CORRIERE EVENTI SCALA 2001-2002 Discografia Tutti i migliori Da Toscanini a Pavarotti C’è ampia scelta discografica per Otello, senz’altro, ma non quanto fa presupporre il rilievo artistico del dramma lirico composto da Verdi tra il 1884 e il 1886. La prima incisione dell’opera risale «soltanto» (ma allora né Otello né Falstaff erano titoli granché popolari) al 1931, quando apparve diretta da Carlo Sabajno. Ma il «debutto» vero si può datare 1947: Toscanini la incide per RCA, con tempi rapidissimi e un cast accettabile (Vinay, Nelli e Valdengo sono rispettivamente Otello, Desdemona e Jago). Del Monaco, Tebaldi e Protti, presenti in un’edizione di successo (Decca, 1954), formano invece un cast di grande livello, che non a caso Karajan sceglie per la prima delle sue incisioni (Decca, 1961), mentre per la seconda (EMI, 1973) si affida al wagneriano Vickers, con Freni e Glossop: belle e compiaciute tutt’e due ma preferibile quest’ultima. Ricordato Serafin (RCA, 1960, con Vickers, Rysanek e Gobbi), ultimo direttore italiano che abbia inciso l’opera (!) ecco poi raggiunta l’eccellenza, nel 1976, quando Kleiber, Domingo (al primo dei suoi numerosi Otelli discografici), Freni e Cappuccilli trasferiscono in disco (Myto) la memorabile edizione scaligera di Zeffirelli. È senz’altro l’Otello di riferimento perché le sonorità orchestrali sono piene e vivissimo il senso del teatro, sicché non v’è dettaglio tecnico o espressivo della partitura verdiana che vada sprecato. Levine (RCA, 1978), Maazel (EMI, 1985) e Chung (DG, 1993) incidono altri discreti Otelli sempre con Domingo, mentre lo strapotere del tenore spagnolo è rotto soltanto da Pavarotti, che con Te-Kanawa e Nucci si affida all’esperienza di Solti per tentare di lasciar traccia di sé anche nell’ultima grande parte tenorile verdiana (Decca, 1991): i risultati sono prevedibilmente deludenti. (e. gir.) In redazione: Maurizio Di Gregorio Flavia Fiorentino Antonia Jacchia Anna Masucci Manuela Pelati Hanno collaborato: Francesca Basso Gianluca Bauzano Corriere Eventi SUPPLEMENTO AL CorrieredellaSera DEL 7 DICEMBRE 2001 Direttore: Ferruccio de Bortoli Vicedirettori: Paolo Ermini Massimo Gaggi Carlo Verdelli Responsabile inserti: Alessandro Cannavò con Francesco Faranda Art director: Gianluigi Colin Tipografia: © 2001 RCS Editori S.p.A. Sede legale: Via Rizzoli, 2 Milano Registrazione: Tribunale di Milano n. 139, del 29 giugno 1948. Redazione: Via Solferino, 28 Milano. Telefono 02-6339. Tipografia: Via Solferino, 28 Milano. Telefono 02-6339. Pubblicità Telefono 02-50951 24 marzo 1881: va in scena alla Scala il «Simon Boccanegra», rifacimento di quello del 1857: è frutto della collaborazione tra Verdi e Boito, che ha riscritto il libretto di Piave 1 panettone con un «moretto» infilzato sopra, spedito a Natale da Ricordi a Verdi per spronarlo. Lo scherzo durò 6 anni e piacque al compositore, che iniziò a chiamare l’opera «cioccolatte» LA GUIDA 2 1879 è l’anno in cui l’editore Ricordi propose a Verdi l’Otello. Fu nel mese di giugno, durante una cena. Il giorno successivo il primo contatto con Boito 3 gli anni impiegati da Verdi per comporre la musica. Cominciò nel marzo del 1884. Il 18 dicembre del 1886 consegnava a un copista il manoscritto inviatogli da Ricordi Una città di fronte al mare aperto. Da lì arriva la nave di Otello. Impazza l’uragano, ma quando le nubi svaniscono, l’unico testimone delle parole d’amore che l’eroe dice alla sua sposa è un meraviglioso cielo stellato. Poi si va nella veranda di un castello, luogo ideale di confine tra il «dentro» e il «fuori», tra luce e ombra, in quel chiaroscuro in cui il perfido Jago può instillare il tarlo del dubbio. E poi ancora l’azione si compie all’interno del castello, dove impazza la gelosia del moro di Venezia. Infine, la tragedia si consuma nell’intimità