SOLO (da “Ritorno Poesia e Natura nel Parco XXIV Edizione ...DALLA GRANDE MONTAGNA SOLO UN CANTO D’INFINITO SILENZIO... (da “Ritorno a casa” - “L’altra metà del cielo” di Sandra Mazzini, Editrice L’Ortica, 2009) Letture di: DANIELE BALDINOTTI PIF PAOLA RICIPUTI GIUSEPPE VENTIMIGLIA GRUPPO ORTICATEATRO GLI SLAN DI SANDRA Mi smarr Chiamai Corpo as Dalla gra solo un c Cercai di dentro di il caldo te del battit Cercai un a cui affi Sotto l’om incontra che non p tanto era Decisi di Mentre s vedevo a il mare to il battito comincia La faccia le mani la pelle tornano Terra gr di oro sem Finalmen ritrovo il Finalmen sto torna SANDRA MAZZINI RITORNO A CASA Mi smarrii che era l’estate più fredda. Chiamai a gran voce qualcuno. Corpo assente rispose. Dalla grande montagna solo un canto d’infinito silenzio. Cercai di evocare dentro di me il caldo tepore del battito materno. Cercai un frammento a cui affidare speranze. Sotto l’ombra di un melo incontrai una donna che non posso descrivere tanto era mia madre. Decisi di tornare. Mentre scendevo vedevo addolcirsi i giganti il mare tornava a scaldare il battito del cuore cominciava a placarsi. La faccia le mani la pelle tornano nuove. Terra grassa e scura di oro seminata. Finalmente ora, ritrovo il mio odore. Finalmente ora, sto tornando a casa. 5 FRANCESCO CIOTTI ALLA RICERCA DELLA MONTAGNA CON LA CARTA IN MANO Gli anni passano e i “caldoni” arrivano anche per gli uomini. Fattostà che questa estate afosa e questo caldo sudato e sempre meno sopportabile mi ha allontanato dal mare e mi ha portato più volte a visitare la nostra montagna e le nostre foreste dove la temperatura mediamente è dieci gradi in meno che in città. Da Bagno di Romagna a S. Sofia a Badia Prataglia i sentieri del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi sono ben segnati, ma se si vuole programmare bene la giornata, le soste e i tempi è obbligatorio dotarsi di una buona carta escursionistica. Se cercate mappe e carte dei sentieri via internet o su carta li troverete facilmente insieme a qualche bella storia romagnola. Su internet ad esempio ho trovato un sito straordinario “id3king”, ove id sta per impronte digitali, quelle dei piedi lasciate sui sentieri, e i 3 king sono in tutta modestia i tre curatori del sito. Tutti insegnanti e non più giovanissimi, Mauro Bellagamba, il fotografo, Attilio Macrelli, il grafico, e Paolo Biguzzi, l’analista topografo: dal 1999 ad oggi hanno condotto circa 600 escursioni nel nostro territorio, tutte rigorosamente documentate e fruibili da chi volesse passare dalla penna alle scarpe. Qualcuno vorrebbe aggregarsi nelle escursioni prossime venture al gruppo ristretto che si è formato intorno ai nostri tre re? Impossibile. Il gruppo, per ragioni organizzative e logistiche, è da tempo rigorosamente a numero chiuso e per quelli fuori del reame è un privilegio profittare comunque gratis di una tale mole di lavoro. Grazie, ragazzi… Siccome però io preferisco consumare le carte topografiche, di solito le acquisto, dopo aver fatto i panini dal fornaio, presso una fornitissima edicola di S. Sofia. L’ultima volta una le mancava. Allora ho pensato di rivolgermi direttamente a quell’Istituto Geografico Adriatico, indicato sulle carte come produttore delle stesse. Sotto vi era scritto anche l’indirizzo e il telefono. Indirizzo Longiano e prefisso 0547. Telefono: mi risponde una voce incerta e non più giovane che mi dà indicazioni chiarissime sul luogo: oltre Longiano verso S. Lorenzo in Scanno, per una strada sterrata fino a un casolare disperso nel bosco. Lo trovo, un signore mi aspetta sul cancello verde che si apre su di un’aia popolata di animali davanti a una tipica casa colonica romagnola. Il signore è solo, pantaloni corti e camicia come me nel caldo boia di quella giornata, spessi gli occhiali e grigi i capelli. Mi comincia a parlare con estrema gentilezza e un buonissimo italiano, ma con inconfondibile accento tedesco. Mi conduce al piano terra della casa. Ma invece che in soggiorno o cucina mi trovo in una enorme stanza ripiena di carte topografiche (tra le quali il signore prende subito con sicurezza quella che mi serve) e che dà su di un’altra stanza ancora più grande con tavoli, computer, fogli e sedie vuote. Il signore mi parla di quelle sedie e di quegli impiegati come se fossero ancora lì. Mi dice che lui ormai è in pensione e che il lavoro ora lo porta avanti un suo allievo di Cesena in un’altra sede. Il signore si chiama Detlef Musielak, cartografo di professione, formatosi a Monaco di Baviera. Innamorato di Longiano, vi è venuto a vivere e a lavorare dagli anni ’70 e non è più tornato in Germania. Detlef ama svisceratamente la natura e attraverso la natura e le carte ama anche l’umanità. Grazie alla sua carta ho scoperto il sentiero della Libertà, percorso da Biserno a S.Paolo in Alpe alla Lama al Sacro Eremo di Camaldoli il 12 aprile 1944 dai partigiani in fuga da 5.000 soldati tedeschi e repubblichini che li inseguivano, tra i colpi di mortaio e di fucile, col sangue amico e nemico che colava tra i cippi e le rocce. Così, riflettevo, grazie al lavoro di un cartografo tedesco, ritrovavo i morti della guerra di liberazione. Ho ringraziato la pace che è tornata e l’Europa che si è fatta. Ho ringraziato Detlef, ma non l’ho abbracciato per il suo pudore. Abbracciamolo tutti col pensiero. 