http://www.trio-lescano.it/
Notizie
Settembre 2010
Sono vietati l’uso e la riproduzione di testi e immagini
presenti in questo documento senza un’esplicita autorizzazione del Curatore.
1° Settembre 2010
Riprendiamo, dopo la pausa estiva, la nostra rassegna delle novità di rilievo
riguardanti le sorelle Lescano e il loro entourage; inoltre, come in passato, ci
concederemo ogni tanto qualche digressione su argomenti che, pur non essendo
direttamente correlati al nostro assunto, possono interessare chi, come noi, ama la
musica leggera – e non solo quella italiana – degli anni Trenta-Quaranta: epoca
ricchissima di autori e interpreti di prim’ordine, i quali ci hanno lasciato una quantità
impressionante di capolavori.
◙ Nel sito Internet Stilos... dove ci sono libri abbiamo trovato, in un pdf relativo alle
novità librarie di Aprile 2010 della Einaudi (pag. 32), la presentazione ufficiale del
volume di Gabriele Eschenazi Le ragazze dello Swing, che ha come sottotitolo Il Trio
Lescano: una storia fra cronaca e costume. Il libretto consta di 100 pagine ed è
inserito nella collana “I tascabili”. Ci viene mostrata anche, per la prima volta, la sua
copertina, non sappiamo se provvisoria o definitiva:
Da http://stilos.it/files/notiziario_einaudi_aprile_2010.pdf.
Nei mesi scorsi abbiamo avuto più volte occasione di accennare a quest’opera che,
stando a quanto annunciato a suo tempo in varie fonti, doveva uscire lo scorso 30
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Giugno; non è tuttavia chiaro se, a tutt’oggi, essa sia stata effettivamente pubblicata o
meno. È ben vero che numerose librerie on-line la mettono in vendita, senza per altro
mostrarne la copertina e ad un prezzo oscillante tra € 12.00 ed € 8.40, ma nel sito
della casa editrice [http://www.einaudi.it/] il motore di ricerca interno non dà alcun
risultato né per il titolo né per l’autore in questione, mentre la Hoepli, nota per la sua
serietà, precisa che il libro è tuttora in pubblicazione. Quanto alla Feltrinelli, altra
casa tra le più affidabili del mercato, essa indica, come data di uscita, il mese di
Agosto; tuttavia il libro non risulta ancora disponibile in nessuna delle sue sedi.
Il nostro collaboratore Virgilio – che, da buon giornalista di professione, se ne
intende di queste cose più di altri – ritiene che lo slittamento nell’uscita del libro sia
da collegare a quello della miniserie di Rai Uno intitolata anch’essa Le ragazze dello
Swing, alla quale Gabriele Eschenazi ha collaborato come consulente (anche se il suo
nome non figura nella Scheda tecnica del film, pubblicata nel sito della Casanova
Multimedia, la Casa produttrice). Tale fiction, inizialmente annunciata per Marzo e
poi misteriosamente scomparsa dai palinsesti Rai, dovrebbe finalmente andare in
onda in autunno, ed è evidente che l’abbinamento delle due iniziative gioverà ad
entrambe sul piano pubblicitario e commerciale, il che sta senza dubbio molto a cuore
ai rispettivi produttori.
Sia come sia, dopo aver letto la summenzionata breve scheda di presentazione del
volume, permangono in noi tutte le perplessità che in precedenza abbiamo già
manifestato in questa sede. Due sono le affermazioni ivi contenute che più ci
colpiscono negativamente. La prima è quella che attribuisce alle Lescano il merito di
aver introdotto in Italia «sotto mentite spoglie lo swing americano vietato dal
Regime». Nel corso delle nostre ricerche abbiamo infatti reperito numerosi
documenti che dimostrano come il Fascismo, in concreto, non fosse poi così ostile
(come lo fu invece, e in maniera parossistica, il Nazismo) alla popular music
d’Oltreoceano, che aveva nel jazz e nello swing i suoi tratti più caratteristici. Si
osservi ad esempio questa foto pubblicitaria di Cosimo di Ceglie, apparsa su «Film»
(a. I, n. 40, 29 Ottobre 1938-XVII, p. 11), rivista gradita al Regime: è pensabile che
nell’Italia fascista un musicista potesse sbandierare così la sua passione per il jazz, e
la sua inequivocabile adesione ad esso come esecutore, se quest’ultimo vi fosse stato
severamente vietato? Noi non lo crediamo proprio!
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Analogamente Alfredo Bracchi, paroliere tra i più attivi e navigati dell’epoca,
firmando il testo italiano della splendida canzone americana di Kahn-Kaper-Jurmann
All God’s Chillun Got Rhythm, incisa nel 1938 da Enzo Aita e il Trio Lescano col
titolo Segui il ritmo (disco Parlophon GP 92465b, matrice 153483), non si sarebbe di
certo mai azzardato a scrivere un verso come «per cantar ci vuol swing» se
quest’ultima parola fosse stata proibita dalla censura. Invece quella parola la usò e
non ci risulta che abbia mai avuto per questo grane col Minculpop. Un discorso
sostanzialmente identico si può fare per la famosa canzone di Gorni Kramer Crapa
pelada (1936), che sarebbe stata senz’altro messa all’indice se la suddetta censura
fosse stata così rigida e ottusa come si dice: viceversa Kramer, a quanto ne sappiamo,
non fu affatto inquisito, anzi quel suo trascinante motivetto, di taglio scopertamente
jazzistico e con un testo beffardamente allusivo alla calvizie di Mussolini, diventò il
tormentone dell’anno...
Fu semmai con l’entrata in guerra degli Stati Uniti (7 Dicembre 1941) che le cose –
comprensibilmente – cambiarono, ma anche allora ciò avvenne qui da noi quasi
sempre in modo superficiale, ossia più che altro a parole (tipo St. Louis Blues che si
limitò a diventare comicamente Le tristezze di San Luigi o Louis Armstrong che
venne ribattezzato Luigi Fortebraccio, senza subire con ciò alcuna vera censura). Se
dunque le Lescano poterono imprimere a molte delle loro interpretazioni uno swing a
24 carati, esse lo fecero non già surrettiziamente e in barba ai divieti del Regime, ma
alla luce del sole e col pieno, anche se tacito, consenso della sua censura. Del resto è
ben noto quanto la maggior parte dei gerarchi fascisti, e gli stessi figli del Duce,
amassero quel genere di musica.
La seconda affermazione che troviamo infondata e fuorviante è che le Lescano «non
si dichiararono mai fasciste». Evidentemente chi sostiene ciò ignora che si conserva
un dossier, considerato autentico da tutti gli storici (ne abbiamo copia nel nostro
archivio), il quale prova senz’ombra di dubbio che le tre sorelle chiesero l’iscrizione
al P.N.F. direttamente a Mussolini, ottenendola il 29 Ottobre 1942. Certo, lo fecero –
come tanti altri – non per intima adesione all’ideologia fascista, bensì per quieto
vivere e, nel loro caso specifico, con la speranza di sottrarre così la loro madre Eva
alle persecuzioni in atto contro gli ebrei. Non esiste in effetti il ben che minimo
indizio che le Nostre fossero contrarie al Regime e ancor meno che contribuissero in
qualche modo – come sostengono certuni, basandosi su delle plateali falsità – a
combatterlo attivamente, addirittura nelle fila della Resistenza. In realtà alle
Leschan/Lescano non doveva importare assolutamente nulla né del Fascismo né
dell’Antifascismo, dato e non concesso che sapessero esattamente cosa fossero l’uno
e l’altro: loro pensavano unicamente a incidere dischi e a cantare nei teatri, attività
che permetteva loro di campare con una certa agiatezza, anche se non è vero che
guadagnassero cifre per quei tempi da capogiro. E c’è anche da credere che si
divertissero un mondo a interpretare le canzoni che venivano loro affidate e che
talvolta erano insipide anzichenò: lo prova l’ineguagliabile brio che sprizza da quasi
tutte le loro incisioni, un pregio questo che non può essere solo questione di mestiere.
In conclusione invitiamo tutti i nostri lettori a tenere d’occhio, nelle prossime
settimane, il mercato librario nonché i palinsesti di Rai Uno, per sapere con
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precisione quando ci sarà concesso di leggere il libro e vedere il film per la TV
intitolati entrambi Le ragazze dello Swing: pubblicheremo volentieri le reazioni
all’uno e/o all’altro che riceveremo, anche quelle pepate, purché mantenute nei limiti
di un civile confronto di idee, conformemente al nostro stile.
◙ Dal 5 al 10 Luglio scorso si è svolta a Roma, tra l’Auditorium della Conciliazione e
la Multisala Adriano, la quarta edizione del Roma Fiction Fest, manifestazione
dedicata alla fiction italiana.
Manifesto della quarta edizione del Roma Fiction Fest.
Ne parliamo qui perché tra le fiction italiane presentate in anteprima al pubblico c’era
anche Le ragazze dello Swing, di cui viene confermata la programmazione nel
prossimo autunno su Rai Uno.
Locandina della miniserie Le ragazze dello Swing
(dal sito della Casa produttrice, la Casanova Multimedia)
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Su YouTube si trova un video [http://www.youtube.com/watch?v=3rQdG6MVjf4&feature=player_embedded],
registrato nel corso di detta manifestazione, nel quale il regista della miniserie,
Maurizio Zaccaro, ribadisce con chiarezza i principi cui è solito attenersi nel
realizzare le fiction televisive che gli vengono affidate, inclusa ovviamente quella
dedicata al nostro Trio. Alla giornalista che gli chiede come abbia risolto il problema
della verosimiglianza, egli dichiara tra l’altro: «Dare dei sosia in prodotti del genere
fa sempre un po’ senso […], preferisco evocare una situazione che non rappresentarla
e trovare dei sosia avrebbe voluto dire rappresentarla». Idee rispettabili, certo, e
magari anche suggestive agli occhi di qualcuno, ma che, a nostro avviso, non
convincono. Ci sembra infatti alquanto arduo riuscire ad evocare in maniera efficace
dei personaggi storici, specie se appartenenti alla storia recente, ancor viva nella
memoria di molti, quando si scelgono, per farli rivivere sullo schermo, degli interpreti
che a loro non assomigliano neanche un po’, tanto nel fisico quanto nel
temperamento. È appunto il caso delle quattro attrici scelte da Zaccaro per
interpretare le tre sorelle canterine, più la loro madre: attrici grintosissime, di grande
avvenenza e sicura presenza scenica, ma proprio per questo agli antipodi dei tipi
umani rappresentati nella realtà dalle Lescano. Abbiamo insomma ragione di temere
che la fiction deluda le nostre aspettative, e proprio a livello di quell’evocazione di
tutta un’epoca la quale, solo se credibile, è in grado di coinvolgerci emotivamente.
Aspettiamo comunque di vedere in TV la miniserie sulle Lescano, prima di dare un
giudizio definitivo.
Chi invece non ha avuto bisogno di aspettare è l’autorevole critico cinematografico
Italo Moscati. Avendo presenziato alla proiezione in anteprima mondiale della fiction
(Roma, giovedì 8 Luglio 2010, Sala Grande dell’Auditorium della Conciliazione) egli
ha potuto pubblicare su CINE/blog le proprie impressioni, il cui tenore ci sembra
trasparire già dal titolo del suo articolo [http://www.cineblog.it/post/23466/le-ragazze-dello-swing-tracinema-e-fiction-sorridono-appena-le-ragazze-del-trio-lescano#show_comments]: Le ragazze dello Swing:
tra cinema e fiction sorridono (appena) le ragazze del trio Lescano. Invitiamo tutti i
nostri simpatizzanti a leggere con attenzione le acute osservazioni di Moscati, che
personalmente condividiamo in pieno, specie là dove manifesta ammirazione (e
anche nostalgia, ci par di capire) per gli sceneggiati televisivi di quarant’anni fa,
come Il segno del comando, diretto nel 1971 da Daniele D’Anza: lavoro che Moscati
ha rievocato (immaginiamo da par suo) al Roma Fiction Fest.
Lo scrittore, sceneggiatore e regista Italo
Moscati; su di lui si veda la pagina
http://www.comingsoon.it/personaggi/?k
ey=75900&n=Italo-Moscati.
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◙ In Internet si trovano varie altre recensioni dell’anteprima de Le ragazze dello
Swing proiettata a Roma. Esse sono tutte smaccatamente (e acriticamente) elogiative:
«Un modo per raccontare con originalità gli anni Trenta e Quaranta» (Alessandra
Pepe su RecenSito); «La composizione convincente del cast è forse la prima cosa che
salta all’occhio dell’opera di Zaccaro» (Lucilla Grasselli su Movieplayer); «Progetto
ambizioso venduto in 16 paesi, Le ragazze dello Swing ricostruisce con grande gusto
estetico l’Italia di quegli anni, alle soglie della II Guerra Mondiale. […]. Deliziose le
protagoniste, tutte e tre olandesi [ma la Osvart non è ungherese? - NdC] come il trio
originale» (Giorgia Lo Iacono su Cinecorriere), ecc. ecc.
Si direbbe insomma che al giorno d’oggi, per molti cronisti, uno spettacolo televisivo,
solo perché è trendy, piace al largo pubblico e si vende bene all’estero, vada ipso
facto incensato senza curarsi minimamente dei suoi contenuti…
◙ Sempre a proposito della miniserie di Rai Uno Le ragazze dello Swing, «Il
Giornale» ha pubblicato in data 19 luglio 2010 (p. 20, sezione Spettacoli) un articolo
di Paolo Scotti intitolato Quando l’Italia fascista cantava le canzoni del Trio Lescano
- Nelle “Ragazze dello Swing” l’ascesa delle artiste grazie all’Eiar. E il tonfo
crudele e improvviso dovuto alle leggi razziali.
Ci è purtroppo capitato spesso di imbatterci in articoli sulle Lescano che, per un
motivo o per l’altro, ci sono apparsi criticabili; questo de «Il Giornale», però, ci
sembra che li batta tutti in fatto di disinformazione, tante sono in esso le cantonate e
le fandonie da noi riscontrate. Ecco alcune di tali perle:
- Le Blue Dolls, che hanno inciso le 12 canzoni che ascolteremo nella fiction,
diventano qui le «New Dolls»: chissà come saranno contente le tre brave artiste di
essere state renamed!
Interessante, invece, questa frase di Maurizio Zaccaro riportata nell’articolo, perché è
rivelatrice delle reali intenzioni del regista: «Non abbiamo usato le incisioni originali
[del Trio Lescano] perché avrebbero contrastato in modo troppo stridente con la
modernità delle immagini». Egli ammette dunque che ciò che vedremo nella
miniserie Le ragazze dello Swing ha ben poco in comune, sul piano figurativo, con
l’epoca delle Lescano. Sappiamo anche che egli ama dare il nome di evocazione a
questa sua scelta di modernizzare ogni cosa nelle fiction ambientate nel passato…
Una delle simpatiche locandine delle Blue Dolls.
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- La canzone Tuli-tuli-pan ha avuto anch’essa il titolo cambiato in Tulli-tulli-tullipan:
non sarà per caso che l’Autore di questo e di altri consimili svarioni soffra, a sua
insaputa, di una leggera (auguriamocelo) forma di dislessia? Non sarebbe male che si
facesse dare una controllatina da qualche specialista, così, par acquit de conscience…
L’etichetta del disco originale della canzone Tuli-tuli-pan,
versione italiana dell’americana Tu-Li-Tulip Time.
- «La biondissima Andrea Osvart (ungherese), la sensibile Lotte Verbeek e la
sbarazzina Elise Schaap (olandesi)» vengono definite nell’articolo «tre attrici slave».
Saremmo curiosi di sapere se le tre interessate gradiscono di essere etichettate così.
- Le tre Lescano furono «abbandonate in fasce dal padre ubriacone». Questa è pura
diffamazione, giacché non esiste, a nostra conoscenza, alcun documento o
testimonianza degna di fede che ci autorizzi a ritenere che Alexander Leschan sia
stato un marito e un padre irresponsabile e vizioso: al contrario, vari indizi fanno
pensare che, finché fu in grado di provvedere alla famiglia col suo onesto lavoro di
artista di circo, non fece mai mancare nulla alle proprie figlie, a cominciare da
un’eccellente formazione professionale nel campo della danza. Chissà che il fantasma
di questo galantuomo non faccia una visita notturna, non proprio amichevole, a chi
propala sul suo conto ignobili calunnie del genere.
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A sinistra Alexander Leschan (1877-1945) con la prima moglie Helena Libot
(1879-1908), entrambi acrobati di circo; ebbero due figlie, Maria e Diane. A
destra lo stesso nei primi anni Venti, mentre si esibisce in un circo con la seconda
moglie, Eva de Leeuwe (1892-1985), in una parodia di operette, la specialità di
quest’ultima; la nuova coppia mise al mondo Alexandrina Eveline, Judith e
Catharina Matje, rispettivamente nel 1910, 1913 e 1919. Oltre che acrobata,
Alexander fu anche un apprezzato clown e, più tardi, stuntman nei film muti: fu
appunto esercitando questo pericoloso mestiere che, verso la fine degli anni Venti,
si infortunò gravemente, rimanendo per sempre invalido.
Come si vede, era assai piccolo di statura, proprio come le figlie, specialmente
Giuditta Lescano, alta non più di un metro e cinquanta. L’attrice olandese Lotte
Verbeek, che nella fiction ricopre il suo ruolo, è più alta di lei di circa venti
centrimetri!
- Le Lescano, prima di diventare cantanti di successo, erano «acrobate da circo e poi
lavapiatti in un ristorante alla moda». Nossignori, erano ballerine acrobatiche (non è
la stessa cosa) in rinomate compagnie di varietà che giravano l’Europa e c’è da
scommettere che prima del ’43 non lavarono mai un solo piatto in vita loro.
Alexandra e Judith Leschan al tempo in cui formavano il
duo di ballerine acrobatiche Sunday Sisters (1934 ca.).
- Le Lescano furono «scoperte da Gorni Kramer». Assolutamente falso! Lo sanno
anche i piccioni che a scoprirle, nel 1935, fu il M° Carlo Prato, l’ottimo insegnante di
canto presso la sede torinese dell’Eiar. Quanto a Kramer, egli si limitò a comporre la
melodia di cinque canzoni incise dalle Lescano, fra cui la celeberrima Pippo non lo
sa (1940).
Ogni ulteriore commento ci pare superfluo, ma ci auguriamo che l’esimio Direttore
de «Il Giornale», Vittorio Feltri, butti l’occhio qui sopra, giusto per rendersi conto di
come lavorano certi suoi collaboratori…
◙ Dall’8 al 9 Agosto si è svolto a Sanremo, presso il parco di Villa Ormond, la
dodicesima edizione di Zazzarazzaz - Festival della Canzone jazzata. Quest’anno la
rassegna è stata dedicata allo swing “made in Liguria”, con tributi a Pippo Barzizza e
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a Bruno Lauzi. Molto bello il manifesto di questa edizione, che il direttore artistico,
l’amico Freddy Colt, ci ha puntualmente inviato mentre eravamo in vacanza. Su di
esso spicca una foto giovanile di Pippo Barzizza, dove si vede il Maestro nell’intimità
della sua casa, rilassato e sorridente, con l’immancabile pipa in mano:
2 Settembre 2010
◙ Alla fine dello scorso Luglio ci è giunta la seguente mail:
«Spettabile Redazione del sito Ricordando il Trio Lescano, sono una collezionista di
vecchie canzoni degli anni ’40-’50. Le adoro. Vorrei chiedervi un favore: potreste
inviarmi, se possibile in allegato mp3, Mustafà e Ho imparato una canzone, che
piacciono a mia madre? Non riesco a trovarle da nessuna parte. E potreste inviarmi
una lista delle loro celeberrime canzoni? O mandarmene una copia? Aspetto una
vostra e-mail presto. Grazie di cuore. Erano le canzoni di mia madre. Cordiali saluti,
Alessandra V.».
Rispondiamo ora ricordando a questa gentile lettrice che l’elenco completo delle
incisioni delle sorelle Lescano, da sole o assieme ad altri cantanti, si trova nella
pagina del presente sito http://www.trio-lescano.it/discografia.html. Quanto alle due
canzoni che piacciono tanto alla sua mamma, non siamo purtroppo in grado di
inviargliele come richiesto, perché ce lo vieta la legge sui diritti d’autore; tuttavia
possiamo offrirle le anteprime significative di entrambe:
- Mustafà, ritmo allegro di Filippini-Morbelli; cantano Gilberto Mazzi e il Trio
Lescano (disco Parlophon GP 92872, 1939).
- Ho imparato una canzone, ritmo moderato di Rizza-Pinchi; cantano Ernesto Bonino
e il Trio Lescano con l’Orchestra Barzizza (disco Cetra DD 10022, 1939 ca.).
Di quest’ultima canzone abbiamo in archivio anche il testo originale, apparso nel
«Canzoniere della Radio», n. 17, Giugno 1941, p. 11:
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◙ Si direbbe che perfino la Società Dante Alighieri, un tempo reputata ovunque per la
sua serietà e autorevolezza, stia oggi perdendo colpi. Lo temiamo in quanto la sezione
olandese di detta Società [ http://www.dante-alighieri.nl/ ] si è ultimamente occupata
in due occasioni del Trio Lescano e lo ha fatto ogni volta con deplorevole faciloneria.
Logo della Società Dante Alighieri in Olanda.
Nel primo caso, parlando dei tulipani, cantati dal Trio nella versione italiana (GP
93080a e GP 93119a, matrice 154680) della celebre canzone di Maria Grever Tu-LiTulip Time, Marisa Jansen-Miglioli scrive, nel Bollettino di Voorjaar (Primavera)
2010 del Comitato di Leida e dell’Aia della Dante Alighieri, che le Lescano «alla fine
11
[sic] degli anni Trenta, mentre sono a Torino e lavorano come acrobate e cantanti in
un piccolo circo, vengono scoperte da un produttore radiofonico che le [sic] consiglia
di adattare il loro stile di canto a quello delle Andrews Sisters, un trio americano di
swing. In Italia le sorelle Lescano hanno un successo immediato e vendono migliaia
di dischi, successo però che non arriva fino in Olanda. Anche durante il periodo
fascista continuano a cantare, con un pesante accento olandese, ma agli italiani non
importa; solo dopo la caduta del fascismo devono nascondersi, ma alla fine della
guerra ormai la loro carriera è al tramonto».
È sbalorditivo constatare quante corbellerie la buona signora Marisa sia riuscita ad
infilare in poche righe! Non mette conto enumerarle tutte (lo possono fare, giusto per
divertirsi un po’, i nostri fedeli lettori), ma vorremmo almeno ricordare alla predetta
signora che le tre olandesine cantarono in Italia dal 1936 al 1943 e quindi non
«anche», ma solo «durante il periodo fascista». Quanto alle Andrews Sisters,
abbiamo ripetuto in questa sede a sazietà che non possono essere state il modello
delle Lescano, per la semplice ragione che arrivarono al successo internazionale dopo
di loro. In realtà non è alle Andrews, bensì alle Boswell Sisters che si ispirarono le
Lescano (se mai lo fecero) e ci chiediamo sgomenti per quanto tempo ancora questa
topica irritante continuerà a circolare…
Il secondo caso riguarda un articolo abbastanza lungo, a firma di Laura Briganti,
apparso nel Bollettino di Zomer (Estate) 2010. Esso trae lo spunto dallo spettacolo
teatrale De meisjes van Mussolini [Le ragazze di Mussolini], di cui abbiamo parlato
anche noi, in termini assai critici, nelle Notizie del 12 Ottobre 2009 e dell’8 Aprile
2010. Aggiungiamo ora che chi volesse accertarsi personalmente del livello
qualitativo di tale deprimente spettacolo può visionare, in YouTube, qualcuno dei
numerosi videoclip ivi presenti su di esso: c’è solo l’imbarazzo della scelta. La
Briganti non vi ha trovato invece nulla da eccepire e si impegna a raccontare ai lettori
del Bollettino la storia delle tre sorelle Lescano, dando quindi per scontato che
nessuno la conosca in Olanda. Per farlo ha dovuto però documentarsi «un po’», dal
momento che, per sua stessa ammissione, all’inizio «non sapeva molto» neanche lei
della loro vita.
Dove si sia documentata non ce lo precisa, ma non è difficile arguire che le uniche
fonti da lei consultate con illimitata fiducia siano state la voce Trio Lescano di
Wikipedia, voce purtroppo inficiata da errori e imprecisioni, e il ben noto articolo di
Natalia Aspesi, apparso su La Repubblica del 26 Ottobre 1985 e reperibile anche in
rete. Chi ci segue con continuità sa bene che tale articolo è stato da noi analizzato e
dibattuto in questa sede a varie riprese, in modo serio, rigoroso e approfondito (il
tutto è disponibile nell’Archivio delle Notizie), e sa anche che siamo giunti alla
conclusione che esso sia in larga misura inattendibile, contenendo affermazioni
rivelatesi palesemente false o quanto meno prive di riscontri oggettivi. Certo, non
tutti sono tenuti ad avere l’acribia e l’esprit critique che animano le nostre ricerche e
discussioni, ma fa specie che a dimostrarsene affatto priva sia una persona che lavora
e scrive per un Istituto di alta cultura quale ha fama di essere la Società Dante
Alighieri.
La Briganti, in effetti, riporta punto per punto nel suo articolo, avvalorandole, tutte le
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panzane che ha reperito nelle fonti testé citate, incluse quelle attribuite a Sandra
Lescano. In realtà è ben possibile che la povera donna, ormai anziana e malata
all’epoca dell’intervista (morirà un anno e mezzo dopo), non si sia resa conto
dell’effettiva portata delle dichiarazioni che l’abile intervistatrice, come tutti i
giornalisti a caccia di scoop, può averla “incoraggiata” a fare. Non paga di ciò,
l’Autrice ha pensato bene di aggiungere di suo alcune strepitose invenzioni, come
quella delle Lescano che presentano «numerosissime canzoni, alcune scritte da altri
autori, altre anche con il loro apporto» (?), o quell’altra del «re Umberto»
(dimenticando che il Principe di Piemonte diventerà il “re di Maggio” solo nel ’46)
che viene «in loro aiuto, facendole trasferire in Svizzera» (quasi che Saint-Vincent,
dove si rifugiarono le Lescano agli inizi del ’44, si trovasse in territorio elvetico,
anziché in Valle d’Aosta). Ed infine il fragoroso botto conclusivo, con le Lescano
«riscoperte grazie a Paolo Limiti, che le ha invitate in una sua trasmissione
televisiva».
Non insistiamo oltre, per carità di Patria, ma ci permettiamo di suggerire, sottovoce,
alla gentile signora Laura di occuparsi in futuro d’altro. Tuttavia, se proprio ama le
Lescano, legga almeno con più attenzione i titoli delle loro canzoni: il celebre gatto,
morto benché nella sua casa avesse in abbondanza «pane e vin», si chiamava
Maramao e non Marameo, come lei scrive!
Dall’articolo di Laura Briganti, De Meisjes van Mussolini: Il trio Lescano.
Tre sorelle olandesi, leggenda nell’Italia fascista, poi arrestate e dimenticate.
Mandolino, incipit dello spartito ed etichetta del disco originale del fox-trot di Panzeri-Consiglio
Maramao perché sei morto? (© 1939 by Casa Editrice MELODI, Milano).
◙ Mail di Aldo: «Cari amici, bentornati dalle ferie e buona ripresa col Notiziario!
Direi che dal discorso “fiction TV-Lescano” non mi sento per niente intrigato (e
chissà perché); so solo che in Luglio avevo chiesto in qualche libreria fiorentina
informazioni a proposito delle uscite (ma che belle uscite, mi verrebbe da dire)
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imminenti dei libri sul famoso Trio; a parte che Firenze (ahimè) da tempo non è così
al top circa le primizie audio-testo-visuali, nelle varie librerie non mi hanno saputo
dire gran che, e nemmeno cliccando un po’ su Internet ho ottenuto migliori risultati.
Che faccio? Riprovo? Vedremo, nei prossimi dì.
Più interessante mi parrebbe il discorso su Fascismo e repertorio musicale straniero,
discorso un po’ lunghetto. Esprimendo qui solo una mia breve e modesta opinione,
posso dire che, materiale alla mano, i cataloghi discografici italiani, sin dalla fine
degli anni Venti, erano pieni di brani stranieri, di dischi con canzoni o pezzi
orchestrali stranieri, i quali erano spessissimo di matrice anglo-americana, tedesca o
francese; inoltre sui dischi compariva di solito pure il titolo originale. Quindi basta
con queste storielle para-intellettuali di alcune “teste d’uovo”, che di sicuro ben poco
sanno di concreto sulla storia della musica leggera italiana, ma che scrivono solo con
intenti giornalistico-ideologici. Omissioni di censura le incontriamo solo a partire da
fine ’41 e dal ’42, e mi pare ovvio, con l’entrata in guerra degli americani. Punto.
Quanto ai brani, essi continuarono a circolare lo stesso e ad essere interpretati.
Quindi, che noia, basta!
D’altronde a noi poveri... nostalgici (?, ma per favore, non chiamateci così)
somministrano, chissà come o perché, qualche brano incastrato in contesti di
chiacchiera radiofonica mattinale o pomeridiana; ben venga qualcosuccia così (mi si
perdonino dei toscanismi che a tanti dan fastidio): per lo meno non così perniciosa
per il nostro povero udito, come certi strilli di prima mattina che vorrebbero
consigliarci nell’uso del nostro Paese (ma si può, dico io). Pensare invece alla
gentilezza di Adriano Mazzoletti, che in pieno 1968 ci parlava quasi sottovoce, la
mattina verso le 6.30, con Svegliati e canta. Quella sì che era una trasmissione Radio:
competente e piacevole, e pure educata!
Un’ultima annotazione. Girando in rete, ho notato con fastidio e disappunto che
continua, da parte di alcuni siti, il saccheggio di informazioni o notizie date da noi e
pubblicate sul nostro sito: ad esempio, su http://www.78-giri.net/ru/ (di provenienza
russa), si riportano pari pari tutte le note (appunti) che IO, beh..., ho fatto su Crivel,
qualche mese fa. Che dire? Citare le fonti... noo? Credo che occorra davvero fare
qualcosa, altrimenti... stop».
L’amico Aldo ha assolutamente ragione. Proveremo ad invitare il responsabile del
sito russo (una nostra vecchia conoscenza) a citarci sempre – come aveva promesso
di fare – quando siamo noi la fonte delle informazioni e delle foto che va pubblicando
nel suo sito Musica del Ventennio (1923-1943), sito apprezzabile, in verità, perché
dedicato alla musica leggera italiana a noi così cara. Speriamo dunque che si tratti
solo di una banale dimenticanza…
3 Settembre 2010
◙ In questa rubrica abbiamo più volte lamentato il fatto che numerosi autori e
interpreti della Canzone Italiana degli anni Venti-Quaranta, alcuni anche di primo
piano, non vengano oggi ricordati e valorizzati come meriterebbero, quando non
appaiano addirittura del tutto dimenticati. Sulle ragioni di questa riprovevole
14
indifferenza quasi generale nei confronti della conservazione del nostro patrimonio
musicale – sul cui valore, riconosciuto ovunque nel mondo, non sussistono dubbi di
sorta – ci sarebbe molto da dire, ma non è questo il punto che intendiamo trattare ora.
Vogliamo invece attirare l’attenzione di chi ci segue su quest’altra realtà: se l’Italia si
mostra vergognosamente incline a relegare nel dimenticatoio quanti l’hanno onorata
in passato col proprio ingegno e la propria arte, per incensare magari altre “glorie”
attuali, tanto inconsistenti e discutibili quanto presumibilmente effimere (il tempo ha
fama di essere galantuomo e di fare sempre giustizia, almeno alla lunga...), ci sono
altri paesi che lo fanno per noi e nel modo giusto.
Ci riferiamo in particolare al Brasile, dove è attiva da parecchi anni una Casa
discografica, la Revivendo Músicas [http://www.revivendomusicas.com.br/], fondata
da un grande musicofilo, Leon Barg (1930-2009), il quale, fino al termine della sua
vita, ci ha costantemente onorati con la sua calda amicizia e straordinaria generosità.
Chi conosce, anche solo un po’, il portoghese-brasiliano è invitato a visionare il video
di YouTube che racconta la storia di questa Casa, ammirevole esempio di impresa
commerciale che, oltre a perseguire – com’è logico e giusto – finalità economiche, si
è anche posta, fin dall’inizio, al servizio della Cultura. Ma quel che più conta è che lo
ha fatto con scelte e modalità operative tali da soddisfare non solo i semplici
appassionati, ma anche studiosi, musicologi e specialisti di discografia. Il suo
catalogo, divenuto col tempo assai vasto, comprende in effetti la riedizione, sempre
accurata in ogni dettaglio, di buona parte di quello che è stato inciso in Brasile
nell’epoca dei 33 giri: vale a dire decine di migliaia di dischi, moltissimi di una
bellezza incomparabile da tutti i punti di vista (melodie, testi, arrangiamenti,
interpreti, ecc.). Questo però può interessare chi (come lo scrivente) ha da sempre un
feeling tutto speciale per la musica sudamericana d’annata; a noi importa invece
evidenziare qui come la Revivendo Músicas dedichi una parte significativa delle sue
riedizioni anche alla produzione discografica di molti strumentisti e cantanti di altri
paesi, inclusa l’Italia.
A questo punto confessiamo di procedere nella stesura della presente nota con un
misto di compiacimento, sì, ma anche di disagio e perfino di amarezza, nel constatare
come in Brasile (paese con una quantità di enormi problemi) qualcuno riesca a fare in
difesa della nostra Cultura quello che potremmo e dovremmo fare noi, sicuramente
con ben minori difficoltà, se solo lo volessimo sul serio. Ma tant’è, siamo certi che
chi dovrebbe arrossire davanti a fatti del genere non proverebbe, dopo averli
conosciuti nei dettagli, il ben che minimo rincrescimento, perché – parafrasando un
vecchio detto – non c’è peggior tonto (o finto tonto) di chi non vuol capire…
La Revivendo Músicas ha dunque manifestato sin dalla sua fondazione un evidente
interesse per i grandi cantanti italiani del passato, anche perché alcuni di loro si sono
esibiti dal vivo in quel lontano e musicalissimo paese, incidendovi talvolta dei dischi.
È il caso di Carlo Buti, che nel 1950 registrò in loco per la Continental 28 brani del
suo miglior repertorio, dando prova di possedere, a 48 anni e una carriera oltremodo
intensa e logorante alle spalle, una voce ancora pressoché integra. Ascoltiamo, ad
esempio, l’anteprima di una di tali incisioni, il bel tango di Ala-Bertini Vecchia
Cumparsita (disco Continental 20077A, matrice 2522). Segnaliamo per la cronaca
15
che 22 delle suddette 28 canzoni sono state riedite nel CD Carlo Buti - La Voce
d’Oro (Again, LBACD-046); purtroppo esso risulta oggi fuori catalogo.
Copertina del CD della Revivendo Músicas dedicato
a Carlo Buti (Again, LBACD-046).
Carlo Buti è stato ed è tuttora molto amato in Brasile (e non solo dai tanti brasiliani di
origine italiana), ma non meno famosi sono ancor oggi laggiù altri nostri vecchi
cantanti, quali Tito Schipa e Daniele Serra. È appunto a questi magnifici artisti che
furono dedicati tre dei primissimi LP prodotti da Leon Barg più di vent’anni fa:
Copertine degli LP della Revivendo Músicas dedicati a Tito Schipa (BL-007),
Daniele Serra (BL-012) e Carlo Buti (BL-013), tutti pubblicati a Curitiba (Paraná) nel 1989.
16
Per passare all’attualità (dopo la morte di Leon Barg, è la figlia Lilian che ne
continua, col medesimo spirito, l’opera), merita di venir segnalato, sempre della
Revivendo Músicas, il CD RVFC002, appena uscito e dedicato a Fernando Orlandis,
uno dei numerosi tenori lirici prestati in quel tempo alla canzone. Egli incise, tra la
fine degli anni Venti e la metà degli anni Quaranta, un gran numero di dischi per la
Brunswick e la Fonit ed è senz’altro un ottimo cantante, anzi uno dei migliori nel suo
campo specifico: per rendersene conto, basta ascoltare una qualunque delle sue
incisioni, come ad esempio Terra lontana, una barcarola di Bixio-Cherubini (Fonit
8545B). Malgrado ciò, non siamo oggi in grado di ricostruire, neppure a grandi linee,
la biografia di Orlandis: sappiamo solo che era fiorentino e di lui ci restano, oltre ai
dischi che incise, unicamente alcune foto, tutte sfortunatamente di scarsa qualità. Per
questo l’iniziativa dei nostri amici brasileiros, accompagnata da parole che
sottoscriviamo in pieno, ci sembra degna di plauso.
