La Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Struttura, recepimento nazionale, e sistema giurisdizionale. 4 novembre 1950 Roma, gli Stati del Consiglio d’Europa firmano la Convezione Europea dei Diritti dell’Uomo ratificata in Italia con la legge ordinaria 4 agosto 1955 n. 848 • • • • • • • • • Quali sono i diritti previsti dalla CEDU? Tra gli altri: il diritto alla vita (art. 2); Il divieto di trattamenti inumani e degradanti (art. 3). V., da ultimo, CEDU, Cestaro c. Italia, 7 aprile 2014. il diritto ad un processo equo in materia civile e penale (art. 6); il diritto al rispetto della propria vita privata e familiare (art. 8); la libertà di pensiero, coscienza e religione (art. 9); la libertà di espressione (art. 10); il diritto a disporre di un ricorso effettivo (art. 13); il diritto al rispetto dei propri beni (art. 1 Prot. 1); il diritto di votare e di presentarsi come candidati (art. 3 Prot. 1). Le peculiarità della CEDU contenutistiche la Convenzione ha contenuto materialmente costituzionale, sovrapponendosi spesso alla disciplina della Costituzione; tuttavia, l’ordinamento interno non ha riconosciuto ad essa un rilievo particolare, a differenza di quanto fatto, ad esempio, per i Patti Lateranensi o il Trattato CE. strutturali è fornita di un apparato istituzionale e di un sistema di tutela giurisdizionale deputati ad assicurarne il rispetto; la sua portata è arricchita dall’attività della Corte EDU, che ne interpreta ed applica le disposizioni; è previsto un meccanismo di controllo sull’esecuzione delle sentenze (art. 46 CEDU). Quale posto per la CEDU nella gerarchia delle fonti? Il ricorso alle legge ordinaria per la ratifica, a stretto rigore, dovrebbe far concludere nel senso del riconoscimento di un rango di fonte primaria – al pari della legge che rinvia ad essa – per la Convenzione. Non sono mancati, tuttavia, tentativi della dottrina tesi a riconoscere una valore costituzionale, o para-costituzionale, alla Convenzione, attraverso “l’ancoraggio” di diverse norme costituzionali, quali ad esempio: l’art. 2, che impronta tutti i diritti tutelati dalla Costituzione ad un principio personalista, di valorizzazione dell’individuo [Barbera], e che informa di sé l’intero assetto istituzionale; l’art. 10, c. 1, perché molte disposizioni della CEDU coinciderebbero in realtà con norme consuetudinarie internazionali, oggetto di adattamento automatico; l’art. 10, c. 2, che riguarda la disciplina applicabile agli stranieri; l’art. 11: soluzione già avvalorata per il Trattato CE, da taluni ritenuta applicabile a tutti i trattati, in primis quelli riguardanti la tutela dei diritti fondamentali. La giurisprudenza costituzionale italiana Sentenza n. 10 del 1993 La CEDU stabilisce all'art. 6, terzo comma, lettera a), che "ogni accusato ha diritto ( ..) a essere informato, nel più breve spazio di tempo, nella lingua che egli comprende e in maniera dettagliata, della natura e dei motivi dell'accusa a lui rivolta". Una disposizione del tutto identica è, altresì, contenuta nell'art. 14, terzo comma, lettera a), del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici … Le norme internazionali appena ricordate sono state introdotte nell'ordinamento italiano con la forza di legge propria degli atti contenenti i relativi ordini di esecuzione (v. sentt. nn. 188 del 1980, 153 del 1987 e 323 del 1989) e sono tuttora vigenti, non potendo, certo, esser considerate abrogate dalle successive disposizioni del codice di procedura penale, non tanto perché queste ultime sono vincolate alla direttiva contenuta nell'art. 2 della legge delega del 16 febbraio 1987, n. 81 ("il codice di procedura penale deve ( ..) adeguarsi alle norme delle convenzioni internazionali ratificate dall'Italia e relative ai diritti della persona e al processo penale"), quanto, piuttosto, perché si tratta di norme derivanti da una fonte riconducibile a una competenza atipica e, come tali, insuscettibili di abrogazione o di modificazione da parte di disposizioni di legge ordinaria. La giurisprudenza costituzionale italiana • Sentenze 348 e 349 del 2007 nel caso in cui il giudice rilevi un contrasto fra norma interna e norma della CEDU ha l’obbligo di interpretare la legge in senso conforme a Convenzione qualora l’interpretazione conforme non sia possibile, è necessario sollevare una questione di legittimità costituzionale per contrasto mediato con l’art. 117, primo comma, Cost. le norme CEDU operano quali “norme interposte” nel giudizio di costituzionalità. C. cost. sent. 348/2007 “Si deve riconoscere che il parametro costituito dall'art. 117, primo comma, Cost. diventa concretamente operativo solo se vengono determinati quali siano gli ‘obblighi internazionali’ che vincolano la potestà legislativa dello Stato e delle Regioni. Nel caso specifico sottoposto alla valutazione di questa Corte, il parametro viene integrato e reso operativo dalle norme della CEDU, la cui funzione è quindi di concretizzare nella fattispecie la consistenza degli obblighi internazionali dello Stato”. Gli sviluppi della giurisprudenza costituzionale italiana sulla CEDU sentenza n. 80 del 2011 (svolgimento su istanza di parte dell’udienza pubblica nel procedimento di applicazione delle misure di prevenzione) confermativa delle sentenze «gemelle»; la Corte nega che, allo stato, le innovazioni recate dal trattato di Lisbona [art. 6, TUE] abbiano comportato un mutamento nella collocazione delle disposizioni CEDU nel sistema delle fonti. ...“l’ordinamento comunitario configura una «realtà giuridica, funzionale e istituzionale» differenziata dal sistema CEDU” … La copertura costituzionale dell’art. 11 Cost., ha spiegato la Corte, non è invocabile per il sistema convenzionale neppure facendo leva sull’art. 6 par. 3 TUE-L, che qualifica i diritti fondamentali della CEDU come “principi generali del diritto comunitario” Per la Corte costituzionale italiana, la situazione anteriore al Trattato di Lisbona non è mutata neppure per il fatto che la Carta di Nizza ha ormai lo «stesso valore giuridico dei Trattati» (art. 6 TUE, paragrafo 1, primo comma) e che l’art. 52, paragrafo 3, primo periodo, della suddetta Carta, preveda una clausola di equivalenza fra i diritti da essa previsti e «quelli corrispondenti garantiti» dalla CEDU. [Negli stessi termini: sentenze n. 113, 236, 303 del 2011, 78 e 230 del 2012]. • La Corte si ispira alla regola del «plus di tutela» (art. 46 CEDU impegna gli Stati contraenti a «conformarsi alle sentenze definitive della Corte [EDU] sulle controversie di cui sono parti» «il risultato complessivo dell’integrazione delle garanzie dell’ordinamento deve essere di segno positivo, nel senso che dall’incidenza della singola norma CEDU sulla legislazione italiana deve derivare un plus di tutela per tutto il sistema dei diritti fondamentali» (sentenza n. 317 del 2009). • Contra: sent. n. 230 del 2012 (impossibilità di abolitio criminis per mutamento giurisprudenziale): la Corte statuisce che non c’è violazione dei principi di uguaglianza e di ragionevolezza, nonché di retroattività della legge penale più favorevole al reo “… sussistendo nel nostro ordinamento i principi di riserva di legge in materia penale e di separazione dei poteri in forza dei quali la abrogazione delle norme penali, al pari della loro creazione, può discendere solo da un atto di volontà del legislatore”. Competenza della Corte EDU Competenza generale su tutte le questioni concernenti l’interpretazione e l’applicazione delle disposizioni Cedu e dei protocolli (art. 32 CEDU). Ricorso dello Stato (art. 33): per fare valere qualsiasi inosservanza delle disposizioni CEDU. Ricorso del singolo (art. 34): per lamentare la violazione di uno diritti previsti dalla