6 Mè an so’ e’ ragn che sta tac Mè an vag sò ma la s sempra gia dal munta e piò dalò cagli è cum bèli mo sg Mè a m’ac da guardè dal ragazò sal tètti ad cal squézz dla su belè ti mi ócc, cal chènta t’una spiag ch’la n’à e’ gróis de LE MONTAG muri./Io non più grandi/e Io m’accont di sasso/che suona il ven DAURO PAZZINI AL MUNTAGNI DLA MI RUMAGNA Mè an so’ e’ ragn che sta tachèd sò mi méur. Mè an vagh, sal mi mèni, sò ma la schòina sempra giazéda dal muntagni piò grandi e piò dalòngh cagli è cumè dal dòni bèli mo sgudébbli. Mè a m’acuntént da guardè al muntagni dla mi Rumagna: dal ragazòti sal tètti ad sas cal squézza e’ lat dla su belèzza ti mi ócc, cal chènta quand che sòuna e’ vent, t’una spiagia vòirda ch’la n’à e’ gróis de sèl. LE MONTAGNE DELLA MIA ROMAGNA - Io non sono/il ragno/che s’arrampica sui muri./Io non vado, con le mie mani,/su per la schiena/ sempre gelata/delle montagne più grandi/e più lontane/che sono come donne/bellissime ma sdegnose. Io m’accontento/di guardare le montagne della mia Romagna:/ragazzotte/con le tette di sasso/che schizzano il latte/della loro bellezza/nei miei occhi,/che cantano quando suona il vento,/in una spiaggia verde/che non ha/l’acidità del sale. 7 DANIELE BALDINOTTI PROTESO ALL’INFINITO Rocce appese al cielo cobalto di stelle, cattedrali eterne vestite d’inverno lambite dalle melodie del vento. Sono queste le mie montagne ove, fra misteriosi silenzi, al riparo dal tempo, resto, proteso all’infinito. 8 la libertà è di queste m nelle loro e profond dolcemen dove i mie vagano leg color della al largo de RICCARDO BELLONI SOLITUDINE la libertà è nelle catene di queste montagne nelle loro foreste ermetiche e profonde che dormono dolcemente sui crinali dove i miei sogni vagano leggeri come falene color della notte al largo della vita 9 LAURA BEONI VELLUTO Accarezzo dolcemente con lo sguardo l’armonioso profilo di vellutati crinali un tappeto damascato con ricami chiaroscuri di luci e ombre dove le stagioni imprimono colore sul telaio dell’emozioni le parole sono impotenti e precipitano giù in fondo alla valle mentre il cuore gioisce. 10 In montagn Ogni pietra più stagion chiamo de uguali fra i Ogni pietr lavata e de che l’hanno C’è tanto s solo nel cu Nel silenzio GABRIELLA MORGAGNI SILENZIO In montagna ritrovi il silenzio a cui non sei più abituato. Ogni pietra parla del cambiamento dei tempi, delle stagioni che non sono più stagioni, del respiro delle persone che camminano fra i sentieri, del richiamo delle creature diurne e notturne, del vento che fischia canzoni mai uguali fra i rami degli alberi. Ogni pietra racconta delle nuvole bianche del cielo, della pioggia che l’ha lavata e della neve che ha cullato i suoi inverni, ma anche dei raggi del sole che l’hanno scaldata. C’è tanto silenzio in montagna e ciò che ogni pietra può raccontare lo senti solo nel cuore. Nel silenzio, senti la sua vita. 11 MAURIZIO MARALDI IN ALTO Quassù il silenzio… sono immerso nella natura odo il vento… che sfiora e insegue le lunghe cime dei crinali nel loro salire e scendere disegnando “rumori e suoni” agitando le fronde degli alberi le fa assomigliare a gigantesche ballerine hawaiane viste in vecchi cartoni americani. Odo l’acqua… nell’impeto dei torrenti che pur nella loro giovane forza sprigionano energia, sana, pura e pulita a chilometri zero gorgheggiando felici verso valle. Quassù il silenzio… nella pace di questi luoghi mi sembra di essere più vicino a Dio e la mente mi riporta alla memoria attimi di vita trascorsa in gioventù. Ma ora è tardi… la notte incombe. purtroppo è l’ora… di tornare sulla terra. 12 Ognuno v poter vive in serenità con se stes per poter e apprezza la vera ess cielo di pe canzone d nubi ciner brillii d’arg nel chiaro Speranze ondeggian mossi da p vino novel guardando riposare n Si sente un il richiamo acque cris sentiment si affollano come acqu GLORIA GAZZONI IL GRANDE FASCINO DELLA MONTAGNA Ognuno vorrebbe poter vivere sulle vette più alte in serenità e armonia con se stesso e gli altri per poter saper cogliere e apprezzare la vera essenza della vita: cielo di perla, canzone d’amore e di rose, nubi cineree dai riflessi plumbei, brillii d’argento nel chiarore più lucente. Speranze e sogni salgono dal cuore ondeggiando nell’oscurità, mossi da pensieri e illusioni, vino novello, guardando radici e germogli riposare nel terreno. Si sente un lamento lontano, il richiamo di un uccello sperduto, acque cristalline scintillano al sole, sentimenti di speranza e di consolazione si affollano e sgorgano come acqua sorgiva. 