AMOR VENDICATO venerdì|11settembre Chiostro ROSSAROL Taranto favola boschereccia in musica a quattro voci e coro di Giovanni Paisiello prima esecuzione assoluta in tempi moderni revisione di Vincenzo Porzio Sabrina Santoro, soprano Roberta Andalò, soprano Marina Esposito, mezzosoprano Leopoldo Punziano, tenore Choraliter, coro Pierluigi Lippolis, direttore coro Dario Candela, clavicembalo Orchestra da Camera del “Giovanni Paisiello Festival” Mariano Patti, direttore 27 Choraliter soprani contraltitenori Valeria La Grotta Roberta Pagano Fabio Perillo Isabella Laviola Dora Marangi Roberto Tarso Ida D’Ippolito Loredana Barnaba baritoni Nicola Luzzi Cosimo Zaccaria Orchestra da Camera del “Giovanni Paisiello Festival” viole oboe violini I Michele Cataldo* Laura Mazzaraco* Giuseppe Coro Antonella De Frenza Marta Cacciatore Vincenzo Barulli fagotto Arianna Latartara violoncelli Riccardo Rinaldi Giorgio Lepore* violini II Lelia Lepore corni Mina Melucci* Gianni Ruta* Cosimo Angiulli contrabbasso Pasquale Pichierri Giuseppe Simonetti Andrea Pino flauto clarinetto fagotto Palma Di Gaetano Giordano Muolo Riccardo Rinaldi * prime parti 28 Argomento Superbo Apollo dell’ucciso Pitone, imbattutosi in Cupido che l’arco rassettava, motteggiandolo che un lascivo fanciullo adoperare osasse armi sì forti, di lui si rise. Piccato da sì amari rimproveri Amore, gliene giurò in faccia vendetta, ed infatti con freccia d’oro Apollo, con altra di piombo ferì Dafne, figlia del fiume Peneo ed emula di Diana nella caccia. Quindi ne avvenne che Apollo perdutamente amò la ninfa, ma questa odio tale per lui concepì, che, vedutolo, si diede precipitosamente alla fuga. Inseguilla l’amante nume e con preghiere e promesse fino ad offerirsele sposo tentò invano di trattenerla. Giunta intanto presso alle paterne sponde la sbigottita Dafne e non vedendo più scampo, invocò in suo soccorso il genitore e la Terra e fu istantaneamente trasformata in alloro. Deluso Apollo, in memoria dell’amata ninfa adottò la novella pianta per sua e delle di lei fronde ornò la chioma e la cetra. Questa favola coi soliti vivacissimi colori ci viene rappresentata da Ovidio nel libro primo delle Metamorfosi. Ma l’autore del presente drammatico componimento s’è presa la libertà di modificare alquanto il troppo rigido carattere da Ovidio a Dafne assegnato per ravvivare in tal modo con qualche inviluppo l’azione e rallegrare insieme con lieto fine l’animo degli ascoltanti. INTERLOCUTORI Amore in sembianza di Aminta cacciatore Apollo Dafne Alceo L’azione segue nella valle di Tempe. La musica è del rinomato signor D. Giovanni Paesiello all’attual servizio di S. M. in qualità di compositore. 29 30 amor vendicato Il Libretto 31 Intermezzo per musica di Giovanni Paisiello Roma, carnevale 1772 SCENA PRIMA. Amore da cacciatore d’un infelice cor tutto il tormento. AMORE Sotto queste mentite spoglie di cacciator chi riconosce di Citerea, chi più ravvisa il figlio? Mago possente è Amor. Tutti al suo cenno servono obbedienti e gli astri e gli elementi. Invisibil si rende; in mille guise talor le proprie cangia, talor le altrui sembianze, e così le apparenze altera e finge, che i numi stessi a traveder costringe. Di questa mia possanza oggi l’Olimpo sia spettator, da questa Febo ingannato il suo nemico ascoso non tema e trovi in me. Con aureo dardo da me piagato, ama la bella Dafne di Diana seguace, arde per lei l’ingiusto sprezzator de’ colpi miei. Ma da strale di piombo insiem ferita, inflessibil la ninfa a’ suoi desiri, sorda ai prieghi, ai sospiri, l’odia, l’abborre, e così l’un