Istituto Tecnico Commerciale, per Geometri e per il Turismo
“G.Carducci- G.Galilei”
di FERMO
CLASSE 5°A Geometri
Prof. Iacopini Maura
Franconi Cristina, Iommi Alessia, Moretti Roberto, Morici Giulia,
Pazzi Stefano, Savelli Alice, Summa Serena, Tonici Matteo
Presentazione del lavoro di ricerca
Studiando la storia del fermano durante gli anni dei due grandi conflitti
mondiali, ci siamo soffermati sull’importante ruolo avuto dalle donne in
questo difficile periodo: non più solo spose e madri, avevano sostituito gli
uomini al fronte, nelle fabbriche, negli uffici, nelle campagne. Erano state le
donne ad essere in prima fila nelle case quando irrompevano i tedeschi o a
nascondere e nutrire i ricercati, a passare ore davanti ai negozi per ritirare i
generi di prima necessità razionati; erano state loro ad imparare l’arte
dell’”arrangiarsi” creando in casa combustibile alternativo, succedanei del
caffè, rivoltando cappotti o utilizzando coperte militari per confezionare caldi
indumenti. Informazioni e collegamenti, stampa e propaganda,
predisposizione di rifugi, trasporto di armi e munizioni, lavoro politico
clandestino: erano state anche queste le loro occupazioni.
In molte avevano operato in tutti i rami della Resistenza Civile pagando di
persona le loro scelte ed il loro impegno.
Finalmente il decreto luogotenenziale n° 23 del 2 febbraio 1945 riconobbe alle
donne il diritto di voto ma non la possibilità di essere votate, diritto che sarà
sancito il 10 marzo 1946 con l’art. 7 del Decreto 74.
Ripercorrendo la storia del fermano di quegli anni, sono emerse tre figure femminili di
elevato spessore umano, civile e politico che con la loro vita hanno contribuito con
coraggio, precorrendo i tempi, al processo di costruzione e di crescita della nostra società
testimoniando i valori che sono alla base della nostra comunità civile: la libertà, la
solidarietà, la giustizia e il riconoscimento del valore unico e irripetibile della persona.
L’insegnante Ada Natali che, eletta sindaco di Massa Fermana nel 1946, divenne la prima
donna sindaco d’Italia e nel 1948 deputata eletta nelle liste del Fronte Popolare; La
Professoressa Fausta Monelli, primo consigliere comunale donna del municipio di Fermo,
eletta il 31 Marzo 1946; la Dottoressa Ginevra Corinaldesi, primo medico condotto donna
nelle Marche nel 1930 e la seconda donna in Italia a svolgere questa professione. Queste tre
figure sono chiaro esempio di impegno politico, civile e sociale.
Documentazione
1) Archivio storico privato della famiglia Corinaldesi
2) Archivio storico privato della famiglia Natali
3) Testimonianza di Fausta Monelli
4) Documenti elettorali del Comune di Fermo, anno 1946
5) “La Voce delle Marche”, 7 aprile 1946
6) “La Voce delle Marche”, 12 aprile 1946
7) “Il Messaggero”, 29 aprile 1990
8) “Corriere Adriatico”, 29 aprile 1990
Una vita per l’impegno politico e civile.
Ada Natali nacque a Massa Fermana, piccolo centro del
Fermano, il 5 maggio 1898 da Giuseppe Natali, sarto e
militante socialista, eletto sindaco del paese nel 1921 e Argia
Germani, maestra e donna di fede.
Atto di nascita
Stato di famiglia
Dai genitori, Ada e la sorella Aurora, alla
quale rimase profondamente legata fino alla
sua morte, ricevettero un’educazione basata
sul rispetto e la valorizzazione degli altri,
sull’importanza della cultura e della difesa dei
valori democratici.
In Ada così, il grande valore della solidarietà
sociale e della giustizia, saranno sempre uniti
alla fede religiosa ed all’impegno
professionale e civile che la porteranno ad
affrontare con coraggio aspre battaglie e dure
prove.
Ada Natali con il padre
La famiglia Natali, con
grandi sacrifici, riuscì a far
studiare le due figlie,
iscrivendole all’Istituto
Magistrale di Ascoli Piceno
ospiti in un collegio dove il
padre, superando enormi
difficoltà, si recava a
visitarle.
Dopo aver conseguito la
licenza magistrale e
l’abilitazione, Ada, nel
1915 iniziò l’insegnamento
a Berarde di Massa
Fermana dove rimase per
10 anni dedicandosi con
passione all’educazione di
tanti bambini, figli di
contadini e mezzadri.
Ada Natali, prima a sinistra seduta, con le compagne
l’anno del diploma magistrale, 1915
Pagella scolastica
Abilitazione a maestra
Quegli anni di intensa ed entusiasta operosità
vennero però segnati da due gravi e dolorosi eventi:
la brutale aggressione subita dal padre nel 1922,
picchiato da squadristi fascisti e la morte della
madre avvenuta pochi anni dopo, il 6 novembre
1925.
