Istituto Tecnico Commerciale, per Geometri e per il Turismo “G.Carducci- G.Galilei” di FERMO CLASSE 5°A Geometri Prof. Iacopini Maura Franconi Cristina, Iommi Alessia, Moretti Roberto, Morici Giulia, Pazzi Stefano, Savelli Alice, Summa Serena, Tonici Matteo Presentazione del lavoro di ricerca Studiando la storia del fermano durante gli anni dei due grandi conflitti mondiali, ci siamo soffermati sull’importante ruolo avuto dalle donne in questo difficile periodo: non più solo spose e madri, avevano sostituito gli uomini al fronte, nelle fabbriche, negli uffici, nelle campagne. Erano state le donne ad essere in prima fila nelle case quando irrompevano i tedeschi o a nascondere e nutrire i ricercati, a passare ore davanti ai negozi per ritirare i generi di prima necessità razionati; erano state loro ad imparare l’arte dell’”arrangiarsi” creando in casa combustibile alternativo, succedanei del caffè, rivoltando cappotti o utilizzando coperte militari per confezionare caldi indumenti. Informazioni e collegamenti, stampa e propaganda, predisposizione di rifugi, trasporto di armi e munizioni, lavoro politico clandestino: erano state anche queste le loro occupazioni. In molte avevano operato in tutti i rami della Resistenza Civile pagando di persona le loro scelte ed il loro impegno. Finalmente il decreto luogotenenziale n° 23 del 2 febbraio 1945 riconobbe alle donne il diritto di voto ma non la possibilità di essere votate, diritto che sarà sancito il 10 marzo 1946 con l’art. 7 del Decreto 74. Ripercorrendo la storia del fermano di quegli anni, sono emerse tre figure femminili di elevato spessore umano, civile e politico che con la loro vita hanno contribuito con coraggio, precorrendo i tempi, al processo di costruzione e di crescita della nostra società testimoniando i valori che sono alla base della nostra comunità civile: la libertà, la solidarietà, la giustizia e il riconoscimento del valore unico e irripetibile della persona. L’insegnante Ada Natali che, eletta sindaco di Massa Fermana nel 1946, divenne la prima donna sindaco d’Italia e nel 1948 deputata eletta nelle liste del Fronte Popolare; La Professoressa Fausta Monelli, primo consigliere comunale donna del municipio di Fermo, eletta il 31 Marzo 1946; la Dottoressa Ginevra Corinaldesi, primo medico condotto donna nelle Marche nel 1930 e la seconda donna in Italia a svolgere questa professione. Queste tre figure sono chiaro esempio di impegno politico, civile e sociale. Documentazione 1) Archivio storico privato della famiglia Corinaldesi 2) Archivio storico privato della famiglia Natali 3) Testimonianza di Fausta Monelli 4) Documenti elettorali del Comune di Fermo, anno 1946 5) “La Voce delle Marche”, 7 aprile 1946 6) “La Voce delle Marche”, 12 aprile 1946 7) “Il Messaggero”, 29 aprile 1990 8) “Corriere Adriatico”, 29 aprile 1990 Una vita per l’impegno politico e civile. Ada Natali nacque a Massa Fermana, piccolo centro del Fermano, il 5 maggio 1898 da Giuseppe Natali, sarto e militante socialista, eletto sindaco del paese nel 1921 e Argia Germani, maestra e donna di fede. Atto di nascita Stato di famiglia Dai genitori, Ada e la sorella Aurora, alla quale rimase profondamente legata fino alla sua morte, ricevettero un’educazione basata sul rispetto e la valorizzazione degli altri, sull’importanza della cultura e della difesa dei valori democratici. In Ada così, il grande valore della solidarietà sociale e della giustizia, saranno sempre uniti alla fede religiosa ed all’impegno professionale e civile che la porteranno ad affrontare con coraggio aspre battaglie e dure prove. Ada Natali con il padre La famiglia Natali, con grandi sacrifici, riuscì a far studiare le due figlie, iscrivendole all’Istituto Magistrale di Ascoli Piceno ospiti in un collegio dove il padre, superando enormi difficoltà, si recava a visitarle. Dopo aver conseguito la licenza magistrale e l’abilitazione, Ada, nel 1915 iniziò l’insegnamento a Berarde di Massa Fermana dove rimase per 10 anni dedicandosi con passione all’educazione di tanti bambini, figli di contadini e mezzadri. Ada Natali, prima a sinistra seduta, con le compagne l’anno del diploma magistrale, 1915 Pagella scolastica Abilitazione a maestra Quegli anni di intensa ed entusiasta operosità vennero però segnati da due gravi e dolorosi eventi: la brutale aggressione subita dal padre nel 1922, picchiato da squadristi fascisti e la morte della madre avvenuta pochi anni dopo, il 6 novembre 1925. Con il coraggio che sempre contraddistinse la sua vita, Ada continuò la sua strada. Nel 1929, si iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza a Macerata, ma gli studi per lei non furono facili. Nel 1930 il padre venne arrestato per la sua chiara fede comunista e lei, impegnata nella stessa lotta paterna al regime, venne più volte trasferita per ragioni politiche da una sede all’altra: a Monte Monaco e poi nelle montagne interne di Roccafluvione, luoghi