CLAUDIO UMBERTO COMI SPAZIO TEMPO E CITTA' una rifiessione sulle figurazioni diastratiche 1115 ;; poll1ecnlca Il I· II\GGIOLI F.DrroRE 11 )(1 claudio umberto comi spazio tempo e città una riflessione sulle figurazioni diastratiche Indice introduzione 7 Icone di città 13 Esperienze di città 23 Figure di città 45 Visioni della città 65 Ideogrammi di città 71 Figurazioni diastratiche 87 Verso Bohburg 95 Conclusioni 97 Bibliografia 105 Questo scritto riprende alcuni temi già affrontati in occasione di un convegno1 e li reinterpreta in ragione di un incontro tenutosi con un gruppo di studenti in Mantova2. Oggetto di tali riflessioni sono i modi mediante i quali siamo soliti relazionarci alla città e raffigurarla. Città, qui, intesa come luogo con una precisa connotazione fisica e perciò percettibile e, al contempo, come immagine ideale di un insieme di luoghi che attraverso un procedimento sincretico costituiscono in noi un'“icona della città”. Il tema della città, declinato in un contesto formativo che ha per oggetto l’architettura, è un tema trasversale. Alle diverse scale, chiunque si occupi di città: nel progetto, nella storia, nello studio delle dinamiche sociali, nel rilievo e la documentazione dei caratteri fisici, nella definizione delle pratiche o delle politiche mediante le quali la città si trasforma; indaga e propone metodi e modi attraverso i quali è possibile conoscere per poter 3° Convegno del Dipartimento di Architettura e Pianificazione del Politecnico di Milano con tema : “Il tempo nella descrizione e nella progettazione della città”. Di cui sono in fase di pubblicazione gli atti che riportano un sunto del mio intervento : tempo e rappresentazioni della città. 1 Studenti del corso di Sociologia, tenuto dalla professoressa Adelmina Dell’Acqua presso la sede di Mantova della Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano. 2 7 intervenire. Nella proposta didattica di rito3, in genere, attraverso le pratiche si mira a veicolare anche i perché. Esempi e concetti ad essi supposti sono i mezzi di cui si dispone per costruire un percorso didattico sviluppato nel tempo. Diverso è il caso di una lezione ex tempore, quella che gli inglesi chiamerebbero “lecture”, ovvero un incontro episodico e unico. In tal caso un soggetto, diverso da chi tiene il corso, interviene, espone e quindi va via. Con ciò beneficia di un oggettivo vantaggio. E’ nuova la faccia e nuove possono apparire le cose che dice. L’attenzione almeno all’inizio è assicurata. Quello però che può venire a mancare sono gli spazi ed i tempi per un chiarimento o, peggio, per il contradditorio. Indipendentemente dunque dalla bontà dei temi affrontati, dei modi verbali con cui sono esposti, dell’efficacia di entrambi questi fattori, allo studente rimane poco più che una suggestione. E’ dunque un dovere dotare gli interlocutori di un mezzo sul quale riflettere, poter approfondire e se ne fosse il caso obiettare. Come spesso accade il relatore mette a disposizione le slides. In esse c’è il flusso dei pensieri ma non il “parlato” dell’esposizione. Affidare invece a uno scritto pensieri e parole è cosa gravosa. Il linguaggio verbale, l’enfasi dell’esposizione, il benefico supporto di immagini emblematiche e suggestive, la mimica e il i normali corsi universitari ormai della durata di un semestre. 3 8 gesto, le pause studiate ad effetto, l’umore e lo stato d’animo dell’uditorio, fanno dell’intervento, quasi fosse una recita, un momento unico e irripetibile. Uno scritto però si impone per dar spazio alla critica, al dubbio, ad una personale e proficua riflessione su quanto ascoltato. E’ per questo, che ho affrontato la fatica di mettere sulla carta, misurando le parole e la loro sintassi, le cose che oggi dirò. La forma editoriale che questo scritto ha finito con l’assumere è invece un esperimento del quale è opportuno precisare il senso. Per un corso sentivo il bisogno di costruire un libro di testo. Il