si strugge di violento amor, l’altra lo fugge. DAFNE I detti tuoi tu spargeresti al vento. Provi il dio superbo altero questa man che chiama imbelle; e se regge in ciel le stelle, qui d’Amor l’eccelso impero oggi apprenda a rispettar. O quanto mi spiace quell’aspra catena che toglie la pace a un libero cor! APOLLO Ah delle fiere istesse che con tanto furor segui ed impiaghi più barbara e inumana! Onde apprendesti, se non dall’aspre rupi ov’erri ognora, sì duri sensi, sì crudel costume? Ah se sapessi, ingrata, chi disprezzi, chi fuggi, forse affetto e linguaggio cangeresti con me. DAFNE T’inganni; eguale di questi accenti miei sarebbe il suono, se fossi Apollo istesso. L’opra si compia omai; da un finto labbro in lui si versi a lacerargli il seno di geloso sospetto il reo veleno. Ma con Dafne egli vien; di qua non lunge nell’aguato il trarrò. APOLLO Ah quello io sono. SCENA SECONDA. Apollo e Dafne APOLLO Sì, del tuo vago volto l’adorator son io. APOLLO Dove ten voli frettolosa così? Fermati, ascolta, lascia l’usato orgoglio; spiegarti, o Dafne, io voglio 32 Avvezza al cimento di belve feroci, non sento le voci d’un languido affetto, non curo il diletto d’un tenero amor. DAFNE Apollo!... Il nostro nume!... (Ohimè, che ascolto!) DAFNE Tu Apollo?... E meco così del cieco dio, così d’Amore il nemico favella? APOLLO Tanto è il poter delle tue luci, o bella. De’ primi affetti miei l’unico, il primo oggetto, Dafne gentil, tu sei. Al vivo saettar de’ tuoi be’ rai chi resister potea? DAFNE D’un mostro oppresso se gisti altero, or vincer dei te stesso. APOLLO Perché tanto rigor? Vil fiamma impura non arde nel mio seno; i nostri affetti stringa dolce imeneo. DAFNE (No, la mia fede inviolabil si serbi al fido Alceo). APOLLO Nuora del gran Tonante, d’Apollo sposa, sederai nel cielo alla superba Giuno, a Palla accanto; invidiosa pompa ivi farai di tua beltà. Le Muse lusingheranno a gara coll’auree corde e col soave canto il tuo genio, il piacer. Da’ cenni tuoi di Patara la reggia e Claro e Tenedo suddite penderan. Che più? L’impero sugli ampi stenderai stellati giri. DAFNE Eccelsa diva a sì gran meta aspiri. Le natie selve ad abitar qui resti ignobil ninfa. APOLLO È a tua virtù dovuto ogni sublime onor. DAFNE Di Cintia austera 33 nella scuola severa le nuziali faci fin da’ primi anni ad odiare appresi. APOLLO Dunque i miei voti accesi, le mie promesse, i prieghi nulla otterran da te?... DAFNE Grato, sincero, indelebil rispetto, amor non mai. APOLLO E potrete indolenti, vezzosi amati rai, rimirar le mie pene... i miei... tormenti? Belle luci a un fido amante troppo fiere e troppo ingrate, deh fingendo almen mostrate qualche segno di pietà. Un inganno io sol vi chiedo che lusinghi il mio pensiero; e un inganno passaggiero da voi pur si negherà? SCENA TERZA. Dafne sola DAFNE Dafne infelice! In quale periglioso cimento, a qual difficil prova il fedel si ritrova tuo bersagliato cor! D’un nume amante al furioso ardore chi resister potrà?... Resista amore, resista la mia fé... Ma dove sei, Alceo, mio ben? Come da te lontana viver lieta poss’io? Senza te non ha calma il pensier mio. Ma la tema, l’affanno al lasso piede rallentano il vigor. Si prenda alfine su quel muscoso sasso breve ristoro al fresco umore accanto. O quanto è grato, o quanto è soave dell’acque il mormorio... O come i lumi stanchi occupa... appoco... appoco... un lento oblio!... Dolce sonno, amica quiete, l’ale placide stendete sull’afflitto mio pensier. (Si addormenta) SCENA QUARTA. Apollo, Amore da cacciatore, Dafne che dorme APOLLO Ed è ver quanto narri? AMORE