13 LUCIANO FOGLIETTA ANGIOLETTINO E IL CERVO Questa storia la sentii raccontare tanti anni fa da Angiolettino, un bigonciaio di Maggiona, un villaggio dell’alto Casentino: “Avevo lavorato tutto il giorno nella foresta compresa tra il Sacro Eremo e il Passo del Porcareccio. Dovevo consegnare quaranta mastelli per uva alla Musoleia, la fattoria dei monaci di Camaldoli posta sulla strada per Poppi. Avevo trasformato tanti tronchetti di faggio in belle doghe bianche. Verso le sei della sera mi avviai verso casa stanco morto. Giunto in una piccola radura già invasa dall’oscuro mi trovai di fronte ad un maestoso cervo. Avanzava fiero ma circospetto. Mi fermai. L’animale veniva dalla parte in cui un raggio obliquo di sole, sfiorando le cime degli abeti, lo colpiva proprio nel mezzo della fronte da cui si elevava un magnifico “palco” dagli innumerevoli pugnali. E’ da lì che si sprigionava uno scintillio. Sembrava che il corpo del cervo con quella luce si animasse di una nuova possente energia, che si trasfigurasse in una creatura formata d’oro e di smeraldi. Lo spettacolo mi mozzò il fiato. Il mio vecchio cuore cominciò a pulsare come quando, da ragazzo, dopo una corsa sfrenata ero costretto a buttarmi per terra di schianto per calmarmi. Mai avevo provato certe sensazioni. D’un tratto venni avvolto dalle tenebre. Nell’aria, o dentro di me, c’era un qualcosa che mi agitava. No, non avevo paura ma venni egualmente preso dal tremito, lo stesso tremito che da piccolo mi veniva sentendo i versi dei gufi. La notte per me fu agitata. Sognavo il cervo incontrato la sera prima e i suoi bramiti: grida cupe, tenebrose. Il mattino mi svegliai in un bagno di sudore”. Come andò a finire la faccenda, Angiolettino? “Dopo alcuni giorni di indecisione – rispose il madiaio – un pomeriggio mi presentai all’Eremo e chiesi di Padre Venanzio. Il vecchio monaco mi ricevette sulla soglia della sua casetta di sasso alberese. Sentito il mio racconto mi disse: “Sappi, Angiolettino, che l’immagine del cervo che uccide la serpe simboleggia Gesù che, a sua volta, uccide la morte. Forse quel che hai visto è un segnale diretto da Dio a te e a tutti noi peccatori”. Di lì a poco, e precisamente il 10 giugno 1940 l’Italia entrò nel vortice della seconda guerra mondiale e fu un vero disastro. 14 Cammino nel silenzi nei ciottol Non c'ero quando le riecheggia mischiand e la vita er Si moriva Si moriva sorella e a Con la luc mi siedo f in ascolto di una ma che ancor giù, nella v DANIELA CORTESI NON C’ERO Cammino nel silenzio che si schianta sotto i piedi, nei ciottoli sparsi del sentiero. Non c'ero quando le grida dei combattenti riecheggiavano fra le pareti mischiandosi alla speranza e la vita era tutt'uno con gli ideali. Si moriva in questo silenzio. Si moriva di questa montagna sorella e assassina. Con la luce che sfuma sul crinale mi siedo fra la polvere, in ascolto della preghiera di una madre in pena che ancora risuona giù, nella valle. 15 SAMUELE MAZZOTTI TIMORE Vederle mi intimoriscono. Ho paura e capisco, quanto sia stato Grande Dio nel formarle, impastandole con le sue mani. Quando l’uomo farà prodigi come lo sono le montagne, allora io non avrò più paura dell’uomo. El dà 'n sò sla frónt e di déd dle Adès t'à el do' la mós Stém vicèn da le scì d viv la strég A cnosc' d mo par pa S'a me tóf e s'a vól, e tun unigh par arpurt LA STREGA e sulle labb azzurro, qu tracciato/dal lingue dime devo toccar che ci rapisc 16 GIANLUCA MANCINI LA STRÉGA D'LA MUNTAGNA El dà 'n sògn da fèbra l'argènt d'la luna sla frónt e sle labra, un bavàj di déd dle onbre sutil e 'nturcijèd. Adès t'à el vis azór, maquasó do' la mósga è 'n fógh de stell. Stém vicèni tel sentìr tracèd da le scì d'le lumègh: maché viv la stréga d'la muntagna. A cnosc' dle léngv dmentighèd mo par parlè sa te sól silènzi. S'a me tóff, a jò da tuchè 'l fónd e s'a vól, el cél: gém insém, tun unigh brévid ch'ce rapésc' par arpurtèc ma chèsa nostra. LA STREGA DELLA MONTAGNA - Sogni da febbre dà l'argento della luna/sulla fronte e sulle labbra, un bavaglio/di intricate dita sottili delle ombre./Il tuo volto adesso è azzurro, quassù/dove la musica ha il fuoco delle stelle./Stiamo vicini nel sentiero tracciato/dalla scia delle lumache: è qua/che abita la strega della montagna/Conosco lingue dimenticate, vero,/ma per parlare con te c'è solo il silenzio./Quando mi tuffo, devo toccare il fondo/e quando volo, il cielo: andiamo insieme,/nel brivido unico che ci rapisce/per riportarci nella nostra casa. 17 UMBERTO PASQUI CRINALI Scendeva a rotta di collo dalla vetta del monte Tiravento un masso. Inciampava qua e là tra ciuffi d'erba, tra altri sassi, rimbalzando, corroborando la spinta verso zone inferiori. Aggirò radici, rami sospesi fino a fermarsi, spezzandosi in due; fragile argilla, custode, forse, di relitti di tempi remoti, di tracce di bestie estinte, di vita pietrificata. Un tizio da un nome insignificante (nessuno mai se lo ricordava) stava dormendo su un'amaca e, durante il riposo, fece numerosi incubi. Percepiva fantasmi sotto di lui, vedeva facce strane nel cielo scuro. Cose inquietanti, ma non abbastanza per vincere il sonno nella frescura dell'ombra estiva. Forse aveva mangiato un pranzo troppo sostanzioso alla vicina trattoria. Quel sasso spezzato in due lo destò: ne era stato colpito in testa. Riprese il respiro dopo una breve apnea e riemerse alla luce tinteggiata di tenebra. Notò che l'amaca non era più stretta a due larici, ma a due alte rose dai petali rossi e biforcuti. Era finito oltre il crinale del sogno, e quel sasso, precipitato così, all'improvviso, aveva solo ridestato una parte della sua coscienza. Il resto di lui, ancora, dormiva: o dormiva da sempre. La riconquista della realtà implica uno sforzo, un alzarsi. Scese dall'amaca, dalla pigra comodità