perchè a creare è solamente Dio.
Questa cosa che il professore ci ha detto mi ha colpito molto perché, pensandoci bene, tutte le parole non sono a caso e si possono
ricongiungere a una parola latina, questa è anche la ragione per cui, noi
ragazzi di terza media, abbiamo incominciato già dall’anno scorso a
studiare la lingua latina.
Un esempio che il professore ci ha fatto è questo:
dicendo a una ragazza “Sei il mare” le dici molto più che “Esci con
me”, usando pur sempre tre parole. Sei il mare può significare che quella persona è come il mare, cioè come il mare è
-infinito, immenso
-meraviglioso
-tempestoso
-profondo
-tranquillo
-bello
-inquieto
così lo è quella persona
Questo esempio ci fa proprio
capire come è fatta la poesia.
La poesia ha un andamento diverso dal discorso normale o dal
discorso dei romanzi perchè si usano metafore, similitudini e altre figu-
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re retoriche, grazie alle quali possiamo conoscere più profondamente la
realtà.
Come nell’esempio precedente, gli aggettivi nascosti dentro la
metafora “sei il mare”, riescono a farci capire come è la persona a cui
ci si riferisce.
Secondo me la lezione con il professore Mariani ci ha aiutato a comprendere meglio che la poesia ha sempre un significato più profondo.
Margherita
A confronto con “Il sabato del villaggio” di Giacomo Leopardi
L’atmosfera di attesa e
di fermento descritta da
Leopardi nella sua poesia:
“Il sabato del villaggio”
penso si possa estendere a
tutti i “villaggi”.
Nel luogo in cui vivo,
ad esempio, nel giorno dell’attesa la mia casa si mobilita: mia madre è in fermento nelle pulizie domestiche,
ella prepara la casa rendendola accogliente e pulita attendendo il giorno del meritato riposo. Mio padre allegramente si dedica ai lavori in
giardino;aspettando lieto il giorno di pausa. Si scorge poi la signora
della casa accanto, intenta a nascondere al meglio i suoi amati vasi di
fiori dalla visita dei suoi amati nipoti, il giorno seguente.
Infine ci sono io, che cammino felice per le vie del centro stringendo la mano alle mie amiche. Le strade della città sono ricolme di gente
indaffarata che cammina a passo sostenuto attendendo inquieta di accogliere il suono delle campane festose della domenica.
Io però, non sono inquieta,sono immersa in una calma attesa fatta
di speranze, desideri e aspettative che riguardano il giorno che viene.
L’attesa è il momento che preferisco, il momento nel quale sono
piena di buoni propositi e progetti, tranquilli momenti di preparazione.
Durante il sabato non so cosa mi attende per la domenica,lo posso
solo immaginare, quindi immagino il meglio che possa accadere. Così
cammino felice aspettando le gite e le sorprese del giorno di festa.
Arriva finalmente la tanto attesa domenica, l’atmosfera è cambiata:
l’attesa è finita, alcune aspettative sono dissolte e con esse alcuni buoni
propositi. Rivolgo il mio pensiero al successivo giorno di lavoro; non
però con rammarico, infatti sono contenta di aver sperato, atteso e di
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essere giunta al giorno tanto desiderato.Cerco così di vivere al meglio
gli ultimi momenti di riposo; spesso si attende molto, ma poi non si
vive pienamente quello che si è atteso, si tende sempre a guardare al
futuro senza accorgersi della bellezza del presente.
Condivido quindi, solo in parte l’opinione del poeta, ovvero che il
settimo giorno (l’età matura) non è lieto e sereno come il sabato (la giovinezza).
Io penso che con l’età si possano perdere i desideri, la freschezza e
i sogni dell’adolescenza, ma non la gioia e la speranza. Intendo dire che
il pensiero, nell’età matura sarà sempre rivolto alla vecchiaia, ma non
con rammarico, perché si sarà lieti dei bei momenti passati e delle emozioni provate nella giovane età e soprattutto si vivranno al meglio e
molto intensamente le gioie e le emozioni del presente.
Caterina
A CONFRONTO CON L’EPICA
Dopo venti anni di lontananza finalmente Ulisse torna nella
amata Itaca e rivede dapprima i cari luoghi, poi le persone da lui
amate. Descrivi l’arrivo ad Itaca mettendo in evidenza le impressioni
e le emozioni provate dall’eroe e scegli quindi di raccontare e descrivere uno degli incontri da lui vissuto lasciando emergere anche le tue
considerazioni.
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Ulisse dopo anni di viaggi e di fatiche, dopo aver trovato un sovrano benevolo in grado di aiutarlo a rivedere la sua patria, imbarcato su
una nave sente il peso di tutte le sue avventure e si addormenta.
I Feaci guidano la nave sulla scogliera di Itaca e lasciano il dormiente Ulisse sulla spiaggia accompagnato dai suoi tesori. Anche in
questo momento il fato si rivela difficile per l’eroe: egli si sveglia ma
invece di provare immensa gioia e felicità, la fine della nostalgia che
sempre lo aveva inseguito, non riconosce la patria.
Si alza e fissa il paesaggio circostante con un ritmo rapido cadenzato dall’angoscia di essere stato nuovamente ingannato. Decine di
pensieri affollano la sua mente: “ Dove sono? Quale terra si svela ai
miei occhi? Perché mi hanno nuovamente truffato? Incontrerò un popolo amichevole oppure qui dovrò concludere il mio viaggio terreno?”Non è certamente l’arrivo che sempre aveva sognato e la frustrazione insieme al senso di completo abbandono colmano il suo cuore.
Desolato e dubbioso non sa che decisione prendere ma ecco che un
aiuto arriva dal cielo e come un raggio di sole che splendente si apre un
varco in una coltre di nubi, così la dea Atena giunge in suo soccorso
scendendo dall’Olimpo. Dapprima non si svela e si finge un mercante
ma poi si rende conto della situazione di Ulisse e lo aiuta. Ecco che gli
mostra quei luoghi che era solito frequentare: essi sono cambiati ma
risvegliano i lontani ricordi di Ulisse che finalmente si rende conto dell’importanza di quell’unico momento. Nel suo cuore commosso un
solo pensiero si fa strada sostituendo tutti gli altri: “SONO A CASA” .
Ma l’eroe deve aspettare a rivelarsi ad amici e parenti per preparare la vendetta contro i proci, usurpatori della sua reggia. Camuffato da
anziano mendicante, sotto il consiglio della dea, si allontana dalla
riva… ecco un uomo che si avvicina, Ulisse è sicuro di conoscerlo…
certamente è Eumeo, il suo vecchio porcaro!
Domandandosi se egli gli sia rimasto fedele gli chiede ospitalità
capendo che l’uomo non è affatto cambiato.
L’incontro successivo è secondo me molto importante come anche
molto profondo, infatti Ulisse finalmente incontra il figlio Telemaco.
Lo vede arrivare e subito il suo cuore sobbalza: “Quanto tempo è
passato? Quanto è cambiato mio figlio?”.
I pensieri paterni dell’eroe vengono, però, nascosti con fatica: non
è ancora giunto il momento giusto.
Ma il cuore di Ulisse è in tumulto, troppe emozioni si sovrappongono fra loro!!!
Atena, allora, gli permette di rivelarsi.
Ulisse e Telemaco lasciati soli da Eumeo si guardano… l’eroe tornato vigoroso come prima viene scambiato dal figlio per un dio, Tele80
maco è abbagliato ma, dopo tanti inganni, non crede che quello possa
essere suo padre. Ulisse, che fino a quel momento aveva trattenuto le
emozioni, si commuove a tal punto da piangere… finalmente Telemaco
lo riconosce, si abbracciano ed entrambi piangono… lasciano uscire
lacrime di gioia che pongono fine a quell’indesiderata nostalgia che
mai li aveva abbandonati.
È un incontro molto profondo che mi ha colpito perché emerge
l’umanità di Ulisse che piange davanti a ciò che un padre ritiene il più
grande tesoro: un figlio.
Sinceramente non pensavo che un eroe del suo calibro potesse commuoversi ma è un evidente segno che tutti gli uomini, per quanto siano
potenti, coraggiosi e ricchi, sono uomini proprio perché provano emozioni, le quali rendono ciascuno di noi unico e differente dagli altri.
Federica
Dopo vent’anni finalmente Ulisse torna ad Itaca accompagnato dai
Feaci su una nave che il loro re aveva messo a sua disposizione.
Appena arrivato l’eroe fatica a riconoscere subito la sua amata terra sia
perché è avvolta dalla nebbia sia perché dopo anni di lontananza non
riesce a riconoscere subito il posto e perciò si dispera perché pensa che
i Feaci lo abbiano ingannato dato che lui si era addormentato durante il
viaggio.
Gli appare però Minerva che disperde la nebbia e gli mostra i luoghi dove ha vissuto e dove è cresciuto. Quindi, dopo che la bellicosa
dea lo ha trasformato in mendicante per far sì che non sia riconosciuto,
Ulisse si avvia verso il suo palazzo. Prima di giungervi incontra
Eumeo, il buon porcaro che dopo tanto tempo gli è ancora fedele ma
che ormai ha ben poche speranze nel suo ritorno;nella sua capanna
l’eroe si svela al figlio Telemaco anch’egli lì sopraggiunto. L’emozione
provata dai due è forte e indescrivibile: il padre e il figlio che dopo
venti anni di lontananza finalmente si riabbracciano, vengono toccati a
tal punto che arrivano a piangere miseramente.
Il re greco rivede anche il suo vecchio cane Argo che, ormai stanco
e debole, dopo averlo salutato muovendo la coda con la poca forza che
gli rimane esala l’ultimo respiro: questo è uno degli episodi più conosciuti dell’Odissea dove Ulisse incontra dopo tanto il suo caro cane con
cui ha vissuto tante avventure e lo vede debole e sfinito, accasciato
sopra ad un letamaio. Questo è straziante per lui dato che non può nemmeno dare libero sfogo ai suoi sentimenti perché altrimenti verrà scoperto.
Tuttavia l’episodio che mi ha colpito maggiormente è quello di Iro,
il pitocco. Ulisse dopo essere arrivato al palazzo ed aver parlato con
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Penelope sotto le vesti di mendicante, incontra i Proci e lì vicino vede
l’accattone Iro. Quest’ultimo era solito andare a spizzicare gli avanzi
dei principi ed era famoso per la sua statura e per le sue fattezze.
Visto il nuovo mendico ha paura che questo possa rubargli il posto
e perciò lo schernisce e cerca di cacciarlo. Iro, secondo me, fa questo
perché è sempre stato costretto a lottare per guadagnarsi il cibo e ora
che ha trovato qualcuno che bene o male gliene da un po’ non vuole
vedersi tolta la possibilità di procurarsi da mangiare. Quindi i Proci
incitano i due ad una lotta (mettendo anche in palio il posto di mendico del palazzo) ma quando Ulisse mostra i muscoli l’accattone e i principi si stupiscono e Iro viene spinto a forza a combattere dato che la
paura lo ha come bloccato.
Il re di Itaca vince facilmente ma non uccide l’avversario, bensì lo
trascina fino all’ingresso e lo rimprovera dicendogli che prima o poi gli
potrebbe capitare di peggio.
Se l’episodio viene ben analizzato si possono trovare alcuni valori
nascosti.
Come prima cosa ci mette davanti alla lotta quotidiana che i poveri devono fare per procurarsi il cibo, triste e assurda, degli uomini che
devono umiliarsi solo per ottenere l’indispensabile, ciò che a noi sembra scontato.