Al grande Apollo non si recano fole. APOLLO È dunque Alceo di Dafne amante? AMORE Arde per lei. APOLLO Ma quale è della ninfa il cor? AMORE D’eguale acceso impetuosa fiamma. APOLLO E pur qui meco o quanto ella mostrossi d’amor nemica! AMORE Arte non nuova è questa di labbro femminil. APOLLO Le offersi indarno la destra, il cor. Tutto rifiuta, e poi 34 ama la forsennata un vil mortale! AMORE Costume delle donne usato e strano. Prevale in esse ambizion; ma intanto quel genio che il capriccio ognor consiglia sprezza il suo meglio ed al peggior s’appiglia. APOLLO Ma un ardor così occulto donde sapesti, Aminta? AMORE Un tempo io fui, soffri, signor, che il dica, amante anch’io della ninfa infedele; indi a me tolse quel volubile cor l’infido Alceo, già amico e poi rival. APOLLO Le tue vendette oggi Apollo farà. Seguimi... Oh dio! (Nel partire si avvede di Dafne che dorme e si arresta) Che mai veggo! Al riposo abbandonò le membra, al sonno i lumi la tua, la mia nemica. Opra più bella, dimmi, fe’ mai natura! E sotto un volto così gentil s’asconde tanta perfidia! O come è mai diverso da quel sembiante il cor! Ma già si scuote, già dal sonno si desta. (Si ritira in disparte con Amore fra la boscaglia) DAFNE Orride larve... che volete da me?... La quiete invano cerca un’alma agitata... I sogni stessi congiurano a turbarla... Il mio nemico, l’odioso nume fin sognando io veggio che mi assale, m’insegue... APOLLO (Intorno il guardo (Ad Amore) volge e seco ragiona). DAFNE I miei spaventi (S’alza e cammina pensosa soffermandosi di tratto in tratto) crescono ad ogni passo! In queste selve più sicura io non son; asilo porga alla tremante figlia fra le sue braccia il genitor Peneo; fuggasi. Ma che miro! O caro Alceo! (Vede Alceo e si avvanza ansiosa ad incontrarlo) SCENA QUINTA. Alceo, Dafne ed Apollo con Amore che non visti ascoltano ALCEO Sola alfin ti ritrovo, mia sospirata Dafne; un sì felice contrastato momento o quanto sospirai! Ma qual nube importuna de’ tuoi vivaci rai conturba il bel sereno!... Quai nella mesta fronte tristi pensieri ascondi? Ah tu immobil mi guardi e non rispondi?... Sì, t’intendo, infedel. Troppo loquace è quel labbro che tace. Tutto, tutto mi dice: «Fido amante infelice, Dafne non è più tua; gli affetti sui Dafne a te tolse e ne fe’ dono altrui». DAFNE Spietato, e questa rendi al mio costante amore, alla mia fede ricompensa e mercede? Per te l’onor ricuso dell’apollinea destra e per te sdegno degli astri il vasto regno, per te del più bel nume rifiuto il dolce affetto, i teneri legami, e tu m’insulti e tu infedel mi chiami? ALCEO A un eccesso d’amor perdona, o cara, questo sfogo innocente. Il tuo bel core abbastanza m’è noto. Ma meno amante o generoso meno 35 quello d’Alceo non è. M’ascolta, o Dafne. D’un rival sì potente io mal reggo al confronto. Egli ti adora, ei si strugge per te; ti vuol felice, e felice esser devi... DAFNE Ah tornin pria a confondersi insiem la terra e il cielo, ch’io te lasci d’amar. Di cento e cento numi nemici l’ira io non pavento. APOLLO (Chi può l’empia soffrir?) Perfida, invano (Si avvanza Apollo) schernir tu pensi impunemente un nume. ALCEO (Che sorpresa fatal!) DAFNE Qual colpa mai... (Ad Apollo) APOLLO Il fingere non val, tutto ascoltai. Odimi, o fido Aminta. Alla severa Cintia costei si guidi; ella che ognora in sua rigida scuola i molli affetti ad abborrire apprese, d’una fiamma furtiva gastigo abbia e rossor dalla sua diva. Lungi per sempre dal cospetto mio vada l’indegno Alceo, di gravi oppresso catene il piè, nelle cimmerie grotte, dove l’orrida notte, eterna