isolati che le resero difficile persino raggiungere la corriera per recarsi a Macerata. Nel 1936 chiese di essere avvicinata al capoluogo maceratese per agevolare i suoi necessari viaggi per raggiungere la sede universitaria. Sempre controllata a vista dai carabinieri, venne così trasferita ad Appezzano di Loro Piceno dove si fermò fino al 1944, da lì si recava a piedi a Passo Loro dove poteva prendere la corriera per recarsi a Macerata quando doveva sostenere gli esami. Controllo verbale confino Confino a Roccafluvione Durante questi anni,grazie alla sua innata capacità di instaurare rapporti umani,fu sempre vicina ai contadini di Roccafluvione e di Loro Piceno ai quali insegnò a leggere e a scrivere e che fino a qualche anno fa la ricordavano per la sua dedizione e le doti di umanità che la distinguevano. Con tenacia raggiunse la laurea discutendo una tesi su “Il delitto di violazione degli obblighi di assistenza familiare”. Elenco di sovversivi Sempre continuando la sua opposizione al regime, teneva contatti con gli antifascisti della zona e si rifiutava di partecipare ai momenti di mobilitazione testimoniando, con le sue scelte e il suo coraggio, l’amore per la libertà e la giustizia a tanti suoi compaesani. Con la lotta di liberazione tornò in libertà e prese parte alla lotta partigiana nelle battaglie di Pian di Pieca e San Ginesio nel maceratese. Ospitò e accolse nella sua casa soldati inglesi, partigiani, renitenti, prigionieri, sfamandoli, curandoli e facendoli sentire parte della famiglia. Con alcuni soldati inglesi stabilì dei rapporti di amicizia rimanendo con loro in contatto epistolare e alla fine della guerra ricevette più di un riconoscimento dal Governo Alleato per l’aiuto dato a quanti combattevano contro l’opposizione tedesco – fascista. Lettera di soldati inglesi aiutati da Ada. Lettera di Ada inviata al Provveditore di Ascoli Piceno dove racconta ciò che ha dovuto subire in quanto antifascista. Lettera di Zonro Vony ad Ada Lettera di prigionieri inglesi Riconoscimento della Croce al Merito di Guerra Lettera del Governo militare alleato Ringraziamenti di un generale inglese Dopo la liberazione, presentatasi come candidata alle elezioni amministrative del 1946, venne eletta Sindaco di Massa Fermana, prima donna sindaco in Italia, mandato che eserciterà fino al 1959. Cominciò così il suo impegno nell’amministrazione di Massa Fermana, compito non facile per la situazione in cui si trovavano allora i paesi delle campagne marchigiane. Povertà, contratti mezzadrili, famiglie patriarcali, in cui il ruolo della donna era relegato dentro le pareti domestiche. “Educatrice di eccezionale capacità e doti umane”si adoperò sempre con entusiasmo e convinzione affinché la sua amministrazione si dedicasse all’aiuto dei più deboli, alla pubblica istruzione, all’assistenza socio sanitaria, all’infanzia e alla donna. Mandato da sindaco Con determinazione ed intelligenza promosse momenti di socializzazione e portò in Consiglio Comunale i problemi della popolazione, trovando spesso valide soluzioni. Nel 1946 istituì le colonie estive per garantire svago e cibo ai bambini delle famiglie più povere, si dedicò alla prevenzione delle malattie infettive, alla manutenzione delle scuole, alla spedalità a carico del comune. Dalla sua amministrazione comunale venne inoltre promossa la costruzione di case popolari e favorito il miglioramento economico di alcuni lavoratori dipendenti. Colonia a Scampatesta 1947 Nel 1948 venne eletta deputato nelle liste del PCI partecipando come parlamentare ad una delle prime delegazioni che si erano recate nell’URSS per avviare i primi contatti istituzionali. Durante il suo mandato parlamentare ( incarico che manterrà per una legislatura), intervenne alla Camera sui tanti problemi che riguardavano il lavoro, la pubblica istruzione, la promozione di opere pubbliche nelle zone più disagiate. Venne assegnata alla Commissione Istruzione e Belle Arti, alla Commissione Affari Interni e quindi alla Commissione Giustizia. La sua attività era diventata sempre più intensa, ma si divideva con passione tra i tanti impegni e responsabilità di partito e di Sindaco di Massa Fermana senza mai dimenticare la presidenza dell’UDI. Gruppo di donne dirigenti UDI Nei primi anni ’50 partecipò e sostenne tutte le lotte delle operaie delle fabbriche di cappelli impegnate nella conquista del loro primo contratto di lavoro. Con coraggio e decisione difese i loro diritti e per far riscaldare le operaie riunite in assemblea permanente, non esitò ad ordinare ai dipendenti del comune di raccogliere la legna presso la Selva che circondava il Convento dei frati Francescani. Fu denunciata e processata per questo, ma difesa da un’equipe di avvocati tra cui era presente l’On. Terracini, Presidente dell’Assemblea Costituente, venne assolta con formula piena. Con la stessa determinazione riuscì a salvare alcune opere artistiche di grande valore come la “Natività” di Vincenzo Pagani, trascurate dalla Sovrintendenza delle Belle Arti vendendo alcuni pezzi di scarso valore storico - artistico per procurarsi i finanziamenti necessari allo scopo. Anche per questo motivo, denunciata dalla stessa opposizione in Consiglio Comunale, venne processata ma poi assolta con formula piena. Nel 1953, l’onorevole Togliatti, allora segretario del PCI, riconoscendo il suo costante interessamento per la condizione femminile, la sua capacità di rapportarsi con loro ed il suo grande senso di umanità, le diede l’incarico di partecipare attivamente alla campagna elettorale in Sicilia per parlare con la gente semplice del posto, specialmente le donne. Terminato l’impegno politico, si ritirò a vita privata nel suo paese natio mantenendo i rapporti con il movimento femminile e con alcuni parlamentari come Arturo Colombi, Amendola, Ingrao, Ugo Pecchioli, Nilde Jotti, Palmiro Togliatti e Longo. Corrispondenza con Togliatti Corrispondenza con Longo Dirigente comunista, ma anche donna di sincera fede religiosa, ebbe sempre rapporti con la chiesa locale e con alcuni missionari, con i Padri Sacramentini e con il Santuario del SS. Crocifisso di Mogliano, elargendo consistenti contributi. Ed è a Massa Fermana che morì il 27 aprile del 1990. Così venne ricordata da un articolo comparso su ”Il Messaggero” il 29 aprile dello stesso anno all’indomani dei suoi funerali: “Comunista, antifascista, partigiana combattente, educatrice di eccezionali capacità e doti umane, è stato il primo sindaco donna d’Italia. Si è spenta in solitudine, aveva 92 anni alle spalle, una vita fatta di esemplare impegno nella politica, nella lotta per la democrazia e nell’aiuto delle persone più deboli. Ma non era molto conosciuta al grande pubblico. I funerali si sono svolti con la commossa partecipazione della gente del posto e dei dirigenti comunisti”. Alla sua morte numerose furono le testimonianze pervenute da diverse località d’Italia ed in particolare dalla Presidenza della Camera dei Deputati. Ada Natali, ricordata con affetto, stima e gratitudine dai sui compaesani, e da quanti l’avevano conosciuta e apprezzata, è quindi stata “una delle grandi donne italiane della politica e dell’impegno civile, il cui nome è legato alla pagina eroica dell’Antifascismo e alla costruzione della democrazia repubblicana. La sua figura di parlamentare e di donna che ha sempre creduto nella politica come strumento di progresso e di emancipazione, costituiscono un patrimonio per la coscienza democratica del nostro paese” (telegramma di cordoglio di Nilde Iotti alla famiglia di Ada Natali). Telegramma di cordoglio di Nilde Jotti alla famiglia di Ada Natali Una vita come impegno Fausta Monelli è nata Fermo il 18 Maggio 1923, in una famiglia numerosa nella grande casa di via Leopardi 26. Il padre, Giovanni, cattolico e liberale, disprezzava il Fascismo ed era guardato con sospetto per non essere iscritto al partito. Alla sua morte, avvenuta nel 1943, continuò la madre a testimoniarle il coraggio di una vita tesa al raggiungimento e alla realizzazione dei propri valori ed ideali: “Se vi chiedono qualcosa di buono, anche se difficile non dite mai no”. La guerra, dichiarata l’11 gennaio 1940, non permise a Fausta di sostenere gli esami di maturità ai quali si stava preparando con grande impegno. Vennero soppressi e bastò lo scrutinio di fine anno. Dopo essersi iscritta alla facoltà di Lettere Classiche dell’Università Cattolica di Milano, frequentò per tre anni il corso di studi, al terzo anno infatti il collegio dove risiedeva fu costretto a chiudere per i bombardamenti. “Il primo bombardamento su Milano, in pieno giorno, imprevedibile, senza allarme, una strage. Ed è stato solo l’inizio. Si andava a letto vestiti per scendere del rifugio sotterraneo al primo urlo delle sirene. Alcune ragazze gridavano, altre pregavano a voce altissima per coprire il fragore delle esplosioni. Desideravo tacessero, per sentire cosa accadeva fuori. Mi sembrava che avrei dominato meglio le emozioni. In un angolo nel rifugio due damigiane d’acqua, se fossimo rimaste sepolte dalle macerie. Al mattino cambiavamo gli abiti. Ricordo: dopo un bombardamento notturno, cessato l’allarme, sono salita sulla terrazza sovrastante il collegio ed ho visto le guglie del Duomo e la Madonnina dorata su uno sfondo di fuoco. Milano bruciava. Un inferno dantesco.”