Un 25 aprile di memoria
La storia di Dorina e del suo papà deportato
il 16 marzo 1944. Dorina Chionna è una bamÈ
bina di sei anni e mamma Jolanda sta aspettando un fratellino, ed è proprio molto, molto vicina al grande giorno. Da mesi ormai, nell’appartamento di via Farini dove la sua famiglia abita da
quando lei ci è nata, il papà si vede di rado. Ma oggi, anche se l’atmosfera in casa non è tranquilla,
piena di tensioni e di silenzi che lei non comprende, è festa grande. La mamma deve avere tra poco un fratellino ed il papà ha deciso di starci anche
a dormire, a casa! È l’alba, stanotte le sirene, che
fanno buttare tutti giù dal letto per rifugiarsi tremanti nelle cantine, non hanno ancora suonato.
Stanotte forse non si deve scappare. Stanotte è
una bellissima notte, c’è il papà a casa.
Dorina non sa tante cose, però. Ed è normale perché Dorina è molto piccola! Non sa che il papà è un
comunista, già arrestato e condannato a tre anni,
quando aveva 15 anni, per organizzazione giovanile sovversiva.Arrestato ancora ed inviato al confino quando di anni ne aveva venti. Vigilato e seguito poi per tutta la vita. E, ora che la guerra va
di male in peggio, clandestino nella sua città per
non essere preso e deportato. E ancor meno Dorina sa che nel suo quartiere non c’è solo gente
che le sorride, ma anche gente che tra le bombe
e le rovine ogni giorno più alte, ha il tempo e la
forza di controllare, spiare, riferire. Che ha cento occhi per guardare chi entra e chi non entra
in un certo portone. Chi c’è e chi non c’è dietro
certe finestre.
E i colpi bestiali che scuotono la casa, sul far del
giorno, non sono quelli delle bombe, ma quelli dei
calci di fucile degli sgherri sulla porta per farsi
aprire, per entrare enormi, armati e urlanti nella
casa ancora buia e afferrare il papà così com’è, nel
suo letto, pestarlo a sangue mentre lei e la mamma gridano impazzite, e portarlo via lasciando la
porta spalancata.
Poi Dorina ricorda poco e confusamente i giorni
che vengono dopo. Mamma Jolanda è una donna
toppo forte per piangere davanti a lei. Ma tutti i
giorni, questo lo rammenta bene, la porta con sé
per andare in certi uffici pieni di scartoffie e di gente che aspetta nei corridoi con certe facce lunghe!
Sono gli uffici della Croce Rossa, l’unico posto della città,dove si può sapere qualcosa di un disperso,
di un deportato, di un prigioniero politico, di un uomo prelevato nel cuore della notte… Ed è così che
due settimane dopo, a Jolanda viene detto che il
suo uomo è a Bergamo, in una caserma, e che se
vuole vederlo deve farlo subito perché presto, molto presto, lo deporteranno.
La donna incinta con la morte nel cuore e la sua
bambina vanno subito in stazione e arrivano a
Bergamo prima del coprifuoco. Vanno in una pensioncina e aspettano l’indomani.Si può immaginare con quanta agitazione!
Il papà c’è ancora! Appena in tempo! Non aspetteranno il mattino per metterlo in un vagone piombato con i suoi compagni, ma lo faranno la notte
stessa! Fanno affacciare la donna e la bambina all’ingresso di uno stanzone buio e fetido dentro il
quale sono ammassati decine di uomini, affamati,
non lavati, con un angolo in fondo alla stanza dove si avvicendano per fare i loro bisogni. I soldati
di guardia, tedeschi, non perdono l’occasione per
mostrare quanto buoni, quanto amanti dei bambini essi siano! Mentre la donna e il suo uomo si
fronteggiano senza potersi toccare, muti, uno facendosi forte e tentando di sorridere,l’altra incapace di nascondere la disperazione, le guardie fanno
a gara a prendere in spalla Dorina, giocosi.