mia nemica, fra l’ombe tetre e tra i fantasmi ha regno; ivi soffra il rigor d’un giusto sdegno. AMORE Eseguirò tuoi cenni. ALCEO E ne condanni senza ascoltarci, Apollo? DAFNE Almen sospendi il fulmine crudel. APOLLO Sol pochi istanti a risolver ti lascio, ingrata ninfa. Scegli qual più ti piace, o la vendetta, o la destra d’Apollo. Il mio rivale dal labbro stesso aspetti il suo destin; tu lo condanni o assolvi. (Parte) SCENA SESTA. Dafne, Alceo, Amore DAFNE Alceo... ALCEO Dafne... DAFNE Che pensi?... ALCEO E che risolvi?... DAFNE Ah discaccia ogni timore, rasserena i mesti rai; questa fé che ti giurai, idol mio, ti serberò. ALCEO Se mi serbi il tuo bel core, bacerò le mie catene e pensando a te, mio bene, infelice io non sarò. DAFNE Vanne dunque. ALCEO Io parto. a due 36 Addio. DAFNE Senti, ohimè!... ALCEO Che vuoi?... DAFNE T’arresta. ALCEO Che incertezza, o cara, è questa? a due Chi turbò la pace, oh dio, del felice nostro amor! Alme fide, alme costanti, negherete i vostri pianti a un sì barbaro dolor? (Partono seguiti da Amore) SCENA SETTIMA. Apollo solo APOLLO Mio combattuto cor, che mai risolvi? Vuoi clemenza o rigor? Pietà? Vendetta? Sì, puniscasi Alceo. Ma di qual colpa? Perché Dafne egli adora?... E innocente sei tu che l’ami ancora? Son colpevoli e rei, se delitto è l’amore, uomini e dei. Ma puniscasi pur... La bella ninfa ch’or pietoso t’abborre, allor tiranno e crudel t’amerà?... No, no; ritorni l’amico in libertà. Ma se felice rivale ei ti togliesse il sospirato ben, misero Apollo, che sarebbe di te... Confuso io sono. Che dubbiezza fatal! L’ordin sconvolto è degli affetti miei... de’ miei pensieri... Quel che tema io non so, né quel che speri. Pugnano nel mio petto l’odio, l’amor, lo sdegno, il torbido sospetto, la tenera pietà. Flutti sì fieri in calma ridurre io pur vorrei, ma troppo oppressa l’alma tanto vigor non ha. SCENA OTTAVA. Amore e detto AMORE In traccia appunto io giva di te, signor. APOLLO E qual novella, Aminta, lieta mi rechi? Il tuo giocondo aspetto cose annunzia giulive. AMORE Or or, se vuoi, tua la ninfa sarà. APOLLO Se voglio? Oh dio! Come? Dove? Favella. AMORE I tuoi desiri ad arte io secondai e de’ tormenti suoi pietà mostrai. Volge ella il piè veloce ver le paterne sponde, unico scampo creduto a’ suoi perigli. Or tu non lento raggiungila, signor. Ai prieghi mesci le minacce, il comando. Un nuovo assalto quel già abbattuto core docil ti renderà. APOLLO Troppo prometti. AMORE Ah tutto perderai, se più qui aspetti. Nell’arte dell’amar, credimi, Apollo, inesperto ancor sei; 37 se vincer vuoi, siegui i consigli miei. APOLLO Vado; ma dimmi, il suo diletto Alceo... AMORE Restò fra’ tuoi seguaci. Ah Febo, e quale timidezza è la tua? Fu degli audaci sempre amica la sorte; inutil rendi quanto io feci per te. Deh corri, vola; sì bella preda il più indugiar t’invola. APOLLO Sì, volo; il petto io sento tutto avvampar d’inusitato foco; sì, vincitor qui tornerò tra poco. SCENA NONA. Amore solo, poi Alceo AMORE Quanto è folle colui che amor disprezza! Seguendo un vago ciglio, ecco un saggio, un gran nume, degli oracoli il dio la propria sorte antiveder non sa; cerca il suo bene e va incontro agli affanni ed alle pene. ALCEO Aminta generoso, arde anco in petto, dimmi, del mio signor l’odio, lo sdegno? Ov’è l’idolo mio? Di lei mi cale, nulla di me. AMORE Non paventar; fra poco il tuo destino cangerà d’aspetto; di più dirti non posso. ALCEO Ah di speranze non favellarmi, Aminta. Uso io ne sono la fallacia a provar. Cupido stesso in questo loco al credulo mio core quai più volte non fe’ lieti presagi! Vane lusinghe. Io più nol vidi; in altro ciel l’incostanti piume volse forse il crudel barbaro nume. E vuoi ch’io speri? AMORE Oh troppo ingiusto Alceo, quanto è diverso Amor da quel che pensi! Soffri; aspetta l’evento; se tel promise Amor, sarai contento. Cuori amanti, v’ingannate se chiamate – Amor crudele; non è Amore un infedele, serba a tutti Amor la fé. ALCEO (Fedeltà senza esempio!) SCENA DECIMA. Apollo e detti APOLLO Amor mi spinge a inseguirla veloce. Ella nel corso l’aure più lievi avvanza. «O bella», io grido, «raffrena il piè, cessi un terrore insano; io nemico non son». Ma grido invano. Ostinata più fugge; a me la speme, a lei sprone è il timor; già le son presso e già la man per trattenerla io stendo, quando... (Oh ciel, tutto sento gelarmi il sangue in rammentarlo solo!) APOLLO Aminta... Alceo... conforto. ALCEO Numi, che mai sarà! ALCEO Ohimè, che avvenne di funesto, o signor? APOLLO Giunt’alla riva del paterno suo fiume, al ciel le braccia la stanca ninfa ergendo, dal genitor, dalla gran madre antica soccorso implora e in un balen rimane di ruvida corteccia cinta qual ritrovossi; in verdi rami vidi l’eburnee mani stendersi e la dispersa aurea sua treccia. Io che arrestar non posso l’impetuoso corso, oltre mi caccio, credo Dafne abbracciar ma un tronco abbraccio. Quell’affetto che sol gode della frode – e del timore sembra Amore, Amor non è. APOLLO L’alma non regge all’estremo cordoglio; il labbro appena può profferir qualche interrotto accento. AMORE (O qual piacer di quel dolore io sento!) ALCEO Porga all’ansante fianco questo sedil riposo. APOLLO Udite, amici; meraviglie dirò. Da’ tuoi consigli spronato, Aminta, della vaga Dafne l’orme a seguir m’affretto. In sul pendio giunto di questo colle, il guardo inchino 38 e veggio lei che il passo ver le prossime move onde paterne. Ella si volge al calpestio; me vede e quasi l’ali al piede l’odio allor le porgesse o lo spavento, rapida s’allontana in un momento. AMORE O portento inaudito! ALCEO O fiera scena! APOLLO Privo di senso allora rimango al par di lei; m’ingombra il sen, la mente un triste orrore; questi ne svelgo alfin teneri rami, indi sul caro legno lagrime verso e caldi baci imprimo, d’un infelice affetto ultimo pegno. ALCEO Crudele, e colei piangi che spingesti tu stesso a sì tragico fin? Misera Dafne, ma più misero Alceo! Tutto perdesti. Che ti resta a sperar? Così il destino, Aminta ingannator, cangiò d’aspetto? Questo è il piacer, questo il contento, ahi lasso! che ad Alceo promettesti?... Amore, Apollo, numi tutti del ciel, chi in tronco, in sasso, in erma alpestre rupe per pietà mi trasforma? E tu, sollievo d’un disperato cor, perché non vieni, morte, il corso a troncar de’ mali miei? Ahi! Meco sol tanto crudel tu sei? Ho perduto il bel sembiante, no, non trovo alcun ristoro, ho perduto il mio tesoro; la mia ninfa, oh dio, dov’è? Questi monti e queste piante sempre udranno i miei lamenti; chi mai vide tra i viventi sventurato al par di me? Dafne mia, felice amante vissi ognora a te dappresso; odio or tutto, odio me stesso che diviso io son da te. AMORE Tempra l’acerba doglia, amico Alceo. APOLLO Troppo son giusti, il veggo, i rimproveri tuoi; dal mio misuro il tuo dolor... Ma quai da lungi ascolto 39 liete accostarsi a noi confuse voci? AMORE (La bell’opra è compita, il mio trionfo vicino è omai). Qual la cagion ne sia, signor, ch’io voli ad indagar permetti; tutto da me saprai, se qui mi aspetti. (Parte) S’ode il coro da dentro. CORO Viva il dio fanciullo arciero che sull’alme ha dolce impero, che de’ numi è il