(Fausta Monelli) Fausta tornò più volte a Milano per completare gli esami, ma i viaggi in treno da Fermo per raggiungere la sede universitaria erano estremamente pericolosi: “Tornai a Milano più volte per completare gli esami con viaggi avventurosi. Ne ricordo uno che racconto perché, più di qualsiasi narrazione storica, rende le atmosfere e i contesti di un’epoca. Era notte, ci fecero salire con regolare biglietto su di un vagone merci, scoperto, adibito al trasporto del sale dalla Puglia a Milano. Era vuoto ma il sale sul pavimento e sul telone con cui ci ricoprirono, per misura di prudenza, ci dissero, mi provocò una violenta reazione cutanea. Agli esami mi presentai con il viso scarlatto e le mani gonfie. Nessuno chiese nulla. Succedeva di tutto, allora”. Dopo la laurea, conseguita nel 1945 con una tesi su “La tipologia del super-umanesimo in G. D’ Annunzio”, Giuseppe Giammarco, suo professore d’Italiano al liceo e sindaco provvisorio della Città (Fermo era stata liberata dagli Alleati Polacchi il 20 giugno 1944), le propose di presentarsi come candidata alle imminenti Amministrative. “Come esponente della DC- ricorda la Monelli - era impegnato nella campagna elettorale e voleva una donna per esprimere la partecipazione, per la prima volta, dell'altra metà del cielo. Le donne finalmente votavano! Io non ci avrei mai pensato. Specialmente all’inizio sapevo di fare qualcosa di inusuale e di spregiudicato nell’apparire sui balconi e parlare, io che avevo poco più di vent’anni e alle spalle, come tante ragazze allora, una vita tutt’altro che pubblica”. Sicura di combattere una battaglia ideale e decisiva e di essere dalla parte giusta, Fausta Monelli accettò ed iniziò con entusiasmo, convinzione e dedizione il suo impegno politico, convinta che la politica fosse innanzitutto, servizio alla comunità. “Desideravo partecipare alla ricostruzione , come si diceva allora evocando le macerie materiali, e non solo, lasciate da dittatura e guerra”. Cominciò così la sua partecipazione ai comizi elettorali con coraggio nonostante l’ostilità degli avversari della sponda opposta. Parlava di politica e partiti, nuovi patti agrari, donne e democrazia, nuova libertà e valori cristiani. Preferenze espresse per i candidati del partito “Scudo Crociato” dove è presente Fausta Monelli, unica candidata donna (voti 4385) “Si parlava da un balcone, dal Municipio stesso, o da altri edifici pubblici sulla Piazza principale, dalla gradinata di una chiesa, sul basamento di una statua, in mancanza di altro. Si parlava nel tardo pomeriggio quando gli uomini erano tornati dai campi o dalle botteghe. Era uno spettacolo annunciato ed atteso, ben oltre il messaggio politico, una festa di paese, un incontro collettivo, un modo di partecipare tanto diverso dalle adunanze oceaniche con cartolina-precetto, su convocazione dei gerarchi fascisti. La gente guardava verso il balcone, generalmente apparivano, oltre l’oratore, candidati e notabili del paese che condividevano la linea politica. Quando veniva presentato l’oratore, se ero io, passava un soffio di stupore e curiosità, tra l’ironico e il divertito. Dei tanti comizi ne ricordo alcuni. Per raggiungere Grottazzolina, dove ero attesa, si doveva traversare l’ Ete. Mi accompagnava, con il suo taxi, il signor Livi. Non era la prima volta e durante il percorso mi dava informazioni, mi riferiva degli umori dei locali. Un gruppo di uomini, che evidentemente ci aspettavano, tenta di impedirci il passaggio, l’autista cerca un guado, accelera, dall’altra sponda un lancio di sassi sfonda il parabrezza, arriviamo in paese con ritardo. Un giovane DC, Giulio Orlando, che diventerà poi uno dei miei amici più cari (sarà sottosegratario alla Marina mercantile ed altro ancora), stava prolungando il suo intervento in attesa del mio arrivo.”(Fausta Monelli) “Prendo la parola e comincio con lo scusarmi con il pubblico per il ritardo. Ne dico la ragione; il parabrezza in frantumi testimonia. Sdegno ed eccitazione danno forza al mio intervento. Un diluvio di applausi. Dell’incidente non dissi nulla in famiglia, ma il giorno seguente in tanti fermarono in strada mia madre chiedendo notizie della “signorina”. Qualcuno aveva riferito. Ad elezioni avvenute, un telegramma del neo Primo cittadino di Grottazzolina mi comunica una clamorosa vittoria DC che nessuno si aspettava. Apprezzai il gesto ma ancora di più apprezzavo il commento del signor Livi “Tu si un rugno”. Un erba selvatica, amara e coriacea. Quale complimento migliore. “Un’ altra volta, a Roseto degli Abruzzi. E’ sera, prima di me ha parlato la candidata del PCI. Mi accompagnano sul balcone di un edificio pubblico, il palazzo del Comune, credo. Agli angoli della ringhiera sono issate delle fiaccole, tanta luce, tanto fumo mi accecano. A fatica vedevo nella piazza tanti uomini vestiti di scuro, tutti con il berretto. Non c’erano donne. Avevo ascoltato l’ultima parte del discorso precedente, violento e pieno di invettive. Mi sforzo di parlare in modo pacato, in risposta indiretta, delle cose in cui credevo e che costituiva il programma della DC di allora. Via via il tono si era fatto più caldo e appassionato, volevo parlare anche alle donne che non c’erano. Alla fine un interminabile attimo di silenzio, immobile, poi tutti i berretti lanciati in alto verso il balcone. Non avevo mai visto nulla di simile”(Fausta Monelli). Il 24 marzo 1946, a Porto San Giorgio, Fausta Monelli, neoconsigliere comunale partecipa ad un comizio indetto dalla