tema, di nuovo la città e le forme ed i modi con cui è possibile descriverla mediante il disegno, è un tema quanto mai articolato e complesso. Le possibili forme di un testo sono dunque molteplici. Da una semplice raccolta di esempi ad un testo ingombrante in cui i modi e i perché risultino fusi in un unico corpus. Si poteva poi anche pensare ad un manuale, un tipo di testo che nei tempi di Internet è forse da ripensare. Per avere un segnale, un’idea, di ciò che gli studenti avrebbero voluto e con ciò più volentieri utilizzato, non ho trovato di meglio che fare una specie di sondaggio di mercato. Con un semplice questionario chiedevo conto di alcune abitudini sui modi di studiare e sul “format” del libro che avrebbero maggiormente gradito. Bene, per il 90% di loro il libro tradizionale, quindi stampato su carta, è ancora il migliore. Esso dovrebbe costare mediamente poco ed essere scritto con un lin9 guaggio assai comprensibile. Ai concetti, comunque richiesti, preferiscono esempi. Le immagini, bastano, per quel tanto che servono. I dati curiosi, almeno per me, sono altri: mediamente gli studenti assunti a campione, dedicano, in quanto dispongono4, di una sola ora ogni giorno ai testi che devono studiare. In questo tempo leggono, sempre in media, una ventina di pagine e le sottolineano per meglio afferrare i contenuti proposti dal testo. Un testo a supporto di una lezione di mezza giornata non dovrebbe dunque superare la decina di pagine. Più che un libro diventa un “articolo lungo” o come qualcuno preferisce chiamarlo un “saggio breve”. Accettare la sfida di conchiudere in dieci cartelle numerosi e complessi pensieri già non è cosa facile. Pensare poi che in tale spazio uno studente, che inizia il percorso della sua formazione, possa agevolmente trovare la questione, i perché e le dovute risposte, insieme allo spazio per costruirsi una propria opinione è davvero ambizioso. Ho preferito quindi dilatare il testo esponendomi al rischio che nessuno leggerà le cose che ho scritto, piuttosto che lasciare zone d’ombra o pensieri sospesi. Solo il tempo e il successo del libro, potrà dare risposta se è stata una scelta assennata o se invece in futuro L’impegno didattico giornaliero di uno studente di architettura è oggettivamente gravoso. Essi dovrebbero frequentare mediamente quattro giorni alla settimana per l’intera giornata. 4 10 dovrò confrontarmi con testi stringati e di rapida assimilazione. Ai convegni, poi, è buona creanza trasmettere un “abstract” (di solito diffuso durante il convegno) e poi redigere un testo che vada negli atti. Ma per una lezione quale mezzo si può utilizzare? Potevo stampare e diffondere un “paper”, magari metterlo in rete e, chi lo voleva, lo poteva scaricare da un sito preposto. Potevo portare un cd che contenesse un e-book e lasciarlo affinché, come fosse la famiglia di conigli di un tal Fibonacci, si moltiplicasse esponenzialmente. Per continuare il sondaggio sul libro che lo studente vorrebbe, avevo bisogno però di sondare l’attitudine all’acquisto di un libro. Alla fine ho scelto di fare un “libretto” perché voglio vedere quanti studenti andranno in libreria a comprarlo. Se saranno molti, vuol dire che è un tema che piace. Se non lo compra nessuno, allora significa che le cose che ho detto interessano poco. Ora, se hai letto questa introduzione significa almeno che sei un curioso e quindi non mi resta che augurarti una buona lettura, sperando che alla fine del libro, tu sia soddisfatto e contento dei soldi che hai speso. Qualora così non fosse, mi spiace davvero, ti chiedo comunque un favore. Fammi sapere cosa c’è che non va, così la prossima volta starò più attento a quello che uno studente vorrebbe trovare in un libro che è stato scritto apposta per lui. [email protected] 11 Conclusioni Quando ho proposto questo libro all’editore, l’ho definito “un effetto collaterale”45. Anche in una ordinata e orientata attività di ricerca46 e