CEDU o dai suoi protocolli. L’individuo può lamentare anche la lesione di altre disposizioni ove lo Stato abbia ostacolato il suo ricorso alla Corte o non abbia ottemperato alle misure provvisorie adottate dalla Corte Edu. Esecuzione delle sentenze CEDU nell’ordinamento nazionale • L’art. 46 CEDU impegna gli Stati contraenti a «conformarsi alle sentenze definitive della Corte [EDU] sulle controversie di cui sono parti». • La Corte è tenuta ad applicare il diritto CEDU nell’interpretazione che ne ha dato la Corte EDU, ma con un «margine di apprezzamento e di adeguamento che – nel rispetto della “sostanza” della giurisprudenza di Strasburgo – le consenta comunque di tenere conto delle peculiarità dell’ordinamento in cui l’interpretazione della Corte europea è destinata ad inserirsi» (sentenze n. 230 del 2012, 236 e 303 del 2011, 311 del 2009). Corte cost. n. 49/2015: l’obbligo di conformarsi al diritto convenzionale vivente “7. Questa Corte ha già precisato, e qui ribadisce, che il giudice comune è tenuto ad uniformarsi alla «giurisprudenza europea consolidatasi sulla norma conferente» (sentenze n. 236 del 2011 e n. 311 del 2009), «in modo da rispettare la sostanza di quella giurisprudenza» (sentenza n. 311 del 2009; nello stesso senso, sentenza n. 303 del 2011), fermo il margine di apprezzamento che compete allo Stato membro (sentenze n. 15 del 2012 e n. 317 del 2009).” “È, pertanto, solo un “diritto consolidato”, generato dalla giurisprudenza europea, che il giudice interno è tenuto a porre a fondamento del proprio processo interpretativo, mentre nessun obbligo esiste in tal senso, a fronte di pronunce che non siano espressive di un orientamento oramai divenuto definitivo”. “La nozione stessa di giurisprudenza consolidata trova riconoscimento nell’art. 28 della CEDU, a riprova che, anche nell’ambito di quest’ultima, si ammette che lo spessore di persuasività delle pronunce sia soggetto a sfumature di grado, fino a quando non emerga un «well-established case-law» che «normally means caselaw which has been consistently applied by a Chamber», salvo il caso eccezionale su questione di principio, «particularly when the Grand Chamber has rendered it» (così le spiegazioni all’art. 8 del Protocollo n. 14, che ha modificato l’art. 28 della CEDU).” Segue Solo nel caso in cui si trovi in presenza di un “diritto consolidato” o di una “sentenza pilota”, il giudice italiano sarà vincolato a recepire la norma individuata a Strasburgo, adeguando ad essa il suo criterio di giudizio per superare eventuali contrasti rispetto ad una legge interna, anzitutto per mezzo di «ogni strumento ermeneutico a sua disposizione», ovvero, se ciò non fosse possibile, ricorrendo all’incidente di legittimità costituzionale (sentenza n. 80 del 2011). Quest’ultimo assumerà di conseguenza, e in linea di massima, quale norma interposta il risultato oramai stabilizzatosi della giurisprudenza europea, dalla quale questa Corte ha infatti ripetutamente affermato di non poter «prescindere» (ex plurimis, sentenza n. 303 del 2011), salva l’eventualità eccezionale di una verifica negativa circa la conformità di essa, e dunque della legge di adattamento, alla Costituzione (ex plurimis, sentenza n. 264 del 2012), di stretta competenza di questa Corte. Mentre, nel caso in cui sia il giudice comune ad interrogarsi sulla compatibilità della norma convenzionale con la Costituzione, va da sé che questo solo dubbio, in assenza di un “diritto consolidato”, è sufficiente per escludere quella stessa norma dai potenziali contenuti assegnabili in via ermeneutica alla disposizione della CEDU, così prevenendo, con interpretazione costituzionalmente orientata, la proposizione della questione di legittimità costituzionale. Casi di convergenza tra la Corte costituzionale e la Corte EDU 1. Sent. n. 113 del 2011 (caso Dorigo): la Corte costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 630 c.p.p. nella parte in cui “non contempla un «diverso» caso di revisione, rispetto a quelli ora regolati, volto specificamente a consentire (per il processo definito con una delle pronunce indicate nell’art. 629 cod. proc. pen.) la riapertura del processo – intesa, quest’ultima, come concetto di genere, funzionale anche alla rinnovazione di attività già espletate, e, se del caso, di quella integrale del giudizio – quando la riapertura stessa risulti necessaria, ai sensi dell’art. 46, paragrafo 1, della CEDU, per conformarsi a una sentenza definitiva della Corte europea dei diritti dell’uomo (…)”. “La necessità della riapertura andrà apprezzata – oltre che in rapporto alla natura oggettiva della violazione accertata (è di tutta evidenza, così, ad esempio, che non darà comunque luogo a riapertura l’inosservanza del principio di ragionevole durata del processo, di cui all’art. 6, paragrafo 1, CEDU, dato che la ripresa delle attività processuali approfondirebbe l’offesa) – tenendo naturalmente conto delle indicazioni contenute nella sentenza della cui esecuzione si tratta, nonché nella sentenza “interpretativa” eventualmente richiesta alla Corte di Strasburgo dal Comitato dei ministri, ai sensi dell’art. 46, paragrafo 3, della CEDU.” (segue) 2. Disciplina dell’indennità di espropriazione e del risarcimento del danno derivante dalla occupazione appropriativa da parte della pubblica amministrazione. la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 5-bis, comma 6, del decreto legge n. 333 del 1992, convertito dalla legge n. 359 del 1992 (nel testo sostituito dall'art. 1, comma 65, della legge n. 549 del 1995), che prevedeva la quantificazione dell’indennizzo in misura non corrispondente al valore di mercato del bene occupato, in violazione dell’art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU in tema di diritto di proprietà (sentt. nn. 348 e 349 del 2007). Nozione di “pubblica utilità” “Nel determinare l’importo del risarcimento adeguato la Corte deve basarsi sul criterio stabilito nelle sue sentenze riguardo all’articolo 1 del Protocollo 1 e secondo cui, senza pagamento di un importo ragionevolmente riferito al suo valore, una privazione di proprietà normalmente costituirebbe un’interferenza sproporzionata che non può essere considerata giustificabile … ed una mancanza totale del risarcimento potrebbe essere considerata giustificabile solamente in circostanze eccezionali. Comunque, la disposizione non garantisce un diritto al pieno risarcimento in tutte le circostanze poiché degli obiettivi legittimi di “interesse pubblico” possono richiedere un rimborso inferiore al pieno valore di mercato …” (Schembri c. Malta, 10 novembre 2009). Indennità di espropriazione per pubblica utilità Cfr. Corte cost. sentenza n. 181/2011 “ … l’indennizzo assicurato all’espropriato dall’art. 42, terzo comma, Cost., se non deve costituire una integrale riparazione per la perdita subita – in quanto occorre coordinare il diritto del privato con l’interesse generale che l’espropriazione mira a realizzare – non può essere, tuttavia, fissato in una misura irrisoria o meramente simbolica, ma deve rappresentare un serio ristoro (ex multis: sentenze n. 173 del 1991; sentenza n. 1022 del 1988; sentenza n. 355 del 1985; sentenza n. 223 del 1983; sentenza n. 5 del 1980). Quest’ultima pronuncia ha chiarito che, per raggiungere tale finalità, «occorre fare riferimento, per la determinazione dell’indennizzo, al valore del bene in relazione alle sue caratteristiche essenziali, fatte palesi dalla potenziale utilizzazione economica di esso, secondo legge. Solo in tal modo può assicurarsi la congruità del ristoro spettante all’espropriato ed evitare che esso sia meramente apparente o irrisorio rispetto al valore del bene». Ad analoghe conclusioni è giunta la già citata