Con il coraggio che sempre contraddistinse la sua
vita, Ada continuò la sua strada. Nel 1929, si iscrisse
alla facoltà di Giurisprudenza a Macerata, ma gli
studi per lei non furono facili. Nel 1930 il padre
venne arrestato per la sua chiara fede comunista e
lei, impegnata nella stessa lotta paterna al regime,
venne più volte trasferita per ragioni politiche da
una sede all’altra: a Monte Monaco e poi nelle
montagne interne di Roccafluvione, luoghi isolati
che le resero difficile persino raggiungere la
corriera per recarsi a Macerata. Nel 1936 chiese di
essere avvicinata al capoluogo maceratese per
agevolare i suoi necessari viaggi per raggiungere la
sede universitaria. Sempre controllata a vista dai
carabinieri, venne così trasferita ad Appezzano di
Loro Piceno dove si fermò fino al 1944, da lì si
recava a piedi a Passo Loro dove poteva prendere la
corriera per recarsi a Macerata quando doveva
sostenere gli esami.
Controllo verbale confino
Confino a Roccafluvione
Durante questi anni,grazie alla sua innata capacità di instaurare rapporti
umani,fu sempre vicina ai contadini di Roccafluvione e di Loro Piceno ai
quali insegnò a leggere e a scrivere e che fino a qualche anno fa la
ricordavano per la sua dedizione e le doti di umanità che la
distinguevano. Con tenacia raggiunse la laurea discutendo una tesi su “Il
delitto di violazione degli obblighi di assistenza familiare”.
Elenco di sovversivi
Sempre continuando la sua opposizione al regime, teneva contatti con gli antifascisti della
zona e si rifiutava di partecipare ai momenti di mobilitazione testimoniando, con le sue
scelte e il suo coraggio, l’amore per la libertà e la giustizia a tanti suoi compaesani. Con la
lotta di liberazione tornò in libertà e prese parte alla lotta partigiana nelle battaglie di Pian di
Pieca e San Ginesio nel maceratese. Ospitò e accolse nella sua casa soldati inglesi,
partigiani, renitenti, prigionieri, sfamandoli, curandoli e facendoli sentire parte della
famiglia. Con alcuni soldati inglesi stabilì dei rapporti di amicizia rimanendo con loro in
contatto epistolare e alla fine della guerra ricevette più di un riconoscimento dal Governo
Alleato per l’aiuto dato a quanti combattevano contro l’opposizione tedesco – fascista.
Lettera di soldati inglesi aiutati da Ada.
Lettera di Ada inviata al Provveditore di Ascoli Piceno dove
racconta ciò che ha dovuto subire in quanto antifascista.
Lettera di Zonro Vony ad Ada
Lettera di prigionieri inglesi
Riconoscimento della Croce al Merito di Guerra
Lettera del Governo militare alleato
Ringraziamenti di un generale inglese
Dopo la liberazione, presentatasi come candidata alle elezioni amministrative del 1946,
venne eletta Sindaco di Massa Fermana, prima donna sindaco in Italia, mandato che
eserciterà fino al 1959. Cominciò così il suo impegno nell’amministrazione di Massa
Fermana, compito non facile per la situazione in cui si trovavano allora i paesi delle
campagne marchigiane. Povertà, contratti mezzadrili, famiglie patriarcali, in cui il ruolo
della donna era relegato dentro le pareti domestiche. “Educatrice di eccezionale
capacità e doti umane”si adoperò sempre con entusiasmo e convinzione affinché la sua
amministrazione si dedicasse all’aiuto dei più deboli, alla pubblica istruzione,
all’assistenza socio sanitaria, all’infanzia e alla donna.
Mandato da sindaco
Con determinazione ed intelligenza promosse momenti di socializzazione e portò
in Consiglio Comunale i problemi della popolazione, trovando spesso valide
soluzioni.
Nel 1946 istituì le colonie estive per garantire svago e cibo ai bambini delle famiglie
più povere, si dedicò alla prevenzione delle malattie infettive, alla manutenzione
delle scuole, alla spedalità a carico del comune.
Dalla sua amministrazione comunale venne inoltre promossa la costruzione di
case popolari e favorito il miglioramento economico di alcuni lavoratori dipendenti.
Colonia a Scampatesta 1947
Nel 1948 venne eletta deputato nelle liste del PCI partecipando come parlamentare ad
una delle prime delegazioni che si erano recate nell’URSS per avviare i primi contatti
istituzionali. Durante il suo mandato parlamentare ( incarico che manterrà per una
legislatura), intervenne alla Camera sui tanti problemi che riguardavano il lavoro, la
pubblica istruzione, la promozione di opere pubbliche nelle zone più disagiate. Venne
assegnata alla Commissione Istruzione e Belle Arti, alla Commissione Affari Interni e
quindi alla Commissione Giustizia.
La sua attività era diventata sempre più intensa, ma si divideva con passione tra i tanti
impegni e responsabilità di partito e di Sindaco di Massa Fermana senza mai
dimenticare la presidenza dell’UDI.
Gruppo di donne dirigenti UDI
Nei primi anni ’50 partecipò e sostenne tutte le lotte delle
operaie delle fabbriche di cappelli impegnate nella conquista del
loro primo contratto di lavoro. Con coraggio e decisione difese i
loro diritti e per far riscaldare le operaie riunite in assemblea
permanente, non esitò ad ordinare ai dipendenti del comune di
raccogliere la legna presso la Selva che circondava il Convento
dei frati Francescani. Fu denunciata e processata per questo, ma
difesa da un’equipe di avvocati tra cui era presente l’On.
Terracini, Presidente dell’Assemblea Costituente, venne assolta
con formula piena.
Con la stessa determinazione riuscì a salvare alcune opere
artistiche di grande valore come la “Natività” di Vincenzo
Pagani, trascurate dalla Sovrintendenza delle Belle Arti
vendendo alcuni pezzi di scarso valore storico - artistico per
procurarsi i finanziamenti necessari allo scopo. Anche per
questo motivo, denunciata dalla stessa opposizione in
Consiglio Comunale, venne processata ma poi assolta con
formula piena.