locale sezione democristiana. Al suo intervento accolto con consensi ed ammirazione, segue un contraddittorio politico interrotto poi bruscamente dal Maggiore Strinati che, dopo aver accusato il Vaticano dell’affermarsi vittorioso del Fascismo, dichiara arbitrariamente e con gesto unanimamente deplorato chiuso il comizio, impedendo alla signorina Monelli di replicare. “La voce delle Marche” , 12 Aprile 1946 Il 31 marzo 1946 Fausta Monelli fu eletta, poco più che ventenne, nelle liste della DC con 4385 preferenze, primo consigliere donna del Municipio di Fermo. La sua presenza in comune era assidua e propositiva, cercava di fare del suo meglio per capire come funzionassero le istituzioni e quale potesse essere il suo contributo e le sue scelte nel momento in cui si prendevano le decisioni più importanti. La sua vita politica a Fermo terminò con il matrimonio e il trasferimento a Roma nel 1952. Vivere nella Capitale, lavorando accanto al Segretario dell’allora unico sindacato della scuola, le offrì una dimensione nazionale della realtà ed opportunità di partecipazione impensabili in provincia. “ La Voce delle Marche” 7/4/1996 Continuò così il suo impegno civile e sociale assumendo l’incarico di partecipare come Professoressa d’Italiano in televisione al programma “Telescuola”, trasmissione finalizzata ad effettuare per la durata di tre anni scolastici un regolare corso di avviamento professionale a tipo industriale, con lo stesso programma della Scuola di Stato. “Molti tra le centinaia di migliaia di ragazzi rimasti al solo livello elementare, ebbero così l’opportunità di avere formazione e titolo di studio. I risultati andarono oltre ogni previsione. Vennero raggiunti non solo ragazzi ma anche adulti nelle carceri, nei sanatori, negli oratori, nei bar. L’esperienza italiana fu presentata in convegni internazionali, ad Amburgo e Tokio, dove la RAI inviò lezioni di italiano registrate. La scuola contribuiva alla ricostruzione che è più di uomini che di cose. Quando, per la prima volta nel dopoguerra, passarono attraverso lo schermo parole ed immagini della Resistenza, mi giunsero minacce ed insulti da “nostalgici”. Per me era un po’ come continuare l’impegno politico”. Nel 1969, Fausta Monelli si trasferì con la famiglia a Brescia dove iniziò ad insegnare in una scuola di periferia in un quartiere operaio. “Lì fu possibile, con l’appassionata e critica collaborazione dei genitori, sperimentare un modello di scuola media profondamente innovativo. Ci si trovava la sera nei locali della scuola materna, sulle minuscole sedie integrate da cassette di frutta rovesciate, a dibatterne con gli operai. I miei figli adolescenti incontravano coetanei ed adulti in una chiesa, con preti operai”(Fausta Monelli). La sua attività continuò sempre più intensamente. Collaborò, per conto del Ministero della Pubblica Istruzione alla elaborazione dei nuovi programmi per la Scuola Media. Membro del Consiglio Direttivo e responsabile per la sezione Scuola Media dell’IRRSAE Lombardia (Istituto Regionale di Ricerca Sperimentazione Aggiornamento Educativi) promosse e condusse, con Università e Centri di Ricerca, attività di formazione del personale direttivo e docente, di sperimentazione assistita in scuole di diverse regioni. Ed ancora oggi, a Brescia dove vive, Fausta Monelli continua la sua opera, attualmente approfondisce lo studio dell’applicazione delle moderne tecniche multimediali alla didattica ed alla comunicazione ed ha al suo attivo molte ed interessanti pubblicazioni, chiaro esempio di come la politica sia servizio alla comunità. “La politica- ci ricorda Fausta Monelli- è la quotidianità, ogni gesto della nostra giornata è un fare politica. Ho fatto tutto questo nonostante i miei sei figli. Voi uomini non chiedete alle donne di rinunciare alla partecipazione attiva nella vita politica e professionale: non esistono attività da uomini e attività da donne: gli uomini le fanno al maschile e le donne al femminile. Ricordate che la non realizzazione è la fine di ogni essere umano”. GINEVRA CORINALDESI Una vita per gli altri Ginevra con il fratello Enrico Ginevra Corinaldesi, prima donna nelle Marche, e la seconda in Italia a svolgere la professione di medico condotto, era nata a Serra San Quirico(An)il 2 aprile 1904, da Radegonda Gengaroli, maestra, e da Alfredo Corinaldesi, veterinario, a distanza di un anno dal fratello Enrico. In famiglia ricevette un’educazione basata su solidi valori morali che saranno alla base della sua formazione e caratterizzeranno tutta la sua vita futura. La madre, maestra elementare dedita alla professione, che eserciterà per 35 anni, e alla cura dei figli, le insegnò la forza della fede vissuta nell’amore verso gli altri e il padre, socialista, impegnato e coerente con le sue idee fino alla fine, le testimoniò con la sua vita l’amore per la libertà, la democrazia, la giustizia e il coraggio di lottare per la loro realizzazione. A