Iro si mostra così irriverente e forse cattivo nei confronti dell’eroe
greco non solo perché è quello il suo carattere ma anche perché è un
uomo segnato da questa continua lotta per la sopravvivenza che deve
affrontare giornalmente e che perciò lo ha cambiato in negativo. Quindi
anche se si mostra così vile dovremmo avere compassione per lui, cosa
che ha appunto il nobile re che decide di risparmiarlo.
Inoltre qui, a mio parere, emerge anche la cattiveria dei Proci e il
poco rispetto che hanno nei confronti di quelli meno fortunati di loro:
infatti trattano Iro e Ulisse come due buffoni e si mettono a ridere a crepapelle quando l’eroe picchia a sangue l’accattone, il quale si mette a
urlare di dolore: scena di fronte alla quale ridere è segno di mancanza
di rispetto per il ferito.
Ad un certo punto un amico di Antinoo (il capo dei Proci) schernisce Ulisse pesantemente che però non vuole farsi umiliare e che gli
risponde degnamente, il risultato di tutto questo è una rissa fermata poi
da Telemaco.
Per concludere dico che questo episodio mi ha incuriosito perché
tratta qualcosa di vicino alla vita di tutti i giorni di ognuno di noi e ci
può far fare un confronto fra la vita dei poveri del passato e di oggi:
sempre dura e difficile!
Alessandro
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A CONFRONTO CON LA STORIA
Immagina di essere un soldato italiano della Prima guerra mondiale e di scrivere alla tua famiglia una lettera dal fronte
Asiago, 2 Settembre 1918
Cara Anna,
ti scrivo dal fronte. Mi trovo ad Asiago, fa freddo e ho nostalgia di
casa. La vita in trincea è durissima, siamo infossati in cave del terreno,
recintate da filo spinato e in alcuni punti da casematte di cemento.
Abbiamo fatto moltissimi attacchi, assalti con le baionette e ho ucciso
degli uomini. Non mi sento più la persona di un tempo, sento di essere
cambiato, so di aver posto fine a delle vite umane, anche quando quel
compito non è il mio. Questi anni di guerra hanno fatto crescere la mia
fede in Dio. Molto spesso alla fine di un attacco a cui sono sopravvissuto mi chiedo: “Sono ancora vivo grazie al buon Dio... ma perché mai
Lui vorrà proprio me vivo? Mi vuole vivo quando vedo morire i miei
compagni, quando vedo morti i miei nemici... perché?”.
Non ho ancora trovato risposta a questa domanda, ma penso che sia
perché esisti tu, dolce amore mio, perché esistono i nostri bambini:
Bruna, Giusto e Paolina. Sono molto grato a Dio, ogni sera prego per
te, per la nostra famiglia, prego perché la guerra possa finire, perché è
soltanto cruda e inutile. È tardi qui, la notte ha già avvolto il manto
celeste, piove, si sentono delle frane e i comandi del caporale che regola il cambio della sentinella. Ho nostalgia dei dolci profumi di casa,
l’odore del pane fresco che hai appena sfornato, l’odore della polenta
abbrustolita sulla brace...
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Qua si sentono solo la puzza della muffa e dei cadaveri che vengono seppelliti dopo settimane, quando qualcuno scende a valle. Ricordo
con nostalgia il rumore che fanno i bambini quando giocano con la
palla, perché qui invece gli unici rumori che sento sono le grida
dell’“avanti!”, quelle di dolore dei soldati colpiti e il rumore dei fucili
e delle baionette: l’attacco è sempre improvviso e in pochi attimi la vallata risuona di urla e scoppi.
Fra non molto combatteremo l’ultima battaglia contro gli Austriaci,
e i generali dicono che vinceremo.. Si, la loro sarà una vittoria, ma per
noi soldati? Per noi la guerra è sempre una sconfitta, un’inesorabile
perdita di migliaia di vite umane. L’ultimo orrore che i comandanti
hanno fatto è stato quello di fare arruolare i ragazzi del ’99, che hanno
combattuto valorosamente con noi nella battaglia sul fiume Piave, per
fermare l’avanzata degli Austriaci e dei Tedeschi. Ho conosciuto un
giovane orfano, e ora è qui accanto a me che dorme. Penso che se tutto
finirà e rimarremmo vivi entrambi lo porterò a casa con me, è un caro
ragazzo, si chiama Giovanni. Lui non ha mai conosciuto gli affetti
materni, ma ha invece incontrato gli orrori della guerra: questo è inaccettabile, è un ragazzo forte, ma ha bisogno di amore.
Il mio cuore geme ogni giorno sapendo che siamo così lontani.
Voglio che tu ritorni tra le mie forti braccia, desidero sentire di nuovo
il dolce profumo di lavanda che ti circonda sempre, voglio riaverti mia,
desidero baciare i miei bambini, che mi mancano così tanto. La vita
senza voi è un inferno, ora un’ultima battaglia, un ultimo assalto e se
Dio lo vorrà tornerò da te. Se questo non succederà ricorda che ti amerò
per sempre, anche su in cielo tu sarai sempre nel mio cuore.
Consegnerò questa lettera al mio amico Roberto, che la porterà in
segreto da te, perché sai amore? Qui c’è la censura totale di tutto, non
potrei nemmeno scriverti, ma voglio rischiare, voglio salutarti
un’ultima volta se per caso non tornerò. Vorrei però che questo fosse
solo un arrivederci.
Tuo per sempre, Gaetano.
Francesca
Novembre, 1915
Cara Eleonora
vi penso sempre anche se sono lontano, penso a te, ai bambini, alla
mia terra e rimpiango le belle domeniche quando andavamo a passeggio sfoggiando i nuovi acquisti.
Ti scrivo dall’interno della trincea, sento l’acqua che mi scende
nella schiena, ormai però ci sono abituato e non sono più tanto noioso
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come quando ero a casa e capitava che tornassi dal lavoro bagnato fradicio per aver incontrato un’acquazzone.
La vita qui è terribile, anche nel momento del riposo non riesco a
dormire per i tonfi assordanti dei cannoni e il fragore dei sassi che si
staccano dalle imponenti montagne alle spalle della trincea; stamani
quando hanno dato l’attacco per la conquista della posizione nemica ho
avuto un tuffo al cuore come sempre e quasi mi sono sentito male, mi
sono rifiutato di bere gli alcolici che ci portano sempre per far sì che si
offuschino le menti e quindi si possa meglio affrontare il pericolo;
come sempre ho pregato Dio e Lui mi ha ascoltato anche se non siamo
riusciti a conquistare la posizione.
Ogni giorno c’è un numero spaventoso di morti, il mio amico che
si dilettava a scrivere poesie, prima dell’attacco ad una trincea nemica,
sicuro di andare incontro alla morte mi ha lasciato il suo taccuino; ci
sono poesie bellissime, ti prometto che quando tornerò te le leggerò
tutte: pensa ne ha scritta una anche su di noi, me, te e i bambini,
gliel’ho chiesto io!
Sai cara ho nostalgia anche della tua cucina, qui il cibo è pessimo e
gli animali più ripugnanti come se non bastasse sono nostri compagni
giornalieri.
Qui ci sono molti padri di famiglia, io nella scomoda divisa tengo
sempre una foto dei nostri quattro piccoletti a casa, la guardo sempre
quella foto, ti assicuro mi dà forza!
Non vedo l’ora di tornare per vedere come state, come siete cambiati… voglio tornare a vivere la mia vita, questa orribile guerra mi
opprime, inoltre non ci sono conclusioni, non si ottiene mai niente dagli
scontri sporadici e cruenti… non ne posso più, mi chiedo perché gli
uomini si facciano del male a vicenda, in fondo siamo tutti fratelli, figli
di uno stesso Padre!
Per ora ciò a cui mi posso affidare è la fede, prego sempre per voi
e perché la guerra finisca. Ora mi devo preparare fra poco sono di guardia, spero che ti arrivi questa mia lettera, forse ci metterà un po’ prima
deve passare nelle mani della censura, quelli non si fidano di nessuno
poi ciò che mi infastidisce è che non ci chiamano mai per nome, per
loro siamo solo un numero!
Ora devo lasciarti, statemi bene, pregate, vedrete che tornerò. Per
ora saluta i bambini e dì loro che sono il mio raggio di luce,ciò che in
questo buco nero che devo fronteggiare ogni giorno mi fa sperare in un
mondo migliore e mi fa vivere.
Vi voglio bene.
Arrivederci da Pietro.
Elena
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Abbiamo letto pagine tratte dal testo “Verso l’assoluto”, di Don
Primo Soldi, sulla vita di Pier Giorgio Frassati, e abbiamo incontrato a Torino l’autore del libro a cui abbiamo rivolto molte domande.
Facendo riferimento al testo ed anche all’incontro fatto, scrivi che
cosa ti ha interessato e colpito di questo giovane santo torinese, e le
impressioni che il dialogo con Don Primo Soldi ha suscitato in te.
Pier Giorgio Frassati è entrato a far parte delle mie conoscenze scolastiche dal giorno in cui la prof Golinucci ci ha dato un fascicolo composto da alcuni brani tratti dal libro “Verso l’assoluto”. Inizialmente mi
è sembrata una semplice lezione in preparazione alla gita a Torino, ma
pian piano, scoprendo chi era Pier Giorgio e cosa ha caratterizzato la
sua vita, ho cambiato idea ed è nata in me la voglia di approfondire
questa conoscenza. Infatti Pier Giorgio poteva sembrare un ragazzo
come tutti gli altri, ma aveva qualcosa in più che inizialmente non si
vedeva. Egli infatti era una valanga di vita, come lo definisce Don
Primo Soldi, tanto che i suoi compagni per scherzo lo avevano soprannominato Fracassi.
Vissuto all’inizio del Novecento, partecipava a tutte le associazioni
possibili e si prendeva la responsabilità di partecipare diligentemente a
ciascuna di esse. La sua vita di ragazzo era sempre piena di impegni
che lui amava svolgere, la maggior parte riguardanti la vita cristiana.
Mi ha colpito molto anche il fatto che avesse deciso di aiutare i
minatori, la classe più disagiata di tutti gli occupati nell’industria. Ma
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non soltanto li aveva messi nella lista dei bisognosi del suo aiuto, Pier
Giorgio si era iscritto addirittura al corso di Ingegneria Meccanica al
Politecnico di Torino, cioè aveva deciso di usare il suo futuro, le sue
possibilità, per aiutare gente che nemmeno conosceva bene, e questo dà
prova di una grande anima.
Pier Giorgio faceva anche completo affidamento sui suoi amici e
ciò si può notare nell’atteggiamento che aveva quando chiedeva loro di
pregare per lui affinchè Dio lo aiutasse in ciò che doveva fare. Questo
può sembrare un po’ esagerato oggigiorno, ma dimostra quanta fiducia
Frassati riponesse in Dio e negli amici, cosa non da poco. Il giovane
santo torinese quindi già da ragazzo considerava Dio come parte integrante della sua vita, che faceva in modo fosse cristiana in ogni momento, chiedendo a Dio di riuscire a viverla a fondo.
Pier Giorgio amava molto la poesia, cosa inverosimile visto il suo
carattere di fracassone e simpaticone. Si perdeva nei libri e diceva che,
come bisogna allenare il corpo con gli esercizi fisici, così lui allenava
la mente leggendo. Era attratto anche dall’arte e dalla musica.
Con gli amici fondò la Società dei Tipi Loschi, una compagnia dove
ognuno veniva chiamato con un soprannome che corrispondesse al suo
carattere. Pier Giorgio era Robespierre.
