http://www.trio-lescano.it/ Notizie Settembre 2010 Sono vietati l’uso e la riproduzione di testi e immagini presenti in questo documento senza un’esplicita autorizzazione del Curatore. 1° Settembre 2010 Riprendiamo, dopo la pausa estiva, la nostra rassegna delle novità di rilievo riguardanti le sorelle Lescano e il loro entourage; inoltre, come in passato, ci concederemo ogni tanto qualche digressione su argomenti che, pur non essendo direttamente correlati al nostro assunto, possono interessare chi, come noi, ama la musica leggera – e non solo quella italiana – degli anni Trenta-Quaranta: epoca ricchissima di autori e interpreti di prim’ordine, i quali ci hanno lasciato una quantità impressionante di capolavori. ◙ Nel sito Internet Stilos... dove ci sono libri abbiamo trovato, in un pdf relativo alle novità librarie di Aprile 2010 della Einaudi (pag. 32), la presentazione ufficiale del volume di Gabriele Eschenazi Le ragazze dello Swing, che ha come sottotitolo Il Trio Lescano: una storia fra cronaca e costume. Il libretto consta di 100 pagine ed è inserito nella collana “I tascabili”. Ci viene mostrata anche, per la prima volta, la sua copertina, non sappiamo se provvisoria o definitiva: Da http://stilos.it/files/notiziario_einaudi_aprile_2010.pdf. Nei mesi scorsi abbiamo avuto più volte occasione di accennare a quest’opera che, stando a quanto annunciato a suo tempo in varie fonti, doveva uscire lo scorso 30 2 Giugno; non è tuttavia chiaro se, a tutt’oggi, essa sia stata effettivamente pubblicata o meno. È ben vero che numerose librerie on-line la mettono in vendita, senza per altro mostrarne la copertina e ad un prezzo oscillante tra € 12.00 ed € 8.40, ma nel sito della casa editrice [http://www.einaudi.it/] il motore di ricerca interno non dà alcun risultato né per il titolo né per l’autore in questione, mentre la Hoepli, nota per la sua serietà, precisa che il libro è tuttora in pubblicazione. Quanto alla Feltrinelli, altra casa tra le più affidabili del mercato, essa indica, come data di uscita, il mese di Agosto; tuttavia il libro non risulta ancora disponibile in nessuna delle sue sedi. Il nostro collaboratore Virgilio – che, da buon giornalista di professione, se ne intende di queste cose più di altri – ritiene che lo slittamento nell’uscita del libro sia da collegare a quello della miniserie di Rai Uno intitolata anch’essa Le ragazze dello Swing, alla quale Gabriele Eschenazi ha collaborato come consulente (anche se il suo nome non figura nella Scheda tecnica del film, pubblicata nel sito della Casanova Multimedia, la Casa produttrice). Tale fiction, inizialmente annunciata per Marzo e poi misteriosamente scomparsa dai palinsesti Rai, dovrebbe finalmente andare in onda in autunno, ed è evidente che l’abbinamento delle due iniziative gioverà ad entrambe sul piano pubblicitario e commerciale, il che sta senza dubbio molto a cuore ai rispettivi produttori. Sia come sia, dopo aver letto la summenzionata breve scheda di presentazione del volume, permangono in noi tutte le perplessità che in precedenza abbiamo già manifestato in questa sede. Due sono le affermazioni ivi contenute che più ci colpiscono negativamente. La prima è quella che attribuisce alle Lescano il merito di aver introdotto in Italia «sotto mentite spoglie lo swing americano vietato dal Regime». Nel corso delle nostre ricerche abbiamo infatti reperito numerosi documenti che dimostrano come il Fascismo, in concreto, non fosse poi così ostile (come lo fu invece, e in maniera parossistica, il Nazismo) alla popular music d’Oltreoceano, che aveva nel jazz e nello swing i suoi tratti più caratteristici. Si osservi ad esempio questa foto pubblicitaria di Cosimo di Ceglie, apparsa su «Film» (a. I, n. 40, 29 Ottobre 1938-XVII, p. 11), rivista gradita al Regime: è pensabile che nell’Italia fascista un musicista potesse sbandierare così la sua passione per il jazz, e la sua inequivocabile adesione ad esso come esecutore, se quest’ultimo vi fosse stato severamente vietato? Noi non lo crediamo proprio! 