la Repubblica
DIARIO
GIOVEDÌ 10 OTTOBRE 2013
DI REPUBBLICA
■ 50
Il giudizio di Enrico Letta sulla conclusione di una fase politica
ha innescato la discussione: è veramente finito un periodo?
E quali cambiamenti profondi hanno segnato il paese in questi anni?
VENTENNIO
Il lungo addio
del berlusconismo
MASSIMO GIANNINI
LIBRI
EUGENIO
SCALFARI
La passione
dell'etica
Mondadori
2012
ENRICO
DEAGLIO
Patria
1978-2010
Il Saggiatore
2010
ANTONIO
GIBELLI
Berlusconi
passato
alla storia
Donzelli
2010
ALEXANDER
STILLE
Citizen
Berlusconi
Garzanti
2012
CORRADO
AUGIAS
Il disagio
della libertà
Rizzoli
2012
ANTONIO
POLITO
In fondo
a destra
Rizzoli
2013
CURZIO
MALTESE
La bolla
Feltrinelli
2009
GIOVANNI
VALENTINI
La sindrome
di Arcore
Longanesi
2009
INDRO
MONTANELLI
Ve lo avevo
detto
Rizzoli
2011
MASSIMO L.
SALVADORI
Liberalismo
italiano
Donzelli
2011
i nemici della teoria
del Ventennio berlusconiano converrà
ricordare cosa ne
disse il suo stesso
eroe eponimo, al termine di un
Consiglio Europeo: «Qui sono un
veterano, insieme a tanti ragazzotti dell’Est. Con altri cinque anni di attività politica arrivo a diciannove. Quanti me ne mancano
per arrivare a quello lì?». Era il 15
ottobre 2008. Il Cavaliere aveva da
poco ri-stravinto le elezioni, e da
premier forte della più schiacciante maggioranza parlamentare della Repubblica si sognava già
nei libri di storia. A fianco o (preferibilmente) al di sopra del Duce.
Già allora era proprio lui il primo
ad accreditare, nell’immaginario
collettivo, l’idea che il ciclo del suo
strapotere potesse trasformarsi
davvero (come fu il fascismo secondo la profezia di Piero Gobetti) in un’altra “autobiografia della
nazione”.
Le cose poi sono andate diversamente. In quel promettente autunno di cinque anni fa si vedeva già issato su un altro predellino, non
quello dell’Audi blindata a San Babila ma quello della Flaminia decappottabile che tra due ali di folla
lo avrebbe condotto al soglio quirinalizio. Il “piazzista” consacrato
per sempre Statista. Quello che non
aveva previsto è la misura della corruttela pubblica che lui stesso ha
costruito ben prima dell’epifanica
discesa in campo del ’94, e che gli è
costata una micidiale sequenza di
18 processi e di condanne penali
(due in primo grado, una ormai definitiva). Quello che non aveva previsto è la dismisura dei comportamenti privati che lui stesso ha praticato dopo l’ultimo “plebiscito” dell’aprile 2008, e che gli è costata un’esiziale default di affidabilità interna
e di credibilità internazionale.
Ma insomma, i cinque anni nel
frattempo sono passati, il Sovrano
stanco e malconcio è caduto dal
trono. Non solo quello di Palazzo
Chigi (dove lo hanno scalzato prima i neo-tecnici e poi i neo-centristi) ma persino quello di Palazzo
Grazioli (dove ne hanno leso irrimediabilmente la maestà i “governisti” guidati dal delfino senza
“quid”). Eppure, anche se ha smesso di comandare come un tempo, il
vecchio Conducator è ancora lì a
lottare contro i magistrati e i congiurati. Contro l’anagrafe e i servizi
sociali. È ancora lì a terremotare la
politica, a paralizzare il Parlamento, a tenere in ostaggio il Paese. Come succede, appunto, dal 1994. Per
questo, prima di stabilire se il Ventennio berlusconiano è finito, bisognerà pur convincersi che il Ventennio berlusconiano è esistito. E
non è stato il frutto di una manipo-
Potenza
A
Certo, il Cavaliere
dispone di una potenza
di fuoco spropositata
con le sue televisioni
Ma resta il fatto che
è stato votato liberamente
da milioni di italiani
Senza regole
KIT
La coccarda del kit del
candidato di Forza Italia
alle elezioni del 1994
lazione storica (quella di una élite
intellettuale che ha speculato sulla
vocazione platealmente “dittatoriale” del berlusconismo). E nemmeno di un’ossessione psichiatrica
(quella di una sinistra irrisolta che
per definire se stessa ha avuto bisogno del nemico da combattere
sempre ma da abbattere mai).