sentenza n. 348 del 2007, la quale ha ribadito che «deve essere esclusa una valutazione del tutto astratta, in quanto sganciata dalle caratteristiche essenziali del bene ablato» (principio già affermato dalla sentenza n. 355 del 1985) …” segue Cfr. Corte cost. sentenza n. 338/2011 “ … sia la giurisprudenza di questa Corte che quella della Corte EDU hanno individuato in materia di indennità di espropriazione un nucleo minimo di tutela del diritto di proprietà, garantito dall’art. 42, terzo comma, Cost., e dall’art. 1 del primo protocollo addizionale della CEDU, in virtù del quale l’indennità di espropriazione non può ignorare «ogni dato valutativo inerente ai requisiti specifici del bene», né può eludere un «ragionevole legame» con il valore di mercato (da ultimo sentenza n. 181 del 2011 e prima ancora, sentenza n. 348 del 2007). In applicazione di tale principio, l’ingerenza nel diritto al rispetto dei beni deve realizzare, in primo luogo, un «giusto equilibrio» tra le esigenze dell’interesse generale della comunità e il requisito della salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo. In secondo luogo, nonostante che al legislatore ordinario spetti un ampio margine, l’acquisizione di beni senza il pagamento di indennizzo in ragionevole rapporto con il loro valore costituisce normalmente un’ingerenza sproporzionata. Il legislatore, quindi, sebbene non abbia il dovere di commisurare integralmente l’indennità di espropriazione al valore di mercato del bene ablato, non può sottrarsi al «giusto equilibrio» tra l’interesse generale e la salvaguardia dei diritti fondamentali degli individui …” 3. Qualificazione della confisca “per equivalente” in materia fiscale come misura analoga a una sanzione penale, con il conseguente divieto di applicazione retroattiva, alla stregua dell’art. 7 CEDU. La Corte costituzionale ne smentisce la natura di misura amministrativa e ne riconosce la valenza di misura penale, allineandosi con la giurisprudenza CEDU (ordinanze n. 301 e n. 97 del 2009). (segue) Sentenza n. 196 del 2010 Dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, formatasi in particolare sull'interpretazione degli artt. 6 e 7 della CEDU, si ricava, pertanto, il principio secondo il quale tutte le misure di carattere punitivoafflittivo devono essere soggette alla medesima disciplina della sanzione penale in senso stretto. Principio questo, del resto, desumibile dall'art. 25, secondo comma, Cost., il quale - data l'ampiezza della sua formulazione («Nessuno può essere punito…») - può essere interpretato nel senso che ogni intervento sanzionatorio, il quale non abbia prevalentemente la funzione di prevenzione criminale (e quindi non sia riconducibile - in senso stretto - a vere e proprie misure di sicurezza), è applicabile soltanto se la legge che lo prevede risulti già vigente al momento della commissione del fatto sanzionato. Art. 7, par. 1, CEDU (nulla poena sine lege) Varvara c. Italia, seconda sezione, 29 ottobre 2013 Sanzione penale sotto forma di confisca di beni, ordinata nonostante la dichiarazione di non luogo a procedere (per prescrizione) nel procedimento penale: violazione dell’art. 7, par. 1. “ 71. La logica della «pena» e della «punizione», e la nozione di «guilty» (nella versione inglese) e la corrispondente nozione di «persona colpevole» (nella versione francese), depongono a favore di un’interpretazione dell’articolo 7 che esige, per punire, una dichiarazione di responsabilità da parte dei giudici nazionali, che possa permettere di addebitare il reato e di comminare la pena al suo autore. In mancanza di ciò, la punizione non avrebbe senso (Sud Fondi e altri, sopra citata, § 116). Sarebbe infatti incoerente esigere, da una parte, una base legale accessibile e prevedibile e permettere, dall’altra, una punizione quando, come nel caso di specie, la persona interessata non è stata condannata.” Art. 7 CEDU: segue Sui criteri di qualificazione della "infrazione penale" ai sensi dell'art. 7 CEDU - Sentenza Engel c. Paesi, ove si chiarisce che una sanzione qualificata come disciplinare a livello interno può ugualmente soggiacere agli artt. 6 e 7 CEDU; - Sentenza Ozturk c. Germania, ove si riconosce che una sanzione qualificata come amministrativa a livello interno può ugualmente soggiacere all'art. 7 CEDU; - Sentenza Welch c. Gran Bretagna, ove si ribadisce il carattere "autonomo" della nozione di "pena" ai sensi dell'art. 7 CEDU; - Sentenza Iussila c. Finlandia, ove si afferma che la lievità di una sanzione non esclude ex se la natura penale ex art. 7 CEDU. Segue Una sanzione penale ex art. 7 CEDU può essere inflitta anche in assenza di dolo o colpa - Sentenza Salabiaku v. Francia; - Sentenza Janosevic v. Svezia; - Sentenza Valico v. Italia: non violazione dell'art. 7 CEDU, per avere inflitto una sanzione pecuniaria "penale" in materia urbanistica. Una autorità amministrativa può applicare una pena ex art. 7 CEDU, purchè sia garantito un successivo controllo giurisdizionale - Sentenza Malige v. Francia; - Sentenza Baischer v. Austria; L'amministrazione può infliggere una pena ex art. 7 CEDU anche se sui medesimi fatti non si è svolto alcun procedimento penale - Sentenza Mamidakis v. Grecia Corte cost. sent. n. 49/2015 6.1. “ … la Corte EDU, fin dalle sentenze 8 giugno 1976, Engel contro Paesi Bassi, e 21 febbraio 1984, Öztürk contro Germania, ha elaborato peculiari indici per qualificare una sanzione come una “pena” ai sensi dell’art. 7 della CEDU, proprio per scongiurare che i vasti processi di decriminalizzazione, avviati dagli Stati aderenti fin dagli anni 60 del secolo scorso, potessero avere l’effetto di sottrarre gli illeciti, così depenalizzati, alle garanzie sostanziali assicurate dagli artt. 6 e 7 della CEDU (sentenza 21 febbraio 1984, Öztürk contro Germania)”. “È infatti principio consolidato che la “pena” può essere applicata anche da un’autorità amministrativa, sia pure a condizione che vi sia facoltà di impugnare la decisione innanzi ad un tribunale che offra le garanzie dell’art. 6 della CEDU, ma che non esercita necessariamente la giurisdizione penale (da ultimo, sentenza 4 marzo 2014, Grande Stevens e altri contro Italia, con riferimento ad una sanzione reputata grave). Si è aggiunto che la “pena” può conseguire alla definizione di un procedimento amministrativo, pur in assenza di una dichiarazione formale di colpevolezza da parte della giurisdizione penale (sentenza 11 gennaio 2007, Mamidakis contro Grecia)”. Casi di disallineamento tra la Corte costituzionale e Corte EDU 1. Principio di integrale retroattività della legge penale più mite (lex mitior) con il solo limite del giudicato (art. 7 CEDU): Corte Strasburgo, Grande Camera, Scoppola c. Italia, 17 settembre 2009. Corte cost. sent. n. 236 del 2011: non fondatezza della q.l.c. dell’art. 10 della l. n. 251 del 2005 (c.d. ex-Cirielli) nella parte in cui esclude l’applicazione dei nuovi termini di prescrizione dei reati, se più favorevoli, per i processi già pendenti in grado di appello o dinanzi alla Corte di Cassazione. La Corte afferma che, secondo la Corte di Strasburgo, il principio di retroattività della lex mitior concerne le sole “disposizioni che definiscono i reati e le pene che li reprimono”, mentre il principio di retroattività, di cui all’art. 2, quarto comma, del nostro codice penale, non si limita alle sole disposizioni concernenti la misura della pena, ma va esteso a tutte le norme sostanziali – come quelle relative alla prescrizione - che incidono sul complessivo trattamento riservato al reo. 2. Interpretazione dell’art. 7 CEDU: «No one shall be held guilty of any criminal offence on account of any act or omission which did not constitute a criminal offence under national or international law at the time when it was committed» per “law” la Corte Edu intende anche il diritto di formazione giurisprudenziale (CO. DU. 8 dic. 2009, Previti c. Italia; 20 gen. 2009, Sud Fondi s.r.l. c. Italia; 24 apr. 1990, Kruslin c. Francia). Corte cost. sentenza n. 230 del 2012: non fondatezza della q.l.c. dell’673 c.p. nella parte in cui non prevede la revoca della sentenza di condanna per il sopravvenire di una sentenza delle SS.UU. Cassazione la quale ha ritenuto che il fatto giudicato non è previsto dalla legge come reato. “Non sussiste la violazione del principio di (tendenziale) retroattività della normativa penale più favorevole il quale, attenendo alla sola successione di leggi, non può essere esteso ai mutamenti giurisprudenziali, essendo questi ultimi privi di vincolatività e sussistendo nel nostro ordinamento i principi di riserva di legge in materia penale e di separazione dei poteri in forza dei quali la abrogazione delle norme penali, al pari della loro creazione, può discendere solo da un atto di volontà del legislatore.” 