volendo, non so nemmeno io il perché, privilegiare prodotti editoriali che possano avere una efficace ricaduta nella didattica, capita di imbattersi in un argomento che desta, in primo luogo in noi stessi, curiosità e interesse. Di un tale argomento al più, si può come in questo caso tenere una lezione. Nell’università di oggi difficilmente lo si può far rientrare nel naturale evolversi dei contenuti fondanti un corso. Indagare le relazioni che legano il Il termine effetto collaterale proprio della farmacopea, ha avuto ampia risonanza nella cronaca in occasione dei più recenti eventi bellici. Colpire un obiettivo non strategico o “morire sotto il fuoco amico” li si è considerati effetti collaterali di un azione bellica con scopi strategici. In questo caso è un “effetto collaterale”, in quanto l’attenzione era concentrata nella redazione di due testi didattici per il disegno architettonico e urbano, a supporto dei corsi che tengo presso il Politecnico di Milano. 45 L’interesse della mia ricerca attiene i modi con i quali il disegno può assistere il progetto e, la lettura dei caratteri che l’architettura esprime. 46 97 luogo urbano, ciò che qui chiamo sbrigativamente città, alle categorie dello spazio e del tempo può apparire un esercizio ozioso o, per altro verso, sin troppo ambizioso. Molti potevano essere i modi con cui affrontarlo. Molti altri potevano essere i contributi e i gradi di approfondimento dei temi trattati. Quello che posso dire è che il libro ha preso la forma che ha preso, attingendo a quella che è stata la mia esperienza di formazione universitaria e la memoria di molti dei libri di allora. Un’esperienza datata e maturata in tempi gravidi di contraddizioni, è vero47. Un’esperienza, che ha lasciato in me un indelebile attenzione a temi non strettamente riconducibili al mestiere di architetto. Spazio e tempo sono categorie filosofiche. Il concetto di icona in chiave contemporanea è ampiamente affrontato e descritto dagli studi semiologici. La città, quella sì, attiene all’architetto. Anche se deve condividerne studi e attenzione con urbanisti, geografi, sociologi, antropologi, storici e chissà quanti altri. In realtà, nel rispetto della concezione di un paradigma disciplinare, questo è un testo improprio. Un testo che mi rende come Marcovaldo. Andando a far legna in un bosco che non mi è usuale, rischio di tagliare un palo, invece che potare un albero. Questo è giusto dirlo agli studenti che leggeranno il libro. Credo altrettanto giusto dire loro, che il fare architettura, come non può nutrirsi esclusivamente 47 Erano gli anni dei “cattivi maestri”. 98 di parole e di slogan, così come oggi purtroppo sempre più spesso accade, non può nemmeno rinchiudersi in una mera tecnicalità, fondata solo su presupposte ortodossie. Deve saper trovare altrove, fuori dallo studio, dal cantiere o dal computer, stimoli, curiosità ed interessi. Deve in altre parole confrontarsi con pensieri che vadano oltre il manuale dalle mille risposte, il libro di moda, l’articolo del giornale, la trasmissione televisiva, il sentito dire. Un’opinione è un’opinione e questo libro esprime un’opinione. In quanto opinione è opinabile. Confutare un’opinione però impone il portare argomentazioni adeguate e saperne, all’occorrenza, citare i riferimenti su cui si basa il contradditorio. Una cosa che, vedo sempre più spesso, gli studenti con cui mi confronto non sanno più fare. In questo senso ci può aiutare a comprendere questo stato di cose una strofa di una canzone di Francesco Guccini, che per la mia generazione è stato qualcosa di più di un cantautore e, ho scoperto, piace anche ad alcuni studenti: “Culodritto48, che vai via sicura, ……. , reginetta dei telecomandi, di gnosi assolute che asserisci e domandi, di sospetto e di fede nel mondo curioso dei grandi, ……, presto ti accorgerai com'e' facile farsi un'inutile software di scienza e vedrai che confuso problema e' adoprare la propria