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APRILE 2010
Anno 3 - n. 18
ONA NOVE
GIORNALE DI NIGUARDA - CA’ GRANDA - BICOCCA - ISOLA
Redazione: via Confalonieri 11 (Mi), tel./Fax 02.39820110 - e-mail: [email protected] - Supplemento di “Zona Nove”
Autorizzazione del Tribunaledi Milano N. 648 del febbraio 1997 - Editore: Associazione Amici di “Zona Nove”,
via Val Maira 4, Milano - Stampa: Centro Stampa Editoriale Libertà SpA, località Dossarelli, Piacenza.
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Direttore: Luigi Allori. Redazione di “Zona Nove”: Giovanni Beduschi (vignettista), Andrea Bina, Roberto Braghiroli, Ortensia Bugliaro, Valeria Casarotti, Diego Attilio Cherri, Teresa Garofalo, Sergio Ghittoni, Antonella Loconsolo,
Lorenzo Meyer, Grazia Morelli, Sandra Saita, Maria Volpari. Redazione del supplemento Isola: Sergio Ghittoni (responsabile), Primo Carpi, Gilda Ciaruffoli, Diana Comari, Penelope Dixon Giaouris, Angelo Longhi, Maria Antonia
Vetti. Collaboratori: Silvia Benna Rolandi, Don Giuseppe Buraglio, Arturo Calaminici, Augusto Cominazzini, Ivan Crippa, Celestino De Brasi, Simona Fais, Luigi Ghezzi, Lorenzo Gomiero, Anna Maria Indino, Monica Landro, Angelo
Longhi, Luigi Luce, Sergio Maestri, Valeria Malvicini, Giorgio Meliesi, Sabrina Orrico, Antonio Pizzinato, Laura Quattrini, Mira Redaelli, Mauro Raimondi, Margherita Rampoldi Meyer, Diana Roca, Caterina Sinisi, Gero Urso, Luigi
Venturini, Renato Vercesi, Roberto Vettorello, Norman Zoia. Amministrazione: Lorenzo Gomiero. Pubblicità per il supplemento Isola: Flaviano Sandonà (tel. 02/39662281). Impaginazione: Roberto Sala (tel. 3341791866).
Ecco l’Isola che chiude
Che cosa succede alle vetrine?
Ne abbiamo contato una mezza dozzina
di saracinesche che negli ultimi tempi hanno
chiuso o lo stanno facendo.
Ne abbiamo parlato con i rappresentanti
di categoria che non si stupiscono.
C’è la crisi, ci sono i cantieri… E così l’Isola,
quella vera, a poco a poco si scioglie.
Primo Carpi (foto di Roberto Lana)
l negozio è mio, quindi ci resto dentro fino a che non tro“I
vo qualcuno che me lo rileva. Altri che erano in affitto
hanno già tirato giù la serranda. Ed io, appena posso, torno a
Quarto Oggiaro! Vendo le macchine per duplicare le chiavi,
vendo i banchi di lavoro, vendo tutto. Ma là non ho niente da
fare, resto senza lavoro, questa è la verità.” È molto deciso e
concreto Massimiliano Lombardi, isolano doc anche se con
casa e famiglia appunto a Quarto Oggiaro.Titolare e unico dipendente del piccolo occhio di bottega “Calzolaio 2000 Servizio Rapido” di piazzale Lagosta, angolo via Volturno.
Deciso e con le idee ben chiare, Massimiliano! Anche
se, mentre parla, le mani, come dotate di una propria
vita, continuano a rigirare sul piantone la scarpa con
la suola appena incollata ed a toglierne via via le eccedenze con il taglierino.
“Quando sono arrivati i cantieri, se ne sono andati i clienti.
Hanno transennato la via di notte, per evitare i picchetti.
Adesso ancora ancora, ma con la bella stagione la polvere è
insopportabile e, dietro quelle transenne, c’è di tutto! Peggio
di una discarica. D’estate poi arrivano degli odori…!” Provo
a dirgli:“Ma quando i lavori finiranno, siamo proprio di fronte alla stazione Isola di Metro 5, vedrà che i clienti ritornano, e con gli interessi!” Massimiliano ha già pensato anche a
quello.” E io come campo fino ad allora? E poi qui, assieme
alla stazione della metro, vedrai quanti negozi e diavolerie ci
saranno nei sotterranei!”.