◙ In relazione alla mail di Aldo pubblicata ieri, riceviamo il seguente testo di
Stanislav Blinov, il creatore del sito http://www.78-giri.net/ru/. Conformemente alla
sua richiesta, ne pubblichiamo la parte più rilevante (ci siamo presi la libertà di
sistemarvi un po’ l’inglese, per renderlo meglio comprensibile):
«I must admit that I have used information from your site. However, I have asked you
an e-mail address of Aldo to contact him and ask his permission to republish his text
on my site, but you have not replied to me. So I have decided to use his text (which as
you can see I have modified and not just copied) and I have however placed
following thanks in the end of the text: «Grazie a Max e Gabriele per alcune notizie
di Crivel».
For some reason, I have confused name Aldo with Max, and now I have changed the
text and instead of Max I have wrote Aldo as I wanted originally. My apologies to
Aldo. Please publish this letter on your site. I don’t want to have reputation of man
who steals texts of other people without quoting the source.
17
Anyway, my site has a lot of original information, like fotos of Crivel, Livi, Serra
from my own collection and I don’t see a big problem that I have used some of facts
about Crivel from your site on mine».
Per quanto ci concerne, temiamo che la mail di cui parla Stanislav sia andata smarrita
(ogni tanto succede). Noi abbiamo infatti l’abitudine di rispondere nel giro di uno o
due giorni a tutte le mail che riceviamo, incluse quelle che meriterebbero, per un
motivo o per l’altro, di non avere alcuna risposta. Comunque, a parte la strana
confusione tra Aldo e Max (ora corretta), resta, nella pagina http://www.78giri.net/it/links, la non meno strana assenza del nostro sito, che Stanislav ben conosce
e dal quale ammette di aver preso qualcosa.
4 Settembre 2010
◙ Il nostro collaboratore Francis, che negli ultimi mesi ha arricchito l’Archivio del
sito con tante preziosità di primario interesse, ha reperito una bella foto in cui si vede
il cantante Lucio Ardenzi impegnato in un’esecuzione dal vivo, accompagnato dal
Trio Aurora e dall’Orchestra di Pippo Barzizza. Sul retro si legge questa annotazione:
«Spettacolo per i militari. Teatro di Torino, 9 maggio1942».
Lucio Ardenzi (Roma, 1922-2002), al quale Il Canzoniere della Radio dedicò nel 28°
fascicolo (15 Gennaio 1942-XX) la pregevole copertina di Baggiolini nonché un
articolo (pp. 4-5) del solito Sergio Valeri, è uno dei tanti cantanti degli anni Quaranta
oggi ingiustamente dimenticati. L’amico Massimo Baldino scrive di lui, nel suo sito
Il Discobolo, che era «dotato di una voce assai gradevole, ricca di ironia e di swing»;
la possiamo apprezzare in Ombretta [http://www.youtube.com/watch?v=1PYq5kagUbY],
l’unica sua incisione postata su YouTube.
Lucio Ardenzi.
Dal volume Artisti della Radio
(1942), p. 125.
18
◙ Mail di Alessandro Rigacci: «Il 18 Agosto scorso, alle ore 8.45, è scomparsa a
Formello (Roma), alla bella età di 102 anni, l’attrice e cantante Rina Franchetti,
l’ultima interprete femminile ancora in vita ad aver inciso con le Lescano. Una
bronchite le è stata fatale. Tramite Facebook, sono riuscito a prendere contatto con la
figlia, l’attrice Sara Franchetti, la quale, molto gentilmente, mi ha inviato foto e
materiale, rendendosi disponibile per eventuali chiarimenti e informazioni. Allego
una poesia [v. Appendice 1] scritta nel 1971 da Rina Franchetti: una sorta di
testamento, che spero sarà utile nel confezionare la notizia della sua scomparsa.
Allego inoltre un paio di foto, una giovanile e una invece più recente, dell’artista».
Ricordiamo che la Franchetti incise nel 1938, assieme al Trio Lescano, il fox di MarfMascheroni Quando m’addormento al cinemà, purtroppo non presente nel nostro
Archivio sonoro.
Tre ritratti di Rina Franchetti nelle diverse stagioni della sua lunga vita.
Etichetta dell’unico disco inciso da Rina Franchetti
col Trio Lescano.
5 Settembre 2010
◙ Ci scrive un simpatico ragazzo, Manuel, studente di Storia dell’Arte alla Sapienza
di Roma, il quale ci confessa di essere «innamorato della voce di Norma Bruni […],
ingiustamente dimenticata». Siccome in Rete ha trovato ben poco su di lei (la pagina
che le dedica Wikipedia è in effetti assai lacunosa e contiene parecchie notizie
19
fantasiose o inesatte), egli ci chiede se possiamo passargli la biografia che il nostro
ottimo collaboratore, Alessandro Rigacci, ha dedicato alla cantante bolognese.
Premesso che, come abbiamo ripetuto tante volte, l’Archivio del sito è a disposizione
unicamente di chi collabora con noi in modo concreto e continuativo, la biografia in
questione, frutto di anni di instancabili ricerche coronate dall’esito più soddisfacente,
è per il momento top secret per tutti. Alessandro conta infatti di pubblicarla per
proprio conto (con modalità che sta ancora valutando) e quindi è comprensibile che la
massima riservatezza sia da parte sua una scelta obbligata. Manuel saprà certamente
che il mondo di Internet non è popolato solo da giovani entusiasti come lui (e che lo
sia nell’accezione migliore del termine lo prova la pagina che ha creato su Facebook,
http://www.facebook.com/pages/Divi-del-passato-dimenticati/111558112232216?ref=ts),
ma anche da fior di furbastri e farabutti, pronti ad approfittare ignobilmente della
generosa disponibilità dei veri appassionati.
Invitiamo dunque Manuel ad avere pazienza, con la certezza che alla fine non rimarrà
deluso, giacché Alessandro è riuscito a ricostruire tutta la vera storia di Norma Bruni,
spazzando via una buona volta tutte le squallide menzogne che si sono dette e scritte
sul suo conto, per invidia e altro, e ha anche potuto recuperare l’intero corpus delle
sue incisioni, che non si limitano affatto ad una dozzina o poco più come sostiene
Wikipedia, ma sono per fortuna assai più numerose.
Infine contiamo di avere presto Manuel tra i nostri collaboratori: proprio a Roma ci
sono ancora tante cose da fare!
Norma Bruni nella vita di tutti i giorni, condotta all’insegna
della semplicità, da quella donna buona e parsimoniosa che era;
dal Canzoniere della Radio, n. 53, 1° Febbraio 1943, p. 27.
◙ Il sempre attivissimo Walter ci segnala il canale di YouTube di tenorbanjo4, citato
anche dal Discobolo [ http://www.youtube.com/user/tenorbanjo4 ]. Ce lo descrive
così: «…presenta molto materiale in ottima condizione. Fra gli altri, alcuni dischi
italiani, anche strumentali, delle orchestre più famose dell’epoca ‘lescaniana’». Tra i
brani che più hanno colpito il nostro collaboratore c’è la versione del fox di
20
Mascheroni-Marf Vado in Cina e torno, interpretata da Terni (?) con l’Orchestra di
Dino Olivieri. Ricordiamo che questa canzone, così graziosa e originale, fu incisa nel
1938 anche dal Trio Lescano (GP 92633), con Giuditta Lescano in bella evidenza nel
ruolo di voce solista.
Dal canto suo Paolo attira la nostra attenzione sulla pagina di Facebook intitolata I
bei tempi dell’EIAR…[http://th-th.facebook.com/group.php?v=wall&gid=83959467045].
Il suo fondatore e amministratore è Enea A. Minotti, il cui nome ci giunge nuovo. È
indiscutibile che i tempi dell’EIAR erano belli, bellissimi, musicalmente parlando;
tuttavia è altrettanto evidente che, al di fuori della musica e di qualche altra forma di
svago o di spettacolo, il discorso da fare è radicalmente diverso. Vorremmo che
questo fosse ben chiaro a tutti, al fine di evitare incresciosi equivoci!
6 Settembre 2010
◙ Ci sono giunte varie mail di commento a ciò che abbiamo pubblicato nei giorni
scorsi, cioè da quando abbiamo riattivato questa rubrica, dopo la pausa estiva. Una di
tali mail riassume il senso della maggior parte delle altre là dove dice: «… è
incredibile la leggerezza di chi scrive, nei giornali o nei siti Internet, sulle Lescano.
Vien da chiedersi come sia possibile che tanti pubblicisti firmino trafiletti, articoli o
recensioni su di loro senza curarsi minimamente di controllare la veridicità e/o
l’esattezza di ciò che raccontano ai propri lettori...».
È una domanda che ci siamo posti tante volte anche noi e che ci pare avere un’unica
risposta plausibile: la carenza, in codeste persone, di serietà professionale, la quale si
traduce automaticamente nella loro evidente riluttanza a far bene il proprio lavoro.
Questa però è solo la nostra opinione: se qualcuno ritiene di avere una spiegazione
più convincente, è pregato di farsi avanti, giacché siamo tutti desiderosi di capire
come vadano effettivamente le cose.
Un altro visitatore, particolarmente interessato al dibattito sulla fiction della Rai Le
ragazze dello Swing, ci domanda come mai non abbiamo commentato la Sinossi,
piuttosto dettagliata, della miniserie, quella che si può leggere nel sito della Casanova
Multimedia:
http://www.casanovamultimedia.it/f_LE%20RAGAZZE%20DELLO%20SWING.as
p?t=LE%20RAGAZZE%20DELLO%20SWING.
Non l’abbiamo fatto per il semplice motivo che questo ampio riassunto della
sceneggiatura del film si commenta da solo. Vogliamo dire che quanti ci seguono
assiduamente fin dal Dicembre 2008, e hanno così potuto acquisire una conoscenza
approfondita della vera biografia delle sorelle Leschan/Lescano (o quanto meno dei
tanti problemi tuttora irrisolti relativamente ad essa), sono in grado di cogliere
immediatamente e da soli l’enormità delle “licenze” che gli autori di tale
sceneggiatura si sono presi (secondo noi senza alcuna vera necessità) con la Storia,
quella che emerge dai documenti ed è da essi suffragata.
Ribadiamo ancora una volta quella che è la nostra convinzione di fondo: nel
realizzare un film o un lavoro teatrale, ovvero nello scrivere un romanzo di
argomento storico, si può benissimo (anzi normalmente si deve) “romanzare” la
21
Storia, vale a dire raccontarla con arte, ma senza con questo stravolgerla fino al punto
da falsificarla completamente. In altre parole, se un personaggio storico è – poniamo
– un volgare assassino non è ammissibile trasformarlo, per esigenze “narrative” o di
spettacolo, in un romantico eroe, come pare sia avvenuto, ad esempio, nel film
Vallanzasca - Gli angeli del male di Michele Placido, presentato in questi giorni,
fuori concorso, alla Mostra del Cinema di Venezia. Al limite l’operazione è possibile,
ma solo se si cambia l’identità, con nome e cognome, del personaggio: se questa, al
contrario, viene mantenuta nella fiction ogni indebito capovolgimento della Storia
diventa intollerabile abuso, specie agli occhi di coloro che, quella Storia, l’hanno
vissuta in prima persona e magari sulla propria pelle.
◙ Mail di Paolo: «Bisogna ammettere che Paolo Limiti dispone di infinite risorse! Il
cantante Claudio Terni, per tutti uno sconosciuto (v. le Notizie di ieri), non lo è per
lui, che lo ricorda in un video [ http://www.youtube.com/watch?v=fbvveVlT04k ]
postato su YouTube da maggio1972 (il suo canale è ricchissimo e merita più di una
visita). Certo è che Claudio Terni compare in ruoli marginali in varie opere: si veda il
sito http://www.operadis-opera-discography.org.uk/CLDOCATE.HTM, dove egli
figura in un cast interessante. Partecipa poi a vari Festival della Canzone Napoletana
(1958 e altri) e infine il suo nome compare in alcuni dischi revival, come questo:
http://www.musicanapoletana.com/product.php?productid=21638&cat=280&bestseller=Y
Claudio Terni.
Ah, se potessimo avere anche noi libero accesso alle Teche Rai...».
7 Settembre 2010
◙ Grazie ai buoni uffici del nostro impareggiabile amico Massimo Baldino (di cui
non si sa se lodare di più la passione, quella che riversa tutta intera nel suo sito Il
Discobolo, o la generosità, tante sono le incisioni e i documenti sulla musica leggera
del passato che egli ci ha offerto), il collezionista livornese Giorgio Solinas ha messo
a nostra disposizione delle rarità di enorme interesse per le ricerche che ci vedono
impegnati da innumerevoli anni. Dando prova di un’illimitata fiducia nei nostri
confronti, che naturalmente sarà nostro primo dovere non deludere in alcun modo,
egli ci ha prestato i seguenti tre volumi, facenti parte della sua collezione, affinché
possiamo non solo analizzarli coi nostri occhi, ma anche scansionarli, per poi
accoglierli, una volta digitalizzati e restaurati con la massima cura, nell’Archivio del
sito, accanto agli altri dello stesso genere già in nostro possesso:
22
Diciamo subito che il secondo di tali volumi, quello intitolato Assi e stelle della
Radio (1941), era già stato da noi acquisito per intero, in forma digitalizzata, per
merito del nostro collaboratore Francis (v. le Notizie del 27 Giugno scorso);
confessiamo tuttavia che è tutt’altra cosa avere ora in mano l’originale e poterlo
sfogliare per ammirarne con comodo le splendide illustrazioni.
Delle altre due opere la prima, Tra le quinte della Radio (1942), ci era già nota e anzi
la possedevamo in parte, ma solo in fotocopie di modesta qualità: anche qui poter
disporre dell’originale, oltretutto in ottime condizioni di conservazione, costituisce
per noi un decisivo passo in avanti, che ci galvanizza. La seconda invece, l’edizione
del dopoguerra di Assi e stelle della Radio, non l’avevamo mai vista ed è stata per noi
una sorpresa davvero piacevole per le tantissime foto di cantanti e musicisti che
contiene, tutte stampate in modo eccellente e spesso relative ad artisti oggi poco noti
o dimenticati. Il fascicolo, di formato tascabile (cm 12,5 x 18,2), comprende 84
pagine più le quattro di copertina e non è datato, anche se dovrebbe risalire al 1951:
vi leggiamo infatti che Tina Allori e Flo Sandon’s, nate entrambe nel 1924, avevano
allora 27 anni. Altri indizi, però, suggeriscono come data di pubblicazione il 1949.
Offriamo qui in anteprima ai nostri lettori tre delle foto summenzionate, che hanno il
pregio di mostrare dei volti familiari agli appassionati delle canzoni di quel periodo,
ma in nitide immagini che molti di loro non avranno probabilmente mai visto in
precedenza; altro pregio di tali foto è che recano in calce il nome dello studio
fotografico dove sono state eseguite.
Nell’ordine: Clara Jaione, Lidia Martorana e Flo Sandon’s.
23
Nei prossimi giorni dedicheremo la maggior parte del nostro tempo a scansionare al
completo le due opere in oggetto (complessivamente 220 pagine), in modo da poter
restituire quanto prima questi tre preziosi documenti al loro proprietario, al quale
esprimiamo fin d’ora tutta la nostra gratitudine, nostra personale e di quanti ci
seguono. È possibile che per fare questo lavoro dobbiamo trascurare per un po’ la
presente rubrica, certi di poter contare sulla comprensione dei nostri affezionati
lettori.
8 Settembre 2010
◙ Paolo ha reperito una cartolina pubblicitaria di Rina Franchetti (v. le Notizie del 4
Settembre scorso). Essa ci mostra la versatile artista nel pieno fulgore della sua
giovinezza:
◙ Ancora Paolo ci scrive: «Colpito dal fatto che nella Sinossi della fiction Le ragazze
dello Swing compaia per la prima volta il fratello minore di Eva, Aharon, quale
compagno di “fuga” sulle montagne, scopro che a quell’epoca il poverino era
evidentemente uno spettro! In una pagina del sito Jewish Council leggiamo infatti che
Aaron de Leeuwe (settimo figlio dei de Leeuwe), nato ad Amsterdam il 12 Febbraio
1895, vi morì il 20 Settembre 1942 assieme alla moglie, Marianne de Leeuwe-Mozes:
http://www.joodsmonument.nl/person/559903. Da un’altra pagina del medesimo sito
apprendiamo che i due coniugi si suicidarono, probabilmente per sottrarsi ai
rastrellamenti nazisti ad Amsterdam: http://www.joodsmonument.nl/page/559902?lang=en.
Sulla famiglia de Leeuwe si veda http://akevoth.org/genealogy/deleeuwe/301.htm.
9 Settembre 2010
◙ Nel sito dell’editore Einaudi è comparso l’annuncio ufficiale dell’uscita, a metà
Settembre (la Feltrinelli parla del giorno 14), del tanto atteso volume di Gabriele
Eschenazi sul Trio Lescano. Sorpresa, sorpresa: il titolo, che doveva essere identico a
quello della miniserie Rai Le ragazze dello Swing (v. le Notizie del 1° Settembre
scorso), appare ora cambiato in Le regine dello swing, cambiamento attestato anche
dalla nuova copertina del libro:
24
Si ignorano le ragioni che hanno costretto l’Autore, d’accordo col suo prestigioso
editore, a mutare – non in meglio, a nostro avviso – il titolo dell’opera a poche
settimane dalla sua uscita. L’ipotesi più probabile è che tra la Casanova Multimedia
ed Eschenazi siano sorti all’ultimo momento dei contrasti insanabili. Ne abbiamo una
controprova nel fatto che, come abbiamo già notato, Eschenazi, inizialmente
accreditato come coautore del soggetto, sia poi scomparso dal cast della fiction,
scomparsa confermata dall’ampia scheda del film pubblicata in Wikipedia.
In altri termini è successo ad Eschenazi esattamente quello che capitò alle Lescano
alla fine del ’42, quando furono completamente “cancellate” sia dall’Eiar che dalla
Cetra, qualcuno dice perché venne fuori che erano figlie di madre ebrea (noi abbiamo
seri dubbi che fosse proprio questo il motivo del loro improvviso oscuramento
radiofonico e discografico, dal momento che l’Ovra sapeva benissimo, fin dal ’35 o
’36, che Eva de Leeuwe era di religione ebraica). A voler essere maligni si è tentati di
osservare che «chi le Lescano ferisce, come le Lescano perisce»: in che modo e
quanto gravemente Gabriele Eschenazi abbia “ferito” la memoria delle sorelle
canterine ce lo dirà tra poco il suo libro, le cui anticipazioni, almeno quelle che
abbiamo potuto leggere e commentare in questa sede, non promettono
sfortunatamente nulla di buono.
10 Settembre 2010
◙ Mail di Walter intitolata Chi li ha... visti?: «In un CD inviatomi da un mio
conoscente collezionista, ho trovato una versione di È arrivato l’ambasciatore,
eseguita da Remo Turchi, nome per me affatto nuovo. Ma non è l’unico, dato che ho
a che fare con numerosi altri nomi di cantanti che non mi dicono nulla, e nemmeno
l’archivio delle biografie del Discobolo mi è venuto in soccorso. Per alcuni di essi,
seppure citati, non è emerso niente e perfino lo stesso Massimo Baldino chiede lumi
ai visitatori del suo sito.
Secondo il mio punto di vista, tutti questi artisti hanno nomi alquanto fantasiosi (oltre
che ripetitivi), e mi chiedo allora se non fossero pseudonimi dietro i quali si celassero
altri cantanti ben più conosciuti. Insomma chi erano veramente Gianni D’Arco,
Gianni Turco (!), Gino Stella, V. Angeloni, T. Vanni...?».
25
Anche per noi questi cantanti sono dei perfetti sconosciuti, ma forse non lo sono per
certuni dei nostri lettori: a loro la parola, dunque!
◙ Mail di Aldo intitolata Torna e ritorna: «Chi cerca musica da ascoltare in rete, può
imbattersi in un motivo reintepretato oggi dal gruppo “trip” Portishead o dalla
islandese Bjork. Trattasi di Gloomy sunday (titolo originale: Szomorú vasárnap), un
motivo che l’ungherese Seress Rezső compose agli inizi degli anni ’30.
Seress Rezső (1889-1968).
La cover fu ripresa tra il ’41 ed il ’42 col titolo (traduzione dell’ungherese, appunto)
di Triste domenica, da alcuni nostri cantanti, come Carlastella (su Odeon) e Giovanni
Vallarino (Fonit); dieci anni più tardi, nel ’52, fu riproposto anche da Nilla Pizzi
(Cetra). Il testo italiano, di Rastelli, si diversifica comunque nelle varie
interpretazioni. Un motivo strano (da suicidio, si legge in rete), senz’altro particolare,
come forse il suo autore. Chissà che anche le Lescano possano averlo qualche volta,
in qualche occasione, interpretato pure loro, magari in ricordo del padre. Chissà...».
Una bella versione strumentale di questa struggente canzone si può ascoltare su
YouTube all’indirizzo http://www.youtube.com/watch?v=8Kkxbw3s2pM&feature=related.
11 Settembre 2010
◙ Nove mesi or sono, esattamente nelle Notizie del 5 Dicembre 2009, abbiamo
recensito il CD Diamoci del tu…, prodotto dalla P-nuts [http://www.p-nuts.it/] e
dedicato all’Orchestra Maniscalchi diretta da Christian Schmitz. In questi giorni il
titolare di detta Casa, Giorgio Bozzo, ci ha fatto pervenire la sua ultima creazione
discografica, il CD Signorine Novecento, interamente consacrato alle Sorelle
Marinetti, accompagnate come sempre dall’Orchestra Maniscalchi, con Christian
Schmitz nel molteplice ruolo di arrangiatore, direttore, pianista e qui perfino corista.
Per la precisione il disco è uscito il 25 maggio scorso, ma, per un banale disguido
(complici anche le vacanze estive), lo abbiamo ricevuto solo ora.
26
A sinistra: copertina del CD Le Sorelle Marinetti - Signorine Novecento;
a destra: le Sorelle Marinetti con Christian Schmitz.
Diciamo subito che esso ci ha fatto, sin dal primo ascolto, un’impressione delle più
favorevoli, tanto che non esitiamo ad affermare che i 14 brani che contiene ci paiono
rappresentare il meglio del meglio in fatto di rivisitazioni di classe della musica
vocale degli anni Trenta-Quaranta. Può anche darsi che il nostro giudizio sia
influenzato positivamente da motivi di ordine… sentimentale, dato che più della metà
di tali brani furono incisi una settantina di anni fa dalle sorelle Lescano, le nostre
beniamine, ma è innegabile che proprio il confronto diretto con le incisioni originali
(e questo vale anche per le rimanenti canzoni, tutte incise in quel lontano passato da
altri esecutori di vaglia) mette in luce l’eccellenza di queste moderne
reinterpretazioni. Ma vediamo i motivi del nostro pieno gradimento.
Ben conoscendo la sconfinata passione di Giorgio Bozzo per le cose fatte bene, con
una cura maniacale (in senso buono) di ogni pur minimo dettaglio, va dato per
scontato che, da un punto di vista tecnico, il CD sia assolutamente impeccabile. Non
per nulla l’incisione dei 14 brani ha richiesto quasi tre settimane di strenuo lavoro,
effettuato in uno dei migliori studi di registrazione del Bergamasco, il Cavo Studio di
Azzano San Paolo; lo esigeva del resto anche l’etichetta prescelta per la distribuzione
del disco, la Atlantic - Warner Music Italia, nota per l’ottimo livello qualitativo dei
suoi prodotti.
Anche la presentazione esteriore del disco è accattivante per vari motivi, il primo dei
quali è l’originalità con cui, sulla retrocopertina, sono indicati i brani prescelti. Invece
del solito elenco ben incolonnato, troviamo questo piacevole sfarfallio di titoli, scritti
con caratteri tutti diversi che richiamano lo stile del primo Novecento:
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Se poi andiamo a sfogliare il libretto, vediamo con piacere che ogni singolo brano è
descritto in una scheda che, seppur concisa, risulta chiara ed esauriente. Si veda ad
esempio come viene presentato il delizioso fox-trot Vado in Cina e torno:
È appunto in questo pezzo che si esibisce, come corista, Christian Schmitz: lo fa
assieme a Paolo De Tuglie e Tony Corsano nel trio vocale maschile che accompagna
le Marinetti, ruolo che nell’incisione originale col Trio Lescano venne affidato al
Quartetto Cetra. Molto opportuna la precisazione della scheda riguardo a quest’ultima
formazione, perché molti ignorano che essa aveva in comune solo il nome col famoso
Quartetto Cetra di Virgilio Savona e soci. Per inciso ricordiamo che abbiamo trattato
anche noi questo punto nelle Notizie del 10 Febbraio scorso.
Ma veniamo ora al contenuto del disco, che in definitiva è ciò che interessa
maggiormente i suoi acquirenti. È un mix molto ben equilibrato di sette canzoni
italiane più sei canzoni americane, queste ultime assai popolari qui da noi al tempo
delle Lescano, ovviamente in versione italiana, che non sempre rispecchia il
28
significato del testo primitivo. È il caso di Nature Boy, grande successo di Nat King
Cole, diventato in Italia Ricordati ragazzo (la prima incisione della versione nostrana
fu quella di Natalino Otto, nel ’49) o di Love for Sale, canzone basata in origine su un
tema allora scottante che appare del tutto eluso nella versione italiana, intitolata Ma
perché? A queste tredici si aggiunge un’allegra canzone tedesca, Liebes Kleines
Fräulein, che fu incisa nel ’42 delle Valtonen, tre sorelle finlandesi emule delle
Lescano col nome di Harmony Sisters (ne abbiamo parlato a lungo nelle Notizie del
10 Giugno 2009).
Sono tutte canzoni scelte, con gusto sicuro, non solo per i loro pregi oggettivi, tanto a
livello delle melodie quanto a quello dei testi, ma anche con l’intento di valorizzare al
massimo la duttile e raffinata vocalità delle Marinetti, che qui ci paiono davvero
perfette: mai una sbavatura e soprattutto mai una nota sopra le righe, come solo agli
artisti più dotati e maturi è concesso di fare. Non è da meno il cantante solista,
Gianluca De Martini, che è il degno complemento delle Marinetti, così come
dell’Orchestra Maniscalchi.
Già, l’Orchestra: i suoi componenti sono qui solo dieci ma, ad ascoltarli, sembrano
una big band. Merito senza dubbio del fatto che sono tutti elementi di prim’ordine,
parecchi dei quali anche polistrumentisti, ma merito incontestabile anche degli
splendidi arrangiamenti di Christian Schmitz: fedelissimi nello spirito a quelli
originali, ma ripensati con ammirevole maestria in funzione di un organico ridotto e
anche dell’odierna sensibilità, che per forza di cose non può essere quella del tempo
in cui le Lescano cinguettavano dai microfoni dell’Eiar, accompagnate dalle grandi
Orchestre dei Maestri Barzizza o Angelini.
In conclusione riteniamo di poter dire che l’ultima fatica di questa bella compagine di
artisti, validamente capitanati da quel grande talent scout che è Giorgio Bozzo, meriti
di figurare nella discoteca di ogni amante della buona musica, a fortiori se è un
incallito lescanofilo, come lo siamo tutti noi di questo sito.
◙ Mail di Aldo intitolata Illustri... s-conosciuti?: «In riferimento alla mail e alle
considerazioni di Walter, è un bel “capitolone” quello dei nomi (diciamo anche
pseudonimi) coi quali apparivano (su disco) i vari artisti o musicisti dell’epoca; credo
che abbiamo sfiorato il problema solo qualche mese fa, a proposito dell’Orchestra di
Stefano Ferruzzi: forse ricorderete, in quella sede, la testimonianza stessa del
Maestro: «...Incidevo per sette case discografiche diverse con sette[ma forse anche
più, n.d.r.]nomi diversi...« (in Café-chantant di Contini-Paganini-Vannucci, Ed.
Bonechi, Firenze, 1977, pag. 120).
Ecco, esattamente così: presentarsi con più nomi (quando, meccanismo opposto,
addirittura si omette), variare per “arricchire-incrementare” il panorama artisticomusicale, e di sicuro per motivi contrattuali. Renzo Mori, contemporaneamente attivo
presso quasi tutte le etichette (label, dicono oggi) milanesi (ma non certo alla
C.e.t.r.a.-Parlophon) ne è (con Crivel...) un efficace esempio. Canta la notissima È
arrivato l’ambasciatore (1938) da solo per La Voce del Padrone e su Italfon come
Remo Turchi; mentre è la voce più saliente (come sempre) nel coro che accompagna
la versione su Columbia di Lita Manuel e Crivel, e su Odeon quella di Meme Bianchi
29
(naturalmente assieme con Servida, pardon, Nino Amorevoli, per la Odeon: Duo
Gianni-Ramiro, quando non omessi). Renzo Mori, su Odeon, appare anche come
Reno Zomir (solito meccanismo del quasi anagramma, v. Dino Olivieri/Gino Dover).
Queste etichette (minori?) accoglievano spesso gli “illustri s-conosciuti”: la Excelsius
e Italdisco, la Italfon (molto vicine alla Fonit-Trevisan di allora, che avrebbe
proseguito questo discorso con la Combo degli anni ’60), la Fonotecnica Electro
Record/Fonola, poi semplicemente Fonola (così negli anni ’60 –’70 e che vive tuttora
con un suo bel catalogo di CD!). Aggiungo inoltre che T. Vanni è A. Servida. Che
dire... un lavoro appassionante: sarebbe bello affrontare anche questo “Capitolone”.
Ricordo qui (per gli eventuali interessati) un’ultima uscita nel campo della musica
leggera e della canzone italiana: si tratta del variopinto, coloratissimo volume Le
ragazze dei capelloni (di F. Brizi, Ed. Coniglio), un bel testo dedicato alle cantanti
italiane (e non solo) del periodo beat (e non solo): un ulteriore ammirevole esempio
(anche se in qualche maniera principalmente compilativo) di chi si dedica alla ricerca
in questo campo, e in questo caso agli anni ’60 ».
◙ Mail di Alessandro: «Ho seguito in questi giorni tutte le varie Notizie pubblicate e
ci tengo a fare alcune puntualizzazioni:
1) il Claudio Terni citato da Walter e da Paolo nelle notizie del 5 e del 6 Settembre
non è assolutamente il Terni che nel filmato di YouTube canta, accompagnato
dall’Orchestra Olivieri, Vado in Cina e torno. Si tratta evidentemente di un banale
caso di omonimia. Il tenore Terni, come si legge nell’etichetta, è stato un cantante
quasi sconosciuto che negli anni Trenta incise una discreta quantità di dischi,
accompagnato dal Maestro Olivieri. Il Claudio Terni della fotografia, invece, è stato
un valente cantante degli anni Cinquanta, tipico rappresentante del bel canto
all’italiana. Si può dire che nella fitta schiera degli interpreti “minori” di quegli anni
(quali Antonio Vasquez, Lauro Raffo, Vittorio Tognarelli, Rino Loddo, ecc.), Terni
sia indubbiamente quello di maggior spicco. Del resto, poi, non potrebbe trattarsi
della stessa persona dato che, come si legge nelle note del video, l’incisione risale al
Settembre 1938, mentre il Claudio Terni di cui parla Limiti è nato il 10 giugno 1927.
Allego, per togliere ogni dubbio, il brano Campana di Santa Lucia, pezzo tratto dal
festival di Sanremo 1958, nell’interpretazione appunto di questo Claudio Terni.
2) Pseudonimi e nomi d’arte. La questione sollevata da Walter nelle Notizie di ieri
immagino che susciterà un dibattito molto acceso, dato che, sugli pseudonimi dietro i
quali si celavano artisti conosciuti, ci sono decine e decine di versioni, alcune
contraddittorie fra loro e ovviamente tutte prive di qualsiasi prova, se si esclude un
banale confronto vocale. Ad ogni modo posso dire a Walter che:
- Gianni D’Arco era il nome d’arte usato da Giovanni Turchetti, durante gli anni
Trenta, quando si esibiva al seguito dell’orchestra Angelini in diverse sale da ballo e
incideva dischi per la Italfon. Quando nel 1939 venne iscritto, a sua insaputa, al
Secondo Concorso per Voci Nuove indetto dall’EIAR, fu costretto a cambiare nome
poiché il regolamento vietava la partecipazione di cantanti già affermati. Una cosa
simile successe a Lidia Aurora nel 1947, quando divenne Lidia Martorana.
- Tullio Vanni era un comico fantasista molto in voga negli anni Trenta e Quaranta. A
partire dalla seconda metà degli anni Trenta fece coppia con Renato Romigioli, altro
30
cantante e comico di razza, dopo che quest’ultimo aveva posto fine al suo connubio
artistico con Riccardo Billi. Assieme incisero una discreta quantità di dischi,
parteciparono ad alcuni spettacoli di varietà e alle prime trasmissioni di radiovisione.
Una leggenda molto diffusa tende ad affermare che Tullio Vanni fosse uno
pseudonimo dietro il quale si celava il chitarrista Angelo Servida: nulla di più falso!
Le foto dell’epoca di questi due interpreti tolgono ogni dubbio.
3) Prima della pausa estiva era balzato all’attenzione dei nostri amici lettori, grazie ad
un pregevole video su YouTube, il Duo Vocale delle Sorelle Fiorenza e molti si erano
domandati se le due sorelle napoletane, Elvira e Pierina La Guardia, fossero ancora in
vita. Sono quindi riuscito a contattare la signora Fulvia La Guardia, che da un po’ di
anni si occupa della sorella Pierina, oggi arzilla 85enne, con qualche piccolo
problema di salute dovuto all’età. Sono così riuscito a ricostruire la vicenda di queste
due sorelle che, cresciute alla scuola del padre musicista, per un biennio, dal 1940 al
1942, furono tra le voci di punta della Radio, fino a quando vennero licenziate per
“inadempienze contrattuali”. Purtroppo Elvira ci ha lasciato ormai da quasi vent’anni,
a soli 69anni, stroncata da un aneurisma cerebrale. La tradizione canora però non si è
spenta, dato che il figlio di Pierina, Dario Giuntoli, è un apprezzato cantante lirico».
◙ Altra mail di Alessandro, intitolata A proposito di “Triste domenica”...: «Leggo
ora l’intervento di Aldo a proposito della canzone Triste domenica. A tal proposito
vorrei dire che questa bella canzone, il cui titolo originale è Szomoru Vasàrnap venne
composta dall’ungherese Rezső Seress su testo di Laszlo Jàvor nel 1933. In Italia
arrivò nel 1938 con un testo di Nino Rastelli che descriveva, in tre strofe, le tristi
domeniche di un’innamorata: la prima, quando cupi pensieri tormentano la sua
mente; la seconda, mentre ricorda un’altra triste domenica, quando il suo amore se ne
andò, promettendo di fare ritorno; la terza, quando di fronte al passare dei giorni e
all’aumentare della sofferenza, decide di togliersi la vita. Passò alla storia come
“canzone da suicidio” quando, pochi giorni dopo il suo lancio (grazie alla voce di
Aldo Masseglia), due giovani amanti nel Bolognese, suicidandosi, lasciarono scritto
nel loro ultimo disperato messaggio che si sarebbero tolti la vita ascoltando Triste
domenica, perché avrebbe dato loro la forza necessaria per andare fino in fondo. Tali
circostanze indussero l’editore e l’autore italiano a realizzare una versione meno
suggestiva (anche se sempre triste) per la diffusione radiofonica. Fu così che la nuova
versione di Triste domenica venne presentata alla radio, nel 1940, dalla voce
profonda e fascinosa di Norma Bruni: due strofe che raccontavano la triste domenica
di una donna rimasta sola dopo la morte dell’innamorato. Seguirono poi le incisioni
di Carlastella, Giovanni Vallarino, Nilla Pizzi e Carla Boni, a volte prendendo il testo
originale, altre quello corretto. Triste circostanza: anche l’autore del pezzo, Seress,
morì suicida nel 1968...».
◙ Virgilio ci segnala che nel blog autocelebrativo del regista Maurizio Zaccaro è
annunciato che la miniserie Le ragazze dello Swing verrà trasmessa su Rai Uno nelle
serate di lunedì 27 e martedì 28 Settembre p.v. Molti i nuovi video inseriti nel blog, i
quali confermano, anzi accrescono i nostri timori di un bel flop, malgrado
l’entusiastico giudizio di N. Tommasino, collocato en exergue: «Chi ama i film
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musicali adorerà questo film, mentre chi li detesta per una volta potrebbe cambiare
idea». Speriamo di essere tra i fortunati!
Particolare curioso: la fiction diventa adesso nella versione inglese The Queens of
Swing, titolo che ricalca quello del libro di Eschenazi cui abbiamo accennato due
giorni fa. Inizialmente si era parlato di The Swing Girls (vedi
http://www.imdb.com/title/tt1634527/) e tutti questi cambiamenti dell’ultima ora
appaiono sospetti, chissà cosa c’è sotto…
12 Settembre 2010
◙ Christian ci ha inviato il file della canzone La sardina innamorata (DD 10024,
1940 ca.), travasata da un disco originale in buone condizioni che ha potuto
acquistare recentemente. Tale brano era già presente nel nostro Archivio sonoro, ma
la copia donataci da Christian è senz’altro migliore, per cui la sostituzione è
d’obbligo. Col suo amabile consenso siamo lieti di offrire agli appassionati
l’anteprima di questa graziosa canzoncina di Mariotti-Rastelli, incisa con l’abituale
verve dal Trio Lescano, accompagnato dall’Orchestra Angelini.