Nel 1953, l’onorevole Togliatti, allora segretario del PCI, riconoscendo il suo costante
interessamento per la condizione femminile, la sua capacità di rapportarsi con loro ed il
suo grande senso di umanità, le diede l’incarico di partecipare attivamente alla
campagna elettorale in Sicilia per parlare con la gente semplice del posto, specialmente
le donne.
Terminato l’impegno politico, si ritirò a vita privata nel suo paese natio mantenendo i
rapporti con il movimento femminile e con alcuni parlamentari come Arturo Colombi,
Amendola, Ingrao, Ugo Pecchioli, Nilde Jotti, Palmiro Togliatti e Longo.
Corrispondenza con Togliatti
Corrispondenza con Longo
Dirigente comunista, ma anche donna di sincera fede religiosa, ebbe sempre rapporti
con la chiesa locale e con alcuni missionari, con i Padri Sacramentini e con il Santuario
del SS. Crocifisso di Mogliano, elargendo consistenti contributi. Ed è a Massa Fermana
che morì il 27 aprile del 1990.
Così venne ricordata da un articolo comparso su ”Il Messaggero” il 29 aprile
dello stesso anno all’indomani dei suoi funerali: “Comunista, antifascista,
partigiana combattente, educatrice di eccezionali capacità e doti umane, è stato
il primo sindaco donna d’Italia. Si è spenta in solitudine, aveva 92 anni alle
spalle, una vita fatta di esemplare impegno nella politica, nella lotta per la
democrazia e nell’aiuto delle persone più deboli.
Ma non era molto conosciuta al grande pubblico.
I funerali si sono svolti con la commossa partecipazione della gente
del posto e dei dirigenti comunisti”. Alla sua morte numerose furono
le testimonianze pervenute da diverse località d’Italia ed in particolare
dalla Presidenza della Camera dei Deputati.
Ada Natali, ricordata con affetto, stima e gratitudine dai sui compaesani, e da quanti
l’avevano conosciuta e apprezzata, è quindi stata “una delle grandi donne italiane
della politica e dell’impegno civile, il cui nome è legato alla pagina eroica
dell’Antifascismo e alla costruzione della democrazia repubblicana. La sua figura di
parlamentare e di donna che ha sempre creduto nella politica come strumento di
progresso e di emancipazione, costituiscono un patrimonio per la coscienza
democratica del nostro paese” (telegramma di cordoglio di Nilde Iotti alla famiglia di
Ada Natali).
Telegramma di cordoglio di Nilde Jotti alla famiglia di Ada Natali
Una vita come impegno
Fausta Monelli è nata Fermo il 18 Maggio 1923, in una famiglia
numerosa nella grande casa di via Leopardi 26. Il padre,
Giovanni, cattolico e liberale, disprezzava il Fascismo ed era
guardato con sospetto per non essere iscritto al partito. Alla
sua morte, avvenuta nel 1943, continuò la madre a testimoniarle
il coraggio di una vita tesa al raggiungimento e alla
realizzazione dei propri valori ed ideali: “Se vi chiedono
qualcosa di buono, anche se difficile non dite mai no”.
La guerra, dichiarata l’11 gennaio 1940, non permise a Fausta di sostenere gli esami di
maturità ai quali si stava preparando con grande impegno. Vennero soppressi e bastò lo
scrutinio di fine anno. Dopo essersi iscritta alla facoltà di Lettere Classiche
dell’Università Cattolica di Milano, frequentò per tre anni il corso di studi, al terzo anno
infatti il collegio dove risiedeva fu costretto a chiudere per i bombardamenti.
“Il primo bombardamento su Milano, in
pieno giorno, imprevedibile, senza allarme,
una strage. Ed è stato solo l’inizio.
Si andava a letto vestiti per scendere del rifugio
sotterraneo al primo urlo delle sirene.
Alcune ragazze gridavano, altre
pregavano a voce altissima per coprire il
fragore delle esplosioni. Desideravo tacessero,
per sentire cosa accadeva fuori. Mi sembrava
che avrei dominato meglio le emozioni. In un
angolo nel rifugio due damigiane d’acqua, se
fossimo rimaste sepolte dalle macerie. Al mattino cambiavamo gli abiti.
Ricordo: dopo un bombardamento notturno, cessato l’allarme, sono salita
sulla terrazza sovrastante il collegio ed ho visto le guglie del Duomo e la
Madonnina dorata su uno sfondo di fuoco. Milano bruciava. Un inferno
dantesco.”(Fausta Monelli)
Fausta tornò più volte a Milano per
completare gli esami, ma i viaggi in
treno da Fermo per raggiungere la sede
universitaria erano estremamente
pericolosi: “Tornai a Milano più volte
per completare gli esami con viaggi
avventurosi.
Ne ricordo uno che racconto perché,
più di qualsiasi narrazione storica,
rende le atmosfere e i contesti di
un’epoca.
Era notte, ci fecero salire con regolare
biglietto su di un vagone merci,
scoperto, adibito al trasporto del sale
dalla Puglia a Milano. Era vuoto ma il
sale sul pavimento e sul telone con cui
ci ricoprirono, per misura di prudenza,
ci dissero, mi provocò una violenta
reazione cutanea. Agli esami mi
presentai con il viso scarlatto e le mani
gonfie. Nessuno chiese nulla.
