REGATT 04-2010.qxd 24/02/2010 16.22 Pagina L 115 L ibri del mese / segnalazioni G. MOCELLIN, UN CRISTIANO PICCOLO PICCOLO. Storie di fede in questo tempo, EDB, Bologna 2010, pp. 120, € 9,90. 9788810510827 M i piacciono queste storie di donne colte nella fuga dei giorni. Sono infatti quasi tutti donne i protagonisti del libretto e io credo che l’autore – uomo mitissimo ma bene informato – ci voglia dire qualcosa con questo suo parteggiare per le cristiane di ogni giorno: per esempio che bisogna innanzitutto guardare alle donne – che non hanno voce nell’assemblea – per conoscere che cosa sia e che cosa possa essere il cristianesimo oggi, perché la loro attestazione è preponderante ed è forse la più feconda nella vita ordinaria. Ecco la catechista Marta che «non vede l’ora di rispondere» alla domanda di una ragazza del corso fidanzati che tanti uomini di Chiesa riterrebbero irricevibile: se vi sia «un modo cristiano di fare l’amore». Ed ecco Mariella – 37 anni e due bimbi «con i capelli ricci» – che dice di volere «una figlia» quando vince a un telequiz e al conduttore che osserva «ma ne ha già due» risponde minimizzando: «Questa volta voglio una bimba». Clara che rintuzza donnescamente un complimento galante sul vestito che indossa dicendo che «piace molto» anche al marito. Paola combattiva e combattuta nell’inedita figura di moglie di un diacono. La «giovane suora» Maria Angela che si avventura nella Rete e cerca di «pacificare» i blogger più rissosi. Fulvia la tassista che è stata a Medjugorje e ne parla con garbo ai clienti. Emanuela svegliata «dalla pipì di Marco» che pensa agli amici monaci che stanno salmodiando a quell’ora, forse a Camaldoli in mezzo alla notte e alla foresta. Cristina prende sul serio il ruolo di madrina e trattiene dalla rottura i genitori di Thomas che ha appena tenuto a battesimo. Marina ormai passa gran tempo davanti alla TV e confonde i personaggi della cronaca e quelli delle fiction, se hanno lo stesso nome e prega sia per quelli veri sia per quelli finti: questa – intitolata «Pregare per Meredith» – è la storia più bella qui raccontata. Valeria è la più giovane dei parenti e dice subito: «Al funerale ci penso io». Valenti- XXXVII na abbandonata dal marito riama dopo tanto, come risvegliata dall’affetto di Andrea, e fa i conti mitemente con la sua situazione «irregolare», ottenendo una silente benedizione dal «bravo parroco». Ester per tutta la vita si è fatta «figlia o sorella o mamma a tutti» e si vede arrivare a casa – quand’è malata – la nipote Licia che le ruba la sua antica parola d’ordine: «Sono venuta a vedere se avevi bisogno di una mano». Non mi stanco mai a leggere storie di vita purché siano vere e oso garantire al lettore che si addentrerà in questo vivo boschetto che qui non incontrerà nulla di artificioso. Sono racconti utili a conoscere, ma anche ad agire, tanto sono aderenti alla vita reale. Facilmente ognuno che legga potrà intendere che qui di lui si narra e potrà entrare nell’una o nell’altra di queste parabole, magari per tentare di volgerne al meglio gli eventi. Io mi sono sentito dentro a quella intitolata «Senza rete», dove una parrocchiana dice a don Carlo, che s’interroga interdetto sulla mamma di Merate e il papà di Catania che dimenticano in macchina bimbi piccolissimi: «Guarda che quel genitore potrei essere io». Da quando sono padre quante volte mi sono detto, per queste e altre umane sventure: «Potevo essere io». Abbiamo bisogno di parabole come queste ai nostri giorni, per conoscere da vicino l’umanità minuta che vive senza pretese – eppure con impensabile generosità – la propria avventura cristiana. Creature compassionevoli e che invocano misericordia. Un piccolo popolo molto vicino a quello che abita e anima i Vangeli: anche qui c’è chi chiede aiuto e chi soccorre, chi accompagna alla sepoltura e chi è tentato di scappare di casa al compimento dei 18 anni. Ne viene un’immagine veridica – in nulla abbellita – degli uomini e delle donne del nostro tempo e dunque anche della Chiesa che essi impersonano e del Padre misericordioso in cui credono. La vita degli umili come il giusto luogo per conoscere a quali lacrime e a quali gioie sia intrecciata oggi la nostra poca fede. «Ma tu Signore aumentala», sembrano dire in coro i protagonisti di queste storie. Luigi Accattoli* * Riproduciamo qui, come recensione al volume, la presentazione di Luigi Accattoli «Qui di noi si narra…» (5-7). AA.VV., KARL BARTH IN PROSPETTIVA ECUMENICA, Hermeneutica. Annuario di filosofia e teologia (2009), Morcelliana, Brescia 2009, pp. 333, € 23,00. 9788837223441 R ileggere Karl Barth in prospettiva ecumenica a poco più di quarant’anni dalla scomparsa non è un’operazione di tipo archeologico. Anche se la distanza temporale è ampia, è indubbio che dopo Lutero e Schleiermacher Barth si è confermato il pensatore che maggiormente ha inciso sulla teologia evangelica, dando origine a una corrente che è stata egemone per tutta la prima metà del Novecento ed è proseguita nell’opera di autori ancora viventi, tra i quali spiccano E. Jüngel in area europea e G.A. Lindbeck in area statunitense. È vastamente conosciuta la sua netta opposizione a tutte le forme antropocentriche della religione (come il sentimento o l’esperienza individuale) per affermare senza equivoci la logica autonoma della religione stessa a partire dalla parola di Dio, storicamente e pubblicamente rivelata, dogma ed evento fondatore, comandamento che si fa appello diretto e sollecita la responsabilità di ciascuno, suscitatrice di comunità animate dalla forza dello Spirito. Come scrive nella Dogmatik: «La realtà della parola di Dio in tutte le sue tre forme si fonda solo su se stessa. Così la conoscenza che l’uomo ne ha si basa unicamente sul suo riconoscimento e questo riconoscimento non può divenire reale, essere reso comprensibile, che attraverso essa stessa» (Dogmatik 1/1, 94). Per realizzare il compito teologico in cui l’uomo non può non parlare di Dio sfuggendo al rischio di mettere al suo posto degli idoli (idoli sono le immagini di Dio prodotte dalla riflessione dei filosofi), si deve invocare che Dio parli laddove si parla di lui. Per questa ragione Barth ha rinnovato profondamente il linguaggio teologico (nella linea dell’incoordinabilità, della paradossalità, della rottura, della differenza), contribuendo a creare una koinè espressiva che porta con sé anche la convergenza su temi e idee con teologi cattolici come Henri Bouillard, Hans Urs von Balthasar, Hans Küng (o con teologi ortodossi come Evdokimov), tanto che taluno ha accusato Barth, in maniera sommaria e impropria, di criptocattolicesimo, anche come con- IL REGNO - AT T UA L I T À 4/2010 115