Il Ventennio berlusconiano è
esistito, innanzitutto perché lo
hanno voluto gli italiani. Ed è stato
persino utile, nella misura in cui ha
inoculato il bipolarismo (per quanto “coatto” e ideologico) nelle vene
di un Paese abituato al consociativismo. I tre trionfi elettorali del Cavaliere nascono certo anche dalla
SILLABARIO
VENTENNIO
Un’etica pubblica dove
non esistono regole
o perché soverchiate
dagli spiriti animali
oppure perché
si possono forzare
e violare impunemente
spropositata forza di fuoco propagandistico delle sue tv e dal suo gigantesco e indisturbato conflitto di
interessi. Ma resta il fatto che Berlusconi è stato liberamente votato da
svariati milioni di italiani. E per
quanto populista, cesarista e a tratti tecnicamente “totalitario”, il suo
potere è stato conquistato sul terreno della democrazia. Una democrazia che lui stesso ha svilito, in
virtù di una concezione irriducibilmente “proprietaria” delle istituzioni. Ma pur sempre democrazia.
Questo suggerisce riflessioni
amare sulla natura del suo ciclo
politico, sul suo rapporto profondo con le masse e sui deficit cultu-
ILVO DIAMANTI
egli anni, Berlusconi ha intercettato una corrente d’opinione di lungo periodo. Un relativismo
etico, che riguarda la concezione della donna e
del suo ruolo. Nella società, nella famiglia, nelle relazioni di genere. Insieme a un sentimento omofobo, mai dissimulato. Oltre a una diffidenza radicata verso le istituzioni e le regole pubbliche. Berlusconi non ha “inventato” questi atteggiamenti e questi modelli etici, trasferendoli agli italiani attraverso i media. Li ha, invece, “rappresentati” (cioè: ha dato loro rappresentanza e rappresentazione). E li ha, inoltre, amplificati. Legittimati.
Imposti come modelli (e consumi) di successo. Liberarsi di Berlusconi, per questo, non basterà a liberarci dal
berlusconismo. Perché è un’anomalia che abita in noi,
nella nostra storia e nella nostra società. “Curarlo” non
sarà facile. Dovremo curare anche noi stessi.
N
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rali della sinistra.
Nel Ventennio berlusconiano si
celebra un “epos”, che risale all’Arcitaliano di Longanesi. Il mito
dell’“uomo nuovo”, del self made
man ricchissimo e infaticabile che
si è fatto da solo (e non con i soldi
della mafia transitati per la paterna
banca Rasini), che sorge tra le macerie di Tangentopoli per fondare
una (mai nata) Seconda Repubblica. Poi la leggenda dell’“uomo forte” e sempre “solo al comando”, il
mattatore che domina la scena e
spazza via l’accidioso teatrino della
politica. Infine la mistica dell’Unto
del Signore, che salta ogni mediazione e trova solo nel popolo la sua
legittimazione. Così incuba il virus
dell’anti-politica (che deflagrerà
con Grillo) e si diffonde il modello
del partito personale (che ingolosirà persino Renzi).
Nel Ventennio berlusconiano si
perpetua un “ethos”, che riflette e
amplifica i caratteri peggiori della
nazione. Un’etica pubblica nella
quale le regole o non ci sono (perché soverchiate dal libero dispiegamento degli animal spirits di un
leaderismo autocratico e di un capitalismo autoreferenziale) o si
possono forzare (perché manipolate da un Parlamento disposto a
votare ben 38 leggi ad personam, oltre a una mozione che dichiara ufficialmente Ruby “nipote di Mubarak”). E una morale privata che pretende di far coesistere la “religione
del lavoro” con l’evasione fiscale e
la corruzione di finanzieri, magistrati e senatori. Il culto ostentato
della sacra famiglia con il vizio malcelato delle olgettine.
