SOLO
(da “Ritorno
Poesia e Natura nel Parco
XXIV Edizione
...DALLA GRANDE MONTAGNA
SOLO UN CANTO D’INFINITO SILENZIO...
(da “Ritorno a casa” - “L’altra metà del cielo” di Sandra Mazzini, Editrice L’Ortica, 2009)
Letture di:
DANIELE BALDINOTTI
PIF
PAOLA RICIPUTI
GIUSEPPE VENTIMIGLIA
GRUPPO ORTICATEATRO
GLI SLAN DI SANDRA
Mi smarr
Chiamai
Corpo as
Dalla gra
solo un c
Cercai di
dentro di
il caldo te
del battit
Cercai un
a cui affi
Sotto l’om
incontra
che non p
tanto era
Decisi di
Mentre s
vedevo a
il mare to
il battito
comincia
La faccia
le mani
la pelle
tornano
Terra gr
di oro sem
Finalmen
ritrovo il
Finalmen
sto torna
SANDRA MAZZINI
RITORNO A CASA
Mi smarrii che era l’estate più fredda.
Chiamai a gran voce qualcuno.
Corpo assente rispose.
Dalla grande montagna
solo un canto d’infinito silenzio.
Cercai di evocare
dentro di me
il caldo tepore
del battito materno.
Cercai un frammento
a cui affidare speranze.
Sotto l’ombra di un melo
incontrai una donna
che non posso descrivere
tanto era mia madre.
Decisi di tornare.
Mentre scendevo
vedevo addolcirsi i giganti
il mare tornava a scaldare
il battito del cuore
cominciava a placarsi.
La faccia
le mani
la pelle
tornano nuove.
Terra grassa e scura
di oro seminata.
Finalmente ora,
ritrovo il mio odore.
Finalmente ora,
sto tornando a casa.
5
FRANCESCO CIOTTI
ALLA RICERCA DELLA MONTAGNA CON LA CARTA IN MANO
Gli anni passano e i “caldoni” arrivano anche per gli uomini. Fattostà che questa estate afosa
e questo caldo sudato e sempre meno sopportabile mi ha allontanato dal mare e mi ha portato più volte a visitare la nostra montagna e le nostre foreste dove la temperatura mediamente è
dieci gradi in meno che in città. Da Bagno di Romagna a S. Sofia a Badia Prataglia i sentieri
del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi sono ben segnati, ma se si vuole programmare
bene la giornata, le soste e i tempi è obbligatorio dotarsi di una buona carta escursionistica. Se
cercate mappe e carte dei sentieri via internet o su carta li troverete facilmente insieme a qualche bella storia romagnola.
Su internet ad esempio ho trovato un sito straordinario “id3king”, ove id sta per impronte
digitali, quelle dei piedi lasciate sui sentieri, e i 3 king sono in tutta modestia i tre curatori del
sito. Tutti insegnanti e non più giovanissimi, Mauro Bellagamba, il fotografo, Attilio Macrelli,
il grafico, e Paolo Biguzzi, l’analista topografo: dal 1999 ad oggi hanno condotto circa 600
escursioni nel nostro territorio, tutte rigorosamente documentate e fruibili da chi volesse passare dalla penna alle scarpe. Qualcuno vorrebbe aggregarsi nelle escursioni prossime venture
al gruppo ristretto che si è formato intorno ai nostri tre re? Impossibile. Il gruppo, per ragioni
organizzative e logistiche, è da tempo rigorosamente a numero chiuso e per quelli fuori del
reame è un privilegio profittare comunque gratis di una tale mole di lavoro. Grazie, ragazzi…
Siccome però io preferisco consumare le carte topografiche, di solito le acquisto, dopo aver
fatto i panini dal fornaio, presso una fornitissima edicola di S. Sofia. L’ultima volta una le
mancava. Allora ho pensato di rivolgermi direttamente a quell’Istituto Geografico Adriatico,
indicato sulle carte come produttore delle stesse. Sotto vi era scritto anche l’indirizzo e il telefono. Indirizzo Longiano e prefisso 0547. Telefono: mi risponde una voce incerta e non più
giovane che mi dà indicazioni chiarissime sul luogo: oltre Longiano verso S. Lorenzo in Scanno, per una strada sterrata fino a un casolare disperso nel bosco. Lo trovo, un signore mi aspetta sul cancello verde che si apre su di un’aia popolata di animali davanti a una tipica casa
colonica romagnola. Il signore è solo, pantaloni corti e camicia come me nel caldo boia di
quella giornata, spessi gli occhiali e grigi i capelli. Mi comincia a parlare con estrema gentilezza
e un buonissimo italiano, ma con inconfondibile accento tedesco. Mi conduce al piano terra
della casa. Ma invece che in soggiorno o cucina mi trovo in una enorme stanza ripiena di carte
topografiche (tra le quali il signore prende subito con sicurezza quella che mi serve) e che dà
su di un’altra stanza ancora più grande con tavoli, computer, fogli e sedie vuote. Il signore mi
parla di quelle sedie e di quegli impiegati come se fossero ancora lì. Mi dice che lui ormai è in
pensione e che il lavoro ora lo porta avanti un suo allievo di Cesena in un’altra sede. Il signore
si chiama Detlef Musielak, cartografo di professione, formatosi a Monaco di Baviera. Innamorato di Longiano, vi è venuto a vivere e a lavorare dagli anni ’70 e non è più tornato in Germania. Detlef ama svisceratamente la natura e attraverso la natura e le carte ama anche l’umanità.
Grazie alla sua carta ho scoperto il sentiero della Libertà, percorso da Biserno a S.Paolo in
Alpe alla Lama al Sacro Eremo di Camaldoli il 12 aprile 1944 dai partigiani in fuga da 5.000
soldati tedeschi e repubblichini che li inseguivano, tra i colpi di mortaio e di fucile, col sangue
amico e nemico che colava tra i cippi e le rocce. Così, riflettevo, grazie al lavoro di un cartografo tedesco, ritrovavo i morti della guerra di liberazione. Ho ringraziato la pace che è tornata
e l’Europa che si è fatta. Ho ringraziato Detlef, ma non l’ho abbracciato per il suo pudore.
Abbracciamolo tutti col pensiero.