Succedeva di tutto, allora”.
Dopo la laurea, conseguita nel 1945
con una tesi su “La tipologia del
super-umanesimo in G. D’
Annunzio”, Giuseppe Giammarco,
suo professore d’Italiano al liceo e
sindaco provvisorio della Città
(Fermo era stata liberata dagli
Alleati Polacchi il 20 giugno 1944),
le propose di presentarsi come
candidata alle imminenti
Amministrative. “Come esponente
della DC- ricorda la Monelli - era
impegnato nella campagna
elettorale e voleva una donna per
esprimere la partecipazione, per la
prima volta, dell'altra metà del cielo.
Le donne finalmente votavano! Io
non ci avrei mai pensato.
Specialmente all’inizio sapevo di
fare qualcosa di inusuale e di
spregiudicato nell’apparire sui
balconi e parlare, io che avevo
poco più di vent’anni e alle spalle,
come tante ragazze allora, una vita
tutt’altro che pubblica”.
Sicura di combattere una battaglia ideale e
decisiva e di essere dalla parte giusta,
Fausta Monelli accettò ed iniziò con
entusiasmo, convinzione e dedizione il suo
impegno politico, convinta che la politica
fosse innanzitutto, servizio alla comunità.
“Desideravo partecipare alla ricostruzione ,
come si diceva allora evocando le macerie
materiali, e non solo, lasciate da dittatura e
guerra”.
Cominciò così la sua partecipazione ai
comizi elettorali con coraggio nonostante
l’ostilità degli avversari della sponda
opposta. Parlava di politica e partiti, nuovi
patti agrari, donne e democrazia, nuova
libertà e valori cristiani.
Preferenze espresse per i candidati del partito “Scudo Crociato” dove è presente
Fausta Monelli, unica candidata donna (voti 4385)
“Si parlava da un balcone, dal Municipio stesso, o da altri edifici
pubblici sulla Piazza principale, dalla gradinata di una chiesa, sul
basamento di una statua, in mancanza di altro. Si parlava nel tardo
pomeriggio quando gli uomini erano tornati dai campi o dalle botteghe.
Era uno spettacolo annunciato ed atteso, ben oltre il messaggio politico,
una festa di paese, un incontro collettivo, un modo di partecipare tanto
diverso dalle adunanze oceaniche con cartolina-precetto, su
convocazione dei gerarchi fascisti.
La gente guardava verso il balcone, generalmente apparivano, oltre
l’oratore, candidati e notabili del paese che condividevano la linea
politica. Quando veniva presentato l’oratore, se ero io, passava un soffio
di stupore e curiosità, tra l’ironico e il divertito. Dei tanti comizi ne
ricordo alcuni. Per raggiungere Grottazzolina, dove ero attesa, si doveva
traversare l’ Ete. Mi accompagnava, con il suo taxi, il signor Livi. Non era
la prima volta e durante il percorso mi dava informazioni, mi riferiva degli
umori dei locali. Un gruppo di uomini, che evidentemente ci aspettavano,
tenta di impedirci il passaggio, l’autista cerca un guado, accelera,
dall’altra sponda un lancio di sassi sfonda il parabrezza, arriviamo in
paese con ritardo. Un giovane DC, Giulio Orlando, che diventerà poi uno
dei miei amici più cari (sarà sottosegratario alla Marina mercantile ed
altro ancora), stava prolungando il suo intervento in attesa del mio
arrivo.”(Fausta Monelli)
“Prendo la parola e comincio con lo scusarmi con il
pubblico per il ritardo. Ne dico la ragione; il parabrezza in
frantumi testimonia. Sdegno ed eccitazione danno forza al
mio intervento. Un diluvio di applausi. Dell’incidente non
dissi nulla in famiglia, ma il giorno seguente in tanti
fermarono in strada mia madre chiedendo notizie della
“signorina”. Qualcuno aveva riferito. Ad elezioni
avvenute, un telegramma del neo Primo cittadino di
Grottazzolina mi comunica una clamorosa vittoria DC che
nessuno si aspettava. Apprezzai il gesto ma ancora di più
apprezzavo il commento del signor Livi “Tu si un rugno”.
Un erba selvatica, amara e coriacea. Quale complimento
migliore.
“Un’ altra volta, a Roseto degli Abruzzi. E’ sera, prima di me ha parlato la
candidata del PCI. Mi accompagnano sul balcone di un edificio pubblico, il
palazzo del Comune, credo.
Agli angoli della ringhiera sono issate
delle fiaccole, tanta luce, tanto fumo mi
accecano. A fatica vedevo nella piazza
tanti uomini vestiti di scuro, tutti con il
berretto. Non c’erano donne. Avevo
ascoltato l’ultima parte del discorso
precedente, violento e pieno di
invettive. Mi sforzo di parlare in modo
pacato, in risposta indiretta, delle cose
in cui credevo e che costituiva il
programma della DC di allora. Via via il
tono si era fatto più caldo e
appassionato, volevo parlare anche alle
donne che non c’erano. Alla fine un
interminabile attimo di silenzio,
immobile, poi tutti i berretti lanciati in
alto verso il balcone. Non avevo mai
visto nulla di simile”(Fausta Monelli).