Il Ventennio berlusconiano, infine, è esistito perché ha cementato il
blocco sociale di una destra anomala, anti-comunista e anti-europea, sopravvissuta al suicidio democristiano e che sopravviverà al
regicidio berlusconiano. Oggi è “ridotta” al suo zoccolo duro. Ma vale
comunque 8 milioni di elettori,
pronti a seguire il condottiero anche nella sua ultima “reincarnazione”: quella del pregiudicato. Il suo,
per dirla con Chandler, sarà un lungo addio. E del Ventennio, dopo lo
strappo del 2 ottobre sulla fiducia a
Letta, celebriamo oggi non ancora
la fine, ma semmai l’inizio della fine. I danni strutturali che ha prodotto, nella politica e nella società,
resisteranno al di là dei dati anagrafici del suo protagonista. E poi si
tratterà di capire se i colonnelli sedicenti “moderati” della destra italiana riusciranno davvero ad essere
“diversamente berlusconiani” (come finge di credere Alfano). O se invece, asserragliati nel bunker di Arcore, si rassegneranno a morire
berlusconiani.
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Gli autori
IL SILLABARIO di Ilvo Diamantiè tratto da
Sillabario dei tempi tristi (Feltrinelli). Il vicedirettore di Repubblica Massimo Giannini ha scritto Lo statista (Dalai). Sebastiano Messina è autore di Il Presidente bonsai (Rizzoli). L’ultimo libro dello storico
Guido Crainz è Il paese reale (Donzelli).
I Diari online
TUTTI i numeri del “Diario” di Repubblica, comprensivi delle fotografie e
dei testi, sono consultabili su Internet
in formato Pdf all’indirizzo web
www.repubblica.it. I lettori potranno
accedervi direttamente dalla home
page del sito, cliccando al menu “Supplementi”.
Piero Calamandrei
Luciano Bianciardi
Norberto Bobbio
Il fascismo, arido ventennio
di diseducazione, passato sulle
menti come una carestia morale
Le mutazioni del ventennio
postbellico: la seconda casa non
più in Brianza, ma giù al mare
Mi domando spesso se
il berlusconismo non sia una sorta
di autobiografia della nazione
Lo Stato siamo noi, 1947
Chiese escatollo e nessuno raddoppiò, 1966
Contro i nuovi dispotismi, 1994
■ 51
LA DISCESA IN CAMPO
LA PRIMA CADUTA
IL RITORNO
I PROCESSI
OGGI
Dopo Tangentopoli,
Berlusconi entra
in politica con Forza Italia
e vince le elezioni del
1994 con alleata la Lega
Poco dopo, la Lega fa
cadere il primo governo
Berlusconi, il quale giura
che non farà «mai più»
un governo con Bossi
Nel 2001 Berlusconi, Pdl
e Lega Nord stravincono
le elezioni e governano
fino al 2006, quando
Prodi ridiventa premier
Tornato a Palazzo Chigi
nel 2008, Berlusconi
viene coinvolto in vari
processi, come quello
per la minorenne “Ruby”
Condannato in via definitiva
al processo Mediaset
Berlusconi non riesce a far
cadere il governo Letta, che
dice: «È finito un ventennio»
Le tappe
Tic, vezzi e forza della comunicazione
Fascismo, Prima e Seconda Repubblica
QUELLO STILE TUTTI I CICLI
COSÌ NUOVO DELLA STORIA
SEBASTIANO MESSINA
GUIDO CRAINZ
enza accorgercene, giorno dopo giorno, ci siamo
ritrovati in un’Italia diversa. A partire da quel 26
gennaio del 1994, quando Berlusconi annunciò la
sua “discesa in campo”, cominciando proprio con
questa formula a usare il calcio come metafora della politica: poi sarebbero venuti gli “azzurri”, la “squadra di governo” e tutto il resto. E lo fece inaugurando uno strumento nuovo, il videomessaggio, qualcosa che somigliava ai discorsi di fine anno del Quirinale a reti unificate ma senza la
paludata ufficialità dei presidenti: il politichese veniva sostituito da un lessico semplice e diretto, che gli italiani conoscevano bene perché era il linguaggio della pubblicità.