Poi, in tono più accorato, prosegue: “E siamo soli! Tante
parole, ma poi, di concreto, niente! Niente detassazione.
La categoria costa come tessera, ma poi non ti aiuta. Il
Comune, meglio non parlarne! I vigili li vedo solo per dare le multe nei giorni di mercato, quando tra cantieri e
bancarelle la gente parcheggia anche sui muri. E così qui
all’Isola non ci viene più nessuno!”.
“Ma non c’è un fondo della Regione per i disagi dei cantieri?”
“Ci vuole una trafila per chiederli e, quando ci arrivi, ti dicono che i soldi sono finiti…”
L’intervista con Massimiliano è la punta dell’iceberg di
una lunga serie di malumori che preannunciano partenza o di partenze già avvenute, mestamente, casomai ad
iniziativa commerciale appena avviata. Non è un segnale, ma una radiografia. Chiarissima. Prevedibilissima. I
cantieri così prolungati di via Volturno non sono che il colpo finale che si aggiunge alla generale riduzione di vendite e di consumi causata dalla crisi e all’altrettanto generalizzato e prevedibile disagio provocato dall’ambiguità identitaria del vecchio quartiere.
I rimedi, a dire il vero, non sembrano poi così remoti. Innanzitutto un poco di comprensione e di solidarietà effettive per
le saracinesche imbavagliate dai cantieri. E poi, finalmente,
una chiara politica di comunicazione e di anticipazione sugli
scenari complessivi (quartiere più progetto Porta Nuova)
prossimi venturi!
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ONA NOVE 13
Archeologia industriale
Tecnomasio Italiano: quando l’Isola era all’avanguardia
La storica fabbrica di via De Castillia nel ricordo dei manager Tibb.
na colata di cemento sta coU
prendo tutta l’area tra via
Confalonieri e via De Castillia. Accanto a questi nuovi edifici ed in
particolare a quello di Ligresti, pare
resti in piedi ancora una piccola
parte di quella che una volta fu la
vecchia fabbrica della Gadda, che
poi fu acquisita dal Tibb (Tecnomasio Italiano Brown Boveri) e divenne per un certo periodo una delle
eccellenze italiane, conosciuta in
tutto il mondo.
Vale la pena ricordare questa realtà del passato. La vicenda di questa
fabbrica si intreccia con quella di
una delle più straordinarie storie
dell’industria milanese, quella del Tecnomasio Italiano. Una azienda
che ha inciso a tal punto sulla storia e sullo sviluppo della città da essere una delle due società private ad avere l’onore di una fermata della Metropolitana a lei intitolata:“Lodi Tibb”. L’altra è la Marelli (“Sesto
Marelli”, che con il Tecnomasio ha molto a che fare).
Abbiamo chiesto ad Abb, la società nata dalla fusione della Brown
Boveri con la svedese Asea, oggi con sede a Sesto San Giovanni, di darci delle vecchie foto e delle testimonianze degli splendori passati. Ci siamo trovati di fronte ad una grande cortesia e disponibilità e ad una
quantità di materiale dell’epoca. Ma la cosa più importante è stata il
contatto con l’ing. Carletto Calcia, dal 1951 alle dipendenze della società nella quale ha ricoperto ruoli anche ai massimi livelli gerarchici e ancora sulla breccia. Depositario di tutte le vecchie storie e leggende di
questa incredibile avventura industriale. Che proviamo a raccontare,
come ce l’ha raccontata lui nella unità lodigiana della Abb, l’Adda.