◙ Riceviamo questa graditissima mail: «Buongiorno, innanzi tutto mi presento: mi
chiamo Vito Vita, e sono un collaboratore della rivista mensile Musica leggera, della
Coniglio Editore ( http://www.musicaleggera.org/la-rivista/). Vi scrivo in merito alla
vostra richiesta contenuta nella pagina degli Annunci. Essendo di Torino, sono andato
al Cimitero, dopo aver fatto le opportune ricerche nel sito del Comune, ed ho
fotografato alcune delle tombe di vostro interesse. La prima di cui vi invio le foto è
quella di Lina Termini […], segue quella di Dirce Marella, mentre la terza è relativa
alla tomba di Carlo Prato.
Quest’ultima pone però un problema. Dalla scheda pubblicata nel suddetto sito si
legge che Prato morì il 17 Dicembre 1949, e la relativa tomba è dislocata al Cimitero
Monumentale in questo punto:
- Zona: AMPLIAZIONE 3 GRUPPO 19 SCOMPARTO 188 (A3GR19S188)
- Tipo Sepoltura: CELLETTA SOTTERRANEA DI TESTA FILA 5 (CELLETTA)
- Numero manufatto: 0028.
Bene, mi sono recato nel luogo indicato ed ho trovato in effetti la tomba dove doveva
essere, ma con un particolare sconcertante, ben visibile nella foto: la data di morte è il
1960!
Nei prossimi giorni proverò a cercare nei vecchi numeri de La Stampa (che all’epoca
pubblicava l’elenco di tutti i morti in città) per verificare se nei giorni successivi al 17
Dicembre di quell’anno è riportata qualche notizia sulla morte del Maestro Prato,
assai noto a Torino. Resta il fatto che non si spiega la discrepanza tra i dati nel sito
del Comune (che presumo essere ufficiali) e quelli della lapide: che si tratti di un
errore del marmista?».
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Le tombe nel Cimitero Monumentale di Torino fotografate da Vito Vita.
Il nostro nuovo collaboratore, al quale diamo il più cordiale benvenuto nel team, ha
fatto un eccellente lavoro: gliene siamo tutti oltremodo grati. Le foto delle tombe che
ci ha spedito sono tuttavia, per ragioni del tutto indipendenti dalla sua volontà,
alquanto deludenti ai nostri occhi, a causa dell’estrema sobrietà delle lapidi, che
rasenta... l’indigenza. Quella di Dirce Marella è addirittura priva di foto, mentre su
quella di Lina Termini ce n’è una nella quale stentiamo a riconoscere le sembianze
della brava (e bella) cantante siciliana. Evidentemente i suoi familiari hanno voluto
ricordarla con un’immagine dell’ultimissimo periodo della sua lunga vita, mentre noi
preferiamo un’equilibrata via di mezzo, come è stato fatto ad esempio per Sandra
Lescano (v. le Notizie dell’8 Luglio scorso).
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Tre ritratti di Lina Termini in momenti diversi della sua vita:
dalla prima giovinezza all’età matura.
La tomba di Carlo Prato, infine, è problematica non solo per l’inspiegabile errore
circa l’anno di morte, ma anche per l’identità stessa del defunto: confrontando la foto
che vi vediamo con vari ritratti sicuramente del Maestro, si è infatti tentati di credere
che si tratti di persone diverse, seppure col medesimo nome e cognome. La
confusione potrebbe essere stata favorita dal fatto che i due omonimi erano nati
entrambi a Torino nel 1909… Ma lasciamo l’ultima parola ai fisionomisti fuoriclasse,
che per fortuna non mancano tra i nostri collaboratori.
Il M° Carlo Prato, pianista e insegnante di canto nella sede torinese dell’Eiar;
scoprì le sorelle Lescano nel 1935 e ne curò la preparazione fino al
termine della loro carriera in Italia.
◙ Precisazioni di Aldo, a seguito della sua mail di ieri: «Nota su T. Vanni (in
riferimento alle notizie di Alessandro): che il Vanni del Duo Vanni-Romigioli non sia
Angelo Servida è assolutamente chiaro e indiscutibile; solo che quel Vanni non è il
T[ullio] su Excelsius, cioè il Servida cantante e chitarrista che conosciamo. La voce,
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come vari e medesimi motivi interpretati, corrispondono perfettamente al cantante
lombardo, come (da orecchio) si può ascoltare nelle varianti su disco di San
Francisco / E tu..., fatte sia per la Voce del Padrone (come Servida) che per la
Excelsius (come Tullio Vanni). Ho solo immagini di Servida, ma sinceramente
confido più nell’udito, e il Vanni-Servida non mi sembra il Vanni-Romigioli: credo
che nessun “confronto vocale” sia mai da considerarsi “banale” (o secondario, o
inutile). Anzi. Ad averne di dischi e canzoni da ascoltare e valutare!
Certo che il Terni che canta con Dino Olivieri negli anni Trenta non è il Claudio
Terni degli anni ’50! Ma inconvenienti di questo tipo mi risultano anche a proposito
di altri artisti, come il cantante Giorgio Baracchini, descritto in rete come nato a
Cervia nel 1926. Questo bravo artista (che credo toscano di Arezzo) ha in realtà
inciso dischi già dai primissimi anni ’30 (Polydor, Durium, Parlophon), e ascoltando
appunto queste incisioni, come Mimose, Paese incantator, la stessa famosissima
Rondine (tutte del 1932), ed affidandomi ancora all’udito (oltreché a un po’ di buon
senso) mi sembra che dalla voce non avesse proprio sei anni.
13 Settembre 2010
◙ Che il mondo sia bello proprio perché è vario, specie in fatto di gusti e punti di
vista, è una lapalissade che mette (o meglio dovrebbe mettere) tutti d’accordo. Noi ne
siamo arciconvinti ed è per questo che, fin dalla creazione del sito, abbiamo dato
ampio spazio a tutte le opinioni, a cominciare da quelle diverse dalle nostre, alla sola
condizione che fossero espresse con urbanità e senza mai offendere nessuno. In nome
di questo principio pubblichiamo ora volentieri questa mail del nostro collaboratore
Virgilio, il quale prende lo spunto dalla nostra recensione del CD Le Sorelle
Marinetti - Signorine Novecento per fare alcune considerazioni molto personali in
tema di reinterpretazioni moderne delle canzoni d’antan. Ascoltiamolo, lasciandogli
ovviamente tutta intera la responsabilità di ciò che afferma.
«Per quanto riguarda la recensione alle Sorelle Marinetti, non metto lingua perché
non le conosco, e mi fido sulla parola di chi ne sa più di me. Dico chiaramente però
che non sono per i repêchages di questo tipo, non perlomeno quando di quei brani
musicali esistono versioni originali da leccarsi i baffi, quali quelle delle Lescano.
Posso capire se si incidono dei brani caduti nel più totale dimenticatoio, e cantati
originalmente da artisti di secondo piano; ma, con tutta la stima che posso avere per
Rita Pavone, mi volete dire, scusate, che senso ha il suo Pippo non lo sa dopo quello
Fioresi-Lescano? Anche perché – quisquilia, pinzillacchera, direbbe Totò – mica si
vorrà paragonare l’arrangiamento del ’67 (ignoro perfino di chi) con la sontuosa veste
sonora dell’Orchestra Cetra diretta da quel mago della bacchetta che fu Pippo
Barzizza, per me – l’ho già detto, e mai mi stancherò di ripeterlo – il più grande
direttore d’orchestra della musica leggera italiana d’ogni tempo? Eh no, il paragone
sarebbe impietoso.
Dunque, grande rispetto per le Marinetti, le Blue Dolls e chi più ne ha più ne metta,
ma non esageriamo per favore con gli incensamenti e le ridicole iperboli (qualcuno è
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arrivato a dire che queste ultime sono “la reincarnazione delle Lescano”!). Finché si
scherza va bene, ma qui davvero si passa il limite».
In risposta al quesito che abbiamo posto ieri (l’uomo la cui foto si trova sulla tomba
di Carlo Prato è davvero il Maestro?), Virgilio ci scrive inoltre: «Avete proprio
ragione a dubitare, perché se quello della foto presente sulla lastra tombale è il
maestro Carlo Prato, bisognerebbe inferirne che fu deportato ad Auschwitz e,
miracolosamente scampato, appena rientrato dal campo di concentramento ebbe
necessità di un ritratto per la carta d’identità. In ogni modo è un bel dilemma, perché,
magrezza a parte, i lineamenti non sono poi così diversi, almeno dalla seconda delle
quattro foto del Maestro riportate nelle Notizie: l’arco delle sopracciglia e la bocca
sono identiche, le orecchie somigliano, solo i capelli in quest’immagine appaiono più
radi. Mah? In tutta onestà non si può escludere che fosse proprio lui... ma, ripeto,
scampato da Auschwitz».
◙ Ancora a proposito della recensione di cui sopra riceviamo questa mail della nostra
collaboratrice Lea: «Dopo aver letto l’articolo che avete pubblicato l’altro giorno sul
CD Le Sorelle Marinetti - Signorine Novecento mi è venuta la curiosità di ascoltare
le anteprime di tutti i 14 brani, che ho reperito nel sito ibs.it. Il loro ascolto mi ha
convinta ad acquistare senza indugi il disco e desidero farvi sapere che le esecuzioni
delle Marinetti mi sono piaciute tantissimo, proprio come le incisioni originali delle
Lescano, perché hanno saputo conservarne il garbo e la grazia, ma offrendo in più i
pregi della moderna incisione digitale. Io non sono una patita del suono dei vecchi e
gracchianti 78 giri, anche se mi guardo bene dal criticare o peggio ancora deridere chi
fa autentiche pazzie per procurarseli: ma, da innamorata delle vecchie canzoni, sono
ben contenta di poterle ascoltare oggi senza fruscii, crepitii e altri inutili rumori
parassitari, mi basta che a reintarpretarle siano artisti di talento e sicuro mestiere,
animati inoltre dal maggiore rispetto possibile per gli interpreti del passato, come lo
sono appunto le Sorelle Marinetti con relativi collaboratori. A tutti loro va perciò il
mio plauso incondizionato».
◙ Mail di Sandro: «Riguardo all’ottimo lavoro del Sig. Vito Vita, di cui leggo nelle
Notizie di ieri (sempre interessanti e ricche di novità), da vecchio graves scout e
pseudo fisionomista, vorrei dire la mia. Le foto sulle lapidi di Lina Termini e di Carlo
Prato a me non fanno sorgere dubbi: si tratta dei due artisti, la prima al 95%, il
secondo all’80%.
Per esser deceduto a soli 40 anni, il M° Prato – che nelle foto visibili sul sito appare
pieno di vita e tutt’altro che smilzo – fu forse colpito da qualche male inesorabile,
per la qual cosa la foto usata per la lapide, che pare tratta da un documento d’identità,
potrebbe risalire a un periodo di poco antecedente la sua dipartita. L’assenza dei
baffi, inoltre, contribuisce a renderlo ancor meno riconoscibile.
Per quanto riguarda l’errore madornale nell’indicare l’anno di morte, trattandosi di un
loculo di seconda tumulazione previa “riduzione”, con tutto il rispetto per gli addetti
ai servizi cimiteriali di Torino, penso che la lapide sia stata apposta “d’ufficio”,
cioè senza controlli o interventi da parte dei familiari. L’errore, quindi, può esser
dovuto esclusivamente alla trascuratezza, visto che all’anagrafe cimiteriale la data del
decesso è esatta».
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◙ Mail di Alessandro: «Quanto prima scriverò a Vito Vita (chissà che non sia parente
della cantante torinese Agata Vita?) per ringraziarlo delle foto che ci ha gentilmente
inviato. Lo avvertirò anche che, secondo l’Anagrafe di Torino, Carlo Prato nacque a
Susa il 15 Aprile 1909 e morì a Torino il 4 Febbraio 1949. Quindi non so come mai il
database cimiteriale di Torino riporti come data il 17 Dicembre. C’è da dire che in
alcuni casi non è riportata la data del decesso bensì quella della tumulazione; ciò
basterebbe a spiegare uno slittamento di qualche giorno, ma non certo uno, come nel
nostro caso, di 10 mesi! Consiglierò quindi a Vito di controllare anche le edizioni de
La Stampa del 4, 5 e 6 Febbraio 1949, in modo da chiarire, prima di tutto, il giorno
esatto del decesso. Sicuramente posso dirvi che il Carlo Prato fotografato da lui non è
assolutamente il Maestro Prato che andiamo cercando. Poco credibile anche il fatto
che sia stato un errore del marmista, dato che la moglie di Prato, sopravvisse al
marito di molti anni e non credo che fosse così disinteressata da lasciare un errore
così evidente sulla lapide. Speriamo che il nostro nuovo collaboratore riesca a
risolvere questo mistero.
Circa le osservazioni di Aldo posso dire che:
- così come per Terni, esistono nella storia della Canzone Italiana, due Giorgio
Baracchini: il primo, tenore più o meno in voga negli anni Trenta; il secondo (Cervia,
1926 - Roma, 1986), cantante più vicino al genere sincopato, uscito da un concorso
EIAR del 1942 ed esibitosi per un periodo alla radio al seguito delle formazioni di
Zeme e di Barzizza, prima di passare al teatro di rivista;
- per quanto riguarda Gianni o Giovanni D’Arco/Turchetti posso dire, prove alla
mano, fornitemi anche dalla figlia del cantante, che si tratta della stessa persona.
Inizialmente ero anch’io un po’ scettico, dato che anche i motivi interpretati sono
assai lontani come genere fra loro (motivi patriottici e filofascisti per Gianni D’Arco,
canzoni melodico-confidenziali per Turchetti), ma i dati biografici e i relativi
documenti confermano quanto ho appena detto;
- così come per Terni e per Baracchini, saranno esisti, nella storia della Canzone
Italiana, due Tullio Vanni, per altro contemporanei: il primo comico di razza,
cantante e fantasista, spalla di Renato Romigioli, altro grande attore, con cui formerà
un connubio artistico destinato a durare fino alla fine degli anni Cinquanta; il
secondo, cantante misterioso, ennesimo pseudonimo dietro al quale si celava Angelo
Servida.
Dal Canzoniere della
Radio, n. 49, 1°
Dicembre 1942, p. 30.
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Il caso di Angelo Servida è tutt’ora un caso aperto e difficilmente risolvibile, dato che
la figlia del cantante, Franca, recentemente intervistata al Notturno Italiano, ha
ammesso di non sapere quali fossero gli pseudonimi con il quale il padre incideva
presso altre case discografiche; nel corso dell’intervista infatti la signora Servida ha
prima detto di non ricordare gli pseudonimi e subito dopo ha confermato, senza
troppa convinzione, una serie di nominativi, preparati dal conduttore fra cui
spiccavano gli ormai famosi Amorevoli e Solinas, che da anni si associano come
nomi d’arte del chitarrista milanese.
Credo che il problema degli pseudonimi associati a Servida risalga al periodo della
guerra, quando iniziarono le incursioni aeree degli Alleati nel Settentrione. All’epoca
numerosi cantanti fecero perdere le loro tracce, per riapparire poi solo nel
dopoguerra. Servida fu uno dei temerari che, assieme ad altri “eroi”, quali Gorni
Kramer e Vittorio Belleli (“banditi” dall’Eiar), continuò ad esibirsi clandestinamente,
sotto falso nome, in vari locali della Lombardia, proponendo canzoni allora poco
gradite al Regime. Il fatto poi che Belleli fosse ebreo, aggravava le cose. Tale vicenda
ha generato poi una serie di pasticci, alcuni dei quali si portano avanti ancora oggi:
primo fra tutti il fatto che Servida abbia usato nel corso della sua carriera qualcosa
come sei-sette pseudonimi, poi che lo abbia fatto (come si legge ancora in rete), per
nascondere le sue origini ebree, cosa assolutamente infondata.
Premesso ciò, mi permetto di dire che Rodolfo Solinas, in arte Rudy, era un cantante
sardo (credo di Iglesias), che conobbe un periodo di discreta popolarità negli anni
Quaranta e che, durante il decennio successivo, si riciclò come attore; con Servida
non ha niente a che vedere. Anche qui foto e filmati parlano chiaro.
Giuseppe Amorevoli, detto Nino, era un cantante milanese che è stato da sempre
associato ad Angelo Servida. Non si capisce, tra l’altro come mai, e a cosa sia dovuta
questa associazione. Tant’è che sia Servida che Amorevoli incidevano per la Odeon.
Da qui vengono fuori tutta una serie di situazioni che delineano uno stato di assoluta
pazzia fra i vertici della Odeon di quell’epoca. Ad esempio Luciano Tajoli canta in
duetto con Angelo Servida i motivi La Paloma e Serenata di maggio.
Etichetta del disco Odeon H 18122 con La Colomba (La Paloma),
incisa da Luciano Tajoli in duo con Angelo Servida.
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Parallelamente, a distanza di poco, lo stesso Tajoli incide, questa volta però in duetto
con Nino Amorevoli, i brani Il valzer di ogni bambina e Montanina. Ora se
Amorevoli e Servida erano realmente la stessa persona, che senso aveva immettere
nel mercato delle canzoni cantate dallo stesso binomio di cantanti con nomi diversi?
Era una tecnica decisamente controproducente e dannosa per Servida. Ripeto,
evidentemente ai vertici della Odeon sedevano dei pazzi scatenati. La cosa si ripete
quindi, sempre su dischi Odeon, per i duetti di Meme Bianchi: prima con Servida in
Chiesetta alpina e poi con Amorevoli in Rondinella azzurra. Tutto questo fino al
caso limite di canzoni come Canzone a una triestina, Canzone del fante, La Mazurka
di Carolina, Ritornerò e Bella bionda, motivi cantanti da Nino Amorevoli con il Duo
Gianni- Ramiro (ovvero Renzo Mori e Angelo Servida, alias Nino Amorevoli).
Quindi a cantare queste canzoni erano in due effettivi ma tre in etichetta. E allora
perché non scrivere semplicemente Duo Gianni- Ramiro come già era accaduto per
altre canzoni come Autunno o Rosalpina? Sempre per la stessa pazzia dei direttori di
produzione.
In più di un’occasione molti cantanti, da Tajoli a Ossani, dalla Martorana a Lojacono
(tutti interpreti Odeon) hanno precisato che Amorevoli e Servida erano due persone
distinte. Ma, ahimè, si tratta di una delle tante leggende smontate che nessun
collezionista vuole apprendere; altre che conosciamo sono il fantomatico arresto delle
non ebree Lescano e la romanzesca storia di Pippo Barzizza che alla stazione di
Bologna scopre una giovanissima (ma non poi così tanto!) Norma Bruni che batteva
il marciapiede...
Perdonatemi se mi sono dilungato su questa questione, ma purtroppo la vicenda di
Servida/Amorevoli è un punto critico della storia della Canzone Italiana, su cui
nessuno vuole indagare o fare luce. Si prendono le cose come sono state tramandate e
via, senza batter ciglio, accettando tutto acriticamente. Io, se me lo permettete, non ci
sto, anche perché, come avrete notato, ci sono delle contraddizioni in questa
associazione Servida/Amorevoli che possono essere spiegate solo attraverso la
pazzia».
◙ Mail di Aldo: «Sono felice che ci sia un nuovo arrivato, Vito Vita di Musica
leggera (un’interessante nuova pubblicazione mensile, che si spera questi brutti tempi
di crisi non riescano a cancellare). Come lo stesso Vito, ho anch’io dubbi su quel
Carlo Prato: oltre a una data sulla tomba che non quadra (1960 invece di 1949), anche
l’immagine stessa della foto sembra essere quella di un’altra persona: solito “banale”
problemuccio di omonimia? Qui pro quo? Fischi per fiaschi? O, come si dice in
Toscana “mi sono sbagliato nel confondermi”, esulando da altre espressioni più
colorite?».
14 Settembre 2010
◙ Mail di Antonio: «Cari amici, vi mando questo mio annuncio come partecipazione
alla rubrica Notizie. Esso esula assolutamente dalle lunghe dissertazioni che stanno
avendo luogo in questi ultimi tempi (!). Eccolo:
Una semlice curiosità - Una curiosa domanda
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Qualcuno ha notato un’impressionante rassomiglianza tra i due brani delle Lescano
La sardina innamorata (1940 ca.) e C’è un’orchestra sincopata (1941)?».
Risposta del Curatore - Una certa somiglianza tra le due canzoni è innegabile: il
problema è stabilire se essa sia del tutto casuale (il mondo della musica è pieno di
casi del genere) ovvero intenzionale, e quindi configurabile come plagio, commesso
da Bixio-Cherubini nei confronti di Mariotti-Rastelli. La discussione è aperta.
◙ Mail di Aldo, intitolata: Voci, mode, epoche e pareri: «È comprensibile che il
raffronto tra versioni e interpretazioni diverse, specie se distanti nel tempo tra di loro,
possa lasciare perplessi. Ma ben giungano le novità, soprattutto se positive. C’è da
dire che la versione di Pippo non lo sa di Rita Pavone (in un momento già particolare
della sua carriera, e di passaggio dalla RCA alla Ricordi) fu ben sfruttata per essere
inclusa nel film La feldmarescialla (di Stefano Vanzina, alias Steno), girato a Firenze
e in Toscana nell’estate del ’67 e ambientato negli eventi bellici del ’44.
Locandina del film La feldmarescialla.
Rita (credo innegabilmente bravissima anche come attrice) nella pellicola ripesca (nel
repertorio dei vecchi motivi) Rosamunda, Camminando sotto la pioggia, oltre a (edite
su 45 giri) Pippo non lo sa (etichetta Ricordi, SRL 10480, ma registrazione RCA con
l’arrangiamento di Berto Pisano) e Non dimenticar le mie parole (disco RCA Italiana
PM 3424, direzione orchestrale di Ruggero Cini). L’epoca-moda della riscoperta e
del “ritorno” alle melodie del passato era iniziata da tempo, ed ora anche il 1967 è già
molto lontano. Chissà se la nostra cara Rita avrà conosciuto le versioni di quelle
canzoni interpretate dal Trio Lescano. Potrebbe essere magari interessante, simpatico,
avere una sua idea, un parere: e chissà che non conosca il nostro sito ed abbia
sbirciato nel Notiziario.
40
Per il discorso Servida-Amorevoli-Vanni ecc., risulta dunque chiaro che la voce
appartenga alla stessa persona. Ci si attende solo un documento ufficiale d’epoca, che
possa tranquillizzarci; ci rassereni almeno sapere che il percorso discografico di
Angelo Servida è stato molto lungo, dal 1932 al 1966 circa. Su Giorgio Baracchini, il
problema è sorto unicamente per il fatto che in rete l’interpretazione di Rondine
(1932) di Giorgio Baracchini “Primo” è stata attribuita (o collegata, che dir si voglia)
alla persona-identità (da foto e date) di Giorgio Baracchini “Secondo”».
◙ Un lettore ci chiede come mai abbiamo tolto dalla pagina degli Annunci la richiesta
di foto della tomba di Michele Montanari: forse che quelle foto le abbiamo già
acquisite?
In effetti è proprio così, solo che non possiamo né pubblicare né utilizzare nella
biografia del cantante le foto in questione perché le figlie dell’artista ci hanno pregato
di non farlo: desiderio in verità poco comprensibile (la tomba di Michele Montanari
non ha nulla di particolare), ma che va comunque rispettato.
Michele Montanari
(Noci, 1908 - Torino, 1995).
15 Settembre 2010
◙ Le Lescano sono indiscutibilmente di moda, prova ne sia la quantità di iniziative
sorte negli ultimi tempi intorno al loro nome, il tutto in un clima di revival degli anni
Trenta-Quaranta che non di rado va oltre l’ambito strettamente musicale. Fra tali
iniziative un posto di rilievo è occupato dalle numerose formazioni vocali che
ripropongono, in chiave più o meno “filologica”, lo stile e il repertorio delle mitiche
(e comunque per tutti inarrivabili) sorelle olandesi trapiantate con tanto successo in
Italia.
Giorni fa abbiamo recensito favorevolmente l’ultimo CD inciso dalle Sorelle
Marinetti, ora vorremmo attirare l’attenzione dei nostri lettori sul Trio Marrano,
venuto alla ribalta negli ultimi mesi in quel di Verona. La sua prima particolarità è
quella di essere, a differenza di tutti gli altri, un trio misto, formato cioè da due
vocaliste con voci di soprano e un cantante dal timbro tenorile, naturalmente con
un’impostazione adatta alla musica leggera o al jazz e non già alla lirica. Ognuno dei
tre artisti possiede un curriculum che parla da solo, ricco com’è di studi ed esperienze
lavorative realizzate in diversi campi. Ma ecco come si presentano:
41
Il Trio Marrano, composto da
Angela Castellani, Diego Carbon e Irene Pertile.
Il Trio Marrano è molto ben organizzato, a riprova della professionalità dei suoi
componenti, e possiede un sito [http://triomarrano.com/] che, nella sua sobrietà, si
distingue per piacevolezza della grafica ed esaustività: in esso il visitatore troverà
tutte le informazioni che gli permetteranno di meglio conoscere questi eccellenti
artisti ed avere anche un’idea precisa del loro sound, grazie alla possibilità di
ascoltare tre brani da loro incisi, tratti dal repertorio più noto delle Lescano. Essi
fanno parte di un CD, che si può acquistare on-line seguendo le istruzioni date nel
sito. Eccone la copertina e il contenuto:
42
Abbiamo ascoltato più volte questo CD e il nostro giudizio è assolutamente positivo,
da ogni punto di vista: qualità delle voci, gradevolezza degli arrangiamenti, fedeli
nell’impostazione agli originali e allo stesso tempo innovativi, e infine efficacia degli
accompagnamenti. Questi ultimi sono assicurati da un quartetto di ottimi strumentisti,
che ogni tanto si arricchisce con la presenza occasionale di qualche guest star, come
il violinista Carlo Cantini, che si direbbe uscito da una costola del vecchio e mai
dimenticato Joe Venuti.
Con la collaborazione di Angela Castellani, che assieme ad Irene Pertile è l’ideatrice
del progetto, abbiamo realizzato un’intervista (v. Appendice 2) allo scopo di chiarire
ulteriormente le linee guida che il Trio Marrano ha voluto darsi e intende seguire in
futuro. A tutti loro i nostri più sinceri complimenti e auguri: ad maiora!
◙ Mail di Francis: «Pochi giorni fa ho trovato per caso, nel negozio dove compro i
libri di seconda mano, un vecchio libro di Pietro Cavallo intitolato Riso amaro Radio, teatro e propaganda nel secondo conflitto mondiale. Ho visto poi che questo
valente ricercatore ha anche pubblicato un libro, intitolato Vincere, su come cambia
la canzone italiana tra il 1935 e il 1943. Sarebbe interessante leggerlo, per cui penso
che lo ordinerò.
Sul volume appena comprato, che è del 1994, ho trovato un lungo passo sul
Canzoniere della Radio: non c’entra niente con le Lescano, però marginalmente la
sua lettura potrebbe rivelarsi interessante. Va precisato che la maggior parte del libro
è occupata dalle battute integrali di alcune riviste radiofoniche che andarono in onda
in quegli anni, e da informazioni tecniche tipo il giorno, l’ora e la data di...
approvazione della censura.
Non ho ancora avuto modo di verificare se ci siano altri passi come questo, però il
volume è fatto con grande cura e sicuramente è molto ben documentato».
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◙ Mail di Virgilio: «Ieri sera Rai Uno ha trasmesso un breve “promo” (o clip che dir
si voglia) su Le watusse dello swing: beh, devo dire che se il buongiorno si vede dal
mattino, attendo con frenesia la mezzanotte. Mamma mia! Ho sentito anche,
brevemente, voci e musiche: che stanno alle Lescano come – col dovuto rispetto –
Rosina Anselmi o Ave Ninchi stavano a una danzatrice di can-can...
Infine, poiché leggo sul Notiziario una mail di Aldo che “difende” Rita Pavone,
vorrei chiarire che contro Rita La Zanzara non ho nulla, sono anzi anch’io un suo
sincero estimatore, per me è davvero una bravissima artista. Infatti, non contestavo lei
ma la semplice scelta del repêchage della canzone Pippo non lo sa, difficilmente
dovuto alla stessa cantante, visto che rientrò nelle proposte di un film. Che io sappia,
in qualsiasi campo, i remake sono quasi sempre dei fallimenti. Nell’ambito delle
canzoni l’unico, forse, che non consideri tale riguarda Tornerai: cantato prima dal
Quartetto Cetra degli inizi, poi da Rina Ketty nella versione francese (J’attendrai) e
quindi da Tonina Torielli: tre registrazioni stupende. In ambito cinematografico, l’Oh
my darling Clementine di John Ford (1946, in italiano – splendida la nostra attitudine
ai titoli... – divenuto Sfida infernale) è un capolavoro, ma Sfida all’OK Corral di
John Sturgess (1957), grazie alla presenza di due attori del calibro di Kirk Douglas e
Burt Lancaster, è senz’altro un ottimo film, benché inferiore».
16 Settembre 2010
◙ Com’era prevedibile, l’uscita del libro di Gabriele Eschenazi, Le regine dello swing
(più di un sito continua però a riportare il titolo annunciato nei mesi scorsi, ossia Le
ragazze dello Swing) ha suscitato fra i lescanofili le più vivaci reazioni, giacché si
erano già avuti parecchi segnali che la storia delle sorelle Lescano ricostruita da
questo signore sarebbe stata “discutibile”, giusto per usare un eufemismo.
E per lescanofili intendiamo quelli seri, che amano veramente le Sorelle Lescano,
artiste dal talento più unico che raro, e vogliono conoscerne la storia quale essa
emerge da documenti e fatti inoppugnabili, senza accontentarsi delle tante leggende o
bugie messe in giro sul loro conto da pseudostorici della Canzone Italiana o, peggio
ancora, da gazzettieri facilitoni e privi di scrupoli, che purtroppo continuano a godere
di immeritato prestigio presso il largo pubblico.
Riportiamo da oggi – se possibile integralmente – le più interessanti (perché meglio
argomentate) di tali reazioni, rispettando l’ordine con cui ci sono pervenute.
♦ Sandro (aka Alexander agrimensor romanus): «Prima di scorrere gli otto capitoli
che suddividono il racconto, sono andato a consultare nelle ultime pagine la Nota
bibliografica e i Ringraziamenti:
- non v’è alcun cenno al sito Ricordando il Trio Lescano; di quanto esiste in rete è
citato solo un saggio di Elisabetta Ricciardi, Musica e politica dal Fascismo alla
Seconda Guerra Mondiale [www.storiamilitare.net];
- tra i libri, sono citati quelli di Bigazzi, Borgna, Mazzoletti, Petacci (Claretta),
Pezzetti, Picciotto Fargion, Sachs H. e Sarfatti (questi ultimi quattro per le leggi
antiebraiche e questioni relative);
44
- Toenke Berkelbach è citato sia per il suo saggio Het Trio Lescano del 2008, sia
per il radiodocumentario del 2004, mentre di Alessandro Forlani è citato un
documento trasmesso nel 2008 da GR Parlamento;
- tra i periodici, il Canzoniere della Radio (1941), la Domenica del Corriere (19351943), Oggi (1939-1940), Omnibus (1937-1939), Radiocorriere (1936-1943 e 19471949), e Settegiorni (1942-1943);
- tra gli audiovisivi, il documentario di Boniotti-De Stefanis Tulip Time (2009).
E, naturalmente, sono citate – in quanto riportate quasi in ogni pagina del testo – le
interviste di Orlando, di Verre e della Aspesi a Sandra Lescano; i tanti ricordi di
Maria Bria, raccontati a non si sa chi, i pochi di Sante Franceschi e quelli di Isa
Bellini inzeppano i rari spazi vuoti.
Nei Ringraziamenti, quindi, figurano, come testimoni, la Bria, la Bellini, Angelina
Boetto, Michèle Kamps, Sante Franceschi, Piero Vacca Cavallotto, Emanuele Belleli,
Piero Nuti, Adriana Innocenti, più i soliti Aspesi, Verre e una certa Monica Sciolla;
come consulenti, Borgna, Giannelli, Berkelbach, Picciotto Fargion, Sarfatti e tale
Andrea Jacchìa, giornalista; come fornitori di documenti, Daniela Di Castro e vari
altri funzionari in Italia e in Olanda; sono stati scomodati, fra i tanti, anche il
Direttore del Carcere di Marassi (tanto per fargli dire che dalle sue parti non c’è
proprio un bel niente, per via delle alluvioni, degli incendi, ecc.), Walter Colombo,
direttore della RCS Periodici, addetti dell’Archivio di Stato di Roma (ce sarà annato
solo pe’ ffasse ‘na trasferta) e di Torino, e perfino (ciliegina sulla torta) un esperto
belga di storia circense! Alla fine c’è la sviolinata conclusiva «all’amico Maurizio
Zaccaro» per il sostegno e il lavoro comune.
I brani tratti dai documenti citati (riportati doverosamente con interlinea e paragrafi
più stretti) occupano il 53% del testo (sono un tipo preciso, fidatevi! Nei cantieri
siciliani dove ho lavorato la gente mi chiamava millimetro, perciò ribadisco: il
cinquantatre per cento).
Ho cominciato a leggere la prima, presuntuosa bugia sulla bandella rossa che fascia il
libretto (potrebbe entrarci poco Eschenazi e molto Einaudi): “La vera storia del Trio
Lescano, protagonista della fiction Rai Le ragazze dello swing”. Il sottotitolo mi
sembra, invece, azzeccato: Il Trio Lescano: una storia fra cronaca e costume.
Nella sua Introduzione l’Autore descrive uno spettacolino allestito, una sera del 2007,
nella scuola materna di Farigliano (CN), animato dalle tre ragazze del “Trio L’è
Strano”. Parlano Ernesto Billò e Gianni Borgna. Lo spettacolo pare sia stato replicato
con successo in tante altre località del Piemonte. Nel resto delle cinque pagine sono
descritti (piuttosto bene, devo ammettere che sono invoglianti) i motivi e i contenuti
del libro, accennando, nelle ultime dieci righe, alla fiction Rai: «...tra libro e film non
c’è sovrapposizione, ma completamento...» e altre blandizie.
Il primo capitolo Stelle del varietà e della radio si apre descrivendo, con le solite,
manierate note di costume, lo svolgersi di una fantasiosa festa alla presenza del
raffinatissimo Principe di Piemonte che balla sempre con loro tre... che contrasta con
l’ovvia rozzezza e volgarità dei gerarchi presenti... e cominciano a spuntare da tutte le
parti i soliti brani dell’intervista concessa da Sandra Lescano a Luciano Verre, più le
testimonianze di Isa Bellini sulla loro bravura, ma anche sulla loro mancanza di gusto
45
nel vestire e nel truccarsi; poi subentra un’analisi del contrasto tra la serietà del
momento storico e l’opportunità di far divertire il popolo bue, un referendum
condotto dal nostro prode Fulvio Palmieri sui gusti del pubblico, ecc., righe tratte da
testi umoristici del giovane Fellini, il tutto inframmezzato dal solito racconto sul
tenore di vita (la Balilla sotto casa, i vestiti negli armadi, ecc. ecc.) che le tre
olandesine conducevano. Viene riportato anche un articolo del ’41 di Sergio Valeri
sul Canzoniere della Radio. Tutte cose arcinote, ma di cui, in molti casi, abbiamo
dimostrato la totale infondatezza.
Il secondo capitolo Le radici olandesi prende lo spunto da Tulipan per ricordare gli
esordi olandesi e circensi, pescando a piene mani dalle interviste della Bria e di
Sandra, nonché da scritti di autori olandesi sulle locali condizioni di vita degli ebrei
durante la guerra.
Nel terzo capitolo L’Italia le adotta si raffrontano le interviste concesse a Orlando e a
Verre con quanto scritto da Sergio Valeri e quanto raccontato dallo storico Enzo
Giannelli sugli esordi delle Lescano e sul grande lavoro svolto con loro e sulle loro
voci dal M° Prato. Vengono citati scritti di Borgna, Giannelli, Berkelbach, ecc.
Segue Dagli altari alla polvere nell’Italia fascista e razzista nel quale Eschenazi cita
passi delle leggi razziali e documenti, relativi alle Lescano, che dichiara «esposti
nella Sala 5 del Museo Ebraico di Roma», mentre lì ce ne sono solo quattro: noi
sappiamo quali sono, mentre è evidente che diversi altri, acquisiti all’asta di
Christie’s, gli sono stati copiati e forniti in camera caritatis dalla sullodata sora
Daniela, alla faccia delle grandi cure e attenzioni per la conservazione del patrimonio
museale, sulle quali la stessa si è esibita, facendo al sottoscritto un duro predicozzo.
