Francesca Comisso, Art Line Do Not Cross, in: ART LINE DO NOT CROSS / Angelo Ricciardi. - Napoli : 404 arte contemporanea, 2004 Art line do not cross è un’interdizione che si fa oggetto: una lunga striscia gialla con la quale Angelo Ricciardi definisce lo spazio di un interrogativo che mette in circolazione. L’esito è dunque plurale, condensando le diverse interpretazioni e risposte restituite dagli artisti coinvolti. Mentre impone un arresto, la linea gialla produce dunque un invito: all’attenzione innanzitutto. Può essere al tempo stesso il confine e l’unione di due punti, due luoghi, due posizioni. Qui e là, vero e falso, vita e arte. Un vecchio problema di dicotomie, quando l’epoca dell’opposizione tra di esse sembrerebbe definitivamente tramontata. Ma l’interrogativo di Ricciardi non si risolve interamente nella questione arte-vita, non nella differenza, equivalenza o interstizio tra di esse, quanto piuttosto sembra concentrarsi, come spesso nel suo lavoro, tra le pieghe del linguaggio, sulle parole che lo compongono, sul rovesciare e comporre parole. Punto di partenza dell’operazione è la striscia gialla Police line do not cross, che decenni di fiction cinematografica americana ci ha reso famigliare. È la linea che demarca il luogo del delitto, cristallizzando una porzione di realtà per sottoporla allo sguardo lenticolare degli addetti ai lavori. Una separazione netta, che si presta nel lavoro di Ricciardi a una translatio di contesto. La linea da non attraversare è dunque quella che delimita l’arte. Interrogarsi sulla “frattura”, sull’esistenza di cornici e margini dai tracciati talvolta non manifesti, o comunque ibridi, e soprattutto sul loro effetto e ruolo, appare un esercizio quanto mai necessario in un periodo in cui molta pratica artistica, nel rielaborare i temi neoavanguardistici della partecipazione, del coinvolgimento e dell’esperienza, ha inteso sfumare i confini tra pubblico e opere, facendo di queste atti relazionali, situazioni conviviali, “utopie di prossimità”. Nella lettura che Nicolas Bourriaud ha dato di queste pratiche, l’intenzione dell’arte è di “mettere in contatto livelli di realtà distinti …, favorire uno scambio intersoggettivo, …(offrendosi) come terreno di sperimentazione sociale in parte preservato dall’omologazione dei comportamenti”. Il confine si negherebbe quindi per “mettere in contatto”, per poi innalzarsi a preservare un’area di autenticità che dalla vita passa all’arte. Il lavoro di Ricciardi assume questa, e molte altre contraddizioni del dibattito e del sistema artistico contemporanei, lasciandole tuttavia aperte. Sceglie di adottare un confine fluido ed elastico, temporaneo e removibile, con il quale sarebbe possibile delimitare “ad arte” zone franche, come è accaduto per la Ville di Atelier Van Lieshout, o rendere la zona dell’arte inaccessibile, come nel padiglione spagnolo a Venezia occluso dal muro di Santiago Sierra, o ancora, come suggerisce Ricciardi, visualizzare uno scarto, un qui e un là, dai quali avviare un’azione di attraversamento. Nelle interpretazioni degli artisti che hanno aderito al progetto, la striscia art line do not cross trova molteplici declinazioni e usi. Diventa un traguardo nell’immagine di Tony Knox, un oggetto ludico per Jonathan Monk (e il suo piccolo figlio), un messaggio che sventola in coda al piccolo aereo disegnato da Marzia Migliora e, nelle immagini di Giancarlo Norese e Steffen Müller, il divieto d’ingresso al bagno domestico, già in passato teatro di un’interiorità prosaica “inscatolata ad arte”. Coco Gordon predispone la sua linea a sostituzione di quella che, presidiata dalla polizia, traccia il confine tra stati, mentre Alisa la indossa, facendone un segno “elettivo” ma anche di “difesa”. Antonio Picardi trasgredisce il monito “do not cross” bucando una pagina del catalogo. Letterale è invece l’operazione di Vito Pace, che per due giorni circoscrive con la sua linea uno spazio vuoto del Kunsteverein di Pforzheim, in Germania, senza concedere al pubblico la possibilità d’ingresso. Il museo è aperto, l’accesso negato, l’opera si condensa nella resa eclatante di un paradosso. Una questione di “dentro e fuori”, che nel testofilastrocca di Emilio Fantin assume i toni di un parodistico commento al sistema artistico. Nel corso della ricerca storico-bibliografica condotta parallelamente all’avviamento del progetto, Angelo Ricciardi si imbatte in un attonito Ball, in un