Il Tecnomasio Italiano nasce nel 1863, lo stesso anno del Politecnico di
Milano ed il legame tra le due istituzioni è subito solido e proficuo al
punto che dura tutt’ora. I suoi fondatori (l’ing. Longoni e il maggiore
Porro) appartengono a quella borghesia illuminata milanese e lombarda, promotrice delle arti e delle scienze, che fece grande la città. Ma all’inizio il Tecnomasio (non si è mai capito cosa significasse quel nome,
forse “Osservatorio della Tecnica”, o meglio “Casa della Tecnica”, come
riporta Piero Del Pol, allievo e successore di Angelo Barbagelata) è solo poco più di un laboratorio specializzato, in via Pace a Milano, nella
produzione di strumenti di misura.Tutto cambia nel 1870. Bartolomeo
Cabella, un giovane ingegnere del Politecnico, assume la direzione della società e sposta sempre più il campo di attività verso il nuovo mondo dell’elettricità e le sue applicazioni. Cabella era un genio. E poi proveniva dal Politecnico di Milano, nel quale aveva conseguito, a soli 23
anni, entrambe le lauree che quella scuola offriva, in Ingegneria Civile
e Meccanica . Il Regio Politecnico, che aveva sede in Piazza Cavour, si
chiamava ancora Regia Scuola di Ingegneria. Politecnico lo sarebbe diventato solo in seguito. Ed in ogni caso una decina di anni prima di
Torino… Quando Cabella si laureò, il Poli (allora chiamato affettuosamente Collegio Brioschi dal nome del suo fondatore) non aveva ancora
una laurea in Elettrotecnica. Sul modello dell’Ecole, c’era quella
Meccanica e, per distinguerla da quella Militare, quella Civile. C’è da
tener presente che allora i Politecnici di Milano e Torino erano tra le
prime cinque o sei università al mondo, in competizione con Svizzeri e
Tedeschi e ben più avanti degli Americani.
Tornando al Tecnomasio, la prima sede è in via Pace. È poco più di una
officina, ma è in quel luogo che si cominciano a produrre i primi strumenti di misura e le prime macchine elettriche. La “Dinamo Cabella”
è un capolavoro e viene venduta in tutto il mondo, dall’Austria al
Paraguay e suscita l’”attenzione” anche di Werner von Siemens.
Leggera, efficiente e potente, con questa macchina il Tecnomasio conduce il primo esperimento di illuminazione cittadina in Italia,a Milano,
nel 1876. Due anni prima che a Parigi.
Cabella però non è certo un manager accorto. Nella foga di migliorarsi
sempre, le sue dinamo sono tutte diverse una dall’altra e non riesce a
dare stabilità alla produzione né a dare un sufficiente respiro finanziario alla sua azienda, specializzata in macchine a corrente continua e
quindi anche provata dall’avvento della corrente alternata. Cabella lascia ed ecco quindi intervenire gli Svizzeri della Brown Boveri.
Altrettanto bravi dal punto di vista tecnico, ma ben più navigati come
amministratori, capiscono subito che la piccola officina di via Pace non
è adatta alle grandi macchine che hanno in mente di costruire e approfittano di una opportunità: la Gadda & C., una società concorrente, decide di uscire dalla scena e propone di cedere le sue officine di via De
Castillia al 21 proprio al Tibb. Cambia tutto: nel 1908 il trasloco è completato e comincia l’era dei grandi generatori, dei grandi motori, dei treni, dei trasformatori. I migliori nomi dell’ingegneria elettrotecnica italiana di quegli anni ruotano attorno a questo grande polo industriale:
Gadda, Ettore Conti… Le commesse arrivano, la crescita è impetuosa,
si aprono nuovi stabilimenti a Vado Ligure e in piazzale Lodi. Le officine di Vado Ligure esistevano ancor prima del Tecnomasio ed appartenevano alla Westinghouse, la prima artefice, con la Aeg, dell’Ac System.
Come non ricordare che, proprio a Vado, si perfezionò von Kando, il più
grande trazionista della storia? Sarebbe come scordare che Giuseppe
Massimo Pestarini, Ingegnere e Docente al Caltech ed in seguito
Tenente Colonnello dell’Artiglieria da Fortezza, proprio a Vado concepì
la sua metadinamo,quella sua metageneratrice polimorfica con la quale il genio italico dimostrava che non a caso aveva realizzato la pila, la
dinamo, la macchina asincrona ed il trasformatore.
Il Tecnomasio Italiano ha realizzato la prima locomotiva elettronica a corrente continua del mondo: la E 633 derivata dalla mitica E 444 005 full chopper. Gli svizzeri stessi, increduli, vennero a
Milano per vederla e per toccarla. E poi che dire dell’Etr 500? Le
soluzioni step up e step down e l’uso di due stelle statoriche sfasate di π/6 così da superare i limiti del ferrarischefeld lo ponevano
all’attenzione del mondo intero.