del fresco del bosco e iniziò a salire verso la vetta. Era l'unico modo, così pensò, di liberarsi dall'incubo in cui era entrato. Lo sforzo principale era quello di mettersi in piedi e di rinunciare il riposo per inoltrarsi in un sentiero tutt'altro che pervio. Una dura salita, aspra, terrosa, in parte resa agevole dall'ombra di alberi antichi. Ma la cima... Così lontana. Non volle tornare indietro: era determinato e proseguì. Il bianco e il rosso segnati sulle cortecce davano almeno il sollievo della giusta direzione. Finché la luce vinse raggiunto il crinale. Da lì poteva vedere il suo passato e il suo presente, i suoi incubi e i suoi sogni, la sua immaginazione e la realtà. Era nell'equilibrio del desiderio, occorreva solo una spinta, come quella che fece balzare giù il masso che lo ebbe ridestato. Da lassù poteva scorgere la comoda amaca, ma ammirava un sole splendido, verso il tramonto, intriso di colori caldi e avvolgenti, che pareva immergersi in un futuro caldo e appassionato. Così scelse quella direzione. La storia, in effetti, è una linea a senso unico. 18 Il lungo pe della strad offre, a so ogni volta, immagini Distese co Boschi mi Ruscelli fr Cime a so di una gue con sacrifi Pennelli p disegnano Il viaggiato il mistero. CESARINA LUCCA I SEGNI DELLA MONTAGNA Il lungo percorso della strada contorta offre, a sorpresa, ogni volta, immagini diverse. Distese concilianti Boschi misteriosi Ruscelli fruscianti. Cime a sostegno di una guerra combattuta con sacrificio e speranza. Pennelli precisi e misurati disegnano spazi. Il viaggiatore ne respira il mistero. 19 CARMEN MAZZA VANNO I MIEI PIEDI Vanno i miei piedi come leggeri piedi di bambini che corrono sull'erba. Corrono veloci per lasciare i ricordi e andare verso il futuro. Vanno i miei piedi su foglie scricchiolanti di un autunno dorato. Esitanti si fermano a guardare montagne innevate da scalare a piedi nudi. Vanno i miei piedi nell'acqua del fiume che canta e sussurra la vita. Scivolano pesci argentati fra le dita che colgono inaspettate conchiglie. 20 Passeggian cadere. Si è relle che la senza posa, brava una fa suo amato a già appariva do di quell’ merli propri Che bello ve bile maestria E la foglia ra “Che belliss battibecchi e all’imbrunir vedere nasc incerti, poi avermi regal giorni prima re è stato p insieme alla volto il mio me alle gocc rittura il ma dal canto d Quando il s quasi ferma del sole e qu è arrivato; f volare il mi tardo pome re in me la quali esplor tura… potrei Grazie… gra che bella gio PAOLA RICIPUTI DANZA D’AMORE DELLA FOGLIA Passeggiando senza meta, risalivo la collina e alzando gli occhi ho visto una foglia cadere. Si è staccata, lieve, ed ha iniziato la danza d’addio al suo ramo e alle sue sorelle che la salutavano dondolando alla dolce carezza del vento che soffiava leggero, senza posa, lì, sul crinale. Ha volteggiato un po’, macchia gialla nell’aria tersa, sembrava una farfalla vagabonda … poi si è posata con delicatezza sull’erba, ai piedi del suo amato albero. Lì è rimasta distesa ad ammirare il suo ieri, l’azzurro del cielo che già appariva fra il fogliame diradato: sembrava volersi imprimere nell’anima il ricordo di quell’estate così assolata e calda e del regalo che aveva ricevuto… un nido di merli proprio sul suo ramo… Che bello vedere prendere vita quell’accogliente rifugio frutto di impegno e instancabile maestria che parlano dell’amore Divino e dei talenti donati da quell’Amore. E la foglia racconta: “Che bellissima primavera abbiamo condiviso! E quanti cinguettii, quante canzoni, battibecchi e allegri trilli hanno colorato i miei mattini e le mie sere… e canti solitari all’imbrunire! È stata davvero una meraviglia poter vivere una vita tanto lunga da vedere nascere una famiglia, crescere i piccoli e vederli prendere il volo, dapprima incerti, poi sempre più sicuri e padroni delle proprie giovani ali. Grazie Dio, per avermi regalata una così bella vita; oh, lo so, molte mie sorelle aspetteranno ancora giorni prima di partire, ma non sono triste e non lo sono nemmeno loro. Il mio vivere è stato pieno e gioioso, ho donato la mia piccola ombra e ho volteggiato felice insieme alla brezza. Ho vissuto con trepidazione l’arrivo della tempesta che ha sconvolto il mio albero, non sapevo se la vita mi avrebbe donato un vorticoso volo insieme alle gocce di pioggia scendendo a valle, se avrei conosciuto il fiume o forse addirittura il mare con la sua immensità. I miei sogni sono stati lievi e sereni, carezzati dal canto dei grilli che donavono le loro serenate al mondo con amore infinito. Quando il sole tutto arroventava, il frinire delle cicale cullava il mio riposo nell’aria quasi ferma. Tanta quiete e bellezza hanno colorato i miei giorni di giallo, il colore del sole e quando ho assorbito davvero tutto l’oro che potevo contenere, il momento è arrivato; finalmente potevo spiccare il volo che attendevo da sempre e iniziare a volare il mio unico, esaltante VOLO! e ad ogni volteggio nell’aria frizzantina del tardo pomeriggio di ottobre esprimevo un Grazie, grazie, grazie… Già sentivo nascere in me la voglia di un nuovo sogno… Nascere di nuovo! Forse non più crinali dai quali esplorare la vita, forse l’aria salmastra della pineta mi accarezzerà, forse addirittura… potrei nascere da un uovo, un piccolo comodissimo nido… Chissà! Grazie… grazie… grazie Vita… che bella giostra, non mi stanco mai di giocarci… meraviglia! 