Tutto il resto è la più convenzionale e ricalcata delle storie sulle Lescano, che si rifà
pari pari alla famigerata – vera o presunta, comunque in gran parte inattendibile –
intervista della Aspesi. Compresa la storiella dell’arresto al cinema Grattacielo, con
quel che segue. Eschenazi, questa autentica panzana, se la beve pari pari e riporta
quel che sanno tutti, non gli passa manco p’a capa di avanzare dubbi né, tanto meno,
di documentarsi meglio. Troppa fatica farlo. Stessa cosa per quanto riguarda
l’adesione al PNF: all’Archivio di Stato, se c’è andato davvero, come dichiara, s’è
fatto ‘na pennichella dopo aver pranzato da Corsetti all’EUR.
Da questo punto in poi non vale la pena che aggiunga altro. I capitoli successivi,
infatti, non dicono niente di nuovo: Il mistero della scomparsa (che si rifà al
documentario Tulip Time e ad un articolo di Piero Vacca Cavallotto apparso nel 2008
sul periodico storico piemontese Canavéis), Altri casi Lescano (nel quale si parla del
tristissimo caso di Giuseppe Funaro e di quello più fortunato di Vittorio Belleli), Il
Trio emigra, ma non è più lo stesso e L’ultima Lescano (soliti brani delle tre
interviste a Sandra Lescano e ricordi di Maria Bria)».
Osservazione finale del Curatore del sito – Non c’è da stupirsi che Gabriele
Eschenazi non ci citi nella Nota bibliografica. Se lo avesse fatto, non avrebbe potuto
ignorare, come è avvenuto, i risultati delle nostre ricerche, di cui abbiamo
ampiamente riferito nelle Notizie (il relativo Archivio è accessibile a chiunque). Di
conseguenza avrebbe anche dovuto scrivere un libro completamente diverso, solo che
non tutti hanno la capacità di mettere in discussione le proprie convinzioni e/o
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conoscenze, quando altri dimostrano loro, prove alla mano, che sono erronee. Se
Eschenazi lo avesse fatto, però, la qualifica di vera applicata alla sua storia delle
Lescano non avrebbe avuto, come ha ora, il sapore della beffa, perpetrata ai danni di
lettori.
♦ Manuel: «Ho dato un’occhiata al libro Le regine dello swing. Non sono così esperto
da poter dare un giudizio sulla veridicità delle notizie che contiene, anche perchè non
ho ancora avuto il piacere di leggere tutto quello che avete raccolto voi in questi anni.
Ma una cosa è certa: qualsiasi biografia che si rispetti, tra l’altro riguardante ben tre
sorelle, non può esaursi in 60 paginette scarse, oltretutto di ridotte dimensioni. È più
che evidente che il libretto è una trovata commerciale (e l’autore stesso ricorda che
esso è praticamente complementare alla serie TV), di scarso valore scientifico, storico
e culturale. Ho letto qualcosina molto velocemente, quanto basta per capire che dal
libro emerge una sorta di esegesi anti-fascista, spesso forzata (si insiste sulla solita
solfa dello swing che il regime vietava, ecc.). Essa è forse dovuta al fatto che l’autore
si è occupato in passato di cultura ebraica.
Tuttavia mi piace intravedere il lato positivo di tutto questo: il grande pubblico si
(ri)avvicinerà al Trio Lescano e i più curiosi che vorranno saperne di più riusciranno,
approfondendo l’argomento, ad andare oltre la superficialità del libro (e
probabilmente anche della serie TV)».
◙ Altra mail di Manuel: «Sono stato alla Discoteca di Stato. I dischi con incisioni di
Norma Bruni conservati colà sono pochissimi, e quasi tutti in restauro: tuttavia sono
riuscito a farmi fissare un appuntamento per l’ascolto di Ti lascio un fiore / C’è una
casetta.
La cosa interessante della DdS, però, è che contiene una delle poche postazioni per la
consultazione on-line delle ricchissime Teche Rai: ho avuto solo il tempo di cercare
materiale su Norma Bruni. C’erano anche due foto che vi allego, non so se le avete
mai viste prima: sono a bassa definizione, ma, se vi interessano, chiedo come fare per
averne una riproduzione a definizione ottimale. Solo la foto di Norma con gli occhiali
(un modello che, tra l’altro, è tornato oggi in voga!) ha una data: 1955.
Si possono vedere anche i vari sceneggiati in cui ha fatto più che altro la comparsa:
l’unico degno di nota è Il mio bar del 1971, quello in cui canta Nebbia (il cui
spezzone si può vedere su YouTube, privo però delle poche battute che Norma recita
prima e dopo la canzone). Ho letto nelle vostre Notizie che quella fu la sua ultima
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apparizione in TV e dicevate che fosse degli ultimi anni Sessanta: sono quindi lieto di
correggervi, dandovi questa data precisa».
Complimenti al giovane Manuel che, entrato da poco nella nostra squadra di
collaboratori, si sta già mettendo in luce per il suo entusiasmo, accompagnato dal più
proficuo attivismo. Ci aspettiamo tutti grandi cose da lui!
◙ Mail di Paolo: «Giorni fa, ho scritto la seguente mail al Jewish Historical Museum
di Amsterdam:
«Dear Sirs, I’m taking informations on De Leeuwe family, because I’m a researcher
for an italian site of music, http://www.trio-lescano.it/. As you probably know, Trio
Lescano was a Dutch origin trio (Alexandra, Judith and Kitty Leschan), daughters of
Alexander Leschan and Eva De Leeuwe; the latter was a sister of Aaron De Leeuwe
we’re talking about.
Now, I am informed that Aaron and his wife committed suicide to escape the nazi:
would it be possible to have a look at the letter NIOD, Records Joodse Raad, box
36d, letter dd. 23, September 1942?
I ask you this because in Italy they are going to broadcast a fiction concerning the
history of the Trio, Le Ragazze dello Swing [The Swing Girls], in which, among other
big errors, it is said that Eva and her brother Aaron escaped in 1943 on the mountains
in Italy, to run from fascist persecution. This is false and unrespectful, and I should
like to support this statement with some document. Could you help me please? Best
regards, etc.».
Ed ecco cosa gli ha risposto Daniël M. Metz, Coördinator Digitaal Monument Joodse
Gemeenschap in Nederland, Joods Historisch Museum / Jewish Historical Museum
(il suo nominativo è stato subito da noi inserito nella pagina dei Ringraziamenti):
«Thank you for your message to the Digital Monument. In our records I found the
following information: Alexander Leschan died in […] 1945. I am not sure whether
he was Jewish. According to some sources he was baptized at birth. He therefore
does not appear on our website. On Eva de Leeuwe I found a record card at the The
Hague Archives (see attachment). I hav’ent found any information on her
whereabouts during the war.
Aaron de Leeuwe and his wife both died in Amsterdam on 20 September 1942: see
the webpage http://www.joodsmonument.nl/person/559903. This probably indicates
that they did commit suicide. For your question about the Niod Archives you can
contact the website http://www.niod.nl/».
Dunque è del tutto evidente che, fra le tante fandonie inventate di sana pianta per
riscrivere la storia delle Lescano (al fine, ci viene spiegato, di evocarla…), c’è anche
quella della fuga in montagna, nel ’43, di Eva, la loro madre ebrea. Lo avrebbe fatto
in compagnia di un suo fratello, il quale però si era suicidato l’anno prima ad
Amsterdam. Mica male, vero?
Quanto al documento cortesemente inviatoci dal sig. Metz si tratta dello Stato di
Famiglia di Alexander Leschan; non è datato, ma sicuramente è posteriore al
Novembre 1919, dato che tutte e tre le figlie vi sono registrate.
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◙ Mail di Roby: «Ho ascoltato con attenzione le incisioni proposte sul sito del “Trio
Marrano”, e trovo che sono veramente meravigliose. Quella che mi ha colpito di più è
stata Ba… ba… baciami piccina, veramente elettrizzante e piena di Swing, con la S
maiuscola! Questa incisione è stata riproposta in moltissime versioni e da moltissimi
cantanti, ma una cosi, non l’avevo mai sentita prima. Risalta subito che hanno
rivisitato l’arrangiamento e parte del testo, ma in modo saggio e di grande effetto,
così da conferire all’incisione una straordinaria freschezza e vitalità. La scelta di un
trio misto mi sembra anch’essa un’idea vincente, musicalmente parlando, perché
trasmette alle canzoni da loro incise un marchio inconfondibile, che le distingue dai
tanti altri trii che stanno riproponendo, con esiti diversi, lo stile delle Lescano.
Auguro dunque a questo Trio un grande successo, che sono sicuro non si farà
attendere, vista la loro bravura.
Infine guardate un po’ questo video [http://www.youtube.com/watch?v=OHK6BnoEioY&NR=1]:
se si osserva attentamente si noterà che quella che canta sulla destra è proprio una
delle tre attrici del film Le ragazze dello Swing! Io non avevo mai fatto caso che Elise
Schaap avesse partecipato alla rappresentazione teatrale De meisjes van Mussolini,
che, come già commentato nelle Notizie di qualche tempo fa, è stata una pagliacciata,
realizzata purtroppo da gente priva di gusto e di cultura a spese delle povere Lescano.
Guardare, per credere, il video http://www.youtube.com/watch?v=gJERBiZj5uE&feature=related».
17 Settembre 2010
◙ Continuano a giungere le reazioni, dirette o indirette, al libro di Gabriele
Eschenazi. Eccone altre tre:
♦ Franco C.: «Amici, vi segnalo un articolo apparso su La Stampa, dedicato al libro
di Eschenazi (che non ho ancora visto). Esso offre qualche “perla”, secondo me
fantastica. Infatti per l’autrice del pezzo, Elena Loewenthal, le Lescano vengono
“lanciate” come trio in quanto “...il collettivismo spinto del Regime, che esige masse
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d’urto e ha diffidenza d’ogni protagonismo che non sia quello del duce, non vuole
voci soliste”. Con buona pace di Rabagliati, Boccaccini, Montanari e compagnia
cantante.
Oppure, leggiamo che Pippo non lo sa non piacque al Regime perché “...sembrava
scritta apposta per il gerarca Achille Starace” (chissà perché Starace, poi?). Forse la
giornalista confonde Starace con Costanzo Ciano, cui qualcuno affermò alludesse
Maramao perché sei morto?
Ignoravamo poi che le Lescano – per la loro origine ebrea – avessero ottenuto dalle
autorità “uno status speciale [...] per continuare a cantare”. La Loewenthal si riferisce
forse alla tessera del PNF? Essa dimentica però – o più verosimilmente ignora – che
le Lescano chiesero e ottennero detta tessera solo nel 1942, a quattro anni dal varo
delle infami leggi razziali.
Del fantomatico arresto a Genova si parla, ma almeno ci vengono risparmiate le
funzioni di interprete, che le Lescano avrebbero svolto nel carcere di Marassi. Vorrei
ricordare alla giornalista che non c’è la ben che minima prova che tali fatti siano
realmente accaduti: ci sono solo le dichiarazioni che un’altra giornalista, Natalia
Aspesi, ha “messo in bocca” all’anziana e malata Sandra Lescano, seguita poi a ruota
da altri giornalisti o sedicenti tali.
Nell’articolo viene riportata una sola frase virgolettata di Eschenazi, il quale
alludendo all’italico jazz delle Lescano afferma: “non si può importare [lo swing
americano] ma si può imitare”, come se in Italia fossimo stati costretti ad inventare
un nuovo genere. Mi permetto di sottolineare che le Lescano iniziarono a cantare nel
1935-1936, cioè ben prima dello scoppio della guerra e che tutta la filmografia
americana (dai western alle commedie), venne regolarmente proiettata qui da noi
anche a guerra iniziata (basta vedere i giornali dell’epoca, se non è uno sforzo troppo
grande per certi intellettuali nostrani).
Infine, il jazzista Carlo Loffredo, in una telefonata che gli feci qualche tempo fa,
negò, in maniera risoluta, che durante il Fascismo vi fossero divieti di suonare questa
o quella musica americana, tanto che egli, in piena guerra, durante uno spettacolo a
favore dei feriti, si esibì (mi sembra al teatro Quattro Fontane di Roma), su invito
della federazione romana del PNF, ricevuto con una lettera che ancora conserva.
Mi pare che ce ne sia abbastanza per farsi un’idea del grado di “preparazione” che
hanno certi giornalisti, anche di quotidiani (un tempo) prestigiosi come La Stampa».
Vito, dal canto suo, ci segnala che l’articolo di cui parla Franco si può leggere in rete
all’indirizzo: http://www3.lastampa.it/libri/sezioni/news/articolo/lstp/327152/.
♦ Massimo B.: «Ho dato un’occhiata al libro di Eschenazi, trovandolo a dir poco
pressappochista e scontato, ovvero pieno di luoghi comuni e leggende metropolitane,
ormai abbondantemente disquisite e smentite, soprattutto per merito del grande
lavoro di ricerca seria svolto dall’équipe del sito. Dunque perché non avvalersene “in
chiaro”, citandone l’uso e la fonte, invece di rubacchiare qua e là (e pure male)...
Solite cose all’italiana... che è persino meglio non commentare.
La faciloneria e la disinformazione, ogni volta che ci si avvicina a quel periodo
storico, sono qualcosa di drammatico. Basta (anche senza aspettare la fiction di Rai
Uno) dare una sbirciatina ad altri recenti “capolavori” di casa Mediaset, tipo l’ultimo
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con la Arcuri e Garko, per rendersi conto di come la conoscenza da parte degli autori
degli usi e costumi di quell’epoca sia a dir poco... da fumetto: radio fuori epoca, auto
fuori periodo e persino abiti e acconciature discutibili sono all’ordine del giorno...
Scandaloso se rapportiamo il nostro modo di operare a quello degli americani (che in
questo sono da ammirare): essi hanno per la meticolosa preservazione della loro
cultura una forma di attenzione quasi maniacale.
Quando poi si parla di musica leggera, si retrocede da noi in serie B o C, come se
essa fosse qualcosa che non ci riguarda in quanto espressione della cultura nazionale,
un mero prodotto di consumo, insomma, da usare e gettare. Non ci rendiamo conto
che la storia di una nazione va considerata nella propria globalità, cosicché, per
esempio, il “fenomeno Lescano” è qualcosa di più che un insieme di
canzonette, perché attraverso la loro vicenda artistica sono passate milioni di altre
vicende umane: storie, passioni, avvenimenti e mode che hanno segnato
indiscutibilmente l’evolversi del nostro paese. Passato remoto che non è possibile
ritrovare sui libri di storia e che dunque andrà irrimediabilmente perduto se nessuno,
ognuno per il proprio settore, farà qualcosa per preservarlo correttamente e
tramandarlo.
Ecco perché, quando si parla di quel periodo, come nel volumetto di Eschenazi o
nella fiction sulle nostre amate sorelle, NON DOVREBBERO ESSERE AMMESSE
CIALTRONERIE!».
♦ Alexander mensor: «Padre Dante, salvaci tu! [...] L’imminente messa in onda della
fiction Le ragazze dello swing, così come la circolazione, speriamo limitata, del
libercolo Le regine dello swing (ma alla Einaudi si saranno resi conto di quanto
nuocerà alla loro reputazione l’aver pubblicato una schifezza del genere?), contribuirà
a travasare e radicare nella testa di qualche centinaio di lettori sprovveduti e ahinoi
diversi milioni di telespettatori inebetiti, tutte le inesattezze, le mezze verità, le
clamorose bugie (ricopiate e riscritte tali e quali) che saranno, una volta di
più, digerite e metabolizzate talmente bene che diventerà sempre più difficile, se non
impossibile, sradicarle. A differenza del troppo indulgente Manuel, non vedo
nessun “lato positivo” in questa triste faccenda, vedo solo gli effetti della mancanza
di onestà.
Qual è ’l geomètra che tutto s’affige
per misurar lo cerchio, e non ritrova,
pensando, quel principio ond’elli indige,
[…]
Dante, La Divina Commedia, Paradiso, Canto XXXIII, vv. 133-135.
◙ Mail di Roby: «Quando facevo la quarta elementare, mio padre mi fece ascoltare
un’incisione delle sorelle Lescano, precisamente La famiglia canterina, e ricordo che
rimasi folgorato dalle loro voci: fu veramente per me il classico “colpo di
fulmine”. Prima di quel momento non le avevo mai sentite, non conoscevo neanche il
loro nome, come erano fatte, la loro storia; capii però immediatamente che erano
bravissime.
Ora ciò che mi preoccupa maggiormente del film sulle Lescano, Le ragazze dello
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swing, è che le attrici, quando cantano, sono doppiate dalle Blue Dolls. A mio avviso,
questo trio non ha capito un granché di quel periodo e ha ben poco in comune con le
Lescano. Lo affermo perché usano lo stile anni ’50, periodo, musicalmente
parlando, molto più “a buon mercato” degli anni ’40: lo si nota dal microfono che
usano e da altri particolari. Inoltre il fatto che abbiano scelto un nome inglese mi fa
ancor più pensare che, in realtà, non abbiano voluto cimentarsi più di tanto con gli
anni ’40 italiani. Sinceramente non mi divertono quando cantando in televisione
Tulipan, usando ognuna un microfono, stando metri distanti l’una dall’altra e
sventolando dei finti tulipani con la speranza di far colpo sulla gente
[http://www.youtube.com/watch?v=BnCJ3-thAJY]. Secondo me le Blue Dolls non
fanno rivivere le Lescano, ma ne propongono la parodia, e mi vien da ridere quando,
in televisione [http://www.youtube.com/watch?v=0vDeRo3biIo], sono presentate con
enfasi come «la reincarnazione delle Lescano».
Mi auguro comunque che per il film Le ragazze dello swing le Blue Dolls si siano
evolute, rinunciando, almeno in questa occasione, ad evocare le Lescano con alle
spalle solamente un pianoforte, una chitarra elettrica e un basso!».
18 Settembre 2010
◙ Manuel, proseguendo le sue ricerche su Norma Bruni, ha potuto visionare il Tom
Jones televisivo (sul quale si veda la pagina http://www.imdb.com/title/tt1309550/fullcredits#cast).
In esso l’ormai ex-cantante ha avuto una particina, nel ruolo di una cuoca. Eccola
appunto in tali panni:
All’inizio, Manuel stentava a riconoscerla ma poi il nostro bravo collaboratore non ha
avuto dubbi quando «ad un certo punto, la Bruni si è girata di profilo, mostrando la
famosa gobbettina sul naso». Nella foto si intravede anche, sulla guancia sinistra,
l’altrettanto famoso neo.
◙ Ci scrive il signor Isacco B., verosimilmente un israelita (il cognome in chiaro
lascia pochi dubbi al riguardo). Egli ci rimprovera, con garbo ma anche con estrema
durezza, di aver «denigrato senza validi motivi l’insigne studioso e saggista Gabriele
Eschenazi e la valente giornalista Elena Loewenthal, che lavora per uno dei
quotidiani più prestigiosi d’Italia». A suo dire le critiche che abbiamo loro rivolte in
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questa sede sarebbero in malafede, in quanto appoggiate su argomentazioni speciose,
prive di qualsiasi consistenza. E siccome «entrambi i professionisti da noi
ingiustamente attaccati sono ebrei» il signor Isacco si spinge fino a tacciarci, neanche
tanto velatamente, di antisemitismo.
A quest’ultima accusa non mette conto rispondere, tanto è ridicola: nessuno di noi
alberga nel proprio animo sentimenti del genere, che giudichiamo tra i più degradanti
che si possano immaginare, né nutre la ben che minima simpatia per chiunque li
abbia coltivati in passato o, purtroppo, continui a coltivarli ancor oggi. A quell’altra
rampogna, invece, di aver attaccato gratuitamente «l’insigne studioso e saggista» e
«la valente giornalista», rispondiamo così:
1) Il libretto di Gabriele Eschenazi non ci piace a motivo del fatto che contiene non
solo molte inesattezze, imperdonabili perché dovute a trascuratezza, ma anche troppe
notizie false o di dubbia veridicità, spacciate per vere dall’Autore con sconcertante
disinvoltura. Su tutto ciò entreremo presto in maggiori dettagli.
2) È per noi un’aggravante che l’Autore abbia desunto dette notizie false da quattro
articoli preesistenti (rispettivamente di Orlando, Aspesi, Verre e Berkelbach), che le
nostre approfondite ricerche (i cui risultati sono accessibili a chiunque attraverso
l’Archivio delle Notizie) hanno dimostrato, prove alla mano, essere in larga misura
inattendibili. Un biografo serio ha, secondo noi, l’obbligo morale e deontologico,
prima di avvalorare un’informazione o un fatto, di sottoporli a rigoroso vaglio critico.
E questo indipendentemente dalla sua fede religiosa o le sue convinzioni politiche.
3) Alla giornalista Elena Loewenthal, di cui non mettiamo in dubbio il valore,
rimproveriamo di non avere, almeno in questa occasione, fatto lo stesso recensendo il
libro. Né possiamo scusarla perché non ha dimestichezza con la materia: nessuno –
crediamo – è obbligato a recensire un’opera che tratti di argomenti che gli siano
ignoti o quasi; ma se proprio deve farlo, cerchi almeno di documentarsi bene prima di
mettere nero su bianco. Così fa, o dovrebbe fare, ogni «valente» professionista.
19 Settembre 2010
◙ Altre reazioni al libro di Gabriele Eschenazi, Le regine dello swing.
♦ Virgilio: «La risposta del Curatore del sito al signor Isacco B. è misurata e
ineccepibile. Se mi è permesso, vorrei rispondergli anch’io pubblicamente.
“Gentile signor Isacco B.,
ho letto delle sue osservazioni circa libro e articolo sulle Lescano e i brani della sua
lettera riportati tra virgolette dal Curatore del sito, e perdoni, ma mi sono sentito in
dovere di risponderle. Lei sostiene, «con garbo ma anche con estrema durezza», che i
collaboratori del sito, hanno «denigrato senza validi motivi l’insigne studioso e
saggista Gabriele Eschenazi e la valente giornalista Elena Loewenthal, che lavora per
uno dei quotidiani più prestigiosi d’Italia», insinuando – mi pare – il sospetto
che tutto ciò sia dovuto a malafede, insomma, a sotteso antisemitismo. Devo anzitutto
chiarirle: non sono ebreo ma sono tutt’altro che antisemita, sono una persona che
riconosce i diritti di ognuno e si sforza di guardare gli altri senza il velo dei
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pregiudizi. Dunque, per amore della Verità che dev’essere la prima norma di ogni
legge morale, le dico:
1) Gabriele Eschenazi è tutt’altro che un «insigne» e, purtroppo, ha ancor meno
autorevolezza per poter essere definito «studioso». A meno che, per lei, lo studioso
non sia una persona che confeziona libri facendo copy and paste di quel che hanno
scritto gli altri, senza preoccuparsi di effettuare quel minimo di verifica sulle notizie
che compirebbe qualsiasi persona onesta. Egli ha infarcito il suo opuscolo (un libro di
100 pagine così raffazzonato non può essere definito altrimenti) di una tale serie di
imprecisioni, inesattezze e conclamate falsità che c’è da mettersi le mani nei capelli
(io non lo faccio, solo perché purtroppo ne sono carente). Ma quello che è peggio, e
che cancella di colpo ogni sua credibilità, è il fatto che lui conosceva benissimo
l’infondatezza di certe notizie, evidenziata da questo sito con dovizia di prove fin dal
giorno della sua apertura, ovvero dal 2008: lo sapeva, ma ha fatto orecchie da
mercante.
Guardi, non mi riferisco a questioni vaghe e inaccertate. Pensi solo alla faccenda
dell’arresto e detenzione genovese delle tre sorelle olandesi: una colossale balla
inventata verosimilmente dalla stessa Alessandra Lescano, certo col concorso di chi
l’ha intervistata. La prova certa che un tale fatto non è mai avvenuto? L’attività
ininterrotta del Trio Lescano a Genova, riportata passo passo sui giornali, anche
quando – tra il Settembre e il Dicembre del ’43 – il comando tedesco impose il
bavaglio ai quotidiani locali. Queste cose Eschenazi le sapeva benissimo, e se non le
sapeva poteva documentarsi (gli archivi sono lì, a disposizione di tutti); lui invece
cos’ha fatto? Ha tirato in ballo il direttore delle carceri di Marassi, la guerra, i
bombardamenti, i documenti carcerari perduti... Semplicemente indecoroso.
Quanto alla signora Loewenthal, non è certo colpa nostra se riporta imprecisioni (e
altre ne aggiunge di suo) senza imporsi il minimo scrupolo di verifica: l’abbiccì che
s’impartisce ai giornalisti sulle notizie (dovrebbe saperlo anche lei) è di soddisfare,
nello scrivere, a queste domande: chi, come, dove, quando e perché. Ora, si legga
l’articolo della signora e mi dica onestamente se queste domande hanno trovato tutte
degna risposta. Ciò è professionalmente ben poco etico, e l’aggravante è che la
signora Loewenthal non scrive sul Gazzettino della Parrocchia di Putipù ma
su quello che personalmente considero il miglior giornale italiano, La Stampa.
2) Ieri, nel leggere l’articolo della signora Loewenthal, avevo inarcato «di stupor le
ciglia» (direbbe il Cavalier Marino) per quel che vi è scritto, ma non mi era certo
venuto in mente che il cognome della giornalista ne denunci l’origine israelita. A
questo punto, gentile signor Isacco B., vorrei farle (nel pieno rispetto e stima per il
suo credo religioso) una domanda, fidando nella sua onestà intellettuale di cui non
dubito: non sarà che Gabriele Eschenazi ed Eva Loewenthal siano ai suoi occhi, l’uno
un «insigne studioso e saggista» l’altra una «valente giornalista» solo a motivo dei
loro cognomi? Perché se così fosse, sarebbe davvero ben triste.
Cordiali saluti, ecc.”».
♦ Alessandro: «Ho appena finito di leggere il libro di Gabriele Eschenazi, Le regine
dello swing ed ecco le mie impressioni. Premetto che ho fatto una lettura molto
attenta, appuntandomi subito gli errori o le contraddizioni che vi ho riscontrato, e
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rileggendo alcuni passi più d’una volta. Nessuno mi potrà quindi accusare di dare
giudizi affrettati o superficiali!
In generale posso dire che il volume contiene qualche notizia interessante (magari da
approfondire!); tuttavia l’Autore si limita a riportare, quasi integralmente, anche se
spezzate, le tre famose interviste (Vito, Aspesi e Verre) rilasciate da Sandra Lescano,
alcune dichiarazioni di storici della canzone, colleghi o conoscenti delle Lescano e
qualche frase tratta dagli ultimi documentari incentrati sulle Lescano. Il resto – e per
“resto” intendo più d’un quarto del libro – parla delle leggi razziali, di casi di ebrei
simili a quello delle Lescano, della storia dei De Leeuwe d’Olanda e di altre cose che
con il nostro Trio non hanno molto a che vedere.
In ogni modo ho preparato un’analisi capitolo per capitolo, in modo da esaltarne i
pregi e da discuterne i difetti:
Capitolo 1 - L’Autore presenta al lettore il Trio Lescano, descrivendolo durante il
periodo di maggiore popolarità. Come capitolo non è niente di che e non riporta
notizie inedite o di particolare interesse. Dopo poche righe si ha il primo di una lunga
serie di attacchi al Regime: i gerarchi fascisti vengono infatti descritti come persone
che durante le feste da ballo si concedono “gesti volgari, derisioni”. Il lettore capirà
scorrendo il libro che l’Autore non perde la minima occasione per attaccare il
Fascismo anche laddove l’attacco appare inutile e forzato. Per carità, non che dovesse
esaltarne i pregi, nessuno gli chiederebbe mai questo (anche perché di pregi il
Fascismo non ne ha), ma nemmeno ogni due pagine ribadire le solite cose. Il troppo
stroppia. Ed infatti a pagina 5, descrivendo il rigido controllo del Minculpop
sull’EIAR e sulle canzoni, l’Autore afferma che: “dell’accresciuta importanza che il
Regime dà alla musica ne fanno le spese i compositori italiani, sottoposti a un rigido
controllo e istigati a mettere la loro opera al servizio del patriottismo”. Ora dire che
gli autori italiani erano addirittura istigati a scrivere canzoni che esaltassero la Patria
mi sembra quantomeno esagerato. Coloro che scrissero canzoni patriottiche o di
Regime, furono per lo più autori vicini ad esso o alle sue ideologie: basti citare Mario
Ruccione (1908-69), autore di Faccetta nera, La sagra di Giarabub, Camerata
Richard, La canzone dei sommergibili, Spagnolita, Camicia nera, Tacete! (giusto per
ricordarne alcuni). Ruccione era in rapporti diretti con Mussolini e fu un convinto
sostenitore della politica fascista, soprattutto quella autarchica, tanto da farsi
promotore, nell’immediato dopoguerra, del Fronte Nazionale per la Difesa della
Canzone Italiana contro l’invadenza della musica straniera nei programmi RAI; non
c’è da stupirsi se l’unica canzone di cui compose anche le parole (delle altre era solito
comporre solo la musica), E la barca tornò sola, allude a una colpevole “bionda
forestiera” che, secondo gli storici della canzone, sarebbe una reminiscenza
tipicamente ruccioniana della Perfida Albione e delle sue sanzioni contro l’Italia.
Alberto Simeoni (1891-1943), che in molte delle canzoni riportate qui sopra, affianca
la firma di Ruccione, era un giornalista che allo scoppio della guerra si arruolò
volontario. Evidentemente anche lui credeva nel Regime tanto da esaltarne i pregi
tramite le canzoni. Eldo Di Lazzaro (1902-1968), scrisse invece canzoni considerate
oggi di stampo tipicamente fascista, poiché esaltavano le bellezze della Patria e i
privilegi della vita contadina (“Fare il contadino è un Onore”): Reginella
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campagnola, Rosabella del Molise, Siciliana bruna, La romanina, Pastorella
abruzzese ne sono l’esempio. Tuttavia, se si scorre tutta la produzione di Di Lazzaro,
ci si rende subito conto che tutte le sue composizioni inneggiano alla vita campestre,
alla natura e alle bellezze dell’Italia: La mogliera, Il passerotto, Io ti porto nel mio
cuore, tutte composte nel dopoguerra, ne sono l’esempio. Insomma ogni autore
scriveva ciò che gli era più consono scrivere (ovviamente sempre nei limiti previsti);
non mi risulta che Panzeri o Mascheroni abbiano mai scritto una canzone di Regime,
né furono mai istigati a farlo. Si creò questo filone e alcuni autori seppero sfruttarlo.
Ad essere invece in qualche modo istigati furono, a mio avviso, i cantanti che si
trovarono costretti a interpretare canzoni di propaganda (vedi Montanari, Boccaccini,
Carboni, ecc.) senza potersi rifiutare.
Il resto del capitolo ripropone per l’ennesima volta la storia delle mille lire al giorno
versate dall’EIAR e un’intervista di Isa Bellini che si ricorda tutto delle Lescano: da
come si vestivano a come si truccavano (malissimo secondo lei). Peccato che affermi
che ha inciso assieme al Trio le canzoni Quando il gallo canterà, Suona la
trombettina e Quando passano i battaglioni. In realtà, solo l’ultima di queste tre
canzoni l’ha incisa con le Lescano (oltre a Sfilano i battaglioni, non menzionata). Il
tutto fa pensare che la Bellini avrebbe potuto affermare di aver cantato anche 100
canzoni con il Trio, senza un minimo controllo da parte dell’Autore.
Capitolo 2 - Esso è dedicato alle origini delle Lescano; interessante appare soprattutto
la storia di Alexander Leschan, che è descritta meticolosamente ma solleva parecchi
dubbi. Si fa riferimento alle sorellastre delle Lescano, Diana e Marie Françoise;
tuttavia, a pag. 16, si dice che “Marie Françoise, fin da bambina dà spettacolo con le
due piccole sorellastre Rosine e Jeanette”. Ma chi sono Rosine e Jeanette? Sono forse
figlie della prima compagna di Alexander Leschan? Non ci è dato saperlo: qui
appaiono e qui si fermano. A pag. 18 Eschenazi invece ci informa che le Lescano
“nei teatri uniranno alle loro capacità vocali accenni di danza molto apprezzati dal
pubblico”. Anche questa informazione però, non molto credibile, rimane isolata e non
supportata da alcun riferimento alle fonti. Il resto del capitolo si perde parlando dei
De Leeuwe d’Olanda e della loro storia (4 pagine su 9 totali).
Capitolo 3 - Tratta dell’arrivo delle Lescano in Italia e del loro debutto davanti ai
microfoni. Niente di interessante. Le solite informazioni già risapute, a metà fra verità
e leggenda. Iniziando il capitolo l’Autore ci informa che negli anni Trenta la musica
leggera in Italia era più importata che prodotta. Se con questo discorso vuole alludere
al fatto che la musica italiana era poco esportata, ne prendo atto e gli do ragione. Se
invece allude al fatto che in Italia la musica leggera era poco prodotta (ovvero scarsa
produzione di canzoni) forse è bene che Eschenazi si riguardi un po’ di storia della
canzone, dato che a partire dalla fine della Prima Guerra Mondiale, innumerevoli
autori italiani scrissero tantissimi motivi, alcuni rimasti nella memoria (Vipera, 1919,
Come pioveva, 1919, Creola, 1925, Miniera, 1927, Tango delle capinere, 1928, ecc.),
altri destinati purtroppo a scomparire (Ninnolo, 1920, Leggenda rossa, 1925, ecc.). A
pagina 28 si apprende invece che le Lescano “apprendono i ritmi, li assecondano e li
interpretano senza conoscere una nota” (!). Appare molto strano che il Maestro Prato,
durante i mesi di preparazione delle tre sorelle, non abbia insegnato loro nemmeno le
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basi minime del solfeggio. Viene narrato inoltre che per meglio apprendere “la
musicalità italiana e la padronanza della lingua” vengono mandate a Napoli, culla del
bel canto. Da cui: “Forse ispirato da questa esperienza napoletana il Trio inciderà nel
1942 una sua versione della canzone napoletana Oi Marì, Oi Marì”. Canzone che
Eschenazi non ha evidentemente mai ascoltato. Un minimo ascolto gli avrebbe infatti
permesso di rendersi conto che il brano inciso dalle Lescano, composto da Cosimo Di
Ceglie (e su un testo di Nisa in italiano, con solo qualche verso in napoletano!) non
ha nulla a che vedere con il capolavoro della canzone napoletana di Di Capua. Infine
apprendo a pagina 32 che lo storico Enzo Giannelli ignora (!) che il materiale della
Discoteca di Stato venne riordinato e catalogato da una commissione cui era a capo il
maestro Petralia, fustigatore delle canzonette: per questo alla DdS c’è poco materiale
riguardante la musica leggera.
Dal Canzoniere della Radio, n. 17, Giugno 1941, p. 16.
Capitolo 4 - Le vicissitudini delle Lescano dalla pubblicazione delle Leggi razziali al
fantomatico arresto al Grattacielo di Genova, sulla cui veridicità Eschenazi non ha
dubbi di sorta. L’unica cosa interessante è la testimonianza dell’attore Piero Nuti, il
quale ricorda che una sera del 1943, andò a vedere una rivista con le Lescano al
Grattacielo, ma esse, non si sa bene per quale motivo, non apparvero in scena. La
dichiarazione sarebbe ancora più interessante se Nuti non si fosse lasciato andare a
un: “Ricordo comunque che nei giorni successivi le Lescano sparirono da radio e
teatri”. Egli dimentica (o ignora) che Lescano erano già scomparse dalla Radio alla
fine del 1942, con il bombardamento di Torino. Vi è inoltre, all’inizio del capitolo,
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l’ennesimo attacco alla Censura Fascista, tanto da definire le canzoni della fronda
“una fissazione e un’idiozia del Fascismo”. La censura e la messa al bando di alcune
canzoni è continuata anche nel dopoguerra, quando la RAI divenne il tesoretto della
Democrazia Cristiana. Canzoni come L’onorevole Bricolle, L’uomo che voglio,
L’ombra, Tua, Nun è peccato caddero sotto la scure della censura democristiana, che
le ravvisava come immorali. Canzoni poi come Il tamburo della Banda d’Affori
erano, a mio avviso, volutamente ambigue: è credibile infatti che un paroliere come
Panzeri non potesse trovare un altro numero che andasse bene con la musica a
sostituire quel “550 pifferi”, ovvero quanti erano i membri componenti della Camera
dei Fasci? Vogliamo credere che in un periodo come quello (1942) non ci avesse
pensato?