Il Tibb diventa leader nel campo delle centrali idroelettriche e dei motori da trazione e la maggior parte della produzione si realizza nei
22.000 metri quadrati della sede dell’Isola. Lo splendore dello stabilimento di via De Castillia comincia a declinare mano a mano che quello di piazzale Lodi, inizialmente molto più piccolo, di soli 10.000 mq, si
ingrandisce, fino a raggiungere i 44.000 e alla fine i 74.500 mq.
La maggior parte delle produzioni strategiche viene poco a poco spostata laggiù (e anche nel nuovo stabilimento di Vittuone) e via De Castillia
viene quindi definitivamente chiusa a metà anni sessanta. Gli ignari
abitanti dei nuovi palazzi in costruzione forse non avranno la consapevolezza di star occupando un luogo in cui si è fatta la storia dell’industria italiana e in cui si sono prodotte macchine, idee, culture che hanno permesso lo sviluppo industriale del nostro paese.
Il Tibb continua la sua attività industriale con successo, con forme organizzative diverse, anche dopo che la Brown Boveri si unisce con la
svedese Asea, dando vita alla Abb. Peccato che si sia perso il vecchio nome di Tecnomasio, che, anche se nessuno ne conosceva il significato
esatto, entrava nella testa della gente e non si dimenticava più. Oggi la
Abb ha spostato la sede in un nuovo palazzo a Sesto San Giovanni, sull’area che una volta ospitava le industrie dell’Ercole Marelli.Già,Ercole
Marelli: un altro nome storico nel campo dell’elettrotecnica, anche lui
un giovane, brillante appassionato che ha lavorato nella seconda metà dell’ottocento come tecnico proprio con Bartolomeo Cabella al
Tecnomasio… (Sergio Ghittoni)
In alto a sinistra, l’ing. Bartolomeo Cabella. Qui sopra,
alcune delle macchine messe a punto al Tecnomasio.
L’Isola che scrive
Disagi dei cantieri? Lavaggio auto!
Abitiamo all’Isola in via Confalonieri e, nei giorni scorsi, abbiamo
trovato nelle nostre caselle postali, uno splendido omaggio offerto
dai proprietari dell’area, Porta Nuova Isola. Siamo stati infatti i fortunati destinatari di un “buono lavaggio auto” (sì, avete letto bene!)
a fronte di una serie di pesanti problemi che loro stessi, a firma del
Project Manager, ammettono di avere causato ai residenti nell'anno
trascorso: demolizioni di edifici, bonifiche, scavi (di enormi dimensioni), traffico imponente di mezzi pesanti, principali cause di vibrazioni e rumori, come sottoscrive il predetto Manager! Inevitabile la
chiamata in causa di altri cantieri e le assolutorie iniziative da loro
assunte: monitoraggio degli edifici circostanti, pulizia straordinaria
e riparazioni di strade e marciapiedi fino alla rete fognaria… per cui,
a fronte di tutto ciò (e sopratutto dalla costruzione di futuri appartamenti dal valore certamente cospicuo) la graziosa offerta di un lavaggio auto come se la salute, il riposo e la serenità di un quartiere
densamente popolato anche da anziani e bambini, possano essere
così compensate. Ma che ci sia la coda di paglia lo prova il fatto che
l'omaggio, offerto in una lettera datata 3 marzo, faccia seguito sia ad
ONA NOVE 14
un articolo di Repubblica datato 12 febbraio (titolo: Sos dall’Isola assediata dai cantieri), in cui vengono minuziosamente descritti i problemi e danni subiti dagli immobili, dall'ambiente e dai cittadini,
compresi i piccoli e piccolissimi, visto che a poca distanza dai cantieri ci sono un asilo e una scuola elementare frequentati da centinaia
di bambini, sia una proposta del CdZ, datata 18 febbraio, in cui si
chiede una migliore gestione dei cantieri.