21 LOREDANA ZACCARINI CRINALI Pettini che passano fra i capelli della montagna… onde di un mare verde che respira nel tramonto… sentieri di uomini antichi che cercavano i confini del mondo. Montagna possente d Montagna gna indistin Montagna dellano sen mente. Montagna ti di pace, m sassi. Montagna vita è press so le innum Montagna, prima volta una miriad tuoi boschi Montagna tuoi crinali bertà. 22 VALERIO TISSELLI MONTAGNA Montagna ridente con i tuoi crinali ricoperti di boschi e di prati, montagna possente di nuda roccia dalle forme e dai colori più svariati. Montagna dai contorni netti che si stagliano contro il cielo assolato, montagna indistinta avvolta nella nebbia o coronata da una coltre di nubi. Montagna dai crinali aguzzi e scoscesi che il vento, la pioggia ed il gelo modellano senza tregua, montagna dai declivi arrotondati che degradano dolcemente. Montagna silenziosa verso la quale l'uomo si incammina per trovare momenti di pace, montagna dalle cui pendici scendono torrenti fragorosi di acqua e sassi. Montagna alla sommità ammantata del bianco dei tuoi ghiacci perenni ove la vita è pressoché impossibile, montagna altrimenti accogliente e generosa verso le innumerevoli creature che più in basso popolano i tuoi crinali. Montagna, ti amo; ti ho amata da quando, ragazzo, mi sono incamminato, la prima volta, sui tuoi sentieri, da quando ho ammirato i tuoi prati popolati da una miriade di fiori e di insetti variopinti e ho apprezzato la maestosità dei tuoi boschi. Montagna ti rispetto, riconoscente, poiché sei generatrice di vita e salendo i tuoi crinali trovo sempre tanta serenità e sento appagato il mio anelito di libertà. 23 TEBE FABBRI SPEME Il silenzio dell’anima pacificata della brezza leggera all’alba della bianca montagna dello sguardo infante confuso in sommo bene della folla impietrita a imponderabile luce. Pace silente, attesa d’universo! Bianche n evanescen nitide, vela si muovon sulla solita della Tofa massiccia dove resis di primave Nel loro le le attrae u o l’azzurro ne blandis Poter pen il mistero di quella b che si stem in solitudi lassù. 24 RINA FIUMANA NUVOLE SULLE TOFANE Bianche nuvole evanescenti, nitide, velate, si muovono leggere sulla solitaria muraglia della Tofana, massiccia roccia dove resiste l’ultima neve di primavera, Nel loro lento girovagare le attrae una meta o l’azzurro vuoto ne blandisce l’irrequietezza? Poter penetrare il mistero di quella bianca evanescenza che si stempera in solitudine lassù. 25 GIUSEPPE VENTIMIGLIA BRIGANTI O MIGRANTI? I briganti sono stati sconfitti e molti sono stati uccisi, imprigionati, mandati ai lavori forzati... dunque il sogno di una rivoluzione dei contadini è sfumato, svanito, con l’unità d’Italia. Resta la possibilità di diventare migrante, partire per le Americhe, da dove nessuno riusciva a realizzare il sogno di ritornare. Chi ci riuscì ebbe a dire: “Merica bedda cu ti vò lassari, 24 anni …400 lire”.1 L’America dunque non era la terra promessa, ma una terra maledetta, che ha cancellato la storia di generazioni intere. Ma facciamo una salto di circa un secolo: 1961. Un’altra ondata di emigrazione ha decimato San Lorenzo e tutto il Sud. Questa volta verso il nord: Germania, Belgio, Torino, Milano… Zio Frisco Antonio era “n’umminunu”2, forte come una quercia; un uomo buono, onesto, di buon senso, ma più per natura che per educazione. La gente si rivolgeva a lui per risolvere le controversie in merito a divisioni o assegnazioni di quote ereditarie, quando era necessario “jettà i buscili”3. Lui era maestro in questo, una sorta di giudice, capace di essere imparziale, che fungeva da paciere, un’autorità che gli veniva riconosciuta essendo considerato da tutti uomo assennato e di giudizio… Ma la povertà mordeva tutti, compresa la sua famiglia e dunque, pensò di partire anche lui. La sofferenza dell’emigrante è grande e profonda. A Milano gli manca tutto. Gli manca lo splendore del sole, quando si sveglia e non vede la Timpa4 che piano piano si illumina… e quando il sole arriva sul picco dell’aquila l’orologio segna le 5.30 del mattino. Gli manca il profumo delle ginestre, il volo du “frica-vintu”5, il cambio delle stagioni, le nuvole che giocano nelle gole del raganello, le risate.. . sì... le risate di Marsilia6, che ammalia gli uomini e si prende gioco di loro. Gli manca tutta la scena vissuta in quella vallata bella ed incontaminata, incorniciata dalle Timpe. Quello che sente dentro è solitudine, rabbia, pensieri e dolori che non sono diversi da quelli dei briganti. 1.“America bella chi ti vuol lasciare, 24 anni… 400 lire” 2. Un grand’uomo 3. “gettare i numeri” (in caso di più pretendenti a un’eredità terriera si dava un numero ad ogni particella e poi a seconda dei numeri che si estraevano si assegnava ad ogni erede la particella colnumero che sortiva) 4. Rilievo montano 5. Gheppio 6. Figura mitologica che pari a una Circe ammaliava gli uomini 26 * Solitario fi mi so, che sulla fragil Di erbe pi di querce neri come pium su calanch nella mia t da dure pi mi ricono VITTORIO CASADEI * Solitario figlio di un’antica razza disperata mi so, che aridamente un vento scolpisce sulla fragile terra che m’innalza. Di erbe piegate di querce furiose e cipressi neri come piume di gallo ad arco tese su calanchi di pallide riviere d’autunno, nella mia terra da dure piogge scarnificata mi riconosco. 