Oltre a tutto questo Pier Giorgio era estremamente caritatevole e
altruista. Riuscì addirittura a convincere una tabaccaia che non era mai
andata a Messa a parteciparvi.
Il Vangelo annunciato da Pier Giorgio era diverso perché lui, oltre
a invitare all’incontro con Cristo, si metteva nei panni della gente che
incontrava e trovava per ognuna il motivo strettamente legato alla sua
vita per cui sarebbe dovuta andare a Messa. Ad esempio la tabaccaia
sarebbe dovuta andare a Messa almeno per suo figlio.
In questo modo la maggior parte delle persone che lui incontrava
restavano colpite dalle sue parole e seguivano il suo consiglio. Pensandoci, ho realizzato che è molto difficile convincere uno sconosciuto a partecipare alla vita cristiana quando non lo ha mai fatto, quindi mi
rendo conto che Frassati credeva veramente in quello che annunciava,
se no non avrebbe avuto tale successo.
Ma la parte di vita di Pier Giorgio che più mi è rimasta impressa
nella mente sono stati i suoi ultimi giorni di vita.
Frequentando i tuguri dei poveri, aveva contratto la poliomelite fulminante, una malattia che lo uccise nel giro di una settimana. Pier
Giorgio fu sfortunato, perché proprio in quei giorni anche sua nonna
stava per finire la sua vita e tutta la famiglia Frassati badava solo a lei
e nessuno si accorse di ciò che stava succedendo al giovane Pier
Giorgio. Egli diede mostra ancora una volta del suo altruismo senza
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sviare quindi l’attenzione dei suoi familiari su di lui e, quando ormai la
paralisi aveva avuto la meglio su di lui, si sforzò di raggiungere il letto
della nonna aiutato dalla cameriera e si inginocchiò per pregare per lei.
Poi volle scrivere personalmente il biglietto con le indicazioni per portare la scatola di iniezioni ai suoi poveri, esattamente l’ultimo giorno di
vita. Nemmeno allora si risparmiò.
Quando Don Primo Soldi ci ha parlato di lui sembrava che lo avesse conosciuto personalmente mentre invece aveva ricevuto le notizie
sul santo torinese quasi tutte da sua sorella Luciana. È incredibile vedere come il ricordo di Pier Giorgio Frassati sia rimasto vivido nelle
menti di coloro che lo hanno conosciuto e amato, di coloro che hanno
avuto anche solo un assaggio della sua bontà.
Parlare con Don Primo Soldi è stato molto interessante e il sacerdote ci ha dimostrato la sua ammirazione verso Frassati rispondendo
così a una delle nostre domande: “Magari avessi almeno uno dei difetti di Pier Giorgio!”.
E ora si sono aggiunti cinquanta alunni alla lista lunghissima di persone che lo ricordano e lo stimano. Pier Giorgio “Fracassi”, fracassone, ma santo.
Martina R.
Ogni cosa che mi è stata raccontata su Pier Giorgio Frassati da Don
Primo Soldi e che ho letto in classe con la professoressa e con i compagni, mi è sembrata bella e significativa, mi ha incuriosito molto e mi
ha suscitato delle domande che ho avuto l’opportunità di porre direttamente al sacerdote, autore del libro intitolato “Verso l’assoluto”, che
racconta appunto la storia del beato vissuto all’inizio del Novecento.
All’inizio dell’incontro che abbiamo avuto a Torino con don Soldi
ero prevenuta e mi immaginavo che ci sarebbe stato semplicemente
ripetuto ciò di cui avevamo già parlato in classe.
Ma il clima che si è creato fra i miei compagni ascoltando il sacerdote è stato subito di grande attenzione e questo mi ha aiutato ad ascoltare con il cuore aperto e pieno di curiosità e desiderio di scoprire ciò
che la storia di Pier Giorgio poteva insegnare alla mia vita.
Ho posto a Don Primo una domanda specifica sull’episodio che mi
aveva maggiormente colpito: quello della malattia di Frassati. In particolare, mi interessava sapere come Pier Giorgio ha affrontato il suo
‘Calvario’ in solitudine, senza che nessuno fosse consapevole della gravità della sua malattia. Sono rimasta molto impressionata dal fatto che
lui riuscisse ad affrontare il suo dolore enorme solo con la preghiera e
il silenzio, senza condividere con nessuno la sua croce, se non con
Gesù stesso. Nello stesso periodo in cui Pier Giorgio si ammala infatti,
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la famiglia Frassati vive un momento molto duro, perché la nonna sta
per morire: tutte le attenzioni, dunque, sono rivolte a lei e Pier Giorgio,
umilmente, non aggrava il dolore della sua famiglia tenendo nascosta
la sua malattia. Solo quando sta già quasi per morire a causa di una
poliomielite fulminante, la famiglia scopre che egli era stato colpito da
una grave malattia.
Sono rimasta meravigliata di come, pur nella sofferenza personale,
il pensiero di Pier Giorgio fosse sempre rivolto ai poveri e ai bisognosi: appena prima di morire, usa le sue ultime forze per dare alla sorella
l’indirizzo di una delle tante famiglie povere che lui aiutava, affinché
portasse i medicinali e l’assistenza che lui non aveva avuto tempo di
portare a causa della malattia fulminante. Questo mi è sembrato un
gesto straordinario e da questo esempio ho capito perfettamente ciò che
don Soldi sottolineava: Pier Giorgio Frassati era santo nella normalità
della sua esistenza.
Ma prima ancora che per la sua sofferenza e la santità della sua
morte, la figura di Pier Giorgio mi ha colpito per la vivacità e la solarità della sua vita, breve, ma piena di gioia e movimento. Egli amava
molto la montagna e, insieme agli amici, andava a fare scalate sulle
cime intorno a Torino. Inoltre Pier Giorgio era sempre gioioso perché
la carità con cui viveva lo rendeva felice e lo colmava pienamente.
“Mai vivacchiare, ma vivere…”: mi è piaciuta la frase che tutti i giorni Pier Giorgio ripeteva a se stesso perchè lui viveva sempre tutto
intensamente e non “vivacchiava”.
Ma soprattutto Frassati era colmo della Presenza di Gesù, che ogni
giorno riceveva in sé con l’Eucarestia. Infatti Pier Giorgio sentiva sempre l’urgenza di partecipare quotidianamente alla Messa, anche se i
genitori, che non erano persone di fede, non avrebbero voluto.
Don Soldi ha detto che, nella vita di Pier Giorgio, Dio “si è imposto” come Assoluto, come primo pensiero, e subito dopo il prossimo.
Un altro dei tanti episodi della vita di Frassati che mi è rimasto
impresso è quello dell’incontro e del dialogo con la tabaccaia. Ogni
giorno Pier Giorgio si fermava davanti ad una tabaccheria e, con tanti
pacchi, spariva dietro un portone. La tabaccaia poiché Pier Giorgio le
sembrava un ragazzo che ispirava confidenza, attaccò discorso e gli
propose di fare lei quel lavoro che non le sembrava adatto e dignitoso
per un “signore” come lui. Ma il giovane Frassati rispose che era più
contento di portare i pacchi lui stesso, per poter incontrare di persona
la famiglia, parlare con le persone per infondere coraggio e soprattutto
invitare ad offrire a Dio le sofferenze e proporre di andare a Messa. La
tabaccaia rispose che lei non andava a Messa: Pier Giorgio si limitò a
chiederle il motivo e le disse che se non voleva andarci per se stessa,
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almeno ci andasse per il suo bambino, perché lei era una buona
mamma. L’umile tabaccaia rimase così colpita che la domenica successiva andò a Messa. Che modo semplice e cordiale di convincere la
gente guidandola all’incontro con Gesù ! Pier Giorgio era così sicuro e
credeva così fermamente in ciò che diceva che contagiava con la sua
fede le persone che incontrava. La gente che lo incontrava percepiva
perfettamente che Pier Giorgio non era lì, solo per “consegnare” vestiti o medicinali, ma che era lì per accogliere, ascoltare, comprendere e
donare parole e gesti di vera fede.
Sono stata molto contenta di aver conosciuto questo santo torinese
che viveva la carità come attenzione al destino della gente, come passione di annunciare ai poveri il suo incontro con Gesù. Ringrazio i miei
professori che ci hanno introdotto all’incontro con questo beato attraverso il racconto della sua vita e che ci hanno proposto l’incontro con
Don Primo Soldi, per me significativo e molto importante.
Elena
A CONFRONTO CON L’ATTUALITÀ
Attraverso i giornali e la televisione abbiamo seguito la vicenda di
Eluana Englaro: quali sono stati i tuoi pensieri, le tue reazioni, le tue
domande? Di tante parole ascoltate, quali ti hanno aiutato a riflettere o a capire qualcosa di importante per te?
Non mi sono mai interessata troppo alla cronaca del telegiornale o
ai fatti in prima pagina sul quotidiano. Ma questa volta è stato diverso.
Eluana Englaro si è catapultata nella mia vita senza preavviso e mi ha
insegnato a riflettere. Sono venuta a conoscenza della storia di questa
ragazza attraverso il dialogo con i nostri professori.
Ognuno raccontava la vicenda con parole sue, mettendo in luce gli
aspetti che più considerava importanti.
A scuola io assorbivo i
punti di vista sia di insegnanti che di amici, senza
esprimermi riguardo al mio.
Non riuscivo a capire quale
fosse la mia opinione perchè ogni volta che ascoltavo
una nuova interpretazione
dei fatti, cambiavo idea.
All’inizio provavo compassione per il padre di
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Eluana e pensavo che fosse meglio farla morire. Mi sembrava di una
logica schiacciante, ma dopo averne discusso anche con i miei genitori e aver letto qualche articolo sui giornali ho capito che quella ragazza, per terribili che fossero le sue condizioni di vita, meritava di vivere. Il fatto che lei, in passato, quando un suo amico si era trovato in
quelle condizioni che poi sono diventate le sue, avesse pregato affinchè
lui morisse, mi lasciava comunque spiazzata, ma non penso che il padre
potesse considerare ciò come un testamento biologico.
La scuola inoltre ha organizzato un incontro con un medico di
Cesena per fare più chiarezza sullo avvenuto con una persona preparata in materia. Egli ha fatto un bellissimo discorso e si è anche infervorato parlando della ingiustizia che l’impotente Eluana ha dovuto subire. Abbiamo anche potuto ascoltare una sua poesia dove Eluana viene
paragonata a Cristo morente in croce, molto commovente.
Anche se ormai era stato dato il via al processo di riduzione dell’alimentazione e dell’idratazione, io continuavo ad avere la speranza che la
ragazza si svegliasse prima che fosse troppo tardi. Nonostante cercassi
di pensare positivo, ogni attimo della mia vita mi sembrava sprecato,
sapendo che intanto Eluana lentamente moriva, e mi sentivo impotente.
Chi siamo noi per dire che lei non merita di vivere? Chi siamo noi
per dire, come molti sostenevano, che quella non è vita? Se lei era
morta 17 anni fa, allora perchè prendere tante precauzioni e aspettare
tanto? Lei era ancora viva e lo si poteva vedere dalle reazioni del suo
corpo. Le suore che la accudivano affermavano di sentire la sua presenza. Anche la vita di Eluana aveva uno scopo, un senso: aiutava le
suore e le impegnava in un’opera buona.
Perchè non continuare a sperare? Perchè far finire tutto per colpa
della disperazione di un padre? Ora lui non può nemmeno più vedere
gli occhi aperti della figlia velati dalla malattia. Non è sempre la speranza l’ultima a morire?