Capitolo 5 - Narra il periodo durante il quale le Lescano si rifugiarono prima nel
Canavese e poi vicino a Saint Vincent. Il capitolo sarebbe davvero interessante, se
solo fosse più preciso e meglio documentato, in quanto affronta un tratto di storia
delle Lescano alquanto oscuro. Sono svolte abbastanza bene le interviste a coloro che
le ospitarono e le conobbero durante il periodo a Gallenca, tuttavia tutto il capitolo ha
un che di fiabesco, che risulta, ahimè, poco credibile. Si dice ad esempio che l’intero
paese sapeva della presenza delle Lescano, che in molti andavano a omaggiarle, che i
ragazzi le seguivano per farsi cantare un motivetto e altre cose simili: ma ci rendiamo
conto che siamo nel 1944, con le Lescano rifugiate in casa di amici, mentre tentano di
nascondere la madre ebrea? Sinceramente non mi sembra molto verosimile,
nonostante l’enorme popolarità delle Lescano, che la popolazione locale si esponesse
così tanto nei rapporti con loro, rischiando di passare dei seri guai, in carcere o
peggio ancora davanti ad un plotone d’esecuzione. In fondo stiamo
parlando di manifestare solidarietà a una famiglia che nascondeva un’ebrea, in un
periodo in cui le rappresaglie erano all’ordine del giorno, non so se mi
spiego. Ricordo che al Palazzaccio, una piccola frazione nel comune di Castelnuovo
Berardenga (Siena), vennero sterminate tutte le famiglie ivi residenti, perché una di
loro aveva nascosto imprudentemente un militare americano e perché le altre ne
erano probabilmente al corrente. Nell’eccidio perirono anche numerose donne e tre
bambini (il più piccolo di 4 mesi!). Interessante infine il passo in cui la signora
Boetto parla dei fidanzati delle tre sorelle, citandone, per quanto riguarda quello di
Caterinetta, nome, cognome, impiego e indirizzo. Peccato che l’Autore non si sia
servito di questa informazione per approfondire, nei capitoli successivi, gli anni di
vita torinese della minore delle Lescano. Peccato anche qui per alcuni errori o
contraddizioni che si sarebbero potute evitare: a pag. 65 Eschenazi ci informa che due
giorni dopo la fuga delle Lescano a Saint Vincent, la madre, rimasta a Gallenca,
riceve la visita delle Camicie (ma nel libro sono Camice!) Nere a caccia delle figlie.
Tutto questo dopo averci spiattellato per metà libro il fatto che le Lescano non erano
riconosciute ebree ma erano guardate a vista d’occhio per la condizione della madre,
ebrea pura, e che fecero numerosi sacrifici per nasconderla. Ora le Camicie Nere
scovano la madre e non le fanno niente perché cercano le figlie? La cosa appare del
tutto inverosimile. A pag. 66, invece, l’Autore, nel citare i vari trii formatisi “nel
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frattempo” sulla scia delle Lescano, vi inserisce il Trio Joyce, nato ben dieci anni
dopo (1955)!
Capitolo 6 - Altri casi simili alle Lescano: Funaro, Bellini e Belleli.
Capitolo 7 - Parla del periodo che le Lescano hanno passato in America Latina. Lo fa
attraverso la testimonianza di Maria Bria, la quale non perde occasione per etichettare
Sandra e Giuditta Lescano come due alcolizzate e per informarci dei fantastici
successi del nuovo Trio Lescano in giro per il Sud America. Successi che, a detta
della Bria, sarebbero continuati anche in Italia, dove alcuni spettacoli delle Lescano
vennero trasmessi anche dalla radio (ma quando mai, gentile signora Bria?!). Nel
repertorio del nuovo Trio c’erano canzoni interpretate in quattro lingue (e a volte,
perché no?, anche in sei), fra cui, quello di maggior eco fu Che serà interpretata in
inglese. Incredibile, vero? Proprio la famosa canzone lanciata da Doris Day col titolo
di Que será será nel 1956 e arrivata in Italia l’anno successivo grazie alle
interpretazioni di Carla Boni, Gloria Christian e Marisa Colomber! A meno che non
si tratti di Quien será un mambo messicano, noto in Italia come Chi sarà? Ma se si
trattasse di questo motivo, perché interpretarlo in inglese dato che la Bria afferma di
conoscere benissimo lo spagnolo, tanto da impartire lezioni alle due Lescano? E
ovviamente in Sud America alloggiano in alberghi di lusso e si spostano sempre in
aereo (dice la Bria...). Il tutto consentito dagli strepitosi guadagni, accumulati
spettacolo dopo spettacolo. Poi arriva il 1952, ottobre: la Bria rivendica i suoi soldi,
dato che non è mai stata pagata; Giuditta accusa il marito di Sandra, Nino Gallizio,
impresario del Trio, di aver rubato tutto; Sandra difende il marito e rimane con lui, in
miseria, arrangiandosi a fare la commessa in un supermercato e in una calzoleria. E
gli strepitosi guadagni, dove sono finiti? Mistero fitto.
Sia la Bria che Sante Franceschi, uno dei tre figliastri di Sandra, confermano che la
maggiore delle Lescano era sposata con Nino Gallizio e ne era rimasta vedova nel
1960 o giù di lì. Sandra quindi, nel corso della sua vita, avrebbe contratto due
matrimoni. Tuttavia negli atti ufficiali in nostro possesso, riguardanti il matrimonio di
Sandra con Guido Franceschi, non si fa alcuna menzione a un precedente matrimonio
di Sandra, né tantomeno si fa riferimento al suo status di vedova. L’Autore,
sicuramente in possesso di questi atti (spero), avrebbe quindi potuto svolgere qualche
ricerca in più, magari approfondendo la figura ambigua di Gallizio:
attore, controfigura di Macario prima e impresario poi, conobbe le Lescano nel 1942
durante il periodo rivistaiolo con la Osiris. Questo folle e morboso amore fra lui e
Sandra sarebbe però sbocciato successivamente, dato che all’epoca, come ci informa
la signora Boetto, Sandra era fidanzata con un marinaio che perì durante un
combattimento. Ma affermazioni ben più importanti vengono fatte nelle ultime
pagine del capitolo, sempre da Sante Franceschi (che, secondo vari testimoni,
detestava la matrigna e tutta la sua famiglia). Egli afferma che Giuditta si sposò e si
stabilì a Puerto Ordaz (nel libro divenuto Ortas) o a Puerto La Cruz; egli aggiunge,
inoltre, che non ha mai incontrato né Giuditta né tantomeno Caterinetta (ma allora
come faceva a sapere che Giuditta si sposò a Puerto Ordaz o La Cruz?); ci fa sapere,
infine, che nel 1965, due anni dopo il suo rientro in Italia, Sandra tornò, assieme al
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marito, per l’ultima volta in Venezuela; non ha mai saputo di un carteggio fra Sandra
e Giuditta.
A questo punto, se fossi stato incaricato io a scrivere il libro, avrei tratto delle prime
conclusioni:
- è molto strano che nel 1965 Sandra torni in Venezuela e non riveda nessuna delle
due sorelle (perlomeno Giuditta, dato che Caterinetta probabilmente sarà stata
morente o era già morta);
- è ancora più strano che Sandra e Giuditta non si rivedano, dal momento che, stando
a quanto raccontato da Sandra, nel 1965 esse avevano un fitto scambio epistolare.
Secondo Sante Franceschi, quindi, i rapporti tra le sorelle si sarebbero interrotti nel
1952. E del resto qualcosa di grave dev’essere certamente accaduto. Personalmente
sono convinto che non è stata la sola defezione della Bria a provocare la rottura del
Trio: le due Lescano avevano sostituito una componente una volta, potevano farlo
una seconda, no? Tuttavia appare poco credibile che Sante Franceschi non abbia mai
visto Giuditta, dato che, secondo il Consolato italiano a Caracas, le Lescano, verso il
1960, frequentavano assiduamente la pensione di Guido Franceschi. C’è in tutta
questa storia qualcosa che non torna. Tuttavia è abbastanza credibile che le due
sorelle abbiano continuato a frequentarsi fino alla partenza di Sandra per l’Italia; del
resto, tra le carte di Sandra, è stata trovata una foto che mostra una cinquantenne
Giuditta in compagnia di un uomo (forse il marito?). Se non si fossero più frequentate
o scritte, come faceva Sandra a possedere quell’immagine?
Capitolo 8 - La triste fine di Sandra. Nulla di interessante, tutte cose già risapute. Se
non altro, Eschenazi, che ha libero accesso agli archivi RAI, poteva recuperare la data
esatta dell’intervista di Carlo Loffredo a Sandra Lescano! Sono riuscito a saperla io,
che tale accesso non ho!».
20 Settembre 2010
◙ Mail di Walter: «Leggo con interesse le ultime notizie e i commenti su Le regine
dello swing testé pubblicato, ma per favore non chiedermi pareri! In effetti non ho
letto il libro e, cosa ancor più importante, non sono a conoscenza di tutte le scoperte e
i contributi che avete raccolto in questi anni, così da poter confermare o confutare
fatti e avvenimenti riportati nel volume. Posso solo dirvi che, a conti fatti, Eschenazi
e il suo editore sono semplicemente andati incontro ad una richiesta del mercato
attuale. Mancava una pubblicazione ad hoc sulle Lescano, in questo momento di
nuovo sulla cresta dell’onda, anche per via della miniserie targata Rai, ma quello che
serviva non era una biografia fatta a regola d’arte, opera di un vero specialista,
occorreva invece una bella storia romanzata, per cui voilà, ecco servito il polpettone,
confezionato con gli scarti, anche avariati, della dispensa e di formato tascabile per
maggiore digeribilità. D’altronde, non si può pretendere da chi si occupa di fiction un
approfondito studio di ricostruzione storico-scientifica, né la capacità di farlo: non si
dice forse sutor, ne ultra crepidam?
Oggi l’imperativo numero uno è far soldi, accontentando in tutto e per tutto il
popolino, ed è vano cercare una fiction televisiva che meriti una qualche
60
segnalazione per l’accuratezza delle ambientazioni, dei dialoghi e della
sceneggiatura. Tutto questo, in TV, è roba di una volta, inutile negarlo... Semmai ciò
che sorprende (e addolora) è constatare come una casa editrice, un tempo reputata per
l’estremo rigore di tutte le sue pubblicazioni, tanto che il famoso struzzo del suo
marchio era sinonimo di sicura qualità, si presti oggi ad operazioni così squallide:
anche questo è evidentemente un segno dei tempi!
Ma ora passo volentieri ad altro argomento. Ho ritrovato una versione di The Man I
Love [L’uomo che amo] della Martorana, ma non riesco a collocarla nel tempo.
Secondo voi è degli anni ’40 o ’50? Che faticaccia renderla ascoltabile! Ad ogni
modo si tratta dell’incisione di un’ottima cantante di quel periodo, una delle poche
ancora con noi e in gran forma: già questo fatto è di per sé un motivo di indiscutibile
interesse, oltre che di gioia per il ritrovamento.
Lidia Martorana (classe 1928), com’è oggi.
◙ Mail di Paolo: «Eccellenti collaboratori hanno già sviscerato il libercolo
malfamato. Mi limiterò ad alcune puntualizzazioni sul Jazz in Italia durante il
Regime.
Il primo segno di musica jazz nel nostro paese appare addirittura verso il 1917, con
l’arrivo delle truppe americane e delle loro orchestrine di musica sincopata. Musicisti
come Spina, Ortuso, Rizza iniziano timidamente a prodursi con piccoli complessi. Le
cose avanzano pian piano finché addirittura il 21 febbraio 1936, e siamo in piene
sanzioni, Levi e Testoni danno vita al “Circolo Jazz Hot”, scrivendo in seguito (1937)
il saggio Introduzione alla vera musica jazz, dedicato a Vittorio Mussolini che in quel
periodo era vicino all’ambiente jazzistico. Sempre nel 1937, alla vigilia del viaggio in
Libia, Mussolini stesso dichiarerà sorprendentemente al giornalista Webb Miller:
“Non vi stupirete se vi dico che non ho alcuna antipatia verso il jazz. Come ballabile
lo trovo divertente” (Grande enciclopedia del Jazz, Curcio, voce “Italia”).
Altri saggi a favore del jazz sono redatti da ottimi critici musicali, ad esempio
Massimo Soria nel 1936 esamina attentamente le differenze tra jazz sinfonico e jazz
autentico, tra swing e non swing nella pubblicazione Prolegomeni del Jazz. Renzo
Nissim, prima di fuggire in America a causa delle persecuzioni razziali, pubblica su
Scena illustrata un lungo articolo in difesa del jazz. Le cose poi cambiano, perché
61
Dino Alfieri sostituisce Ciano al Ministero della Stampa e Propaganda e la censura si
fa più rigorosa. Ciò non evita comunque che i dischi di jazz giungano dall’America in
ogni modo, soprattutto tramite le navi di linea della Società Italia. Le tracce, come già
detto da me altrove, si trovano negli arrangiamenti delle canzoni più insospettabili, da
Ba… ba… baciami piccina a Madonna malinconia, ove addirittura vengono clonati
interi passaggi orchestrali di Glenn Miller e Benny Goodman.
Lungi dal limitarsi a copiare dall’estero, le orchestre italiane producono eccellente
musica originale, superbamente orchestrata da geni quali Ferrari e Barzizza. Chi ha
visto il documentario Ecco la Radio del 1940 riveda l’ultima parte, in cui le orchestre
del momento eseguono il tema conduttore ciascuna secondo il suo stile, dallo swing
scattante di Barzizza all’ampollosità di Petralia (gran nemico delle canzonette).
Mi pare dunque chiaro che, durante il Ventennio, non ci fossero divieti aprioristici a
suonare il jazz in Italia. Mussolini stesso, violinista abbastanza evoluto, non poteva
non capirne il valore. Gli ostacoli vennero semmai sollevati da una censura cieca e
stupida, da un apparato burocratico composto da ignoranti (Mussolini stesso ebbe a
dire “Starace è un asino, ma un asino necessario”). Del resto basta leggere
l’interessante La stampa del Regime di Nicola Tranfaglia (Bompiani, 2005), per
rendersi conto di come si voleva indirizzare il pensiero del popolo».
Oggi si fa esattamente lo stesso, con certe “biografie” e con le miniserie televisive
[NdC].
21 Settembre 2010
◙ Continuano le reazioni al libro di Gabriele Eschenazi, Le regine dello swing.
♦ Mail ricevuta: «Buongiorno, mi chiamo Sarah P. [nell’originale il cognome è in
chiaro] e sono un’israelita. Ma non allarmatevi, non Vi scrivo per rivolgervi dei
rimproveri, come ha fatto il mio correligionario Isacco B., secondo me fuori di testa.
Al contrario, io desidero ringraziarVi, perché amo molto le Lescano e, leggendo
regolarmente le Notizie del Vostro sito, ho imparato tantissime cose su di loro. Cose
vere e documentate con cura e non fanfaluche, come quelle che si trovano in quasi
tutte le altre fonti.
Vi scrivo per togliermi una curiosità. Visto che siete tutti così preparati (e anche abili
nel fare ricerche), perché non avete offerto la Vostra collaborazione a Gabriele
Eschenazi, al regista Maurizio Zaccaro e alla Casanova Multimedia, in modo che la
biografia delle Lescano e la fiction su di loro fossero più rispettose della verità
storica? Non posso credere che tutti costoro avrebbero rifiutato alla leggera un aiuto
tanto prezioso e per di più disinteressato, posto che il sito non persegue finalità di
lucro. Vi ringrazio in anticipo per un Vostro cortese cenno di risposta. Cordialmente,
ecc.».
Ecco la nostra risposta:
Cara Sarah dal dolce nome e dall’animo gentile,
tutti noi saremmo stati oltremodo felici di dare il nostro contributo, del tutto
disinteressato, appunto, ad una degna celebrazione del Centenario della nascita di
Alessandra Lescano. Purtroppo nessuno ci ha invitati alla festa e anzi c’è chi arriva a
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negare la nostra stessa esistenza! Il fatto è che a certe persone la “verità storica” (anzi
la verità tout court) non interessa affatto e addirittura la detestano, perché
pericolosamente incline a compromettere il buon andamento degli affari, l’unica cosa
che stia loro a cuore.
Quanto ad Eschenazi, poi, si dev’essere offeso a morte perché abbiamo avuto l’ardire
di segnalare un suo clamoroso errore, comportante la diffamazione di tre brave e
oneste signore (rilegga, per favore, le Notizie dei giorni 2 e 3 Settembre 2009). Noi,
per nostra fortuna, siamo fatti di un’altra pasta: quando qualcuno ci segnala una
nostra svista, siamo ben felici di correggerla immediatamente e non manchiamo mai
di ringraziare chi ci ha permesso di farlo.
Grazie per le Sue parole di stima e continui a seguirci fino alla fine, ormai non
lontana, della nostra bella avventura. È per persone come Lei che ci piace lavorare!
♦ Aldo: «Scorrendo il volumetto-libriccino di Eschenazi, ho pensato a quanto sarei
stato felice se la cosa (un’edizone Einaudi!), dedicata al Trio Lescano, mi fosse
capitata tra le mani un circa trent’anni fa. Tralasciando emozioni a posteriori (oramai
di poca importanza anche per me), si può dire che tutto ha un certo interesse, ma
molto limitato. Di sicuro non si richiede (almeno per ora) una esegesi o un’edizione
critica del (o sul) Trio Lescano, ma sappiamo quanto sia importante l’onestà, nelle
piccole come nelle grandi cose. Se ci concediamo all’approssimazione, dobbiamo poi
mettere in conto anche le perplessità di tanti appassionati e specialisti che, per quanto
facciano parte del grande pubblico, si attendono sempre qualcosa di più. Come si fa a
non correggere, in qualsiasi pubblicazione, inesattezze o svarioni, a riportare senza un
ulteriore controllo cose che vengono riprese da altri e che a maggior ragione vanno
esaminate? Ricordo solo un breve passo che non mi è chiaro (a pagina 18), quando
Alessandra parla dice che “A 27 anni con mia sorella Giuditta, che ne aveva 24,
formammo il duo acrobatico Sunday Sisters e lavorammo nel circo...”. Ma (facendo i
calcoli)... nel 1937? Ancora duo acrobatico al circo? Ma non sarà forse dieci anni
prima, o almeno all’inizio degli anni ’30? Occorre spiegarlo. Per quanto concerne i
problemi “esterni”, le critiche (sic) di taluni giornalisti (sic), beh, mi si accappona la
pelle leggendo quei righi di recensione su La Stampa (ad opera di E. Loewenthal),
ricordati da Franco C.: le Lescano “lanciate” come trio in quanto... “il collettivismo
spinto del Regime, che esige masse d’urto e ha diffidenza d’ogni protagonismo che
non sia quello del duce, non vuole voci soliste”. Si può aprir bocca per replicare? No.
Lasciamo che ogni animo e mente pensante capisca e comprenda.
A questo punto, sterzando bruscamente su censura e repertori stranieri, mi viene in
mente (grazie al collettivismo e alle masse di poc’anzi) la Russia sovietica. Credo
oramai lo si abbia detto sino alla noia (ma a che pro, non so): i brani, le canzoni, i
pezzi stranieri sono entrati in Italia negli anni ’20 e ’30 quasi-assolutamente-sempre,
come in ogni regime totalitario (in verità con le dovute riserve...): ebbene sì, anche in
quelli comunisti dell’Est europeo, dove, chiaramente, nessuno pagava i diritti
d’autore (e questo problemuccio dei diritti non pagati in quei paesi sta spuntando
proprio oggi); figuriamoci se nell’Italia fascista non circolavano pezzi stranieri. A
proposito di repertori: sarebbe stato davvero bello se il volumetto di Eschenazi avesse
contenuto, alla fine, una lista (magari con “qualche piccolo appunto” critico) delle
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canzoni interpretate dal Trio Lescano: semplice, la si poteva estrapolare da questo
sito: sarebbe stato un modo per ricordare che esso esiste e come! Riguardo al suo
Curatore, come a chi vi collabora, non si possono certo rimproverare faziosità o
partigianerie: sembra invece un bel banco di prova di onestà, diplomazia, coerenza e
informazione, innanzitutto musicale: tratto, quest’ultimo, ahimè mancante nel
volumetto in questione».
♦ Alessandro: «Condivido in pieno l’intervento di Walter: il libretto Le regine dello
swing è soltanto una trovata pubblicitaria: del resto, il modo in cui l’autore lo ha
redatto lo dimostra in pieno. Eschenazi, infatti, fa riferimento ben due volte alla
fiction TV di prossima trasmissione (e due volte in poche pagine mi sembrano
troppe), tanto più che non si limita a farlo nella sola Introduzione, dove sarebbe,
ahimè, trascurabile, ma lo fa anche nel bel mezzo del libro, a racconto (o a romanzo,
come dice, a ragione, Walter) già iniziato. Inoltre traccia tutta la storia in modo piatto
e lineare, approfondendo cose assolutamente inutili e non interessanti ai fini del libro:
spende ben 4 pagine sulla storia dei De Leeuwe d’Olanda e liquida Caterinetta in 4
righe, omettendo di precisare dov’è stata, cosa ha fatto, con chi è vissuta durante il
periodo di inattività artistica tra il 1946 e il 1965».
◙ Mail di Sandro: «Amo quasi tutta la musica di George Gershwin e le sue canzoni in
modo particolare; insieme ad alcune di Jerome Kern, sono le uniche che sia ancora in
grado di accompagnare al pianoforte, quando mia figlia Paola le canta. Per questo mi
permetto di dare un parere sull’epoca di riferimento della versione italiana di The
Man I Love, proposta da Walter: a me sembra appartenere più agli anni ’50 che non al
periodo precedente, sia per lo stile dell’accompagnamento sia per la mediocrità di tale
versione, firmata da Riccardo Morbelli (ma quella francese, di Marc Hély, è assai più
bella).
Sperando che a qualcuno possa interessare, riporto in un documento a parte il testo
originale inglese, con una mia traduzione letterale in italiano, e quello francese di
Marc Hély (Editions Salabert, Paris, décembre 1945)».
Per parte nostra abbiamo aggiunto il testo italiano di Morbelli.
◙ Altra mail di Aldo: «Info per Walter: la versione italiana di Lidia Martorana del
famoso brano di Gershwin (The man I love) è incisa su disco Cetra DC 4708, con
data su matrice 10.1.1948».
◙ Mail di Paolo: «In risposta all’amico Walter, L’uomo che amo appare a pagina 150
del Catalogo Cetra 1949 come DC 4708, benché altrove quella sigla venga citata a
proposito di altre canzoni (Gelosia, La Cumparsita), cantate da Ilda Tulli. In realtà
tali canzoni si trovano nel disco DC 4709.
Catalogo Dischi Cetra 1949, p. 150.
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◙ Altra mail di Paolo: «Grazie alla gentilezza del personale dell’Archivio Sonoro
della Rai, ho potuto avere le seguenti informazioni sul cantante Claudio Terni: il suo
vero nome era Claudio Scimmi e nacque a Terni il 10 giugno del 1927. Le uniche
notizie disponibili sono quelle riportate nell’Enciclopedia della Canzone Napoletana
di Ettore De Mura. Eccole:
“Aveva otto o nove anni, quando iniziò, nella chiesa di S. Valentino, protettore di
Terni, a cantare cori sacri, con limpida voce. Dopo i 18 anni, decise di studiare canto
e frequentò L’Istituto Baiccialdi della sua città. Dopo i 20 anni – era ancora sotto le
armi – ebbe la possibilità di perfezionarsi come tenore con valenti maestri quali
Galliano, Marini, B. Gigli e Taccate, direttore del R. Conservatorio di Parma.
Costretto, per una emorraggia all’occhio destro, ad abbandonare la carriera lirica,
iniziò a cantare canzoni. Ha partecipato a Festival napoletani, Piedigrotte, e ha inciso
un centinaio di dischi. Ha svolto tournées in Russia, Australia e Canada”».
22 Settembre 2010
◙ Numerosi nostri lettori (non tra i più assidui, però) hanno difficoltà a credere che la
storia dell’arresto delle Lescano nel ’43, così come ci viene narrata, con abbondanza
di particolari, negli articoli di Natalia Aspesi e di Luciano Verre, sia tutta
un’invenzione. Abbiamo perciò pregato il nostro collaboratore Virgilio – che è
giornalista (di quelli in gamba) e ha fatto approfondite ricerche a Genova negli
archivi della stampa locale – a esporre nel modo più chiaro ed esauriente tutte le
ragioni che ci inducono a considerare i due suddetti articoli inattendibili, almeno per
la parte che tratta del fantomatico arresto.
Virgilio ha prontamente accolto il nostro invito e ha scritto un lungo articolo (v.
Appendice 3) che, a nostro avviso, dovrebbe convincere una volta per sempre anche i
più riottosi circa la fondatezza delle nostre argomentazioni. Non convincerà invece di
sicuro chi si ostina a negare l’evidenza, vuoi per partito preso, perché la faccenda ha
anche dei risvolti ideologici, vuoi per interessi di bottega; in questi casi non resta che
dar retta ad un altro Virgilio, quello dell’antichità, quando dice a Dante: “Non
ragioniam di lor, ma guarda e passa” (La Divina Commedia, Inferno, Canto III, v.
51).
Per parte nostra vorremmo solo aggiungere che quanti sostengono a spada tratta la
storicità dell’arresto con annessi e connessi, dando quindi ragione ai due giornalisti
summenzionati, dovrebbero spiegarci come diavolo abbiano fatto le sorelle Lescano a
cavarsela così a buon mercato dopo essere state incarcerate con accuse di estrema
gravità, come quella di lanciare al nemico, con le proprie canzoni, dei segnali in
codice: di essere insomma delle spie al servizio degli Alleati. Non va infatti
dimenticato che moltissimi altri innocenti, arrestati in quegli stessi frangenti per
molto, ma molto meno, furono immediatamente deportati in Germania e quindi
sterminati senza pietà nei lager nazisti. Assolutamente incredibile, poi, è la storiella di
Sandra, che tiene spavaldamente testa al truce militare venuto ad arrestarla sul palco,
mentre si esibiva con le sorelle: possibile che la signora Aspesi (che in tante altre
occasioni ha dato la misura del suo valore come giornalista) non si sia accorta che,
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mettendo in bocca a Sandra Lescano frasi come quelle, aveva davvero passato il
segno?
In conclusione è un gran peccato che l’anziana giornalista di Repubblica si sia chiusa
nel più sdegnoso silenzio, rifiutandosi sempre di rispondere alle nostre motivate (e
quanto mai rispettose – v. Appendice 4) richieste di chiarimenti, che riteniamo
legittime essendo dettate solo dall’esigenza, in noi molto forte, di ristabilire una
buona volta la verità dei fatti. Tacendo con tutti la signora Aspesi si porterà i propri
segreti nell’Aldilà (dove le auguriamo comunque di approdare il più tardi possibile),
esattamente come ha fatto Sandra 23 anni or sono.
◙ Mail di Max: «Visto che non sono morto? Anche se, a dire il vero, non sono al
100% della forma. Ad ogni modo seguo sempre le Notizie del sito e sono lieto di
vedere quanti nuovi ed entusiasti collaboratori si siano aggregati negli ultimi tempi.
Sfogliando l’elenco degli autori stranieri ho scoperto, ma forse lo sapevate già, che
Henry René (o Rene) era lo pseudonimo di Harold M. Kirchstein, compositore
franco-tedesco nato e morto negli USA (di lui le Lescano incisero Sogni del Mare del
Sud [Träumen von der Südsee], GP 92508b, matrice 153568).
Verificate, per favore, questi dati. Se sono corretti, forse possiamo recuperare anche
qualche foto nel web. Passo la palla al segugio Paolo. Buon lavoro!».
http://www.imdb.com/name/nm0456332/
http://en.wikipedia.org/wiki/Henri_Ren%C3%A9
http://de.wikipedia.org/wiki/Die_Goldene_Sieben».
◙ Mail di Roby (che ha solo 16 anni!): «Fa un certo effetto vedere, in una
libreria, vicino a scuola, un libro con la foto del nostro Trio. Credo, che si possa
misurare la grandezza di un personaggio storico in base ai libri che gli sono stati
dedicati. Quindi le Lescano, grandi protagoniste di un periodo musicale, assai
significativo per l’Italia, non potevano non avere un libro interamente dedicato a
loro. Attualmente però le iniziative si estendono anche oltre la carta stampata,
coinvolgendo l’ambito cinematografico e dando così modo di farle conoscere ad un
vastissimo pubblico.
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Come si può ben leggere dalle Notizie e relativi commenti di questi ultimi giorni, le
persone dovranno tuttavia accontentarsi di una versione brutalmente modificata del
reale svolgimento della vita delle tre cantanti. Spero però che qualcuno, incuriosito
dal fenomeno Lescano, si informi oltre il libro e il film: se andrà a curiosare in rete, si
affiderà magari proprio a questo sito, che indiscutibilmente è il più autorevole in
materia.
Per parte mia ringrazio il destino di avermi fatto scoprire le Lescano, quando ancora
non erano state rese di nuovo celebri da questo tipo di iniziative, e di avermi
permesso di conoscere la loro vera storia grazie alle tante ricerche sul campo
effettuate dagli animatori del sito Ricordando il Trio Lescano».
23 Settembre 2010
◙ Paolo non si è fatto pregare per raccogliere l’invito dell’amico Max. Si è subito
attivato e in men che non si dica ha trovato nel sito http://nfo.net/usa/r3.html#TOP
parecchie notizie su Henri René (cognome che negli USA si scrive di solito senza
accento: Rene), nonché una bella foto del musicista:
Henri René e le Bell Sisters: Cynther al centro e Kay sulla destra.
Su YouTube ci sono diversi video di queste due eccellenti cantanti, attive
nei primi anni Cinquanta. Esiste anche un sito a loro dedicato:
http://www.bellsisters.com/.
Di Henri René/Rene alias Harold M. Kirchstein si parla anche nel libro di Victor R.
Greene, A Passion for Polka: Old-time Ethnic Music in America, pp. 135-136. È
possibile visionarlo anche in rete. Quanto a noi, abbiamo già provveduto ad
aggiornare la scheda dedicata a Kirchstein nella pagina degli Autori stranieri di
nostro interesse.
◙ L’articolo di Virgilio da noi pubblicato ieri, proprio perché così ben argomentato e
documentato, ha avuto molte reazioni, per lo più di plauso incondizionato («Era ora –
si legge in una mail – che qualcuno di ben preparato sbattesse in faccia ai falsari di
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professione un bel po’ di fatti inconfutabili: vediamo se questa gente avrà ancora la
spudoratezza di parlarci in futuro di arresto delle Lescano, detenzione al Marassi,
mille lire al giorno, ecc. ecc.»).
Ci sono però giunte anche mail di segno completamente opposto. Una, in particolare,
molto secca e sferzante, ce la scrive qualcuno che ci contatta per la prima volta; il suo
succo è condensato in queste due frasi: «Ma come potete mettere in dubbio ciò che ha
scritto una giornalista di tale fama e reputazione come Natalia Aspesi, una delle firme
più illustri de La Repubblica? Non è che l’attaccate rabbiosamente solo perché è
un’intemerata militante comunista, nemica acerrima dei fascisti e dei nostalgici del
Ventennio quali siete voi?».
Per una volta il Curatore del sito desidera che siano altri a rispondere a quella che ha
tutta l’aria di essere solo una ben studiata provocazione. Ha quindi pregato di farlo al
suo posto due collaboratori, scelti non solo per il loro equilibrio e la loro saggezza,
ma anche perché hanno entrambi alle spalle vicende familiari tali da metterli nel
modo più assoluto al riparo da certe “simpatie”. Ecco dunque cosa rispondono questi
due amici al signore che ci accusa di faziosità e malsana nostalgia per il Ventennio
fascista:
♦ Paolo: «Il presente sito, dedicato al Trio Lescano, è nato per iniziativa di un gruppo
di appassionati di diversissima estrazione: studenti, giornalisti, discografi, discomani,
docenti universitari, marinai e musicisti (mancano solo i santi, per completare
l’italiano medio). Tutti costoro hanno avuto in comune l’idea di riscoprire un trio
vocale, sul quale troppo poco si sapeva e si ricordava. Ognuno ha contribuito a
ricostruire la vera storia del Trio Lescano con le proprie abilità e vari colpi di fortuna,
nonché mediante pazienti ricerche in rete, negli archivi e nelle biblioteche, addirittura
nei cimiteri, e tutto questo a prescindere dalle ideologie, credenze religiose e
convinzioni politiche di ogni singolo collaboratore.
Pochi giorni fa c’è stato chi si è lasciato andare, nei nostri confronti, a velate accuse
di antisemitismo; adesso c’è addirittura chi ci taccia apertamente di filofascismo. Mi
domando, in tutta onestà, dove e quando qualcuno di noi possa aver detto o scritto
qualcosa che giustifichi un sospetto così oltraggioso. Al contrario, i riconoscimenti di
obiettività e correttezza abbondano negli interventi dei nostri visitatori, anche
occasionali.
Ognuno di noi ha ovviamente un suo background culturale e politico. Chi scrive, per
esempio, vanta ascendenti che sono dei Caduti della Resistenza, genitori in possesso
di attestati di iscrizione al PCI da prima del 1945, magari si fregia pure di una
militanza politica nella sinistra, ma tutto questo non gli impedisce di dedicarsi con
passione alla ricerca della verità storica. Ci è poi di grande conforto che una gentile
ospite scagioni il sito dall’essere antisemita, e che tale persona sia ella stessa
un’israelita...
Si dà il caso che il ciclo italiano del Trio Lescano inizi nel 1935-1936, e quindi
pretendere che per parlarne non si citino date e argomenti del Ventennio fascista è
quanto meno puerile. I fatti sono fatti, anche se questo ci può dare fastidio. Il rigore di
una seria ricerca scientifica deve portare alla verità accertata, tutto il resto è
irrilevante. Se, putacaso, si scoprissero prove definitive che l’uomo non è mai stato
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sulla Luna, che i comunisti sovietici mangiavano effettivamente i bambini, o si
rinvenissero le ossa di Nostro Signore, con gli evidenti sconquassi che ne
seguirebbero, si potrebbe forse negare la Verità? Nossignori. E sarebbe poi inutile
scrivere che si tratta di propaganda, di complotti internazionali, di ingerenze aliene
nei fatti della Terra.
L’artista, per definizione, ha tutto il diritto di “indorare” la realtà; ce lo dice in fondo
anche il Marino, nel 1602: “ È del poeta il fin la meraviglia, / parlo dell’eccellente e
non del goffo, / chi non sa far stupir, vada alla striglia!” (da La Murtoleide: Fischiate
del cav. Marino). Il giornalista invece, a differenza dell’artista, non ha alcun diritto di
alterare a piacere la realtà dei fatti. Se lo fa, perde ogni credibilità e, in fondo, ci
imbroglia.
Natalia Aspesi, alla quale nessuno si sogna di negare la militanza comunista e la
grandissima professionalità, invero non si pone problemi a cimentarsi con argomenti
più leggeri, se vogliamo. Dai primi anni Novanta cura, sul settimanale Il Venerdì, la
rubrica di successo “Questioni di cuore”, in cui risponde con partecipazione e
vivacità a lettere nelle quali delle persone espongono dubbi ed incertezze sull’amore
e sul sesso. Tuttavia, quando si parla di ricerca storica, non si può né si deve
transigere. Negare le evidenze è antiprofessionale e immorale. Se Dante stesso ci
ricorda “Che giova ne le fata dar di cozzo?” (Inferno, Canto IX, v. 97), come
possiamo noi miseri nascondere la verità dietro opportunismi di ogni genere?
Questa è naturalmente la mia opinione personale. Il sito ha secondo me il pregio di
ospitare tutti i pareri, favorevoli e contrari, cosa della quale ci facciamo vanto, ad
onta di coloro che questa possibilità non ce la offrono, negandoci il diritto di replica e
addirittura negando la nostra stessa esistenza.
Ed ora a voi, cari amici e collaboratori: la discussione rimane aperta!».
♦ Sandro: «Potrei dire che questo interlocutore non merita risposta, perché sembra
parlare senza aver letto – o avendo frainteso completamente – quanto abbiamo scritto
(e che chiunque può leggere) nelle Notizie del presente sito, dal dicembre del 2008 in
poi: per chi usa solo Internet, è evidente che, oltre al leggere e allo scrivere, non vi
sono altre risorse a disposizione. Ciò nonostante, è opportuno rispondergli, per
togliere ogni residuo dubbio a chiunque ne potesse ancora avere.
Vorrei quindi invitare questo signore ad andarsi a leggere attentamente tutto quello
che abbiamo pubblicato nel sito, dalla sua creazione ad oggi. Quando l’avrà fatto, io
lo sfido a indicarci con precisione cosa ha trovato che giustifichi l’accusa infame e
infamante che ci rivolge. Chi ama la musica, il cinema, la letteratura, la
grafica, l’architettura come espressioni di un qualunque periodo storico (incluso
dunque anche il Ventennio fascista), non per questo è tenuto a condividere, di quel
periodo, gli ideali politici e sociali, né tantomeno i metodi usati per attuarli. Qualsiasi
errore umano, come qualsiasi fede religiosa o politica sono degni di rispetto: è la
malafede, al contrario, che merita solo disprezzo».
