Fin dall'inizio della sua esistenza, l'uomo si trova solo di fronte al più
grande interrogativo filosofico e religioso:
Perchè esiste la Morte?
Soffermiamoci ad analizzare come alcuni poeti hanno estetizzato la
Morte attraverso poesie che sebbene venate dal
pessimismo più nero, hanno anche ribadito un forte sentimento di
estasi, spesso erotica, di fronte non solo a pallide
fanciulle vergini decorate da gigli e sudari, ma anche di fronte al
Sublime rappresentato dalle tombe, dei cenotafi e
dai paesaggi sepolcrali.
In Letteratura e Arte abbiamo notevoli esempi di paesaggi cimiteriali
lambiti dal chiaro di luna.
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Ne abbiamo già traccia nella Poesia Barocca, nel Pre-Romanticismo,e
nel Romanticismo Nero.
Rodrigo Caro, Poeta del '600, così esprime la sua estasi di fronte alle
Rovine d'Italia:
"Mostra del suo sepolcro alcuni segni
e scaverò con lacrime le rocce
che celano il Sarcofago santo."
Mentre D'Aubignè:
"Cerco i deserti, le rupi sperdute, le foreste inesplorate, le querce
cadenti...
il fogliame disteso dal vigore dell'Autunno...
senza speranza mi offre il piacere
dell'immagine della Morte."
Parnell, Poeta del '700, è ritenuto il padre vero e proprio, insieme a
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Gray, della Poesia Cimiteriale.
"Offresi a manca vista di monumenti,
a' quai le sponde squallor di acqua stagnante
accerchia e lambe,
questa che, Morte in suon lugubre onora,
d'umido muschio e di edera tenace avviticchiata alla Torre,
a cui di costa percuoton raggi lividi di luna."
Il Poeta esprime la sua estasi di fronte ai monumenti diroccati,
testimoni silenziosi di un passato glorioso,
e ora accerchiati da stagni di acqua morta, la cui unica flora è edera e
muschio.
Young va oltre, domandandosi:
"Non è forse una vasta immensa tomba
il mondo istesso?
è la gran madre antica, per se solo infenconda
e quanto in essa nasce
da quanto discompone
ha l'origin sua."
Mentre Gray:
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"I rintocchi della campana salutano il giorno che muore
L'armento si disperde muggendo per i pascoli...
Dalla torre ammantata d'edera
laggiù il mesto gufo si lamenta, con la luna,
di coloro che vagando presso la sua segreta dimora,
disturbano il suo antico regno solitario
... Anche dalla tomba grida la voce della natura, anche nelle nostre
ceneri vivono le loro consuete fiamme"
Anche Shelley nel suo "Lamento Funebre" ci dona splendidi versi:
"Aspro vento che gemi un dolore troppo triste per essere cantato,
vento selvaggio sulle cupe nuvole
che tutta la notte risuonano a morto:
triste bufera di lacrime inutili
nude foreste dai rami protesi
grotte profonde e mare pauroso
per tutto il male del mondo
piangete!"
E nel "Trionfo della vita":
"E altri come incedendo verso la tomba
riversavano i vermi calpestati
che strisciano sotterra
e altri ancora camminavano dolenti,
nel buio della loro stessa ombra,
chiamandola Morte.
E alcuni la rifuggivano come fosse uno spettro
quasi evanescente nella pena d'un vano respiro."
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E nella lunga litania funebre "Adonais" è tutto un susseguirsi di
elementi necromani e spettrali:
"Giace il giglio spezzato e la tempesta è oltre.
Venite via!
Svelti, mentre la volta dell'azzurro cielo italiano
rimuove la pietra più giusta per il suo sepolcro!