sette anni Ginevra si ammalò di poliomielite che, rendendola claudicante, segnò la sua infanzia e adolescenza, ma che la spinse ormai adulta a dare più e meglio di quanto si possa chiedere ad un buon professionista. Ginevra a Pisa Dopo aver frequentato a Jesi il Ginnasio-Liceo, conseguita la licenza liceale, si iscrisse nel 1923 al Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia presso l’Università di Camerino. Con grandi sacrifici per le precarie condizione economiche della famiglia e grazie al sostegno di un vecchio sacerdote, poté poi completare gli studi universitari a Pisa non essendo stato istituito a Camerino il quinto anno di corso, dove brillantemente si laureò, il 18 luglio 1929, discutendo una tesi su “Le tecniche della filtrabilità del virus tubercolosi”. Al corso di studi in medicina erano iscritte solo due donne, lei e un’ ebrea russa, Jaffa Grasnova, con la quale rimase in contatto epistolare fino all’ emanazione delle leggi razziali, le lettere che per un lungo periodo Ginevra continuò a scriverle, rimasero senza risposta. Laurea di Ginevra Libretto universitario di Ginevra Conseguita l’abilitazione all’esercizio della professione medica il 21 aprile 1930, Ginevra, a soli 26 anni, ricoprì, inizialmente come supplente, la condotta medica di Montelparo, un paesino dell’ entroterra ascolano di circa 2000 abitanti. Non fu facile per lei inserirsi in un ambiente che negli anni trenta era arretrato, pieno di pregiudizi ed ostile ad una giovane donna medico, ma la popolazione di Montelparo, gente semplice e laboriosa, finì ben presto per stimare e amare la sua dottoressa, conquistata dalla sua disponibilità, dalla sua serietà professionale, dalla passione e dall’umiltà con cui svolgeva il suo compito. “Nel novembre di quell’anno, perplessi forse del fatto che la loro salute fosse affidata a una donna, per di più giovane, gli abitanti non mi fecero chiudere occhio per tutto il mese, richiedendo visite domiciliari, di giorno e di notte, molte volte inutili, probabilmente con l’intento di scoraggiarmi. Ero davvero scoraggiata, ma per niente intenzionata ad arrendermi! Mi apprezzarono poi e mi stimarono tanto che ancor oggi, dopo aver lasciato da sedici anni la condotta per assumere quella urbana di Fermo, vengono qui a chiedermi visite e consigli anche extraprofessionali.” (Ginevra Corinaldesi). Abilitazione all’esercizio dell’attività medica A Montelparo, il 24 Aprile 1930, si unì in matrimonio con Vincenzo Bernabucci . Dal matrimonio nacquero sette figli, il primo morì durante il parto. I sei figli di Ginevra e Vincenzo Ginevra e Vincenzo Bernabucci da fidanzati Quando, nel 1935 la condotta di Montelparo venne messa a concorso e la Corinaldesi vi partecipò, furono compiuti falsi e brogli per favorire un altro medico, più vicino alle simpatie di quelle autorità tanto da costringere la dottoressa a denunciare alcuni esponenti del Partito Fascista. Ginevra informò personalmente Mussolini, scrivendogli. La lettera fu recapitata alla Camilluccia tramite un conoscente ed ebbe l’esito sperato. “Debbo dire che Mussolini compì, quella volta, un atto di giustizia, ma mio padre fu condannato al confino di polizia a Grottole (MT) per cinque anni perché si era espresso in duri termini contro i protagonisti della nauseante vicenda”(Ginevra Corinaldesi). Ginevra Corinaldesi fu perfino denunciata per “furto con scasso”. Il Comune infatti, aderendo alle pressioni, l’aveva licenziata ed aveva proibito che le si aprissero le porte dell’ospedaletto. Il medico supplente non era sul posto e una donna ricorse alla dottoressa per essere subito sottoposta ad un intervento. Ginevra Corinaldesi penetrò nell’ospedaletto, forzò l’armadio e prelevò i ferri con i quali operò la donna che guarì. Poteva rifiutarsi e non lo fece perché “sarebbe stato un tradimento”, ma le costò la denuncia. Ginevra insieme al padre Per 20 anni Ginevra rimase medico condotto a Montelparo integrandosi in quella realtà e cambiando la mentalità esistente, diventando così una di loro: madre, amica, figlia e sorella. I medici condotti nella prima metà del novecento, erano veri pionieri; operavano in ambienti chiusi ed ostili, densi di pregiudizi e superstizioni (spesso capitava che le persone si affidassero alle cure della fattucchiera del paese), privi di strutture e di strumentazioni tecnologiche adeguate, forti solo delle conoscenze teoriche apprese e dall’esperienza fatta sul campo, sorretti dalla propria volontà e dal desiderio di salvare vite umane. Ginevra, 1929 La giovane dottoressa doveva spesso raggiungere casolari lontani e sperduti a piedi, col carro, a dorso di mulo o, nei tratti fangosi e impraticabili, su una tregghia, rudimentale mezzo tirato da buoi, con la quale trasportava anche i suoi pazienti, in caso di necessità, nei luoghi di soccorso. Per rispondere in modo più efficace ai tanti e vari bisogni della popolazione, nel giro di pochi anni riuscì ad organizzare