3 Analogamente Alfredo Bracchi, paroliere tra i più attivi e navigati dell’epoca, firmando il testo italiano della splendida canzone americana di Kahn-Kaper-Jurmann All God’s Chillun Got Rhythm, incisa nel 1938 da Enzo Aita e il Trio Lescano col titolo Segui il ritmo (disco Parlophon GP 92465b, matrice 153483), non si sarebbe di certo mai azzardato a scrivere un verso come «per cantar ci vuol swing» se quest’ultima parola fosse stata proibita dalla censura. Invece quella parola la usò e non ci risulta che abbia mai avuto per questo grane col Minculpop. Un discorso sostanzialmente identico si può fare per la famosa canzone di Gorni Kramer Crapa pelada (1936), che sarebbe stata senz’altro messa all’indice se la suddetta censura fosse stata così rigida e ottusa come si dice: viceversa Kramer, a quanto ne sappiamo, non fu affatto inquisito, anzi quel suo trascinante motivetto, di taglio scopertamente jazzistico e con un testo beffardamente allusivo alla calvizie di Mussolini, diventò il tormentone dell’anno... Fu semmai con l’entrata in guerra degli Stati Uniti (7 Dicembre 1941) che le cose – comprensibilmente – cambiarono, ma anche allora ciò avvenne qui da noi quasi sempre in modo superficiale, ossia più che altro a parole (tipo St. Louis Blues che si limitò a diventare comicamente Le tristezze di San Luigi o Louis Armstrong che venne ribattezzato Luigi Fortebraccio, senza subire con ciò alcuna vera censura). Se dunque le Lescano poterono imprimere a molte delle loro interpretazioni uno swing a 24 carati, esse lo fecero non già surrettiziamente e in barba ai divieti del Regime, ma alla luce del sole e col pieno, anche se tacito, consenso della sua censura. Del resto è ben noto quanto la maggior parte dei gerarchi fascisti, e gli stessi figli del Duce, amassero quel genere di musica. La seconda affermazione che troviamo infondata e fuorviante è che le Lescano «non si dichiararono mai fasciste». Evidentemente chi sostiene ciò ignora che si conserva un dossier, considerato autentico da tutti gli storici (ne abbiamo copia nel nostro archivio), il quale prova senz’ombra di dubbio che le tre sorelle chiesero l’iscrizione al P.N.F. direttamente a Mussolini, ottenendola il 29 Ottobre 1942. Certo, lo fecero – come tanti altri – non per intima adesione all’ideologia fascista, bensì per quieto vivere e, nel loro caso specifico, con la speranza di sottrarre così la loro madre Eva alle persecuzioni in atto contro gli ebrei. Non esiste in effetti il ben che minimo indizio che le Nostre fossero contrarie al Regime e ancor meno che contribuissero in qualche modo – come sostengono certuni, basandosi su delle plateali falsità – a combatterlo attivamente, addirittura nelle fila della Resistenza. In realtà alle Leschan/Lescano non doveva importare assolutamente nulla né del Fascismo né dell’Antifascismo, dato e non concesso che sapessero esattamente cosa fossero l’uno e l’altro: loro pensavano unicamente a incidere dischi e a cantare nei teatri, attività che permetteva loro di campare con una certa agiatezza, anche se non è vero che guadagnassero cifre per quei tempi da capogiro. E c’è anche da credere che si divertissero un mondo a interpretare le canzoni che venivano loro affidate e che talvolta erano insipide anzichenò: lo prova l’ineguagliabile brio che sprizza da quasi