Mentre ancora vi giace giace quasi dormisse un sonno di rugiada"
Anche Keats e Jean Paul vagheggiano fantasie tombali, il primo con l'
"Ode su un'urna greca" dallo stile classico e sobrio,
presenta anche nell' "Endymion" (con versi di rara bellezza come:
"O tu, il cui grandioso palazzo ha il tetto pendulo
di scheggiati tronchi e ombreggia sussurri eterni, Tenebra, Nascita,
Vita, Morte di fiori non visti in solenne quiete...
siedi e ascolta la tetra malinconia di giunchi prigionieri in desolati
luoghi dove per la palustre umidità
cresce la cicuta...") mentre Jean Paul nella sua "Lamentazione di
Shakespeare morto fra ascoltatori morti nella chiesa in cui si
proclama che non vi è Dio alcuno" annuncia:
"Sognai di svegliarmi in un camposanto, i sepolcri erano aperti, così
come le porte di ferro dell'ossario...
Sui muri fluttuavano ombre...
Nel vasto catafalco della natura tutto non è altro che Nulla...
ogni essere viene trascinato via da solo, e solo è sepolto..."
Fino a giungere nel 1794 a quel capolavoro sepolcrale che è il "Sermone
funebre per me stesso":
"Io vedo uno spettro librarsi attorno a questa salma..
uno spettro che è un io..."
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Una citazione anche per Hölderlin...!
"E la forza della luce non inaridisce più i fiori...
gonfi sono i torrenti....
Ma vedo la tomba del padre e già ti pare che pianga?
Ma il passato è come il futuro,
sacro ai cantori e nei giorni d'autunno
riconciliamo le Ombre" ("Stoccarda")
"Tu, tu, perdurasti
perchè sopra gli oscuri abissi
molto per te era già sorto e tramontato...
Eppure ti credi solo, nella notte silente,
la rupe ascolta il lamento...
Voi, evocare di notte, e quando apparirete irosi,
perchè il vomere sconsacra le tombe,
con la voce del cuore,
voglio, con canto devoto,
conciliarvi,
Voi, Sacre Ombre!"
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In Italia gli "eccessi" del Romanticismo sono sempre stati frenati dalla
tradizione Classica, ma abbiamo qualche allusione sepolcrale nel
Leopardi del "Cantico del Gallo Silvestre":
"A noi, presso la culla, immoto siede, e sulla tomba, il Nulla"
E nelle tragedie di Vittorio Alfieri come l' "Oreste" (1777) con il
monologo di Elettra ("Notte! Funesta atroce orribile notte! O notte
almen mi scorgi non vista, al sacro avello...) o il costante riferimento al
sangue che pervade l'intera tragedia, soprattutto nel monologo di
Clitennestra:
"Dal punto in poi, quel sanguinoso spettro
e giorno e notte orribilmente
sempre sugli occhi stammi
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ond'io pur muova
il veggo
di sanguinosa striscia
atro sentiero."
Analogamente, anche nell' "Aristodemo" del Monti troviamo questi
versi:
"E nell'alzar gli occhi
ecco lo spettro starmi d'incontro
ed occupar la porta minaccioso e gigante.
Egli è ravvolto in manto sepolcral...
tento fuggir, ma figurami lo spettro traverso i fianchi
e mi trascina a' piedi di quella tomba
e "qui t'aspetto" grida."
Riferimenti alle tombe li si trova anche nei Poemetti montiani, nei quali
tra l'altro vengono spesso inserite le descrizioni di boschi o rupi
selvagge:
"Ululate, ruggite in ogni lido,
agitate le tombe, sollevate per l'universo di vendetta il grido!"
Il carme più famoso è "Dei Sepolcri" di Foscolo (1806) anche se non
mancano splendidi frammenti tombali nelle poesie precedenti come "Le
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Grazie"
("E gli antri eran tetto, e i sepolcri erano altari")
o nei "Novelli Republicani" ("L' immane spettro coi crin sugli occhi e
sanguinoso e tetro surse del tebro dall'incognit' urna
a lampeggiar di livido baleno") o in "Morte di Amaritte", un'elegia del
1796:
("Qui sorse un'urna, e qui un funereo manto,
erran le Grazie, e qui echeggiar si ascolta flebili versi
fioche voci e pianto e di cipressi
sotto oscura volta cupa
malinconia muta si aggira")
che rimangono tra i versi più suggestivi e cupi scritti dal Foscolo.