6
Mè an so’
e’ ragn
che sta tac
Mè an vag
sò ma la s
sempra gia
dal munta
e piò dalò
cagli è cum
bèli mo sg
Mè a m’ac
da guardè
dal ragazò
sal tètti ad
cal squézz
dla su belè
ti mi ócc,
cal chènta
t’una spiag
ch’la n’à
e’ gróis de
LE MONTAG
muri./Io non
più grandi/e
Io m’accont
di sasso/che
suona il ven
DAURO PAZZINI
AL MUNTAGNI DLA MI RUMAGNA
Mè an so’
e’ ragn
che sta tachèd sò mi méur.
Mè an vagh, sal mi mèni,
sò ma la schòina
sempra giazéda
dal muntagni piò grandi
e piò dalòngh
cagli è cumè dal dòni
bèli mo sgudébbli.
Mè a m’acuntént
da guardè al muntagni dla mi Rumagna:
dal ragazòti
sal tètti ad sas
cal squézza e’ lat
dla su belèzza
ti mi ócc,
cal chènta quand che sòuna e’ vent,
t’una spiagia vòirda
ch’la n’à
e’ gróis de sèl.
LE MONTAGNE DELLA MIA ROMAGNA - Io non sono/il ragno/che s’arrampica sui
muri./Io non vado, con le mie mani,/su per la schiena/ sempre gelata/delle montagne
più grandi/e più lontane/che sono come donne/bellissime ma sdegnose.
Io m’accontento/di guardare le montagne della mia Romagna:/ragazzotte/con le tette
di sasso/che schizzano il latte/della loro bellezza/nei miei occhi,/che cantano quando
suona il vento,/in una spiaggia verde/che non ha/l’acidità del sale.
7
DANIELE BALDINOTTI
PROTESO ALL’INFINITO
Rocce appese al cielo
cobalto di stelle,
cattedrali eterne
vestite d’inverno
lambite dalle melodie
del vento.
Sono queste
le mie montagne
ove, fra misteriosi silenzi,
al riparo dal tempo,
resto,
proteso all’infinito.
8
la libertà è
di queste m
nelle loro
e profond
dolcemen
dove i mie
vagano leg
color della
al largo de
RICCARDO BELLONI
SOLITUDINE
la libertà è nelle catene
di queste montagne
nelle loro foreste ermetiche
e profonde che dormono
dolcemente sui crinali
dove i miei sogni
vagano leggeri come falene
color della notte
al largo della vita
9
LAURA BEONI
VELLUTO
Accarezzo dolcemente con lo sguardo
l’armonioso profilo di vellutati crinali
un tappeto damascato
con ricami chiaroscuri di luci e ombre
dove le stagioni imprimono colore
sul telaio dell’emozioni
le parole sono impotenti
e precipitano
giù
in fondo alla valle
mentre il cuore gioisce.
10
In montagn
Ogni pietra
più stagion
chiamo de
uguali fra i
Ogni pietr
lavata e de
che l’hanno
C’è tanto s
solo nel cu
Nel silenzio
GABRIELLA MORGAGNI
SILENZIO
In montagna ritrovi il silenzio a cui non sei più abituato.
Ogni pietra parla del cambiamento dei tempi, delle stagioni che non sono
più stagioni, del respiro delle persone che camminano fra i sentieri, del richiamo delle creature diurne e notturne, del vento che fischia canzoni mai
uguali fra i rami degli alberi.
Ogni pietra racconta delle nuvole bianche del cielo, della pioggia che l’ha
lavata e della neve che ha cullato i suoi inverni, ma anche dei raggi del sole
che l’hanno scaldata.
C’è tanto silenzio in montagna e ciò che ogni pietra può raccontare lo senti
solo nel cuore.
Nel silenzio, senti la sua vita.
11
MAURIZIO MARALDI
IN ALTO
Quassù il silenzio…
sono immerso nella natura
odo il vento… che sfiora e insegue
le lunghe cime dei crinali
nel loro salire e scendere
disegnando “rumori e suoni”
agitando le fronde degli alberi
le fa assomigliare a gigantesche ballerine hawaiane
viste in vecchi cartoni americani.
Odo l’acqua… nell’impeto dei torrenti
che pur nella loro giovane forza
sprigionano energia, sana, pura e pulita
a chilometri zero gorgheggiando felici verso valle.
Quassù il silenzio…
nella pace di questi luoghi
mi sembra di essere più vicino a Dio
e la mente mi riporta alla memoria
attimi di vita trascorsa in gioventù.
Ma ora è tardi… la notte incombe.
purtroppo è l’ora… di tornare sulla terra.
12
Ognuno v
poter vive
in serenità
con se stes
per poter
e apprezza
la vera ess
cielo di pe
canzone d
nubi ciner
brillii d’arg
nel chiaro
Speranze
ondeggian
mossi da p
vino novel
guardando
riposare n
Si sente un
il richiamo
acque cris
sentiment
si affollano
come acqu
GLORIA GAZZONI
IL GRANDE FASCINO DELLA MONTAGNA
Ognuno vorrebbe
poter vivere sulle vette più alte
in serenità e armonia
con se stesso e gli altri
per poter saper cogliere
e apprezzare
la vera essenza della vita:
cielo di perla,
canzone d’amore e di rose,
nubi cineree dai riflessi plumbei,
brillii d’argento
nel chiarore più lucente.
Speranze e sogni salgono dal cuore
ondeggiando nell’oscurità,
mossi da pensieri e illusioni,
vino novello,
guardando radici e germogli
riposare nel terreno.
Si sente un lamento lontano,
il richiamo di un uccello sperduto,
acque cristalline scintillano al sole,
sentimenti di speranza e di consolazione
si affollano e sgorgano
come acqua sorgiva.
13
LUCIANO FOGLIETTA
ANGIOLETTINO E IL CERVO
Questa storia la sentii raccontare tanti anni fa da Angiolettino, un bigonciaio di Maggiona, un villaggio dell’alto Casentino: “Avevo lavorato tutto il
giorno nella foresta compresa tra il Sacro Eremo e il Passo del Porcareccio.
