FERNANDA PIVANO LEGGENDE AMERICANE Edgar Lee Masters, Ernest Hemingway, Francis Scott Fitzgerald, Dorothy Parker, William Faulkner I GRANDI TASCABILI BOMPIANI Aggiornamento bibliografico a cura di Enrico Rotelli Realizzazione editoriale NetPhilo Srl ISBN 978-88-452-6737-6 © 2011 Bompiani/RCS Libri S.p.A. Via Angelo Rizzoli 8 – 20132 Milano I edizione Tascabili Bompiani giugno 2011 Prefazione alla presente edizione Questo libro, che uscì la prima volta nel 1976 per il Formichiere e venne poi ripreso nel 1982 dalla BUR di Rizzoli, esce ora per la Tartaruga con l’aggiunta di un brano tratto dall’introduzione a Di qua dal Paradiso di Fitzgerald, uscita per la Mondadori nel 1952 nell’edizione Il Ponte; e con la precisazione che l’introduzione a Luce d’agosto di Faulkner è inclusiva di brani di una biografia di 124 pagine (scritta su commissione della Mondadori) che avrebbe dovuto uscire come volume a sé stante e invece venne manipolata e in un primo tempo inserita nelle prefazioni delle prime edizioni Oscar a Luce d’agosto e a Il Borgo, per venir poi omessa per imprescindibili decisioni editoriali di cui non ebbi mai notizia. Dalle edizioni Formichiere-BUR è stata tolta invece una introduzione troppo coinvolta o se si vuole troppo “melensa” al capitolo costituito da tre interventi ormai introvabili sull’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters (due fascette di dischi e il programma di sala per la riduzione teatrale di Giancarlo Sbragia). Nel brano omesso era introdotta l’immagine che a suo tempo mi fece innamorare della Antologia, quella evocata da Francis Turner nel raccontare che mentre baciava Mary “with my soul upon my lips”, con l’anima sulle labbra, l’anima d’improvviso gli volò via. È con l’anima sulle labbra che scrissi in quegli anni appassionati la maggior parte delle pagine incluse in questa raccolta che a suo tempo interessarono giovani incatenati da una guerra non voluta, da un linguaggio 5 grottesco, da coercizioni medioevali e ritrovarono non tanto nelle mie parole quanto nei libri che proponevo le loro ansie libertarie, i loro sogni di anarchia, di democrazia, di sincerità. Ancora adesso, cinquant’anni dopo, questa Antologia di Spoon River, questo libretto tanto disprezzato dalle Accademie, viene scambiato tra ragazzi innamorati come una specie di pegno d’amore; ed erano appena scadute le date dei cosiddetti “diritti” che tre editori fecero uscire nuove traduzioni da affiancare alla mia. È anche per questa passione di poco spenta dagli anni che Edgar Lee Masters apre la raccolta della Tartaruga. Il secondo capitolo comprende cinque introduzioni, dal 1965 al 1974, ancora scritte “con l’anima sulle labbra” (questa immagine che fa da leitmotiv al libro) e con l’anima sulle labbra sono scritte le cinque introduzioni del terzo capitolo dedicato al “mio” Fitzgerald (la prima fu definita da Giancarlo Vigorelli “una lettera d’amore”) e l’introduzione alla straziante biografia di Zelda. La passione si riaccese quando, nel 1971, raccontai la storia di Dorothy Parker (che consideravo e considero un genio degli anni venti e di tutti i tempi e di tutti i paesi) e del suo drammatico scontro con la bizzarra istituzione degli “Antifascisti Prematuri” con la loro buffa sigla PAF, che in attesa della inquisizione di Joseph MacCarthy cominciò a toglierle il lavoro a Hollywood facendola entrare nella lista di trecento “sospetti comunisti”. La Bompiani già nel 1941 pubblicò col titolo Il mio mondo è qui la raccolta di racconti Here Lies tradotta da Eugenio Montale, ma il libro non circolò; ne fece una ristampa nel 1971 con questa mia introduzione ed ebbi l’orgoglio di vedere accettare questa grande scrittrice che sostenne subito tre edizioni e poi un’altra edizione tascabile Bompiani nel 1984, dove l’editore mi fece aggiungere un pezzo soprattutto informativo (l’anima 6 non era più sulle labbra). Ora la Tartaruga ha pubblicato una bellissima raccolta di Dorothy Parker, una specie di opera omnia col titolo Tanto vale vivere, e spero che i lettori non si lascino impressionare dagli attacchi astiosi e ingiustificati di certa critica accademica. La nostra raccolta si conclude con tre prefazioni ai romanzi di Faulkner e la sua biografia, considerata come prefazione a Luce d’agosto: la biografia tratta da quella sfortunata del 1959 che scrissi ancora con l’anima sulle labbra. Ecco. Ormai questi autori che io amavo mentre stavano trasformando la storia della letteratura americana, sono diventati dei classici: se dovessi scrivere adesso queste presentazioni potrei aiutarmi con decine e decine di biografie, e monografie che riempiono i miei scaffali. Ma quella felicità di scoperta, quella gioia di trasmetterla ad altri, forse non l’avrei più; forse l’anima non mi salirebbe più sulle labbra. Fernanda Pivano, 1993 7 EDGAR LEE MASTERS Una poesia senza tempo* Quando nel 1915 uscì Spoon River Anthology, una raccolta di versi in cui si immagina che i defunti di una cittadina recitino da sé il proprio epitaffio, l’America fu percorsa da un brivido: il pubblico, addestrato dalla letteratura di denuncia che Theodore Roosevelt aveva