Il 24 marzo 1946, a Porto San
Giorgio, Fausta Monelli,
neoconsigliere comunale partecipa
ad un comizio indetto dalla locale
sezione democristiana. Al suo
intervento accolto con consensi ed
ammirazione, segue un
contraddittorio politico interrotto poi
bruscamente dal Maggiore Strinati
che, dopo aver accusato il Vaticano
dell’affermarsi vittorioso del
Fascismo, dichiara arbitrariamente e
con gesto unanimamente deplorato
chiuso il comizio, impedendo alla
signorina Monelli di replicare.
“La voce delle Marche” , 12 Aprile 1946
Il 31 marzo 1946 Fausta Monelli fu eletta,
poco più che ventenne, nelle liste della DC
con 4385 preferenze, primo consigliere
donna del Municipio di Fermo. La sua
presenza in comune era assidua e
propositiva, cercava di fare del suo meglio
per capire come funzionassero le istituzioni e
quale potesse essere il suo contributo e le
sue scelte nel momento in cui si prendevano
le decisioni più importanti. La sua vita
politica a Fermo terminò con il matrimonio e
il trasferimento a Roma nel 1952.
Vivere nella Capitale, lavorando accanto al
Segretario dell’allora unico sindacato della
scuola, le offrì una dimensione nazionale
della realtà ed opportunità di partecipazione
impensabili in provincia.
“ La Voce delle Marche” 7/4/1996
Continuò così il suo impegno civile e sociale assumendo l’incarico di
partecipare come Professoressa d’Italiano in televisione al programma
“Telescuola”, trasmissione finalizzata ad effettuare per la durata di tre anni
scolastici un regolare corso di avviamento professionale a tipo industriale, con
lo stesso programma della Scuola di Stato.
“Molti tra le centinaia di migliaia
di ragazzi rimasti al solo livello
elementare, ebbero così
l’opportunità di avere formazione
e titolo di studio. I risultati
andarono oltre ogni previsione.
Vennero raggiunti non solo
ragazzi ma anche adulti nelle
carceri, nei sanatori, negli oratori,
nei bar. L’esperienza italiana fu
presentata in convegni
internazionali, ad Amburgo e
Tokio, dove la RAI inviò lezioni di
italiano registrate. La scuola
contribuiva alla ricostruzione che
è più di uomini che di cose.
Quando, per la prima volta nel dopoguerra, passarono attraverso lo schermo
parole ed immagini della Resistenza, mi giunsero minacce ed insulti da
“nostalgici”. Per me era un po’ come continuare l’impegno politico”.
Nel 1969, Fausta Monelli si trasferì con la famiglia a Brescia dove iniziò ad
insegnare in una scuola di periferia in un quartiere operaio.
“Lì fu possibile, con l’appassionata e critica
collaborazione dei genitori, sperimentare un
modello di scuola media profondamente
innovativo. Ci si trovava la sera nei locali
della scuola materna, sulle minuscole sedie
integrate da cassette di frutta rovesciate, a
dibatterne con gli operai. I miei figli
adolescenti incontravano coetanei ed adulti
in una chiesa, con preti operai”(Fausta
Monelli).
La sua attività continuò sempre più
intensamente. Collaborò, per conto del
Ministero della Pubblica Istruzione alla
elaborazione dei nuovi programmi per la
Scuola Media. Membro del Consiglio Direttivo
e responsabile per la sezione Scuola Media
dell’IRRSAE Lombardia (Istituto Regionale di
Ricerca Sperimentazione Aggiornamento
Educativi) promosse e condusse, con
Università e Centri di Ricerca, attività di
formazione del personale direttivo e docente, di
sperimentazione assistita in scuole di diverse
regioni.
Ed ancora oggi, a Brescia dove vive, Fausta Monelli
continua la sua opera, attualmente approfondisce lo studio
dell’applicazione delle moderne tecniche multimediali alla
didattica ed alla comunicazione ed ha al suo attivo molte
ed interessanti pubblicazioni, chiaro esempio di come la
politica sia servizio alla comunità. “La politica- ci ricorda
Fausta Monelli- è la quotidianità, ogni gesto della
nostra giornata è un fare politica. Ho fatto tutto questo
nonostante i miei sei figli. Voi uomini non chiedete
alle donne di rinunciare alla partecipazione attiva nella
vita politica e professionale: non esistono attività da
uomini e attività da donne: gli uomini le fanno al
maschile e le donne al femminile. Ricordate che la non
realizzazione è la fine di ogni essere umano”.
GINEVRA CORINALDESI
Una vita per gli altri
Ginevra con il fratello Enrico
Ginevra Corinaldesi, prima donna nelle Marche, e la
seconda in Italia a svolgere la professione di medico
condotto, era nata a Serra San Quirico(An)il 2 aprile
1904, da Radegonda Gengaroli, maestra, e da
Alfredo Corinaldesi, veterinario, a distanza di un
anno dal fratello Enrico. In famiglia ricevette
un’educazione basata su solidi valori morali che
saranno alla base della sua formazione e
caratterizzeranno tutta la sua vita futura. La madre,
maestra elementare dedita alla professione, che
eserciterà per 35 anni, e alla cura dei figli, le insegnò
la forza della fede vissuta nell’amore verso gli altri e
il padre, socialista, impegnato e coerente con le sue
idee fino alla fine, le testimoniò con la sua vita
l’amore per la libertà, la democrazia, la giustizia e il
coraggio di lottare per la loro realizzazione. A sette
anni Ginevra si ammalò di poliomielite che,
rendendola claudicante, segnò la sua infanzia e
adolescenza, ma che la spinse ormai adulta a dare
più e meglio di quanto si possa chiedere ad un buon
professionista.