della camera da letto di Desdemona. I luoghi dei quattro atti di Otello, opera inaugurale della nuova stagione lirica della Scala, sono una sorprendente metafora dell’arco creativo verdiano: dall’infinito grande all’infinito piccolo, dagli spazi aperti dei grandi affreschi corali giovanili allo spazio interiore, insondabile, recondito, misterioso, della psiche umana, vero oggetto d’indagine dei capolavori dell’estrema maturità verdiana. Rappresentato per la prima volta proprio alla Scala nel 1887, Otello, insieme con Falstaff, che è l’altro grande titolo scespiriano composto da Verdi su libretto di Arrigo Boito, si colloca al culmine di tale percorso. Basti questo a certificarne il valore assoluto. LA TRAMA E LA MUSICA IN «OTELLO» L’AZIONE DESCRIVE I LUOGHI CHIARI E OSCURI DELL’ANIMO UMANO Amore, invidia, gelosia e morte in un’indagine sui misteri della psiche Enrico Girardi Primo atto, la quiete dopo l’uragano LA TRAMA Città di mare sull’isola di Cipro. Fine del secolo XV. L’infuriare di un uragano non impedisce lo sbarco della nave che conduce Otello, generale dell’Armata Veneta che ha riportato una vittoria navale sui musulmani. Tra il popolo esultante di ciprioti e soldati veneziani sono l’alfiere Jago, il capitano Cassio, il gentiluomo veneziano Roderigo e il predecessore di Otello alla guida dell’isola, Montano. Spiccio, sbrigativo, il generale dà il via ai festeggiamenti per la vittoria e si reca presso la rocca dove l’attende la sposa Desdemona. Si placa intanto la tempesta e Jago, al quale Roderigo ha appena confidato il proprio segreto amore per la giovane sposa di Otello, riesce ad aizzare Roderigo contro Cassio, nel frattempo incitato a bere oltre misura. Del duello fa le spese Montano, intervenuto per separare i contendenti, mentre Jago ordina l’allarme su tutta l’isola. Richiamato dal trambusto che ne deriva, Otello interviene per pacificare gli animi, toglie il grado di capitano a Cassio e ordina a Jago di ristabilire l’ordine. Ora il cielo è rischiarato e la notte piena di stelle. Finalmente, il moro rimane solo con l’amata. La scena d’amore tra i due sposi è siglata da un bacio appassionato. LA MUSICA Allegro agitato, fortissimo: l’opera si apre sullo strepitare spaventoso di un accordo irrisolto d’undicesima di dominante dell’intera orchestra sopra un pedale d’organo e percussioni (do-do diesis-re) che più dissonante non si può. Un incipit pieno di terribilità e spavento: la natura «irrompe» sulla scena con ben altra forza che nel temporale di Rigoletto e partecipa alle umane vicende che vi si rappresentano, secondo i canoni della cultura romantica. Tutto il prosieguo d’atto ricava energia drammatica da tale esordio. Anziché in una composita sortita, Otello si manifesta al pubblico in poche battute a tutta forza. Seguono il vigoroso coro «Fuoco di gioia», il brindisi, il ridanciano «Innaffia l’ugola» e la scena del litigio. Jago commenta tra sé l’azione da lui stesso generata e si esprime con una vocalità staccata e spigolosa. Tutto il contrario del canto legatissimo e dolce del successivo duetto d’amore. Preceduti da una struggente introduzione dapprima di violoncello solo e poi di un quartetto di violoncelli, Otello e Desdemona danno vita a una scena di diffuso lirismo, mentre violini, oboi e clarinetti annunciano il tema-cardine dell’opera, il cosiddetto «tema del bacio»: otto note appena, ma d’infinito languore. Il momento di massima felicità contiene in sé la nostalgia per averlo in qualche modo già perduto. Secondo atto, l’inganno del fazzoletto LA TRAMA Una sala terrena nel castello. Jago convince Cassio a recarsi da Desdemona; soltanto lei potrà infatti intercedere per lui presso il marito e fargli riavere i perduti gradi di capitano. Così Jago, dopo aver manifestato le proprie idee in un diabolico «credo», mette in moto la