Dovevo consegnare quaranta mastelli per uva alla Musoleia, la fattoria dei
monaci di Camaldoli posta sulla strada per Poppi. Avevo trasformato tanti
tronchetti di faggio in belle doghe bianche. Verso le sei della sera mi avviai
verso casa stanco morto. Giunto in una piccola radura già invasa dall’oscuro
mi trovai di fronte ad un maestoso cervo. Avanzava fiero ma circospetto. Mi
fermai. L’animale veniva dalla parte in cui un raggio obliquo di sole, sfiorando le cime degli abeti, lo colpiva proprio nel mezzo della fronte da cui si elevava un magnifico “palco” dagli innumerevoli pugnali. E’ da lì che si sprigionava uno scintillio. Sembrava che il corpo del cervo con quella luce si animasse di una nuova possente energia, che si trasfigurasse in una creatura formata d’oro e di smeraldi. Lo spettacolo mi mozzò il fiato. Il mio vecchio
cuore cominciò a pulsare come quando, da ragazzo, dopo una corsa sfrenata
ero costretto a buttarmi per terra di schianto per calmarmi. Mai avevo provato certe sensazioni. D’un tratto venni avvolto dalle tenebre. Nell’aria, o dentro di me, c’era un qualcosa che mi agitava. No, non avevo paura ma venni
egualmente preso dal tremito, lo stesso tremito che da piccolo mi veniva sentendo i versi dei gufi. La notte per me fu agitata. Sognavo il cervo incontrato
la sera prima e i suoi bramiti: grida cupe, tenebrose. Il mattino mi svegliai in
un bagno di sudore”.
Come andò a finire la faccenda, Angiolettino?
“Dopo alcuni giorni di indecisione – rispose il madiaio – un pomeriggio mi
presentai all’Eremo e chiesi di Padre Venanzio. Il vecchio monaco mi ricevette sulla soglia della sua casetta di sasso alberese. Sentito il mio racconto mi
disse: “Sappi, Angiolettino, che l’immagine del cervo che uccide la serpe
simboleggia Gesù che, a sua volta, uccide la morte. Forse quel che hai visto è
un segnale diretto da Dio a te e a tutti noi peccatori”.
Di lì a poco, e precisamente il 10 giugno 1940 l’Italia entrò nel vortice della
seconda guerra mondiale e fu un vero disastro.
14
Cammino
nel silenzi
nei ciottol
Non c'ero
quando le
riecheggia
mischiand
e la vita er
Si moriva
Si moriva
sorella e a
Con la luc
mi siedo f
in ascolto
di una ma
che ancor
giù, nella v
DANIELA CORTESI
NON C’ERO
Cammino
nel silenzio che si schianta sotto i piedi,
nei ciottoli sparsi del sentiero.
Non c'ero
quando le grida dei combattenti
riecheggiavano fra le pareti
mischiandosi alla speranza
e la vita era tutt'uno con gli ideali.
Si moriva in questo silenzio.
Si moriva di questa montagna
sorella e assassina.
Con la luce che sfuma sul crinale
mi siedo fra la polvere,
in ascolto della preghiera
di una madre in pena
che ancora risuona
giù, nella valle.
15
SAMUELE MAZZOTTI
TIMORE
Vederle mi intimoriscono.
Ho paura e capisco,
quanto sia stato Grande Dio
nel formarle,
impastandole con le sue mani.
Quando l’uomo
farà prodigi come lo sono le montagne,
allora io non avrò più paura
dell’uomo.
El dà 'n sò
sla frónt e
di déd dle
Adès t'à el
do' la mós
Stém vicèn
da le scì d
viv la strég
A cnosc' d
mo par pa
S'a me tóf
e s'a vól, e
tun unigh
par arpurt
LA STREGA
e sulle labb
azzurro, qu
tracciato/dal
lingue dime
devo toccar
che ci rapisc
16
GIANLUCA MANCINI
LA STRÉGA D'LA MUNTAGNA
El dà 'n sògn da fèbra l'argènt d'la luna
sla frónt e sle labra, un bavàj
di déd dle onbre sutil e 'nturcijèd.
Adès t'à el vis azór, maquasó
do' la mósga è 'n fógh de stell.
Stém vicèni tel sentìr tracèd
da le scì d'le lumègh: maché
viv la stréga d'la muntagna.
A cnosc' dle léngv dmentighèd
mo par parlè sa te sól silènzi.
S'a me tóff, a jò da tuchè 'l fónd
e s'a vól, el cél: gém insém,
tun unigh brévid ch'ce rapésc'
par arpurtèc ma chèsa nostra.
LA STREGA DELLA MONTAGNA - Sogni da febbre dà l'argento della luna/sulla fronte
e sulle labbra, un bavaglio/di intricate dita sottili delle ombre./Il tuo volto adesso è
azzurro, quassù/dove la musica ha il fuoco delle stelle./Stiamo vicini nel sentiero
tracciato/dalla scia delle lumache: è qua/che abita la strega della montagna/Conosco
lingue dimenticate, vero,/ma per parlare con te c'è solo il silenzio./Quando mi tuffo,
devo toccare il fondo/e quando volo, il cielo: andiamo insieme,/nel brivido unico
che ci rapisce/per riportarci nella nostra casa.
17
UMBERTO PASQUI
CRINALI
Scendeva a rotta di collo dalla vetta del monte Tiravento un masso. Inciampava
qua e là tra ciuffi d'erba, tra altri sassi, rimbalzando, corroborando la spinta verso
zone inferiori.
Aggirò radici, rami sospesi fino a fermarsi, spezzandosi in due; fragile argilla, custode, forse, di relitti di tempi remoti, di tracce di bestie estinte, di vita pietrificata.
Un tizio da un nome insignificante (nessuno mai se lo ricordava) stava dormendo su
un'amaca e, durante il riposo, fece numerosi incubi.
Percepiva fantasmi sotto di lui, vedeva facce strane nel cielo scuro.
Cose inquietanti, ma non abbastanza per vincere il sonno nella frescura dell'ombra
estiva.
Forse aveva mangiato un pranzo troppo sostanzioso alla vicina trattoria.
Quel sasso spezzato in due lo destò: ne era stato colpito in testa.
Riprese il respiro dopo una breve apnea e riemerse alla luce tinteggiata di tenebra.
Notò che l'amaca non era più stretta a due larici, ma a due alte rose dai petali rossi e
biforcuti.
Era finito oltre il crinale del sogno, e quel sasso, precipitato così, all'improvviso, aveva solo ridestato una parte della sua coscienza. Il resto di lui, ancora, dormiva: o
dormiva da sempre.
La riconquista della realtà implica uno sforzo, un alzarsi.