27 FABBRI FEDERICO SEMPRE Solo la solitudine a farmi compagnia. Rumorosi silenzi echeggiano nella mia mente lasciandola sgombra, riempiendola di pensieri. Bevo acqua ghiacciata da ruscelli cristallini. Ad ogni passo l’aria si impossessa di me rendendo impossibile la mia partenza. Mi corico sopra soffici foglie, accompagnato da stelle che rendono vivo il muovere del vento. Sogno di rimanere nelle mie montagne per sempre, e so che il mio posto è qui, avvinghiato al suolo da radici secolari. 28 Tremula u e si posa i crepita un e finisce in scricchiola e crolla ne È un lieve e un tiepid è un ventr e una prov ed è casa p TOSCA CERASOLI A CASA Tremula un sospiro nel vuoto e si posa in affanno su un ramo, crepita un passo sull’abisso e finisce in un volo di nubi, scricchiola uno sguardo su un tronco e crolla nell’eco del vento. È un lieve cielo questa cima, e un tiepido mondo questo monte, è un ventre gravido la terra e una prova greve questa roccia; ed è casa per chi passa senza peso. 29 MARINO MONTI LA MI CA L’è un campé a l’êria averta la mi ca. E in che grân vuit ch’u na murai ch’e’ fa tarmé la fiâma sora a e’ zoch ch’la lasa falugh coma sogn tra al pigh di linzul a las cl’udor di munt a e’ bèvar dla gabâna d’una stré senza segn, tra e’ starluché dal piant indò che u i pasa sol e’ fiom. Coma jir svigés sintì e’ pés dl’armor tra i sès, tra ch’j ôc sguilé int l’acva, l’armuni de’ vent tra la màcia, tra e’ fóm d’una carbunêra. LA MIA CASA – È un vivere all’aria aperta/la mia casa./E in quel gran vuoto/che non ha muri/che fa tremare/la fiamma sul ciocco/che libera faville/come sogni/tra le pieghe delle lenzuola/lascio/quell’odore dei monti/ai margini/di una strada/senza tracce/ tra il luccichio degli alberi/dove solo il fiume scorre./Come ieri svegliarsi/sentire il peso del rumore/tra i sassi/tra gli occhi/scivolati nell’acqua,/l’armonia del vento/tra il bosco,/tra il fumo di una carbonaia. 30 Era una ca Una casa v bui del Me era rifugiat dei Comun nacquero b te ricche d cognome d frazione. L'origine m fiume attig incisioni ne ri di antica sono visibil delle finest lo. Nei ma antica. Ma è accad maestria de Se ne sono Il passato n vita è un an Chi scrive conoscenza piccolo e a Non rispet una comun boschi non persino un che un sem Una lingua da qualche Una lingua lingua si es SANDRA EVANGELISTI CASE NEL BOSCO Era una casa nel bosco. Una casa vecchia di secoli. Sembrava risalisse al mille dopo Cristo. Ai secoli bui del Medioevo nei quali una famiglia proveniente forse dal meridione si era rifugiata in quel luogo per sfuggire a lotte fra guelfi e ghibellini all'interno dei Comuni del tempo. Erano molte le famiglie rifugiate da quelle parti e ne nacquero borgate particolari sparse sulle montagne selvagge e particolarmente ricche di macchia e di vegetazione. Ogni frazione portava come nome il cognome della “gens” rifugiata lì, poi nacquero anche soprannomi per ogni frazione. L'origine medioevale rende particolari quelle case fatte di pietra portata dal fiume attiguo e di travi di legno secolari. Hanno grandi e larghi camini con incisioni nella pietra arenaria centrale e pavimenti in mattoni cotti rettangolari di antica fattura. Alcuni chiodi piantati nelle antiche porte e mobili rimasti sono visibilmente forgiati a mano di ferro battuto e molte pietre dei davanzali delle finestre e degli stipiti delle porte d'ingresso portano i segni dello scalpello. Nei manufatti più datati si vedono chiaramente i segni di un'età molto antica. Ma è accaduto nel tempo che quello che era destinato a durare grazie alla maestria degli antichi costruttori si è rovinato. Se ne sono andati gli anziani e i saggi che illuminavano quei luoghi. Il passato non ritorna. Si può solo andare avanti ed è giusto che sia così. La vita è un andare sempre avanti, anche oltre il proprio tempo particolare. Chi scrive sa per esperienza personale che non si può andare avanti senza la conoscenza della propria storia e di quella del mondo, anche di un mondo piccolo e antico come quello delle case nel bosco. Non rispettandola e non ascoltandone nemmeno i costumi , quella che fu una comunità muore a poco a poco a causa del nulla presente . Le case nei boschi non erano questo. Avevano un volto e una storia, e usi e tradizioni e persino una loro lingua in via di estinzione: il “boscaiolo”. Il “boscaiolo” più che un semplice dialetto sembra una lingua per la sua estrema particolarità. Una lingua parlata di cui restano ben poche tracce scritte, raccolte di recente da qualche appassionato studioso delle tradizioni di quei luoghi. Una lingua fa di una comunità un popolo seppure minuscolo. E insieme alla lingua si estinguono un popolo e la sua cultura. 