infastidito Mondrian, in un impossibilitato Duchamp e in un ironico Hamilton. Semplici souvenirs? Un invito a ripensare ruoli e responsabilità delle avanguardie? Art line do not cross is a prohibition that is literally objectified: a long yellow strip with which Angelo Ricciardi defines an inquiry that he nudges forward into an outcome of condensed replies and interpretations returned by his choice of participating artists. While imposing a prohibited entry, the yellow line produces a beckoning: above all forewarning. Art line could be simultaneously the union of two points and a dead end, or the delineation of separated space and varying positions. Here and there, true and false, life and art. An old problem of dichotomy, even though the epoch of conflict between opposites seemed definitively overcome. But Ricciardi’s interrogative does notentirely resolve itself in the art-life equation, not in the difference, equivalence or space between them, but rather seems to concentrate itself, as often in his work, between the folds of language, on the words that make their composition, where repositioning and reversals of words activate experiential reading. The departure point of this operation is the yellow strip, Police line do not cross, that has been made familiar by decades of use in American fiction cinematography. It is the strip that delineates the demolition site, crystallizing a portion of reality for a long scrutiny by those employed within the enclosed area. A clear-cut separation, borrowed by Ricciardi and widened into contest. The line that does not allow one to cross underlies the line that delimits art itself. Questioning oneself on the fracture, on the existence of frames and margins of plans that at times are not evident, however hybridized above all in their roles and influence, appears to be more and more a necessary exercise in a period which much artistic practice that re-elaborates the neoavant garde practice of participation, co-conspiracy and of experiencing has intended to soften the boundaries between the public and the work of art, making these into realized acts, convivial situations, “contiguous utopias”. In the lecture that Nicholas Bourriaud has given on these practices, the intention of art is to “put into contact distinct levels of reality ... to promote an intersubjective exchange, ... (offering itself) as an experimental social terrain in part preserved by approved behaviour”. The roped off area would therefore negate itself by “bringing together”, in order to raise the bar to a preserved area of authenticity that passes from life to art. The work of Ricciardi assumes this and many other contradictions of the debate and of the contemporary art system itself, yet leaves them open. He choose to adopte a fluid and elastic border, temporary and removable, with which it is possible to delimit protected, yet frankly open zones “of art”, as occurred at the Ville of Atelier Van Lieshout, or to render art zones inaccessible, as in the Spanish Pavillion closed in by the wall of Santiago Sierra at Venice, or still, as Ricciardi suggests, to visualize a reject, one here and one there for the launching of an action that crosses through. The interpretations of the artists who have realized a work in this project, art line do not cross find multiple declinations and uses. It becomes a finish line in the image of Tony Knox, a ludic object for Jonathan Monk (and his young son), a message that drags from the tail of a little airplane designed by Marzia Migliora and, in the images of Giancarlo Norese and Steffen Müller, the do not enter sign uses a domestic bathroom area as theatre of prosaic intimacy “packaged as art”. Coco Gordon prepares her line as a type of substitution to one that is police imposed, enriching the border between inner and outer states of reference, while Alisa wears her art line like a beauty star, making it into an “elective” action which is at the same time a “defensive” one. Antonio Picardi disobeys the warning “do not cross”, piercing holes through a page of the catalog. Whereas instead there is a literalness in Vito Pace’s two day long operation circumscribing an empty space in the Kunstverein of Pforzheim, Germany, while not allowing the public access to witness it. The museum is open, access denied, the work rests, compressed into a glaring restitution of paradox. A question of “inside and outside”, the