Scese dall'amaca, dalla pigra comodità del fresco del bosco e iniziò a salire verso la
vetta.
Era l'unico modo, così pensò, di liberarsi dall'incubo in cui era entrato. Lo sforzo
principale era quello di mettersi in piedi e di rinunciare il riposo per inoltrarsi in un
sentiero tutt'altro che pervio. Una dura salita, aspra, terrosa, in parte resa agevole
dall'ombra di alberi antichi.
Ma la cima... Così lontana. Non volle tornare indietro: era determinato e proseguì.
Il bianco e il rosso segnati sulle cortecce davano almeno il sollievo della giusta direzione.
Finché la luce vinse raggiunto il crinale.
Da lì poteva vedere il suo passato e il suo presente, i suoi incubi e i suoi sogni, la sua
immaginazione e la realtà. Era nell'equilibrio del desiderio, occorreva solo una spinta, come quella che fece balzare giù il masso che lo ebbe ridestato.
Da lassù poteva scorgere la comoda amaca, ma ammirava un sole splendido, verso il
tramonto, intriso di colori caldi e avvolgenti, che pareva immergersi in un futuro
caldo e appassionato.
Così scelse quella direzione. La storia, in effetti, è una linea a senso unico.
18
Il lungo pe
della strad
offre, a so
ogni volta,
immagini
Distese co
Boschi mi
Ruscelli fr
Cime a so
di una gue
con sacrifi
Pennelli p
disegnano
Il viaggiato
il mistero.
CESARINA LUCCA
I SEGNI DELLA MONTAGNA
Il lungo percorso
della strada contorta
offre, a sorpresa,
ogni volta,
immagini diverse.
Distese concilianti
Boschi misteriosi
Ruscelli fruscianti.
Cime a sostegno
di una guerra combattuta
con sacrificio e speranza.
Pennelli precisi e misurati
disegnano spazi.
Il viaggiatore ne respira
il mistero.
19
CARMEN MAZZA
VANNO I MIEI PIEDI
Vanno i miei piedi
come leggeri piedi di bambini
che corrono sull'erba.
Corrono veloci
per lasciare i ricordi
e andare verso il futuro.
Vanno i miei piedi
su foglie scricchiolanti
di un autunno dorato.
Esitanti si fermano
a guardare montagne innevate
da scalare a piedi nudi.
Vanno i miei piedi
nell'acqua del fiume
che canta e sussurra la vita.
Scivolano pesci argentati
fra le dita che colgono
inaspettate conchiglie.
20
Passeggian
cadere. Si è
relle che la
senza posa,
brava una fa
suo amato a
già appariva
do di quell’
merli propri
Che bello ve
bile maestria
E la foglia ra
“Che belliss
battibecchi e
all’imbrunir
vedere nasc
incerti, poi
avermi regal
giorni prima
re è stato p
insieme alla
volto il mio
me alle gocc
rittura il ma
dal canto d
Quando il s
quasi ferma
del sole e qu
è arrivato; f
volare il mi
tardo pome
re in me la
quali esplor
tura… potrei
Grazie… gra
che bella gio
PAOLA RICIPUTI
DANZA D’AMORE DELLA FOGLIA
Passeggiando senza meta, risalivo la collina e alzando gli occhi ho visto una foglia
cadere. Si è staccata, lieve, ed ha iniziato la danza d’addio al suo ramo e alle sue sorelle che la salutavano dondolando alla dolce carezza del vento che soffiava leggero,
senza posa, lì, sul crinale. Ha volteggiato un po’, macchia gialla nell’aria tersa, sembrava una farfalla vagabonda … poi si è posata con delicatezza sull’erba, ai piedi del
suo amato albero. Lì è rimasta distesa ad ammirare il suo ieri, l’azzurro del cielo che
già appariva fra il fogliame diradato: sembrava volersi imprimere nell’anima il ricordo di quell’estate così assolata e calda e del regalo che aveva ricevuto… un nido di
merli proprio sul suo ramo…
Che bello vedere prendere vita quell’accogliente rifugio frutto di impegno e instancabile maestria che parlano dell’amore Divino e dei talenti donati da quell’Amore.
E la foglia racconta:
“Che bellissima primavera abbiamo condiviso! E quanti cinguettii, quante canzoni,
battibecchi e allegri trilli hanno colorato i miei mattini e le mie sere… e canti solitari
all’imbrunire! È stata davvero una meraviglia poter vivere una vita tanto lunga da
vedere nascere una famiglia, crescere i piccoli e vederli prendere il volo, dapprima
incerti, poi sempre più sicuri e padroni delle proprie giovani ali. Grazie Dio, per
avermi regalata una così bella vita; oh, lo so, molte mie sorelle aspetteranno ancora
giorni prima di partire, ma non sono triste e non lo sono nemmeno loro. Il mio vivere è stato pieno e gioioso, ho donato la mia piccola ombra e ho volteggiato felice
insieme alla brezza. Ho vissuto con trepidazione l’arrivo della tempesta che ha sconvolto il mio albero, non sapevo se la vita mi avrebbe donato un vorticoso volo insieme alle gocce di pioggia scendendo a valle, se avrei conosciuto il fiume o forse addirittura il mare con la sua immensità. I miei sogni sono stati lievi e sereni, carezzati
dal canto dei grilli che donavono le loro serenate al mondo con amore infinito.
Quando il sole tutto arroventava, il frinire delle cicale cullava il mio riposo nell’aria
quasi ferma. Tanta quiete e bellezza hanno colorato i miei giorni di giallo, il colore
del sole e quando ho assorbito davvero tutto l’oro che potevo contenere, il momento
è arrivato; finalmente potevo spiccare il volo che attendevo da sempre e iniziare a
volare il mio unico, esaltante VOLO! e ad ogni volteggio nell’aria frizzantina del
tardo pomeriggio di ottobre esprimevo un Grazie, grazie, grazie… Già sentivo nascere in me la voglia di un nuovo sogno… Nascere di nuovo! Forse non più crinali dai
quali esplorare la vita, forse l’aria salmastra della pineta mi accarezzerà, forse addirittura… potrei nascere da un uovo, un piccolo comodissimo nido… Chissà!
Grazie… grazie… grazie Vita…
che bella giostra, non mi stanco mai di giocarci… meraviglia!