esperienza”. Credo sia proprio qui la conNella raccolta Signora Bovary edita dalla EMI nel 1987 48 99 traddizione con cui si confrontano i giovani d’oggi. Un modello culturale sempre più orientato a dare risposte, che nei fatti gli negano gli strumenti per elaborare un’opinione adeguatamente argomentata. Non è certo mio compito interpretare il sentire dei giovani, dato che ormai giovane non sono più. È però un mio dovere, in quanto insegnante, cercare di capire i perché di un loro disagio che percepisco, ma resta inespresso. Quel poco che di ciò ho compreso, magari sbagliando l’analisi, è che gli studenti che incontro ogni giorno credono di “sapere già ogni cosa”. Non è vero che sono distratti o disinteressati. Quello che spesso gli manca sono le basi, ed il tempo, sui quali fondare una conoscenza compiuta e matura. Da ciò discende in primo luogo il disinteresse dovuto ad una sostanziale mancanza di capacità critica o, all’eccesso opposto, una sottovalutazione delle proprie potenzialità. Sono probabilmente questi, con le naturali sfumature tra gli estremi, i risultati di un modello educativo ormai più che trentennale, orientato ad assecondare e potenziare la personalità, la capacità espressiva, la relazione. Subordinando a tali qualità umane, opportune e necessarie, un’effettiva conoscenza. Conoscenza non certo della nozione fine a se stessa, bensì del contesto in cui questa si colloca. Conoscenza articolata e contestualizzata dei fatti, delle parti e degli elementi con l’insieme. Per il tempo c’è poco da fare. Il tempo a loro disposizione nel percorso universitario è quello che è, e dovrebbe 100 essere impiegato per arricchire e consolidare il bagaglio di conoscenze già fatto proprio. Non può l’università rifondare la conoscenza, al più può riformarla. Quello che con dispiacere constato è che alcuni studenti sono portati a pensare che la cultura ha un valore prevalentemente economico. Non è dunque un caso che quelle che ai miei tempi erano lacune di cui autonomamente avevi consapevolezza, oggi siano diventate “debiti formativi” tali perché certificati da altri. L’arricchimento culturale dovuto al piacere della lettura di un libro o alla soluzione di un problema. L’esperienza, per uno studente di architettura, conseguente allo sviluppo ragionato e appassionato di un progetto. Momenti che per noi erano fondamentali e gratuiti49, oggi si cristallizzano nel “credito”, in qual si voglia maniera, maturato. Al di là del nominalismo delle forme con cui si concretizza la conoscenza acquisita, l’università di oggi appare da dentro come un grande stabulario in cui, più o meno, “allegre bestiole” attendono pazienti di vedersi instillata la dose quotidiana di conoscenza. Rimpiango, per loro, i miei tempi. Tempi in cui la conoscenza te l’andavi a cercare. Non eri obbligato a seguire un percorso già delineato. Il patto didattico era chiaro e palese: studi, ottieni una laurea, e poi son fatti In questo senso il concetto di gratuità è da intendersi nella passione riposta in tali attività indipendentemente dal beneficio immediato. 49 101 tuoi. Ben pochi dei miei compagni di allora oggi sono davvero “architetti” e io sono tra loro. Molti tra noi hanno scelto strade diverse: la televisione, la pubblicità, il cinema o la letteratura. Qualcuno è riuscito ad affermarsi, altri lavorano all’ombra di nomi o marchi famosi. Non so dire se siamo felici, posso dire, almeno per me, che allora ero felice. Felice di aver scelto una scuola in cui potevi trovare quel che volevi. Scegliendo, magari sbagliavi, ma anche l’errore diventava esperienza. Anche quelli che oggi sono davvero architetti50, hanno scontato il prezzo di dover costruire da soli il proprio percorso. Ho parlato con uno di loro dei giovani che l’aiutano in studio. Mi ha detto che sono “bravini” ma parlano troppo. Allora fingendo di non capire, gli ho chiesto che cosa intendesse dire. La risposta alquanto spietata è stata: nascondono