31 FULVIO GRIDELLI VA SÒ T vé sò: t cióud i òcc érva i òcc, t vé sò. Sòul e léuna léuna e sòul, mét al mèni dróinta i béus: sèl t bazóil? Va sò d’in là, u n gnè e sentir mét i pi sòura i sas. E tè che t vé sò ma la muntagna, sla tu ligaza tla scòina che t pér òna furmóiga. T riverè in chéva? E u i è òna chéva in sta muntagna? Tanimódi, dès, t’è snò e buróun zò... Va sò. Arrampicati - Ti arrampichi:/chiudi gli occhi/e apri gli occhi,/ti arrampichi./Sole e luna/luna e sole,/metti le mani/dentro i buchi:/cosa ti preoccupi?/Arrampicati da quella parte,/non c’è il sentiero/metti i piedi sui sassi./E te che ti arrampichi/su quella montagna,/col tuo fardello sulla schiena/che sembri una formica./Arriverai in cima?/ E c’è una cima/su questa montagna?/Ad ogni modo, adesso,/hai solo il burrone sotto…/Arrampicati. 32 Eravamo i Venne con Si stupì di Tornò con Ci fu un a Poi scende aguzzando Il piede sf scivolati n Nel silenz la nudità d si ribaltava si attenuav si arrestav creando e nel volo d Un brivido Ci salutava mentre la LAURA PUGLIA AL RIFUGIO Eravamo in cinque e la donna portò sei piatti. Venne con un vassoio e portò sei sorbetti. Si stupì di questo sei persistente. Tornò con tre bicchieri per mano. Ci fu un attimo di silenzio. Chi era il sesto invitato? Poi scendemmo cercando marmotte nelle crepe aguzzando lo sguardo nelle fenditure. Il piede sfiorava docili meteoriti scivolati nei sedimenti dei crinali. Nel silenzio un flauto attraversò la nudità della roccia: le note si ribaltavano negli anfratti e nelle gole si attenuavano negli adagi si arrestavano sui dirupi creando echi e richiami nel volo dei gracchi corallini. Un brivido ci prese i polsi e le giunture. Ci salutava invisibile lo sconosciuto assente mentre la sera impallidiva le nostre ombre. 33 COSTANZA SAVINI E MARCO CAVARA I CINQUE TESORI DELLA GRANDE NEVE A L’USTA Era stato un discreto viaggiatore. La natura selvaggia ogni volta aveva ispirato e guidato la sua ansia di conoscenza. In lui c’era una pulsione di possedere qualcosa, una particella forse, della luminosa purezza delle montagne, dei deserti e delle foreste. Ora non era più giovane, ma continuava a viaggiare lo stesso anche se questa sua passione si era un poco offuscata con gli anni. Tuttavia un luogo gli serbava ancora intatto il suo fascino. Sembrava esistere una terra incantata dove le montagne svettavano su foreste color di smeraldo. E, come se non bastasse, quelle contrade lo chiamavano con nomi magici e meravigliosi: Monti del Drago Nero, Regina delle Nevi, Sentinella dell’Ovest. Tra queste montagne una in particolare aveva concentrato in sé tutte quelle attrattive e da tempo quasi lo ossessionava con il suo richiamo: il Kanchenjunga che significa I Cinque Tesori della Grande Neve. Era giunto alle sue pendici lussureggianti alla fine della stagione delle piogge, quando la montagna si slancia con i suoi immacolati ottomila metri dal verde cupo delle foreste di magnolie in fiore. Non era un alpinista e perciò si proponeva solo di ammirarla dai villaggi e dai monasteri più vicini, simili a dei mandala in pietra, di cui sono costellate le sue pendici. Ora è opinione comune tra i viaggiatori che quelle terre incantate creino una illusione di armonia, una ingannevole sensazione di pace e di assenza di pericolo: una sorta di fata morgana per i sensi molti sottili. Così le ultime notizie che le autorità locali riuscirono a raccogliere su di lui, ricostruendone il percorso, lo perdono nel villaggio di Katho-Pani da cui ha inizio un sentiero che si inerpica alla base di un ghiaccio che altri non è che uno dei Cinque Tesori della Grande Neve. E dove, a quanto si dice, si trova il leopardo dai denti immacolati, per questo ritenuto sacro da santi e poeti. Inoltre l’idea di poter penetrare nel cuore vivo e palpitante della montagna dove si trovano, ancora dalle origini del mondo, le “matrici” delle cose, deve aver guidato i suoi passi lungo quel sentiero così poco battuto. Dopo qualche giorno di ricerche fu dato ufficialmente per disperso. Ci piace credere che quell’inquieto sognatore, come rispondendo a un invito silenzioso, si sia recato lassù, verso quello infinito richiamo, per trovare nella luce respirante delle vette, quel qualcosa di perfetto che era andato cercando per tutta quanta la sua vita. Una volt a l’ustari’ dri’ m’ e’ una masa al s’ chés e a s’ truv (ach sgui arnì’. ALL’OSTER ombre/ci c 34 GIANCARLO BIONDI A L’USTARI’ DI’ CRINÉLL Una volta ‘d fura a l’ustari’ dri’ m’ e’ fiòum una masa d’ómbri al s’ chésca m’adòs e a s’ truvém a matèra (ach sguilòun) arnì’. ALL’OSTERIA DEI CRINALI - Una volta fuori/dell’osteria/vicino al fiume/moltissime ombre/ci cadono addosso/e ci troviamo a terra/(che scivolone)/infangati. 