21
LOREDANA ZACCARINI
CRINALI
Pettini
che passano
fra i capelli della montagna…
onde
di un mare verde
che respira nel tramonto…
sentieri
di uomini antichi
che cercavano i confini del mondo.
Montagna
possente d
Montagna
gna indistin
Montagna
dellano sen
mente.
Montagna
ti di pace, m
sassi.
Montagna
vita è press
so le innum
Montagna,
prima volta
una miriad
tuoi boschi
Montagna
tuoi crinali
bertà.
22
VALERIO TISSELLI
MONTAGNA
Montagna ridente con i tuoi crinali ricoperti di boschi e di prati, montagna
possente di nuda roccia dalle forme e dai colori più svariati.
Montagna dai contorni netti che si stagliano contro il cielo assolato, montagna indistinta avvolta nella nebbia o coronata da una coltre di nubi.
Montagna dai crinali aguzzi e scoscesi che il vento, la pioggia ed il gelo modellano senza tregua, montagna dai declivi arrotondati che degradano dolcemente.
Montagna silenziosa verso la quale l'uomo si incammina per trovare momenti di pace, montagna dalle cui pendici scendono torrenti fragorosi di acqua e
sassi.
Montagna alla sommità ammantata del bianco dei tuoi ghiacci perenni ove la
vita è pressoché impossibile, montagna altrimenti accogliente e generosa verso le innumerevoli creature che più in basso popolano i tuoi crinali.
Montagna, ti amo; ti ho amata da quando, ragazzo, mi sono incamminato, la
prima volta, sui tuoi sentieri, da quando ho ammirato i tuoi prati popolati da
una miriade di fiori e di insetti variopinti e ho apprezzato la maestosità dei
tuoi boschi.
Montagna ti rispetto, riconoscente, poiché sei generatrice di vita e salendo i
tuoi crinali trovo sempre tanta serenità e sento appagato il mio anelito di libertà.
23
TEBE FABBRI
SPEME
Il silenzio
dell’anima pacificata
della brezza leggera all’alba
della bianca montagna
dello sguardo infante confuso
in sommo bene
della folla impietrita a
imponderabile luce.
Pace silente, attesa d’universo!
Bianche n
evanescen
nitide, vela
si muovon
sulla solita
della Tofa
massiccia
dove resis
di primave
Nel loro le
le attrae u
o l’azzurro
ne blandis
Poter pen
il mistero
di quella b
che si stem
in solitudi
lassù.
24
RINA FIUMANA
NUVOLE SULLE TOFANE
Bianche nuvole
evanescenti,
nitide, velate,
si muovono leggere
sulla solitaria muraglia
della Tofana,
massiccia roccia
dove resiste l’ultima neve
di primavera,
Nel loro lento girovagare
le attrae una meta
o l’azzurro vuoto
ne blandisce l’irrequietezza?
Poter penetrare
il mistero
di quella bianca evanescenza
che si stempera
in solitudine
lassù.
25
GIUSEPPE VENTIMIGLIA
BRIGANTI O MIGRANTI?
I briganti sono stati sconfitti e molti sono stati uccisi, imprigionati, mandati ai lavori
forzati... dunque il sogno di una rivoluzione dei contadini è sfumato, svanito, con
l’unità d’Italia. Resta la possibilità di diventare migrante, partire per le Americhe, da
dove nessuno riusciva a realizzare il sogno di ritornare. Chi ci riuscì ebbe a dire: “Merica bedda cu ti vò lassari, 24 anni …400 lire”.1 L’America dunque non era la
terra promessa, ma una terra maledetta, che ha cancellato la storia di generazioni
intere.
Ma facciamo una salto di circa un secolo: 1961. Un’altra ondata di emigrazione ha
decimato San Lorenzo e tutto il Sud. Questa volta verso il nord: Germania, Belgio,
Torino, Milano…
Zio Frisco Antonio era “n’umminunu”2, forte come una quercia; un uomo buono,
onesto, di buon senso, ma più per natura che per educazione. La gente si rivolgeva
a lui per risolvere le controversie in merito a divisioni o assegnazioni di quote ereditarie, quando era necessario “jettà i buscili”3. Lui era maestro in questo, una sorta di
giudice, capace di essere imparziale, che fungeva da paciere, un’autorità che gli veniva riconosciuta essendo considerato da tutti uomo assennato e di giudizio…
Ma la povertà mordeva tutti, compresa la sua famiglia e dunque, pensò di partire
anche lui.
La sofferenza dell’emigrante è grande e profonda.
A Milano gli manca tutto. Gli manca lo splendore del sole, quando si sveglia e non
vede la Timpa4 che piano piano si illumina… e quando il sole arriva sul picco
dell’aquila l’orologio segna le 5.30 del mattino.
Gli manca il profumo delle ginestre, il volo du “frica-vintu”5, il cambio delle stagioni,
le nuvole che giocano nelle gole del raganello, le risate.. . sì... le risate di Marsilia6,
che ammalia gli uomini e si prende gioco di loro.
Gli manca tutta la scena vissuta in quella vallata bella ed incontaminata, incorniciata
dalle Timpe.
Quello che sente dentro è solitudine, rabbia, pensieri e dolori che non sono diversi
da quelli dei briganti.
1.“America bella chi ti vuol lasciare, 24 anni… 400 lire”
2. Un grand’uomo
3. “gettare i numeri” (in caso di più pretendenti a un’eredità terriera si dava un numero ad ogni particella e poi a seconda dei numeri che si estraevano si assegnava ad ogni erede la particella colnumero che
sortiva)
4. Rilievo montano
5. Gheppio
6. Figura mitologica che pari a una Circe ammaliava gli uomini
26
*
Solitario fi
mi so, che
sulla fragil
Di erbe pi
di querce
neri
come pium
su calanch
nella mia t
da dure pi
mi ricono
VITTORIO CASADEI
*
Solitario figlio di un’antica razza disperata
mi so, che aridamente un vento scolpisce
sulla fragile terra che m’innalza.
Di erbe piegate
di querce furiose e cipressi
neri
come piume di gallo ad arco tese
su calanchi di pallide riviere d’autunno,
nella mia terra
da dure piogge scarnificata
mi riconosco.
27
FABBRI FEDERICO
SEMPRE
Solo la solitudine
a farmi compagnia.