Ginevra a Pisa
Dopo aver frequentato a Jesi il
Ginnasio-Liceo, conseguita la licenza
liceale, si iscrisse nel 1923 al Corso
di Laurea in Medicina e Chirurgia
presso l’Università di Camerino. Con
grandi sacrifici per le precarie
condizione economiche della famiglia
e grazie al sostegno di un vecchio
sacerdote, poté poi completare gli
studi universitari a Pisa non essendo
stato istituito a Camerino il quinto
anno di corso, dove brillantemente si
laureò, il 18 luglio 1929, discutendo
una tesi su “Le tecniche della
filtrabilità del virus tubercolosi”. Al
corso di studi in medicina erano
iscritte solo due donne, lei e un’ ebrea
russa, Jaffa Grasnova, con la quale
rimase in contatto epistolare fino all’
emanazione delle leggi razziali, le
lettere che per un lungo periodo
Ginevra continuò a scriverle, rimasero
senza risposta.
Laurea di Ginevra
Libretto universitario di Ginevra
Conseguita
l’abilitazione
all’esercizio
della
professione medica il 21 aprile 1930, Ginevra, a soli
26 anni, ricoprì, inizialmente come supplente, la
condotta medica di Montelparo, un paesino dell’
entroterra ascolano di circa 2000 abitanti. Non fu
facile per lei inserirsi in un ambiente che negli anni
trenta era arretrato, pieno di pregiudizi ed ostile ad
una giovane donna medico, ma la popolazione di
Montelparo, gente semplice e laboriosa, finì ben
presto per stimare e amare la sua dottoressa,
conquistata dalla sua disponibilità, dalla sua serietà
professionale, dalla passione e dall’umiltà con cui
svolgeva il suo compito. “Nel novembre di
quell’anno, perplessi forse del fatto che la loro salute
fosse affidata a una donna, per di più giovane, gli
abitanti non mi fecero chiudere occhio per tutto il
mese, richiedendo visite domiciliari, di giorno e di
notte, molte volte inutili, probabilmente con l’intento
di scoraggiarmi. Ero davvero scoraggiata, ma per
niente intenzionata ad arrendermi! Mi apprezzarono
poi e mi stimarono tanto che ancor oggi, dopo aver
lasciato da sedici anni la condotta per assumere
quella urbana di Fermo, vengono qui a chiedermi
visite
e
consigli
anche
extraprofessionali.”
(Ginevra Corinaldesi).
Abilitazione all’esercizio dell’attività medica
A Montelparo, il 24 Aprile
1930, si unì in matrimonio
con Vincenzo Bernabucci .
Dal matrimonio nacquero
sette figli, il primo morì
durante il parto.
I sei figli di Ginevra e Vincenzo
Ginevra e Vincenzo Bernabucci da fidanzati
Quando, nel 1935 la condotta di Montelparo venne
messa a concorso e la Corinaldesi vi partecipò, furono
compiuti falsi e brogli per favorire un altro medico, più
vicino alle simpatie di quelle autorità tanto da
costringere la dottoressa a denunciare alcuni
esponenti del Partito Fascista. Ginevra informò
personalmente Mussolini, scrivendogli. La lettera fu
recapitata alla Camilluccia tramite un conoscente ed
ebbe l’esito sperato.
“Debbo dire che Mussolini compì, quella volta, un
atto di giustizia, ma mio padre fu condannato al
confino di polizia a Grottole (MT) per cinque anni
perché si era espresso in duri termini contro i
protagonisti della nauseante vicenda”(Ginevra
Corinaldesi). Ginevra Corinaldesi fu perfino
denunciata per “furto con scasso”. Il Comune infatti,
aderendo alle pressioni, l’aveva licenziata ed aveva
proibito che le si aprissero le porte dell’ospedaletto. Il
medico supplente non era sul posto e una donna
ricorse alla dottoressa per essere subito sottoposta ad
un intervento. Ginevra Corinaldesi penetrò
nell’ospedaletto, forzò l’armadio e prelevò i ferri con i
quali operò la donna che guarì. Poteva rifiutarsi e non
lo fece perché “sarebbe stato un tradimento”, ma le
costò la denuncia.
Ginevra insieme al padre
Per 20 anni Ginevra rimase medico
condotto a Montelparo integrandosi in
quella realtà e cambiando la mentalità
esistente, diventando così una di loro:
madre,
amica,
figlia
e
sorella.
I medici condotti nella prima metà del
novecento, erano veri pionieri; operavano
in ambienti chiusi ed ostili, densi di
pregiudizi e superstizioni (spesso capitava
che le persone si affidassero alle cure
della fattucchiera del paese), privi di
strutture e di strumentazioni tecnologiche
adeguate, forti solo delle conoscenze
teoriche apprese e dall’esperienza fatta sul
campo, sorretti dalla propria volontà e dal
desiderio di salvare vite umane.
Ginevra, 1929
La giovane dottoressa doveva spesso
raggiungere casolari lontani e sperduti a piedi,
col carro, a dorso di mulo o, nei tratti fangosi e
impraticabili, su una tregghia, rudimentale
mezzo tirato da buoi, con la quale trasportava
anche i suoi pazienti, in caso di necessità, nei
luoghi di soccorso. Per rispondere in modo più
efficace ai tanti e vari bisogni della popolazione,
nel giro di pochi anni riuscì ad organizzare un
volontariato addestrando persone di paese ai
primi interventi di soccorso.
