QUADERNI DI PSICOLOGIA GIURIDICA PUBBLICAZIONE DELLO STUDIO DI PSICOLOGIA FORENSE E ASSISTENZA GIUDIZIARIA DI MILANO Via Prina 10, Milano – tel. 02 312926 – fax 02 3451378 DIRETTORE RESPONSABILE: RENATO VOLTOLIN AUT. TRIB. MILANO N. 74 DEL 27/1/1999 QUADERNO N. 4 OMOSESSUALITA’ E GIUSTIZIA di Renato Voltolin Premessa Poiché, nel nostro ordinamento giuridico, al contrario di quanto accade in altri paesi, l’omosessualità non è considerata un reato, si potrebbe pensare che essa non costituisca un argomento giuridicamente significativo. Il problema potrebbe semmai sorgere in rapporto al concetto di «comune sentimento del pudore», in quanto la reazione della pubblica opinione riguardo ad atteggiamenti e comportamenti di natura omosessuale non è la medesima riservata alla eterosessualità. Per fare, a tale riguardo, un esempio significativo, diciamo che mentre la gente in genere non si sente particolarmente offesa o ferita nella propria sensibilità, se nota che una coppia eterosessuale si bacia per strada, lo è invece se il bacio in questione viene scambiato tra due soggetti dello stesso sesso. A parte quest’ultima disgressione, che è però indubbiamente significativa, è chiaro che l’omosessualità viene posta dalla Legge italiana sullo stesso piano della eterosessualità dato che rientra nella materia regolamentata dal codice penale solo allorquando si manifesta, come del resto accade per l’eterosessualità, come violenza sessuale (rubricata, prima delle nuove norme sulla violenza sessuale, come «violenza carnale» o «atti di libidine»), oppure qualora contravvenga agli artt. che riguardano le offese al pudore e all’onore sessuale (capo II c.p.) Le cose però cambiano decisamente quando in ambito omosessuale, anziché considerare l’attività sessuale in sé, si prende in considerazione il soggetto in quanto portatore di diritti che gli deriverebbero proprio dal ruolo svolto quale partner sessuale o comunque dall’essere portatore di funzioni collegate tradizionalmente alla così detta «identità di genere» (marito, moglie, padre, madre ecc.). L’omosessuale sostiene infatti che l’attuale ordinamento giuridico dovrebbe riconsiderare i ruoli familiari e i concetti di coppia e di famiglia, in funzione delle capacità e delle idoneità dei soggetti ad assumere detti ruoli e non in funzione della natura della scelta sessuale. Egli si sente pertanto discriminato soprattutto per quanto riguarda il diritto di famiglia e gli istituti che regolano le relazioni intra-generazionali (tra coniugi) e inter-generazionali (tra genitori e figli). Per verificare la fondatezza di tale protesta omosessuale che potrebbe anche possedere una sua logica interna, occorre poter disporre di una adeguata conoscenza della natura dell’omosessualità; innanzitutto in riferimento alla questione della patologia (dato che è a questo proposito che nascono le maggiori controversie e incomprensioni); ma anche in riferimento alla compatibilità della omosessualità con le capacità educative, vale a dire con l’esercizio delle funzioni familiari e genitoriali. Sarà a questo punto utile anche una breve «escursione» in campo giuridico per vedere pregiudizialmente, se e come l’omosessualità si accordi col dettato giuridico, dato che pretende che i legami e le relazioni a cui dà luogo, debbano connotarsi in termini di legami e relazioni «familiari» giuridicamente tutelati. La famiglia secondo l’ordinamento giuridico La Costituzione del nostro Paese pur definendo lo Stato innanzitutto come una Repubblica democratica fondata sul lavoro (art.1), si preoccupa successivamente di precisare che riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. La famiglia dunque, pur non considerata come elemento fondamentale in quanto non trova posto tra i PRINCIPI FONDAMENTALI (le persone singole non sono viste, come in certi Stati del passato, come parassitarie), viene comunque considerata dalla Costituzione come importante e collocata nel TITOLO II - Rapporti etico-sociali. Ma quello che ci interessa rilevare è che la Costituzione definisce la famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Le condizioni per il riconoscimento di una famiglia come tale sono quindi: a) che si tratti di una coppia o di un nucleo le cui relazionali siano definibili come naturali, b) che il nucleo sia fondato sul matrimonio. Se è vero che la seconda caratteristica potrebbe anche essere modificata, qualora si intenda il matrimonio in un’ottica laica, vale a dire come istituto giuridico di natura meramente «convenzionale» e quindi essenzialmente correlato con le esigenze sociali piuttosto che con la concezione cattolica, credo invece, che non possa essere assolutamente eluso il concetto di naturale riferito questa volta al contesto familiare, con il quale si intende affermare che l’unione, le relazioni, i legami, costitutivi della situazione familiare, non devono essere «innaturali» nel senso di «non-naturali» anche se non necessariamente «contro-natura». Assumendo infatti funzioni di crescita e di educazione dei bambini, i genitori devono costituire modelli «naturali» di comportamento e atteggiamento; suscettibili cioè di costituire adeguati modelli identificatori. Alla luce di quanto detto, è evidente che una cosa è considerare l’omosessualità come una disfunzione di personalità (considerando quindi le unioni tra gli omosessuali in qualche modo «innaturali»), un’altra è considerarla una legittima forma alternativa, naturale, di espressione della sessualità umana. Certamente la questione omosessuale è caratterizzata dal fatto che suscita una serie di atteggiamenti ambigui: se da un lato si afferma di voler perseguire una politica di piena accettazione sociale dell’omosessuale, di fatto si tergiversa non poco per timore di scontrarsi con gran parte della pubblica opinione, la quale continua a considerare l’omosessualità come una perversione sessuale. Lo stesso ordinamento giuridico nei suoi tentativi di evoluzione, si è mosso, per quanto riguarda il diritto di famiglia e i diritti delle persone, con imprecisione e frettolosità disconoscendo ciò che vi era di «saggio» nelle norme che ha inteso modificare. Per rimanere nei limiti del nostro argomento, sarà sufficiente notare 2 che quando si è abolita la «patria potestà» sostituendola con il concetto di «potestà dei genitori» non ci si è preoccupati di definire comunque una differenziazione tra potestà della madre e potestà del padre, salvo in caso di conflitto su questioni di estrema urgenza (art. 316 c.c.). La realtà psicologica suggerisce che fino all’età dei 3/5 anni è opportuno che la «potestà vigente» sia materna, mentre a partire dall’età scolare la potestà paterna, con le sue funzioni ordinative e normative, debba diventare predominante. Certamente questo è di difficile regolamentazione a livello normativo, ma può essere tenuto presente a livello giurisprudenziale. Quello che voglio sottolineare con questo esempio è che anche l’ordinamento giuridico, mosso da spinte egalitarie, vale a dire intese a stabilire la parità tra i sessi, ha in certi casi concorso a favorire una certa confusione dei ruoli, come tutto ciò che fa perdere di vista la funzione complementare dei partner sessuali. Tuttavia il problema principale riguardo l’omosessualità è essenzialmente quello dicotomico normale-anormale, che induce a prese di posizioni opposte e contrapposte; chiarito il quale la questione dovrebbe perdere gran parte delle sue spigolosità. Dico «dovrebbe», per il fatto che rimangono comunque delle differenze nodali tra eterosessualità ed omosessualità, basti pensare, in primo luogo, a quello della procreazione e della affiliazione. Oggi comunque il problema è diventato «pressante», per il fatto che l’omosessuale, costituitosi in «movimento», non si accontenta più della semplice tolleranza, ma pretende di essere considerato alla stessa stregua dell’eterosessuale, nel senso delle pari opportunità, esigendo di essere posto nella condizione di poter realizzare la propria vita individuale, di coppia e familiare. Il legislatore, a questo punto, si trova in serie difficoltà: da un lato è sollecitato a proporre modifiche alla Legge, mentre dall’altro è trattenuto dal prendere posizione in quanto non dispone di un adeguato criterio definitorio e di una adeguata conoscenza del problema omosessuale tale da poterlo opporre con forza e convinzione alla pubblica opinione. In ogni caso però, poiché l’ordinamento giuridico è sempre più spesso chiamato a occuparsi della questione, ne consegue inevitabilmente che, con il persistere dell’attuale stato confusivo e con il conseguente prudenziale silenzio da parte del legislatore, verrà continuamente chiamata in causa la giurisprudenza, sia in termini definitori che in termini perequativi, e si pretenderà inoltre, da parte omosessuale e, a questo punto, legittimamente, che gli venga progressivamente riconosciuto anche ogni altro diritto connesso quale, ad esempio, il diritto di adottare un bambino, il diritto di contrarre matrimonio, il riconoscimento della condizione di genitore (nel caso, ad esempio, di una coppia lesbica in cui una della donne sia disponibile ad essere fecondata artificialmente), il diritto di ottenere l’assegnazione di una casa popolare, gli assegni familiari, l’assenza facoltativa post partum concessa in alternativa alla madre ecc. ecc. Un chiarimento il più possibile definitivo, a cui questo scritto intende contribuire, appare quindi quanto mai opportuno. 