domator. APOLLO Qual canto ingiurioso! Chi esalta il mio nemico? E chi sì ardito viene Apollo a schernir? ALCEO Sogno o traveggo? Quella Dafne non è, che al fianco assisa del faretrato pargoletto nume sul trionfal suo carro a noi s’appressa tra cento e cento amori inghirlandati di festivi allori? SCENA UNDECIMA ED ULTIMA. Compariscono assisi sul carro trionfale ornato di allori Amore colle sue proprie divise e Dafne. Amorini all’intorno con picciole scuri di luminoso argento alla mano, tutti incoronati di lauro. Apollo ed Alceo. APOLLO Che prodigi son questi? DAFNE Eccelso nume, cessi la meraviglia; Amor può tutto, tutto cede ad Amor. Da te raggiunta, volsi al cielo i miei voti e in un momento da dura allor mi vidi esterna scorza racchiusa intorno; i tuoi sospiri accesi, i lamenti ascoltai, pietà ne intesi. Dopo breve silenzio, ecco di cento e cento scuri ai replicati colpi la corteccia si fende, e intatta e illesa al bel raggio del giorno fra quieti alati geni io fo ritorno. APOLLO Strane cose mi narri! AMORE Il mio potere confessa, Apollo, alfin. De’ tuoi disprezzi giurai vendetta. I vilipesi strali in te incendio d’amor, di sdegno in Dafne furioso destar. Arte fu mia, d’Aminta cacciator sotto il sembiante, pria la ninfa alla fuga, ad inseguirla poi te, Febo, incitar. Tutto io disposi, vendicato è già Amor. Torni or in calma, nume, la tua grand’alma; e se d’un dì sì memorabil vuoi la letizia compir, di questi amanti con generoso cor, dio d’Elicona, rendi pago il desir, la fé corona. ALCEO (Da quel labbro dipende la mia felicità). DAFNE (Secondi il cielo principi così lieti!) ALCEO (Ah troppo io sono audace allo sperar!) DAFNE (Vincer sé stesso quanto è difficil mai! Pensoso parmi). APOLLO Cedo Dafne ad Alceo, cedo a te l’armi. Purché non turbi in avvenir mia pace, tutto si faccia, Amor, quel che a te piace. Ma il fortunato alloro fia della cetra al par caro ad Apollo 40 e formi ai grandi eroi fregio e decoro. Gli augusti eccelsi, i trionfanti duci, le Muse, i vati e le sublimi scienze della fronda immortal cingan la fronte; sia premio e sprone insiem la bella pianta alla virtude ognor; sott’aspro verno serbi suo verde ammanto, né la folgore mai le strisci accanto. DAFNE O felici presagi! ALCEO O lieta sorte! DAFNE ed ALCEO Viva Apollo il pietoso, Amore il forte. APOLLO Più non arde nel mio petto quel furore, quel sospetto; già ritorno in libertà. AMORE Sembra Amor pien di fierezza, ma poi cangiasi in dolcezza la sua breve crudeltà. DAFNE ed ALCEO a due Numi eccelsi, i nostri voti paghi sono e appien contenti; obbliati i suoi tormenti più bramar Dafne / Alceo non sa. APOLLO e AMORE, DAFNE e ALCEO Ma se le nostre / vostre gare e vendette... Tutti Tanto cagionano fra noi piacer, o dolci gare, vendette care, che dopo torbida fiera procella calma sì bella fate goder! LICENZA La Gloria io son. Dalle ognor liete cime del sacro monte ecco due serti io reco della cara agli dei delfica fronda, dal biondo Apollo e dalle Muse stesse per voi tessuti, o gran FERNANDO, o augusta eccelsa CAROLINA, onor del trono, delizia de’ mortali. Ecco con questi, che de’ sublimi eroi sol premio sono, messaggiera de’ numi io vi corono. CORO O come fulgido il sacro alloro unito tremola al giglio d’oro, monarchi amabili, sul vostro crin! 41 Con egual gloria, con pari orgoglio ornare i Cesari sul Campidoglio nol vide il popolo già di Quirin. Bene in voi scorgesi qual luce spande un cor benefico, un’alma grande e sempre affabile la maestà. Se i giusti principi cari al ciel sono, ai regni sudditi questo suo dono serbi propizio per lunga età.