Vediamo qualche verso tratto dai "Sepolcri"!
"All'Ombra de' cipressi e dentro l'urne
confortate di pianto
è forse il sonno della Morte meno duro?
... Anche la speme, ultima dea, fugge i sepolcri....
e serbi un sasso il nome e di fiori odorata arbore amica
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le ceneri di molli ombre consoli"
Per il poeta non è vano che la tomba, protetta da ombre di arbusti,
conservi la memoria del defunto, e con versi come:
"La derelitta cagna ramigando
su le fosse, e famelica ululando,
e uscir del teschio, ove foggia la luna,
l'upupa, e svolazza su per le croci sparse per la funerea campagna"
Foscolo celebra la bellezza del paesaggio sepolcrale funestato da
creature notturne e dai teschi.
Il poeta nega la vita dopo la morte, ma proprio per questo l'illusione
della vita eterna è affidata alle tombe e ai cenotafi. che con la loro
persistenza nel freddo marmo assicurano il ricordo dei morti nel mondo
dei vivi.
Tuttavia laddove Gray cantava le tombe degli umili, Foscolo celebra le
tombe dei grandi uomini e degli eroi,
affinché le loro gesta, scolpite negli epitaffi, siano di monito ai viventi.
Anche in Carducci ci sono riferimenti lugubri ("Quella luce tra gli
orrori de l'italica sventura, queste tombe
e queste mura... tal su l'urne de' maggiori a la tarda etrusca prole... il
pensier de le tombe come un'ombra in me scende
... una pallida faccia e un velo nero, spesso mi fa pensoso se la morte...
quando piange il novembre, o cimitero...
veggo tra il sole e me solo una faccia, pallida faccia velata di nero")
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Altro poeta sepolcrale, almeno per la sua prima produzione poetica, è il
Pascoli di "Myricae", vera e propria gemma nera
di poesia sepolcrale... Basti citare una lirica per tutte (ma consiglio di
leggere l'intera opera!) come "Il giorno dei
Morti", o ancora "Scalpitio","La civetta","Lapide", vere e proprie
Totentanz cupissime, dove la Morte, le lacrime dei viventi e il silenzio
di Dio caratterizzano tutta questa opera pascoliana....
Da citare autori anche come Corazzini, Cardarelli, De Bosis,
Bigongiari, Luzi, Campana, che mitigano gli eccessi sepolcrali con
riferimenti classicheggianti al Lete o al Crepuscolo.
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Riporto qualche frase tratta dallo splendido "Novembre" di Flaubert,
libro che ho letto su segnalazione di un mio amico, Sadness666,
un libretto piccino, ma che contiene una grandissima poesia narrativa
sepolcrale e decadente....
"Avevo preso il sole in odio, mi esasperava il rumore dei fiumi, la vista
dei boschi, nulla mi sembrava più stupido della campagna; tutto si fece
allora più cupo e si rimpicciolì; vissi come in un eterno crepuscolo."
"E così dolce immaginare di non esserci più!
C'è tanta pace nei cimiteri!
Là, disteso e avvolto nel sudario, le braccia incrociate sul petto, i secoli
passano senza disturbare più del vento che scivola sull'erba. Quante
volte ho contemplato, nelle cappelle delle cattedrali, le lunghe statue di
pietra coricate sulle tombe!
La loro pace è così profonda che la vita quaggiù non offre nulla di
simile. Esse hanno sulle loro fredde labbra come un sorriso salito dal
fondo della tomba; si direbbe che
dormano, che assaporino la morte."
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Troviamo elementi sepolcrali anche in due poesie giovanili di Heinrich
Heine (tratte dal "Il libro dei canti")
(Einaudi)
I pallidi morti, ch'io seppi
con magico motto evocare,
nel mondo di tenebra eterna
non vogliono più ritornare.
Il magico motto che appresi
obliai nel terrore; e me, ora,
gli spiriti stessi trascinano
laggiù, nella cupa dimora.
Lasciatemi, demoni oscuri,
e non sospingetemi più!
Ancora molta gioia può esservi
per me, nella luce quassù.