Poi venne il “mi consenta”, l’intercalare che diventò presto il simbolo e la cifra dello stile del Cavaliere, quella cortesia formale così diversa dal vizio di interrompere l’interlocutore quando arrivava al cuore del suo discorso, una
maleducazione studiata a tavolino e insegnata scientificamente a centinaia di berluscones affinché diventassero sabotatori del nemico sui campi di battaglia della televisione, quella televisione che Berlusconi ha sempre – e a ragione – considerato l’arena che conosce meglio di chiunque altro. Ed è infatti usando la tv che lui ha rivoluzionato
le regole del campionato della politica e non solo con gli
spot che permisero a Forza Italia di diventare in tre mesi il
n primo ventennio vi è certo stato, nel Novecento italiano, ed ha coinciso con un regime: ha devastato e sepolto l’Italia liberale, e sulle sue ceneri è nata la Repubblica.
Qui però le questioni si complicano: ove si guardi alla storia politica il 1945 è una cesura indubbia ma lo è anche per
la storia economica o per quella sociale e del costume? Con
il procedere dei decenni, poi, le periodizzazioni ci appaiono via via più discutibili e meno rigide, più ricche di contaminazioni e ambiguità. È sicuramente facile identificare la
fase della Ricostruzione, segnata anche dalla guerra fredda
(e dal centrismo in politica), o quella del miracolo economico (e del primo, più fecondo centrosinistra). Una grandissima trasformazione, il nostro “miracolo”: ha riguardato economia e consumi, culture e immaginari, geografia
sociale e produttiva, modalità dell’abitare e del vivere, sino
al rapporto fra religione e laicità o all’attuazione di una Costituzione troppo a lungo “congelata”: non c’è parte del nostro vivere collettivo che non sia stato segnata in profondità
dal breve e tumultuoso scorrere di quegli anni. Una “mutazione antropologica”, per dirla con Pier Paolo Pasolini.
Da lì in poi le periodizzazioni proposte di volta in volta
lasciano invece molti dubbi, a partire da quella “stagione
dei movimenti” che il ’68 avrebbe innescato e che rischia di
S
FOTO: ANSA
TEATRO
In alto, Silvio Berlusconi sul palco del “Maurizio
Costanzo Show” nel 1997. Sotto, vignetta tratta
dalla “Storia d’Italia a fumetti” di Enzo Biagi
U
LIBRI
GIORGIO
BOCCA
Fratelli coltelli
Feltrinelli
2010
GIUSEPPE
D’AVANZO
Il guscio vuoto
Laterza
2012
MASSIMO
GIANNINI
Lo statista
Dalai
2008
NORBERTO
BOBBIO
Contro i nuovi
dispotismi
Dedalo
2008
Teatrino
Incubazione
È stato bene attento a non mischiarsi con il “teatrino”
popolato esclusivamente dai suoi avversari
Il suo “show” doveva essere tutto diverso, dal
“contratto” di Vespa ai vertici internazionali
Non è difficile vedere negli anni Ottanta la corposa
incubazione della stagione successiva, con il radicale
modificarsi dei rapporti di lavoro e il dominio
di un sistema dei media sempre più invasivo e distorsivo
primo partito della nazione. Usando un vocabolario di cinquecento parole, che tutti potessero capire – «perché ricordatevi che lo spettatore medio è uno studente di seconda media, che neanche siede al primo banco» – Berlusconi ha dapprima scavato un solco tra sé e “il teatrino della politica” popolato ovviamente dai suoi avversari, poi ha
dato il via al suo show: fatto di “contratti con gli italiani” stipulati sulle scrivanie di ciliegio di Bruno Vespa, di mappe
delle opere pubbliche di prossima realizzazione (ma mai
costruite, a cominciare dal Ponte sullo Stretto), di vertici
internazionali trasformati in palcoscenici per SuperSilvio
(ricordate quando annunciò, a Pratica di Mare, l’ingresso
della Russia nella Nato?).