Rumorosi silenzi
echeggiano nella mia mente
lasciandola sgombra,
riempiendola di pensieri.
Bevo acqua ghiacciata
da ruscelli cristallini.
Ad ogni passo l’aria
si impossessa di me
rendendo impossibile
la mia partenza.
Mi corico sopra soffici foglie,
accompagnato da stelle
che rendono vivo il muovere del vento.
Sogno di rimanere nelle mie montagne per sempre,
e so che il mio posto è qui,
avvinghiato al suolo da radici secolari.
28
Tremula u
e si posa i
crepita un
e finisce in
scricchiola
e crolla ne
È un lieve
e un tiepid
è un ventr
e una prov
ed è casa p
TOSCA CERASOLI
A CASA
Tremula un sospiro nel vuoto
e si posa in affanno su un ramo,
crepita un passo sull’abisso
e finisce in un volo di nubi,
scricchiola uno sguardo su un tronco
e crolla nell’eco del vento.
È un lieve cielo questa cima,
e un tiepido mondo questo monte,
è un ventre gravido la terra
e una prova greve questa roccia;
ed è casa per chi passa senza peso.
29
MARINO MONTI
LA MI CA
L’è un campé
a l’êria averta
la mi ca.
E in che grân vuit
ch’u na murai
ch’e’ fa tarmé
la fiâma sora a e’ zoch
ch’la lasa falugh
coma sogn
tra al pigh di linzul
a las
cl’udor di munt
a e’ bèvar dla gabâna
d’una stré
senza segn,
tra e’ starluché dal piant
indò che u i pasa sol e’ fiom.
Coma jir svigés
sintì e’ pés dl’armor
tra i sès,
tra ch’j ôc
sguilé int l’acva,
l’armuni de’ vent
tra la màcia,
tra e’ fóm d’una carbunêra.
LA MIA CASA – È un vivere all’aria aperta/la mia casa./E in quel gran vuoto/che non
ha muri/che fa tremare/la fiamma sul ciocco/che libera faville/come sogni/tra le pieghe delle lenzuola/lascio/quell’odore dei monti/ai margini/di una strada/senza tracce/
tra il luccichio degli alberi/dove solo il fiume scorre./Come ieri svegliarsi/sentire il
peso del rumore/tra i sassi/tra gli occhi/scivolati nell’acqua,/l’armonia del vento/tra il
bosco,/tra il fumo di una carbonaia.
30
Era una ca
Una casa v
bui del Me
era rifugiat
dei Comun
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te ricche d
cognome d
frazione.
L'origine m
fiume attig
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Se ne sono
Il passato n
vita è un an
Chi scrive
conoscenza
piccolo e a
Non rispet
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boschi non
persino un
che un sem
Una lingua
da qualche
Una lingua
lingua si es
SANDRA EVANGELISTI
CASE NEL BOSCO
Era una casa nel bosco.
Una casa vecchia di secoli. Sembrava risalisse al mille dopo Cristo. Ai secoli
bui del Medioevo nei quali una famiglia proveniente forse dal meridione si
era rifugiata in quel luogo per sfuggire a lotte fra guelfi e ghibellini all'interno
dei Comuni del tempo. Erano molte le famiglie rifugiate da quelle parti e ne
nacquero borgate particolari sparse sulle montagne selvagge e particolarmente ricche di macchia e di vegetazione. Ogni frazione portava come nome il
cognome della “gens” rifugiata lì, poi nacquero anche soprannomi per ogni
frazione.
L'origine medioevale rende particolari quelle case fatte di pietra portata dal
fiume attiguo e di travi di legno secolari. Hanno grandi e larghi camini con
incisioni nella pietra arenaria centrale e pavimenti in mattoni cotti rettangolari di antica fattura. Alcuni chiodi piantati nelle antiche porte e mobili rimasti
sono visibilmente forgiati a mano di ferro battuto e molte pietre dei davanzali
delle finestre e degli stipiti delle porte d'ingresso portano i segni dello scalpello. Nei manufatti più datati si vedono chiaramente i segni di un'età molto
antica.
Ma è accaduto nel tempo che quello che era destinato a durare grazie alla
maestria degli antichi costruttori si è rovinato.
Se ne sono andati gli anziani e i saggi che illuminavano quei luoghi.
Il passato non ritorna. Si può solo andare avanti ed è giusto che sia così. La
vita è un andare sempre avanti, anche oltre il proprio tempo particolare.
Chi scrive sa per esperienza personale che non si può andare avanti senza la
conoscenza della propria storia e di quella del mondo, anche di un mondo
piccolo e antico come quello delle case nel bosco.
Non rispettandola e non ascoltandone nemmeno i costumi , quella che fu
una comunità muore a poco a poco a causa del nulla presente . Le case nei
boschi non erano questo. Avevano un volto e una storia, e usi e tradizioni e
persino una loro lingua in via di estinzione: il “boscaiolo”. Il “boscaiolo” più
che un semplice dialetto sembra una lingua per la sua estrema particolarità.
Una lingua parlata di cui restano ben poche tracce scritte, raccolte di recente
da qualche appassionato studioso delle tradizioni di quei luoghi.
Una lingua fa di una comunità un popolo seppure minuscolo. E insieme alla
lingua si estinguono un popolo e la sua cultura.
31
FULVIO GRIDELLI
VA SÒ
T vé sò:
t cióud i òcc
érva i òcc,
t vé sò.
Sòul e léuna
léuna e sòul,
mét al mèni
dróinta i béus:
sèl t bazóil?
Va sò d’in là,
u n gnè e sentir
mét i pi sòura i sas.
E tè che t vé sò
ma la muntagna,
sla tu ligaza tla scòina
che t pér òna furmóiga.
T riverè in chéva?
E u i è òna chéva
in sta muntagna?
Tanimódi, dès,
t’è snò e buróun zò...
Va sò.
Arrampicati - Ti arrampichi:/chiudi gli occhi/e apri gli occhi,/ti arrampichi./Sole e
luna/luna e sole,/metti le mani/dentro i buchi:/cosa ti preoccupi?/Arrampicati da
quella parte,/non c’è il sentiero/metti i piedi sui sassi./E te che ti arrampichi/su quella
montagna,/col tuo fardello sulla schiena/che sembri una formica./Arriverai in cima?/
E c’è una cima/su questa montagna?/Ad ogni modo, adesso,/hai solo il burrone sotto…/Arrampicati.