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Io tendere debbo pur sempre
qui verso il bellissimo fiore;
che vale l'intera mia vita,
se darle non posso il mio amore?
Ancora una volta abbracciarla
e premerla al cuore infuocato!
La bocca baciandole e il viso,
godere un tormento beato!
Ancora una volta nel labbro
udire un suo tenero accento...
e tosto nel mondo di tenebra
vi posso seguire contento.
Gli spiriti m'hanno compreso
e accennano orribile un "sì"
Diletta ora sono venuto;
diletta, m'ami tu, dì?
Io, della mia donna la casa ho lasciato,
e la mezzanotte è appena suonata.
E dal cimitero, che sto costeggiando,
severe le tombe mi vanno accennando.
E là, della luna nel vivo chiarore,
m'accenna la lapide dell'umile cantore.
E ascolto un bisbiglio: "Io vengo, fratello!"
e un bianco fantasma vien su dall'avello.
E l'umil cantore, già fuori venuto,
sull'alta lapide sta ora seduto;
esperto percuote le corde alla cetra
e canta con voce così sorda e tetra:
Orsù ricordate l'antico motivo,
voi torbide corde, che il petto a me vivo
percosse con tanto furore?
Lo chiamano gli angeli gioire superno,
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lo chiamano i diavoli tormento d'inferno,
lo chiamano gli uomini: Amore!
E questa parola è appena suonata,
ed, ecco, ogni tomba s'è già scoperchiata.
Aeree figure ne escono e ondeggiano
intorno al cantore, e in coro salmeggiano:
Folle amore, la tua possa
ci distese nella fossa;
gli occhi un tempo ci chiudesti,
perchè ora ci ridesti?
è un ululo, un gemito confuso, un gridare
e d'ossa un sinistro urtare e scrosciare;
intorno al cantore lo sciame si serra.
Selvagge le corde cantando egli afferra....
In Thèophile Gautier
"La fontana del Cimitero" (Poesia tratte da "Espana")
Nella Certosa cupa, tra muri di pietra,
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al posto del giardino si vede un cimitero,
nudo come un campo falciato,
senza una croce, un'urna, un tumulo che si elevi:
l'oblio copre i nomi, l'erba copre la fossa
una madre non capirebbe dove il figlio è sepolto.
Soltanto l'erba malata dei chiostri
può germinare in questa terra e crescere
in un freddo umidiccio, all'ombra di alti muri:
dolci consolatori dei morti abbandonati
i fiori hanno paura ad inclinare i calici
sulle tombe fantasma degli oscuri dormienti.
Al centro, due cipressi verdecupo
profilano intristiti la loro dura sagoma,
sospiri di fogliami levati verso il cielo.
Dalla conca di un'avara fontana
sbava un ricamo incerto, una frangia sfilacciata
come un pianto furtivo che trabocchi dagli occhi.
Filtrata dagli ossami antichi e santi monaci
in quella vasca in lacrime l'acqua colava così chiara
che mi accostai al bordo per bervi una sorsata....
Quando immersi la bocca nel cristallo diaccio
fu assalito da un brivido di febbre:
quell'acqua di diamante aveva il gusto della morte.
E in Goethe ("Inni")
"Odi al mio amico - Seconda Ode -" (1767)
Tu vai. IO mi sdegno.Va'!
Lasciami al mio dispetto.
Nobile anima. Fuggi da questa terra.
Morte paludi, fumanti nebbie d'ottobre
indissolubilmente qui intessono i loro miasmi.
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Culla di dannosi insetti, matrice della loro perfidia.
Sulla riva cannosa la voluttuosa serpe dalla lingua di fuoco
si crogiola ai raggi del sole.
Fuggi i dolci canti notturni
nel chiaror della luna, nei crocicchi i rospi convulsi
tengono i loro convegni. Se anche non nuocciono incutono orrore.
Nobile anima, fuggi da questa terra!
In questa rievocazione di paesaggio spettrale, questa poesia non
sfigurerebbe in una raccolta di poesie cimiteriali o inneggianti
all'orrido.
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