3. presupposti e limiti della retroattività delle leggi: leggi di interpretazione autentica e caso delle “pensioni svizzere” (antefatto: CEDU, caso Maggio e al. C. Italia, 31 maggio 2011) pronunciamento della CEDU opposto a quello reso dalla Corte costituzionale nella precedente sentenza n. 172 del 2008. Disallineamento tra le due Corti in tema di leggi di interpretazione autentica (così, anche CEDU, caso Agrati e al. c. Italia, 7 giugno 2011). La Corte costituzionale, nella sentenza n. 264 del 2012, dichiara non fondata la q.l.c., giustificando l’intervento legislativo nazionale (peggiorativo) alla luce dei “motivi imperativi di interesse generale” . Seguito della sent. 264 del 2012: CEDU, Stefanetti e al. c. Italia, 15 aprile 2014 “43. La Corte ritiene inoltre, data la sequenza degli eventi, che non si possa affermare che l'intervento legislativo mirasse a ripristinare l'intenzione originaria del legislatore del 1962. Inoltre, anche assumendo che la legge mirasse davvero a reintrodurre la volontà originaria del legislatore dopo le modifiche del 1982, la Corte ha già accettato che il fine di ristabilire un equilibrio nel sistema pensionistico, benché di interesse generale, non era sufficientemente impellente da prevalere sui pericoli inerenti all'utilizzo di una normativa retroattiva che incideva su una controversia pendente. Invero, anche ammettendo che lo Stato stesse tentando di perequare una situazione che originariamente non aveva inteso creare, avrebbe potuto farlo tranquillamente senza ricorrere all'applicazione retroattiva della legge.” La Corte dichiara pertanto la violazione dell’art. 6, par. 1, CEDU. (segue) 4. Nesso funzionale in materia di insindacabilità parlamentare di cui all’art. 68 Cost. La Corte di Strasburgo impone la sussistenza di un collegamento stringente tra la dichiarazione resa extra moenia e l’attività prettamente “parlamentare”. Sindacato più severo: la Corte EDU precisa che “la mancanza di una chiara connessione con un’attività parlamentare impone anche l’adozione di una stretta interpretazione del concetto di proporzione” tra il fine di consentire al parlamentare il libero esercizio del mandato rappresentativo e il mezzo (l’opinione espressa) impiegata per raggiungere tale fine (sentenze Cordova 1 e 2 c. Italia, 31 gennaio 2003 e De Jorio c. Italia, 3 giugno 2004). Come si accede alla Corte? Il Protocollo n. 11 CEDU firmato a Strasburgo nel 1994, aggiuntivo alla Convenzione europea dei Diritti dell'Uomo del 1950, prevede una radicale riforma della procedura contenziosa davanti agli organi giurisdizionali del Consiglio d’Europa, con la soppressione della Commissione europea dei Diritti dell’Uomo e con la facoltà del ricorso individuale diretto alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo. Tale riforma è entrata in vigore il 1 novembre 1998. Il ricorso alla Corte europea dei Diritti dell’Uomo può essere presentato da una persona fisica o giuridica che sia stata parte (attrice o convenuta o imputata) in una controversia davanti ai giudici nazionali (civili, penali o amministrativi) e solo dopo che siano esauriti tutti i possibili rimedi giurisdizionali davanti agli stessi giudici nazionali, cioè di regola fino alla sentenza definitiva in Cassazione e, comunque, non oltre il termine perentorio di sei mesi (quattro mesi, quando entrerà in vigore il Protocollo n. 15), a decorrere dalla data di pubblicazione di tale sentenza. Nel ricorso alla Corte europea dei Diritti dell’Uomo vanno indicate le norme della Convenzione europea dei Diritti dell'Uomo del 1950 che si pretendono violate da parte dello Stato di cui si tratta, poiché solo quest’ultimo assume il ruolo di controparte nella procedura europea, anche se davanti ai giudici nazionali la causa si era celebrata in contraddittorio con altri soggetti privati o pubblici. La Corte pronuncia una sentenza che ha carattere vincolante: lo Stato interessato ha l’obbligo di uniformarsi ad essa. Requisiti per presentare ricorso • Non è necessario che il soggetto che intende proporre il ricorso abbia la cittadinanza di uno degli Stati membri del Consiglio d’Europa. Tuttavia la violazione lamentata deve essere stata commessa da uno degli Stati membri facenti parte del Consiglio d’Europa (vedi caso Hirsi c. Italia: caso di respingimento alla frontiera italiana di cittadini libici). • Può trattarsi di una persona fisica o giuridica (società, associazione, ecc.). • Il soggetto deve essere personalmente e direttamente vittima della violazione che denuncia. Non può lamentarsi di una legge o di un altro atto in termini generali, ad esempio perché lo ritiene ingiusto. Allo stesso modo, non gli è consentito introdurre delle doglianze a nome di altre persone (a meno che tali persone non siano chiaramente identificate ed egli non sia il loro rappresentante ufficiale). Condizioni pregiudiziali: versante interno Il soggetto deve avere esaurito, nello Stato in questione, tutti i ricorsi suscettibili di porre rimedio alla situazione denunciata (si tratta, nella maggior parte dei casi, di un’azione dinanzi al tribunale competente, seguita all’occorrenza da un appello e da un ricorso presso una giurisdizione superiore come la Corte suprema o la Corte costituzionale). L’esercizio di questi ricorsi non è di per sé sufficiente: è necessario anche che il soggetto abbia puntualmente sollevato la violazione della Convenzione nell’ambito dei suddetti ricorsi. A partire dalla data della decisione interna definitiva (in generale il giudizio pronunciato dall’istanza giurisdizionale più alta in grado), decorre il termine di sei mesi (quattro quando entrerà in vigore il Protocollo 15 CEDU) per introdurre il ricorso. Una volta scaduto tale termine, il ricorso sarà dichiarato irricevibile dalla Corte. Altre condizioni di ricevibilità del ricorso ex art. 35 CEDU • il ricorso non deve essere anonimo : non è esclusa, a richiesta del ricorrente, l’omessa menzione del suo nome negli atti. In questa circostanza, il caso può essere indicato con l’iniziale del nome o del cognome o altra lettera alfabetica – es. CO.DU. X. c. Austria, 9 feb. 2013, in materia di adozione da parte di coppia omosessuale; CO.D.U., Y.Y. C. Turchia, 10 marzo 2012, in materia di rettificazione di attribuzione di sesso); • non deve essere essenzialmente identico ad uno precedentemente esaminato dalla Corte o già sottoposto ad un’altra istanza internazionale d’inchiesta o di risoluzione se non contenga fatti nuovi (si ribadisce la regola del ne bis in idem); • il ricorso deve essere compatibile con le disposizioni della Convenzione o dei suoi Protocolli e non abusivo. Per quanto riguarda l’abusività, si