32
Eravamo i
Venne con
Si stupì di
Tornò con
Ci fu un a
Poi scende
aguzzando
Il piede sf
scivolati n
Nel silenz
la nudità d
si ribaltava
si attenuav
si arrestav
creando e
nel volo d
Un brivido
Ci salutava
mentre la
LAURA PUGLIA
AL RIFUGIO
Eravamo in cinque e la donna portò sei piatti.
Venne con un vassoio e portò sei sorbetti.
Si stupì di questo sei persistente.
Tornò con tre bicchieri per mano.
Ci fu un attimo di silenzio. Chi era il sesto invitato?
Poi scendemmo cercando marmotte nelle crepe
aguzzando lo sguardo nelle fenditure.
Il piede sfiorava docili meteoriti
scivolati nei sedimenti dei crinali.
Nel silenzio un flauto attraversò
la nudità della roccia: le note
si ribaltavano negli anfratti e nelle gole
si attenuavano negli adagi
si arrestavano sui dirupi
creando echi e richiami
nel volo dei gracchi corallini.
Un brivido ci prese i polsi e le giunture.
Ci salutava invisibile lo sconosciuto assente
mentre la sera impallidiva le nostre ombre.
33
COSTANZA SAVINI E MARCO CAVARA
I CINQUE TESORI DELLA GRANDE NEVE
A L’USTA
Era stato un discreto viaggiatore. La natura selvaggia ogni volta aveva ispirato e guidato la sua ansia di conoscenza. In lui c’era una pulsione di possedere qualcosa, una particella forse, della luminosa purezza delle montagne, dei
deserti e delle foreste. Ora non era più giovane, ma continuava a viaggiare lo
stesso anche se questa sua passione si era un poco offuscata con gli anni.
Tuttavia un luogo gli serbava ancora intatto il suo fascino. Sembrava esistere
una terra incantata dove le montagne svettavano su foreste color di smeraldo.
E, come se non bastasse, quelle contrade lo chiamavano con nomi magici e
meravigliosi: Monti del Drago Nero, Regina delle Nevi, Sentinella
dell’Ovest. Tra queste montagne una in particolare aveva concentrato in sé
tutte quelle attrattive e da tempo quasi lo ossessionava con il suo richiamo: il
Kanchenjunga che significa I Cinque Tesori della Grande Neve. Era giunto
alle sue pendici lussureggianti alla fine della stagione delle piogge, quando la
montagna si slancia con i suoi immacolati ottomila metri dal verde cupo delle foreste di magnolie in fiore. Non era un alpinista e perciò si proponeva
solo di ammirarla dai villaggi e dai monasteri più vicini, simili a dei mandala
in pietra, di cui sono costellate le sue pendici. Ora è opinione comune tra i
viaggiatori che quelle terre incantate creino una illusione di armonia, una
ingannevole sensazione di pace e di assenza di pericolo: una sorta di fata
morgana per i sensi molti sottili. Così le ultime notizie che le autorità locali
riuscirono a raccogliere su di lui, ricostruendone il percorso, lo perdono nel
villaggio di Katho-Pani da cui ha inizio un sentiero che si inerpica alla base di
un ghiaccio che altri non è che uno dei Cinque Tesori della Grande Neve. E
dove, a quanto si dice, si trova il leopardo dai denti immacolati, per questo
ritenuto sacro da santi e poeti. Inoltre l’idea di poter penetrare nel cuore vivo
e palpitante della montagna dove si trovano, ancora dalle origini del mondo,
le “matrici” delle cose, deve aver guidato i suoi passi lungo quel sentiero così
poco battuto. Dopo qualche giorno di ricerche fu dato ufficialmente per disperso. Ci piace credere che quell’inquieto sognatore, come rispondendo a
un invito silenzioso, si sia recato lassù, verso quello infinito richiamo, per
trovare nella luce respirante delle vette, quel qualcosa di perfetto che era andato cercando per tutta quanta la sua vita.
Una volt
a l’ustari’
dri’ m’ e’
una masa
al s’ chés
e a s’ truv
(ach sgui
arnì’.
ALL’OSTER
ombre/ci c
34
GIANCARLO BIONDI
A L’USTARI’ DI’ CRINÉLL
Una volta ‘d fura
a l’ustari’
dri’ m’ e’ fiòum
una masa d’ómbri
al s’ chésca m’adòs
e a s’ truvém a matèra
(ach sguilòun)
arnì’.
ALL’OSTERIA DEI CRINALI - Una volta fuori/dell’osteria/vicino al fiume/moltissime
ombre/ci cadono addosso/e ci troviamo a terra/(che scivolone)/infangati.
35
SILVIA CECCHI
AI MONTI
La visione dei monti incute pace
Lo spazio è tempo, il tempo è spazio
che vibra di cielo
puro suono che tace
-monti – tu dici
ed è nome del nome.
Altra cosa è l’umano
(così sospeso a un senso
così smarrito nel risalire
mille volte la china
del crudele e vano
con un gesto gentile…)
Non so quale enigma
dei due
sia più immenso
o più pauroso
36
Delle mon
m'affascin
non ce n'è
Amo il ve
non sono
Osservand
talvolta co
tra calanch
Noto da lo
che avving
Or che las
da brama
ma v'osser
BRICCOLANI SERGIO
LA MONTAGNA E I SUOI CRINALI
Delle montagne e dei suoi crinali
m'affascina l'argomento,
non ce n'è d'uguali.
Amo il verde, il paesaggio e la campagna
non sono ignaro, le mie origini sono di montagna.
Osservando poi le cristalline acque
talvolta con impeto, talora tra la quiete
tra calanchi a valli le lor discese.
Noto da lontano il sol nascente
che avvinghia il manto bianco sin dalle sette
Or che lassù state con baldanza e maestria
da brama e smania di raggiungervi invaghito,
ma v'osservo da lontano in allegria
37
EUGENIO VITALI
LE MONTAGNE
Le montagne hanno onde di crinali,
quando il sole le accarezza
schiumano di verde,
tracce di vette innalzate
dagli abissi.
La pioggia
lascia gelsi di profumi
e la magia delle notti
nel loro sonno la protegge.
Le montagne
sono vedette che si guardano
l’un l’altra
e hanno sangue verde di silenzi.