Io non riesco ancora a capire come tutto questo sia potuto succedere,
ma so che una grandissima ingiustizia è stata portata a compimento in modo disumano e questa ingiustizia ha colpito proprio lei: Eluana Englaro.
Martina R.
Ultimamente, soprattutto a scuola, abbiamo molto parlato e seguito
il caso di Eluana Englaro, una ragazza in stato vegetativo da diciassette anni, a cui il padre ha voluto togliere l’idratazione e l’alimentazione,
facendola così morire di sete e fame.
Appena ho sentito questa storia ho avuto molti pensieri, ma quello
più martellante era: Cos’è la vita? Molti medici dicevano che Eluana
era morta da diciassette anni, ma io non riuscivo a capire il perché:
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secondo gli esami fatti il suo cuore batteva, lei respirava autonomamente, apriva gli occhi di giorno e li chiudeva la sera.
Ma allora, perché toglierle la vita in quel modo così inumano?
Perché suo padre voleva toglierle quel po’ di speranza che aveva di
risvegliarsi?
La cosa che più mi ha lasciato triste e addolorata era il sentimento
di impotenza che avevo davanti a questo fatto: non potevo fare nulla,
non potevo oppormi al gesto che stavano per fare, quello di decidere la
morte di una ragazza che non si poteva difendere, una ragazza che non
veniva considerata come una persona umana, ma come una cosa,
un’idea; lei invece c’era, forse non era capace di manifestare quello che
sentiva, ma c’era.
Con questo gesto, ingiusto e non umano, la Vita è stata “trascurata”: non si può decidere di darla o toglierla, c’è Qualcuno, più grande,
più forte, onnipotente, che la dà o la toglie.
Sono state dette molte cose, molte parole, a proposito di Eluana; a
me ha colpito molto l’incontro che abbiamo fatto, a scuola, con il dottor Franco Casadei, il quale ha scritto una poesia molto vera a questo
proposito, che sottolinea il fatto che la mamma di Eluana non ha mai
espresso il suo parere: solo una sua parola l’ avrebbe potuta salvare…
Io ho capito una cosa molto importante, ho capito che la Vita ci è
stata regalata, e non si può né respingere, né buttare via.
Leggendo un volantino, mi hanno colpito molto queste parole:”Neanche a Cristo è stato risparmiato lo sgomento del dolore e del
male, fino alla morte. Ma che cosa in lui ha fatto la differenza? Che
fosse più bravo? Che avesse più energia morale di noi? No, tanto è vero
che nel momento più terribile della prova, ha domandato che gli fosse
risparmiata la croce. In Cristo è stato vinto il sospetto che la vita fosse
ultimamente un fallimento (…)”.
Queste frasi, per me, per quanto difficili da capire, mi hanno confermato il valore e l’importanza della Vita.
Agnese
In queste ultime settimane mi è capitato spesso di ascoltare alcuni
discorsi legati al caso di Eluana Englaro.
La ragazza di Lecco dopo un terribile automobilistico, avvenuto
quando aveva solo ventuno anni, è stata costretta a vivere in stato vegetativo per diciassette anni in attesa di qualche segno di miglioramento,
mai avvenuto.
Questo caso ha suscitato molto scalpore ed è stato al centro delle
attenzioni di tutto il mondo e dell’Italia, prima della sua morte, dal
momento che il padre di Eluana, Beppe Englaro, ha ottenuto di poter
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sospendere l’alimentazione e l’idratazione artificiale per lasciarla morire, dato che sosteneva e affermava con decisione che quella sarebbe
stata la volontà della figlia.
Il padre, però, voleva che questo accadesse in Italia, a Lecco,nel
centro dove era stata accolta da alcune suore che, ogni giorno, si prendevano cura di lei: la vestivano, la lavavano e l’alimentavano attraverso una sonda.
Quello che il padre voleva è,di fatto, l’eutanasia, cosa che in Italia
non è ammissibile soprattutto per la chiesa ed i cattolici.
A questo punto, dopo continue lotte, dibattiti e discussioni tra avvocati,politici e parti civili, la vicenda si conclude con la vittoria del padre
Beppe Englaro: da questo momento l’Italia ed il mondo restano divisi
in due parti. Anch’io mi sono accorta di questa spaccatura. Anche se
discutendo con la mia classe, in famiglia, con gli amici, mi sono accorta che la maggior parte di noi condivide lo stesso parere, cioè che
Eluana non doveva morire e soprattutto per volere del padre, dato che
non è l’uomo a decidere quando morire non è l’uomo che ci ha creati e
ci farà tornare in polvere come eravamo e sarà Lui a decidere il
momento della nostra morte.
Questa sentenza a favore dell’interruzione dell’alimentazione e dell’idratazione è stata pronunciata da un giudice il quale non ha aspettato che il governo promulgasse una legge.
Così il governo è stato costretto in poco tempo a dover elaborare
una nuova legge che impedisse tutto questo, ma questa legge non è
stata accettata da tutti i ministri e quindi non è stata firmata; in pochi
giorni è avvenuto l’impensabile: Eluana è stata portata nel centro di
Udine: “La quiete” dove alcuni medici hanno avuto la responsabilità,
di sospendere poco per volta l’alimentazione e l’idratazione a Eluana,
fondamentali per la sopravvivenza di tutti gli uomini, infatti nessuno
potrebbe mai farne a meno.
Così dopo pochi giorni Eluana è morta.
Tutto il clamore intorno a lei piano piano si è spento e sono rimasti
alcuni dubbi e domande sul vero valore che acquista la vita sulla terra.
Ed anche riflettendo in classe con alcuni professori ci sono sorte
alcune domande che abbiamo esposto loro.
Abbiamo capito che la vita è veramente molto importante ed insieme a loro abbiamo avuto la possibilità di approfondire questo argomento anche attraverso l’incontro con il dottor Franco Casadei, che ha
risposto ad alcuni nostri quesiti.
Questo dialogo ci ha aiutati a capire che gli ospedali e i centri, i
medici, il personale infermieristico sono nati ed esistono per salvare la
vita delle persone e migliorare la loro condizione di salute.
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Inoltre ho appreso che anche solo una parola della figlia da parte
della madre, o la firma della legge proposta dal governo da parte di tutti
i ministri, sarebbero bastate a salvare la vita a quella ragazza, una vita
sacra come quella di tutti gli uomini presenti sulla terra. Ed anche di
fronte alle lacrime ed alla commozione che hanno accompagnato la lettura di una poesia che il medico-poeta, aveva dedicato ad Eluana, mi
sono accorta di quanto importante sia per lui, come per tutti, la vita
sulla terra.
Guardando dal mio punto di vista vedo che la vita acquista un valore importante ogni giorno che la vivo: mi sembra di assaporare i
momenti più o meno belli che la vita mi riserva e cerco di vivere questi il più intensamente possibile, dato che la vita è un dono e come tale
va rispettata,amata,vissuta fino infondo anche nei momenti più difficili dove occorre avere una maggior forza, volontà e sensibilità, perché
ogni giorno essa ci riserva qualcosa di importante, che noi talvolta trascuriamo.
Per questo ognuno di noi ha diritto alla vita che non può essere messa
in mano a dei giudici o ad altre persone dal momento che è un dono e
quindi va rispettato e tenuto con la massima cura e consapevolezza.
Anna
La vicenda di Eluana Englaro, naturalmente, la conosciamo tutti ed
è stata davvero terribile.
La cosa che mi ha dato più fastidio in assoluto è che non solo la tv
in tutti questi anni ha sempre fatto passare notizie false o in parte censurate, ma anche che la Cassazione e prima ancora il padre di Eluana,
Beppino Englaro, abbiano deciso di porre fine a una vita umana, senza
il minimo diritto e soprattutto senza il consenso della diretta interessata che, ovviamente, non era cosciente e non poteva opporsi, essendo in
stato definito dai medici “vegetativo”.
È gravissimo che delle persone abbiano deciso la morte di questa
ragazza, perché non spetta a noi deciderlo, ma all’unico e universale
giudice, Dio.
Lei sarebbe morta di morte naturale come tutti dovrebbero morire,
se non si fosse intervenuti.
Io non mi capacito di come i medici, senza il minimo ritegno o
compassione, abbiano avuto il coraggio di lasciare morire una persona
che non ha mai smesso di vivere, perché il suo cuore continuava a battere, respirava da sola senza l’uso di nessuna macchina e l’unica cosa
di cui aveva bisogno era di essere nutrita e di essere amata di più.
Non riesco a capire come facciano a dire i medici che Eluana era
morta quella fatidica notte di diciassette anni fa!!!
94
Lei, di fatto, era ancora qui tra noi, solo che aveva bisogno di essere curata e seguita molto di più, un po’ come i bambini piccoli che
hanno bisogno della mamma, non essendo autosufficienti; è come aver
ucciso un bambino handicappato che per vivere ha bisogno della carrozzina: è comunque una persona! Non è una pianta, ce l’ha un’anima!
(Mio nonno, che è medico anestesista (che tra l’altro è anche ateo),
era della stessa opinione di tanti medici: lei per loro era morta! Io ci
sono rimasta malissimo. Ma come, mio nonno dice una cosa del genere?!? Roba da matti!)
E il babbo, Beppino Englaro, come ha potuto decidere di far morire la sua unica figlia?
Eluana, da ragazza, avrà anche potuto dire che lei non avrebbe mai
voluto trovarsi in quella situazione e che in tal caso avrebbe preferito
morire, ma un conto è dirlo così per dire, quando si sta bene, e un altro
è quando si è tra la vita e la morte.
Credo che a nessuno faccia piacere lasciare questo mondo prima
del dovuto…
Che ne sappiamo noi se Eluana ha detto veramente questa frase e
se la pensava ancora?
Il padre per diciassette anni si è sempre e solo attaccato a questa
frase, ma secondo me non ha mai fatto realmente niente per la figlia!
Le uniche persone che si sono prese cura di lei sono le suore che
tutti i giorni costantemente per diciassette anni le davano da mangiare,
la accudivano, la vestivano, ecc...
Hanno fatto tutto quello che il padre non ha più fatto per lei!
Povera Eluana, io spero con tutto il cuore che ora sia in un posto
migliore, anzi ne sono quasi convinta e un po’ mi consolo, ma io credo
che questa vicenda resti immorale ed esagerata.
Eluana è stata strumentalizzata per portare anche in Italia l’eutanasia.
Lei non era l’unica persona in stato vegetativo; in Italia ci sono
molti casi come il suo, ma almeno le altre famiglie si prendono cura
amorevolmente delle persone care in questo stato.
La cosa più strana è che in tutti questi anni sua madre non abbia mai
detto una parola, malattia non malattia; anche un solo “no” forse avrebbe potuto cambiare la triste e “dolorosa” sorte di Eluana.
Chiunque davanti alle parole di una madre avrebbe pietà.
Secondo me, non ha mai parlato per paura del marito.
Quest’uomo non voleva nemmeno fare un funerale alla figlia,
almeno per dirle addio in modo dignitoso: l’unico che ha insistito per
il funerale in chiesa è stato lo zio.
Io non so cosa pensasse il padre o cosa gli passasse per la testa, ma
di certo ora è divorato dal dolore.
95
La morte di Eluana è stata straziante perché non essendoci l’eutanasia, sono stati “costretti” (anche se non è la parola più adatta perché
hanno comunque ucciso una persona) a toglierle il nutrimento e quindi
nel giro di quattro/cinque giorni è morta di fame e di sete, disidratata.
I medici, pur essendo convintissimi che lei fosse solo un corpo
incosciente che non “meritasse” di vivere, le hanno dato lo stesso gli
antidolorifici per non farla “soffrire”. Questo è davvero il colmo!