3 I criteri alternativi Si configurano a questo punto almeno quattro alternative corrispondenti a quattro diversi modi di considerare l’omosessualità: 1) il rapporto omosessuale viene considerato come la conseguenza, come il sintomo di un disturbo di personalità; in tal caso ad esso va riservata tolleranza e comprensione, va ribadita la legittimità della sua derubricazione come reato (potrebbe persino costituire, in certi casi, una attenuante); ma l’omosessuale non assume in quanto tale, dignità di soggetto di diritti civili se non in maniera limitata (convivenza omosessuale, agevolazioni abitative ecc.), in quanto non si tratta di persona i cui rapporti interpersonali sessuali siano da considerarsi «naturali». 2) il rapporto omosessuale viene considerato non patologico ma coscientemente e responsabilmente perverso e quindi disdicevole. In tal caso va trattato alla stregua di tutto ciò che offende il comune senso del pudore, e va perseguito dalla Legge ogni qualvolta risulti «notorio» e l’omosessuale diventi responsabile di «pubblico scandalo»; così come accade in riferimento al reato di incesto. 3) il rapporto omosessuale pur ritenendosi una forma di sessualità alternativa, si ritiene non sia compatibile con le qualità e le caratteristiche personologiche richieste per l’esercizio delle funzioni genitoriali, ne positivamente compatibile con i processi psicologici di sviluppo della prole. In tal caso, all’omosessuale può essere riconosciuto il diritto alla libera espressione, ma non l’accesso ad istituti giuridici che presuppongono pregiudizialmente tra i criteri di «assegnazione» una sorta di «status» di eterosessuale e una conseguente modalità di relazione eterosessuale; la sola ad essere considerata naturale nel senso della idoneità a promuovere naturali processi identificatori. 4) il rapporto omosessuale si ritiene abbia diritto al riconoscimento di forma legittima di sessualità alternativa, vale a dire gli si riconosce il diritto di libera espressione e piena realizzazione affettivo-pulsionale. In tal caso le relazioni e le unioni che lo riguardato sono da considerarsi naturali e allora l’omosessualità, sia come modus vivendi, sia come tipo di relazione di coppia, può pretendere la stessa tutela riservata alle famiglie di fatto eterosessuali. Certamente alcuni nodi rimarranno comunque, anche nella ipotesi più permissiva o, come si dice oggi, garantista. Il fatto, come ho detto, che il rapporto omosessuale non sia in grado di procreare, comporta una inevitabile differenziazione nell’ambito del diritti di famiglia. Tuttavia la qualifica di «sessualità alternativa legittima» avrebbe egualmente un effetto rivoluzionario nell’ordinamento giuridico e lo stesso desiderio di allevare la prole troverebbe ampio spazio in istituti quali l’adozione, l’affidamento e, al limite, la fecondazione eterologa. Dobbiamo anche tenere presente che quelle sopraddette sono alternative a cui di fatto corrispondono altrettanti atteggiamenti della pubblica opinione sia pure con un diverso grado di adesione, per cui una definizione adeguata dell’omosessualità, considerata nella sua rilevanza giuridica, dovrebbe riuscire, 4 per ritenersi scientificamente fondata e socialmente funzionale, a tener conto e in qualche modo a rendere ragione di tali atteggiamenti, per non dover fare continuamente i conti con gli «irriducibili» dell’ostracismo sociale. Quest’ultima annotazione è tutt’altro che marginale. Se assumiamo un corretto atteggiamento psicologico, dobbiamo ritenere che, sia coloro che parlano di tolleranza e di comprensione per la malattia omosessuale, sia coloro che oppongono ostracismo e indignazione, sia infine gli stessi omosessuali quando hanno la pretesa che i loro rapporti, le loro relazioni stabili, vengano considerati come normali «rapporti di coppia», abbiano tutti una parte di ragione e che quindi ogni punto di vista possa pretendere legittimamente di trovare considerazione e significato all’interno della questione, pena l’ostinato dissenso. Del resto il fatto che, di fronte al caso di un insegnante di scuola elementare, omosessuale dichiarato, si sia sostenuto con eguale forza, sia che tale situazione era scandalosa, sia che ciò non era affatto da considerarsi negativo o fuorviante per l’educazione scolastica, va indubbiamente in questa direzione. Vale a dire che questo fatto mostra la variegata e contrastante gamma delle concezioni, spesso distorte, che circolano sull’argomento della omosessualità. Il problema, a mio avviso, consiste nel fatto che il nostro argomento è di quelli che non sono definibili in maniera univoca, ma debbono essere connotati a seconda della loro collocazione all’interno di uno «spettro» (secondo l’esempio dei colori), i cui estremi devono essere chiaramente individuati per poter collocare la questione al loro interno sotto forma di tipologia piuttosto che di situazione univoca. La collocazione all’interno di questo spettro deve permettere, per essere attendibile, di attribuire a ciascuna fattispecie la connotazione, la configurazione psicologica e il significato che le sono propri. Mostrerò come nel caso dell’omosessualità, i due estremi siano rappresentati dai sentimenti di odio e di paura-disperazione; per cui ad un estremo incontreremo l’omosessuale perverso e all’altro estremo l’omosessuale che pur mosso da sentimenti d’amore è troppo impaurito e disperato per scegliere l’eterosessualità. Del resto questo è valido anche per l’eterosessualità laddove odio e amore costituisco pur sempre i sentimenti antagonisti in gioco, che esitano, qualora siano esasperati in un senso o nell’altro, rispettivamente nell’eterosessualità perversa o creativa. Ma di questo darò conto dopo aver trattato della natura e del significato della omosessualità Omosessualità come fenomeno misconosciuto E’ opportuno chiedersi perché la maggioranza della gente, uomini di Legge compresi, ignorino o evitino di aggiornarsi su quanto la scienza psicologica più sperimentata ha detto riguardo l’omosessualità in questi ultimi cento anni. In altre parole: come mai il problema della omosessualità non ha ancora avuto, in ambito giuridico o sociologico, una definitiva definizione di «status»? Perché non vi è una opinione condivisa del rapporto tra omo ed etero sessualità al di fuori della pratica clinica? Perché non si è mai discusso, con il dovuto rigore scientifico, sui processi e sulle condizioni familiari e sociali che concorrono alla scelta omosessuale? 