“Ripartiva il suo tempo tra i figli e i malati, se
stava allattando e veniva chiamata da qualcuno,
ci affidava ad una balia occasionale e
soccorreva chi aveva bisogno del suo aiuto.
Tutti in paese si avvicendavano per sollevare il
“Dottore” dalle fatiche domestiche ed averlo
sempre a disposizione (Renata Bernaducci figlia
primogenita di Ginevra). Così la ricorda il poeta
dialettale di Montelparo, Danilo Cappella, al
quale da bambino aveva salvato la vita.
La tregghia
A DOTTORESSA
Non ero aperto l’occhi su la vita
che me pijo ‘na grave malatia;
mamma piagnia, a speranza era finita:
pure stu fiju sta pe’ ji via.
E sci perché, proprio appena nati,
du fiori de gemelli era spirati!
Nignìa, e o freddo jielava piedi e mà,
ma o freddo era più forte dentro i cori,
quanno la a porta se sindì vussà……..
rrendrò ‘na donna, l’occhi ciavìa de fori!
Ginevra a 20 anni
Me misi a piagne: mamma! Chi dè quessa?
Non piagne co’: quessa d’è ‘a dottoressa.
Jò i piedi strascinava dù stivali,
‘na mandella je rcuprìa pure la testa!
Non se putìa penzà che tutti i mali
Fosse capace de capilli lesta.
Co’ a voce forte, ma co’ lu sguardi mite,
Disse: ‘ssu fricu ci ha la purmunite!
E dopo tando amore e tanda cura,
Mentre llà ffori scoppiava primavera,
A tutti passò la gran paura,
Che c’era scritto u core quella sera!
E sci perché co’ quella malatìa
N’era difficile murì, jissene via!
Tand’anni dopo, tra maestri e professori,
Che stava assemo pe’ parlà de scola.
‘na voce forte, lo mmezzo venne fori,
E disse chiara solo ‘na oarola:
Ce vole solo AMORE, strillò quessa!
E subito capìi: era la dottoressa!
Ginevra a 82 anni
Nel 1950 la dottoressa Corinaldesi concorse ad una delle condotte mediche di Fermo,
rimasta vacante e, vinto il concorso, si trasferì in questa città con la sua numerosa
famiglia.
Qui, nel tempo, svolse funzioni di medico condotto, di ufficiale sanitario presente nel
reparto carcerario di Fermo (dove divenuta un punto di riferimento per i detenuti riuscì
a sedare una rivolta scoppiata a causa delle riprovevoli condizioni igieniche e del
pessimo vitto), quindi di medico scolastico, vicina ai giovani nella scuola e ai loro
genitori, attenta ai problemi dell’età evolutiva e alle loro manifestazioni.
Ginevra nel suo ambulatorio
A Fermo fondò la sezione A.N.I.E.P., distaccamento di
Ascoli Piceno, entro cui era presente con grande
dedizione, offrendo la sua personale testimonianza di vita,
fortificata dalla menomazione fisica, nel costante
superamento dei limiti e nella loro accettazione, affinchè le
persone portatrici di handicap si affermassero come
persone partecipi e responsabili della vita sociale, non più
considerate soggetti in disagio aventi solo diritto al lavoro,
alla scuola e alla pensione. Una vita, quindi, quella della
Corinaldesi, segnata dal lavoro, dal sacrificio e dalla
generosità, la vita di una donna che, con grande forza
morale, ha saputo fronteggiare i momenti più difficili. In
pensione dal primo Gennaio 1971, seguitò a svolgere
attività di volontariato all’interno dell’Ospedale di Fermo e
nel Consultorio Famiglia Nuova fino all’età di 85 anni. Con
la sua vecchia FIAT seicento partiva ogni mattina da casa
e dopo aver accompagnato la figlia, maestra, e il nipote, a
scuola, continuava il suo giro per la città, visitando e
confortando chiunque avesse avuto bisogno del suo aiuto.
Ginevra, a destra nella foto, a Loreto
“Ho conosciuto la Dottoressa Corinaldesi in parrocchia dove nell’attività di aiuto ai malati e ai
bisognosi di ogni genere, ci ricordava sempre che ognuno deve porsi nella condizione di aiutare
tutti quelli che incontra il più possibile.
Quando mia madre, a causa della rottura del femore, rimase inabile per diversi anni, lei le fu
sempre vicina ed aiutò con grande generosità la mia famiglia a vivere questa situazione non
certo facile. Eravamo allora una coppia giovane, con un bambino piccolo, un altro in arrivo e il
lavoro da portare avanti. Quando mi trovai in difficoltà perché dovevo accompagnare
giornalmente un’assistente alla clinica Villa Maria dove mia madre era ricoverata per la
riabilitazione, lei si assunse questo onere. Io espressi le mie perplessità perché ero preoccupato
che una persona anziana potesse fare tutte le mattine questo servizio, ma lei mi disse queste
testuali parole: - Tu non ti devi preoccupare, la mia automobile viaggia sotto la protezione dello
Spirito Santo - .
La Corinaldesi accettava cristianamente le vicende dolorose che il Signore le mandava. Ricordo
che durante il funerale di suo figlio Adriano, morto prematuramente, alla fine della cerimonia
religiosa intervenne dicendo: - Signore, cosa mi aspetta ancora? -. Era un parlare da figlia a
Padre, da figlia alla quale il Padre chiedeva sempre di più. Mai però la sua incrollabile fede ha
vacillato neanche per un attimo accettando totalmente quello che la vita le riservava”
(MarioA.)