tutte le loro incisioni, un pregio questo che non può essere solo questione di mestiere. In conclusione invitiamo tutti i nostri lettori a tenere d’occhio, nelle prossime settimane, il mercato librario nonché i palinsesti di Rai Uno, per sapere con 4 precisione quando ci sarà concesso di leggere il libro e vedere il film per la TV intitolati entrambi Le ragazze dello Swing: pubblicheremo volentieri le reazioni all’uno e/o all’altro che riceveremo, anche quelle pepate, purché mantenute nei limiti di un civile confronto di idee, conformemente al nostro stile. ◙ Dal 5 al 10 Luglio scorso si è svolta a Roma, tra l’Auditorium della Conciliazione e la Multisala Adriano, la quarta edizione del Roma Fiction Fest, manifestazione dedicata alla fiction italiana. Manifesto della quarta edizione del Roma Fiction Fest. Ne parliamo qui perché tra le fiction italiane presentate in anteprima al pubblico c’era anche Le ragazze dello Swing, di cui viene confermata la programmazione nel prossimo autunno su Rai Uno. Locandina della miniserie Le ragazze dello Swing (dal sito della Casa produttrice, la Casanova Multimedia) 5 Su YouTube si trova un video [http://www.youtube.com/watch?v=3rQdG6MVjf4&feature=player_embedded], registrato nel corso di detta manifestazione, nel quale il regista della miniserie, Maurizio Zaccaro, ribadisce con chiarezza i principi cui è solito attenersi nel realizzare le fiction televisive che gli vengono affidate, inclusa ovviamente quella dedicata al nostro Trio. Alla giornalista che gli chiede come abbia risolto il problema della verosimiglianza, egli dichiara tra l’altro: «Dare dei sosia in prodotti del genere fa sempre un po’ senso […], preferisco evocare una situazione che non rappresentarla e trovare dei sosia avrebbe voluto dire rappresentarla». Idee rispettabili, certo, e magari anche suggestive agli occhi di qualcuno, ma che, a nostro avviso, non convincono. Ci sembra infatti alquanto arduo riuscire ad evocare in maniera efficace dei personaggi storici, specie se appartenenti alla storia recente, ancor viva nella memoria di molti, quando si scelgono, per farli rivivere sullo schermo, degli interpreti che a loro non assomigliano neanche un po’, tanto nel fisico quanto nel temperamento. È appunto il caso delle quattro attrici scelte da Zaccaro per interpretare le tre sorelle canterine, più la loro madre: attrici grintosissime, di grande avvenenza e sicura presenza scenica, ma proprio per questo agli antipodi dei tipi umani rappresentati nella realtà dalle Lescano. Abbiamo insomma ragione di temere che la fiction deluda le nostre aspettative, e proprio a livello di quell’evocazione di tutta un’epoca la quale, solo se credibile, è in grado di coinvolgerci emotivamente. Aspettiamo comunque di vedere in TV la miniserie sulle Lescano, prima di dare un giudizio definitivo. Chi invece non ha avuto bisogno di aspettare è l’autorevole critico cinematografico Italo Moscati. Avendo presenziato alla proiezione in anteprima mondiale della fiction (Roma, giovedì 8 Luglio 2010, Sala Grande dell’Auditorium della Conciliazione) egli ha potuto pubblicare su CINE/blog le proprie impressioni, il cui tenore ci sembra trasparire già dal titolo del suo articolo [http://www.cineblog.it/post/23466/le-ragazze-dello-swing-tracinema-e-fiction-sorridono-appena-le-ragazze-del-trio-lescano#show_comments]: Le ragazze dello Swing: tra cinema e fiction sorridono (appena) le ragazze del trio Lescano. Invitiamo tutti i nostri simpatizzanti a leggere con attenzione le acute osservazioni di Moscati, che personalmente condividiamo in pieno, specie là dove manifesta ammirazione (e anche nostalgia, ci par di capire) per gli sceneggiati televisivi di quarant’anni fa, come Il segno del comando, diretto nel 1971 da Daniele D’Anza: lavoro che Moscati ha rievocato (immaginiamo da par suo) al Roma Fiction Fest. Lo scrittore, sceneggiatore e regista Italo Moscati; su di lui si veda la pagina http://www.comingsoon.it/personaggi/?k ey=75900&n=Italo-Moscati. 