Come quadri d’autore
si lasciano possedere
anche da un’impronta sconosciuta.
Il cielo le tiene aquile
sempre in volo.
I crinali si scambiano i volti
per essere proiettati sempre
nel futuro.
38
Tutta la m
respirava u
come se fo
dalla sua p
immobilit
e delle ore
che divent
nell'astrazi
Nebbia e v
raggi obliq
E il silenzi
Anche la m
all'erta sul
non osava
Il rumore
diventava
Come il fr
di un libro
ORNELLA LOTTI VENTURINI
QUIETE
Tutta la montagna
respirava una quiete profonda,
come se fosse evasa
dalla sua peculiare esistenza :
immobilità degli elementi
e delle ore
che diventavano eterne
nell'astrazione del più corto istante.
Nebbia e vapori intorno a noi,
raggi obliqui, rosee ombre.
E il silenzio.
Anche la marmotta,
all'erta sulla soglia del suo rifugio,
non osava muoversi.
Il rumore più piccolo
diventava presenza...
Come il fruscio delle pagine
di un libro che si sfoglia.
39
ALESSANDRO RAMBERTI
PROSPETTIVE
I monti maestosi che costellano
il profilo orizzontale del braccio
la linea che non c’è fra cielo e cielo
ci mostrano i cammini che interpellano
(come perché a che scopo?)
i fuochi di una rete-meraviglia
il senso di ogni senso e di ogni suono
lo snodo dai molteplici percorsi
il frutto di una concretezza a briglia
(la crasi di ogni tropo)
sciolta: ci indica altri universi
immersa nei colori dei sospiri
nel timbro musicale dell’oceano
nei sogni oscuri inquieti calmi e tersi
(il prima assume il dopo)
di cui si nutre il cuore che ci spinge
a superare il valico insidioso
a chiedere l’aiuto e ad aiutare
a porgere la mano a chi l’attinge.
40
Sandra Ma
Francesco C
Dauro Pazz
Daniele Ba
Riccardo B
Laura Beon
Gabriella M
Maurizio M
Gloria Gaz
Luciano Fo
Daniela Co
Samuele M
Gianluca M
Umberto P
Cesarina L
Carmen M
Paola Ricip
Loredana Z
Valerio Tis
Tebe Fabbr
Rina Fiuma
Giuseppe V
Vittorio Ca
Federico Fa
Tosca Cera
Marino Mo
Sandra Eva
Fulvio Grid
Laura Pugl
Costanza S
Bologna
Giancarlo B
Silvia Cecc
Sergio Bric
Eugenio Vi
Ornella Lo
Alessandro
INDICE
Sandra Mazzini
Ritorno a casa
pag. 5
Francesco Ciotti -Cesena
Alla ricerca della montagna
con la carta in mano
»
Dauro Pazzini-S.Arcangelo di R.(RN) Autunno
»
Daniele Baldinotti-Forlì
Proteso all’infinito
»
Riccardo Belloni - Ravenna
Solitudine
»
Laura Beoni-Santa Sofia (FC)
Velluto
»
Gabriella Morgagni-Forlì
Silenzio
»
Maurizio Maraldi-Forlimpopoli (FC) In alto
»
Gloria Gazzoni-Forlì
Il grande fascino della montagna »
Luciano Foglietta-Santa Sofia (FC) Angiolettino e il cervo
»
Daniela Cortesi-Forlì
Non c’ero
»
Samuele Mazzotti-Cesena
Timore
»
Gianluca Mancini-Pesaro
La stréga dla muntagna
»
Umberto Pasqui-Forlì
Crinali
»
Cesarina Lucca-Forlì
I segni della montagna
»
Carmen Mazza-Forlì
Vanno i miei piedi
»
Paola Riciputi-Forlì
Danza d’amore della foglia
»
Loredana Zaccarini-Forlì
Crinali
»
Valerio Tisselli-Forlì
Montagna
»
Tebe Fabbri-Forlì
Speme
»
Rina Fiumana-Forlimpopoli (FC)
Nuvole sulle Tofana
»
Giuseppe Ventimiglia-Forlì
Briganti o Migranti?
»
Vittorio Casadei-Santa Sofia (FC)
Solitario figlio …
»
Federico Fabbri-Santa Sofia (FC)
Sempre
»
Tosca Cerasoli-Forlì
A casa
»
Marino Monti-Forlì
La mi ca
»
Sandra Evangelisti-Forlì
Case nel bosco
»
Fulvio Gridelli-S. Mauro Pascoli (FC) Va sò
»
Laura Puglia-Parma
Al rifugio
»
Costanza Savini e Marco CavaraBologna
I cinque tesori della grande neve »
Giancarlo Biondi-Gambettola (FC) A l’ustari’ di’ crinéll
»
Silvia Cecchi-Pesaro
Ai monti
»
Sergio Briccolani-Forlì
La montagna e i suoi crinali
»
Eugenio Vitali-Ravenna
Le montagne
»
Ornella Lotti Venturini-Santa Sofia Quiete
»
Alessandro Ramberti-Rimini
Prospettive
»
6
7
8
9
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Sede : NuovArci – Via F.lli Spazzoli, 49
47121 Forlì
Redazione: Via Paradiso, 4 – 47121Forlì
Tel. 0543/092569– 402300 – 704627
Fax 0543/092569
E. mail: [email protected]
Stampato a Faenza nel mese di Settembre 2014
GRAFICA E IMPAGINAZIONE DI CLAUDIA BARTOLOTTI
ORGANIZZAZIONE E COORDINAMENTO:
DAVIDE ARGNANI
CLAUDIA BARTOLOTTI
GIORGIO CASADEI TURRONI
42
43
sul tema
Partecipano al convegno per un breve saluto:
Luca Santini Presidente del Parco
l’Addetto Responsabile Cultura del Comitato Soci di
Coop Adriatica
Relatori:
Prof. Oscar Bandini Giornalista, Storico ed esperto del Parco,
Luciano Foglietta Giornalista e Storico esperto del Parco
Nevio Agostini Naturalista e responsabile del Servizio
Promozione e Conservazione della Natura del Parco
Giovanni Quilghini attuale amministratore delle
Foreste Casentinesi e responsabile dell’Ufficio Territoriale
per la Biodiversità di Pratovecchio
Dott. Emanuele Vazzano curatore della mostra “Cento anni della
Foresta Casentinese”
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