5 A meno che non si voglia considerare soddisfacenti gli enunciati e le opinioni di certi psicologi, tanto generici quanto approssimativi, queste domande risultano sostanzialmente inevase. Argomentazioni quali la presenza esclusiva di donne in famiglia, la influenza di una madre castrante, un eccesso di autoritarismo paterno, una identificazione narcisistica con la madre ecc., sono tutti argomenti pertinenti solo se inseriti in una argomentazione articolata, fondata clinicamente e giustificata metapsicologicamente. D’altro canto, l’accento posto sul carattere innato e sulle ipotesi ormonali porta inevitabilmente alla rinuncia di qualsiasi tentativo di comprensione psicodinamica dell’omosessualità e lascia lo spazio alle ipotesi di intervento farmacologico con le inevitabili delusioni che comportano (per non parlare dei danni collaterali). La scienza psicologica più impegnata, in primo luogo la Psicoanalisi, ha invece da tempo inquadrato il problema all’interno della nosografia clinica, in modo tale che non vi sembrerebbero essere dubbi sulla natura del problema omosessuale. Per quanto riguarda la Psicoanalisi, che indubbiamente è la scienza più avanzata nella conoscenza della mente, Freud e i suoi successori (ortodossi o meno che fossero) non hanno mai avuto dubbi sulla natura psicopatologica dell’omosessualità o, come diciamo oggi, sul fatto che questa è sostanziata da uno stato di sofferenza psichica. Per non parlare poi di specialisti della questione, quali Bergler, Greenacre, la Smirgel, Alexander, Balint, Gillespie, Feldman, Lorand ecc., la cui approfondita esperienza clinica depone nello stesso senso. E allora? Perché tanta incertezza? Perché un così diffuso equivocare? La difficoltà di risposta non è a mio avviso, di natura esclusivamente scientifica (anche se la questione richiede una grande competenza clinica, non certamente diffusa), ma è anche strettamente collegata a problemi psico-sociologici che coinvolgono la stessa «popolazione» eterosessuale; nel senso che l’omosessualità è uno di quei problemi che per la loro diffusione mobilitano e si prestano a «movimenti» di solidarietà e di alleanza pro e contro. Più semplicemente si può dire che il rifiuto di accettare definizioni di stampo psicopatologico e nello stesso tempo la spinta alla «ghettizzazione» sono ricorrenti laddove la questione riguarda un gran numero di individui e soprattutto laddove sono suscettibili di essere chiamate in gioco responsabilità sociali (genitori, scuola, Pubbliche Istituzioni) così facili a strutturarsi in termini paranoidi (a questo riguardo si parlava un tempo di pericoli per la corruzione o di traviamento della gioventù) che portano alla ricerca di un capro espiatorio. E’ lo stesso problema che fa essere così tolleranti nei confronti della prostituzione: esso in qualche modo accomuna il più libertino e il più insospettabile padre di famiglia, per cui l’esecrazione è sempre decisamente dichiarata ma scarsamente perseguita nei fatti (chi è davvero senza peccato lanci la prima pietra). Problemi come l’alcolismo, il tabagismo, la prostituzione, la curiosità pornografa ecc., tendono ad essere negati in termini di gravità, nonostante l’evidenza o, al contrario denunciati ma, per così dire «a piede libero»; ciò proprio a motivo della loro ubiquitarietà (sia pure con differenze di grado). Vedremo come questa ubiquitarietà renda ragione, all’opposto, anche di una certa tendenza all’inglobamento e dei tentativi di «normalizzazione sociale»: strategie tipiche in caso di problemi di difficile soluzione. 6 Da parte mia, sono convinto che, proprio a motivo di questa complicanza dovuta a problemi collaterali a quello principale, occorra quanto mai fornire, almeno a coloro a cui è demandata la responsabilità della regolamentazione dei rapporti sociali, un quadro concettuale semplice, comprensibile, ma dignitosamente scientifico, privo di tecnicismi di sapore «esoterico», che permetta una visione critica della questione omosessuale e travalichi il limite della mera «opinione» e che costituisca infine ( cosa che ci interessa particolarmente) un criterio di orientamento nella pratica amministrazione della giustizia. Non dimentichiamo infine come l’omosessualità costituisca un problema «sommerso» della realtà carceraria L’omosessualità come elemento ubiquitario nello sviluppo psichico Definendo l’omosessualità come elemento ubiquitario intendo riferirmi al fatto che l’omosessualità, intesa nel suo significato etimologico più ampio, è una esperienza che è parte integrante del processo di sviluppo psicofisico dell’individuo. Vale a dire che, come vedremo, è ormai provato e assodato, che ogni essere umano maturo passi, transiti, attraverso esperienze psicologiche alternative e opposte, comprese quelle che hanno a che vedere con la valorizzazione del proprio e dell’altro sesso e che hanno quindi, in questo senso, carattere etero od omo sessuale. Anche perché il risultato auspicabile è una struttura mentale «bisessuale» (nel senso che il soggetto deve essere capace di identificarsi, oltre che con il proprio sesso, anche con il sesso opposto, se vuole cercare di comprenderne la natura e la mentalità). Ciò significa che ogni essere umano è quindi potenzialmente «esposto», in certe condizioni sfavorevoli, alla scelta omosessuale, nella misura in cui l’omosessualità può assumere carattere sessuale e quindi travalicare quell’esperienza a cui si fa riferimento con espressioni del tipo «noi uomini» o «noi donne» Ne consegue che se l’omosessualità costituisce una implicazione comunque correlata al processo di sviluppo, nel senso che ciascuno di noi passa attraverso «fasi» omosessuali caratterizzate da sentimenti, atteggiamenti, fantasie, comportamenti omosessuali, è naturale aspettarsi che ogni soggetto tenda ad utilizzare strategie psicologiche difensive, oppositive o razionalizzanti, allo scopo di esorcizzare le ansie e i conflitti connessi alla esperienza omosessuale nella misura in cui può connotarsi in termini sessuali. Opposizione e «normalizzazione corrispondono a questo riguardo ai meccanismi di difesa fondamentali noti rispettivamente come negazione e proiezione. La prima è responsabile dell’eccesso di accettazione, la seconda dell’ostracismo sociale. Ci si potrebbe chiedere: «come mai se l’omosessualità entra nel processo di sviluppo normale, crea ansie così forti da costringere il soggetto a difendersene?» La risposta è che l’omosessualità partecipa sì al processo di sviluppo, ma come esperienza connessa all’identità e non come esperienza tale da essere assunta come scelta sessuale. Vedremo più avanti come Freud avesse fin dall’inizio avvertito sul diverso esito che può avere il rapporto con il genitore dello stesso sesso qualora il processo di identificazione subisca una distorsione. In sintesi: tenere presente la parte che ha l’omosessualità nella vita mentale di ciascuno di noi è quanto mai essenziale; altrimenti ogni situazione omosessuale (qualunque cosa significhi, e di qualsiasi intensità si tratti) creerà una sensazione di incertezza, di disorientamento che prevarrà sul desiderio di 7 approfondimento e di chiarificazione del problema. Ciò che non si riesce a comprendere o a definire crea ansia, con la conseguente tendenza a difendersene con strategie difensive. L’ansia relativa a problemi diffusi può accomunare e promuovere sodalizi e ciò avviene sia da parte degli omosessuali che da parte degli eterosessuali. Da questo punto di vista, l’omosessuale ha, in un certo senso ragione quando afferma che l’eterosessuale mostra, col suo ostracismo nei confronti dell’omosessualità, di non essere affatto sicuro della sua scelta sessuale e di tradire l’esistenza di problemi sessuali. Il problema della omosessualità secondo la Psicoanalisi Senza dubbio, la Psicoanalisi costituisce l’approccio più proficuo per la comprensione della natura e del significato della omosessualità. Liquidando ogni atteggiamento moralistico inteso a considerare l’omosessualità come una degenerazione, così come ogni tendenza a risolverne l’eziologia in termini di «costituzionalità», il problema della omosessualità ha trovato nella Psicoanalisi quell’atteggiamento neutrale, quella assenza di pregiudizio e quella disponibilità a vagliare ogni aspetto del problema, che caratterizzano, o dovrebbero caratterizzare, ogni seria indagine scientifica. Tuttavia la reticenza degli psicoanalisti ad interessarsi dei problemi psicosociali, unita all’idea che «la divulgazione sia tutto veleno per la Psicoanalisi» ha lasciato, senza confutarne l’inconsistenza, che si diffondessero e sedimentassero rispetto a questi, tutta una serie di fraintendimenti, individualmente e socialmente pregiudizievoli, alimentati inoltre da un certo psicologismo di scarsa qualità. Il pensiero psicoanalitico nei confronti della omosessualità, come del resto nei confronti della concezione della sessualità, ha avuto invece una notevole evoluzione, anche se si tratta di un percorso sotterraneo e poco divulgato. Per cui mentre la «cultura» sociale è rimasta ancorata al primo Freud, il pensiero psiconalitico ha acquisito una notevole conoscenza del problema. Si è creata dunque una