Provincia di Imperia - Settore Centri per l’Impiego/OML
piccolo viaggio negli antichi mestieri
Augusto, accordatore di pianoforti, Diano Marina
L’incontro avviene in una splendida sala da thè di Diano Marina, alle 10,30 del mattino. Il
nostro uomo è puntualissimo, borsetta degli attrezzi in pelle nera in mano, un vecchio
libretto consunto sotto un braccio.
È lui, il signor Augusto, e fa uno dei mestieri ormai più rari che ci possano essere…per il
quale serve tanto orecchio e addirittura tanto cuore…avete indovinato? È un accordatore di
pianoforti! Lo fa da 35 anni (non vi diciamo quanti anni ha, ma vi possiamo dire che nel
frattempo un po’ di neve gli è caduta sui capelli…) ed è, in questo settore, l’unico iscritto
attualmente alla locale associazione di categoria che ci ha aiutato nella nostra ricerca. A
sentire lui c’è qualcun altro che fa questo stranissimo mestiere, ma non come professione
“ufficiale”… Ci presentiamo. Per non fare
una bruttissima figura il giorno prima io mi
scarico da internet un pò di informazioni su
questo mondo, per me assolutamente
sconosciuto: troppo facile. L’unica cosa che
il mio cervello assimila con sicurezza è che
un accordatore di pianoforti è stato il
protagonista di un’operetta (Donne Viennesi
di Lehar) e soprattutto che il pianoforte ha
88 tasti. Quest’ultima è la prima cosa che gli
dico. “Non è vero, non è sempre così…”
Comincio malissimo. Allora sto zitto e
ascolto…ed ecco che arriva subito una
buona notizia: “In questo campo il lavoro è
calato moltissimo. Non è più come negli
anni ’70 e ’80, e secondo me le cose
andranno sempre peggio”. Il discorso
sarebbe lungo da fare, noi qua proviamo a
riassumere. A quanto pare ci sono due
colpevoli su tutti: l’elettronica (adesso i
pianoforti sono più piccoli, economici e
soprattutto non sono da accordare) e la
diffusa scarsa cultura musicale che da
sempre contraddistingue l’utenza italiana.
Momento di silenzio, poi
ecco li una domanda clamorosamente
personale: “Se (metti per puro caso)
avessimo un vecchio pianoforte in casa lo
potremmo vendere con facilità?” Subito
scoperti (comunque la risposta è un si),
passiamo ad altro. Via di corsa a sfatare altri
miti: “E’ vero l’umidità fa male allo
strumento, ma il clima secco è ancora
peggio, e sopra al pianoforte non bisogna
tenere assolutamente nulla”.
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“Come nulla? E allora tutte le volte che li abbiamo visti imbanditi di lampade, vasi, foto e
servizi di piatti?” E la risposta viene dal cuore del nostro ospite: “Mettiamola così, bisogna
distinguere fra chi usa lo strumento per suonarlo e chi lo usa per arredamento”… Ok, ok,
abbiamo capito l’antifona, “ma come si inizia
a fare un lavoro così?” Nel caso del signor
Augusto per pura passione (anche perché
scopriamo con rammarico che in Italia
manca una scuola ad hoc, al contrario di
quello che succede per esempio in Germania,
Austria o Francia), da piccolissimo: in una
casa dove abitualmente si respirava la
musica a 6 anni suonava già l’ocarina, poi la
tromba, poi il pianoforte (a proposito lo
sapevate che il nome viene da un antico
strumento, il clavicembalo con il piano e il
forte? Noi no, naturalmente, e lo
ammettiamo senza vergogna…). A 15 anni le
idee sono già chiare, e va a lavorare con altri
accordatori (tra i quali ci prega di ricordare
Francesco Griffa, nome che più di una volta
sentiremo durante la mattinata) a proprie
spese, una vera e propria gavetta, “ma di
quelle di una volta…”
Ok abbiamo rotto il ghiaccio, finalmente si
va in laboratorio. Davanti a noi una decina
di strumenti di tutte le età, forme e colori
annegati in una jungla di scatole, scatolette,
ferri, chiavi, corde; qui siamo davvero in un
altro mondo. Piccola
dimostrazione di accordatura (complicatissima per noi,
ma per pura informazione il primo passo è usare il caro e
vecchio diapason), una serie di velocissimi gesti (per noi
incomprensibili, malgrado la gentile spiegazione che ci
viene fornita in diretta) che in quattro e quattr’otto
ridanno voce alle antiche corde. Uno spettacolo
impagabile vederlo (e sentirlo) dal vero, ve lo
garantiamo.
Inutile dire che si tratta di un lavoro che va valutato con
criteri particolari, diversi da quelli che di solito utilizziamo
per classificare i classici lavori. “Ma come è organizzato il
lavoro di un accordatore di pianoforti?” “Non è
continuativo, varia sempre, spesso si lavora nei
week-end, a volte si operano quattro o cinque strumenti
in una settimana, a volte si sta un mese senza
lavorare…”. “Le soddisfazioni più grosse nel fare il tuo
mestiere?” “Sicuramente qualche allievo diventato
famoso (il nostro amico dava anche lezioni di
pianoforte), ma più di ogni altra cosa è il sentire il suono
di un pianoforte tornato alla vita…”
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“E di brutto cosa c’è?” “In teoria vi dovrei rispondere trovare un pianoforte morente,
in pratica e senza tanti giri di parole avere a che fare con un cliente che non paga una
perizia, perché dovete sapere che in questo bel mestiere capita anche questo”. “Ok, la
situazione è un po’ più chiara, ma se di scuole non ce ne sono, come si fa a diventare
accordatore?” “Passione e tanta voglia di imparare. E guardate che non è poco…”.
”E corsi di formazione, di aggiornamento ne fate?”
“Si, ciclicamente l’AIARP (l’associazione del settore)
ne organizza”; ma a quanto capiamo il discorso è più
complesso, perché (come diceva il suo vecchio
maestro) “in questo mestiere anche il giorno in cui
chiuderemo gli occhi, non avremo mai imparato
abbastanza…”
Gira e rigira, eccoci all’argomento che tutti
aspettavamo: “ma ci si vive bene con questo
mestiere?” La risposta viene addirittura da una
citazione dal primo maestro del signor Augusto: “E’
un mestiere da fame. Non credere di diventare
ricco…” Allegria…poi certo, se in giro c’è anche tanta
gente che questo lavoro lo fa per hobby… dai presto
tiriamo fuori la domanda di riserva: “qual è il tuo
cliente tipo?” “Tutti, persone diversissime tra
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loro, dal professionista iper-esigente che mi chiama in continuazione, a chi si fida
ciecamente dell’accordatore, ma va avanti per anni senza chiamarmi, a chi usa il pianoforte
per arredare la casa”. “Ma insomma al giorno d’oggi c’è bisogno del suo lavoro?”
“Sicuramente. Non solo per tutto quello che concerne la concertistica, ma anche e
soprattutto perché l’elettronica non sarà mai in grado di sostituire la meccanica e l’operato
dell’uomo…”
Domandone finale, poi giuriamo di andare via, e di lasciarlo i suoi impegni: “Ma allora,
signor Augusto, ne vale davvero la pena?” “Si”, con gli occhi che si illuminano al pensiero di
un Bosendorfer Imperiale, il pianoforte più bello mai incontrato nella sua vita.
Che splendida conversazione! Così ci salutiamo, contenti per aver imparato qualcosa di
nuovo e consapevoli di aver incontrato un’artista…
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