24 Settembre 2010
◙ L’autore Giovanni Abis, di cui abbiamo parlato nelle Notizie del 9 Luglio 2010 (è
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uno degli ultimi collaboratori delle Lescano ad essere ancora in vita), ci ha espresso il
desiderio di recuperare il mandolino, o almeno una sua scansione, della canzone La
Pensione do-re-mi, da lui creata assieme al compositore Luciano Perazzi, canzone
incisa nel 1942 da Ernesto Bonino e il Trio Lescano con l’Orchestra Barzizza. Se
qualcuno ne fosse in possesso è gentilmente pregato di mettersi in contatto con noi.
◙ Nel sito del mensile Max è comparso un breve articolo intitolato Le ragazze dello
swing. Parla il soggettista [http://max.rcs.it/hot/cinema/09-2010/ragazze-swing-parla-soggettista20532298415.shtml]. In esso, fra varie altre amenità, troviamo in chiusura questa chicca:
«E se la storia v’intriga e volete distinguere tra realtà e fantasia c’è il libro: Le regine
dello swing (Einaudi)». Che un commerciante vanti la propria merce, è cosa
comprensibile: ma nel farlo non deve ricorrere alla pubblicità ingannevole, oltretutto
vietata dalla legge. Dopo la montagna di prove che abbiamo esibito per dimostrare
che il libretto Le regine dello swing contiene non solo una miriade di errori e
imprecisioni, ma anche una quantità sbalorditiva di notizie false o quanto meno
“fantasiose”, ci vuole una bella faccia tosta per dire che esso permette al lettore di
«distinguere tra realtà e fantasia»! Caveat emptor, dunque…
Un altro articolo [http://mauriziozaccaro.myblog.it/archive/2010/09/06/le-ragazze-dello-swing-nota-diregia.html] che è bene leggere, per constatare fin dove possa arrivare l’impudenza di
certi personaggi dell’italico show business, è quello intitolato Le ragazze dello swing:
nota di regia..., apparso nel blog di Maurizio Zaccaro. Unbelievable but true, il
regista della miniserie Rai ha persino la modestia, nient’affatto falsa, di accostare il
proprio nome a quello di… John Ford! Parlare in casi del genere di delirio di
autostima e autocelebrazione è decisamente poco: chissà se vale ancora il detto chi si
loda si sbroda.
Ecco come il nostro Virgilio (che, da buon genovese, è ricco di caustico humour)
commenta l’exploit di questo self-styled erede del grande patriarca del cinema
americano: «Ancora stasera ho avuto modo di vedere il breve filmato che presenta Le
ragazze dello swing, subendo una sorta di shock anafilattico: non solo per la decisa
lontananza fisica e psicologica delle interpreti dagli originali, ma altresì perché le
canzoni delle Lescano cantate da altre [le Blue Dolls], e con gli arrangiamenti
modernizzanti che ho sentito, fanno semplicemente c….e [in chiaro nella mail
originale]. Film così tentano di distruggere i miei sogni, che ritengo il peggiore delitto
che si possa perpetrare verso chi ha anche un minimo di propensione verso la
bellezza.
È chiaro che il regista, avendo capito che l’uscita della fiction gli tirerà addosso una
valanga di critiche (non solo nostre, sarei pronto a giurare), ha già cominciato a
mettere le mani avanti, traendo dal suo inesauribile cilindro nientemeno che John
Ford – oddio, che bestemmia per il regista di Ombre rosse e Sentieri lontani! – e il
povero Manzoni, e cominciando a distinguere tra «vero storico e vero poetico»...
Peccato che il suo lavoraccio non si identifichi né col primo né col secondo, essendo
semplicemente un falso e di pessimo gusto. […]. Fare un film sulle Lescano e non far
sentire nessuna delle loro canzoni originali è, oltreché una volgarissima marchetta
verso le nuove interpreti, un modo per uccidere ogni credibilità: come andare a Roma
senza vedere il Papa, si sarebbe detto una volta. Si pensi ai ragazzi di oggi, che non
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hanno mai sentito le canzoni del Trio Lescano: che idea si faranno ascoltando quei
ridicoli rifacimenti? In essi è sparita la grazia, la levità, l’umorismo, il candore...
Spero che produttore, sceneggiatori e regista vengano letteralmente sommersi di
fischi».
25 Settembre 2010
◙ Ci scrive un lettore, Osvaldo G., per dirci che ha molto apprezzato la mail di
Virgilio (quella pubblicata ieri): «Sono assolutamente d’accordo con lui quando
rimprovera a certe fiction televisive di distruggere le cose belle che ci portiamo
dentro. Il punto del dibattere è proprio questo: le falsità insidiano i sogni. E a persone
come noi, cresciute a pane e Lescano, tutto quell’artifizio fa male, riesce
sommamente fuorviante: col pretesto di farlo conoscere, si fornisce un’idea del Trio
di incredibile volgarità, si uccide tutto il bello artistico contenuto nel tessuto della
loro musica e delle loro voci. Può esistere, a livello culturale, un delitto peggiore?».
Siamo in perfetta sintonia con Osvaldo: ci tolgano pure tutto, ma ci lascino almeno i
nostri sogni più belli, intatti please.
◙ Mail di Antonio: «Sono pienamente d’accordo su quanto espresso dalla
maggioranza di noi circa il “libricino” di Eschenazi. Aggiungo solo una cosa: non
guarderò la fiction televisiva. Voglio conservare intatto il ricordo che serbo nel cuore
delle Sorelle Lescano».
Antonio, da quell’uomo saggio e colto che è, fa bene ad astenersi, con stoica
determinazione, dal guardare in TV il fumettone “venduto già in 16 paesi”. Ma
questo non preoccuperà minimamente chi lo ha prodotto, perché ci saranno
comunque milioni e milioni di telespettatori che lo guarderanno e prenderanno per
buona la “storia” del Trio Lescano ivi “evocata”: quella di tre stangone apolidi e
mezze ebree, neanche tanto brave a cantare ma bellissime e dalla vita sentimentale
ultramovimentata, le quali, abbandonate dal padre quand’erano “ancora in tenera
età”, diventano famose in Italia durante il Fascismo, ma finiscono poi in galera
essendo impavide antifasciste. Per i più curiosi ci penserà la “biografia” di Gabriele
Eschenazi, grande amico del regista, a raccontare nei minimi particolari il resto della
“vera” storia delle tre sorelle.
◙ Mail di Manuel: «Passando davanti ad un’edicola, ho visto che con TV Sorrisi e
Canzoni è uscito un DVD della serie Le inchieste del commissario Maigret. Si tratta
proprio dell’episodio, intitolato Un’ombra su Maigret, in cui compare Norma Bruni.
Sembra quasi uno scherzo del destino! E pensare che pochi giorni fa mi trovavo alle
Teche Rai ad appuntare questa sua apparizione televisiva: forse è la volta buona che
la Bruni, una notte o l’altra, mi appare in sogno…».
◙ Vito, il nostro nuovo e solerte collaboratore torinese, si è recato nel cimitero di
Sassi, per visitare la tomba della signora Giuseppina Vernetti, vedova del M° Carlo
Prato. Si pensava che i resti mortali del musicista, deceduto prematuramente nel
1949, fossero stati riesumati e quindi traslati nella stessa tomba della moglie, ma
purtroppo non è così, come testimoniano queste foto, scattate da Vito:
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La sola possibilità che apparentemente ci resti di ritrovare l’ultima dimora di colui
che fu il primo artefice dello strepitoso successo delle Lescano, è che il M° Prato sia
stato inumato non a Torino, dove morì, bensì nella sua città natale, Susa. Vito si
ripromette di andarci alla prima occasione.
Che peccato che nessuno abbia mai avuto l’idea di intervistare la signora Vernetti
quand’era ancora in vita! Chissà quante cose avrebbe potuto raccontarci sul marito e
anche sulle Lescano, che dal 1935 al 1943 furono le sue “allieve” predilette e, nel
tempo libero, frequentarono assiduamente la sua casa.
Il M° Carlo Prato con le sorelle Lescano a spasso per Torino,
verso la fine degli anni Trenta.
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26 Settembre 2010
◙ Mail di Lea: «Non è male la recensione del volumetto di Eschenazi che Massimo
Lomonaco ha pubblicato nel sito ANSA.IT / Un libro al giorno:
http://www.ansa.it/web/notizie/unlibroalgiorno/news/2010/09/23/visualizza_new.html_1760360206.html.
È equilibrata e scritta benino (non bene, però, perché spiace vedere notorieta’ al
posto del corretto notorietà, e simili), inoltre ha il pregio di risparmiarci le solite
baggianate, divenute ormai insopportabili (le mille lire al giorno, l’arresto, il Principe
che le salva…). Peccato solo che anche questo giornalista (pure romanziere di
successo) sembri fare poca attenzione ai dettagli. Ad esempio, il cognome originario
delle Lescano è Leschan e non Leschen: lo sa perfino Nerone, il grosso gatto nero
(nomade) che frequenta indisturbato il giardino di casa mia, perché, sveglio com’è, ha
capito subito che i felini io li amo. Forse, chissà, è un parente di Maramao, dato che
gli piace mangiucchiare l’insalata, rigorosamente bio, che coltivo in un angolino del
suddetto giardino trasformato in orticello, giusto per seguire il celebre consiglio di
Voltaire.
Mi piacerebbe poi sapere da quali documenti Lomonaco abbia tratto la notizia, da lui
riportata come certa, che “la famiglia [delle Lescano] in Olanda contera’ piu’ di cento
assassinati nella Shoah”: tale cifra mi pare francamente esagerata, se riferita ai parenti
stretti di Eva de Leeuwe.
Ma ciò che mi turba maggiormente è un’altra frase, anche questa buttata lì come si
cala sul tavolo da gioco l’asso di briscola: “Le ragazze sanno bene che e’ giunto il
momento di cercare una via di fuga. La troveranno in Sud America dove e’ ancora
vivo il ricordo del loro successo: li’ conosceranno scampoli di gloria, ma soprattutto
avranno salva la vita”.
Ohibò, questa notizia mi giunge del tutto nuova e, se è vera, mi obbligherà a rivedere
da cima a fondo la mini-biografia del Trio Lescano che con tanta fatica mi sono
appuntata nel mio block notes, ovviamente elettronico. Pensate: ero convinta che le
olandesine, per via di quella loro mamma così ingombrante, avessero rischiato di fare
una brutta fine (come la fece il povero Funaro) nel ’44, quando, assieme a lei, si
erano rifugiate in montagna per sottrarsi all’arresto (quello vero, che per fortuna mai
ci fu); ora invece scopro che anche a guerra finita le Lescano continuavano ad essere
in grave pericolo, tanto da dover scappare in Argentina per salvare la pelle, come
chiaramente precisa il giornalista-scrittore dell’Ansa.
Sandra (a destra) e Giuditta Lescano in
Sudamerica con la loro mamma Eva de
Leeuwe, probabilmente a Caracas alla fine
degli anni Cinquanta.
Nella fiction di Maurizio Zaccaro il ruolo di
Eva è affidato alla sempre affascinante
Sylvia Kristel, che da giovane fu la
supersexy Emmanuelle.
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C’è chi afferma che le recensioni lascino il tempo che trovano. Io dico invece che
servono, eccome, se non altro a mostrarci quale sfoggio di inventiva debbano esibire
tanti pubblicisti se vogliono guadagnarsi un tozzo di pane!».
◙ Mail di Walter: «Amici, come promesso vi mando il file di Cuore diglielo anche tu,
il brano in cui canta un non meglio identificato Gino Stella. La volta precedente (v. le
Notizie del 10 Settembre scorso), vari collaboratori del sito si lanciarono in
supposizioni di ogni tipo sui nomi “sospetti”che proposi. Nessuno però citò Gino
Stella né azzardò alcuna associazione con un cantante famoso. Fra i nostri
collaboratori ci sono fior d’intenditori con orecchi fini, per cui qualcuno sarà
sicuramente in grado di dire chi si celi veramente dietro questo pseudonimo. Apriamo
dunque i giochi...».
27 Settembre 2010
◙ ULTIMA ORA - Riceviamo or ora (alle 15.45) la seguente mail di un certo Dott.
Michele T. [in chiaro nell’originale]. Riteniamo utile pubblicarla immediatamente e
integralmente, senza cioè cambiare una sola virgola, giacché essa annuncia, nel tono
e nella sostanza, con quali argomenti i nostri “avversari” intendano controbattere alle
critiche che noi rivolgiamo, fin dalla creazione del sito, a pressappochisti, falsari e
mistificatori di ogni risma, che si occupano delle sorelle Lescano senza conoscerle
minimamente. I lettori sono invitati ad apprezzare, in particolare, la chiusa della mail,
giacché si tratta di una perla di valore inestimabile:
«Gentile Curatore,
seguo abbastanza spesso la sua interessante rubrica, e trovo che abbia sempre dato
prova di misura nelle sue osservazioni; ma da qualche tempo in qua, sono sorpreso
per la continua serie di critiche contro il libro di Gabriele Eschenazi e il film
televisivo di Maurizio Zaccaro, che ottengono puntualmente spazio nel “Notiziario”;
tra l’altro, siccome il film di Zaccaro verrà programmato solo stasera, come si
possono rivolgere tante critiche a quel che non si è ancora visto? Non trova anche lei
che siano davvero (e sospettosamente) eccessive? Ho letto il libro di Eschenazi e ho
gradito molto le tante cose che ci ha narrato con garbo sulle tre sorelle ebree olandesi,
che molti di noi senz’altro ignoravamo. Perché dunque criticarlo tanto?
Che importanza può avere se è stato sbagliato qualche cognome o qualche data, e se
il padre delle Lescano ha abbandonato le figlie, o sono state le figlie ad abbandonare
il padre? Questo non cambia il valore delle loro canzoni, e mettersi a criticare
guardando alle virgole è un po’ come discutere sul sesso degli angeli. Sul Trio
Lescano non esisteva un libro ed Eschenazi ha semplicemente colmato la lacuna; se
poi qualcuno ritiene di scrivere cose più esatte, si faccia avanti. Sulla questione
dell’arresto, poi, state facendo solo un gran polverone: qualcuno di voi c’era, per
poter affermare con sicurezza che non ci fu? Credo che la miglior prova del contrario
stia proprio nel fatto che l’arresto delle cantanti risulta il punto saliente nel film di
Maurizio Zaccaro: la Rai è un servizio pubblico, pagata coi soldi di tutti: perciò non
può avere nessun interesse a mettere in giro delle panzane.
Cordiali saluti, ecc.».
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Modestamente, se abbiamo creato il presente sito con la sua pagina interattiva di
Notizie, è proprio perché riteniamo di essere in grado di scrivere, sul Trio Lescano,
cose più esatte di quelle scritte da altri: cose non inventate, ma che risultano dagli
innumerevoli documenti originali che abbiamo riportato alla luce. In quanto
all’arresto, il Dott. Michele T. è invitato a leggere con tutta l’attenzione di cui è
capace il saggio del nostro collaboratore Virgilio. Il quale, pur essendo genovese, non
era presente al fatto, è vero, ma per il semplice motivo che non era ancora nato;
questo però non gli ha impedito di reperire le prove certe che, alla fine del ’43, le
sorelle Lescano non stavano in prigione, al Marassi, bensì al lavoro, per guadagnarsi
onestamente da vivere, come avevano sempre fatto fin dal loro arrivo in Italia. O
avevano il dono dell’ubiquità, o in carcere non ci sono mai finite: tertium non datur.
Con buona pace di Mamma Rai, la quale, essendo «un servizio pubblico», non
dovrebbe mai mentire, per definizione: parola del Dott. Michele T.
◙ Mail di Virgilio: «Non conosco la nostra collaboratrice Lea, ma dobbiamo
tenercela stretta: non perché abbia un ruolo decisivo come ricercatrice, tipo
Alessandro, Manuel o Vito (senza far torto agli altri che non menziono, tutti uno più
bravo dell’altro), ma semplicemente perché ha un pregio oggi rarissimo: sa scrivere.
Che non vuol dire soltanto saper articolare le frasi, dominare la grammatica e la
sintassi e scegliere i vocaboli più opportuni, ma significa soprattutto avere qualcosa
da dire. Avete visto con quale finezza osserva questo e quello, con quale umorismo
parla del suo gatto Nerone? Eppoi, perdinci, nell’osservare il notorieta’ (ed e’, e li’ ed
obbrobri simili, che un giornalista mai dovrebbe commettere, a fortiori se è anche
scrittore) questa Lea è davvero fenomenale, è la sorella che tutti noi vorremmo avere.
Secondo me essa deve custodire nel cassetto – ma già, i tempi sono cambiati: dunque,
nel computer – qualche grande romanzo ancora inedito, che prima o poi vedrà la luce.
E scommetto che sarà ambientato negli anni Trenta, con sullo sfondo il Trio Lescano
che canta alla radio, accompagnato dal mitico Pippo Barzizza…
Quanto ai rilievi che Lea muove all’articolo di Lomonaco, essi sono ineccepibili e
solenni. Le dico quindi da amico e ammiratore: cara Lea, continua sempre così!
Abbiamo bisogno di persone come te: attente, fini, ironiche, con qualcosa da dire e
che sanno come dirlo. Una Lea ci ripaga di cento giornalisti, saggisti, scrittori, storici
della canzone, sceneggiatori, registi televisivi, recensori ed editori che non vogliono
(o non sanno) fare bene il proprio lavoro. Il signor Lomonaco, poi, se avesse seguito
ciò a cui lo invitava il suo cognome (nomen omen), si sarebbe fatto frate e avremmo
così letto qualche sciocchezza in meno sulle nostre beneamate sorelline».
◙ Più di un lettore ci scrive per manifestarci il proprio sconcerto di fronte al diluvio
di lodi sperticate tributate, in modo assolutamente acritico, al libricino di Gabriele
Eschenazi e alla fiction di Maurizio Zaccaro in arrivo stasera nella TV di Stato (Rai
Uno). Valanghe di elogi a buon mercato, che troviamo sia sui giornali e periodici in
vendita nelle edicole, sia in innumerevoli siti e blog che affollano la Rete.
Parafrasando un gradevole film di una dozzina di anni fa, si potrebbe dire: tutti pazzi
per Le ragazze-regine dello swing!
C’è da scommettee che per tutti questi incensatori da claque le nostre riserve e
critiche, seppur suffragate da prove inconfutabili, saranno (supposto che ne siano al
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corrente) nient’altro che elucubrazioni di un gruppo di nostalgici, i quali vorrebbero
far rivivere il passato nella sua autenticità, invece di “evocarlo” o “interpretarlo” in
modo da conciliare, come oggi è assolutamente prioritario, political correctness e
business.
Che possiamo dire a questi nostri amici che preferiscono la verità, anche quando è
dura e scomoda, alla menzogna, magari allettante e di comodo? Che il mondo va
attualmente così ed è sempre più difficile (presto sarà probabilmente impossibile)
dissipare la spessa cortina fumogena di bugie e mistificazioni che, per ignoranza,
conformismo, interesse o altro, i media spargono intorno a noi, al fine di impedirci di
ragionare con la nostra testa. E bisogna riconoscere che il loro compito è facilitato
dalla generale acquiescenza della gente, ormai assuefatta ad accettare ogni cosa
passivamente, specie se si tratta di trash.
Le Lescano “evocate” nella miniserie di Rai Uno non hanno quasi niente in comune
con le vere Lescano? E allora? Le loro controfigure, incarnate dalle tre palestrate
watusse, presto le avranno completamente rimpiazzate nell’immaginario collettivo:
d’ora in poi saranno loro le vere Lescano, mentre le loro vere voci saranno quelle,
modernissime, delle Blue Dolls. Libro e fiction si vendono bene, i critici dei giornali
– di ogni tendenza – plaudono, l’audience è alle stelle: che si vuole di più?
Noi comunque non ci lasceremo impressionare da questa poderosa macchina del
consenso di massa, già vista in passato con gli esiti che sappiamo. Non cambieremo
rotta, fieri della nostra diversità e dell’inevitabile solitudine che l’accompagna. Ci
conforta questa bella massima di Rivarol: «les moutons s’attroupent, et les lions
s’isolent». Capisca chi vuol capire.
◙ Il nostro collaboratore torinese Vito, «curiosando in Rete» (lo dice con eccessiva
modestia: in realtà pochi sanno sfruttare come lui le potenzialità di Internet), ha
reperito due interessanti riferimenti al M° Carlo Prato, che attualmente è al centro
delle nostre ricerche, unitamente a Caterinetta Lescano, sulla quale speriamo di essere
presto in grado di dire qualcosa di nuovo e – quel che più conta – di vero, finalmente.
Il primo [ http://www.mascagni.org/works/ratcliff/performances?print=true ] di tali riferimenti
lo troviamo nel sito dedicato a Pietro Mascagni ed è relativo ad un’esecuzione in
concerto della sua opera tragica Guglielmo Ratcliff, avvenuta il 5 Ottobre 1933 negli
Studi dell’Eiar di Torino. In essa Prato cantò come basso nel duplice ruolo di Robin e
di John. Che Prato sapesse cantare era ovvio, visto che per lunghi anni fu insegnante
di canto, nell’ambito della musica leggera, nonché pianista preparatore di
innumerevoli cantanti di successo, a cominciare dalle sorelle Lescano. Quello che
non sapevamo era che in gioventù si esibì anche come cantante lirico e che aveva
appunto una voce grave. Ricordiamo che Prato fu pure un valente jazzista; nel 1936
accompagnò spesso il Trio Lescano nei concerti dal vivo col suo Quartetto Jazz
Prato, che comprendeva anche il chitarrista-fisarmonicista Giuseppe Funaro (gli altri
due musicisti erano Nazzareno Raineri e Antonio Gozzi).
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A sinistra: Il M° Carlo Prato mentre canta; a destra: ritaglio di una locandina
pubblicitaria del 1936, facente parte del Fondo Portino, attualmente proprietà
di Giorgio Bozzo. Questo documento fornisce l’ennesima prova che il jazz
non era affatto proibito, come sostengono in molti, durante il Fascismo.
Il secondo riferimento si trova in un articolo de La Stampa, apparso il 27 Gennaio
2005 e intitolato Il racconto degli scampati alle atrocità dei nazisti:
http://archivio.lastampa.it/LaStampaArchivio/main/History/tmpl_viewObj.jsp?objid=5840232.
In esso il nome di Carlo Prato compare due volte, ma non è chiara la posizione
dell’articolista nei suoi confronti. La prima volta, infatti, egli è definito «eminenza
grigia della musica leggera, alla sede Eiar di Torino», qualifica non certo benevola,
mentre più oltre è detto «consigliere privilegiato nell’organizzare la prima
Resistenza». Sia come sia, sapevamo che Prato era stato deportato in Germania, anzi
la signora Lidia Martorana ci confidò, nel corso di una lunga e interessante telefonata
che ci scambiammo l’anno scorso, che erano stati proprio i gravi disagi e le
privazioni di quel triste periodo nella vita del Maestro a minare la sua salute,
purtroppo in modo irreversibile. Sappiamo in effetti che egli morì, a soli 39 anni, il 4
febbraio 1949.
◙ Il nostro collaboratore Franco cerca informazioni sul paroliere Mimmo Suraci, che
fu attivo dai primi anni Quaranta, se non da prima. Se qualcuno sa qualcosa su di lui è
pregato di contattarci.
28 Settembre 2010
◙ Francis ci segnala che su eBay storiadelcalcio2006 vende, per soli € 2,99 il
mandolino della canzone di D’Anzi-Bracchi Il maestro improvvisa, incisa nel 1941
da Alberto Rabagliati e il Trio Lescano, accompagnati dall’Orchestra Barzizza.
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◙ Il nostro collaboratore Manuel ha intervistato Gianni Borgna, il notissimo autore
della Storia della Canzone Italiana (prima edizione: Laterza, 1985; ristampa: Oscar
Mondadori, 1992); principale argomento dell’intervista: il Trio Lescano, in relazione
alle attuali e molto discusse iniziative editoriali e cinematografiche finalizzate a
ricordarlo. Tale intervista è stata pubblicata sul Giornale di Letterefilosofia.it,
all’indirizzo http://www.letterefilosofia.it/2010/09/gianni-borgna/.
Ci asteniamo di proposito dal commentare le risposte date all’intervistatore da questo
illustre studioso, attualmente Presidente dell’Auditorium - Parco della Musica
(Roma). Preferiamo che ognuno di noi le legga e si faccia quindi una sua opinione.
Ci piacerebbe solo che il dr. Borgna ci spiegasse meglio, magari in questa sede, a chi
si riferisce di preciso quando, a proposito della vexata quaestio del fantomatico
arresto delle Lescano, egli afferma testualmente: «[...] esistono mille testimonianze di
loro conoscenti che riportano la vicenda, la cui durata e drammaticità, però, non ci è
dato sapere». Sarà che siamo molto sfortunati, ma noi, di tali “conoscenti”, non ne
abbiamo incontrato neanche uno, nel corso delle nostre approfondite ricerche. In
compenso abbiano rinvenuto in vari archivi numerosi trafiletti di giornali dell’epoca
comprovanti al di là di ogni dubbio che nei mesi di Ottobre-Dicembre 1943 le
Lescano, anziché trovarsi imprigionate nel carcere genovese di Marassi, lavorarono
senza interruzione nei teatri di quella città, con varie compagnie d’avanspettacolo. Se
queste non sono prove certe…
◙ Ci ha contattati il giornalista Achille Mezzadri, ex-inviato e redattore capo centrale
di Gente, il quale ha creato due anni e mezzo fa il giornale online a forma di blog
Pramzanblog [http://www.pramzanblog.com/], contenitore di parmigianità. Esso
pubblica cioè notizie di attualità, storia, costume, sport, musica, gastronomia, ecc. più
una vasta galleria di interviste a parmigiani famosi, come Carlo Bergonzi, Franco
Nero, Lidia Alfonsi e Gene Gnocchi, tanto per citarne alcuni. Va sottolineato che tale
blog non persegue scopi di lucro, ma è solo frutto della passione di un uomo per la
sua terra natale.
Il motivo per cui Mezzadri ci ha scritto è che Alessandra Lescano sposò, com’è noto,
un parmigiano, Guido Franceschi, e visse parecchi anni, fino alla morte (1987), a
Salsomaggiore Terme. Di qui il desiderio di dedicare alla primogenita delle sorelle
Lescano un ricordo su Pramzanblog, per il quale servivano delle foto e ulteriori
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notizie sull’artista, possibilmente veritiere. Abbiamo naturalmente aderito subito – e
con vero piacere – a tale richiesta di collaborazione, formulata per di più nei termini
più cordiali. Dati i trascorsi di Mezzadri, gli abbiamo anche suggerito di contattare il
giornalista Luciano Verre, pure lui di Gente e quindi suo ex-collega, per approfondire
con lui la questione dell’intervista concessagli da Sandra Lescano nel 1985, della
quale abbiamo spesso parlato, in termini assai critici, in questa pagina. Ne è nato così
un articolo, per noi estremamente interessante, che si può leggere all’indirizzo
http://dl.dropbox.com/u/2398515/LESCANOarricolo.pdf.
Ringraziamo Achille Mezzadri per la sua estrema correttezza nei nostri confronti
(qualità rara al giorno d’oggi), e ci complimentiamo con lui per la sua obiettività e
chiarezza, dato che è riuscito in poco spazio a far capire anche al lettore non
specialista i termini essenziali della problematica inerente alla vera storia del Trio
Lescano. Ci auguriamo che questo primo contatto abbia un seguito, giacché ci sono
ancora parecchie ricerche da fare nel parmense, relativamente agli argomenti che ci
stanno a cuore…
◙ Mail di Virgilio: «Cari amici, siamo ancora vivi, grazie a Dio. Certo che, quando ci
si mette, mamma Rai fa proprio le cose per bene! La serata è cominciata col
programma I soliti ignoti - Le identità nascoste (che io non vedo mai, preferendo
largamente Striscia la notizia, il TG2 o i programmi de La 7): dove – e chiedo in
anticipo scusa per il bisticcio – indovina chi era il primo personaggio da indovinare?
Ma Andrea Klara Osvárt, è ovvio! Peccato solo che al termine del facile
“riconoscimento” l’attrice ungherese (assolutamente bellissima, non ci piove),
intervistata dal presentatore, Fabrizio Frizzi, sul film di Zaccaro di successiva
programmazione […], si sia espressa con queste testuali parole, che infatti virgoletto:
«abbiamo ricostruito la storia vera delle Lescano»! Oddio, che mal di pancia mi è
venuto a queste parole!
Ma veniamo alla prima puntata del film televisivo, tratto «da un’idea di Gabriele
Eschenazi» (per fortuna ci ha messo solo un’idea, altrimenti...). Dico la verità: l’ho
trovato meno peggio di quel che pensavo, e onestamente l’ammetto. La regia non è
malvagia, è solo la storia ad essere infarcita di falsità conclamate e, quel ch’è
peggio, consapevoli, dunque volontarie. Discreto l’inizio, bella la scena del bordello,
con la tariffa delle marchette che si pagava a orario, bella la casa torinese “povera”
delle Lescano coi ballatoi interni, tipici dell’anteguerra, e discrete le scene
dell’avanspettacolo, con l’albergo di Mondovì che ha un solo gabinetto (per inciso,
ricordo che a Mondovì esordì sulle scene – nel 1884, se ricordo bene – la grande
Eleonora Duse), nonché il “ricordo olandese” di Delft (uno dei luoghi più incantevoli
del mondo, legato indissolubilmente al ricordo di Vermeer); mentre la scena al
ristorante La Grange è così così, un po’ tirata via (figuriamoci tutta quella manfrina
per Barzizza: erano altri tempi, nei locali c’era più rispetto, la riservatezza dei grandi
era sacra); ho trovato davvero bellissima la scena dell’audizione EIAR, con le tre
ragazze emozionate che sfiorano i tasti del pianoforte. Anche le scene degli spettacoli
sono discrete, e in quella in cui esse incidono il disco Non dimenticar le mie parole, il
cantante che fa la parte di Emilio Livi ha proprio la sua voce: bravo. Per il resto,
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buoni i costumi e gli interni abbastanza veridici, ma... Ma quanti e spesso grossolani
svarioni! Ne elenco qualcuno.
1) Siamo nel 1935: Battiston, l’impresario, parla con due suoi colleghi, e a un certo
punto afferma con retorica interrogazione: – E chi ti trovo? – E quelli: – Rabagliati?
Natalino Otto? Peccato che nel ’35 Natalino Otto fosse ancora Natalino Codognotto e
cantasse solo sui transatlantici.
2) Quando Battiston entra nella casa “povera” delle Lescano si vede palesemente il
microfono.
3) Assurdo il fatto che Battiston offra una casa così lussuosa alle Lescano prima
ancora che queste avessero inciso il primo disco. E qui, a seguire, ci sarebbe anche la
solita balla delle «mille lire al giorno» che nessuno – tanto meno un impresario
avveduto – si sarebbe mai sognato di “sparare” così a ruota libera: semplicemente
surreale.
4) In una scena – siamo sempre nel 1935 – vien detto che «le parole straniere sono
abolite». In un’altra – siamo nel ’36 – Battiston decide di italianizzare Leschan in
Lescano, e parla di una «circolare del Regime»; ma l’autarchia linguistica di Starace
risale soltanto alla fine del ’37 o all’inizio del ’38; dunque, altra assurdità. Del resto,
non c’era bisogno di tirar fuori circolari per italianizzare dei nomi che,
semplicemente, nella nostra lingua suonavano, alla radio, più familiari ed eufonici.
Tutto qui.
5) Arbitrario e irritante il fatto che, in una esecuzione pubblica di È arrivato
l’ambasciatore, si sia attribuito ad Alessandra Lescano la parte che era (nel disco)
di Nuccia Natali. Allora, le cantanti della Radio quasi sempre si esibivano in giro
nelle stesse formazioni con cui incidevano i dischi: tant’è vero che, a Torino, spesso
le esecuzioni EIAR trasmesse alla radio venivano riprese direttamente da alcuni
locali.
Circa gli attori, non ho particolari riserve da esprimere, a parte la statura eccessiva
delle tre interpreti: le quali, però, se la cavano in modo abbastanza credibile, idem i
personaggi di contorno, a partire dalla madre: dove l’ancor bella Sylvia Kristel è poco
“granatiera”, ma forse va bene così. Il cameriere che corteggia Kitty non è un cattivo
attore e non sarebbe un brutto ragazzo, ma i suoi baffi interrotti a metà proprio sotto
il naso sono senz’altro la cosa più disgustosa che abbia visto finora nel film.
Le mie critiche, ahimè, si appuntano invece sui brani incisi dalle Blue Dolls: le quali
sono senz’altro corrette e “a tono” dal punto di vista vocale, ma – grazie alla
complicità della nuova versione orchestrale – privano molti brani delle Lescano del
loro mordente, cioè dello swing: che è tutto! Fatto ancor più significativo, tale
pecca si fa drammaticamente evidente in un brano che non è neanche musicalmente
spericolato, La gelosia non è più di moda: dove l’effervescenza dell’orchestra
Barzizza e la stessa vocalità delle interpreti si annacqua in un osceno “zum-papa” che fa semplicemente inorridire; analogamente, in Ultimissime e in un altro brano
che ora non ricordo, è evidente l’arrangiamento orchestrale che nei passaggi-chiave
delle canzoni ne “smorza” certi virtuosismi... Perché? Opinione sintetica (e chi vuol
capir capisca): perché Pippo Barzizza purtroppo non è più tra noi, e le Blue Dolls non
sono le Lescano, vale a dire, non dispongono della loro stessa magica duttilità vocale.
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Così, come succede spesso anche con certe famose soprano in difficoltà, quando
l’aria è particolarmente impegnativa l’orchestratore abbassa il registro delle note
acute, et voilà! Lo fece perfino un direttore d’orchestra come Richard Bonynge per la
moglie Joan Sutherland in un’edizione della Traviata rimasta famosa: perché la sera
del 17 febbraio 1983 al Teatro Margherita di Genova (io c’ero), durante il duetto
«Parigi o cara...» la difficoltà a cantare in quel modo fece steccare il povero
tenore, Lamberto Furlan, scatenando un putiferio colossale da parte del pubblico:
andò a finire che interpreti e direttore d’orchestra abbandonarono la scena sommersi
dai fischi, e l’opera non andò più avanti.
Trovo, infine, ironicamente amaro il fatto che si sia fatto vedere per alcuni istanti un
filmato originale delle Boswell Sisters, e nessuno del nostro Trio. Fine della prima
parte...».
◙ Mail di Franco: «Amici, ho visto, a tratti, la fiction: tutta intera non ce l’ho fatta!
Credevo piovesse, invece è grandinato. La seconda puntata me la racconterete voi, se
ce la fate a vederla.
Io non sono un santo, non sono un moralista e nemmeno un bigotto: mi considero un
“libero pensatore”, ma la volgarità, sciorinata senza alcun motivo, la dice lunga su
come siamo ridotti oggi, grazie a quello che ci viene propinato in TV. Il grave è che
certe produzioni, alla fin fine, le paghiamo noi coi soldi del canone. Un amarissimo
ciao a tutti».
◙ Mail di Sandro (ore 14.00): «Ho letto le Notizie di oggi e in sostanza – avendo
anch’io visionato completamente (con tanto di appunti) la prima parte della fiction –
sono quasi completamente d’accordo coi cinque punti elencati da Virgilio. Ma lo
sono ancora di più con Franco, per la volgarità gratuita, per la fatica che si fa ad
assistere (per citarne solo un paio di cose) alle reiterate scene nel bordello o a
quella della falsa e anacronistica concupiscenza del personaggio di Eva De Leeuwe
(fino alle scene precedenti puritana e bacchettona) nei confronti del repellente, seppur
umano, personaggio dell’impresario Fiore.
C’è una lentezza affaticante nel trascinarsi delle scene, s’indugia spesso su particolari
insignificanti, che rallentano e insabbiano il racconto e sono inutili per la
comprensione della vicenda. Non si capisce, poi, quale sia la logica dell’uso
dell’olandese, con sottotitoli in italiano, in alcune scene della madre con le figlie,
mentre in altre gli stessi personaggi parlano in italiano con forte accento straniero.
Posso dire di esser contento e fortunato per non aver visto altri “lavori” di Zaccaro,
prima di questo. Prevedo che la seconda e ultima parte, che si vedrà stasera, sarà
ancora peggiore».
29 Settembre 2010
◙ Mail di Paolo: «In dialetto ligure “borgna” è quella conchiglia (charonia tritonis)
che serve a emettere suoni cavernosi, per segnalazione o richiamo. Di uso
antichissimo nei popoli marinari, più recentemente veniva suonata durante i carnevali
o sotto le finestre di vedovi appena risposati, per dileggio o per disturbo. Ecco,
appunto: nomen omen.