un volontariato addestrando persone di paese ai primi interventi di soccorso. “Ripartiva il suo tempo tra i figli e i malati, se stava allattando e veniva chiamata da qualcuno, ci affidava ad una balia occasionale e soccorreva chi aveva bisogno del suo aiuto. Tutti in paese si avvicendavano per sollevare il “Dottore” dalle fatiche domestiche ed averlo sempre a disposizione (Renata Bernaducci figlia primogenita di Ginevra). Così la ricorda il poeta dialettale di Montelparo, Danilo Cappella, al quale da bambino aveva salvato la vita. La tregghia A DOTTORESSA Non ero aperto l’occhi su la vita che me pijo ‘na grave malatia; mamma piagnia, a speranza era finita: pure stu fiju sta pe’ ji via. E sci perché, proprio appena nati, du fiori de gemelli era spirati! Nignìa, e o freddo jielava piedi e mà, ma o freddo era più forte dentro i cori, quanno la a porta se sindì vussà…….. rrendrò ‘na donna, l’occhi ciavìa de fori! Ginevra a 20 anni Me misi a piagne: mamma! Chi dè quessa? Non piagne co’: quessa d’è ‘a dottoressa. Jò i piedi strascinava dù stivali, ‘na mandella je rcuprìa pure la testa! Non se putìa penzà che tutti i mali Fosse capace de capilli lesta. Co’ a voce forte, ma co’ lu sguardi mite, Disse: ‘ssu fricu ci ha la purmunite! E dopo tando amore e tanda cura, Mentre llà ffori scoppiava primavera, A tutti passò la gran paura, Che c’era scritto u core quella sera! E sci perché co’ quella malatìa N’era difficile murì, jissene via! Tand’anni dopo, tra maestri e professori, Che stava assemo pe’ parlà de scola. ‘na voce forte, lo mmezzo venne fori, E disse chiara solo ‘na oarola: Ce vole solo AMORE, strillò quessa! E subito capìi: era la dottoressa! Ginevra a 82 anni Nel 1950 la dottoressa Corinaldesi concorse ad una delle condotte mediche di Fermo, rimasta vacante e, vinto il concorso, si trasferì in questa città con la sua numerosa famiglia. Qui, nel tempo, svolse funzioni di medico condotto, di ufficiale sanitario presente nel reparto carcerario di Fermo (dove divenuta un punto di riferimento per i detenuti riuscì a sedare una rivolta scoppiata a causa delle riprovevoli condizioni igieniche e del pessimo vitto), quindi di medico scolastico, vicina ai giovani nella scuola e ai loro genitori, attenta ai problemi dell’età evolutiva e alle loro manifestazioni. Ginevra nel suo ambulatorio A Fermo fondò la sezione A.N.I.E.P., distaccamento di Ascoli Piceno, entro cui era presente con grande dedizione, offrendo la sua personale testimonianza di vita, fortificata dalla menomazione fisica, nel costante superamento dei limiti e nella loro accettazione, affinchè le persone portatrici di handicap si affermassero come persone partecipi e responsabili della vita sociale, non più considerate soggetti in disagio aventi solo diritto al lavoro, alla scuola e alla pensione. Una vita, quindi, quella della Corinaldesi, segnata dal lavoro, dal sacrificio e dalla generosità, la vita di una donna che, con grande forza morale, ha saputo fronteggiare i momenti più difficili. In pensione dal primo Gennaio 1971, seguitò a svolgere attività di volontariato all’interno dell’Ospedale di Fermo e nel Consultorio Famiglia Nuova fino all’età di 85 anni. Con la sua vecchia FIAT seicento partiva ogni mattina da casa e dopo aver accompagnato la figlia, maestra, e il nipote, a scuola, continuava il suo giro per la città, visitando e confortando chiunque avesse avuto bisogno del suo aiuto. Ginevra, a destra nella foto, a Loreto “Ho conosciuto la Dottoressa Corinaldesi in parrocchia dove nell’attività di aiuto ai malati e ai bisognosi di ogni genere, ci ricordava sempre che ognuno deve porsi nella condizione di aiutare tutti quelli che incontra il più possibile. Quando mia madre, a causa della rottura del femore, rimase inabile per diversi anni, lei le fu sempre vicina ed aiutò con grande generosità la mia famiglia a vivere questa situazione non certo facile. Eravamo allora una coppia giovane, con un bambino piccolo, un altro in arrivo e il lavoro da portare avanti. Quando mi trovai in difficoltà perché dovevo accompagnare giornalmente un’assistente alla clinica Villa Maria dove mia madre era ricoverata per la riabilitazione, lei si assunse questo onere. Io espressi le mie perplessità perché ero preoccupato che una persona anziana potesse fare tutte le mattine questo servizio, ma lei mi disse queste testuali parole: - Tu non ti devi preoccupare, la mia automobile viaggia sotto la protezione dello Spirito Santo - . La Corinaldesi accettava cristianamente le vicende dolorose che il Signore le mandava. Ricordo che durante il funerale di suo figlio Adriano, morto prematuramente, alla fine della cerimonia religiosa intervenne dicendo: - Signore, cosa mi aspetta ancora? -. Era un parlare da figlia a Padre, da figlia alla quale il Padre chiedeva sempre di più. Mai però la sua incrollabile fede ha vacillato neanche per un attimo accettando totalmente quello che la vita le riservava” (MarioA.) A