definito muekraking, credette dapprima di dover cercare e trovare soltanto lo scandalo nelle rivelazioni brucianti di intimità segrete messe spietatamente a nudo in versi dalla forma insolita e dal contenuto violentemente anticonformista. Eppure non fu il gusto dello scandalo a muovere Masters, che era tutto tranne uno scrittore scandalistico. Quando il suo libro attirò l’attenzione dell’America, il primo a esserne stupito fu certo lui: che non capì mai le ragioni di questo successo e forse non capì neanche l’importanza della sua scoperta. Se un’idea aveva avuto, era stata quella, covata a lungo, di scrivere una specie di “commedia umana” del Medio Occidente americano, basata sull’universalità della natura umana ricorrente sotto le varie spoglie in cui essa si manifesta; e fu questa commedia umana che egli cercò di scrivere, rinunciando alla forma del romanzo quando W.M. Reedy, direttore di un settimanale letterario, gli fece leggere l’Antologia Palatina e il successo di Carl Sandburg lo indusse a considerare con nuovo occhio il “verso libero”. * Fascetta del disco Spoon River Anthology, Cetra, Collana Letteraria Documento, CLC 0831, MLC 4653, Torino, 11 maggio 1965. 11 Ma non è a caso che la spinta finale alla creazione del suo capolavoro fu una visita di sua madre, che un giorno di maggio, nel 1914, lo sommerse di chiacchiere più o meno pettegole sulla gente della cittadina dove egli aveva trascorso l’adolescenza. Impressionato dalla varietà e dalla drammaticità di quelle storie, così diverse l’una dall’altra e insieme così inesorabilmente determinate da un identico destino, Masters prese a ricostruirle, quasi per spiegarle a se stesso. Una ventina d’anni dopo narrò nella autobiografia: “Scrivevo le poesie a casa, all’ufficio, dappertutto, sulle liste della trattoria, sulle buste delle lettere... Più tardi, quando mi offersero cinquemila dollari per il manoscritto di Spoon River, mi ricordai che lo avevo gettato via. Non si conservano le liste della trattoria”. Su quelle liste della trattoria Masters, se non aveva mantenuto la promessa fatta segretamente a se stesso di scrivere “una rappresentazione epica della vita moderna”, aveva sicuramente scritto “una rappresentazione della vita moderna”; anche se era una rappresentazione limitata al palcoscenico di una cittadina medio occidentale. È un palcoscenico sul quale Masters frugò nella verità dell’individuo e mise a nudo le inquietudini, le amarezze, le ambizioni deluse – vale a dire lo spavento o lo squallore del fallimento – di uomini che non avevano ancora trovato la forza di passare positivamente dagli eroismi dell’avventura pioniera a quelli dell’avventura industriale; e scoprì il “tono” che aprì la via alla narrativa del Medio Occidente americano: lo stesso tono che condusse per esempio Sherwood Anderson a certi suoi insuperati racconti. Il pubblico americano, che credeva di dover trovare in questi versi lo scandalo, trovò dunque la prima, drammatica rivelazione di una realtà troppo recente per essere individuabile senza l’aiuto di un bisturi spietato quale si rivelò quello di Masters. Era una realtà quotidiana, umile, sommessa; una realtà che si appog12 giava su piccoli, limitati sentimenti, su piccole, limitate ambizioni: una realtà che escludeva qualsiasi possibilità epica, qualsiasi esaltazione sonora. Era la realtà della nuova civiltà americana. In Italia, dove il libro uscì più di venticinque anni dopo, in un momento in cui la situazione politica aveva creato una tensione quasi assurda nello sforzo di impostare in chiave epica anche gli elementi più semplici ed elementari della vita collettiva, fu questa rivelazione ad attirare su Masters l’attenzione di giovani sempre più insofferenti di un’alterazione di valori umani inutilmente travestiti di eroismi e mascherati di magniloquenza. Questi versi diventarono per loro una specie di sintesi di una civiltà che in quel momento rappresentava agli occhi di molti la possibilità di una vita “libera”, almeno nel senso individuale; e offrirono l’esempio di un linguaggio limpido, di un contenuto chiaro e universalmente valido, di un tono e di un’impostazione lontani dalla prosa d’arte cara ai nostri letterati. Che il loro messaggio fosse drammatico, pessimistico, non importò molto, in quegli anni. Perché sotto a quel pessimismo era facile scorgere il messaggio vero, segreto di Masters: che l’unico vero successo si ottiene quando si raggiunge la capacità di superare le sovrastrutture delle convenzioni umane per essere veramente e solamente uomini. Per Masters, che scriveva in un momento in cui la smania del successo attanagliava l’America dividendo il mondo in falliti e non falliti, una simile posizione era violentemente polemica, tanto più per l’inevitabile conclusione che i veri “riusciti”, i veri non falliti, erano gli umili, i semplici: quelli che dal problema sono addirittura immuni perché non se lo pongono neanche. Per i nostri giovani di vent’anni fa questo messaggio, quasi altrettanto polemico, additò nella semplicità e nell’umiltà, nella schiettezza, la possibilità di fiducia in un avvenire nuovo; e sono ancora 13