35 SILVIA CECCHI AI MONTI La visione dei monti incute pace Lo spazio è tempo, il tempo è spazio che vibra di cielo puro suono che tace -monti – tu dici ed è nome del nome. Altra cosa è l’umano (così sospeso a un senso così smarrito nel risalire mille volte la china del crudele e vano con un gesto gentile…) Non so quale enigma dei due sia più immenso o più pauroso 36 Delle mon m'affascin non ce n'è Amo il ve non sono Osservand talvolta co tra calanch Noto da lo che avving Or che las da brama ma v'osser BRICCOLANI SERGIO LA MONTAGNA E I SUOI CRINALI Delle montagne e dei suoi crinali m'affascina l'argomento, non ce n'è d'uguali. Amo il verde, il paesaggio e la campagna non sono ignaro, le mie origini sono di montagna. Osservando poi le cristalline acque talvolta con impeto, talora tra la quiete tra calanchi a valli le lor discese. Noto da lontano il sol nascente che avvinghia il manto bianco sin dalle sette Or che lassù state con baldanza e maestria da brama e smania di raggiungervi invaghito, ma v'osservo da lontano in allegria 37 EUGENIO VITALI LE MONTAGNE Le montagne hanno onde di crinali, quando il sole le accarezza schiumano di verde, tracce di vette innalzate dagli abissi. La pioggia lascia gelsi di profumi e la magia delle notti nel loro sonno la protegge. Le montagne sono vedette che si guardano l’un l’altra e hanno sangue verde di silenzi. Come quadri d’autore si lasciano possedere anche da un’impronta sconosciuta. Il cielo le tiene aquile sempre in volo. I crinali si scambiano i volti per essere proiettati sempre nel futuro. 38 Tutta la m respirava u come se fo dalla sua p immobilit e delle ore che divent nell'astrazi Nebbia e v raggi obliq E il silenzi Anche la m all'erta sul non osava Il rumore diventava Come il fr di un libro ORNELLA LOTTI VENTURINI QUIETE Tutta la montagna respirava una quiete profonda, come se fosse evasa dalla sua peculiare esistenza : immobilità degli elementi e delle ore che diventavano eterne nell'astrazione del più corto istante. Nebbia e vapori intorno a noi, raggi obliqui, rosee ombre. E il silenzio. Anche la marmotta, all'erta sulla soglia del suo rifugio, non osava muoversi. Il rumore più piccolo diventava presenza... Come il fruscio delle pagine di un libro che si sfoglia. 39 ALESSANDRO RAMBERTI PROSPETTIVE I monti maestosi che costellano il profilo orizzontale del braccio la linea che non c’è fra cielo e cielo ci mostrano i cammini che interpellano (come perché a che scopo?) i fuochi di una rete-meraviglia il senso di ogni senso e di ogni suono lo snodo dai molteplici percorsi il frutto di una concretezza a briglia (la crasi di ogni tropo) sciolta: ci indica altri universi immersa nei colori dei sospiri nel timbro musicale dell’oceano nei sogni oscuri inquieti calmi e tersi (il prima assume il dopo) di cui si nutre il cuore che ci spinge a superare il valico insidioso a chiedere l’aiuto e ad aiutare a porgere la mano a chi l’attinge. 40 Sandra Ma Francesco C Dauro Pazz Daniele Ba Riccardo B Laura Beon Gabriella M Maurizio M Gloria Gaz Luciano Fo Daniela Co Samuele M Gianluca M Umberto P Cesarina L Carmen M Paola Ricip Loredana Z Valerio Tis Tebe Fabbr Rina Fiuma Giuseppe V Vittorio Ca Federico Fa Tosca Cera Marino Mo Sandra Eva Fulvio Grid Laura Pugl Costanza S Bologna Giancarlo B Silvia Cecc Sergio Bric Eugenio Vi Ornella Lo Alessandro INDICE Sandra Mazzini Ritorno a casa pag. 5 Francesco Ciotti -Cesena Alla ricerca della montagna con la carta in mano » Dauro Pazzini-S.Arcangelo di R.(RN) Autunno » Daniele Baldinotti-Forlì Proteso all’infinito » Riccardo Belloni - Ravenna Solitudine » Laura Beoni-Santa Sofia (FC) Velluto » Gabriella Morgagni-Forlì Silenzio » Maurizio Maraldi-Forlimpopoli (FC) In alto » Gloria Gazzoni-Forlì Il grande fascino della montagna » Luciano Foglietta-Santa Sofia (FC) Angiolettino e il cervo » Daniela Cortesi-Forlì Non c’ero » Samuele Mazzotti-Cesena Timore » Gianluca Mancini-Pesaro La stréga dla muntagna » Umberto Pasqui-Forlì Crinali » Cesarina Lucca-Forlì I segni della montagna » Carmen Mazza-Forlì Vanno i miei piedi » Paola Riciputi-Forlì Danza d’amore della foglia » Loredana Zaccarini-Forlì Crinali » Valerio Tisselli-Forlì Montagna » Tebe Fabbri-Forlì Speme » Rina Fiumana-Forlimpopoli (FC) Nuvole sulle Tofana » Giuseppe Ventimiglia-Forlì Briganti o Migranti? » Vittorio Casadei-Santa Sofia (FC) Solitario figlio … » Federico Fabbri-Santa Sofia (FC) Sempre » Tosca Cerasoli-Forlì A casa » Marino Monti-Forlì La mi ca » Sandra Evangelisti-Forlì Case nel bosco » Fulvio Gridelli-S. Mauro Pascoli (FC) Va sò » Laura Puglia-Parma Al rifugio » Costanza Savini e Marco CavaraBologna I cinque tesori della grande neve » Giancarlo Biondi-Gambettola (FC) A l’ustari’ di’ crinéll » Silvia Cecchi-Pesaro Ai monti » Sergio Briccolani-Forlì La montagna e i suoi crinali » Eugenio Vitali-Ravenna Le montagne » Ornella Lotti Venturini-Santa Sofia Quiete » Alessandro Ramberti-Rimini Prospettive » 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 Sede : NuovArci – Via F.lli Spazzoli, 49 47121 Forlì Redazione: Via Paradiso, 4 – 47121Forlì Tel. 0543/092569– 402300 – 704627 Fax 0543/092569 E. mail: [email protected] Stampato a Faenza nel mese di Settembre 2014 GRAFICA E IMPAGINAZIONE DI CLAUDIA BARTOLOTTI ORGANIZZAZIONE E COORDINAMENTO: DAVIDE ARGNANI CLAUDIA BARTOLOTTI GIORGIO CASADEI TURRONI 42 43 sul tema Partecipano al convegno per un breve saluto: Luca Santini Presidente del Parco l’Addetto Responsabile Cultura del Comitato Soci di Coop Adriatica Relatori: Prof. Oscar Bandini Giornalista, Storico ed esperto del Parco, Luciano Foglietta Giornalista e Storico esperto del Parco Nevio Agostini Naturalista e responsabile del Servizio Promozione e Conservazione della Natura del Parco Giovanni Quilghini attuale amministratore delle Foreste Casentinesi e responsabile dell’Ufficio Territoriale per la Biodiversità di Pratovecchio Dott. Emanuele Vazzano curatore della mostra “Cento anni della Foresta Casentinese”