Fermo tenne conferenze, partecipò a convegni, mostrando sempre particolare sensibilità e attenzione al mondo femminile e alla sua emancipazione, affrontando temi scottanti come l’eutanasia, l’anzianità, l’aborto, il dramma delle ragazze madri, l’emarginazione, la disabilità. “Ricordate che nessuno dispone di un potere assoluto sull’esistenza umana: questo è un dono di cui siamo venuti in possesso senza alcun nostro merito, perciò ogni momento della vita terrena che ci rimane va rispettato” (Ginevra Corinaldesi). Ginevra, una piccola, grande donna, minuta ma forte come una roccia, conosciutissima nel territorio del fermano e altrove, apprezzata professionista, stimata e amata, visse sempre ogni battaglia senza arrendersi mai e, sentendosi parte degli altri, seppe superare tragedie come la perdita dei due figli, Adriano e Lauretta, persi nell’arco di un anno. Con la stessa passione e la stessa determinazione con la quale da giovane esercitò la professione medica a Montelparo, da anziana, seppe creare a Fermo una catena di volontariato coinvolgendo anche tante persone della sua stessa età: “Un anziano abile aiuta un altro anziano meno abile” era la sua convinzione nella certezza che la carità non conosce limiti ed età. Negli anni 80 – 90 collaborò con il Consultorio di Fermo “Famiglia Nuova” organizzando, con l’aiuto di altri medici, diversi corsi a carattere sanitario sulla terza età, insegnando ad autogestire l’anzianità con suggerimenti e risposte ai tanti problemi dell’anziano (malattie cardiovascolari, respirazione……) Sempre per il consultorio fu presente in alcune scuole materne private del fermano che non avevano un servizio di consulenza pediatrica e tenne diversi incontri rivolti ai genitori sui problemi infantili. “Oltre al discorso tecnico e sanitario, - ricorda Don Vincenzo Marcucci, fondatore del Consultorio Famiglia Nuova – portava la sua esperienza di madre e di nonna, la sua grande umanità che la rendeva unica, coinvolgendo tutti i genitori (dapprima diffidenti per la sua età, poi entusiasti) e i tanti anziani che seguivano con grande interesse i suoi corsi. Erano incontri belli, ricchi di valori. Ginevra Corinaldesi ha fatto tanto nella sua vita e ha dato tanto, a tutti”. Ginevra Corinaldesi, precorrendo i tempi, ha rivelato una modernità di pensiero, un’apertura agli altri, un’accettazione del “diverso” non comuni. La sua scelta professionale è stata vissuta come missione per cui il malato, il sofferente, il bisognoso d’aiuto, l’anziano, il più debole, l’ultimo della terra, era visto, nella sua scala dei valori, come il primo Ginevra con i nipoti Ginevra con i figli Ginevra con la figlia Laura A sottolineare la sua scelta di fede e di coraggio, ha ricevuto riconoscimenti e premi come “CREARE E’ DONNA” ad Ascoli Piceno (anno 1988) e “PREMIO PLAUSO” a Fermo (anno 1996). “Una delle prime donne ad essersi inserite in una professione tipicamente maschile, superando innumerevoli ed immani difficoltà sia di ordine psicologico che fisico, ed insieme distintasi per l’impegno sociale profuso, per l’incondizionata disponibilità umana nell’aiutare gli altri senza risparmio delle proprie energie, con infaticabile costanza e dedizione che continua ancora oggi attraverso l’opera di volontariato all’interno dell’Ospedale di Fermo”. Questa la motivazione del premio “Creare è donna” e queste le sue toccanti parole quando le venne consegnato a pochi giorni dalla morte della figlia Laura, parole che ancora guidano ed illuminano la nostra generazione e che guideranno quelle future: Premio nazionale “Creare e donna” “Sono qui a ringraziarvi tutti quanti per questo premio assegnatomi in un momento particolarmente doloroso della mia vita. Non credo di avere meriti o doti eccezionali; tutto quello che ho fatto, l’ho fatto semplicemente e naturalmente perché credo nella mia professione, l’ho voluta e l’ho amata. Quando per una donna era quasi impossibile scegliere la professione medica ed esercitarla, quando la donna era ancora relegata ad un ruolo assegnatole dalla storia e dalla società pressochè intoccabile, a me è toccata la fortuna di vivere un’esperienza di rottura nuova con il passato, densa di vitalità e di contrasti, dura e sofferta, ma di una intensità e di una ricchezza uniche. Credo che questa mia esperienza vissuta abbia contribuito, forse, a porre una piccola pietra nel processo di costruzione e di crescita non facile che noi donne stiamo ancora vivendo. Ma ancor più mi fa piacere ricevere questo premio intitolato “Creare è donna” perché ho sempre creduto che creare sia la dimensione quotidiana della vita di ogni donna, dal creare la vita, dando alla luce il proprio figlio, al creare dei gesti più umili e semplici della giornata, al creare amicizia, solidarietà, conforto, sicurezza, comprensione, amore, perché creare è sempre e soprattutto un atto d’amore.” Ginevra Corinaldesi è morta a Fermo il 28 gennaio 1997. Nonna Ginevra