guarda ad eventuali comportamenti sleali del ricorrente: fornire informazioni false, perseguire scopi diversi da quelli della Convenzione, omettere di comunicare alla Corte l’avvenuta riparazione a livello nazionale. La sussistenza di un pregiudizio importante come condizione di ricevibilità L’art. 12 del Protocollo 14 CEDU aveva introdotto nell’art. 35 CEDU un nuovo “filtro”: il ricorso poteva essere dichiarato inammissibile (rectius, irricevibile) qualora il ricorrente non avesse subìto un “pregiudizio importante”, e sempre che nel merito della causa si fosse già pronunciato un giudice interno. Tale ultimo riferimento, relativo al previo pronunciamento di un giudice nazionale, è stato, tuttavia, eliminato dal Protocollo n. 15. Contro chi è possibile presentare ricorso? • Contro uno o più Stati membri della Convenzione che si ritiene abbia/no (per azione od omissione che concerne il soggetto direttamente e personalmente) violato la Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo. • L’atto o gli atti contestati devono emanare da un’autorità pubblica di questo/questi Stato/Stati (ad esempio da un tribunale o da un’amministrazione pubblica). • La Corte non può esaminare le doglianze dirette contro singoli o contro organismi di diritto privato, come le società commerciali. Oggetto del ricorso Il ricorso deve obbligatoriamente vertere su uno dei diritti previsti dalla Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo. Questo include un’ampia gamma di possibili violazioni. Davanti alla Corte, non è possibile lamentarsi della violazione di uno strumento giuridico diverso dalla Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo, quali ad esempio la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo o la Carta dei diritti fondamentali (Carta di Nizza). Procedura pilota: il riferimento normativo Art. 61 del Regolamento interno della Corte (inserito il 21 febbraio 2011): 1. La Corte può decidere di applicare la procedura della sentenza pilota e adottare una sentenza pilota quando i fatti all’origine di un ricorso presentato innanzi ad essa rivelano l’esistenza, nella Parte contraente interessata, di un problema strutturale o sistemico o di un’altra disfunzione simile che ha dato luogo o potrebbe dare luogo alla presentazione di altri ricorsi analoghi. 2. a) Prima di decidere di applicare la procedura della sentenza pilota, la Corte deve invitare le parti a comunicare se, a loro avviso, all'origine del ricorso da esaminare vi è un problema o una disfunzione di questo tipo nella Parte contraente interessata e se il ricorso si presta a questa procedura. b) La Corte può decidere di applicare la procedura della sentenza pilota d’ufficio o su richiesta di una o di entrambe le parti. c) Ai ricorsi per i quali si è deciso di applicare la procedura della sentenza pilota deve essere riservato un esame prioritario ai sensi dell'articolo 41 del regolamento della Corte. 57 3. La Corte deve indicare nella sentenza pilota da essa adottata la natura del problema strutturale o sistemico o della disfunzione da essa constatata e il tipo di misure riparatorie che la Parte contraente interessata deve prendere a livello interno in applicazione del dispositivo della sentenza. 4. La Corte, nel dispositivo della sentenza pilota da essa adottata, può fissare un termine per l’adozione delle misure menzionate al precedente punto 3, tenendo conto della natura delle misure richieste e della rapidità con cui può porsi rimedio, a livello interno, al problema da essa constatato. Segue: articolo 61 Reg. int. 5. Quando adotta una sentenza pilota, la Corte può riservarsi in tutto o in parte l’esame della questione dell’equa soddisfazione, in attesa che la Parte contraente convenuta adotti le misure sia individuali che generali indicate nella sentenza. 6. a) All’occorrenza, la Corte può rinviare l’esame di tutti i ricorsi che traggono origine da uno stesso motivo in attesa dell’adozione delle misure riparatrici indicate nel dispositivo della sentenza pilota. b) I ricorrenti interessati sono informati della decisione di rinvio nella forma che conviene. Se necessario, viene loro notificato ogni nuovo elemento riguardante la loro causa. c) La Corte può in qualsiasi momento esaminare un ricorso rinviato se ciò è necessario nell’interesse di una buona amministrazione della giustizia. 7. Quando le parti in una causa pilota giungono a una composizione amichevole, quest’ultima deve contenere una dichiarazione della Parte contraente convenuta riguardante l'attuazione delle misure generali indicate nella sentenza e delle misure riparatrici in favore degli altri ricorrenti, dichiarati o potenziali. 8. Se la Parte contraente interessata non si conforma al dispositivo della sentenza pilota, la Corte, salvo decisione contraria, riprende l’esame dei ricorsi che sono stati rinviati in applicazione del precedente punto 6.58 9. Il Comitato dei Ministri, l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, il Segretario generale del Consiglio d’Europa ed il Commissario per i diritti dell’uomo del Consiglio d’Europa sono informati sistematicamente dell’adozione di una sentenza pilota o di qualsiasi altra sentenza in cui la Corte segnali l’esistenza di un problema strutturale o sistemico all’interno di una Parte contraente. 10. Le informazioni riguardanti la decisione di trattare un ricorso seguendo la procedura della sentenza pilota, l’adozione di una sentenza pilota, la sua esecuzione e la chiusura della procedura sono pubblicate sul sito Internet della Corte. Come nasce la procedura pilota Risoluzione (2004)3 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, adottata il 12 maggio 2004, in tema di “judgments revealing an underlying systemic problem”, in cui il Comitato invita la Corte EDU “a specificare, nelle proprie pronunce, cosa si intenda per violazione sistematica e la causa di tale violazione, soprattutto quando ciò sia suscettibile di dare luogo a molteplici applicazioni, così da assistere gli Stati nell’individuazione delle misure più appropriate e il Comitato dei Ministri nel controllo sullo stato di esecuzione delle sentenze”. Segue: High Level Conference on the Future of the European Court of Human Rights Interlaken Declaration (19 febbraio 2010): si incoraggiano i singoli Stati a cooperare con il Comitato dei Ministri “after a final pilot judgment” per l’adozione di misure generali capaci di porre rimedio in modo efficace ai problemi strutturali all’origine del proliferare di ricorsi ripetitivi (Action Plan, art. 7, lett. B, p.to D); Izmir Declaration (26-27 aprile 2011): la Conferenza accoglie con favore la formalizzazione della procedura pilota all’art. 61 Reg. int. Della Corte EDU (Follow up Plan, art. 5, p.to F); Brighton Declaration (19-20 aprile 2012): si ribadisce la necessità di ricorrere alla procedura pilota al fine di porre rimedio efficacemente alle violazioni strutturali, invitando gli Stati, il Comitato dei Ministri e la Corte a collaborare nella corretta individuazione delle misure più idonee a fronteggiare i ricorsi derivanti da problemi sistematici (art. 20, lett. c) e d), p.to D). La procedura pilota • Con la procedura pilota la Corte condanna lo Stato per un vizio strutturale dell’ordinamento, assegnando un termine per la restaurazione della legalità violata e per l’esame degli altri ricorsi analoghi (es. sentenza Torreggiani c. Italia dell’8 gennaio 2013 in materia di sovraffollamento carcerario; sentenza M.C. e al. c. Italia, del 3 settembre 2013 in materia di indennizzo per danno da emotrasfusione). Seguito della sentenza Torreggiani: Corte cost. n. 279/2013 “Lo statuto costituzionale e quello convenzionale del divieto di trattamenti contrari al senso di umanità