situazione paradossale: gli studiosi competenti hanno disertato le aule, sia delle scuole che dei tribunali, mentre il pregiudizio l’ha fatta da padrone; specie per il concorso di quelli psicologi che amano più le luci della ribalta che non il sapere scientifico. Sarà quindi il caso di rendere giustizia alla competenza psicoanalitica considerando sia pure sommariamente, la sua concezione dell’omosessualità, a partire, come è d’obbligo da Freud. Freud si occupò della omosessualità fin dall’inizio delle sue indagini sulla sessualità infantile. Egli affrontò il problema in maniera differente in momenti storici diversi a seconda che l’omosessualità venisse da lui affrontata come problema psicopatologico o come fattore correlato al processo di sviluppo psicosessuale. Nel famoso «Tre saggi sulla sessualità», si preoccupò soprattutto di dimostrare che la sessualità è un elemento pulsionale originario e epigenetico dello sviluppo individuale, e quindi presente fin dall’infanzia. Obbiettivo non da poco, dato che in quel periodo si riteneva ancora che la sessualità entrasse in gioco solo al momento della pubertà. Il processo di sviluppo procede, secondo Freud, da una sessualità infantile con caratteristiche autoerotiche e narcisiste, prive quindi di oggetto, ad una 8 sessualità adulta, così detta «genitale» caratterizzata dal rapporto d’oggetto eterosessuale. In tal senso il discorso sulla omosessualità venne inizialmente utilizzato da Freud per evidenziare come, in questo percorso, non ci sia un legame originario e biologicamente predeterminato tra pulsione e oggetto sessuali. Egli collocò la omosessualità tra le «inversioni sessuali», inserendola quindi tra quelle che definì «le deviazioni rispetto all’oggetto sessuale»1 Egli si rese anche conto che lo sviluppo sessuale era una faccenda molto complicata, il cui esito non era affatto scontato. La complessità era tale che non aveva senso usare il termine omosessuale per definire una univoca e specifica patologia sessuale. «Le persone di cui si tratta - disse - si comportano in modo diversissimo in differenti direzioni». Evidenziò cioè che l’omosessualità era una soluzione, un risultato compromissorio, dagli esiti incerti e dalle direzioni spesso imprevedibili, di un intricato insieme di sentimenti e desideri, fondamentalmente in conflitto tra loro e facenti capo, al loro apice, alla vicenda relazionale triangolare nota come «situazione edipica». Nei Tre saggi questa complessità non appare ancora in tutta la sua evidenza, in quanto, come dicevo, l’interesse di Freud era volto a dimostrare la natura pulsionale piuttosto che affettivo-emozionale dello sviluppo psichico, il cui funzionamento è fondato su principi economici (equilibrio tra tensione e soddisfazione ottenuto tramite meccanismi di difesa dalla sofferenza mentale) e dinamici (concetto di carica energetica e di investimento), strettamente correlato alle funzioni fisiologiche fondamentali: nutritiva, escretoria, motoria ecc. Si annunciava in Freud anche il rilievo, l’importanza, delle vicende relazionali e dei processi e fenomeni ad esse connesse (identificazione, conflitto tra pre-genitalità e genitalità, ambivalenza, organizzazione pulsionale, angoscia di castrazione ecc.) che però non vanno ancora al di là del problema dicotomico gratificazionefrustrazione. E’ comunque chiaro fin da questo primo scritto che, invece di parlare di omosessualità intesa come sindrome, dovremmo parlare di soluzione omosessuale, ponendo l’accento sulla «ideologia relazionale» che questa sottende. Freud distinse tra omosessuali assoluti, anfìgeni e occasionali, a seconda che l’omosessualità costituisca l’unica forma di desiderio sessuale oppure conviva con l’eterosessualità o infine abbia a che vedere con comportamenti omosessuali posti in essere in dipendenza di circostanze eccezionali, caratterizzate dalla non disponibilità dell’oggetto sessuale normale (collegi omosex, lunghi viaggi per mare, periodo bellico ecc.) Egli distinse anche tra omosessualità sintonica e distonica; vale a dire tra omosessuali che riconoscono di essere portatori di una anomalia, di un problema, di una situazione «invertita», e quelli che negano tale stato: «Gli invertiti - scrive nei Tre saggi - rivelano inoltre un comportamento molteplice nel loro giudizio sulla particolarità della propria pulsione sessuale. Gli uni prendono l’inversione come qualcosa di ovvio, così come la persona normale accetta la direzione della sua libido, e sostengono accanitamente la parità di diritti della loro tendenza e di quella normale. Altri invece insorgono contro il fatto della propria inversione e la sentono come una coazione patologica.» 1 Egli denominò invece «perversioni» le deviazioni rispetto alla metà sessuale che consiste nel coito genitale. 9 Riguardo poi al momento della comparsa del desiderio omosessuale, e cioè al fatto che alcuni pensano di essere sempre stati omosessuali mentre altri indicano un momento della loro vita in cui se ne sono accorti, e altri ancora dichiarano di aver oscillato tra omosessualità e eterosessualità, o meglio, di essersi rivolti alla omosessualità dopo aver avuto esperienze eterosessuali, Freud si mostra alquanto scettico e sostiene la generale scarsa attendibilità dei ricordi riportati dai soggetti (concetto di paramnesia e di ricordo di copertura). E’ sorprendente la capacità di analisi della situazione mostrata da Freud fin da questo primo lavoro, per cui il lavoro dei suoi successori pur ampliando e aggiornando queste intuizioni non tolse nulla alla loro originalità. Freud si oppose fin da allora al concetto di «degenerazione», consapevole com’era, che l’omosessualità è presente in persone il cui comportamento è per il resto, nella norma, che spesso posseggono notevoli capacità e che addirittura si distinguono per uno sviluppo intellettuale e doti artistiche particolarmente elevate. E’ per tale motivo che suona ancor più stridente l’ostracismo sociale che ha caratterizzato l’atteggiamento dei più riguardo alla figura dell’omosessuale, pur comprendendo che a tale ostracismo non era estranea la volontà di trovare un comodo capro espiatorio. «L’inversione - avverte Freud - fu un fenomeno frequente, quasi una istituzione munita di importanti funzioni, presso i popoli antichi all’apice della civiltà». A proposito della diatriba tra coloro che sostengono il carattere costituzionale dell’omosessualità e coloro che vi oppongono l’idea che si tratti di un comportamento acquisito, Freud nota che i primi sono contraddetti dalla esistenza di forme «non assolute» di omosessualità (ambisessuali), i secondi dal fatto che dei soggetti sottoposti dal punto di vista delle interferenze sessuali (traumi, seduzioni, ambiente ecc.), alle stesse circostanze sessuali di vita, solo alcuni diventano omosessuali. Se tutto ciò non bastasse, la questione è resa ancora più complessa dal fatto che non tutti gli omosessuali hanno le caratteristiche sessuali dell’altro sesso (cioè non tutti gli omosessuali maschi sono effemminati; e non tutte le lesbiche hanno tratti mascolini). Non tutti gli omosessuali sono poi attratti dallo stesso tipo di partner (giovani virili o femminei, adulti, travestiti ecc., possono tutti essere oggetto di attrattiva); e inoltre molti di questi, oltre ad oscillare tra preferenze diverse, possono mutare nelle diverse fasi della loro vita sia i loro atteggiamenti che i loro comportamenti, così come possono mutare sostanzialmente le loro preferenze. Infine, anche le teorie dell’ermofroditismo e della bisessualità (nel senso somatico-biologico del termine) vengono da Freud prese in considerazione e sottoposte a confutazione; anche perché questa volta tali teorie non spiegano il perché un soggetto diventi eterosessuale invece che omosessuale. In conclusione, Freud afferma che «La natura della inversione non si spiega nè supponendo che essa sia innata nè che sia acquisita». Il problema è dato soprattutto dal fatto, e qui viene ribadito il rapporto tra soggetto e oggetto, che «abbiamo l’abitudine di rappresentare in modo troppo intimo il legame della pulsione con l’oggetto sessuale. L’esperienza dei casi ritenuti anormali ci insegna invece che, in tali casi, tra pulsione sessuale e oggetto sessuale non vi è che una saldatura2: noi corriamo il pericolo di trascurare questo fatto data l’uniformità della strutturazione normale, nella