La vogliono uccidere perché secondo loro è una specie di vegetale,
incosciente, che non serve a niente, non prova nulla, ecc…, e gli danno
gli antidolorifici?! È un controsenso!
Ma allora, mi domando, perché la vuoi far morire se non sei sicuro
di quanto affermi?
Le suore che l’accudivano dicevano che lei di giorno apriva gli
occhi e di notte li chiudeva, era in dormiveglia: il suo organismo era
perfettamente funzionante.
Poi dicevano che certe volte, quando le facevano una battuta o le
dimostravano affetto, le compariva sulle labbra una specie di sorrisosmorfia…
Non sappiamo se una parte del suo cervello funzionasse o meno.
Magari lei aveva coscienza, capiva cosa le succedeva intorno, ma
non riusciva a comunicare.
Facciamo l’ipotesi che capisse, sentisse quello che accadeva intorno: chissà come si sarebbe sentita se avesse capito che la volevano far
morire, chissà la disperazione, l’angoscia e peggio ancora l’impotenza
di esprimere la sua opinione per salvarsi…
Io, ad esempio, impazzirei, visto che sono una che non riesce mai a
stare zitta e che deve sempre dire la sua.
E chissà che dolore e sconforto sapere che la persona che vuole la
tua morte è tuo padre!
Che tristezza trovarsi da un giorno all’altro accudita e nutrita e poi
senza cibo e assolutamente sola nel tuo letto di morte.
Sinceramente se fossi stata nei panni di Beppino Englaro avrei preferito vedere mia figlia stesa in un letto addormentata, sapendola viva,
piuttosto che morta in una bara sottoterra!!!
Comunque, una cosa è certa: io se finisco in stato vegetativo non
voglio fare la stessa brutta fine di Eluana.
In ogni caso questo fatto resta gravissimo e sconvolgente.
Martina G.
Eluana Englaro era una giovane ragazza di Lecco che diciassette
anni fa è entrata in stato vegetativo a causa di un incidente automobilistico. Il padre, Beppino Englaro, non vedendo la figlia reagire come
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una persona in normali condizioni di vita, da molti anni voleva sospendere la sua alimentazione, quindi farla morire. Soprattutto negli ultimi
mesi i telegiornali e i giornali parlavano molto di questa vicenda, così
i professori hanno provato a chiedere a noi alunni il nostro parere a
riguardo. I miei primi pensieri riguardo alle affermazioni di Beppino
Englaro sono stati molto istintivi: un padre non può assolutamente permettersi di togliere la vita alla propria figlia, cioè ucciderla perché un
uomo non può mai far morire una persona, neppure se si trova in quelle condizioni! Eluana inoltre era accudita da alcune suore che ogni
giorno la lavavano, le davano da mangiare, le facevano fare un giro nel
cortile interno della casa di cura, addirittura la depilavano... insomma
il padre non poteva neanche lamentarsi di dover accudire la figlia! È
proprio per questo che io non capisco il senso della sua decisione.
Secondo me il padre di Eluana si è fatto influenzare da ciò che dicevano i medici, cioè che secondo loro la ragazza era già morta diciassette anni fa e ormai non c’erano speranze che si risvegliasse. Inoltre
un’amica di Eluana si ricordava di un giorno in cui un loro amico era
andato in coma e vedendolo in tali condizioni Eluana aveva affermato
di non voler vivere in quelle condizioni se le fosse accaduto un incidente, quindi anche questo può essere un fatto che ha portato Beppino
a prendere certe decisioni.
Guardando i telegiornali e accorgendomi di giorno in giorno che la
situazione si aggravava, ho subito pensato che sotto c’era lo zampino
del demonio, perché la sospensione dell’alimentazione passava come
un aiuto alla ragazza, un accompagnamento a morire, addirittura come
un bene per Eluana, come un gesto di ‘pietà’ e non per ciò che in realtà
era davvero un’ UCCISIONE!!!
Devo dire che in quei giorni ero molto arrabbiata, ma soprattutto
non riuscivo a capacitarmi del fatto che i medici facevano il contrario
di quello che in realtà dovrebbe essere il loro lavoro, perché il medico
è nato per guarire una persona, non per farla morire!
Leggendo poi l’intervista fatta alla vedova Coletta mi sono resa
veramente conto del dramma che stava accadendo in Italia; lei diceva
che Eluana di giorno apriva gli occhi e di notte li richiudeva, aveva un
ciclo mestruale regolare, tossiva... e secondo i medici lei era morta??!
Certo non c’erano molte possibilità che si risvegliasse dal suo stato
vegetativo, ma almeno la si poteva lasciar morire di morte naturale;
invece no, l’hanno fatta morire di fame e di sete e col dubbio che lei
potesse soffrire!
Ma il padre adesso che l’ha uccisa, sarà contento di aver ottenuto
ciò che desiderava da anni?
Secondo me adesso che è travolto da tanto clamore non si rende ben
conto, ma io sono sicura che quando uscirà dal suo ‘stato vegetativo’ e
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capirà di aver sbagliato, allora si pentirà, ma purtroppo nella vita si può
solo andare avanti, non si torna indietro.
Questa vicenda mi ha aiutato molto a riflettere e se mi dovesse
capitare un’esperienza simile (spero di no!), sceglierei la vita, ma
soprattutto mi ha ha fatto capire che bisogna stare molto attenti alla
mentalità del mondo d’oggi, perché talvolta per nascondere la verità
che può risultare scomoda o troppo cruda, si può arrivare ad affermare
con convinzione quasi violenta la menzogna: in questo caso specifico
nessuno diceva chiaramente che Eluana era stata condannata a morte.
Chiara
Attraverso i giornali e la televisione abbiamo seguito il caso di
Eluama Englaro, la ragazza in stato vegetativo a cui è stata tolta
l’alimentazione e l’idratazione per una decisione del suo padre.
Suo padre ha preso questa decisione perchè diceva che quando
Eluana era sana, aveva un amico in stato vegetativo e Eluana aveva detto
che se lei fosse stata mai in quelle condizioni, avrebbe preferito morire!
Secondo me una persona non si può permettere di togliere
l’alimentazione e l’idratazione ad un’altra persona, perchèla vita è un
dono e bisogna viverla fino all’ultimo secondo, anche se sei in stato
vegetativo.
In un giornale ho letto, che probabilmente, il fatto che il padre di
Eluana dica che Eluana aveva detto se fosse mai stata in quelle condizioni avrebbe preferito morire, non è vero e che si è inventato tutto.
Ciò mi fa pensare: perchè se non è vero ciò che ha detto l’ha voluta uccidere?
È vero che non ce la faceva più a vedere in quelle condizioni sua
figlia, ma per me non è un motivo valido per uccidere una persona!!
Appena è stata data la notizia che sarebbe stata sospesa l’alimentazione e l’idratazione ad Eluana, io ci sono rimasta malissimo e da
quel momento ho incominciato a sperare che all’ultimo minuto lei si
risvegliasse, così tto si sarebbe sistemato e suo padre e i medici, i quali
non le davano da mangiare e da bere, avrebbero capito che non è giusto decidere la morte di una persona, ma purtroppo ciò non è successo,
anche se io ci speravo davvero.
Si dice che Eluana sia morta per morte naturale, ma secondo me
non è assolutamente vero, perchè a Eluana imedici non davano più cibo
ed acqua, quindi si è voluto ucciderla!!!!
Eluana era VIVA!!!
Quando ho saputo che l’avevano uccisa non ci riuscivo a credere!!
Questo fatto gravissimo, però, mi ha confermato che la vita è un
dono, e solo Dio sa quando e come finirà e nessuno può permettersi di
sprecarla!
Margherita
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Il campionato di giornalismo
de “Il Resto del Carlino”
Per il secondo anno la redazione giornalistica della Scuola Media
della Fondazione del Sacro Cuore ha partecipato al Campionato di
giornalismo de “Il Resto del Carlino”, ricevendo il premio speciale
della giuria per il taglio giornalistico degli articoli.
Le quattro pagine pubblicate
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I GIRONE
IL NOSTRO INCONTRO CON VAN GOGH
Il report di una visita che Brescia ha dedicato al pittore olandese
Nel mese di Gennaio abbiamo visitato la mostra che la città di
Brescia ha dedicato a Vincent Van Gogh. Mostra interessante, soprattutto perché offre la possibilità di vedere i primi disegni della carriera
artistica del pittore. Buona parte delle sue opere sono ordinate in ordine cronologico, dall’anno in cui comincia a disegnare (1880), fino
all’anno della sua morte (1890).
Da autodidatta, all’inizio della sua carriera Van Gogh copiava i quadri di altri pittori famosi per capire i loro stili e formarne uno proprio.
Uno dei primi esercizi a matita di Van Gogh rappresenta un anziano
signore seduto davanti ad un caminetto; la sua figura è sproporzionata,
le ombre non sono rappresentate realisticamente e l’ambiente non è in
prospettiva. Anche se il disegno è sproporzionato, il vecchio è molto
espressivo: si può scorgere infatti la stanchezza e la tristezza nei suoi
occhi, che sembrano assenti e immersi in pensieri malinconici. Questo
esercizio a matita appartiene alla fase pittorica realistica. Nelle successive fasi in cui si articola il suo apprendistato, Van Gogh acquisisce gradualmente uno stile che caratterizzerà molte tele, specie quelle immediatamente precedenti la sua morte. In queste tele Van Gogh si dimostra completamente padrone del proprio mezzo espressivo (tra l’altro
usa correttamente la prospettiva), che ha conquistato dopo un tenace e
duro apprendistato, e supera in un colpo sia il realismo che
l’impressionismo. Ad esempio nel quadro “I cipressi” riesce a dare
l’idea di rilievo. Realizza l’opera usando la parte posteriore del pennello e, quindi, non stende più il colore ma lo modella nella tela dopo
averlo sparso prima abbondantemente, e dando nel complesso un esito
quasi spettacolare, grazie all’effetto vagamente scultoreo. Questa opera
rappresenta due maestosi cipressi che si innalzano imponenti nel cielo
e fanno contrasto con le tonalità dell’azzurro schiarite dal bianco delle
nuvole. Sotto i cipressi si vedono due donne vestite di bianco che si
distinguono tra il prato fiorito. Sullo sfondo, in prospettiva, una casa di
campagna immersa in un campo di dimensioni inferiori rispetto agli
altri elementi del quadro.
Amaducci Serena, Belluzzi Elena, Brotto Francesca,
Casadei Margherita, Pianese Federica, Taioli Agnese
105
II GIRONE
LA BELLA STORIA DEL PORTIERE DI RISERVA
L’incontro con Jimmy Fontana:
è solo un panchinaro, ma ha realizzato un sogno
DURANTE una delle uscite didattiche proposte dalla nostra scuola
abbiamo avuto la fortuna di incontrare il portiere di riserva del Torino:
Alberto Maria Fontana detto Jimmy.