confermano l’esigenza che l’ordinamento appresti i necessari rimedi di tipo “preventivo” a tutela del detenuto. Questi rimedi possono essere innanzi tutto “interni” al sistema penitenziario, e quindi tali da comportare, in casi come quelli oggetto delle ordinanze di rimessione, non già la sospensione dell’esecuzione carceraria della pena, ma, ad esempio, più semplicemente, lo spostamento del detenuto in un’altra camera di detenzione o il suo trasferimento in un altro istituto penitenziario”. segue “Esiste dunque, in primo luogo, uno spazio per interventi dell’amministrazione penitenziaria che devono essere indirizzati alla salvaguardia, congiuntamente, del diritto a non subire trattamenti disumani e della finalità rieducativa della pena, perché il contesto «non dissociabile» nel quale vanno collocati i due princìpi delineati dal terzo comma dell’art. 27 Cost. esclude l’ammissibilità di interventi che, allo scopo di porre rimedio a una lesione del primo, determinino una compromissione della seconda.” “Come ha rilevato fondatamente la sentenza Torreggiani, considerate le dimensioni strutturali del sovraffollamento carcerario in Italia è facile immaginare che le autorità penitenziarie non siano sempre in grado di dare esecuzione alle decisioni dei magistrati di sorveglianza e di garantire ai reclusi condizioni detentive conformi alla CEDU. Perciò deve riconoscersi che il sovraffollamento carcerario può nella realtà assumere dimensioni e caratteristiche tali da tradursi in trattamenti contrari al senso di umanità e da rendere al tempo stesso impraticabili i rimedi “interni” di cui si è parlato. In questi casi occorre un rimedio estremo, il quale, quando non sia altrimenti possibile mediante le ordinarie misure dell’ordinamento penitenziario, permetta una fuoriuscita del detenuto dal circuito carcerario, eventualmente correlata all’applicazione nei suoi confronti di misure sanzionatorie e di controllo non carcerarie”. segue “Da vari punti di vista, dunque, risulta la pluralità di possibili configurazioni dello strumento normativo occorrente per impedire che si protragga un trattamento detentivo contrario al senso di umanità, in violazione degli artt. 27, terzo comma, e 117, primo comma, Cost., in relazione quest’ultimo all’art. 3 della CEDU, e a fronte di tale pluralità, il «rispetto della priorità di valutazione da parte del legislatore sulla congruità dei mezzi per raggiungere un fine costituzionalmente necessario» (sentenza n. 23 del 2013) comporta una dichiarazione di inammissibilità delle questioni.” (sent. n. 279 del 2013) Seguito normativo della sentenza Torreggiani • Legge n. 117 dell’ 11 agosto 2014 (conv. D.L. n. 92 del 2014): Art. 1. Modifiche alla legge 26 luglio 1975, n. 354 1. «Articolo 35-ter (Rimedi risarcitori conseguenti alla violazione dell'articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali nei confronti di soggetti detenuti o internati). - 1. Quando il pregiudizio … consiste, per un periodo di tempo non inferiore ai quindici giorni, in condizioni di detenzione tali da violare l'articolo 3 della CEDU (…) su istanza presentata dal detenuto, personalmente ovvero tramite difensore munito di procura speciale, il magistrato di sorveglianza dispone, a titolo di risarcimento del danno, una riduzione della pena detentiva ancora da espiare pari, nella durata, a un giorno per ogni dieci durante il quale il richiedente ha subito il pregiudizio. 2. Quando il periodo di pena ancora da espiare e' tale da non consentire la detrazione dell'intera misura percentuale di cui al comma 1, il magistrato di sorveglianza liquida altresì al richiedente, in relazione al residuo periodo e a titolo di risarcimento del danno, una somma di denaro pari a euro 8,00 per ciascuna giornata nella quale questi ha subito il pregiudizio. Nello stesso modo dispone il magistrato di sorveglianza nel caso in cui il periodo di pena da espiare sia inferiore ai quindici giorni. Il Protocollo n. 14 CEDU • Adottato il 13 maggio 2004, entrato in vigore nel 2010. Casi ripetitivi. L’art. 28 CEDU, come novellato dall’art. 8 del Protocollo n. 14, esclude la ricevibilità dei ricorsi che siano oggetto di “giurisprudenza consolidata della Corte”. • Art. 41 del Regolamento di Procedura della Corte: ordine di trattazione dei ricorsi pendenti sulla base della "rilevanza e urgenza". In particolare, si hanno: -ricorsi urgenti (ad esempio nel caso in cui sia a rischio per la vita o la salute del ricorrente); -ricorsi suscettibili di avere un impatto sul sistema convenzionale ovvero ricorsi riguardanti questioni di interesse generale; - ricorsi che lamentano principalmente la violazione degli artt. 2, 3, 4 o 5 della Convenzione; -ricorsi manifestamente fondati; -ricorsi ripetitivi; - ricorsi che presentano problemi di ammissibilità; -ricorsi manifestamente inammissibili. Protocollo n. 14 CEDU: segue • Viene istituito il giudice in composizione monocratica (non può essere il giudice nazionale dello Stato parte della controversia) competente unicamente a dichiarare irricevibili i ricorsi, ovvero a cancellarli dal ruolo ove non risulti necessario alcun esame. Nel caso di dichiarazione di ricevibilità il giudice unico dovrà rinviare l'esame del ricorso al comitato dei 3 giudici o alla camera dei 7. • Una nuova condizione di ricevibilità (ex art. 35 CEDU): oltre all'esaurimento delle vie di ricorso interne, la Corte dichiara irricevibile qualsiasi ricorso individuale qualora ritenga che il ricorrente non abbia subìto alcun importante pregiudizio, a meno che il rispetto dei diritti dell'uomo garantiti dalla Convenzione e dai suoi Protocolli non esiga un esame del ricorso nel merito [e a patto di non rigettare, per questa ragione, alcuna causa che non sia stata debitamente esaminata da un tribunale interno (Periodo eliminato dal Protocollo 15)]. Comitato dei Ministri: nuovo articolo 46 CEDU Il protocollo n. 14 CEDU ha introdotto all’art. 46 i parr. 3, 4 e 5, che disciplinano rispettivamente: la possibilità per il Comitato dei Ministri di ottenere dalla Corte una sentenza interpretativa ogni volta che l'esecuzione di un precedente giudicato sia resa più problematica da una difficoltà di comprensione ed interpretazione della volontà della Corte (par. 3); Procedura d’infrazione: il Comitato dei Ministri potrà sottoporre alla Grande Camera la mancata esecuzione di una condanna da parte di uno Stato (par. 4 e 5). Il Protocollo n. 15 CEDU • Adottato il 24 giugno 2013, dopo il parere positivo adottato dall’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa il 26 aprile 2013. • Riafferma il principio di sussidiarietà e la dottrina del margine di apprezzamento (art. 1). • Termine per presentare ricorso: da sei a quattro mesi dalla data di pubblicazione della sentenza definitiva interna (art. 4). • È eliminato il riferimento alla condizione di ricevibilità di cui all’articolo 35, paragrafo 3, comma b, della Convenzione, ovvero l’obbligo di trattare un caso che non sia stato debitamente esaminato da un tribunale interno (art. 5), eliminando le seguenti parole «e a condizione di non rigettare per questo motivo alcun caso che non sia stato debitamente esaminato da un tribunale interno». Di fatto, riduce la possibilità di richiedere tutela. Protocollo 16 CEDU: cosa cambia? • Adottato il 2 ottobre 2013; non ancora entrato in vigore. • Il Protocollo introduce una sorta di rinvio preventivo da parte dei tribunali nazionali di ultima istanza (art. 10) alla Corte Edu per ottenere un parere consultivo (non vincolante) sull’interpretazione ed applicazione della relativa Convenzione, sulla falsariga del rinvio pregiudiziale alla Corte di Lussemburgo ex art. 267 TFUE. • I giudici nazionali, seppure con talune limitazioni, potranno