nursery-rhyme text of Emilio Fantin assumes a tone of parody that comments on the art system. During the course of researching the historic bibliography which takes place parallel to the emergence of the project, Angelo Ricciardi meets up with an atonal Ball, an irritating Mondrian, an unable Duchamp, and an ironic Hamilton. Simple souvenirs? An invitation to rethink the roles and responsibilities of the avant garde? Vincenzo Cuomo, Non attraversare la linea.,in: ART LINE DO NOT CROSS / Angelo Ricciardi. - Napoli : 404 arte contemporanea, 2004 Non attraversare la linea dell’arte. Che tipo d’enunciato è questo? Performativo o prescrittivo? Nel caso fosse prescrittivo, nel caso, quindi, stabilisse un divieto, un obbligo, dovremmo concludere che esso cada fuori del territorio dell’arte, che esso sia esterno all’opera (d’arte). In tal caso delimiterebbe una sorta di recinto sacro? Sappiamo che non è così. Innanzitutto perché l’opera d’arte, pur ereditando dal recinto sacro la sua separatezza, il suo porsi come una frattura nei confronti delle cose del mondo, è, ciò nonostante, da sempre la profanazione del sacro: il suo essere immagine la fa esposizione del sacro e, quindi, sua profanazione; la sua aura (vicinanza di una lontananza, secondo la nota definizione di Walter Benjamin) espone l’in-esponibile, è comunicazione attraverso la separazione. Se l’enunciato fosse prescrittivo, allora, sarebbe, nello stesso tempo, inutile – in quanto messa in evidenza della separatezza che l’opera è da sempre, essenzialmente – e fuori bersaglio – perché l’immagine, che è l’opera, è la sua stessa profanazione (attraverso la sua separazione). L’opera, tuttavia, non c’è. Oltre la linea non s’intravede alcun territorio dell’arte. L’enunciato potrebbe, allora, essere performativo. Nel senso che potrebbe essere esso stesso l’opera, ma un’opera del tutto dis-operata. L’enunciato non sarebbe più esterno all’opera ma il suo stesso vuoto d’opera. Forse. Non attraversare la linea dell’arte. Certo, l’enunciato potrebbe essere performativo in un altro senso: esprimendo un divieto, potrebbe avere come scopo quello della sua infrazione (Attraversate la linea!). Potrebbe essere un (neppure tanto) nascosto incitamento ad infrangere un divieto che starebbe lì solo a tale scopo. Ma oltre la linea non c’è alcun oggetto del desiderio. L’attraversamento della linea non istituisce alcuna economia del desiderio. Domandiamoci: cosa delimita la linea – quella linea di cui questa, quella “artistica”, vuole essere la ripetizione (ma non l’imitazione)? Cosa c’è oltre la linea? La risposta potrebbe essere: l’irreparabile (il delitto, l’incidente mortale, l’attentato terroristico). L’irreparabile è ciò che non può essere simbolizzato né può rientrare nel registro dell’immaginario (Lacan, in entrambi i casi). Crash, stupro, delitto, attentato. Non attraversate quella linea! (la gente intorno, “attonita” come si suole dire, cerca con gli occhi solo le macchine fotografiche o le telecamere che possano vedere al suo posto ciò che essa non guarda). Ripetere la linea, senza imitarla, dà forse l’occasione per gettare uno sguardo al di là? Nell’irreparabile? Do not cross art line Do not cross the line of art. What kind of announcement is this? Performative or prescriptive? In that case it was prescriptive, in that case, then, it establishes a prohibition, an obligation, we must conclude that it falls beyond the field of art, that it is external to the work (of art). In that case it would limit a kind of a sacred enclosures? We know that it is not so. First of all because the work of art, even if it has inherited from the sacred enclosure its separation, it is a fracture with regards to the worldly goods, and so notwithstanding from always the profanation of the sacred enclosures: its own image being makes an exposition of the sacred enclosure and so its profanation; its aura (a nearness of a farawayness, according to Walter Benjamin) exposes that which is no exposable, it is communicative across its separation. If the announcement was prescriptive, then, it would be at the same time useless – in which it is put in evidence of the separation that the work of art has been always essentially – and outside target – because the image that is the work of art is its same profanation (across its separation). But the work of art does not exist. Beyond the line we can percept no field of art. The announcement could