Poi tocca al papà di prenderla su e coprirla tutta
con le sue braccia. E poi, sussurrandole pianissimo
“ Ssssss” vicino all’orecchio, di farle scivolare in
una calzina un pezzettino di carta, un bigliettino
per la mamma. L’ultimo. (Primo Carpi)
Quante storie attorno
a quel monumento di piazzale Segrino!
iamo tornati in piazzale Segrino, davanti al
S
più bel monumento a dei caduti della
Resistenza della città, e ne abbiamo interrogato i
quattro lati con i loro quarantadue nomi… E poi
siamo andati nel quartiere, cercando di rintracciare i legami ancora vivi tra le due memorie: la
sua e quella del monumento.
Ci siamo affidati al flusso dei passaparola affettuosi e degli “amarcord” dei vecchi isolani.
Chiedendo a tutti: “Dove eravate il venticinque
aprile?” e “Ricordate qualcuno o qualcosa di questi quarantadue caduti?”
Armando Forno, nel 45 frequentava la scuola media inferiore di via Goito. Mercoledì 25 aprile le lezioni cominciano regolarmente, ma la città è in
subbuglio. Si sentono ogni tanto spari, raffiche di
mitra. E l’insegnante manda a casa i ragazzi.
Armando ricorda con commozione che, arrivato in
corso Como, oramai in dirittura d’arrivo per il ponte in ferro che scavalca i binari delle Varesine per
entrare all’Isola, vede… sua madre venirgli incontro, e abbracciarlo, e tenendolo stretto fare con lui
l’ultimo pezzo di strada verso casa.
Raimondo Dolci, poco più che decenne anch’egli, che
abitava in via Borsieri all’11, ma con tre fratelli da
aiutare a crescere, a scuola non andava molto. Bensì
tra le macerie dei bombardamenti a cercare qualcosa da rivendere al mercato nero. Oppure sugli alberi a tagliare qualche ramo per far legna da ardere.A
rischio di beccarsi anche qualche pallottola. E ricorda anche lui, di quei giorni di aprile, gli spari, la gente in strada, la ricerca dei delatori, veri o presunti,
del quartiere. E, nei giorni seguenti, le tre esecuzioni sommarie in piazza Minniti contro il muro
del Patronato. Raimondo era anche amico dei figli di Almo Colombo, deportato a Mauthausen, e
rivive ancora fortemente il dolore che si respirava in quella casa.
A Mauthausen arrivano quasi simultaneamente, e
negli stessi giorni muoiono l’anno dopo, alla vigilia
dell’arrivo degli eserciti liberatori, Almo Colombo,
Alberto Chionna ed altri isolani deportati con gli
Streikertransport (trasporto di scioperanti) del ‘44.
Un intero capitolo da scrivere sul nostro quartiere!
La ricerca sul quartiere la terminiamo, per ora, con
un altro incontro isolano. Quello con Dorina
Chionna, figlia di Alberto. Il racconto dei terribili
momenti nei quali il papà viene sorpreso, di notte, a
casa sua e trascinato prima in carcere e poi nei campi di concentramento tedeschi, ci è sembrato come
un simbolo, una sintesi, di quello di tanti uomini e
di tante donne del nostro quartiere. E lo riprendiamo a parte, con un abbraccio e un ringraziamento
che pensiamo universali.
Abbiamo anche visto, e segnaliamo, il commovente
contributo a questo tema della memoria da parte
degli Ex Allievi della Associazione Don Bussa con
un loro bollettino speciale che con documenti e testimonianze inedite, documenta come, grazie anche a
loro, “Bandiere al vento” di Ramous è ritornato al
centro della sua Isola. E, inoltre, riprende, aggiungendovi qualche notizia, il libretto di Inge Rasmussen Nicolis diffuso lo scorso anno dalla sezione Anpi
“Teresio Mandelli” di Pratocentenaro.
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