Che dire di più, la prevaricazione e l'arroganza dei potenti, anche se il
lupo cerca sempre di vestirsi da agnello, sono entrati ormai nelle abitudini quotidiane, confortati sopratutto dall'insipienza dei pubblici poteri:è di pochi giorni fa infatti il passaggio all'alba di enormi e sferraglianti mezzi cingolati che, senza alcun controllo, lasciando solchi nell'asfalto, hanno dovuto ripercorrere la via in retromarcia in quanto non passavano,facendo peraltro vibrare le abitazioni intorno,mentre gli addetti,imbarazzati,non rispondevano alle proteste.Ma è possibile che in vie
così strette, con auto spesso parcheggiate in modo da creare intralcio (a
volte anche involontariamente) a mezzi giganteschi che soffiano direttamente nelle case i fumi di scarico, sopratutto quando restano bloccati a lungo (e non spengono i motori), non si sia mai visto un vigile, un
funzionario, un qualsivoglia controllore, al di là degli ausiliari della so-
sta, che si sia preoccupato, non dico di vigilare, ma nemmeno consigliare le imprese, peraltro potentissime, di organizzarsi meglio piazzando,
ad esempio, dissuasori di sosta là dove necessario, lavare meglio i camion, bagnare diffusamente le strade e via discorrendo? Ma, sopratutto, avere rispetto per i cittadini!
Lettera firmata (marzo)
Anziani, attenti ai truffatori! Non fate entrare sconosciuti in casa vostra.
Un 25 aprile di memoria
La storia di Dorina e del suo papà deportato
il 16 marzo 1944. Dorina Chionna è una bamÈ
bina di sei anni e mamma Jolanda sta aspettando un fratellino, ed è proprio molto, molto vicina al grande giorno. Da mesi ormai, nell’appartamento di via Farini dove la sua famiglia abita da
quando lei ci è nata, il papà si vede di rado. Ma oggi, anche se l’atmosfera in casa non è tranquilla,
piena di tensioni e di silenzi che lei non comprende, è festa grande. La mamma deve avere tra poco un fratellino ed il papà ha deciso di starci anche
a dormire, a casa! È l’alba, stanotte le sirene, che
fanno buttare tutti giù dal letto per rifugiarsi tremanti nelle cantine, non hanno ancora suonato.
Stanotte forse non si deve scappare. Stanotte è
una bellissima notte, c’è il papà a casa.
Dorina non sa tante cose, però. Ed è normale perché Dorina è molto piccola! Non sa che il papà è un
comunista, già arrestato e condannato a tre anni,
quando aveva 15 anni, per organizzazione giovanile sovversiva.Arrestato ancora ed inviato al confino quando di anni ne aveva venti. Vigilato e seguito poi per tutta la vita. E, ora che la guerra va
di male in peggio, clandestino nella sua città per
non essere preso e deportato. E ancor meno Dorina sa che nel suo quartiere non c’è solo gente
che le sorride, ma anche gente che tra le bombe
e le rovine ogni giorno più alte, ha il tempo e la
forza di controllare, spiare, riferire. Che ha cento occhi per guardare chi entra e chi non entra
in un certo portone. Chi c’è e chi non c’è dietro
certe finestre.
E i colpi bestiali che scuotono la casa, sul far del
giorno, non sono quelli delle bombe, ma quelli dei
calci di fucile degli sgherri sulla porta per farsi
aprire, per entrare enormi, armati e urlanti nella
casa ancora buia e afferrare il papà così com’è, nel
suo letto, pestarlo a sangue mentre lei e la mamma gridano impazzite, e portarlo via lasciando la
porta spalancata.
Poi Dorina ricorda poco e confusamente i giorni
che vengono dopo. Mamma Jolanda è una donna
toppo forte per piangere davanti a lei. Ma tutti i
giorni, questo lo rammenta bene, la porta con sé
per andare in certi uffici pieni di scartoffie e di gente che aspetta nei corridoi con certe facce lunghe!
Sono gli uffici della Croce Rossa, l’unico posto della città,dove si può sapere qualcosa di un disperso,
di un deportato, di un prigioniero politico, di un uomo prelevato nel cuore della notte… Ed è così che
due settimane dopo, a Jolanda viene detto che il
suo uomo è a Bergamo, in una caserma, e che se
vuole vederlo deve farlo subito perché presto, molto presto, lo deporteranno.
La donna incinta con la morte nel cuore e la sua
bambina vanno subito in stazione e arrivano a
Bergamo prima del coprifuoco. Vanno in una pensioncina e aspettano l’indomani.Si può immaginare con quanta agitazione!