Parlando con il calciatore sono emersi alcuni importanti discorsi sul
latoB side del calcio, come lui ama chiamarlo. Secondo noi il mondo
del calcio è sfavillante; per noi i calciatori sono sportivi di grande talento che si possono permettere le auto costose e che conquistano le
modelle. Invece non è sempre così! Dal racconto di Jimmy abbiamo
appreso che, se la maggior parte degli atleti vive così, lui invece non fa
una vita come ce la immaginiamo…
FONTANA ha fatto molta “gavetta” prima di approdare ai massimi
livelli. Infatti non tutti i calciatori sono fenomeni precoci, ma si sono
dovuti formare col tempo e hanno dovuto abbinare al loro talento e alla
loro passione per il calcio una grande voglia di sfondare anche attraverso delle rinuncie; basti solo pensare al nostro intervistato (o ad un
grande campione come Christian Abbiati) che prima di approdare in
serie A ha incominciato la sua carriera nel Monza e nel Borgosesia in
C1. Fontana ha giocato quasi sempre come portiere di riserva, e solo
dopo molto tempo è riuscito, grazie a una fortunata coincidenza, a far
parte della sua squadra del cuore, realizzando così quello che era il suo
sogno nel cassetto. Jimmy ha fatto molti sacrifici, anche se a lui non
piace chiamarli così, per arrivare in serie A; andava spesso a giocare
lontano dalla sua famiglia e dalla sua casa e col passare degli anni non
ha mai perso la sua semplicità e umiltà; si è sempre allenato con impegno e costanza dimostrando di essere un vero atleta e un vero uomo.
Essendo consapevole che la carriera del calciatore è limitata nel
tempo e non essendo sicuro di poter competere ai vertici delle categorie calcistiche per sempre, si è dedicato e si dedica ancora oggi ad altre
attività lavorative. Per esempio ha acquistato un bar a Torino, ha fondato una scuola calcio per giovani portieri e ha una sua linea di abbigliamento.
ANCHE se Jimmy non può essere considerato un fuoriclasse, sicuramente è un grande esempio di sportivo perché ha raggiunto il suo
sogno attraversandomomenti negativi e positivi senza darsi mai per
vinto! Di tutto il dialogo ci ha colpito la sua determinazione e il suo
attaccamento ai colori granata: è questa la cosa che ci ha sorpreso e ci
106
ha fatto pensare che è possibile realizzare i propri sogni prendendo sul
serio i propri desideri.
Francesco Medri, Luca Giorgini, Pierpaolo Fantini
III
TWILIGH, UNA STORIA D’AMORE
CHE HA CONQUISTATO NOI RAGAZZE
Un libro best seller e un film campione d’incassi
Negli ultimi anni uno dei romanzi più letti da noi ragazze è stato
“Twilight”, di S. Meyer, pubblicato nel 2006. È la storia di un amore
nato tra una ragazza, Isabella Swan, e un vampiro, Edward Cullen.
L’amore tra i due ragazzi nasce dopo il trasferimento di Isabella nella
piovosa cittadina di Forks per vivere con il padre, Charlie, divorziato
dalla madre, Renèe.
Arrivata nella nuova scuola Isabella incontra Edward, inconsapevole del segreto di costui. Il giorno in cui Jessica, un’amica di Isabella,
le racconta della famiglia Cullen, Isabella sente subito una particolare
“attrazione” verso quei ragazzi dalla pelle diafana, bellissimi. Edward
pur essendo un vampiro “vegetariano”, ovvero che si nutre di sangue di
animali, prova una grande tentazione di morderla, poiché il suo sangue
è diverso; ogni vampiro ha infatti un essere umano per il quale il suo
sangue ‘canta’ e quindi gli fa sentire sensazioni mai provate, portandolo a perdere il suo auto-controllo. Tuttavia Edward prova un grande
amore per la ragazza e ciò lo porta a resistere all’odore del suo sangue.
Isabella presto scopre la verità su Edward, ma questo non la spaventa
in quanto l’amore che prova per lui è irrefrenabile. Isabella alla fine del
romanzo viene minacciata da un vampiro sadico, James, che tenta di
ucciderla e sarà proprio Edward a salvarla. In seguito James morde
Isabella e Edward la salva succhiando via il veleno. Isabella dopo questa brutta avventura prende la decisione più importante della sua vita,
della sua intera esistenza: decide di rimanere a fianco di Edward, anche
se per il momento non condividerà l’immortalità del vampiro, e sarà
proprio lui che, amandola, le chiederà di rimanere mortale.
Un aspetto di questo romanzo che ha colpito gran parte di noi è
stato l’amore che provano i protagonisti l’uno per l’altro e che continua
a resistere di fronte alle difficoltà e le diversità tra i due. Il rapporto tra
loro è di totale sincerità perché entrambi sanno tutto l’uno dell’altro e
di questo ne sono felici. Isabella si fida a tal punto di Edward da riuscire a recarsi a casa sua per conoscere i genitori e fratelli, tutti vampi107
ri. Un’altra cosa che ci ha colpito è stata la totale diversità tra i due protagonisti: Isabella è una creatura umana dolce, sensibile, responsabile;
Edward è un vampiro, a volte anche insensibile, ma sa amare, di un
amore fedele, quella semplice ragazza umana che ha stravolto la sua
vita, facendogli provare emozioni del tutto nuove.
Bedei Chiara, Cecchetti Giulia, Elena Teodorani, Giada Pedemonte
IV
ALIMENTAZIONE & PUBBLICITÀ
MA GLI AZZURRI DAVVERO
VANNO MATTI PER LA NUTELLA?
Uno spot che lascia qualche dubbio
Gli spot nel campo alimentare che oggi colpiscono maggiormente i
giovani sono quelli che vedono protagonisti personaggi famosi, calciatori, attori, comici.
Questo perché, oggi, sempre più i ragazzi vogliono cercare di seguire in tutti i modi i loro idoli, imitandoli allo scopo di diventare come
loro.
Abbiamo scelto la pubblicità della Nutella, la crema spalmabile
sponsor della Nazionale di Calcio.
Analizzando lo spot si deducono due aspetti fondamentali: sport
all’aria aperta e l’alimentazione. Chiaramente, puntando sulla
Nazionale di calcio, vincitrice degli ultimi Mondiali, i pubblicitari arrivano al cuore dei consumatori, collegando tra loro il senso di appartenenza nazionale degli Italiani e una sana alimentazione, che è fondamentale, soprattutto in questi ultimi anni, nei quali anche in Italia
l’obesità è sempre più diffusa.
Ciò accade poiché le ultime generazioni non badano troppo ad
un’alimentazione sana che darebbe loro un corpo veramente in forma,
ma vengono attirate da pubblicità spesso ingannevoli e riferite a cibi
non idonei all’organismo umano.
Nello specifico, lo spot dedicato al prodotto Nutella, così come
viene presentato, può essere ingannevole perchè i giocatori non assumono realmente questo alimento nelle quantità che lo spot suggerisce.
Infatti, i calciatori seguono diete specifiche per stare in forma, consigliate da dietologi e cuochi professionisti: si nutrono principalmente
di frutta, verdura e carboidrati contenuti nella pasta.
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Naturalmente, il prodotto non è dannoso se assunto in quantità
moderate; ed è qui che deve intervenire il buon senso dello spettatore e
del consumatore.
Luca Giorgini, Francesco Medri, Pierpaolo Fantini
FRANKLIN ROOSVELT PUBBLICITARIO MANCATO
Gli spot pubblicitari sono un’importante mezzo per la promozione
dei prodotti, i quali colpiscono i telespettatori o i lettori, che sono portati a comprare i prodotti proposti dal testimonial. Per fare pubblicità
bisogna avere la capacità di intuire la migliore soluzione per convincere il consumatore a comprare l’oggetto del desiderio, e molto spesso
intervengono anche gli psicologi per la costruzione delle pubblicità
perché grazie a colori, suoni particolari, musiche, messaggi esclusivi si
riesce a colpire il cliente.
Quindi il potere della pubblicità è grande ed è necessario che sia
usato con responsabilità e indirizzato verso il bene comune.
In questo senso la intendeva anche il celebre presidente degli Stati
Uniti, Franklin Delano Roosevelt, il quale il 15 giugno 1931, in un
discorso all’Advertising Federation of America disse:
«Se ricominciassi la mia vita, credo che preferirei lavorare in pubblicità che in qualsiasi altra professione. Perché la pubblicità è arrivata a coprire l’intera gamma delle esigenze umane; e unisce autentica fantasia allo studio profondo della psicologia umana. Poiché porta
a un gran numero di persone la conoscenza di cose utili, la pubblicità
è essenzialmente una forma di educazione... Il generale miglioramento
delle condizioni di vita nelle civiltà moderne sarebbe stato impossibile
senza quella conoscenza di livelli più elevati che è diffusa dalla pubblicità».
La pubblicità però, come qualsiasi altra cosa, può essere usata male,
cioè essere ingannevole, sleale e diseducativa specialmente nei confronti dei giovani, che sono attratti dal bello, dalla perfezione che viene
rappresentata negli spot, come ad esempio il mondo fantastico, quasi
surreale, presente in certe pubblicità di giochi, automobili, viaggi.
Certo, l’uomo, come gli Antichi insegnano nella loro arte e letteratura, è attratto dal bello, e, in un certo senso, la pubblicità può essere
una forma d’arte.
Tuttavia, di fronte ad uno spot pubblicitario occorre saper distinguere quando una proposta d’acquisto è sleale o ingannevole.
Francesca Brotto
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Il Coro del Sacro Cuore
Grandi eventi
SABATO 25 OTTOBRE 2008
Bologna PalaDozza
TE DEUM DI BERLIOZ DIRETTO DAL MAESTRO ABBADO
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Il PalaDozza si prepara all’evento
Roberto Benigni saluta il coro prima di eseguire “Pierino e il lupo”
Il maestro Abbado dirige il Coro
Foto di gruppo dei ragazzi del Sacro Cuore
IL RACCONTO DEI PROTAGONISTI
Ho cominciato quest’anno l’esperienza del Coro nella mia scuola e,
a partire dalla fedeltà all’impegno del martedì pomeriggio, dopo le
lezioni, mi sono ritrovato a vivere un’esperienza nuova e davvero grande per me. Non l’avrei mai immaginato! Le sorprese sono state tante ed
io le ho vissute con entusiasmo una dopo l’altra. Ricordo il martedì in
cui ho appreso la notizia dalla mia insegnante che eravamo stati selezionati… (…) Abbiamo incontrato musicisti professionisti, Benigni e il
celebre direttore Claudio Abbado. Nelle ultime prove che abbiamo
fatto con il maestro Claudio Abbado, ho capito che l’opera era grandiosa e i nostri interventi musicali erano preceduti dal coro degli adulti e dall’orchestra. C’era anche la Rai e ho avuto l’impressione di aver
partecipato ad un avvenimento straordinario, emozionante che non
dimenticherò mai. La musica è entrata nel mio cuore e non ne uscirà
più; il Concerto del Te Deum si è impresso nella mia memoria e il
tempo della mia vita non potranno cancellarne né la bellezza né la gioia
che ho provato in questa indimenticabile esperienza.
Matteo
Aiutati dalla mia insegnante Chiara Rocculi, abbiamo eseguito numerose prove per arrivare ben preparati all’audizione. Il giorno del provino siamo andati a Bologna; eravamo tutti molto emozionati e preoccupati di sbagliare o di stonare e quindi non far parte del coro di voci bianche, ma per fortuna tutto è andato bene e noi siamo stati scelti. A questa
notizia eravamo felicissimi, anche se sapevamo che dovevamo studiare
con disciplina e duramente. Quando ho dato la notizia alla mia famiglia,
mio padre, che è un musicista, è stato molto contento e mi ha suggerito
di cogliere quell’occasione con serietà ed entusiasmo poiché non capita
tutti i giorni di poter vivere un’esperienza simile!