A Fermo tenne conferenze, partecipò a convegni,
mostrando sempre particolare sensibilità e
attenzione al mondo femminile e alla sua
emancipazione, affrontando temi scottanti come
l’eutanasia, l’anzianità, l’aborto, il dramma delle
ragazze madri, l’emarginazione, la disabilità.
“Ricordate che nessuno dispone di un potere
assoluto sull’esistenza umana: questo è un dono di
cui siamo venuti in possesso senza alcun nostro
merito, perciò ogni momento della vita terrena che ci
rimane va rispettato” (Ginevra Corinaldesi).
Ginevra, una piccola, grande donna, minuta ma forte
come una roccia, conosciutissima nel territorio del
fermano e altrove, apprezzata professionista,
stimata e amata, visse sempre ogni battaglia senza
arrendersi mai e, sentendosi parte degli altri, seppe
superare tragedie come la perdita dei due figli,
Adriano e Lauretta, persi nell’arco di un anno.
Con la stessa passione e la stessa determinazione
con la quale da giovane esercitò la professione
medica a Montelparo, da anziana, seppe creare a
Fermo una catena di volontariato coinvolgendo
anche tante persone della sua stessa età: “Un
anziano abile aiuta un altro anziano meno abile” era
la sua convinzione nella certezza che la carità non
conosce limiti ed età.
Negli anni 80 – 90 collaborò con il Consultorio di Fermo “Famiglia Nuova” organizzando, con l’aiuto
di altri medici, diversi corsi a carattere sanitario sulla terza età, insegnando ad autogestire
l’anzianità con suggerimenti e risposte ai tanti problemi dell’anziano (malattie cardiovascolari,
respirazione……) Sempre per il consultorio fu presente in alcune scuole materne private del
fermano che non avevano un servizio di consulenza pediatrica e tenne diversi incontri rivolti ai
genitori sui problemi infantili. “Oltre al discorso tecnico e sanitario, - ricorda Don Vincenzo Marcucci,
fondatore del Consultorio Famiglia Nuova – portava la sua esperienza di madre e di nonna, la sua
grande umanità che la rendeva unica, coinvolgendo tutti i genitori (dapprima diffidenti per la sua
età, poi entusiasti) e i tanti anziani che seguivano con grande interesse i suoi corsi. Erano incontri
belli, ricchi di valori. Ginevra Corinaldesi ha fatto tanto nella sua vita e ha dato tanto, a tutti”.
Ginevra Corinaldesi, precorrendo i tempi, ha rivelato una modernità di pensiero, un’apertura agli
altri, un’accettazione del “diverso” non comuni. La sua scelta professionale è stata vissuta come
missione per cui il malato, il sofferente, il bisognoso d’aiuto, l’anziano, il più debole, l’ultimo della
terra, era visto, nella sua scala dei valori, come il primo
Ginevra con i nipoti
Ginevra con i figli
Ginevra con la figlia Laura
A sottolineare la sua scelta di fede e
di coraggio, ha ricevuto
riconoscimenti e premi come
“CREARE E’ DONNA” ad Ascoli
Piceno (anno 1988) e “PREMIO
PLAUSO” a Fermo (anno 1996). “Una
delle prime donne ad essersi inserite
in una professione tipicamente
maschile, superando innumerevoli ed
immani difficoltà sia di ordine
psicologico che fisico, ed insieme
distintasi per l’impegno sociale
profuso, per l’incondizionata
disponibilità umana nell’aiutare gli altri
senza risparmio delle proprie energie,
con infaticabile costanza e dedizione
che continua ancora oggi attraverso
l’opera di volontariato all’interno
dell’Ospedale di Fermo”. Questa la
motivazione del premio “Creare è
donna” e queste le sue toccanti
parole quando le venne consegnato a
pochi giorni dalla morte della figlia
Laura, parole che ancora guidano ed
illuminano la nostra generazione e
che guideranno quelle future:
Premio nazionale “Creare e donna”
“Sono qui a ringraziarvi tutti quanti per questo premio assegnatomi in un momento particolarmente
doloroso della mia vita.
Non credo di avere meriti o doti eccezionali; tutto quello che ho fatto, l’ho fatto semplicemente e
naturalmente perché credo nella mia professione, l’ho voluta e l’ho amata.
Quando per una donna era quasi impossibile scegliere la professione medica ed esercitarla, quando
la donna era ancora relegata ad un ruolo assegnatole dalla storia e dalla società pressochè
intoccabile, a me è toccata la fortuna di vivere un’esperienza di rottura nuova con il passato, densa
di vitalità e di contrasti, dura e sofferta, ma di una intensità e di una ricchezza uniche. Credo che
questa mia esperienza vissuta abbia contribuito, forse, a porre una piccola pietra nel processo di
costruzione e di crescita non facile che noi donne stiamo ancora vivendo. Ma ancor più mi fa piacere
ricevere questo premio intitolato “Creare è donna” perché ho sempre creduto che creare sia la
dimensione quotidiana della vita di ogni donna, dal creare la vita, dando alla luce il proprio figlio, al
creare dei gesti più umili e semplici della giornata, al creare amicizia, solidarietà, conforto, sicurezza,
comprensione, amore, perché creare è sempre e soprattutto un atto d’amore.”
Ginevra Corinaldesi è morta a Fermo il 28 gennaio 1997.
Nonna Ginevra
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Il Sole 24 Ore