Papà Personalità illustri hanno parlato di mio padre come banchiere, promotore di cultura, ed editore in proprio con la casa editrice Ricciardi. Io non so molto di que ste cose. Era più riservato di quello che dava a vedere. Ma c'era un'intesa bellissima tra noi due, andavamo molto d'accordo, avevamo in comune la passione per la letteratura e una grande affinità di interessi. Da bambina lo vedevo poco. Allora la vita era orga nizzata diversamente. E poi lui aveva molto da fare, noi bambini invece dovevamo solo fare silenzio, mia madre proteggeva la sua quiete. La sera, però, con gli amici, le loro voci qualche volta arrivavano sino alle nostre camere, si accaloravano in discussioni in pre valenza politiche, soprattutto quando c'erano La Malfa e Tino e Cuccia e Malagodi, tanto da svegliarci. Ma era bello e rassicurante sentirli così vivaci e appas sionati. Mio padre ha cominciato ad interessarsi a me quando si è accorto con quale fervore leggevo i libri. Me ne proponeva anche alcuni e ne parlavamo insieme. 51 Bacchelli diceva che si era scisso nei suoi quattro figli: nel mio caso è assolutamente vero, ma nessuno di noi ha ereditato la sua armoniosa e completa personalità. Aveva una resistenza al lavoro non comune, non si affannava mai eppure riusciva a fare un sacco di cose, lavorava con facilità, sapeva quasi naturalmente sce gliere e scartare. Le cose che faceva gli piaceva di farle, ed erano moltissime, forse per questo era instan cabile. Tutto era costruire, non c'era dissipazione. Qualche volta mi leggeva ad alta voce... la Fedra, il Cid, Re Lear. Avrebbe voluto che leggessi Tartarino e Zadig, ma non l'ho accontentato, pensavo fossero li bri troppo leggeri per me. Li ho letti naturalmente quando era già morto. Sono stata proprio una stupida, aveva ragione a insistere. Un'altra cosa che gli è un po' dispiaciuta è stata la mia decisione a prendere uno pseudonimo, già, mi sono dimenticata di dire che non ho resistito alla tentazione di scrivere anch'io qualche libro, e per conquistare la mia autonomia ho scelto il nome di Letizia Fortini. Veniva molta gente in casa, gente che poi è diventata importante e lo era già come Einaudi Croce Menichella Rockefeller Myrdal De Ruggero Chabod e tanti altri, ma io non prestavo molta attenzione a quei signori, ero troppo piccola. Mi piaceva Riccardo Ricciardi perché era elegante e molto spiritoso, e più tardi Contini perché assomigliava a Proust e aveva un eloquio forbito e affascinante, e Piero Sraffa perché 52 come me non vedeva l'ora di appartarsi con mio padre e non riusciva a nasconderlo. Veniva in Italia quasi esclusivamente per incontrarlo, difatti non ci è più tornato dopo che papà è morto. Quando ho cominciato a scrivere, ho avuto il coraggio di fargli leggere le mie prime prove dato il rapporto che si era stabilito tra noi. Ha avuto una reazione di insperata partecipazione. Sapevo che era molto occu pato e quindi a maggior ragione gli ero grata che si dedicasse così assiduamente a me. Il tempo, quando si vuole, lo si trova sempre, mi ha insegnato. Leggeva con molta attenzione, spesso a notte inoltrata, ed io .lì in ansia ad aspettare il suo giudizio. Era esigente: se un racconto gli pareva che funzionasse mi esortava a la vorarci ancora, ma non entrava nel merito, quasi mai, forse aveva una sorta di timidezza per quello che lui si augurava che fosse estro e talento; si affidava al suo fiuto e naturalmente alla sua grande dimestichezza con i libri. Ricordo che abbiamo fatto insieme il cosiddetto servi zio stampa del mio primo libretto, era nel '70 credo, e mi meravigliai di come fosse formale nel suggerirmi le dediche, quasi di tono mitteleuropeo, lui che forma le non lo era mai. Capii anche da questo che ci teneva al mio lavoro: hai scelto il mestiere più difficile, mi diceva compiaciuto e forse con una punta di affettuosa invidia. In casa lo chiamavamo il Gattopardo, ma era un so- 53 prannome più che altro di apparenza; in profondità assomigliava invece a un capitano di Conrad, aveva qualcosa di eroico, se ciò a cui teneva barcollava, di ventava la sua nave. Quando si è ammalato ero io che gli leggevo. Poesie e anche «Andrea e i ricongiunti», ma non abbiamo fatto in tempo a finirlo, era proprio destino che quel libro rimanesse a mezzo come era successo anche all'auto re. Se mi trovo in difficoltà immagino che cosa avrebbe fatto lui nei miei panni, o che consiglio mi avrebbe dato: a non scoraggiarrni, certo, a reagire, a riflettere, ad aspettare, ad avere pazienza e ad essere fedele a me stessa, e soprattutto a non avere paura, ad assumermi tutte le mie responsabilità avendo il coraggio di af frontarle. 54