sospendere il procedimento in corso e chiedere alla Corte europea un parere consultivo su una questione di principio relativa all’applicazione della Convenzione europea e dei suoi Protocolli. • L’art. 10 del Protocollo prevede che ogni Parte contraente comunichi al momento della firma o del deposito della ratifica l’elenco degli organi giurisdizionali che possono richiedere parere consultivo su una questione di principio attinente all’interpretazione e/o all’applicazione delle disposizioni CEDU e dei Protocolli addizionali dinanzi alla Corte di Strasburgo. • Il Protocollo entrerà in vigore tre mesi dopo la sua ratifica da almeno dieci Stati Membri. Art. 6, Trattato UE 1. L'Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea del 7 dicembre 2000, adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati. Le disposizioni della Carta non estendono in alcun modo le competenze dell'Unione definite nei trattati. I diritti, le libertà e i principi della Carta sono interpretati in conformità delle disposizioni generali del titolo VII della Carta che disciplinano la sua interpretazione e applicazione e tenendo in debito conto le spiegazioni cui si fa riferimento nella Carta, che indicano le fonti di tali disposizioni. 2. L'Unione aderisce (testo inglese: shall accede) alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Tale adesione non modifica le competenze dell'Unione definite nei trattati. 3. I diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell'Unione in quanto principi generali. Sull’incorporazione dell’UE alla CEDU: alcune pronunce della giurisprudenza amministrativa italiana (smentite dalla Corte costituzionale) • Consiglio di Stato sentenza n. 1220 del 2010 le norme della CEDU sarebbero direttamente applicabili nell’ordinamento interno, a seguito della modifica dell’art. 6 del Trattato sull’Unione europea conseguente disapplicazione delle norme interne confliggenti . • TAR Lazio, sez. II bis sentenza n. 11984 del 2010 il riconoscimento dei diritti fondamentali sanciti dalla CEDU come principi interni al diritto dell'Unione rende le norme della Convenzione immediatamente operanti negli ordinamenti nazionali degli Stati membri dell’Unione conseguente disapplicazione delle norme interne confliggenti. Accordo di adesione UE-CEDU • Nei giorni tra il 3 e il 5 aprile del 2013, a Strasburgo, si è provveduto alla formale redazione da parte del gruppo 47+1 (47 Stati parte del Consiglio d’Europa più l’Unione europea) della bozza di adesione dell’UE (sia sostanziale che procedurale-amministrativa) alla CEDU. • Questa, sebbene rappresenti l’ipostatizzazione del dettato dell’art. 6 TUE, non dispiegherà i propri effetti prima di un articolato procedimento che prevede: - da un lato, la sottoposizione alla Corte di giustizia per vagliarne la compatibilità con il più generale sistema dei Trattati e il voto (all’unanimità) del Consiglio dell’Unione; - dall’altro, la ratifica da parte dei 47 Stati appartenenti al sistema del Consiglio d’Europa. L’Accordo di adesione … … prevede che gli atti dell’UE possano essere sottoposti direttamente al vaglio della Corte di Strasburgo per violazione dei diritti umani. all'art. 3, … prevede un'apposita procedura mediante la quale l'Unione Europea possa essere chiamata a rispondere, in qualità di “coconvenuta”, ogniqualvolta uno Stato membro sia ritenuto responsabile di una violazione convenzionale derivante dall'applicazione del diritto europeo, e gli Stati membri possano essere chiamati a rispondere, in qualità di “co-convenuti”, ogniqualvolta sia l'Unione ad essere ritenuta responsabile di una violazione convenzionale derivante dai Trattati. … ai sensi dell’art. 3, par. 6, è prevista l'estensione all'Unione Europea di talune categorie applicate agli Stati, quale il concetto di giurisdizione di cui all'art. 1 CEDU che per l'Unione Europea diverrà la somma delle giurisdizioni degli Stati membri. … non modifica le competenze dell’Unione definite dai Trattati e dall’art. 59, comma 2, CEDU (“L'Unione europea può aderire alla presente Convenzione”). Una battuta d’arresto nel processo di adesione dell’UE alla CEDU: il parere n. 2/13 CGUE • Il parere negativo è stato pronunciato dalla Corte di giustizia dell’Unione europea ai sensi dell’art. 218 TFUE e si compone di otto sezioni. • Sulla ricevibilità della domanda di parere della Commissione La Corte, ricordando il precedente parere 2/94, afferma che per consentire alla Corte di pronunciarsi sulla compatibilità delle disposizioni di un “accordo previsto” con i Trattati, è necessario che essa disponga degli elementi sufficienti in merito al contenuto di tale accordo (punto 147). Nel caso di specie, la Commissione aveva provveduto a trasmettere tutti i progetti degli strumenti di adesione. La Corte ritiene di disporre degli elementi sufficienti per poter pronunciare il proprio parere. Segue La mancanza di coordinamento tra l’art. 53 CEDU e l’art. 53 della Carta di Nizza La Corte osserva che l’interpretazione ad opera della Corte di Strasburgo vincolerebbe l’Unione e le sue Istituzioni, mentre l’interpretazione dei diritti contenuti nella CEDU fornita dalla Corte di giustizia non potrebbe vincolare la Corte EDU (185). Secondo la Corte «le valutazioni della Corte [di Lussemburgo] relative all’ambito di applicazione sostanziale del diritto dell’Unione, al fine in particolare di stabilire se uno Stato membro sia tenuto a rispettare i diritti fondamentali dell’Unione, non dovrebbero poter essere messe in discussione dalla Corte EDU» (186). In particolare, la Corte chiarisce come «l’articolo 53 della Carta stabilisca che nessuna disposizione di quest’ultima deve essere interpretata come limitativa o lesiva dei diritti fondamentali riconosciuti, nel rispettivo ambito di applicazione, dal diritto dell’Unione, dal diritto internazionale e dalle convenzioni internazionali delle quali l’Unione o tutti gli Stati membri sono parti, in particolare dalla CEDU, nonché dalle costituzioni degli Stati membri» (187). Art. 53 CEDU e art. 53 Carta di Nizza: segue • Art. 53 CEDU: Nessuna delle disposizioni della presente Convenzione può essere interpretata in modo da limitare o pregiudicare i diritti dell’uomo e le libertà fondamentali che possano essere riconosciuti in base alle leggi di ogni Parte contraente o in base a ogni altro accordo al quale essa partecipi. • Art. 53 Carta Nizza: Nessuna disposizione della presente Carta deve essere interpretata come limitativa o lesiva dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali riconosciuti, nel rispettivo ambito di applicazione, dal diritto dell’Unione, dal diritto internazionale, dalle convenzioni internazionali delle quali l’Unione, la Comunità o tutti gli Stati membri sono parti contraenti, in particolare la convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, e dalle costituzioni degli Stati membri. • In conclusione, a parere della Corte, occorrerebbe coordinare l’art. 53 della Carta con l’art. 53 della CEDU, «affinché la facoltà concessa dall’articolo 53 della CEDU agli Stati membri resti limitata, per quanto riguarda i diritti riconosciuti dalla Carta corrispondenti a diritti garantiti dalla citata convenzione, a quanto è necessario per evitare di compromettere il livello di tutela previsto dalla Carta medesima, nonché il primato, l’unità e l’effettività del diritto dell’Unione» (189). L’equiparazione dell’Unione ad uno Stato e il rapporto tra Stati membri La Corte censura «l’approccio adottato nell’ambito dell’accordo previsto, consistente nell’equiparare l’Unione ad uno Stato e nel riservare ad essa un ruolo del tutto identico a quello di qualsiasi altra Parte contraente». Tale approccio, infatti, «contravviene [..] alla natura intrinseca