quale la pulsione sembra 2 La sottolineatura è mia. 10 comportare l’oggetto... La pulsione sessuale probabilmente è in un primo tempo indipendente dal proprio oggetto e forse non deve neppure la sua origine agli stimoli del medesimo». Freud sostenne cioè che all’inizio della vita vi è una sessualità «senza oggetto», laddove quindi il piacere sessuale è ottenuto attraverso la stimolazione di zone del proprio corpo diverse da quelle genitali (le così dette zone erogene); stimolazione che a sua volta non necessita della presenza dell’oggetto ma dapprima deriva per appoggio dalle stesse funzioni vitali e fisiologiche (nutrizione, funzione escretoria, movimento muscolare), nel senso che il bambino privilegia come zone erogene proprio quelle che sono correlate alle funzioni fisiologiche (bocca, ano), e che successivamente può essere provocata da pratiche masturbatorie (in senso lato). Si tratta di una acquisizione concettuale in grado di far luce sullo sviluppo della sessualità come mai era prima accaduto; la scoperta cioè dell’esistenza di quella che è stata definita «sessualità pre-genitale», per cui la pulsione sessuale viene dapprima soddisfatta senza che il piacere sia collegato all’attività genitale né che sia, tanto meno, necessaria la congiunzione tra genitali di sesso diverso. La sessualità pregenitale ha, per così dire, natura transitoria (anche se la ritroviamo poi commista, nel così detto polimorfismo, alla sessualità matura) e solo successivamente assume una direzione specifica con uno specifico oggetto sessuale. Anche se tale direzione di sviluppo è in qualche modo determinata biologicamente, dipende sostanzialmente da quello che Freud definì come il problema delle «vicissitudini degli istinti» ma che oggi, parafrasando Freud potremmo definire il termini di «vicissitudini delle relazioni». Certamente oggi sappiamo che quando Freud parlava di sessualità senza oggetto, non teneva ancora conto della così detta realtà psichica per cui più che una mancanza di oggetto, all’inizio dell’infanzia, vi è la mancanza di un oggetto «reale», in quanto vi è comunque uno o più oggetti di fantasia (oggetti fantasmatici). Tuttavia la grande scoperta consiste nell’idea che la mente costruisce se stessa, compresa la sua identità sessuale, pezzo per pezzo, e il suo sviluppo e la sua struttura non sono predeterminati se non secondo linee che potremmo chiamare «di tendenza» e che altri ha chiamato «modi» e modalità» (E.H.Erikson) nel senso che la natura definisce le modalità ma non la sostanza. Certamente vi sono anche degli «organizzatori filogenetici» che a livello concettuale alcuni definiscono come pre-concezioni (Wilfred Bion). Riguardo a quest’ultimo concetto occorre certamente ammettere che, nel caso della sessualità, vi è una pre-concezione della sua realizzazione eterosessuale (relazione edipica), così come vi è una pre-concezione del rapporto tra bocca e seno nella fase di allattamento; probabilmente la relazione eterosessuale è iscritta geneticamente e tende alla perpetuazione della specie. Si tratta, come si vede, di uno sviluppo laborioso e costellato di vicissitudini in presenza e in dipendenza di fattori che possono influire in maniera favorente od ostacolante il processo di sviluppo sessuale. Questo percorso a partire dalla sessualità pregenitale che oltre ad essere senza oggetto, attraversa poi varie fasi (autoerotica, narcisistica) a differente struttura organizzativa (orale, anale, fallica), ci induce a concludere che la genitalità eterosessuale è un risultato relativamente tardivo nello sviluppo del soggetto e trova la sua effettiva realizzazione nella tarda adolescenza, in quanto è solo a questa età che il processo di identificazione arriva a conclusione. Il concetto di identificazione fu ed è tuttora fondamentale per chiarire l’aspetto essenziale della scelta sessuale. Freud mostrò come l’identificazione di 11 un soggetto avvenisse normalmente con l’oggetto che si voleva essere (quello dello stesso sesso) ma che in certi poteva avvenire con l’oggetto che si voleva possedere (confusione tra identificazione e rapporto oggettuale) per cui l’identificarsi con l’oggetto di sesso diverso poteva essere come equivalente al possederlo entro di sé, rinunciando a realizzare nella realtà il concreto rapporto oggettuale corrispondente. Vale a dire «se io sono l’oggetto che vorrei avere», non ne sento più la mancanza perché Io sono quell’oggetto». La scelta della identità sessuale è influenzata dal clima di amore o di odio, dalla disponibilità in termini di assenza e presenza delle figure genitoriali, dalla tollerabilità della distanza affettiva, il che mostra come l’omosessualità, come del resto l’eterosessualità possa originare da motivazioni diverse; da qui la tipologia a cui facevo accenno più sopra.. Per quanto riguarda l’omosessualità intesa come sindrome psicopatologica, Freud se ne occupò in diverse occasioni. Nel saggio che tratta del Caso del Presidente Schreber, Freud si occupa questa volta dell’omosessualità come sindrome psicopatologica, considerandola come sottostante la paranoia. E’ in questo saggio che Freud conia la famosa formula che si riassume nella seguente sequenza di riflessioni: «Io (un uomo) amo lui (un uomo). Questo viene contraddetto da «io non lo amo-lo odio». «Io lo odio» si trasforma [infine], attraverso la proiezione, in «egli odia (perseguita) me, e quindi ho ragione di odiarlo» Secondo Freud la paranoia sarebbe in sostanza una difesa contro il sentimento omosessuale. Vale solo la pena di accennare che il rapporto omosessualità-paranoia, pur continuando ad essere sostenuto come caratterizzante alcune forme di omosessualità, venne dai seguaci della psicoanalista Melanie Klein, sostanzialmente capovolto: nel senso che fu l’omosessualità a rivelarsi come una difesa dalla paranoia (Rosenfeld 1948) Questo capovolgimento è importante perché, mentre Freud considerava l’omosessualità qualcosa da cui il paranoico si difende, ora è la omosessualità ad essere considerata come una difesa utilizzata anche, ma non solo, nei confronti della paranoia. Freud trattò anche dell’importanza della identificazione con la madre per l’omosessualità maschile nello scritto «Un ricordo d’infanzia di Leonardo da Vinci», e nello scritto del 1921 «Psicogenesi della omosessualità a partire da un caso di omosessualità femminile», ai quali si rimanda per eventuali approfondimenti. Dopo Freud, gli studi sulla natura delle identificazioni che sono alla base del senso di identità occuparono gran parte dell’impegno degli psicoanalisti, allo stesso modo che il complesso edipico divenne ben presto evidente non solo nella versione originaria ma anche in quella detta «negativa» o invertita (amore per il genitore di sesso diverso e odio per quello di sesso opposto). Oggi sappiamo che le identificazioni non avvengono solo assumendo in sé le immagini genitoriali con le loro proprie reali caratteristiche e qualità (identificazione introiettiva); ma anche mettendo primariamente in loro, prima che avvenga l’introiezione, aspetti della personalità che sono nostri e che non corrispondono alla loro reale personalità (identificazione narcisistica). Un adeguato processo di acquisizione della identità avverrebbe quando il soggetto, consapevole delle reali qualità personologiche dei genitori (a cui si aggiungono quelle delle altre «figure» genitoriali) assume costoro come esempio, come modello. Queste immagini genitoriali o similari (maestri, guide, personaggi 12 ammirati, stimati) sarebbero consapevolmente distinte da sé e considerate come figure di riferimento che influirebbero sulla nostra acquisizione della identità senza peraltro crearci confusioni di identità. E’ chiaro che un soggetto così detto «sessualmente normale» o se preferiamo, «sessualmente maturo» è quello che ha assunto l’identità del genitore dello stesso sesso, (configurata secondo l’idea che egli ne ha e modificata dalle esperienze successive) e che si pone in rapporto con un oggetto di sesso diverso le cui qualità sono confrontate (positivamente o meno che sia) con quelle genitoriali. In conclusione, sul piano metapsicologico, si può dire che l’omosessualità deriva da distorsioni identificatorie. Quello che rende anomala la scelta omosessuale è poi il fatto che si tratta di una «scelta» che è tale solo in apparenza, in quanto il soggetto è