6 ◙ In Internet si trovano varie altre recensioni dell’anteprima de Le ragazze dello Swing proiettata a Roma. Esse sono tutte smaccatamente (e acriticamente) elogiative: «Un modo per raccontare con originalità gli anni Trenta e Quaranta» (Alessandra Pepe su RecenSito); «La composizione convincente del cast è forse la prima cosa che salta all’occhio dell’opera di Zaccaro» (Lucilla Grasselli su Movieplayer); «Progetto ambizioso venduto in 16 paesi, Le ragazze dello Swing ricostruisce con grande gusto estetico l’Italia di quegli anni, alle soglie della II Guerra Mondiale. […]. Deliziose le protagoniste, tutte e tre olandesi [ma la Osvart non è ungherese? - NdC] come il trio originale» (Giorgia Lo Iacono su Cinecorriere), ecc. ecc. Si direbbe insomma che al giorno d’oggi, per molti cronisti, uno spettacolo televisivo, solo perché è trendy, piace al largo pubblico e si vende bene all’estero, vada ipso facto incensato senza curarsi minimamente dei suoi contenuti… ◙ Sempre a proposito della miniserie di Rai Uno Le ragazze dello Swing, «Il Giornale» ha pubblicato in data 19 luglio 2010 (p. 20, sezione Spettacoli) un articolo di Paolo Scotti intitolato Quando l’Italia fascista cantava le canzoni del Trio Lescano - Nelle “Ragazze dello Swing” l’ascesa delle artiste grazie all’Eiar. E il tonfo crudele e improvviso dovuto alle leggi razziali. Ci è purtroppo capitato spesso di imbatterci in articoli sulle Lescano che, per un motivo o per l’altro, ci sono apparsi criticabili; questo de «Il Giornale», però, ci sembra che li batta tutti in fatto di disinformazione, tante sono in esso le cantonate e le fandonie da noi riscontrate. Ecco alcune di tali perle: - Le Blue Dolls, che hanno inciso le 12 canzoni che ascolteremo nella fiction, diventano qui le «New Dolls»: chissà come saranno contente le tre brave artiste di essere state renamed! Interessante, invece, questa frase di Maurizio Zaccaro riportata nell’articolo, perché è rivelatrice delle reali intenzioni del regista: «Non abbiamo usato le incisioni originali [del Trio Lescano] perché avrebbero contrastato in modo troppo stridente con la modernità delle immagini». Egli ammette dunque che ciò che vedremo nella miniserie Le ragazze dello Swing ha ben poco in comune, sul piano figurativo, con l’epoca delle Lescano. Sappiamo anche che egli ama dare il nome di evocazione a questa sua scelta di modernizzare ogni cosa nelle fiction ambientate nel passato… Una delle simpatiche locandine delle Blue Dolls. 7 - La canzone Tuli-tuli-pan ha avuto anch’essa il titolo cambiato in Tulli-tulli-tullipan: non sarà per caso che l’Autore di questo e di altri consimili svarioni soffra, a sua insaputa, di una leggera (auguriamocelo) forma di dislessia? Non sarebbe male che si facesse dare una controllatina da qualche specialista, così, par acquit de conscience… L’etichetta del disco originale della canzone Tuli-tuli-pan, versione italiana dell’americana Tu-Li-Tulip Time. - «La biondissima Andrea Osvart (ungherese), la sensibile Lotte Verbeek e la sbarazzina Elise Schaap (olandesi)» vengono definite nell’articolo «tre attrici slave». Saremmo curiosi di sapere se le tre interessate gradiscono di essere etichettate così. - Le tre Lescano furono «abbandonate in fasce dal padre ubriacone». Questa è pura diffamazione, giacché non esiste, a nostra conoscenza, alcun documento o testimonianza degna di fede che ci autorizzi a ritenere che Alexander Leschan sia stato un marito e un padre irresponsabile e vizioso: al contrario, vari indizi fanno pensare che, finché fu in grado di provvedere alla famiglia col suo onesto lavoro di artista di circo, non fece mai mancare nulla alle proprie figlie, a cominciare da un’eccellente formazione professionale nel campo della danza. Chissà che il fantasma di questo galantuomo non faccia una visita notturna, non proprio amichevole, a chi propala sul suo conto ignobili calunnie del genere. 