Ma il ventennio berlusconiano ci lascia anche altre cose. Le convention, per esempio, che somigliano ai congressi di una volta ma non eleggono nessuno, servono solo ad andare in tv. I club, che hanno sostituito le vecchie sezioni di partito, e vivono di spillette, portachiavi e gadget
assortiti. Gli avvocati in Parlamento. Le miss che escono
dalla tv ed entrano a Montecitorio, le igieniste dentali che
escono dalle “cene eleganti” e diventano consigliere regionali, le “nipoti di Mubarak” che escono dai commissariati e vanno a riscuotere dal fidato cassiere. Le barzellette
sconce che prendono il posto delle citazioni di De Gasperi. Le strepitose gaffes internazionali, dalle corna nella foto dei Grandi al “cucù” per Angela Merkel (poi oggetto di
meno spiritose considerazioni estetiche).
Ma il berlusconismo resta, innanzitutto, un culto della
personalità. Mai l’Italia aveva avuto, dopo Mussolini, un
capo del governo che credeva così convintamente nella
propria superiorità planetaria («Non c'è nessuno sulla scena mondiale che può pretendere di confrontarsi con me»),
uno che mandava a casa degli elettori un libretto con la storia della sua meravigliosa vita, e che non esitava a paragonarsi a Gesù, quando parlava della “traversata del deserto”
ai suoi militanti, battezzati prima “missionari” e poi addirittura “apostoli della libertà”, chiamati a portare tra la
gente “il Vangelo secondo Silvio”, che Dio lo perdoni quando avrà smesso di ridere.
coprire col suo manto anche pulsioni corporative o localistiche. E che confluisce in anni settanta variamente messi
agli atti come stagione delle riforme o – per altri e opposti
versi – della strategia della tensione e poi degli anni di piombo. Definizioni che alla lunga distanza appaiono molto
parziali mentre sembra ingigantirsi invece la cesura di cui
sono simbolo alla fine del decennio i funerali di Aldo Moro:
quasi “funerali della Repubblica”, come è stato scritto.
Spartiacque fra un “prima” e un “dopo” nel modo di essere della società e della politica. Di lì a poco, nello sconfitto
rifluire del terrorismo, diventeranno sempre più visibili i
guasti che stanno corrodendo istituzioni e partiti: “muore
ignominiosamente la Repubblica”, scriveva il poeta Mario
Luzi.
Non è difficile cogliere infine negli anni Ottanta anche la
corposa incubazione della stagione successiva: con il radicale modificarsi dei luoghi di lavoro e dei ceti sociali, l’irrompere di nuove culture (o inculture), il dominio di un sistema dei media sempre più invasivo e distorsivo, e sempre più intrecciato alla politica. Con la crisi, non solo italiana, dei partiti basati sull’appartenenza e la militanza. Ma
anche con il degradare delle istituzioni, con un salto di qualità nella corruzione politica, con lo sprezzo crescente dei
valori collettivi. Solo un anticipo di quel che avverrà poi,
scandito e accentuato dal tracollo del panorama politico
precedente, dall’affermarsi prepotente del partito mediatico e personale, dall’erosione quotidiana della legalità e
del diritto. Da questo punto di vista è certo lecito parlare di
ventennio berlusconiano ma c’è da chiedersi se abbiamo
avuto davvero una “seconda repubblica”.
Per avere qualche dubbio è sufficiente uno sguardo alla
Francia: lì la “numerazione” delle repubbliche è scandita
da grandissimi traumi (la Rivoluzione, il 1848, la Comune
di Parigi, l’occupazione nazista, la crisi algerina), seguiti da
profonde modifiche istituzionali. Davvero un’altra cosa, e
per molti versi è utile cogliere invece le radici dell’ultimo
ventennio: ci aiuta a capire meglio con quali e quante macerie dobbiamo ora fare i conti. Quanto sia lunga e difficile
la nuova Ricostruzione che ci aspetta.
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PIERO
CALAMANDREI
Lo Stato
siamo noi
Chiarelettere
2011
P. GINSBORG
E. ASQUER
Berlusconismo
Laterza
2011
GIUSEPPE
FIORI
Il venditore
Garzanti
2004
NADIA
URBINATI
Prima e dopo
Donzelli
2011
PAOLO FLORES
D’ARCAIS
Il ventennio
populista
Fazi
2006
S. RIZZO
G.A. STELLA
Così parlò
il Cavaliere
Bur
2011
ALESSANDRO
CAMPI
L’ombra lunga
di Napoleone
Marsilio
2007
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Il lungo addio del berlusconismo