costretto a tale scelta per evitare una sofferenza psichica correlata ad una situazione di conflitto relazionale di natura arcaica. Il conflitto ha a che vedere oltre che con l’amore e con l’odio anche con sentimenti quali gelosia, invidia, avidità. Occorre perciò distinguere la natura del sentimento sottostante. La distinzione che mi interessa rilevare prima di ogni altra è quella che distingue l’omosessuale la cui scelta sessuale è motivata dall’odio dall’omosessuale che è divenuto tale per paura; odio e paura sono ovviamente intesi come relativi alla eterosessualità. Si potrebbe obiettare che dovremmo considerare anche l’omosessuale che è tale per amore; cioè per amore del genitore dello stesso sesso. Sembra però provato che l’amore per il genitore dello stesso sesso non spinge all’omosessualità ma genera il desiderio di identificarsi con lui, piuttosto che possederlo come oggetto d’amore sessuale; in quanto quest’ultima alternativa sottenderebbe invece la fantasia di toglierlo all’amore del genitore di sesso opposto. Un’altra ragione che sembra smentire l’idea dell’amore omosessuale è che questo è spesso una forma di amore narcisistica, vale a dire che il soggetto ama nell’altro un sé stesso proiettato. Se tutto ciò non bastasse, occorre anche tenere presente che le forme omosessuali sono diverse, nel loro significato affettivo ed emozionale, a seconda dei ruoli inconsci che il soggetto assume e fa assumere al partner. Vale a dire che quando due soggetti dello stesso sesso, poniamo due donne, vivono un rapporto omosessuale occorre stabilire; per ciascuno dei soggetti quali sono i personaggi inconsci rappresentati (bambino, bambina, padre, madre); abbiamo già visto che a volte il soggetto si identifica con la madre e identifica il partner con il se stesso bambino. L’omosessualità può anche evolversi nel senso che la stessa «natura» dei personaggi «in scena» può cambiare nel tempo. Infine, proprio in funzione del fatto che la personalità è composta e gestita da personaggi che possono, per così dire alternarsi nella gestione della psiche del soggetto, un soggetto può vivere una accanto all’altra o in alternanza periodica, relazioni omosessuali ed eterosessuali. Per quanto riguarda l’età in cui l’omosessualità si manifesta, possiamo ritenere che un soggetto omosessuale rimarrà tale solo se la sua omosessualità permarrà anche dopo aver superato l’adolescenza. La omosessualità che si manifesta nel corso della adolescenza (nel bambino era vissuta in fantasia), è il più delle volte un evento «normale». Vale a dire che i frequenti casi di rapporti omosessuali che si manifestano nei collegi omosex non hanno natura 13 effettivamente tale, ma hanno significato di forme di sperimentazione della eterosessualità effettuate in ambiente non adatto; allo stesso modo in cui non sono da considerarsi sintomi di omosessualità gli episodi che si verificano in situazioni in cui l’altro sesso non è disponibile come partner sessuale per lunghi periodi, come i viaggi per mare, la vita claustrale o la vita carceraria. Il problema delle cause e delle condizioni Fino ad ora ho parlato di quello che avviene nel percorso di sviluppo: crisi, oscillazioni affettive, distorsioni percettive, deviazioni, fissazioni ecc., che anziché condurre alla eterosessualità portano, a seguito di una sorta di ideologia distorta e negativa della sessualità, alla scelta omosessuale; ma ho trattato delle cause solo in riferimento alle dinamiche interne al soggetto, a prescindere dalle interrelazioni familiari, ipotizzando come possibile che ciò possa avvenire anche senza una precisa imputabilità ai comportamenti ed agli atteggiamenti reali dei genitori o degli educatori. Un bambino può, semplicemente a motivo di una scarsa tolleranza della frustrazione o a motivo di una accentuata tendenza alla aggressività, reagire sproporzionatamente anche a piccole frustrazioni normalmente tollerabili. Tuttavia ciò non significa che i genitori e le esperienze a cui va incontro il bambino non abbiano una influenza, spesso notevole e a volte determinante, sull’andamento del processo evolutivo e sui suoi esiti. Da queste considerazioni possono sorgere spontanee due domande. La prima è la seguente: «Perché, un soggetto diviene omosessuale ed un altro, poniamo, isterico o ossessivo?» Inoltre: «Quali sono le cause e le condizioni esterne (ambiente e relazioni familiari) che influenzano o a volte determinano la scelta omosessuale?» Se siamo costretti ad ammettere che la scelta della omosessualità in alternativa ad altri compromessi psichici (nevrosi, sintomo psicosomatico ecc.) è un fatto che è ancora misterioso e probabilmente lo sarà sempre (allo stesso modo in cui il chiederci perché un soggetto si ammali di una malattia fisica piuttosto che di un’altra è destinato a non trovare risposta) molto sappiamo invece sulla «igiene mentale» che può prevenire delle difficoltà psicologiche; così come possiamo dire molto sulle condizioni sfavorevoli. Se la scelta sessuale dipende dalla natura dell’identificazione, quest’ultima dipende anche dal comportamento e dall’atteggiamento dei genitori, sia del genitore preso quale modello che di quello che costituisce, per così dire, l’antecedente edipico alla base della scelta oggettuale. Esemplificando la questione, potremmo dire che due sono i fattori che influenzano la scelta identificatoria del bambino: la sua immagine genitoriale fantasmatica (falsificata dal gioco delle proiezioni) e la immagine dei genitori reali composta da quello che il genitore è e quello che il genitore fa; cioè dai suoi comportamenti e dai suoi atteggiamenti. E’ evidente che stando così le cose, un genitore omosessuale non è affatto un buon modello identificatorio, sia che la sua omosessualità sia manifesta, sia che rimanga latente. Allo stesso modo un genitore che si faccia odiare dal figlio dello stesso sesso, o sia troppo temuto dal figlio di sesso opposto, così come un clima familiare in cui si genera odio o disistima piuttosto che amore, stima, fiducia e speranza, influenza negativamente l’identificazione e può portare alla scelta omosessuale o alla scelta eterosessuale perversa. 14 La differenza è che la scelta eterosessuale perversa è più occultabile della scelta omosessuale, dato che la prima si cela dietro una apparenza di normalità. Una domanda altrettanto interessante è quella che riguarda le influenze esterne extra familiari, vale a dire sociali, e si tratta di una domanda che ha una pressante esigenza di risposta, per il fatto che il fenomeno dell’omosessualità è in espansione al punto di aver dato luogo ad un vero e proprio «movimento gay». Come mai, cosa fa si che nonostante la prevalenza dell’eterosessualità nei rapporti di coppia, nelle nuove generazioni , sono sempre più coloro che preferiscono una scelta sessuale così decisamente difforme a quella dei loro genitori? La domanda così posta è troppo generica, ma dopo quanto detto, possiamo trasformarla in modo che, questa volta, sia possibile una riflessione sul problema. Potremmo infatti riformularla chiedendoci «Perché un soggetto può essere così impaurito o così ostile alla eterosessualità da preferire la scelta omosessuale? Qui sta l’aspetto più spinoso della questione, perché implica una sorta di ribaltamento delle responsabilità. Se accettiamo che la scelta omosessuale, oltre che da dinamiche intrapsichiche, dipenda anche dalla qualità della eterosessualità «vigente», dobbiamo a questo punto riconoscere che all’aumento del fenomeno omosessuale non è estranea la pessima qualità di quest’ultima, che sembra legittimo considerare sempre meno idonea a veicolare esperienze d’amore. In altri termini la recrudescenza della omosessualità dipende anche dal livello di degenerazione e quindi di perversione della eterosessualità attuale. Parafrasando Freud che diceva di chiedersi non tanto perché la gente è malata ma perché, stando così le cose (la società), vi sia ancora molta gente sana, potremmo dire che, dato lo stato, data la qualità, della eterosessualità attuale, c’è da chiedersi come mai vi siano ancora tanti soggetti eterosessuali, a meno che la scelta eterosessuale sia di natura perversa e quindi rappresenti essa stessa una scelta altrettanto distorta, e forse più ancora, di quella omosessuale. Se l’eterosessualità è sempre più di natura perversa e pornografa si potrebbe arrivare a