dell’Unione e, in particolare, omette di considerare il fatto che gli Stati membri, in virtù della loro appartenenza all’Unione, hanno accettato che i loro reciproci rapporti, relativamente alle materie costituenti l’oggetto del trasferimento di competenze dagli Stati membri all’Unione stessa, fossero disciplinati dal diritto di quest’ultima, con esclusione, se così prescritto da tale diritto, di qualsiasi altro diritto» (193). Secondo la Corte, infatti, tale equiparazione e la possibilità per gli Stati membri di adire la CEDU anche per violazioni derivanti dall’applicazione del diritto comunitario minerebbero la fiducia reciproca tra gli Stati membri e sarebbero, dunque, incompatibile con il sistema dell’Unione. Il mancato coordinamento tra Protocollo 16 CEDU e rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE Nell’ipotesi in cui la CEDU, per effetto dell’adesione, divenisse parte integrante del diritto dell’UE ex art. 216, par. 2 TFUE, la richiesta di parere interpretativo sui diritti e le libertà garantiti dalla CEDU potrebbe, in linea teorica, sostituire il rinvio pregiudiziale alla CGUE ex art. 267 TFUE (196-197). Si pone il problema di coordinare i due strumenti di dialogo intergiudiziario – da una parte, rinvio pregiudiziale alla CGUE, dall’altra, il parere preventivo consultivo alla Corte EDU – al fine di evitare che il ricorso a quest’ultimo possa costituire un modo di eludere la sottoponibilità al primo. L’art. 344 TFUE Secondo la Corte di giustizia, il Progetto di accordo si pone in contrasto anche con l’art. 344 TFUE, che prevede l’obbligo per gli Stati di non sottoporre una controversia relativa all’interpretazione o all’applicazione dei trattati ad un modo di composizione diverso da quello previsto da questi ultimi. Secondo la Corte, il ricorso interstatale di cui al citato art. 33 CEDU è suscettibile di trovare applicazione a qualsiasi Parte contraente, e dunque anche alle controversie tra gli Stati membri o (dopo le menzionate modifiche di cui all’art. 59 CEDU) tra questi e l’Unione allorché viene in discussione il diritto dell’Unione. Dunque, tramite l’art. 33 CEDU, potrebbero sottrarsi alla Corte di giustizia le controversie che le sono obbligatoriamente ed esclusivamente attribuite ex art. 344 TFUE. In particolare, secondo la Corte di giustizia, «soltanto un’espressa esclusione della competenza della Corte EDU risultante dall’articolo 33 della CEDU per eventuali controversie tra gli Stati membri, ovvero tra questi e l’Unione, relative all’applicazione della CEDU nell’ambito di applicazione sostanziale del diritto dell’Unione, sarebbe compatibile con l’articolo 344 TFUE» (213). Il meccanismo del convenuto aggiunto Art. 3, par. 2, progetto di accordo: quando un ricorso è proposto contro uno o più Stati membri, l’Unione europea può partecipare al procedimento in qualità di convenuto aggiunto se appare che la violazione contestata metta in discussione la compatibilità con la CEDU di una norma del diritto dell’Unione europea, specie quando detta violazione avrebbe potuto essere evitata dai sistemi nazionali tramite l’inosservanza della norma dell’Unione. Il successivo par. 3 dell’art. 3 prevede che, quando un ricorso è proposto nei confronti dell’Unione europea, gli Stati membri possono intervenire in qualità di convenuto aggiunto, se appare che la violazione contestata metta in discussione una norma del TUE, del TFUE o di ogni altra disposizione con il medesimo valore giuridico, soprattutto quando detta violazione avrebbe potuto essere evitata unicamente mediante l’inosservanza di tali disposizioni. L’intervento del convenuto aggiunto può avvenire su invito della Corte di Strasburgo o su richiesta della stessa Parte contraente già convenuta o che intende partecipare secondo questo meccanismo. Secondo la CGUE, la Corte EDU, verificando, di fatto, i presupposti ai fini della suddetta procedura, si troverebbe a sindacare anche le norme del diritto dell’Unione che disciplinano la ripartizione delle competenze tra quest’ultima e i suoi Stati membri, nonché i criteri di imputazione degli atti o delle omissioni ai medesimi. Un tale controllo per la Corte di giustizia è inammissibile, perché rischierebbe di incidere sulla ripartizione delle competenze tra Unione e Stati membri (225). Il convenuto aggiunto: segue • L’art. 3, par. 7, del Progetto di adesione stabilisce che, in linea di principio, convenuto principale e aggiunto sono ritenuti congiuntamente responsabili. Di conseguenza, uno Stato potrebbe essere ritenuto responsabile della violazione di una norma CEDU anche nel caso in cui abbia formulato riserve rispetto a quest’ultima. Ciò si pone in contrasto con il Protocollo 8 relativo all’art. 6, par. 2, TUE, in forza del quale l’accordo di adesione deve garantire che nessuna delle sue disposizioni incida sulla situazione particolare degli Stati membri nei confronti della CEDU e, segnatamente, in relazione alle riserve formulate riguardo a quest’ultima (228). • Inoltre, la Corte di giustizia censura anche la previsione dell’art. 3, par. 7, del progetto di accordo, ai sensi della quale la Corte EDU, dopo aver sentito le osservazioni del ricorrente, può decidere che solo uno dei soggetti sopra indicati (convenuto e convenuto aggiunto) venga dichiarato responsabile di tale violazione. Anche in questo caso, secondo la Corte, vi sarebbe il rischio di interferire con le competenze della Corte di giustizia e sui rapporti tra Unione e Stati membri. • Il previo coinvolgimento della Corte di giustizia Ai sensi dell’art. 3, par. 6, del Progetto di adesione, nei procedimenti in cui l’Unione europea è parte in qualità di convenuto aggiunto, se la Corte di giustizia non si è già pronunciata sulla compatibilità, con i diritti previsti dalla CEDU o dai suoi Protocolli rilevanti nel caso di specie, delle disposizioni del diritto dell’Unione di diritto derivato o primario, deve essere concesso un tempo sufficiente alla stessa per effettuare tale valutazione, nonché alle parti in causa dinanzi alla Corte EDU, per presentare le proprie osservazioni. Secondo la Corte, tale procedura dovrebbe strutturarsi «in modo tale che, per ogni causa pendente dinanzi alla Corte EDU, venga trasmessa un’informazione completa e sistematica all’Unione, affinché la competente istituzione di quest’ultima sia messa in condizione di valutare se la Corte si sia già pronunciata sulla questione costituente l’oggetto di tale causa e, in caso negativo, di ottenere l’attivazione di detta procedura» (241). La Corte evidenzia che «se non fosse permesso alla Corte [di giustizia di] fornire l’interpretazione definitiva del diritto derivato e se la Corte EDU, nel suo esame della conformità di tale diritto alla CEDU, dovesse fornire essa stessa un’interpretazione determinata tra quelle che sono plausibili, il principio della competenza esclusiva della Corte quanto all’interpretazione definitiva del diritto dell’Unione verrebbe senz’altro violato» (246). Il controllo giurisdizionale in materia di PESC • Secondo la Corte di giustizia, «per effetto dell’adesione nei termini contemplati dall’accordo previsto, la Corte EDU sarebbe legittimata a pronunciarsi sulla conformità alla CEDU di determinati atti, azioni od omissioni posti in essere nell’ambito della PESC e, in particolare, di quelli per i quali la Corte non ha competenza a verificare la loro legittimità in rapporto ai diritti fondamentali» (254). Dunque, il controllo su tali atti sarebbe di fatto attribuito ad un organo esterno all’Unione. • Per ovviare a tale circostanza, secondo la Corte, sarebbe sufficiente ricorrere ad una revisione dei Trattati ai sensi dell’art. 48 TUE, estendendo il controllo della Corte di giustizia anche su tali atti.