lucida macchinazione che convincerà Otello d’esser stato tradito da Desdemona proprio con Cassio. Mentre la donna ascolta la richieste di quest’ultimo, Jago fa in modo che Otello, non visto, veda la scena. Il moro inizia a pretendere una prova della colpevolezza della sposa, che nel frattempo riceve omaggi e onori dai sudditi ciprioti e albanesi. Ora che Desdemona è rimasta sola con la sua dama Emilia, sposa di Jago, Otello la raggiunge e il fatto che la sposa interceda per Cassio alimenta i sospetti. A Otello ardono le tempie per la gelosia: in un attacco d’ira getta in terra il fazzoletto con cui Desdemona vorrebbe cingergli il capo. Se ne impossessa subito Jago, dopo averlo strappato dalle mani di Emilia che l’aveva prontamente raccolto. I due uomini restano soli e Jago ha ora l’occasione di fornire a Otello la prova: tempo prima ha visto un fazzoletto di Desdemona tra le mani di Cassio e ha ascoltato l’ex capitano imprecare in sogno contro il destino che gli ha negato una sposa così bella per darla al moro. A questo punto Otello giura vendetta e Jago si offre di aiutarlo ad attuarla. LA MUSICA Diversamente dal primo atto che inizia in medias res, è qui presente una bella introduzione orchestrale, che riflette il recente gusto verdiano per lo stile strumentale. Il breve dialogo tra Cassio e Jago precede poi il celebre «Credo in un Dio crudele» di quest’ultimo, un monologo in stile declamato che manifesta la vera natura del personaggio: seducente in apparenza, quando dialoga con altri; perfido, diabolico, mefistofelico quando, compiaciuto, rivela sé a se stesso. L’orchestrazione del brano ha qui del sensazionale. Il successivo dialogo Otello-Jago è articolato in più sezioni contigue e presenta in orchestra il cosiddetto «tema della gelosia», che costituisce il motivo dominante del terzo atto. Seguono la Serenata volutamente manierata dei fanciulli ciprioti e albanesi, con chitarra, mandolino e cornamuse sulla scena, e tre episodi nei quali numero chiuso e transizione formale si confondono in unità: il dialogo Desdemona-Otello, il loro quartetto con Jago e Desdemona e la sezione che precede il celebre «Ora e sempre addio» di Otello, quintessenza del cabalettismo del Verdi prima maniera. Qui il musicista sembra voler fare parodia di se stesso. Il conclusivo duetto virile, pagina dalla struttura formale tradizionale, è tutto giocato sul contrasto tra la fredda lucidità di Jago e l’appassionata veemenza di Otello. Terzo atto, Desdemona in ginocchio Quarto atto, la doppia tragedia LA TRAMA La gran sala del castello. Un araldo annuncia l’arrivo di Lodovico, ambasciatore della Repubblica Veneta. Sempre incitato da Jago, Otello interroga Desdemona sul fazzoletto, mentre la donna, ancora ignara del motivo per il quale il marito le si rivolge con tanta veemenza, seguita a perorare la causa di Cassio. La rabbia del moro è irrefrenabile: congedata la sposa, esige ora da Jago una prova definitiva della colpevolezza di lei. Jago, che ha preventivamente nascosto il fazzoletto nella stanza di Cassio, fa in modo di incontrare quest’ultimo mentre Otello può ancora ascoltare, non visto, il loro dialogo. Non è poi difficile indurre Cassio a confidargli d’aver ricevuto un fazzoletto, creduto da questi l’omaggio d’una misteriosa corteggiatrice. Cassio lo mostra, fiero, a Jago. La rabbia del moro esplode mentre arrivano Lodovico e il suo seguito, ad annunciare che è volontà del Doge e del Senato veneziano che Otello torni in patria e che Cassio assuma il governo dell’isola. Jago, che vede compromesso il proprio disegno di potere, incita allora Roderigo a uccidere Cassio, mentre Otello, quasi incurante dell’ambasciata, costringe Desdemona a inginocchiarsi al cospetto suo e dei dignitari. Quindi, in un nuovo sfogo di disperazione, la maledice e sviene. Jago commenta con