dire che è più sano (o meno malato) l’omosessuale che non l’eterosessuale, pur consentendo la natura nevrotica della scelta omosessuale. Certamente questo discorso forse esula dall’argomento «omosessualità e giustizia» ma fa certo luce sul problema. Dato però che recentemente un giudice ha affermato non costituire necessariamente reato, o aggravante ( ho solo letto la notizia sui giornali) il fatto che un adulto, con precedenti pedofili, abbia fatto vedere ad un minore delle videocassette pornografiche, forse la disgressione non è del tutto fuori tema. Pur avendo sollevato, la suddetta sentenza, legittimo scalpore, tuttavia il giudizio non dovrebbe sorprendere più di tanto, dato che altrimenti sarebbero, alla stessa stregua, condannabili tutti i genitori che permettendo ai loro figli di assistere ai film che circolano liberamente in TV e che inducono una ideologia sessuale chiaramente distorta (amplessi diuturni vere e proprie maratone sessuali, con baci che ricordano il famoso film «La grande abbuffata» di Ferreri) A questo punto sembra chiaro che se è assurdo pensare che la scelta omosessuale, fondata com’è su una confusione del senso di identità, possa essere considerata una scelta sessuale altrettanto legittima di quella eterosessuale, è altrettanto assurdo non prendere in considerazione, allo scopo di affrontare la questione delle cause, che parte abbia la visione imperante della eterosessualità nel determinare o favorire questa confusione. 15 Verso considerazioni conclusive Mi sembra a tale proposito di poter utilizzare seguenti affermazioni: come punti di riferimento, le Riguardo alla omosessualità a) la omosessualità è uno stato di sofferenza che non va solo tollerato ma compreso. b) la omosessualità non è una sindrome definibile in termini nosologici (sindrome o quadro clinico) in quanto va vista come una sorta di compromesso relazionale negativo, estremamente diversificato nelle cause, nelle forme e negli obbiettivi psicologici, e i cui motivi fondamentali sono riferibili a sentimenti di odio o di paura nei confronti della eterosessualità. c) il motivo per cui il soggetto “scelga” l’inversione piuttosto che la perversione è alquanto misterioso e probabilmente approfitta di una certa «compiacenza somatica» (qualunque cosa significhi) Riguardo all’atteggiamento distorto nei confronti della omosessualità possiamo dire che: a) il tentativo di «normalizzazione» dell’omosessualità da parte istituzionale e sociale si fonda sulla negazione, e ha alla base (anche se non solo) il desiderio di allontanare da sé il senso di colpa per una qualche responsabilità sentita nei confronti del problema, forse anche nei termini di sentirsi dei pessimi eterosessuali. b) l’ostracismo, dal canto suo, dipende in gran parte dalla esorcizzazione (proiezione) della propria paura per l’omosessualità e per il giudizio corrispondente. Riguardo all’atteggiamento adeguato nei confronti della omosessualità possiamo dire che: a) occorre accettare l’idea che il modello sessuale e l’atteggiamento dei genitori nei confronti della eterosessualità possa «ricadere» sui figli. Occorre assumersi di conseguenza la responsabilità della qualità della eterosessualità imperante nella società attuale. b) la natura pornografica della eterosessualità attuale è un elemento certamente negativo per un normale sviluppo sessuale e va decisamente combattuto; forse soprattutto in termini di ideologia (donna oggetto, uomo «macho») e in primo luogo nella cinematografia e nella pubblicità c) si deve evitare che eterosessualità perversa . l’omosessualità 16 diventi il capro espiatorio della Ordinamento giuridico e omosessualità Come è nella consuetudine di questi nostri Quaderni, dopo aver affrontato il problema definendone la natura e il significato, e trattato quindi l’argomento a livello teorico, ci occuperemo ora, a titolo esemplificativo, di alcune delle molteplici situazioni nelle quali l’omosessualità assume rilevanza giuridica, per vedere se quanto finora esposto possa costituire davvero un contributo all’aggiornamento di quei parametri di riferimento con i quali il magistrato si orienta per quelle decisioni che pur rientrando nella sua sfera di discrezionalità, non possono essere dedotti dalla mera interpretazione della norma, in quanto richiedono delle specifiche conoscenze di merito. Si tratta del resto di norme i cui contenuti di merito devono essere continuamente ridefiniti in funzione dei mutamenti sociali del costume, della morale e dei criteri educativi. E’ chiaro, ad esempio, che quando il c.c. parla, riferendosi ai genitori, del dovere di allevare e di educare i figli, non specifica certo quali siano le modalità e le concezioni più adeguate a che il dettato giuridico venga adeguatamente soddisfatto. Allo stesso modo, quando il c.p. parla di «condotta contraria all’ordine o alla morale delle famiglie...(art.570)» non definisce certo di che ordine e di concezione morale si tratti, rimandando a quella che viene definita come «la morale corrente». 3 Ciò precisato, il principio generale dal quale possono essere estrapolate tutte le decisioni relative alla singole fattispecie è quello già da me espresso nel corso della trattazione, e cioè che se è legittimo che i legami affettivo-sessuali dell’omosessuale vengano considerati come facenti parte della sfera della libera realizzazione della personalità, non è altrettanto legittimo che l’omosessuale pretenda di poter svolgere quelle funzioni genitoriali di allevamento e di educazione dei figli proprie della coppia eterosessuale. Questa affermazione di principio trova conforto, come si è visto, nel dettato Costituzionale e nelle acquisizioni della scienza psicologica. Di conseguenza, qualsiasi pretesa di equiparazione della convivenza e dei rapporti omosessuali alla condizione familiare dovrebbe essere decisamente rifiutata e scoraggiata. A ulteriore sostegno di questa tesi, occorre rilevare l’aspetto paradossale delle richieste omosessuali in tal senso, nella misura in cui rivelano una contraddizione interna o, se si vuole, una mancata assunzione di responsabilità nei confronti della stessa scelta sessuale. In altri termini, se il rapporto omosessuale non porta, per sua natura, alla procreazione, non si vede perché si pretenda di allevare quei bambini che ci si è rifiutati di mettere al mondo. Sarebbe come se una coppia fertile avesse scelto di non avere figli e nello stesso tempo pretendesse di essere considerata idonea all’adozione. 3 Le recenti sentenze della Suprema Corte, che hanno fatto scalpore e provocato reazioni indignate da più parti, sono il riflesso e mettono contemporaneamente in evidenza la natura di queste difficoltà che sono ineludibili in un momento storico che, come quello attuale, è caratterizzato dal passaggio da una concezione dell’uomo fondata sulla religione ad una nuova concezione dell’uomo per così dire, «laica», fondata o per lo meno integrata dalla conoscenza scientifica. E’ innegabile infatti, come ho già altrove ricordato, che molte delle battaglie per i diritti civili e molte delle Leggi che ne sono conseguite hanno preso direzioni divergenti da quelle indicate dalla morale cattolica. 