be, therefore performative. In the sense that it could be itself a work of art, but a work of art in all inoperable. The announcement wouldn’t be an external work of art but its own emptiness of work. Perhaps. Do not cross the line of art. Certainly, the announcement could be performative in another sense: meaning a prohibition, could have as a scope that of its own infraction (Cross the line!). It could be (not even a lot) a hidden incitement to infringe a prohibition that would be there only for that scope. But beyond the line there is not desired object. The crossing of the line does not establish any economy of what is desired. Let us ask: what limits the line – that line in which this, that “artistically”, wants to be the repetition (but not the imitation)? What is beyond the line? The answer could be: irreparable (the crime, the mortal incident, the terrorist attack). Irreparable is that cannot be symbolized nor reinter in the register of imagination (Lacan, in both cases). Crash, rape,crime, attack. Do not cross that line! (the onlooking people, “astonished” as we are used to say, look at the cameras or the video cameras that can see in place of the eye which is not looking). Repeat the line, without imitation, gives perhaps the occasion of throwing a view beyond? In the irreparable? Do not cross the line of art. Vinni Lucherini, A.R./A.L., in: ART LINE DO NOT CROSS / Angelo Ricciardi. - Napoli : 404 arte contemporanea, 2004 In un contesto di produzione artistica lontano per distanza spaziale e temporale dal mondo nel quale la parola latina “ars” si è in origine diffusa, l’utilizzo dell’inglese “art”, che in ultima istanza ad essa risale, rimanda ad un ambito semantico così connotato di valori e significati da poterne risultare ora paradossalmente privo e da consentirne un uso apparentemente neutro o di fatto decontestualizzato. Il latino “ars”, corrispondente al greco “téchne”, il cui significato ben è esemplato nella Fisica di Aristotele, dove si legge “he téchne mimeitai tèn physin” (“l’arte imita la natura”), derivava a sua volta dalla radice indoeuropea “ar”. Connessa all’idea dell’adattare o armonizzare, la parola “ars” trova già in antico un corrispondente nell’armeno “arnel” (fare) e nel greco “ararisco” (accomodare, allestire: l’”harmonia” è ciò che è ben congiunto). L’inglese “art”, in debito, se così si può dire, verso “ars” e la sua gamma di significati relativi alle capacità umane, per lo più di carattere manuale, allude ancora adesso, in qualche modo, al “saper fare” qualcosa, alle abilità di cui si è in possesso per creare e fabbricare. Con Art Line Angelo Ricciardi mette in primo piano, attraverso un oggetto di immediato impatto visivo e ricco di rimandi mediatici, la questione del “fare arte” nel terzo millennio. La striscia gialla che delimita negli Stati Uniti la scena di un evento traumatico (“police line” o “scene of crime”), segnando il perimetro di un’area invalicabile per chi non ha direttamente a che fare con quanto avvenuto al suo interno, diventa, con la sostituzione di “police” con “art”, lo stimolante pretesto per proporre una riflessione sulle opportunità e sui limiti di chi agisce dentro un territorio ormai connotato come artistico quasi solo per esplicita dichiarazione di chi lo pratica. Tutt’altro che isolato in una dimensione e in uno spazio chiusi agli apporti esterni, A.R. incita provocatoriamente a superare proprio il confine tracciato dalla linea gialla e, con l’invitare altri artisti ad utilizzare fattivamente la sua idea, promuove non solo la produzione di nuovi oggetti, siano essi performance collettive o manufatti di fruizione individuale, ma anche la realizzazione di una sorta di elenco di verosimili risposte alla questione iniziale. Tali risposte dimostrano, in modo tangibile, che non c’è risposta possibile e che la risposta alla domanda sul senso del proprio fare è nel fare stesso, nella proposizione di sé, della propria esistenza e della propria espressione, come testimonianza di una presenza nata da una necessità etica ineludibile filtrata attraverso un percorso che passa ancora per la percezione dell’occhio. Within a world of artistic production, which is so distant both in time and space from that where the Latin word “ars” had originally been coined, the use of the English term “art”, after all deriving from it, refers to a semantic scope so wide to be, at present, paradoxically considered