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Il dr. Borgna è tutto meno che un musicista o un esperto di musica. Lo dimostra il
fatto che parli, nell’ntervista concessa a Manuel Carrera, di essere stato affascinato
dall’unisono del Trio Lescano, il che mi fa pensare alla famosa affermazione della
stessa linea melodica su ottave diverse, che un tempo qualche mattacchione aveva
piazzato nella voce Trio Lescano di Wikipedia: ovvero un’emerita cavolata (sia lode
a chi ha provveduto a toglierla). Tra parentesi, l’unisono delle Lescano non è
perfettissimo e si ascolta raramente...
Le nuove generazioni sarebbero disorientate dallo swing? Personalmente partecipo a
diversi festivals dove centinaia di coppie giovani frequentano stages di danza swing
con entusiasmo travolgente, e passo le mie giornate a trascrivere per orchestra i
successi degli anni ’40!
http://www.swingcrashfestival.com/
http://www.rockthatswing.com/en/rtsf/rtsf.aspx
http://www.belindyzenacamp.it/
http://www.belindyzenacamp.it/artists.php?type=show (guardate il video dei Killer
Dillers! Sullo sfondo ci siamo noi!
http://www.swingfestival.it/
Spiace poi che, mascherandosi dietro i “non ricordo”, il suddetto eviti di dire una
parola definitiva sull’arresto delle Lescano. È un buon politico, non c’è dubbio, ma il
fatto che persone così siano preposte alla Cultura musicale, spiega come e perché, ad
esempio, molti cari amici orchestrali del Carlo Felice di Genova siano disperati per il
lavoro che stanno perdendo...
Plaudo infine a Manuel, che cita le nostre affermazioni come “prove concrete”.
Bravo! Ecco finalmente un giovane che non teme di dire le cose come stanno.
◙ Dopo aver intervistato Gianni Borgna (v. le Notizie di ieri), Manuel Carrera ha
pensato bene di intervistare il Curatore di questo sito, quasi a voler offrire ai lettori
del Giornale di Letterefilosofia.it una sorta di contraltare della precedente intervista.
Ha quindi rivolto al Curatore cinque domande assai precise, alle quali l’intervistato
ha risposto, com’è sua abitudine, in modo sintetico, ma mai elusivo. L’intervista è
pubblicata anche nel nostro sito (v. la sezione Documenti).
◙ Ci contatta un nuovo estimatore, per offrici la sua collaborazione. Si tratta di
Tiziano Micci, che ha un proprio sito [http://www.tizianomicci.com/], dedicato al suo
hobby preferito. Ecco il testo della mail:
«Egregi signori,
immagino che dopo la trasmissione di ieri sera sul Trio, il vostro sito verrà inondato
di e-mail.
Indipendentemente dalla attendibilità o meno della rappresentazione televisiva, che
non sono in grado di giudicare, vediamone l’aspetto positivo: l’attenzione su un
fenomeno unico nella storia italiana, non solo musicale ma sociale in senso lato.
Casualmente ho trovato il Vostro sito, sentivo il bisogno di saperne di più su queste
cantanti, che ho sentito solo sporadicamente, dato che sono nato nel ’56. Inutili i
complimenti per chi si impegna in questa ricerca, indubbiamente senza alcuno scopo
di lucro!
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Visitando il sito ho visto che ricercate disponibilità a fare fotografie, in particolare io
potrei scattare qualcosa nel cimittero di Cugliate Fabiasco, posto che vivo nelle
vicinanze e, come passione, mi occupo di fotografia.
In questi giorni mi trovo in Polonia per lavoro, ma dovrei rientrare tra un paio di
settimane. Dato che il tempo che ho, quando sono a casa, è stringato Vi chiederei il
favore di darmi conferma della necessità di fotografare la tomba di Giovanni [Gianni]
Di Palma. Con vero piacere darei il mio contributo alla Vostra meritevole ricerca!
Ringrazio dell’attenzione e porgo i miei distinti saluti, ecc.».
Abbiamo naturalmente ringraziato subito questo nuovo amico per la sua generosa
offerta di collaborazione, che accettiamo più che volentieri, dandogli le necessarie
istruzioni per realizzare il servizio fotografico che a noi serve. Siamo però desolati di
non poter condividere il suo ottimismo circa l’utilità della fiction televisiva: noi
temiamo infatti che essa, ben lungi dal suscitare in molti telespettatori un sano
interesse per la vera storia del Trio Lescano, li induca a prendere gli aberranti
contenuti della fiction per verità storicamente documentate. Non si dice forse che
l’erba cattiva scaccia quella buona?
◙ Virgilio ci segnala un sorprendente articolo, apparso su La Stampa di Torino. È
intitolato Blue Dolls-Trio Lescano la fiction si tinge di giallo ed è a firma di Luca
Indemini. Il sottotilo ne chiarisce meglio il contenuto: Il trio torinese interpreta tutte
le canzoni del film ma il ruolo non è riconosciuto.
http://www3.lastampa.it/torino/sezioni/musica/articolo/lstp/341692/
Che dietro la realizzazione di questa miniserie Rai, prodotta dalla Casanova
Multimedia di Luca Barbareschi, ci siano cose poco chiare ce ne siamo già accorti
constatando il cambiamento, all’ultimo momento, del titolo del volumetto di Gabriele
Eschenazi pubblicato dall’Editore Einaudi. Ora salta fuori che le Blue Dolls, le quali
interpretano la totalità delle canzoni incluse nella fiction (mentre le tre attrici fanno
solo finta di cantare), sono state “oscurate”. Avrà ragione Paolo Volante, manager di
Viviana, Flavia e Angelica, quando ipotizza che la «Rai Fiction non abbia piacere che
si parli del ruolo delle Blue Dolls», per cui le tre artiste italiane «potranno vivere il
loro momento di gloria solo sui titoli di coda»?
Dubitiamo che si possa mai sapere come sono andate realmente le cose dietro le
quinte: vale comunque la pena di leggere l’articolo in questione perché, per una volta,
è scritto bene da un giornalista che non ha paura di dire pane al pane. Come piace a
noi.
◙ Lunedì scorso siamo stato contattati, verso mezzogiorno, da tale Angelo van
Schaik, il quale ci scriveva: «Per la Radio Nazionale Olandese sto preparando un
reportage sul Trio Lescano, perché stasera ci sarà il primo [episodio] della fiction
sulla loro vita. Per quel reportage vorrei intervistare un esperto, sulla popolarità e la
musica del gruppo. È possibile trovare, tramite vostro, una persona a Roma che possa
svolgere tale ruolo? L’intervista non durerà più di 20 minuti, però dovrebbe aver
luogo oggi o, al limite, domani mattina».
Abbiamo prontamente fatto i nomi di Sandro e Manuel, che abitano appunto nella
Capitale e si possono senz’altro definire “esperti” di cose lescaniane. Solo il secondo
è stato contattato e l’intervista si è svolta regolarmente. Ecco cosa ci ha scritto
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Manuel in serata: « Intervista italo-olandese fatta: un ragazzone indigeno è venuto a
casa mia con tutto l’occorrente e mi ha tenuto mezz’ora al microfono. Scopro però
che quello che verrà trasmesso durerà appena 5 minuti: insomma, sembrerò un
cretino. Spero almeno che facciano un’intelligente selezione di quanto ho detto.
Erano per lo più considerazioni personali…».
La speranza del nostro collaboratore si è purtroppo rivelata illusoria, perché ciò che
gli olandesi hanno mandato in onda riflette ben poco il pensiero di Manuel, che è
anche il nostro pensiero. Sentite cosa ci ha comunicato ieri sera l’interessato: «Ecco
la registrazione: lo speaker traduce tutto quello che dico, quindi non si sente molto di
mio. Trovo strano che, tra tutte quelle che mi ha fatto, abbia scelto le domande meno
interessanti.
Nella prima mi chiede se fosse strano sentire cantanti con un accento olandese: io ho
risposto che non mi trovavo d’accordo, le parole si capiscono, e comunque gli italiani
erano abituati a sentir parlare degli stranieri (anche semplici soldati, vaganti per paesi
e città). E che anche in quel periodo l’Italia ero meno chiusa verso le altre culture di
quanto attualmente si crede.
Poi ha osato chiedermi se si potessero paragonare le Lescano alle Spice Girls: gli ho
risposto che probabilmente solo per via della celebrità, dal momento che proprio tutti
conoscevano le loro canzoni, ma... assolutamente non paragonabili per la qualità!
Nella loro musica c’era del raffinato, dell’artistico... non di certo mera apparenza (mi
pare di sentire che abbia tradotto alla lettera il tutto, e ne sono contento)!
Terza domanda, della trasmissione ovviamente: com’è possibile che fossero in libertà
nonostante fossero ebree? Chiaramente, come potete sentire, ha tagliato quasi tutta la
mia risposta, in cui mi sono preoccupato di citare anche il saggio di Virgilio Zanolla
(ormai ne parlo con tutti!). Quando menziono la tessera, ovviamente mi riferisco
all’adesione al fascismo... Tagliato così, sembra che stia parlando dei punti della
Despar. Vabbè. Il fatto grave è che dopo parli – così mi sembra – di arresto e
persecuzione (non conosco l’olandese, vado ad orecchio): non mi avrà manipolato la
risposta?
Quarta ed ultima domanda, molto semplice: perché sono state dimenticate? La mia
risposta è stata che, da aspirante storico dell’arte, mi rendo conto che tutto quello che
è accaduto in arte in quegli anni, è stato accantonato anche per un processo di
rimozione di tutto quanto potesse ricondurre alla guerra, al fascismo. Insomma, una
sorta di tabula rasa.
Spero di non aver fatto una figuraccia troppo ‘accia’. Ho quasi vergogna a farvela
ascoltare. Domani dovrebbe uscire anche un articolo scritto, ma non conosco nessuno
che lo possa tradurre».
◙ Mail di Paolo: «Da un agghiacciante documento (pagina 29)
[http://www.comune.bolzano.it/UploadDocs/2193_The_Concentration_Camp_in_Bz_Le_Camp_de
_concentration_de_Bz.pdf] apprendiamo che Giuseppe Funaro fu arrestato a Genova nel
’44, e deportato ad Auschwitz il 24 Ottobre di quell’anno. A rigore, in quel periodo le
Lescano dovevano essere già al sicuro in montagna, o comunque lontane da
Genova...
Inoltre proprio non capisco cosa c’entri il povero Aaron de Leeuwe, che non aveva
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figli, né risiedeva in Italia, né, purtroppo, era ancora in vita nel 1943...
Credo che prendersi degli arbitrii del genere su un tema così doloroso come le
persecuzioni razziali sia la macchia più lercia che abbiano commesso soggettisti e
sceneggiatori de Le ragazze dello swing, con Eschenazi in testa».
◙ Mail di Virgilio, intitolata Le watusse dello swing, II: «...Seconda ed ultima
puntata. Comincio a chiedermi chi siano questi misteriosi personaggi: il Piero che
ha “torbide attenzioni” verso Judith, il famoso cameriere dai disgustosi baffi interrotti
che ama Kitty, il capetto fascista (Sergio Assisi) che subisce misteriose e inquietanti
mutazioni ‘tricotiche’ (dato che quando fa l’amore con Alexandra ha i lunghi ciuffi
assassini che gli ondulano ai lati del viso, mentre quand’è in servizio, viceversa, la
brillantina non è mai troppa, e c’è senz’altro una stiratrice che gli pialla la chioma sul
cranio). Circa, poi, la questione del Capodanno Fascista, e del rifiuto del Trio a
cantare, nutro forti perplessità che, davanti a tale proposta le nostre olandesine
avrebbero detto di no, e meno ancora che l’avrebbe fatto per loro la madre Eva. Gli
sceneggiatori confondono troppe volte (forse a bella posta) la cronologia dei fatti: nel
’37 non c’erano ancora persecuzioni razziali in Italia, anche se Mussolini aveva
appena firmato il patto Roma-Berlino. Ad esempio, nel ’37 un gerarca tira fuori una
battuta sugli organi genitali attribuita a Starace: senz’altro prematura,
però. Certamente per errore (un po’ d’attenzione!) appare la sovrascritta «1936» in
luogo di «1938»: ma, anche la scritta fosse stata giusta, riguardo alla persecuzione
ebraica si attribuiscono al ’38 comportamenti che sono troppo in anticipo sui fatti; il
certificato di non appartenenza delle Lescano alla razza ebraica, poi, è del novembre
’39: e quanto alle tessere fasciste, a consegnargliele provvide probabilmente qualche
incaricato del Prefetto, non certo un gerarca imbecille recandosi saltellante nel loro
camerino. Bellissima (la migliore della puntata) la scena in cui il Trio gira la famosa
scena di Ecco la radio!, visibile anche su YouTube. A questo punto, tuttavia,
confesso d’avere perso il bandolo della matassa: ma Giuseppe Funaro non amava
Judith? e allora come mai finisce a letto con Alexandra? Mistero gaudioso: tanto il
poverino non può più parlare, e quindi non può mandare gli sceneggiatori dove certo
molti li staranno invitando urgentemente a recarsi.
Sulla faccenda dell’arresto genovese mi piacerebbe tanto soprassedere, ma come si
fa? Quelle scene sono un insulto al buon senso, prima che alla verità: proprio tutte. A
partire da quella dell’arresto: con un drappello di militari armati fino ai denti che
scende da un camion per recarsi - insostenibile leggerezza dell’essere! - proprio sul
palco del cine-teatro dove canta il Trio; ma neanche le Sturmtruppen di Bonvi
avrebbero agito con tale elefantiaca idiozia: qui si offendono veramente gli esponenti
della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, che di offese magari ne avranno
meritate mille, per carità, meno quella di essere stati dei deficienti! Riguardo
all’interrogatorio, con lo pseudo-commissario che domanda di Tuli-Tuli-Tulipan, c’è
da toccarsi per vedere se siamo veri... E dopo tante nequizie nei confronti delle nostre
tre, cosa succede? Che proprio il comandante nazista, cioè quello indiziato come
cattivone numero uno, chiede alle Lescano di cantare in concerto: ma che anima
candida! Ora, a parte il fatto che gli uffici carcerari e gli interni di Marassi sembrano
la reggia di Versailles (venite a vederli...), figuratevi un po’ quale morale per la
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cittadinanza e i nostri prodi combattenti nel sentire arrivare da un carcere il rumore di
una festa! Come se l’equivalente cileno di Vasco Rossi si fosse recato a cantare nelle
carceri di Santiago, dove stavano i disperati cacciati lì da quella canaglia di Pinochet.
La scena in cui il nostro Trio canta La gelosia non è più di moda in mezzo ai detenuti,
che ululano di piacere manco fosse appena scappato dalla sua cella Papillon o
Rambo, è semplicemente da mentecatti, e raggiunge – quasi – il livello d’idiozia del
finale di Novecento parte II di Bertolucci, quando i partigiani, anziché far finalmente
la festa ai fascisti loro persecutori, gettano le armi e si mettono tutti a suonare il
violino e a danzare come fossero alla festa del paese, o – più attendibilmente – come
fossero tutti ‘fatti’ di qualche sostanza... Ciliegina finale su questo splendido esempio
di aderenza al buon senso: nel momento in cui le nostre olandesine escono dal
carcere, chi va ad attenderle lì fuori, con grande sprezzo del pericolo? Proprio la
madre, l’israelita Eva de Leeuwe! A questo punto, quale importanza assume il fatto
che non ci sia mai stato nessun arresto delle Lescano, e quasi certamente neppure
alcuna denuncia? Inutile insistere su questo tasto, quindi procedere sulle assurdità
riguardanti il tentato salvataggio di Funaro da parte di Alexandra, eccetera: ormai la
misura è colma. Tutta la storia procede secondo la più stucchevole e inveterata
banalità narrativa, coi fascisti cattivoni e opportunisti da una parte, i partigiani esaltati
dall’altra... Un fascista perbene e un partigiano meno propenso a sbraitare a destra e a
manca col fucile in mano, no, eh? Eh certo, a sforzarsi di concepirli così, fumano i
pochi neuroni che uno ha... Mi par quasi di sentirli, gli autori di questa meraviglia,
sbottare: «Oh, questi rompiscatole che importunano i veri creatori con le loro
volgarissime fisime sulla verità storica, che ormai non interessa più a nessuno!».
Passiamo dunque, di nuovo, ad altre note dolenti: che sono sempre le stesse, ovvero
l’inadeguatezza della veste musicale. Ieri, nella prima puntata, ho criticato le Blue
Dolls: ed è vero, non sono certo le Lescano; ma preso atto di questo assioma, bisogna
ahimè ribadire il fatto che chi ha orchestrato e diretto le canzoni non è Pippo
Barzizza: e questa ‘pecca’ è assai più evidente e più grave. Ho riascoltato
attentamente i brani: in tutti, in sottofondo, si avverte quel disgustoso ’zum-pa-pà’
che spezza il dinamismo dello swing e lo annacqua, costringendo il suo ritmo a
un’esecuzione che richiama vagamente certi concerti bandistici nelle piazze di paese.
D’accordo, Barzizza era il Raffaello Sanzio della bacchetta, ma per carità, bastava un
po’ di sbrigliatezza: neanche un Pinturicchio, come avrebbe detto l’Avvocato
buonanima, anche solo un Francesco Botticini: purché onesto e di buona
volontà... Ma la buona volontà in questo film televisivo è come l’araba fenice...
In conclusione: ho visto solo un paio di scene memorabili, quella del Trio negli studi
dell’EIAR in attesa della prima audizione e quella del Trio quando interpreta Papà e
mammà per il film Ecco la radio! S’intende, qualche altra bella scena c’è stata, per
carità, anche se non così alta. Ma se mettiamo sui piatti della bilancia il buono e il
cattivo, quale piatto potrà essere a pesare di più?».
Un’unica osservazione. La tessera di adesione al Partito Nazionale Fascista, che nella
fiction le Lescano sono di fatto costrette ad accettare dalle mani del Prefetto (Giuditta
però si mostra meno recalcitrante di Sandra e Caterina), nella realtà fu richiesta dalle
tre sorelle, col tono quasi della supplica, al Duce in persona. Detta tessera l’ottennero
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in data 29 Ottobre 1942 (v. Appendice 5). Tutta la pratica è custodita presso
l’Archivio di Stato di Roma: chissà se il trio Eschenazi-Ippoliti-Zaccaro, queste cose,
le sa? E se i sullodati le sanno, con quale coraggio hanno falsificato in tal modo la
Storia?
◙ Mail di Giovanni: «Della fiction ne avrò seguiti cinque minuti, le finzioni non mi
interessano: ne avverto la falsità... ».
30 Settembre 2010
◙ Mail di Lea: «Amici, permettetemi innanzi tutto di ringraziare pubblicamente
Virgilio per le belle parole che ha speso per me. Non so se le merito, ma temo che,
dicendo di sì, darei l’impressione di emulare un certo regista televisivo cui piace
gonfiarsi come la rana di Fedro, col rischio di fare, prima o poi, la stessa fine. Quanto
alle mie supposte doti letterarie, diciamo che so scrivere un po’ meglio di quel tal
giornalista-scrittore (di successo), il quale non sa neppure che la terza persona
singolare del presente indicativo dell’ausiliare essere si scrive è e non e’: strafalcioni
del genere mi vanto di non averne mai fatti in vita mia, e forse non li faceva neppure
il collodiano Lucignolo, quello destinato a diventare – meritatamente – un bel ciuco.
Che dire della fiction appena conclusa? Ciò che di essa mi è piaciuto di più è la sua
(relativa) brevità. Non ho chiuso occhio un’intera notte al pensiero che potesse durare
non due puntate, bensì quattro o – prospettiva per me da incubo – addirittura otto:
con, di conseguenza, svariate altre scene nei postriboli e innumerevoli altri amplessi
filmati a distanza ravvicinata, da quelli al calor bianco di Alessandra (gesummaria,
chi l’avrebbe mai detto, guardando le foto che di lei ci restano, che fosse assatanata a
quel punto?) a quelli, presumibilmente più tranquilli, dell’attempata, ma tutt’altro che
rinunciataria mamma Eva. C’è da scommettere che la fiction, se solo fosse durata più
a lungo, ci avrebbe regalato senza fallo qualche corpo a corpo pure di quest’ultima, e
non solo con l’impresario partenopeo Fiore, piccolino e dagli occhi bovini, ma anche
con l’altro suo collega, il corpulento tabagista e buona lana Canapone. Proprio lui, sì,
quello che alla fine scappa in Brasile col tesoretto, tirando un colossale bidone non
solo alle Lescano, ma, peggio ancora, alla sventurata prostituta dal cuore d’oro, che si
illudeva di venir da lui redenta e magari, chissà, perfino impalmata. Tutto inventato,
ben inteso, ma di sicuro effetto su un pubblico di Calandrini.
Ecco, è proprio questa miserella maddalena una delle poche figure di secondo piano
che mi siano piaciute. Tutti gli altri comprimari li ho trovati stucchevoli e scialbi,
specie i musicisti: Barzizza, Kramer, Prato (!) e compagnia non mostrano nella
fiction un briciolo di personalità, tanto che al loro posto si potevano mettere
tranquillamente dei manichini, risparmiando sul budget. Si direbbe poi che fumare in
continuazione sia l’unica attività che li tenga occupati e, ahinoi, li diverta. Già, questa
è un’altra cosa che mi ha dato enormemente fastidio: il film sembra essere un lungo
spot pubblicitario a favore di sigarette, sigari e pipe, e meno male che ci sono state
risparmiate altre tecniche inalatorie, tipo spinelli, sniffate, narghilè e simili.
In conclusione sono anch’io del parere che il denaro pubblico della Rai – suppongo
tanto – si poteva spendere in cento altri modi, sicuramente migliori di questo. Tutti
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quelli che hanno partecipato all’allegro festino andrebbero mandati a casa, o, ancor
meglio, a tener compagnia a Lucignolo. Non occorre che vi precisi dove».
◙ Mail di Alessandro: «Anch’io, come molti altri collaboratori, ho seguito entrambe
le puntate de Le ragazze dello swing. E anch’io, come molti altri, sono rimasto assai
deluso. Mi trovo pienamente d’accordo con tutti gli appunti fatti da Virgilio e non ho
molto da aggiungere. Posso dire, però, che per quanto mi sia sforzato di capire, non
sono riuscito a spiegarmi alcune scelte fatte, immagino, dai soggettisti e dagli
sceneggiatori, che hanno caratterizzato l’intero svolgimento della storia. Ad esempio,
la scoperta delle Lescano e il loro debutto davanti ai microfoni radiofonici è tuttora
materia di discussione, dato che esistono decine di versioni differenti e contrastanti
fra loro, quindi capisco benissimo la scelta dei soggettisti di inventarsi la storia della
scalcinata compagnia di Gennaro Fiore, che serve, oltre a dare un inizio al film, anche
a dare un’idea sul mondo dello spettacolo di quel periodo. Tuttavia non capisco
perché andarsi a infangare mettendo di mezzo il personaggio dell’impresario Canapa,
quando sappiamo benissimo che l’impresario delle Lescano di quel periodo era
Enrico Portino. In fondo non cambiava molto.
Seconda cosa: perché inventare di sana pianta tutta quella storia del Capodanno
fascista con l’abbandono di mamma Eva? Forse per accentuare l’avversione delle
Lescano al Regime e per introdurre la storia delle tessere del PNF? Ma mi dico: non
era più bello, e anche più intrigante, un soggetto dove si vedesse queste tre povere
ragazze che, in un periodo alquanto caotico, per salvare la madre e per tutelarsi anche
loro, facevano richiesta della cittadinanza italiana e delle tessere del PNF? In fondo
anche così, ovvero romanzando la verità storica, si arrivava alla conclusione che le
Lescano non erano in sintonia col Regime, né, probabilmente, ci capivano niente di
politica, ma furono costrette a fare determinate azioni per salvare la pelle. Altra cosa:
qual è il senso della storia d’amore tra Giuseppe Funaro e Alessandra? Accentuare
ancora di più il fatto della deportazione e della morte di Funaro, amico delle
Lescano? Ma anche qui: non era più semplice narrare una semplice amicizia fra
Funaro e il Trio, magari inventando alcune serate fatte insieme chissà dove (del resto
chi può dirci il contrario?), evitando cioè di manipolare un po’ troppo la verità? Del
resto se volevano una storia d’amore fra una Lescano e un’orchestrale c’era quella di
Giuditta con Cianfanelli. Queste sono due fra le cose che non sono riuscito a
spiegarmi.
Ci sono poi vari errori: Alberto Rabagliati che nel 1937 pasteggia assieme a Pippo
Barzizza a Torino, durante un concerto delle Lescano. Peccato che Rabagliati, in quel
periodo, fosse in tournée con i Lecuona Cuban Boys; egli tornerà in Italia, per di più
a Milano e non a Torino, solo nel 1939, debuttando pochi mesi dopo all’EIAR,
ovvero quando le Lescano erano già “le tre Grazie del microfono” e Rabagliati non
era nessuno: quindi è inutile la scena dei fiori a Caterinetta, con le sorelle che parlano
di “Rabagliati, Rabagliati”, come fosse chissà quale divo! Anche qui bastava
documentarsi un po’ (diciamo un minimo) e far slittare la scena di tre anni, per
ambientarla, magari, fra gli studi EIAR, con Caterinetta corteggiatissima da
Rabagliati e da Aldo Donà. Altro errore grossolano: per tutto il film presenzia fra i
direttori d’orchestra EIAR, Gorni Kramer: peccato che Kramer fosse stato allontanato
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dall’EIAR a causa della sua Crapa pelada, motivo censuratissimo del 1936. E
soprattutto Kramer non era fra i direttori d’orchestra di Radio Torino! Infine un errore
logico: per Maramao perchè sei morto? viene convocato davanti al commissario
Mario Panzeri, autore del pezzo; poco dopo per Tulipan, vengono convocate le tre
sorelle Lescano, esecutrici del pezzo. Allora, mettiamoci d’accordo: la colpa è
dell’uno o delle altre?
Per tutto il film non viene mai citato il Maestro Cinico Angelini. Durante l’esibizione
di Piccole stelle dell’attrice che interpreta Nuccia Natali, si sentono volare, tra gli
applausi, alcune grida: “Brava Nuccia! Brava Nuccia!”. Però nessuno, poi, dice il suo
nome per esteso. I vari Bonino, Carboni, Garbaccio, Fioresi, Bruni, Termini,
Boccaccini è come se non fossero mai esistiti. Magari qualche scena in meno tra i
bordelli e una scena in più fra gli studi EIAR avrebbe fatto la differenza».
◙ Mail di Christian: «Ho visto quasi tutta la miniserie sulle Lescano. Purtroppo sono
rimasto parecchio deluso e anche un po’ irritato, lo confesso. C’era l’occasione di
fare qualcosa di sensato e bello, e magari anche veritiero, per raccontare una vicenda
umana che già di per sé rappresenta la trama di un romanzo d’altri tempi. Invece ho
visto solo “macchiette” e falsificazioni grossolane.
Capisco che scegliere tre attrici di piccola statura, e magari non bellissime, poteva
sembrare una soluzione inopportuna, ma le tre pur splendide protagoniste non
somigliano neanche lontanamente alle Lescano, almeno per come le abbiamo sempre
viste e le conosciamo attraverso le tante foto che tutti noi abbiamo in mente. Non
bellissime, forse, ma graziose e fini: in special modo Alessandra, secondo me.
Per tutto questo, passi... ma la recitazione per quello che ne so io, è pur sempre
un’altra cosa. In Rai non si riesce più a ripetere la magia dei grandi sceneggiati degli
anni Sessanta. Ovvio: Bice Valori, Gino Cervi, Paolo Panelli e compagnia bella sono
purtroppo morti, e con loro un’epoca fatta di attori capaci e credibili.
Un altro elemento (su mille altri che sarebbe troppo lungo elencare) mi ha proprio
stupito e seccato. Come possono pensare che in Eiar, alla visione di un filmato delle
Boswell Sisters – e almeno questa ‘filiazione’ è stata riconosciuta – i musicisti
presenti dicano “Senti che ritmo? Questo lo chiamano swing”? Nel 1935? Nel Luglio
di quell’anno Kramer aveva già inciso diversi brani splendidi, pieni di... non può
essere! Swing! Ascoltate ad esempio I Promise You, risalente al 1932 ca.
All’epoca, se non sbaglio, da almeno 10 anni i musicisti italiani che si occupavano di
musica ritmica sapevano benissimo cosa fosse lo “swing”. Barzizza stesso racconta
che intorno al ’29, dopo aver ascoltato un disco di Whiteman, rimase folgorato, e
anziché andare a fare il copista alla Scala di Milano, decise di dedicarsi al “jazz” a
tempo pieno. Perché? Ma perché era musica che aveva swing, senza dubbio!
Negli splendidi affreschi che molti ammirano sulle pareti delle più belle chiese in
Italia, i Santi vengono riconosciuti grazie al simbolo che li rappresenta. Santa Lucia?
Una bacinella con gli occhi. San Lorenzo? Una graticola infuocata. San Sebastiano? I
dardi che lo trafiggono. Ma allora perché Kramer (Kramer? in Eiar?) dovrebbe avere
con sé sempre la tromba, o Barzizza la famosa pipa? A me è sembrata una forzatura
ridicola, che abbassa tutti i personaggi a livello di macchiette, come poteva fare
Maldacea per prendere in giro i “tipi” umani.
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Insomma, un’altra occasione mancata!».
◙ Mail di Peppa P. [cognome abbreviato anche nell’originale: che stia per Pig, come
l’eroina del famoso cartone animato?]: «Salve, cercando notizie in Internet sul trio
dell’epoca fascista, sono capitata sul vostro sito. In verità non sarebbe impostato
male, ma siete antipatici, perché troppo saccenti. Si direbbe che sapete tutto voi,
mentre gli altri sono mezzi scemi e anche disonesti, in quanto, secondo voi,
raccontano solo balle. Un po’ di modestia, vi ci vorrebbe, ecco! Odiosa, poi, la vostra
campagna denigratoria nei confronti del film per la tv Le ragazze dello swing, che io
ho trovato bellissimo, penso il migliore in assoluto tra quelli finora realizzati dal
grande Zaccaro, che sono tutti dei capolavori. E che dire poi dell’interpretazione di
Sergio Assisi, che io giudico da premio Oscar, ma che voi non avete neppure notato?
Avete il prosiutto [sic] sugli occhi oppure siete maledettamente gelosi, perché lui è
bello come un dio, mentre voi siete brutti e magari anche vecchi e sdentati? Non vi
guarderò più».
Il Curatore assicura la gentile visitatrice occasionale che i suoi denti sono tutti al loro
posto (meno due del giudizio, che purtroppo ha dovuto togliere) e in buono stato di
salute. Quanto alle età dei collaboratori del sito, esse sono tutte rappresentate, dai 16
agli 82 anni.
◙ Mail di Max: «Non entro nel merito sulla qualità e la verosimiglianza storica della
miniserie, vi invito solo ad una riflessione. Come sapete, come Maxmenox60, ho
pubblicato su YouTube più di cento video di canzoni anni Trenta-Quaranta. I miei
video hanno complessivamente circa 1.500 contatti giornalieri, con punte fino a 1.800
nel fine settimana. Ieri ed oggi i contatti sono passati a 15.000 ! Tutti, dico tutti,
grazie alle Ragazze dello Swing. Solo La gelosia non è più di moda che fa da
leitmotiv allo sceneggiato ha avuto più di 5.000 contatti! Bella o brutta, verosimile o
no, la serie ha suscitato un interesse per il Trio incredibile, e questo a me sta bene».
Sta bene, anzi benissimo pure a noi, tanto più che l’amico Max fa ascoltare la
versione originale della meravigliosa canzone e non quella taroccata della fiction. Ci
dispiacerebbe però che qualcuno, sulla scia delle giuste considerazioni di Max, fosse
indotto a pensare che la fiction Rai abbia (ri)destato tanta curiosità intorno alle
Lescano proprio perché è una pacchianata, mentre, se fosse stata realizzata con criteri
diversi, più rispettosi della verosimiglianza storica, avrebbe fatto flop.
◙ Mail di Massimo Baldino: «Ho visto in TV la fiction sulle Lescano. Cosa posso
dirvi, è più o meno come me la immaginavo: romanzata all’eccesso, piena di
errori/orrori e di inesattezze inaudite. Non saprei proprio cosa aggiungere, e trovo un
unico aspetto positivo: che qualcuno, vedendola, imparerà se non altro a conoscere
l’esistenza di queste tre splendide artiste, ricorderà il loro nome. Alludo ai giovani,
soprattutto, mentre chi già ne conosceva l’esistenza, ma non conosceva la loro vita,
finirà (e questo è l’aspetto negativo) per conoscerla in modo approssimativo ed
errato.
Del resto i film biografici sono quasi sempre soggetti a questo doppio risvolto.
L’esigenza di romanzare (anche dove non sarebbe il caso), di supporre dove sarebbe
invece meglio approfondire o piuttosto glissare, e di voler rendere eccezionale ciò che
sarebbe già di per sé speciale, contagia in questo genere di lavori quasi tutti gli
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sceneggiatori, con devastanti conseguenze per l’attendibilità dell’opera.
La seconda parte della fiction (di nome e di fatto) scade poi nel ridicolo più
drammatico. Era ovvio che un lavoro così complicato (come sempre è quello di
ricostruire un’esistenza, figuriamoci tre!), affrontato con tanta leggerezza e
approssimazione, man mano che si avvicinava agli episodi più cruenti e intricati, sia
della loro vita che della realtà storica del paese (perché pure su quella sono stati
commessi svarioni imperdonabili), non poteva che claudicare sino alla rovinosa
caduta.
Credo che non solo chi con molta passione si è interessato alla vita e alle personalità
delle tre ragazze che “fecero innamorare l’Italia” col loro swing semplice e al tempo
stesso sensuale, ma pure chi, ignaro della loro vita e persino della loro esistenza, si
sia posto all’ascolto della strampalata ricostruzione del regista Zaccaro, avrà notato
tutta una serie di situazioni insostenibili e storicamente false, tali – già da sole – da
squalificare l’opera televisiva, riducendola ad un volgare tele-romanzetto di infima
qualità, roba da telenovela sudamericana.
Si può, come dicevo poc’anzi, romanzare e fantasticare su tutto, il linguaggio
cinematografico lo permette; si può condire il racconto con episodi e licenze creative,
forse pure necessarie per avvolgere maggiormente lo spettatore e fare maggiormente
leva sulla sua emotività, ma non si può stravolgere la personalità dei protagonisti
(quando questi sono realmente vissuti), non si può evocare episodi mai avvenuti o
cambiarne nei contenuti più profondi il vero significato e valore: non si può insomma
stravolgere la storia o ricostruirla modellandola a proprio piacimento, per far tornare
i conti in qualche modo.
Se non avessi neppure saputo dell’esistenza delle Lescano e le avessi conosciute solo
per merito (diciamo così) della fiction di Rai Uno, mi sarei fatto l’idea di tre
avventuriere olandesi sbarcate chissà come in Italia in cerca di fortuna, pronte a
qualsiasi compromesso pur di farcela. Di tre cantanti per caso, conniventi con il
Regime fascista (e tutti i suoi aspetti riprovevoli), il quale, dopo averle sfruttate in
tutti i sensi, le ha abbandonate al loro destino, pur garantendo in qualche modo
almeno la loro incolumità fisica. In definitiva tre furbone (anzi due, perché la
figura di Caterinetta è l’unica che esce bene dal film), che ci hanno provato e gli è
andata bene, almeno sino a un certo punto, prima del precipitare degli eventi... Non
una traccia della loro arte, non un accenno alla loro sensibilità artistica e umana, non
una spiegazione del come e perché l’Italia si sia così presto dimenticata di loro
(almeno nell’immediato dopoguerra), né del perché loro abbiano deciso di chiudere
l’Italia fuori dai loro cuori. Mi sarebbe piaciuto almeno un finale esplicativo e magari
(se l’avessi creato io) antropologico: credo infatti che i popoli tendano spesso a
rimuovere dalla loro mente e dai loro cuori i simboli di un tempo, quelli che vogliono
dimenticare.
Ecco le mie amate Lescano, che continuano a commuovermi ogni volta che le
ascolto, hanno rappresentato ahimè, loro malgrado, un simbolo di quegli anni bui e
questo fu per molto tempo per la maggior parte degli italiani un “problema”
insormontabile. Era davvero così difficile narrare la vera storia di queste tre artiste,
soffermandosi maggiormente sulla loro inarrivabile bravura?».
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◙ Mail di Sandro Alba: «Non ho granché da aggiungere al commento di Massimo
Baldino, se non che fare cultura male è peggio che non farla. La sceneggiatura de Le
ragazze dello swing è raffazzonata, frettolosa, assolutamente carente per ciò che
concerne il periodo storico in cui è inquadrata la vicenda, nonché la psicologia delle
tre protagoniste. L’aspetto artistico è marginale (tanto che a volte si ha l’impressione
che il trio si esibisca prevalentemente in circoli dopolavoristici di periferia).