dietro le chiacchiere l’umiltà che gli manca perché non hanno fatto esperienze. Ho obiettato che sono ancora giovani. Per tutta risposta mi ha detto: la colpa è anche tua. Quando promuovi qualcuno che ti spiega il come e il perché, non pensi di fargli del male. Ti ricordi quando eravamo studenti, i nostri insegnanti, all’esame non parlavano mai. Guardavano i fogli con sopra il progetto e poi ci davano il voto. Potevi accettare o rifare l’esame. Anche senza parole avevi capito che cosa pensavano, non di noi, Nel senso che esercitano fattivamente la professione di architetto libero professionista. 50 102 bensì del lavoro. Non gli importava di come eri vestito o cosa pensavi ed ancor meno quel che dicevi. Per loro parlava il disegno. Ho ripensato a lungo a questa opinione. Non sono del tutto d’accordo ma è un dato di fatto. Questo mi ha riportato al pensiero che Pierre Bourdieu esprimeva in “la reproduction”51 che seppur riferito al sistema scolastico francese degli anni ’70 indaga a fondo l’incapacità di tale modello formativo nel favorire la mobilità sociale. Non so se la società attuale abbisogni ancora di una mobilità sociale o se questa sia ormai un mito. Lascio ad altri, competenti per ruolo52, il definire la cosa. So però, per quello che sento dagli studenti, che essi nutrono dubbi sul loro futuro. Ma i giovani si sa, son portati a sognare. Entrando in un’aula, in particolare universitaria, alimentano un sogno proprio sul loro futuro. Negargli occasioni per fare esperienza, magari faticose esperienze maturate col prezzo di alcune sconfitte, li asseconda e soddisfa nel momento presente, condannandoli al contempo, come dico possa succedere per la città, a un futuro privo di qualcosa che ne lasci memoria. Un ripensamento quindi si impone, dato che per dirla con Heidegger “è sempre tempo per fare qualcosa”. Sia mai che Scritto con J.C. Passeron, edizioni Minuit,Parigi, 1970 51 52 La questione è prettamente sociologica. 103 la riscoperta di una cultura diastratica, fatta pure di gerghi e contaminazioni, permetta ad uno studente di uscire dalla virtualità di un sapere solo apparentemente formalizzato e per questo sicuro? Senza eccedere però all’inverso, fornendo anche noi, insegnanti, un mero coacervo di informazioni prive di una qualsivoglia struttura. Ho chiuso il libro dicendo questo perché a torto o ragione, essendone parte53, non vorrei che un domani un mio studente mi chiedesse conto di molte omissioni sul come stanno davvero le cose. Parte del processo formativo universitario, in quanto tra i miei compiti istituzionali vi è anche la didattica. 53 104 Di quante immagini possiamo disporre di una città? Sicuramente tante e molteplici tutte però ancora concepite in uno spazio euclideo. Tali immagini testimoniano il tempo attraverso i caratteri che il luogo esprime nel momento presente. Ognuna di esse, comunque sia fatta è un frammento che, con altri, concorre alla nostra idea di città. In un mondo algoritmico siamo usi scomporre l'insieme in frammenti minuti per poi ricomporli in base a una sequenza che riteniamo ottimale. Nel momento attuale i sistemi assistiti, con i quali trattiamo tali frammenti, finiscono con elidere il tempo. E' il momento di chiedersi se fare qualcosa, o lasciare che il tempo lo faccia per noi. Qualora gli eventi cancellassero dalle immagini d'oggi, il tempo del nostro sentire, la città non avrà più un passato. Ritornare a figure diastratiche che dicano il cosa, suggerendo al contempo anche il come eil perché, è la sfida che la città oggi ci lancia. Claudio Umberto Comi, architetto e ricercatore universita rio ha pubblicato per i tipi della Maggioli: La pratica del modello (2008) e, autoprodotto: Lezioni Zen (2000); Disegno Edile (2001); Sul Paesaggio (2003). ISBN 978-88-387-4370-3 SAGGI Il Il 111111111111111 "III11 9 788838 743702 € 9,00 ARCHITETIURA INGEGNERIA SCIENZE Il catalogo completo è disponibile su www.maggiol1.it area università