meaningless. For this reason its use in the modern language is apparently neutral and, in any case, out of context. The word “ars” is equivalent to the Greek “téchne” - the meaning of which is very well shown in Aristotele’s formula “he téchne mimeitai tèn physin” (“art imitates nature”). Moreover it was derived from the Indo-European root “ar” that is linked to the idea of adapting and harmonizing, as shown both in the Armenian “arnel” and in the Greek “ararisco” (to accommodate, to equip: the word “harmony” stands for everything that is well connected). The English word “art” has inherited from the Latin “ars” the whole range of meanings associated to the human capabilities, especially the manual ones, and still now it hints at the capability to make something as well as the individual skills in creating and building. In Art Line Angelo Ricciardi focuses on the issues of “making art” in the third millennium. He does that through an object of immediate visual impact and mediagenic references. The yellow line is used by the US police to close off a crime scene and it marks the perimeter of the area not allowed to the public. Therefore “Art Line” becomes - substituting “art” to police” - an excuse to argue about the opportunities and the limits of the artists acting in a field quite often classified as “art” only by those who live in it. Far from being isolated in a dimension and in a space closed to the outside world, Angelo Ricciardi calls, in a provocative way, to overpass the limit marked by the yellow line. He invites other artists to effectively follow his idea thus urging them not only to make or to perform art, but also to arrange a sort of list of possible answers to the initial, basic question. These answers vividly show that there isn’t any possible response and also that the solution to the question about the meaning of making art is just in making itself: thanks to his work, the artist propose himself, his life and his expression, so that his production can be considered as the evidence of a presence, derived from an unavoidable, ethical necessity, filtered by the perception of the eye, just because it is artistic. Pablo Echaurren, Art line, il corpo del reato, in: Carta, 1-7 aprile 2004, Anno VI, n.13 Signori della corte, siamo qui per dimostrare che l’arte contemporanea è un ricettacolo di nequizie. Per affermarsi gli artisti devono uccidere i propri padri, ammazzare le avanguardie madri, cancellare le impronte delle ascendenze, infine confondere gli indizi che conducono al loro vizio principale che consiste nell’appropriazione indebita di idee altrui, nel copiare senza citare. Art LineDo Not Cross [una palese manipolazione dell’avviso PoliceLine-Do Not Cross] vede Ricciardi Angelo al centro di un’intricata vicenda. Il nastro giallo con cui si circoscrive la scena del delitto per impedire di inquinare le prove, calpestare le orme dell’assassino, incasinare i possibili Dna che permetterebbero di risalire al responsabile, serve a evidenziare il ruolo primario, ma non certo solitario, del Ricciardi. Infatti qui non si tratta di indagare su un solo reato, ma su una lunga sfilza di casi commessi e connessi. Non c’è un unico colpevole ma un’intera schiera, di cui il Ricciardi è comunque il portabandiera, il mandante. Il Ricciardi, già noto agli inquirenti per una serie di eventi e reati a mezzo stampa [basterebbe ricordare a questa corte il suo Libretto Rosso o The New Little Red Book, il cui titolo è tutto un programma di sovversione] torna a farsi notare con questa provocazione che ci induce a una riflessione: possiamo lasciare impuniti gli artisti che si prendono gioco delle forze dell’ordine e dichiarano apertamente la loro complicità in fatti criminosi? Certo che no. Art Line-Do Not Cross documenta la volontà di portare in un sito preciso un progetto criminoso articolato, maturato nel corso del 2003 in diverse città [Napoli, Berlino, New York, Milano, Londra, Venezia, Bologna, Jakobstad, Pforzheim, Milwakke, Perugia, Novi Ligure, Gleisdorf, Cesena, Weerde, Chappaqua]. Art Line-Do Not Cross è una confessione, è un’ammissione di responsabilità, è una chiamata di correo, è il riconoscimento esplicito che c’è tutto un corteo di criminali che dobbiamo assicurare alla giustizia. E’ la testimonianza che l’artista è per costituzione un pericoloso estremista, un delinquente, un recidivo dai molti precedenti. E’ talmente sfacciato da autodenunciarsi, quasi