Sabrina
Salimmo in fila indiana e a mano amano che il Paladozza svelava il
suo aspetto, passo a passo, mi sentivo presa da una bellezza mozzafiato: tutti i riflettori puntati su di noi, un coro di seicento voci. Dopo
mezz’ora circa arrivarono i musicisti con lo strumento saldo in mano e
la tensione salì alle stelle; ecco apparire il Maestro Claudio Abbado da
dietro la porta e, quando tutti si accorsero di lui, scoppiò un oceano
gioioso di formato da onde di applausi e schiuma di grida. Il Maestro
cominciò a muovere la sua bacchetta magica e gli strumenti presero
naturalmente vita. Ad uno scatto della sua bacchetta il coro degli adulti cominciò a cantare: sembrava un coro di angeli. Silvia Rossi, la
116
nostra capo-coro, ci fece segno, con una lucina, di incominciare: il coro
di seicento voci bianche cominciò a cantare. Cantare in un coro di seicento voci è stato molto emozionante, tutti eravamo concentratissimi
sui piccoli segni che svolgeva la bacchetta magica di Abbado che per
noi volevano dire molto. Quando vedevo che tutti gli archetti dell’orchestra andavano insieme, come se un burattinaio invisibile li facesse
muovere tutti allo stesso tempo, mi veniva la pelle d’oca.
Claudia
Ho cantato con tutta la mia forza, tirando fuori da me tutte le emozioni: gioia, rabbia, spirito di gruppo, forza interiore. In un attimo mi
sono passati davanti tutti i sacrifici che avevo fatto per arrivare fino a
quel momento: le ore di prove a scuola, i lunghi e interminabili giorni
di prove fatte a Bologna… Tutto per cantare con i miei amici e per la
gioia di essere diretto da Claudio Abbado, un vero maestro di vita e non
solo di orchestra.
Gianluca
Appena arrivati nel salone dove avremmo dovuto cantare, girai gli
occhi in qua e in là e, accorgendomi dell’immensità della struttura, mi
mancò il fiato. Tutto era gigantesco: il palco, le luci… e la quantità di
sedie. Noi bambini che cantavamo eravamo seicento e occupavamo
metà delle seggiole, quindi le proporzioni erano davvero enormi!
L’orchestra era formata da dozzine e dozzine di musicisti che suonavano divinamente. (…) Il tempo passò velocissimo e, solo quando vennero consegnati i fiori alle insegnanti, mi accorsi che una lacrima di
commozione stava scendendo lungo la mia guancia. Sì, io che avevo
disprezzato quel posto per il suo calore e la poca ventilazione piangevo di commozione.
Agnese
Abbiamo conosciuto il famoso maestro Claudio Abbado. Mi hanno
molto impressionato la sua bravura e professionalità; noi eravamo, in
tutto, seicento elementi e lui ci ha guidato con semplicità e disinvoltura, ma anche con rigore e attenzione. È stata un’avventura faticosa e
molto impegnativa, ma sicuramente unica e indimenticabile. Io mi
sono divertita tantissimo e penso che solo tra qualche anno, ripensandoci, mi renderò conto della grande opportunità che ci è stata offerta:
quella di vivere momenti unici con accanto a noi persone veramente
speciali.
Ilaria
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Mi ha colpito tantissimo la bellezza dei movimenti del maestro
Claudio Abbado nel dirigere noi e l’orchestra; a volte rimanevo incantata e solo la potenza delle seicento voci tutte insieme mi “svegliava”.
Il concerto è stato molto appassionante e, secondo il giudizio dei nostri
genitori, quasi “mozzafiato”. È stata un nuova esperienza, bellissima
che mi ha richiesto tanta fatica e tanto impegno. Ho fatto di tutto per
arrivare fino alla fine, fino a ciò che volevo per concludere questa esperienza stupenda e… ne è valsa totalmente la pena.
Belluzzi
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23 DICEMBRE 2008
Teatro Bonci - Cattedrale - Piazza del Popolo
PRESEPE VIVENTE
Il coro accompagna il quadro dell’Annunciazione davanti al Bonci
La Benedizione finale del Vescovo
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4 APRILE 2009
Cattedrale
RECITAL DI PASQUA
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Esecuzioni strumentali degli allievi del Conservatoio “B. Maderna”
Flauto:
Arpa:
Violini:
Nicoletta Sarti
Daniele Belluco
Angela Mazza
Rita Forlivesi
Violoncello:
Sara D’Angelo
Basso Continuo: Cesare Pezzi
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Programma
Musica: Pachelbel, Canone per flauto e arpa
Canto: Dal profondo
Lettura: da C. Peguy, Il mistero della carità di Giovanna d’Arco,
“La più grande storia del mondo”
Canto: Ojos de cielo
Lettura: da C. Peguy, Il mistero della carità di Giovanna d’Arco
“Era stato un buon figlio”
Canto: My song is love unknown
Lettura: da C. Peguy, Il mistero della carità di Giovanna d’Arco
“Sua madre da tre giorni piangeva”
Canto: Stabat mater
Lettura, da Peguy, Il mistero della carità di Giovanna d’Arco
“Maria piangeva”
Canto: Sometimes I feel like a motherless child
Dal Vangelo secondo Matteo “Dio mio, Dio mio, perché mi hai
abbandonato?”
Musica: J. S. Bach - Trio Sonate in Sol maggiore BWV 1034
Lettura, dal vangelo secondo Matteo. 6Non è qui. È risorto, come
aveva detto;
Canto: Gaudete
Canto: Toda la vida
Lettura corale: da Peguy, Il mistero della carità di Giovanna d’Arco
Canto: As the Deer / Hallelu-Hallelujah
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I ragazzi raccontano l’esperienza
Come è tradizione nella nostra scuola, anche quest’anno ci si è
impegnati nel preparare e svolgere al meglio il recital di Pasqua. Le tre
parti fondamentali che lo formavano erano i lettori, il coro recitante e
il coro; io facevo parte di quest’ultimo. Sin da bambina ho un talento,
una passione per il canto, e da sempre mi piace esprimermi tramite questo mezzo; per questo motivo ho deciso di prendere l’impegno di partecipare al coro della scuola, il coro che ha arricchito e approfondito le
mie conoscenze. Abbiamo cominciato a impostare e preparare i canti
da circa metà febbraio, per essere certi di arrivare all’atteso giorno
pronti e sicuri… Il giorno del recital, il quattro aprile ero molto ansiosa, meno degli anni passati, poiché abituata, ma comunque felice. La
chiesa era piena, silenziosa e dopo la breve introduzione della Preside
abbiamo cominciato. Il coro era molto emozionato, con davanti la
Rocculi che faceva di tutto per farlo sorridere; e come sempre ci riusciva... anche troppo. Le letture erano interrotte dai canti e dai brani
preparati da alcuni ragazzi del conservatorio… Pian piano si avvicinava il tempo della canzone “Sometimes I feel”. Adoravo questa canzone, piena di sentimento e decisione. L’ultima lettura è quella che mi ha
colpito maggiormente: due ragazzi di seconda annunciavano il dolore
di Maria, alternandosi in parole ed emozioni, fino ad unirsi, come in un
vortice. Le ultime canzoni sono state quelle più ritmate e piaciute e la
fine si è conclusa con le parole del coro recitante e il bis della canzone
“Toda la Vida”. Alla fine c’è stato un caloroso applauso, poi i ringraziamenti della Preside e del Vescovo.
Anche quest’anno è passato, troppo velocemente; mi mancherà il
coro..era diventato una famiglia, e io mi sentivo parte di essa.
Miriam
Anche quest’anno la scuola, in occasione della Pasqua, ha pensato
di realizzare un recital insieme ai ragazzi e alle loro famiglie. Questa
occasione è stato un altro momento di ritrovo, svolto soprattutto per far
riflettere le persone sull’avvenimento che da lì a pochi giorni sarebbe
avvenuto: la Pasqua. Per aiutare a fare ciò sono stati proposti testi letti
da alcuni alunni e canti svolti dal coro della scuola. Io facevo parte del
coro e questa è stata l’ultima partecipazione, che noi ragazzi di terza,
abbiamo fatto in esso perché Pasqua è l’ultimo momento dell’anno in
cui famiglie, alunni e professori si riuniscono e l’ultima occasione in
cui il coro canta. Sinceramente a me è dispiaciuto molto che sia finito
perché ci tenevo ed era anche un’occasione di stare insieme e di imparare a cantare divertendoci anche se a volte andavo alle prove svoglia124
ta o pensando che fosse noioso. Per questo recital ci siamo preparati
moltissimo, lavorando duramente per tre lunghi mesi. Abbiamo imparato tanti nuovi canti e molti nuovi metodi per scaldare la voce. Tutto
questo è avvenuto lavorando sodo, usando molte energie e avendo la
pazienza di capire e sfumare e curare anche i più piccoli e minimi particolari come i finali delle canzoni oppure le varie voci che potevamo
fare all’interno dei ritornelli. In questo non è mancato il divertimento
da parte di tutti e mai ci siamo arresi neppure nei momenti difficili o
quando vi erano problemi. Facendo molte prove alla fine è riuscito
tutto al meglio, e di questo ne abbiamo avuto la prova non solo il giorno stesso della presentazione ma anche all’ultima prova, quella fatta in
Duomo, la sera prima del grande giorno. È stata una serata lunghissima e molto faticosa: abbiamo cantato, stando in piedi, per due ore e
mezza, facendo e rifacendo i brani più volte fino che la prof Rocculi
non è stata soddisfatta. Finalmente il grande giorno: 4 Aprile 2009; il
giorno che stavamo aspettando da tanto tempo stava arrivando, tutti
eravamo pronti a dare il meglio di noi; impegnandoci e mettendo il
cuore in quello che stavamo facendo. Noi del coro ci siamo recati in
Duomo alla mattina presto per fare gli ultimi ritocchi e per curare le
ultime imperfezioni. Alle ore 11 la chiesa ha cominciato a popolarsi e
il tutto è iniziato con il discorso della preside, seguito dall’esibizione di
alcuni studenti del conservatorio di Cesena che, in gruppo, hanno suonato alcuni brani. Tutto stava procedendo bene man mano che ci si
stava avvicinando alla conclusione. La prof Rocculi era fiera di noi, noi
orgogliosi e tutti eravamo sorpresi della bellezza e della passione in cui
la comunità si stava avvolgendo. I canti e le letture sono state molto
profonde. Alla fine c’è stato un lungo applauso grazie al quale il nostro
cuore si è commosso, non con le lacrime, ma con l’anima; esso ci ha
aiutati a capire cos’è stato per loro ciò che abbiamo creato e in qualche
modo è come se ci avessero ringraziato. La sensazione che ho avuto è
stata bellissima, ma non la so spiegare, è stata del tutto nuova anche per
me. A mio parere è stato bellissimo, il più bello e coinvolgente tra i
recital svolti. Mi attendevo molto meno perché non credevo che noi
riuscissimo a svolgere un gesto così bello. Di ciò sono stata molto felice, ma mi dispiace molto che sia finito.
Chiara
Anche questo anno con la mia scuola, il 4 aprile, abbiamo organizzato un grande recital per celebrare insieme l’arrivo della Pasqua con
canti e letture. Insieme ad altri 55 ragazzi circa facevo parte del coro;
avevamo lavorato diverse ore puntando a grandi risultati. Ogni martedì
e alcune volte il Giovedì, il coro, i musicisti e la prof Rocculi insieme
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a Luigi( un direttorre d’orchestra che ci aiutava con i canti più complessi) e Mirella eravamo a scuola per lavorare al fine di uno spettacolo meraviglioso; ogni volta dovevo rimanere con una dozzina di ragazze fino alle 4 poichè lavoravamo a un canto con solo noi solisti.