L’infanzia delle Lescano è inoltre trascurata, e solo di striscio si intuisce la figura
paterna, che ebbe invece un ruolo non secondario nella loro formazione. Il maestro
Barzizza appare come una “pipa”, una macchietta ridicola, mentre sappiamo quanto
fu importante per la vicenda umana e artistica delle tre artiste. La storia d’amore di
Alessandra con Giuseppe Funaro credo sia inventata [proprio così - NdC], e anche il
patetico finale della pagliuzza appare assolutamente inverosimile. Quanto allo swing,
non si capisce dove le Lescano lo abbiano acchiappato, visto che non c’è alcun
riferimento storico alle avanguardie musicali del tempo.
Infine credo di aver letto da qualche parte che Benito Mussolini fosse un fan delle
Lescano. Si aveva paura a citarlo? E paura di che? Dietro allo spettro nero del
fascismo, il “manovratore” dirigeva pure le quisquilie e forse fu proprio per suo
volere che le tre cantanti olandesi, figlie di madre ebrea, furono salvate dai campi di
sterminio.
Mi sento invece di spezzare una lancia a favore degli attori: tutti bravi, stranamente, e
addirittura commovente l’interpretazione delle tre attrici protagoniste, immedesimate
nei ruoli e all’altezza della situazione. Ma un Majano o un Bolchi avrebbero fatto di
questa “cosuccia” un capolavoro».
Ringraziamo per questo suo intervento, così equilibrato e penetrante, l’amico Sandro
Alba, che è l’insostituibile collaboratore di Massimo Baldino nella gestione del sito Il
Discobolo, mai abbastanza lodato: non per nulla è la cassaforte sicura della nostra
memoria musicale, quella che più merita di venir preservata per le future generazioni.
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Appendici
1) Poesia di Rina Franchetti
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2) Intervista del Curatore del sito Ricordando il Trio Lescano
alle ideatrici del “Trio Marrano”
D. - Cominciamo col precisare i motivi che vi hanno spinte ad adottare per il vostro
Trio un nome alquanto bizzarro, che potrebbe anche essere male interpretato, dato
che, nel linguaggio corrente, il termine “marrano” ha un significato spregiativo.
R. - L’idea iniziale era quella di trovare un nome che richiamasse l’epoca e avesse un
sapore antico… Lo spunto ci è arrivato in fase di studio del brano Il Pinguino
Innamorato, in cui il papà della pinguina caccia lo spasimante chiamandolo
“marran”. Trio Marrano ci pareva carino anzitutto per l’assonanza con Lescano,
inoltre ricercandone il significato abbiamo scoperto che originariamente con questo
termine si indicavano coloro che furono costretti a convertirsi al Cristianesimo
durante il periodo dell’Inquisizione Spagnola. In qualche modo abbiamo subito anche
noi una piccola “conversione”, date le nostre esperienze musicali passate, pertanto il
nome ci pareva appropriato alla situazione! Per quanto riguarda l’accezione negativa
che ha poi assunto, ci piace interpretarne positivamente il significato intendendolo
come sinonimo di “simpatica canaglia”.
D. - Un’altra spiegazione opportuna riguarda il vostro organico, curiosamente
composto da due voci femminili più una maschile: è una scelta più o meno
contingente o addirittura casuale, oppure essa risponde ad un progetto ben preciso,
avente come base di partenza il desiderio di differenziarvi dagli altri Trii (tutte
ragazze o drag queens) che fanno rivivere il repertorio del Trio Lescano?
R. - La scelta è stata decisamente voluta e non casuale. L’esigenza era quella non
tanto di differenziarci da altre situazioni artistiche, piuttosto di creare una compagine
che fosse unita soprattutto dal punto di vista umano, oltre che tecnico-vocale.
Inizialmente abbiamo cercato un contralto, ma purtroppo è molto difficile trovare
artiste donne in grado di collaborare senza voler imporre il proprio divismo innato. In
un progetto come questo sono solo l’unità delle intenzioni e il sapere rimanere al
proprio posto, senza eccedere, gli ingredienti per dare vita ad un buon spettacolo. Un
uomo alla fine ci è parsa la scelta migliore per completare il nostro trio. Inoltre Diego
ci ha dato l’opportunità di poter ampliare il repertorio con brani maschili. (Natalino
Otto, Ernesto Bonino).
D. - Nel vostro logo è ben precisato che intendete riproporre lo «Swing italiano degli
anni Quaranta». Perché una tale opzione, che può apparire limitativa? La musica
leggera italiana di quel periodo è infatti ben lungi dall’essere tutta swingata, e le
stesse Lescano eccellevano in molti altri generi, assai lontani dallo swing: uno fra
tutti quello della canzone melodica, a tempo di slow e con testi decisamente
romantici, come Senza parlare, Come l’ombra, O luna pallida, ecc.
R. - La scelta è di carattere logistico-commerciale. Nel proporre uno spettacolo vi è
l’esigenza di creare uno “slogan” che aiuti lo spettatore a capire sin dal primo
momento che legge un cartellone che cosa andrà a vedere e ascoltare. In realtà la
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nostra scaletta include oltre a brani tipicamente swing anche brani più melodici come
Ma l’amore no o È arrivato l’ambasciatore.
D. - Colpisce nei tre brani ascoltabili nel vostro sito a titolo dimostrativo, la
composizione, decisamente moderna, del quartetto strumentale che vi accompagna:
pianoforte, chitarra, basso acustico (che all’epoca delle Lescano non esisteva) e
batteria. Sono tutti e quattro ottimi elementi, ma il loro stile non ricorda molto quello
degli strumentisti che accompagnavano allora i cantanti. Volete illustrare anche qui le
ragioni di queste vostre scelte?
R. - Gli arrangiamenti strumentali sono stati rivisti un po’ volutamente per dare un
tocco di novità, pur mantenendoci fedeli il più possibile agli originali, ed un po’ per
esigenze tecniche, non potendo permetterci di avere, ahimè, una sezione di fiati e una
di archi. Siamo comunque molto orgogliosi e onorati di essere accompagnati da
questi musicisti professionisti, dotati di grande esperienza, tecnica, gusto e sobrietà.
D. - E veniamo ora alle voci. Quali problemi di adattamento ha comportato il
passaggio dall’originario Trio vocale femminile delle olandesi ad un Trio misto come
il vostro? Ricordiamo che il Trio Lescano era formato da due soprani (Sandra e
Caterinetta), dal timbro e dal temperamento assai diverso, ed un contralto (Giuditta),
molto “tipato”, in bella evidenza in parecchie incisioni (ad esempio in Vado in Cina e
torno).
R. - A dir la verità, senza peccare di presunzione possiamo affermare di non aver
avuto problemi particolari di adattamento, Diego è un bravissimo tenore
dall’estensione ampia e in grado di utilizzare i diversi tipi di registro a seconda
dell’esigenza. Solo in un paio di brani abbiamo effettuato cambi di tonalità,
dell’estensione di un tono o un tono e mezzo, per esigenze di impasto vocale.
Abbiamo dedicato alla preparazione delle voci un anno intero, in cui siamo riusciti
con molto lavoro a trovare una dimensione vocale che ci pare equilibrata e piacevole.
L’obiettivo era di ricreare quelle atmosfere, non di copiare tre voci assolutamente
singolari e inimitabili.
D. - Come avete risolto il problema degli arrangiamenti vocali? Avete trascritto
fedelmente, nota per nota, quelli originali, limitandovi poi ad inserire qua e là qualche
sobrio spunto personale, oppure avete preferito ispirarvi solamente alle incisioni delle
Lescano, per poi ricrearne lo spirito mediante una vostra riscrittura delle parti, in
funzione anche delle voci di cui disponete?
R. - Ci siamo ispirati prevalentemente alle incisioni delle Lescano (per i loro brani
che riproponiamo). Non avendo a disposizione le partiture vocali originali abbiamo
dovuto arrangiarci ascoltando i pezzi e sviscerando una linea vocale alla volta. Devo
dire che questa è stata la parte più complicata, ma senz’altro istruttiva.
D. - Il Maestro Angelini dichiarò, nel corso di una trasmissione radiofonica condotta
da Carlo Loffredo e dedicata al Trio Lescano (Toh! Chi si risente, 8 aprile 1979), che
le tre sorelle, non appena udivano un nuovo motivo, si autoarmonizzavano
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spontaneamente e in un batter d’occhio: erano insomma capaci di improvvisare lì per
lì un arrangiamento a tre voci di squisita fattura su qualunque melodia, anche da loro
ascoltata per la prima volta. Secondo voi, basta questo per affermare che le Lescano
potrebbero essere loro stesse le autrici (o, più verosimilmente, le co-autrici) degli
arrangiamenti vocali che poi interpretavano con inarrivabile maestria?
R. - Sicuramente! La tecnica o il “saper leggere” sono strumenti utili che diventano
però quasi irrilevanti di fronte ad un talento innato e fuori dalla media. È innegabile
che le Lescano fossero dotate di una maestria naturale che le ha rese famose e
apprezzate dai grandi musicisti, e che ha permesso loro di andare oltre alla melodia
imposta dalla scrittura del brano. D’altra parte la natura dell’artista è proprio quella di
creare qualcosa, non di eseguire alla perfezione una parte!
D. - Nelle vostre esecuzioni o incisioni discografiche c’è spazio per
l’improvvisazione estemporanea, di tipo jazzistico, oppure tutte le parti, sia vocali
che strumentali, sono scritte, studiate e quindi eseguite alla perfezione, sempre uguali
e senza la minima sbavatura?
R. - Senza voler scadere nella falsa modestia è necessario dire che la perfezione è
dono di pochi, se non di nessuno; noi dal canto nostro cerchiamo di dare il meglio e
di ricreare un’atmosfera per noi molto piacevole. L’improvvisazione vocale nel
nostro spettacolo non è utilizzata perché ci sembra un po’ forzata, gli strumentisti
invece hanno parti obbligate per quanto riguarda la struttura del brano, ma sono liberi
di “sbizzarrirsi” durante le parti di solo.
D. - Contate di riproporre anche brani in cui il Trio vocale affianca un cantante
solista? Non va dimenticato che quasi due terzi dei dischi incisi dalle Lescano sono di
questo tipo, specie nel genere swingato che voi privilegiate (memorabili le canzoni da
loro incise assieme al grande Ernesto Bonino). In caso affermativo, che tipo di voce
solista immaginate come la più adatta ad armonizzarsi bene col vostro Trio?
R. - Eseguiamo già brani di quel tipo come La famiglia canterina o Ma le gambe e le
parti soliste vengono eseguite da Diego.
D. - Per concludere una domanda sui vostri progetti futuri: intendete incidere altri
CD, magari ponendoli in vendita anche nei negozi di dischi, oppure preferite puntare
maggiormente sui concerti e le esibizioni dal vivo?
R. - I concerti sono una parte assolutamente fondamentale per la nostra attività
artistica, quindi ci auguriamo di poter proseguire su questa strada a lungo. Per il
momento il CD che abbiamo appena inciso è acquistabile ai nostri concerti o on-line
sul nostro sito, se dovessimo trovare un’etichetta interessata al nostro progetto
saremmo più che felici di poterlo vendere nei negozi ad un pubblico più vasto. Non
escludiamo comunque di rientrare in sala d’incisione in un futuro prossimo con nuovi
brani.
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Angela Castellani, Diego Carbon e Irene Pertile.
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3) Virgilio Zanolla, Una leggenda da sfatare
Pochi giorni fa è uscito il libro sulle Lescano di Gabriele Eschenazi, Le regine
dello swing, e per il 27-28 Settembre p.v. Rai Uno ha annunciato la programmazione
dello sceneggiato che ripercorre la vita e la carriera artistica delle tre sorelle olandesi:
Le ragazze dello swing diretto dal regista Maurizio Zaccaro. Poiché è stato Eschenazi
a ispirare la sceneggiatura del film TV, scritta da Laura Ippoliti e dallo stesso
Zaccaro, ed è stato quest’ultimo nel suo blog a citare l’arresto genovese del celebre
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Trio, facendo intendere come esso abbia nel suo lavoro un rilievo centrale, mi pare
logico proporre su quest’episodio alcune osservazioni, ben consapevole di essere solo
l’ultimo di una lunga e valida serie di lescanofili che in proposito si sono espressi sul
nostro sito.
Per comprendere meglio la questione, è opportuno anzitutto sapere che la notizia
dell’arresto delle sorelle olandesi viene da Alessandra Lescano. L’ultima componente
del Trio, intervistata da Adriano Mazzoletti per il suo libro Il jazz in Italia. Dalle
origini al dopoguerra (Roma-Bari, Laterza, 1983, p. 245) si era limitata a dire:
«Fummo costrette a nascondere nostra madre, poi malgrado fossimo cattoliche,
avessimo italianizzato il nostro nome in Lescano, avessimo preso anche la nazionalità
del Paese che ci aveva dato la celebrità, ci fu qualcuno che per interesse ci denunciò
ai tedeschi. Erano tre ragazze che volevano prendere il nostro posto e che avevano
formato un trio vocale. Fummo costrette ad andarcene e a nasconderci».
L’anno seguente all’uscita di questo libro, nell’intervista rilasciata su “La
Repubblica” a Natalia Aspesi, la Lescano ritornava in argomento, stavolta entrando
nei particolari: «“I guai li avemmo dopo, nel 1943: nostra madre era ebrea e dovette
nascondersi, a Saint Vincent, in casa di un partigiano, che noi ricompensammo con
calze, golf e bandiere per i suoi amici. Eravamo state proscritte dalla radio;
continuammo a fare spettacoli, ma una sera, mentre cantavamo al cinema Grattacielo
di Genova, venne la milizia ad arrestarci. “Con quel naso non potete essere che
ebree”, ci disse un capitano tedesco, e io gli risposi, “se la razza dipende dal naso,
allora anche lei è ebreo”. Fummo rinchiuse a Marassi, con le divise carcerarie che
portavano i numeri 92, 94, 96. Fummo anche sospettate di spionaggio; probabilmente
era stato il trio Capinera, invidioso del nostro successo, a denunciarci. L’accusa era
che cantando Tuli-tuli-tulipan, mandavamo in realtà messaggi al nemico”.» Spiegava
poi la Aspesi, lasciando la chiosa all’intervistata: «In galera le tre celebri sorelle
restarono due settimane; la stessa milizia, che le aveva arrestate, portava loro tè e
sigarette fornite dal loro amministratore: “Quei giorni furono terribili soprattutto
perché i nazisti obbligarono mia sorella Judith, che non voleva assolutamente, a fare
da interprete, lei che sapeva bene il tedesco, durante gli interrogatori degli arrestati.
Così fu costretta ad assistere a pestaggi; ricordo che in cella piangeva sempre.”»
(Natalia Aspesi, Sfogliando i Tuli-Tuli Tulipan; in “La Repubblica”, Roma, anno I,
venerdì 26 ottobre 1984, p. 26).
Per finire, nel 1985, rilasciando la sua ultima intervista, la Lescano dichiarava a
Luciano Verre: «Nel 1943, però, i fascisti ci arrestarono. Il trio vocale Le Capinere,
che in quegli anni furoreggiava come noi in Italia, ma non quanto noi che eravamo le
prime in assoluto, fece arrivare alle orecchie dei tedeschi e dei fascisti l’informazione
che io, Giuditta e Caterinetta, eravamo spie ebree. […] I gerarchi che ci odiavano,
colsero la palla al balzo e mentre stavamo cantando al Grattacielo di Genova, ci
arrestarono sul palco e ci portarono in manette alle carceri di Marassi. A nulla valsero
le nostre proteste. Ci rinchiusero in cella e ci diedero le divise carcerarie con i numeri
di matricola cuciti sopra il petto 92, 93, 94. Venne un capitano tedesco e ci disse che
eravamo accusate di spionaggio perché con la nostra canzone Tulipan, mandavamo in
realtà messaggi agli americani, cioè al nemico. […] Piangemmo disperate dicendo
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che non era vero. Allora venne un capitano fascista. Ci disse che avevamo ragione
perché noi non eravamo ebree: infatti nostro padre non lo era, ma lo era la mamma.
Nostra madre era infatti ricercata dalle SS. Era tutto vero, e lo ammettemmo. Mamma
era ebrea e, per fuggire alla fucilazione, si era rifugiata sulle montagne di Saint
Vincent in casa di un partigiano: questo però noi non lo rivelammo, altrimenti
mamma non sarebbe morta a 94 anni. Giurammo di non sapere dove si trovasse
nostra madre. I fascisti dissero che per loro tutto era a posto e che potevamo essere
rilasciate. I nazisti, invece, ci trattennero in carcere. Volevano fucilarci e nel
frattempo ci costrinsero a lavorare da interpreti durante gli interrogatori con gli
arrestati. […] Restammo in carcere a Marassi per più di un mese. Fummo scarcerate
credo grazie all’intervento diretto di re Umberto: è una cosa che non abbiamo mai
potuto accertare personalmente, ma lo abbiamo sempre pensato. Comunque, finché la
guerra non fu terminata, fummo messe al bando dalla radio, dove tornammo dopo la
Liberazione.» (Luciano Verre, «Ero la regina del Trio Lescano, adesso vivo sola e
sono in miseria»; su “Gente”, Milano, anno XXIX, n° 47, 22 novembre 1985, pp.
106-109).
Queste, dunque, la affermazioni di Alessandra Lescano nelle due occasioni in cui
ebbe a parlare dell’arresto e alla detenzione del Trio, con la Aspesi e con Verre. E
prima ancora di verificare cronologicamente i fatti, sorgono alcuni pesanti
interrogativi sui motivi che avrebbero portato a quel fermo e sulle sue modalità.
Vediamo i motivi: una (presunta) denuncia di essere spie ebree da parte del Trio
Capinere, che allora rivaleggiavano in popolarità con le sorelle olandesi, senza
tuttavia raggiungere il loro successo. Delle tre sorelle Codevilla, che formavano il trio
rivale, Carla e Caterina non sono più tra noi, mentre Gianna vive da oltre
quarant’anni negli Stati Uniti e non è facilmente contattabile; non siamo in grado,
quindi, di ascoltare la loro versione dei fatti, ma la signora Giulia Libano, figlia di
Caterina, assicura che sua madre e le loro zie erano rimaste indignate da tale accusa.
Per entrare nei dettagli, circa il fatto che la madre delle Lescano, Eva de Leeuwe,
fosse ebrea, la polizia fascista era informata da sempre; ed è stato a suo tempo reso
noto il documento del Ministero degli Interni (15 novembre 1939: cioè in piena
campagna di “difesa della razza”), in base al quale Alexandra, Judith e Katarina
Leschan venivano dichiarate «a tutti gli effetti di legge non appartenenti alla razza
ebraica». Se né loro né la loro madre ebbero mai problemi fino ad allora, riesce
difficile credere che la polizia – anche nel clima esasperato di quei mesi – abbia
potuto dar credito ad accuse che per poter davvero richiamare l’attenzione dovevano,
senza dubbio, essere in qualche misura argomentate. La pretesa che cantando Tulituli-tulipan le Lescano mandassero «messaggi al nemico» è ridicola, e con ogni
evidenza non regge: prima di tutto, perché, nel caso specifico, tale accusa avrebbe
dovuto essere rivolta anzitutto all’autore del testo originale della canzone, il pianista
californiano Horace Haidt (1901-86), il quale, come statunitense, non mandava certo
messaggi a se stesso; il monferrino Riccardo Morbelli, traduttore e adattatore italiano
dei versi del brano, non risulta aver mai avuto fastidi: non si vede, dunque, perché
mai avrebbero dovuto averne le Lescano. E oltretutto, quali messaggi reconditi
trasmetteva la canzone? È vero che in Sogniamo insieme il testo di Tuli-tuli-tulipan,
100
come quello di molti altri brani eseguiti sui palcoscenici delle riviste, venne proposto
in una «nuova versione», della quale nulla sappiamo; ma è probabile si trattasse solo
di una garbata parodia. È da notare, semmai, come il tono argutamente serafico del
testo di Morbelli si prestava comunque, senza volerlo, a considerazioni di amara
ironia: si pensi ai versi «Ogni cosa giace, / tutto tace. / Che pace! Che pace!» in un
momento in cui tutta l’Italia, e Genova in particolare, veniva squassata da
pesantissimi bombardamenti.
Nelle due interviste, vien detto che ad effettuare l’arresto del Trio fu la «milizia»;
si trattava della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale (MVSN), un corpo
militare fascista formato da cittadini volontari, che sul patrio suolo aveva, appunto, il
compito di vigilare per mantenere l’ordine e tutelare gli interessi nazionali. Molti
sospetti desta anche la versione della Lescano circa le modalità con cui tale arresto
venne attuato: considerato che a suo dire esso sarebbe avvenuto mentre lei e le sorelle
stavano cantando, addirittura quando si trovavano «sul palco»; ciò che significa, o
mentre provavano con la compagnia o mentre si esibivano davanti al pubblico. Un
intervento molto malaccorto, che avrebbe certamente suscitato sconcerto e commenti
a non finire, e sarebbe stato impossibile occultare o minimizzare... E invece, prima
che l’intervistata riferisse quest’episodio, di esso non si aveva alcuna cognizione;
circostanza sorprendente se si considera la fama delle tre sorelle olandesi, allora
all’apice della loro carriera artistica. Di tanti tra colleghi e maestranze che lavorarono
con loro, nessuno ne fece mai cenno; neppure dopo l’uscita delle interviste vi fu in
proposito alcun riscontro, da parte di chi, volendo, avrebbe potuto dire la sua.
Alessandra Lescano disse alla Aspesi che il Trio restò in carcere «due settimane»;
ma qualche mese dopo, parlando con Verre, il loro periodo di detenzione nelle carceri
di Marassi salì a «più di un mese», ed ella sostenne addirittura: i nazisti «volevano
fucilarci», un’eventualità così improbabile da suonare grottesca.
Veniamo però alla verifica dei fatti. La Lescano affermò che l’arresto del Trio
avvenne nel 1943, al Grattacielo di Genova. Tale notizia non ebbe alcuna eco sulla
stampa; ma questo, secondo qualcuno, si spiegherebbe proprio con la notorietà delle
tre artiste, e il desiderio del Regime, o del comando militare tedesco, di non
impressionare negativamente l’opinione pubblica. In realtà, la notizia non ebbe
alcuna eco... semplicemente perché non vi fu alcun arresto.
Da ricerche compiute proprio sui giornali, sappiamo che nell’anno 1943 le
Lescano si produssero a Genova solo in un determinato periodo, nel mese di
novembre. Ora, subito dopo l’8 settembre 1943, l’alto comando tedesco che in città,
manu militari, si assunse il comando della piazza, proibì l’uscita dei quotidiani
genovesi fino alla seconda settimana di dicembre, con l’eccezione del “Corriere
Mercantile”, in quanto giornale del pomeriggio; per quest’arco di tempo di poco più
di tre mesi, il “Mercantile” restò dunque l’unico organo della stampa cittadina a
fornire notizie locali quotidiane. Ebbene, dalle informazioni contenute in questo
giornale, risulta che le Lescano soggiornarono a Genova dall’8 al 26 novembre:
esibendosi prima al cine-teatro Grattacielo nello spettacolo Grattacielo N° 1, poi, dal
17 al 21, al cine-teatro Augustus, con la compagnia del comico Freddi Scotti e
dell’attrice brillante Nicla Berti; infine, sempre con la compagnia Scotti, al Politeama
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Sampierdarenese. Dopo il 21, non risultano più né le Lescano né la compagnia Scotti,
anche se il 30 novembre il Politeama Sampierdarenese propose uno spettacolo con 30
artisti chiamato La carovana della canzone (i nomi degli interpreti, però, purtroppo
non risultano).
Se, dunque, la memoria non giocò un brutto tiro ad Alessandra Lescano, l’arresto
può aver avuto luogo solo in questo periodo, durante le recite al Grattacielo, dall’8 al
15 o 16 novembre; tuttavia, articoli e trafiletti del giornale provano
inequivocabilmente come tale arresto non vi fu. Infatti, non solo il Trio continuò a
prodursi per tutto il periodo della permanenza in città della compagnia, cambiando
due volte palcoscenico, ma lo fece con straordinario successo: e ben difficilmente il
giornale avrebbe dato spazio agli elogi nei riguardi delle tre artiste nel caso, anche, di
una loro semplice convocazione al commissariato di polizia. «Un particolarissimo,
entusiastico successo ha salutato le acrobazie canore delle sorelle Lescano, che
hanno dovuto concedere vari «bis» sempre più brave ed ap-plaudite», si legge infatti
il 9, e di «vivissimo successo» si legge il 18, di «grande successo» delle «tre graziose
cantanti» il 20, e così via. E se è vero che né gli occupanti tedeschi né i fascisti loro
alleati, futuri repubblichini, avrebbero avuto alcun interesse a rendere pubblica la
notizia di un arresto delle famose cantanti, non è però possibile credere che il giornale
desse notizie delle loro esibizioni mentre in realtà le tre sorelle languivano in carcere.
Sforzandoci comunque di dar credito alle affermazioni di Alessandra Lescano, e
immaginando perciò che possa essersi confusa, sarebbe logico supporre che ella
abbia riferito erroneamente l’episodio dell’arresto al 1943, quando esso, invece,
avvenne in altra data. Già, ma quando? Non certamente dopo: perché a Genova, nel
’44, delle Lescano non v’è traccia. E - si badi bene - a dispetto dei tempi difficili,
nella prima metà di quell’anno gli spettacoli continuarono ad essere rappresentati: sui
palcoscenici del Grattacielo e di altri cine-teatri si succedettero riviste come Una
notte a Madera, Musica nell’aria, Via delle sette note, eccetera, con interpreti spesso
di primo piano come Natalino Otto, il Quartetto Cetra e Lucia Mannucci, Luciano
Tajoli, Nella Colombo, Bruno Pallesi, e direttori d’orchestra della levatura di Gorni
Kramer e Carlo Zeme; il 21 aprile, inoltre, tornò al Grattacielo anche la compagnia di
Freddi Scotti e Nicla Bruni, con cui le sorelle olandesi si erano esibite solo cinque
mesi prima, in occasione del loro ultimo soggiorno genovese.
Vediamo dunque prima, nel ’42. Quell’anno le Lescano furono a Genova tre volte.
Tra il 22 e il 25 gennaio si esibirono al Politeama Genovese, in un concertospettacolo dell’orchestra Semprini presentato da Ermanno Roveri, assieme ad Elena
Grey e ad altri artisti, con un complesso costituito da ben 100 orchestrali; concerto
che ebbe grande successo. Le sorelle tornarono poi il 18 maggio, per uno spettacolo
al Grattacielo, Le Vedette, dove ebbero nome in ditta assieme alla coppia di danzatori
Silvio e Ferrara; restandovi almeno fino al 22. Infine, soggiornarono ancora in città
tra gli ultimi giorni di settembre e la prima decade di ottobre, con la compagnia OsiriDapporto, per le prove della rivista Sogniamo insieme, annunciata come «il più
grande spettacolo teatrale dell’annata, con i migliori artisti della rivista e con un
complesso di 70 esecutori». Non ho fornito le date perché a Genova, in realtà, la
rivista non venne mai rappresentata. Infatti essa, presentata sui giornali già il 26
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settembre, con l’esordio previsto per il 2 ottobre al Politeama Genovese, a causa della
«mancata consegna dei materiali e dei costumi» all’ultimo momento venne rinviata al
7 ottobre, e spostata al più modesto cine-teatro Paganini. Ma il giorno della prima
veniva annunciato un nuovo rinvio «ad epoca da stabilire», «per difficoltà sorte
all’ultimo momento nell’arrivo degli scenari e dei costumi». Nei giorni seguenti il
Paganini restò chiuso, con la notizia del «prossimamente» di Sogniamo insieme; ma il
15 ottobre riaprì i battenti con un’operetta, Milioni al vento; e della rivista della
compagnia Osiri-Dapporto, della compagnia stessa e naturalmente del Trio Lescano,
in città non si ebbe più notizia fino allo spettacolo dell’anno successivo.
Dei tre soggiorni genovesi delle Lescano nel ’42, è certamente l’ultimo l’unico
che possa offrire qualche ‘sospetto’ – peraltro debolissimo – in relazione al loro
eventuale arresto. Debolissimo, ripeto. Prima di tutto, perché lo spettacolo non era
programmato al Grattacielo bensì al Genovese. E si deve subito chiarire come la
mancata ricezione di scenari e costumi fu ben difficilmente una scusa. All’epoca,
questo materiale viaggiava in treno, ed era perciò soggetto a tutti i rischi che
correvano i convogli ferroviari in tempo di guerra, il primo dei quali era il
bombardamento della ferrovia o del convoglio da parte degli aerei della RAF.
Scorrendo i quotidiani locali, ho potuto accertare altri rinvii di spettacoli originati da
problemi di questa natura: ad esempio, nel maggio ’43 la compagnia di Tecla Scarano
debuttò con tre giorni di ritardo a motivo di un «disastro ferroviario», e nel giugno
dello stesso anno, per ritardo nella consegna delle scenografie teatrali, quella dei
Fratelli De Rege posticipò il suo esordio di un giorno.
Ora, anche a voler considerare la motivazione apparsa sui giornali una scusa
addotta per coprire la vera ragione di quel rinvio, ovvero l’arresto delle Lescano, si
vedrebbe subito come tale ipotesi non regge. Prima di tutto, per logica: in quanto il
fermo delle sorelle olandesi avrebbe senz’altro costituito un problema, ma non certo
al punto da pregiudicare la messa in scena della rivista, dato il gran numero di artisti
che essa comprendeva: oltre alla Osiris, a Dapporto e alle Lescano, i fratelli Giulio e
Italo Clerici, i fantasisti Bruno e Brani, Letizia Gissi, Marisa Benucci, Landa Bruna,
Vanda Di Leda, Luciana Salvi, Carlo Berti, Sandro Dal Buono, Nino Gallizio, e 24
ballerine dirette da Vera Petri. Inoltre, si do-vrebbe rilevare come, pure in questo
caso, a parte Alessandra Lescano, nessuno ne abbia mai fatto cenno. C’è infine da
considerare il fatto che gli artisti arrestati dalla milizia fascista, anche in caso di
successivo rilascio, avevano la carriera pregiudicata; mentre – come s’è visto –
ancora tredici mesi dopo le tre sorelle olandesi erano più che mai sulla cresta
dell’onda, esibendosi proprio a Genova sui palcoscenici del Grattacielo,
dell’Augustus e del Politeama Sampierdarenese.
In conclusione, cosa si deve pensare? Il sospetto che il famoso arresto non vi sia
mai stato è al 99,9% una certezza, e perde credito anche l’ipotesi che non di arresto si
sia trattato, bensì di una semplice convocazione senz’alcuna conseguenza. Tutto,
purtroppo, porta a pensare che Alessandra Lescano abbia deliberatamente inventato
tale episodio; oppure, che la storia dell’arresto sia nata, se non proprio ‘a tavolino’, da
una vera e propria complicità tra l’intervistata e chi la intervistava, almeno con
l’implicita ma sottaciuta volontà da parte di entrambe (uso il femminile, perché per
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ovvi motivi cronologici il giornalista in oggetto non poté che essere Natalia Aspesi)
di ‘costruire’ un magnifico tassello che im-preziosisse il già di per sé affascinante
mosaico della storia delle Lescano.
D’altra parte, se si leggono attentamente le testimonianze rilasciate dall’ultima
delle sorelle olandesi, si scopre in ciascuna intervista, con la grande amarezza per
l’oblio entro il quale le figure e le canzoni del Trio erano state relegate dal tempo e
dall’indifferenza dei più, anche l’ansia di restituire alle loro immagini quel nitore che
l’inevitabile identificazione con gli anni di «quando c’era Lui» portava ad abbinare le
tre interpreti al Fascismo, senza per questo che sia lecito leggere nell’adesione delle
Lescano al Regime null’altro che un mero motivo di opportunità professionale. Essa
fu infatti, per intenderci, quella che allora spinse a fare altrettanto, o a fornire
comunque palesi attestazioni di fede fascista, molti altri personaggi, tra cui diversi
futuri esponenti della cosiddetta intellighenzia di sinistra del dopoguerra, come Elio
Vittorini, Giulio Claudio Argan, Renato Guttuso, Pietro Ingrao, Nilde Jotti, Elsa
Morante, Giorgio Bocca, Dario Fo, Eugenio Scalfari e Norberto Bobbio; non c’è
nulla di male nel riconoscerlo. Alla luce di ciò, si può meglio comprendere il
desiderio di Alessandra Lescano di poter effettuare un bel restyling sulle posizioni del
Trio negli anni fino alla caduta del Regime, anché perché – non del tutto a torto, ma
certo esagerando – ella attribuiva la causa delle loro disgrazie prima all’ostracismo
degli stessi fascisti, poi dei democristiani nuovi ‘padroni del vapore’ nell’ambito,
soprattutto, di un mezzo come la radio, che allora costituiva il più immediato veicolo
di diffusione delle canzoni, e che anni prima aveva contribuito moltissimo al loro
successo. In realtà, ostracismo a parte, occorre tener presente anche l’inevitabile
mutamento del gusto da parte dei fruitori delle canzoni; altrimenti, non si
spiegherebbe come mai altri artisti molto amati quali Rabagliati, Bonino, la Fioresi, la
Bruni eccetera furono anch’essi più o meno velocemente messi da parte: era il
contrappasso dei tempi.
4) Testo della lettera cartacea inviata dal Curatore del sito alla Signora
Natalia Aspesi (Via Olmetto, 3 - 20123 Milano) il 3 Novembre 2009.
Lettera rimasta purtroppo senza alcuna risposta.
Gentile Signora Aspesi,
siamo un gruppo di appassionati che hanno creato un sito dedicato alle Sorelle
Lescano; il suo indirizzo è http://www.trio-lescano.it/. Lo scopo principale di tale
iniziativa è di recuperare il maggior numero possibile di documenti originali della
loro epoca, che ci consentano di ricostruire la storia di queste tre grandi artiste con
maggior rigore di quanto non sia stato fatto in passato. Grazie al contributo di un
cospicuo numero di volonterosi ricercatori, sparsi in tutta Italia e anche all’estero
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(principalmente Olanda, Argentina e Venezuela), siamo finora riusciti a costituire un
archivio storico di tutto rispetto, che ha permesso di far luce su molti aspetti della
loro vicenda umana e artistica. Non su tutti, però.
Uno dei punti più oscuri dell’intera biografia delle Lescano riguarda certe
affermazioni contenute nel Suo articolo Sfogliando i tuli-tuli tulipan, pubblicato su
«La Repubblica» del 26 Ottobre 1985. Alcune di queste sono infatti in aperto
contrasto con quanto emerge dai documenti: ad esempio è provato che le Lescano
chiesero e ottennero l’iscrizione al PNF, avvenuta in data 29 Ottobre 1942, mentre
Sandra afferma di aver sempre rifiutato – lei e le sue sorelle – tale tessera.
Inverosimile risulta anche l’altra affermazione di Sandra che nel 1939 guadagnassero
“mille lire al giorno”, dal momento che esiste un certificato ufficiale del Municipio di
Torino (una copia del quale si trova nel nostro Archivio) attestante lo stato di
“povertà relativa” delle Lescano stesse. Esso dava loro la possibilità di godere del
“patrocinio gratuito” nella pratica per l’ottenimento della nazionalità italiana.
Ma il fatto più controverso è quello relativo all’arresto nel ’43 ad opera della
Gestapo, con conseguente detenzione di alcune settimane nel carcere genovese di
Marassi. Per quante ricerche siano state fatte, sia negli archivi del carcere sia in quelli
dei principali quotidiani del tempo, incluso Il Secolo XIX, non è stato possibile
reperire il ben che minimo riferimento a tale arresto. Data la grande notorietà delle
Lescano ci pare impossibile che esso sia passato del tutto inosservato. Ma c’è di più.
In due precedenti interviste, una assai dettagliata del 1981 e un’altra del 1983, Sandra
non accenna mai a questo momento cruciale della sua vita; inoltre colleghi e colleghe
di lavoro delle Lescano (cantanti, direttori d’orchestra, orchestrali, autori, ecc.) non
ne hanno mai parlato, neanche per vaghe allusioni, nelle tante interviste che hanno
concesso nel corso degli anni, prima di lasciarci per sempre.
Ci prendiamo dunque la libertà di chiederLe se può rievocare per noi le
circostanze in cui fu realizzata la summenzionata intervista del 1985: fu un incontro
diretto con Sandra Lescano? Il colloquio venne registrato? Lei non ebbe mai
l’impressione che l’anziana cantante non Le dicesse sempre la verità o addirittura si
inventasse cose mai accadute nella realtà, ovvero verificatesi sì, ma non nel modo con
cui Sandra Gliele riferì? La Sua testimonianza ci sarebbe oltremodo preziosa, al fine
di ricostruire i fatti come realmente si svolsero.
In attesa di un Suo cortese riscontro, di cui La ringraziamo fin d’ora, La
preghiamo di gradire i sensi della nostra stima e ammirazione.
Il Comitato di Redazione del sito
Ricordando il Trio Lescano
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5) Iscrizione delle sorelle Lescano al PNF di Torino
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