sarcasmo: «Ecco il leone». LA MUSICA Nonostante i dubbi che afflissero Verdi a riguardo del concertato finale (risale in questa forma al 1894, quando l’opera fu rappresentata a Parigi e Verdi vi eseguì una profonda revisione), il terzo atto è di rapinosa bellezza. Dialoghi, monologhi, declamazioni, squarci di lirismo straziante — si noti ad esempio la desolata perorazione di Otello nell’Adagio «Dio! mi potevi scagliar tutti i mali», sopra un tema «dolce» e cullante di fagotti e violoncelli e un sensuale ricamo di violini —, recitativi, ariosi: la definizione dei personaggi, ritratti nell’abisso della rispettiva psiche, detta a Verdi uno sfumato impianto strutturale, d’inedita varietà. Non v’è il flusso continuo della «scena aperta», ma dominano i simulacri di forme chiuse come svuotate della funzione solitamente connessa loro: simulacri formali in continuo divenire. Si pensi ad esempio a Jago (qui del resto si celebra il suo trionfo), che a mezzo atto assume persino le sembianze straniate del vecchio ruolo «buffo» e si esibisce in un irridente scioglilingua di rossiniana memoria. Si comprendono allora i dubbi del bussetano a riguardo del poderoso concertato finale, un Sestetto con doppio coro mosso dal lamento dell’incredula Desdemona e amplificato dal dolore dei presenti; pagina — questa sì — del tutto «chiusa», seppure ricca d’azione drammatica. LA TRAMA La camera di Desdemona. Desdemona si prepara alla notte, confidando a Emilia i suoi presagi di morte. Le racconta inoltre che è tutta la sera che le risuona nella mente una canzone della sua povera madre: la «Canzone del salice», nella quale si dice che «egli (il marito) era nato per la gloria, io per amarlo e per morir». Tra una strofa e l’altra, Desdemona manifesta ancora i propri presagi di morte e congeda infine Emilia come fosse l’ultima volta. Si rivolge alla Vergine intonando l’«Ave Maria». Breve il dialogo con Otello, arrivato poco dopo, e vano il tentativo di chiamare Cassio a testimoniare la sua innocenza: Otello le dà della prostituta e la soffoca. Emilia accorre per annunciare che Cassio ha ucciso Roderigo, da cui era stato aggredito. Vista Desdemona invocare con un filo di voce la sua innocenza, corre a chiamar soccorso. Irrompono Lodovico, Montano, Cassio e Jago. Il cui intrigo è presto svelato da Emilia, che racconta la vicenda del fazzoletto, e da Montano, che riferisce la confessione avuta da Roderigo morente. Jago fugge. Otello si trafigge col pugnale e cadendo sul corpo esanime della sposa, ne invoca un ultimo bacio. LA MUSICA Due grandi affreschi costituiscono l’ultimo atto: la «scena ed aria» di Desdemona e la concisa, tragica scena finale. Altrettanti momenti strumentali le introducono, in modo ovviamente differente. La scena iniziale è preceduta da una lieve e soffusa melopea di corno inglese — in realtà si tratta dell’esposizione della melodia dell’aria di Desdemona —, mentre quella finale è preceduta da un’inusuale cadenza di contrabbassi soli. Il tono onirico della «Canzone del salice», pagina forse più importante sul piano drammaturgico che bella sul piano musicale, è supportato da una condotta armonica che alterna segmenti modali e tonali, mentre la linea di canto si dispiega in un profilo di tenue lirismo. L’«Ave Maria», ultima, mesta sezione di questo composito a solo della donna, sfrutta, al contrario, il ribattuto, ch’è stilema tipico per questo tipo di intonazioni liturgiche. Anche l’epilogo è più lirico che drammatico. Otello in cuor suo ha già deciso di uccidere la sposa. Soltanto, «deve» farlo. Il motto «del bacio» ricompare con lui. Smascherato l’intrigo di Jago, all’eroe non resta che rimpiangere l’amore di Desdemona. L’opera si conclude con l’ultima citazione del «tema del bacio»: nel lirismo struggente del canto di Otello morente si ricompone la sua dissociazione.