17 A proposito poi della idoneità genitoriale, ribadisco che le funzioni paterne e materne sono correlate normalmente alla identità di genere, e che il caso di funzioni paterne esercitate dalla madre o di funzioni materne esercitate dal padre, è accettabile solo in quanto «accidentale» (morte o «latitanza» del coniuge, separazione legale ecc.) e non in linea di principio. E’ implicita l’opinione che l’adozione di un bambino da parte di un individuo single è alquanto fuori luogo. Che le richieste di cui stiamo parlando siano definibili come «paradossali» non significa che non abbiano significato nella economia mentale del soggetto. Si tratta semmai di un significato negativo, nel senso che denota l’esistenza nell’omosessuale di sentimenti di ostilità, di paura o di ambivalenza, per cui l’omosessuale non è un soggetto portatore di un modello familiare adeguato alle necessità identificatorie del bambino. Molte sono le situazioni rese problematiche dal manifestarsi della situazione omosessuale. Nel caso dei conflitti familiari, e quindi in materia di separazione coniugale, occorre distinguere i casi in cui l’omosessualità è implicata quale causa di separazione (con addebito o non) dai casi in cui l’omosessualità è implicata riguardo all’assetto familiare che consegue alla pronuncia della separazione legale. I primi riguardano essenzialmente il rapporto tra i coniugi; i secondi riguarda il rapporto tra genitori e figli in merito all’affidamento ed alla regolamentazione dei rapporti con il genitore non affidatario. Possiamo dunque elencare una serie di situazioni: Riguardo alla omosessualità come causa di separazione a) il coniuge può rivelarsi ambisessuale b) il coniuge può essere omosessuale da prima del matrimonio o può essersi scoperto tale successivamente (per quanto questo caso possa essere improbabile) c) il coniuge può essere omosessuale, ma percepire la propria condizione come problematica, come patologica; inoltre la sua omosessualità può non aver mai dato luogo a concreti comportamenti omosessuali ma essersi manifestata come difficoltà nei rapporti eterosessuali. d) il coniuge resosi conto che la omosessualità del partner risaliva a prima del matrimonio, può ritenere di aver subito un «danno psicologico». In tutti questi casi il modo di considerare l’omosessualità è determinante per stabilire se si tratti o meno di separazione con possibilità di addebito. Riguardo l’assetto familiare post separazione a) il coniuge eterosessuale può richiedere l’affidamento esclusivamente perché ritiene antieducativa la scelta omosessuale del partner. b) il marito può chiedere la separazione da una donna omosessuale che è madre di un bambino in tenera età, pretendendo nel contempo l’affidamento del figlio. 18 c) il figlio adolescente può pretendere di essere affidato al padre pur conoscendo che questi è omosessuale. d) la rivelazione dell’omosessualità riguardare il genitore affidatario. può essere successiva alla separazione e e) un genitore a seguito della manifesta omosessualità del coniuge può esigere che a questi venga tolta la potestà genitoriale ex. art.333. f) il coniuge scoperta la omosessualità del partner e pur essendo questa di pubblico dominio, può scegliere di continuare la convivenza nonostante la presenza di figli minori Anche in questi casi l’affidamento e l’assetto familiare dipendono dal significato che viene attribuito alla omosessualità Vi sono altre questioni interessanti: Riguardo all’ambiente di lavoro Occorre spesso distinguere se l’omosessualità era nota al momento dell’assunzione o è stata scoperta successivamente. Non è molto facile distinguere, nel caso dell’omosessuale inserito nell’ambiente di lavoro prima che si venisse a conoscenza della sua omosessualità, dove vi sia discriminazione e dove sia legittimo procedere a variazioni nelle mansioni di lavoro. Basti pensare ad esempio al settore pubblicitario e al fatto che il soggetto sia stato scelto per rappresentare una pubblicità virile; oppure alle conseguenze derivanti da turbative dell’ambiente di lavoro dovute al conflitto con il personale eterosessuale ostile alla omosessualità. A volte potrebbe essere intravista la possibilità di un risarcimento danni. Basti pensare ad una serie televisiva di successo, che ruoti attorno ad una coppia di divi e che successivamente si scopra che uno dei due è omosessuale: potrebbe non essere agevole stabilire se questo si sia tradotto in un vantaggio o in un danno. Si tratta di situazioni che non sempre sono facili da dirimere, dato che spesso sarebbe necessario stabilire il particolare tipo di omosessualità di volta in volta implicata (ad esempio nel caso di un insegnante che si riveli omosessuale). Riguardo all’ambiente carcerario Credo che siamo tutti d’accordo che in questo ambiente il problema dell’omosessualità è tanto grave quanto sommerso; così come tutti sono in grado di immaginare il disagio e sofferenza che lo accompagnano. In regime carcerario il problema è molto intricato, per il fatto che il comportamento omosessuale coinvolge gli stessi soggetti eterosessuali e non può essere trattato se non all’interno del più ampio problema della sessualità in regime carcerario. 19 Riguardo al servizio militare Sarebbe interessante avere a disposizione dei dati per sapere se e quando l’omosessualità sia considerata compatibile con la vita di caserma e quando invece costituisca un valido motivo per chiedere di essere riformati. Credo che la decisione dovrebbe dipendere dal tipo di omosessualità e soprattutto se è o meno correlata ad atteggiamenti femminei. Omosessualità e ambiente familiare Vi potrebbe essere una situazione in cui l’omosessualità di uno dei coniugi dia come conseguenza un clima familiare caratterizzato dalla ambiguità. Peggio ancora se entrambi i coniugi fossero omosessuali e si fossero uniti in matrimonio al solo scopo di avere dei figli. Certamente tutto ciò non ha sempre implicazioni giuridiche; tuttavia la irrilevanza giuridica dipende spesso dal fatto che non sempre i soggetti riescono ad vedere le cose sotto la giusta luce e questo preclude loro la possibilità di ottenere tutela e di far valere diritti, laddove ciò sarebbe invece possibile. Il problema di fondo è che l’evoluzione dei costumi e le conquiste sociali risultano quasi sempre in anticipo rispetto all’aggiornamento dell’ordinamento giuridico. Conclusioni Io credo che la disamina fin qui compiuta ci permetta di trarre almeno tre osservazioni di fondo. La prima riguarda la natura del problema e la sua definizione; la seconda riguarda la prevenzione; la terza riguarda la collaborazione tra psicologo giuridico e l’uomo di Legge. Per quanto riguarda la natura del problema non c’è bisogno di ulteriori chiarimenti dato che la sua definizione costituisce il principale obbiettivo del presente lavoro. Per quanto riguarda la prevenzione è ineludibile porsi il problema dell’attuale deterioramento della eterosessualità; ma anche a questo ho fatto ampiamente riferimento. Resta da dire qualcosa sulla collaborazione tra Psicologia e Giustizia. A questo riguardo non è più possibile che la consulenza psicologica sia ridotta a pratica peritale o a diagnostica individuale e familiare, così come accade il più delle volte. Certamente nell’ambito del Diritto minorile la collaborazione è più articolata, ma non ci si muove comunque secondo criteri funzionali condivisi. Occorre, a mio avviso, che il giudice esiga che nella consulenza psicologica l’esperto espliciti i concetti e le sue teorie di riferimento e possa inoltre contare su relazioni che siano l’esito di un dialettico contraddittorio tra le parti (CTP e CTU), senza il quale non vi è alcuna garanzia di scientificità. Basti pensare che una ricerca di qualche anno, fa rivelò che negli Stati Uniti circolavano circa 270 tipi di concezioni psicoterapiche diverse. Spesso invece il rapporto Giudice-CTU si risolve nei due momenti della formulazione del quesito da parte del primo e del deposito della relazione peritale da parte del secondo, senza nemmeno che vi sia una chiarificazione verbale. Tutto ciò, pur giustificato dalla mole di lavoro che intasa le aule dei tribunali e pur rientrando nella discrezionalità del giudice, può dar luogo ad equivoci interpretativi. 20 L’attuale scarsa funzionalità del rapporto di consulenza psicologica (che, paradossalmente, è di rado avvertita dal Giudice), trova la sua ragione di essere nella scarsa professionalità specifica dello psicologo giuridico il quale, in genere, non si dedica alla Psicologia Giuridica intendendola come un’area della Psicologia applicata dotata di fondamenti, e di metodologie sue proprie che richiedono una specifica specializzazione; ma come un settore (nel quale spesso si è trovato per caso) dove tutto è lasciato alla buona volontà dei singoli. Inoltre manca spesso nello psicologo giuridico, una esperienza clinica di base che costituisce invece, da sempre, il fondamento dell’indagine di personalità. Questo non significa che un notevole lavoro in tal senso non sia già stato in parte effettuato e promosso da studiosi particolarmente impegnati; ma nonostante tutto si tratta di un lavoro pionieristico. Tutto ciò esige che la Psicologia Giuridica si strutturi metodologicamente e professionalmente in maniera più adeguata. Soprattutto in materia penale laddove concetti come ”capacità di intendere e di volere” o “semi-infermità mentale” mostrano tutta la loro inutilità. Per non parlare del regime penitenziario, laddove l’inefficacia trasformativa viene tristemente documentata quotidianamente. 21