volesse prendersi gioco delle autorità, della magistratura e della polizia messe assieme. Il Ricciardi Angelo ha ritenuto di dover chiamare in causa personaggi insospettabili, artisti rispettabili del calibro di Duchamp Marcel, Mondrian Piet, Ball Hugo e Hamilton Richard nella speranza di alleggerire le accuse a proprio carico. Il suo turpe progetto di coinvolgere terze persone, del tutto estranee ai fatti in questione, è stato agevolato da una nutrita serie di complici di cui ci pare imprescindibile, per una sentenza priva di ombre, fornire l’elenco: Alisa, Gordon Coco, Picardi Antonio, Monk Jonathan, Fantin Emilio, Teodori Nello, Migliora Marzia, Kahn Robin, Morgan Robert C., Norese Giancarlo, Fierens Luc, Roca Anton, Renzi Nicola, Di Matteo Gabriele, Forsman Eva, Degli Esposti Rita, Müller Steffen, Krusche Martin, Pace Vito, Jo Walters Mary, Xnox Tony. Vostro onore, signori della corte, giurati non lasciatevi sfuggire l’occasione di prendere visione alla Galleria 404 di quale ricettacolo sia il mondo dell’arte e non permettete che gente onesta e di buona volontà possa oltrepassare la linea gialla e mescolarsi a siffatta marmaglia. Siate retti, probi, inflessibili. Chiedo dunque per il Ricciardi il massimo della pena, senza attenuanti. Ladies and gentlemen of the court, we are here to prove that the contemporary art is a receptacle of evil. Artists must kill their fathers and murder their mothers avant-gard to make a name for themselves. They have to erase their ancestors’ prints and confuse the clues that lead to unveiling their bad habit: stealing someone else’s ideas, copying without quoting. Art Line – Do Not Cross [an evident manipulation of the sign Police Line-Do Not Cross] puts Mr. Ricciardi Angelo in the middle of an intricate event. The yellow tape used to mark off the crime scene to avoid polluting the evidence by trampling on the murder’s footprints and messing up the culprit’s DNA underlines Ricciardi’s predominant, yet non solitary role. In fact, we are not dealing here with the investigation of a single case, but with a long series of committed and connected crimes. There is not one culprit, but an entire gang of which Mr. Ricciardi is the standardbearer, the instigator. Mr. Ricciardi, known to the magistrates for a series of events and published crimes (we might remind the Court of his Libretto Rosso or The New Little Red Book, whose title can be considered as a subversive manifesto), draws attention to himself again with this provocation that is meant to inspire a reflection: shall we leave unpunished those artists who fool the police and declare their complicity in criminal events? Of course not. Art Line – Do Not Cross reveals the intention to put together an articulated criminal project developed in 2003 in several cities [Naples, Berlin, New York, Milan, London, Venice, Bologna, Jakobstadt, Pforzheim, Milwakee, Perugia, Novi Ligure, Gleisdorf, Cesena, Weerde, Chappaqua]. Art Line – Do Not Cross is a confession, a guilty plea; it is a charge of conspiracy, the explicit recognition that there is a gang of criminals to deliver to justice. It is the proof that artists are dangerous extremists, offenders, multi-recidivist criminals by constitution. They are so insolent to report themselves, as if they wanted to fool authorities, magistracy and police all together. In the hope of reducing his charges, Mr. Ricciardi Angelo involved men beyondsuspicion, such artists as Duchamp Marcel, Mondrian Piet, Ball Hug and Hamilton Richard. His repugnant project, aiming at involving a third party which is totally unrelated to the events, was favored by a series of accomplices, and it is necessary to list them here in order to deliver a just sentence: Alisa, Gordon Coco, Picardi Antonio, Monk Jonathan, Fantin Emilio, Teodori Nello, Migliora Marzia, Kahn Robin, Morgan Robert C., Norese Giancarlo, Fierens Luc, Roca Anton, Renzi Nicola, Di Matteo Gabriele, Forsman Eva, Degli Esposti Rita, Müller Steffen, Krusche Martin, Pace Vito, Jo Walters Mary, Xnox Tony. Your honor, ladies and gentlemen of the court, honorable members of the jury, don’t miss the chance to see at the Galleria 404 what a receptacle is the art world, and don’t let honest people and men of good will cross the yellow line and mix up with such a riffraff. Be straight, upright, inflexible. I therefore ask for Mr. Ricciardi the maximum penalty, without the extenuating circumstances.