Questa esperienza con il coro, per noi di terza è stata l’ultima, me
penso anche una delle più belle. Mi mancheranno molte cose, la prof
Rocculi con la sua simpatia, i litigi e le sgridate per le sedie durante la
prova, ma soprattutto, mi mancherà quella sensazione che ho provato
anche quella mattina: quando la gente ti guarda con l’aspettativa di uno
spettacolo che non vorrà dimenticare, e ti emozioni così tanto da sentire
“le formiche nello stomaco” e il massimo che ti senti di fare è sorridere.
Quella sensazione, quella mattina, si avvertì in ogni singola parte
del mio corpo; eravamo in Duomo e il Vescovo si sedette al centro della
chiesa tra le due file di panchine e ci guardava sorridente con il volto
pieno di orgoglio. Sembrava che la gente non smettesse più di arrivare
ed era difficile pensare che venisse per vedere noi. Dopo i primi cinque
minuti la chiesa era piena, piena di gente venuta per noi, poi ecco il
discorso della preside che segnò l’inizio dello spettacolo e di quella
magnifica esperienza che si concluse con il bis di Toda la Vida, un
brano che emette gioia dal primo momento. Da questa esperienza ho
imparato che cantare è come pregare due volte e se lo si fa bene rende
felice e orgoglioso non solo te ma anche chi ti ascolta.
Giulia
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“Sister Act”
Teatro in lingua inglese
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Viaggio in Baviera
Il viaggio si è svolto nelle giornate del 10-11-12 settembre 2008 e
ha visto la partecipazione degli alunni della sezione di tedesco (1B, 2B
e 3B) accompagnati dal prof. Paolo Bragagni e dalla prof.ssa Lidia
Dradi. Gli alunni hanno frequentato per 2 giorni lezioni in lingua tedesca presso la Scuola Sprachforum di Augsburg (Augusta) dove hanno
respirato un’atmosfera decisamente internazionale. La visita del fiabesco castello di Neuschwanstein, la città romana di Augusta, il dinamico capoluogo bavarese Monaco con l’elegante residenza di
Nymphenburg, la vivace piazza Marienplatz con il carillon, l’antica
birreria Hofbräuhaus e il mirabolante stadio Allianz Arena e la pittoresca città tirolese di Innsbruck insieme alla vicina fabbrica di
Swarovski contornata dalle Alpi, sono state le principali mete turistiche
toccate durante il viaggio.
Veduta del castello di Neuschwanstein immortalato dalla Walt Disney
nei suoi cartoni animati
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Scorcio del castello dal ponte sospeso
La fontana di Augusto nel centro
della meravigliosa città di
Augusta fondata dall’imperatore
romano
La Torre del Municipio, la Perlach
Turm, consta di 285 gradini per
raggiungere la sommità e assistere
allo spettacolo delle campane
L’affascinante primo piano del
castello di Nymphenburg ricco di
sconfinati prati verdi
Il quartier generale della BMW, la
casa automobilistica tedesca con
sede a Monaco
Il Neues Rathaus mit Glockenspiel: la svettante torre gotica del
Municipio di Monaco impreziosito dal favoloso carillon
Die Teufelsspur : L’impronta del
diavolo all’interno del Duomo di
Monaco intorno alla quale aleggia
un alone di mistero e leggenda
L’interno della famosa birreria Hofbräuhaus tra assaggi di gustosa birra
e abbuffate di Brezen, il tipico pane monacense
A scuola di tedesco: allo Sprachforum insieme al mitico professore Hansjörg
Un magnifico vialetto all’interno della Fuggerei, l’insediamento sociale più antico al mondo, e le casette lillipuziane incorniciate da bellissime piante di edera
Foto di gruppo all’interno della Fuggerei
Lo splendido stadio di Monaco, l’Allianz Arena, dalle magiche luci:
bianco e rosso con la squadra di serie A, il Bayern München, bianco e
blu con la squadra di serie B, il TSV 1860, tutto bianco con la nazionale tedesca.
L’ingresso allo show-room di Swarovski: da una collinetta spunta una
scultura di foglie con due occhi di cristallo e una bocca da cui sgorga
l’acqua per una scenografia da mille e una notte
Il centro storico di Innsbruck è un tripudio di
insegne e affreschi molto pittoreschi
Irresistibili delizie al Café Sacher in un’atmosfera d’altri tempi
I RAGAZZI RACCONTANO L’ESPERIENZA
Andando alla Fuggerei, l’insediamento sociale più antico al mondo,
abbiamo potuto ammirare la bravura dell’uomo che l’ha realizzata,
Jakob Fugger, il quale nella progettazione ha pensato unicamente ai
poveri chiedendo un affitto simbolico di 0,88 centesimi al mese e 3 preghiere al giorno alla sua memoria. Inoltre, queste casette lillipuziane
hanno la particolarità di avere un campanello differente per facilitare il
rientro notturno a casa in assenza di illuminazione pubblica. Quando ci
siamo recati presso queste casette ci siamo divertiti a suonare i campanelli e a disturbare scherzosamente la gente. Queste case nonostante
costino poco hanno tutto il necessario e qualunque bisognoso può
andarci a vivere a condizione che sia nato ad Augusta.
Alberto
Durante la nostra gita scolastica attraverso l’Austria una cosa che
mi ha colpito molto è stato il complesso di Swarovski costruito sulla
sommità di una collina.
All’interno si possono trovare molti tipi di oggetti, tutti però rigorosamente in cristallo Swarovski.
Fuori del museo si estende un immenso giardino verde ben curato
dove abbiamo giocato a rincorrerci. Peccato che siamo dovuti partire in
fretta.
Valerio
Durante la gita in Germania mi ha colpito particolarmente il castello di Neuschwanstein all’interno del quale ho visto numerose sale
decorate con il simbolo del cigno, l’ animale prediletto del principe, e
ho capito il significato del nome del castello (Il Nuovo Castello della
Pietra del Cigno). Inoltre mi è piaciuto giocare nel parco del castello di
Nymphenburg, a Monaco, dove ci siamo divertiti ma abbiamo rischiato una multa perché il parco è un ambiente non riservato ai giochi di
gruppo.
Riccardo Consalici
La cosa che mi ha colpito di più della gita in Germania è stato andare sul campanile che sovrastava la piazza di Augusta e il momento più
emozionante è stato quando hanno incominciato a suonare le campane.
Tutti ci siamo protetti le orecchie perché le campane erano sulla nostra
testa e tutti siamo scesi un po’ storditi dal campanile a causa del suono
molto forte. L’altra cosa che mi è piaciuta è stata l’imponente chiesa di
Monaco dove si trova la famosa impronta del diavolo e quello che mi
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ha colpito è stato che il piede del prof. Bragagni calzava perfettamente
con quell’impronta! (…della serie I nuovi diavoli!)
Simone
Della gita fatta in Germania e in Austria con la mia classe e il prof.
Bragagni mi sono piaciuti il negozio di Swarosvki con i suoi gioielli
brillanti e a Monaco, la magnifica Marienplatz con il carillon del palazzo comunale. Un’altra visita molto interessante è stata anche la chiesa
a Monaco della Frauenkirche dove c’era l’impronta del diavolo.
Benedetta
La cosa che mi è piaciuta di più è stato il castello di Neuschwanstein, in particolare il ponte panoramico sulla cascata dietro il castello
e gli arredi sfarzosi dell’interno dove risiedeva il re Ludwig.
Giacomo
Durante la vacanza con la classe di tedesco siamo andati a
Innsbruck e poi a Monaco. Durante la prima tappa ci siamo fermati a
visitare il castello di Neuschwanstein. Questa è stata la mia tappa preferita. Mi hanno colpito soprattutto tutte le belle stanze del castello e gli
intricati corridoi. In particolare era bellissima la camera del re Ludwig.
Davvero splendida.
Agnese
Di tutta la gita in Germania, la cosa che mi ha divertita e affascinata di più è stata la torre Perlach nel centro della città di Augusta. Prima
di salire in cima abbiamo dovuto percorrere 285 scalini a chiocciola.
Arrivati in cima le campane hanno iniziato a suonare producendo un
rumore assordante: da lassù si poteva vedere tutto il paesaggio.
Rebecca
La cosa che mi è piaciuta di più in questa gita stupenda in Germania
è stato il palazzo comunale di Monaco nella piazza Marienplatz, il
salotto della città, gremita di gente in attesa di vedere il carillon che si
aziona tre volte al giorno e che ricorda il matrimonio tra il Duca
Guglielmo V con la Principessa Renate di Lorena e la danza dei bottai
che segna il ritorno della città alla normalità dopo la peste del 1515-17.
Tommaso
Questa gita mi ha entusiasmato particolarmente in quanto era tutto
l’anno che aspettavo quel momento e gli studenti degli anni preceden-
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ti me ne avevano parlato molto bene. In questa nuova esperienza ho
potuto conoscere le tradizioni e le abitudini di un nuovo stato ammirando splendidi monumenti antichi come Neuschwanstein o più recenti come l’Allianz Arena Stadion, lo stadio dove gioca il Bayern
München. La cosa che ho apprezzato di più è stata la compagnia dei
miei amici con cui mi sono potuto confrontare e mi sono divertito
molto. Inoltre la loro compagnia mi è servita molto perché questo viaggio per me non sarebbe stato così bello come è stato poiché non c’è
vacanza senza amici e per me gli amici sono come l’acqua e il calcio.
Senza non potrei vivere.
Alberto
Della gita fatta in Germania con la mia classe e il prof. Bragagni mi
sono piaciute due cose: la chiesa della Frauenkirche dove è riprodotta
l’impronta del diavolo e anche la Marienplatz dove siamo rimasti tutti a
testa alta e con le orecchie aperte per ascoltare il carillon della piazza.
Rita
A Monaco siamo anche andati nella famosa birreria HB Hofbräuhaus e abbiamo mangiato Brezen e assaggiato la birra da un boccale
gigante e nello stesso quartiere abbiamo comprato la bandiera del
Bayern München, appesa ora nella nostra aula di tedesco.
...All’interno del Duomo si dice che il diavolo abbia impresso una
impronta perché l’architetto l’aveva invitato a scorgere almeno una
delle 66 finestre presenti nella chiesa ma dalla posizione in cui si era
fermato il diavolo non scorse nessuna finestra. Irritato per aver perso la
scommessa fatta con l’architetto saltò e lasciò un’impronta. Oggi si
dice che quella persona la cui impronta calza perfettamente potrebbe
essere il diavolo tornato per vendicarsi.
Riccardo
Mi è piaciuta molto l’atmosfera all’interno del caffè Sacher a
Innsbruck dove abbiamo assaggiato le celebri torte Sacher e lo strudel:
il locale era molto elegante, con divanetti, poltroncine e sedie in velluto e tavoli antichi in legno. Sembrava di essere tornati all’epoca di
Sissi!
Marco
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Foto di classe
1A
1B
2A
2B
3A
3B
INDICE
Introduzione
“La parola scritta accende la fantasia
e illumina l’interiorità”
(Laboratorio di scrittura classi Prime)
“Alla ricerca del tesoro”
Diario di un anno (Classi Seconde)
Lo scandaglio della parola
(Laboratorio di scrittura classi Terze)
Il campionato di giornalismo
de “Il Resto del Carlino”
Il Coro del Sacro Cuore
Grandi eventi
p.
3
5
37
75
99
111
“Sister Act”
Teatro in lingua inglese
127
Foto di classe
149
Viaggio in Baviera
137
155
Finito di stampare nella Stilgraf di Cesena
nel mese di giugno 2009
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scuola media.5