Il papà c’è ancora! Appena in tempo! Non aspetteranno il mattino per metterlo in un vagone piombato con i suoi compagni, ma lo faranno la notte
stessa! Fanno affacciare la donna e la bambina all’ingresso di uno stanzone buio e fetido dentro il
quale sono ammassati decine di uomini, affamati,
non lavati, con un angolo in fondo alla stanza dove si avvicendano per fare i loro bisogni. I soldati
di guardia, tedeschi, non perdono l’occasione per
mostrare quanto buoni, quanto amanti dei bambini essi siano! Mentre la donna e il suo uomo si
fronteggiano senza potersi toccare, muti, uno facendosi forte e tentando di sorridere,l’altra incapace di nascondere la disperazione, le guardie fanno
a gara a prendere in spalla Dorina, giocosi.
Poi tocca al papà di prenderla su e coprirla tutta
con le sue braccia. E poi, sussurrandole pianissimo
“ Ssssss” vicino all’orecchio, di farle scivolare in
una calzina un pezzettino di carta, un bigliettino
per la mamma. L’ultimo. (Primo Carpi)
Quante storie attorno
a quel monumento di piazzale Segrino!
iamo tornati in piazzale Segrino, davanti al
S
più bel monumento a dei caduti della
Resistenza della città, e ne abbiamo interrogato i
quattro lati con i loro quarantadue nomi… E poi
siamo andati nel quartiere, cercando di rintracciare i legami ancora vivi tra le due memorie: la
sua e quella del monumento.
Ci siamo affidati al flusso dei passaparola affettuosi e degli “amarcord” dei vecchi isolani.
Chiedendo a tutti: “Dove eravate il venticinque
aprile?” e “Ricordate qualcuno o qualcosa di questi quarantadue caduti?”
Armando Forno, nel 45 frequentava la scuola media inferiore di via Goito. Mercoledì 25 aprile le lezioni cominciano regolarmente, ma la città è in
subbuglio. Si sentono ogni tanto spari, raffiche di
mitra. E l’insegnante manda a casa i ragazzi.
Armando ricorda con commozione che, arrivato in
corso Como, oramai in dirittura d’arrivo per il ponte in ferro che scavalca i binari delle Varesine per
entrare all’Isola, vede… sua madre venirgli incontro, e abbracciarlo, e tenendolo stretto fare con lui
l’ultimo pezzo di strada verso casa.
Raimondo Dolci, poco più che decenne anch’egli, che
abitava in via Borsieri all’11, ma con tre fratelli da
aiutare a crescere, a scuola non andava molto. Bensì
tra le macerie dei bombardamenti a cercare qualcosa da rivendere al mercato nero. Oppure sugli alberi a tagliare qualche ramo per far legna da ardere.A
rischio di beccarsi anche qualche pallottola. E ricorda anche lui, di quei giorni di aprile, gli spari, la gente in strada, la ricerca dei delatori, veri o presunti,
del quartiere. E, nei giorni seguenti, le tre esecuzioni sommarie in piazza Minniti contro il muro
del Patronato. Raimondo era anche amico dei figli di Almo Colombo, deportato a Mauthausen, e
rivive ancora fortemente il dolore che si respirava in quella casa.
A Mauthausen arrivano quasi simultaneamente, e
negli stessi giorni muoiono l’anno dopo, alla vigilia
dell’arrivo degli eserciti liberatori, Almo Colombo,
Alberto Chionna ed altri isolani deportati con gli
Streikertransport (trasporto di scioperanti) del ‘44.
Un intero capitolo da scrivere sul nostro quartiere!
La ricerca sul quartiere la terminiamo, per ora, con
un altro incontro isolano. Quello con Dorina
Chionna, figlia di Alberto. Il racconto dei terribili
momenti nei quali il papà viene sorpreso, di notte, a
casa sua e trascinato prima in carcere e poi nei campi di concentramento tedeschi, ci è sembrato come
un simbolo, una sintesi, di quello di tanti uomini e
di tante donne del nostro quartiere. E lo riprendiamo a parte, con un abbraccio e un ringraziamento
che pensiamo universali.
Abbiamo anche visto, e segnaliamo, il commovente
contributo a questo tema della memoria da parte
degli Ex Allievi della Associazione Don Bussa con
un loro bollettino speciale che con documenti e testimonianze inedite, documenta come, grazie anche a
loro, “Bandiere al vento” di Ramous è ritornato al
centro della sua Isola. E, inoltre, riprende, aggiungendovi qualche notizia, il libretto di Inge Rasmussen Nicolis diffuso lo scorso anno dalla sezione Anpi
“Teresio Mandelli” di Pratocentenaro.
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