8 A sinistra Alexander Leschan (1877-1945) con la prima moglie Helena Libot (1879-1908), entrambi acrobati di circo; ebbero due figlie, Maria e Diane. A destra lo stesso nei primi anni Venti, mentre si esibisce in un circo con la seconda moglie, Eva de Leeuwe (1892-1985), in una parodia di operette, la specialità di quest’ultima; la nuova coppia mise al mondo Alexandrina Eveline, Judith e Catharina Matje, rispettivamente nel 1910, 1913 e 1919. Oltre che acrobata, Alexander fu anche un apprezzato clown e, più tardi, stuntman nei film muti: fu appunto esercitando questo pericoloso mestiere che, verso la fine degli anni Venti, si infortunò gravemente, rimanendo per sempre invalido. Come si vede, era assai piccolo di statura, proprio come le figlie, specialmente Giuditta Lescano, alta non più di un metro e cinquanta. L’attrice olandese Lotte Verbeek, che nella fiction ricopre il suo ruolo, è più alta di lei di circa venti centrimetri! - Le Lescano, prima di diventare cantanti di successo, erano «acrobate da circo e poi lavapiatti in un ristorante alla moda». Nossignori, erano ballerine acrobatiche (non è la stessa cosa) in rinomate compagnie di varietà che giravano l’Europa e c’è da scommettere che prima del ’43 non lavarono mai un solo piatto in vita loro. Alexandra e Judith Leschan al tempo in cui formavano il duo di ballerine acrobatiche Sunday Sisters (1934 ca.). - Le Lescano furono «scoperte da Gorni Kramer». Assolutamente falso! Lo sanno anche i piccioni che a scoprirle, nel 1935, fu il M° Carlo Prato, l’ottimo insegnante di canto presso la sede torinese dell’Eiar. Quanto a Kramer, egli si limitò a comporre la melodia di cinque canzoni incise dalle Lescano, fra cui la celeberrima Pippo non lo sa (1940). Ogni ulteriore commento ci pare superfluo, ma ci auguriamo che l’esimio Direttore de «Il Giornale», Vittorio Feltri, butti l’occhio qui sopra, giusto per rendersi conto di come lavorano certi suoi collaboratori… ◙ Dall’8 al 9 Agosto si è svolto a Sanremo, presso il parco di Villa Ormond, la dodicesima edizione di Zazzarazzaz - Festival della Canzone jazzata. Quest’anno la rassegna è stata dedicata allo swing “made in Liguria”, con tributi a Pippo Barzizza e 9 a Bruno Lauzi. Molto bello il manifesto di questa edizione, che il direttore artistico, l’amico Freddy Colt, ci ha puntualmente inviato mentre eravamo in vacanza. Su di esso spicca una foto giovanile di Pippo Barzizza, dove si vede il Maestro nell’intimità della sua casa, rilassato e sorridente, con l’immancabile pipa in mano: 2 Settembre 2010 ◙ Alla fine dello scorso Luglio ci è giunta la seguente mail: «Spettabile Redazione del sito Ricordando il Trio Lescano, sono una collezionista di vecchie canzoni degli anni ’40-’50. Le adoro. Vorrei chiedervi un favore: potreste inviarmi, se possibile in allegato mp3, Mustafà e Ho imparato una canzone, che piacciono a mia madre? Non riesco a trovarle da nessuna parte. E potreste inviarmi una lista delle loro celeberrime canzoni? O mandarmene una copia? Aspetto una vostra e-mail presto. Grazie di cuore. Erano le canzoni di mia madre. Cordiali saluti, Alessandra V.». Rispondiamo ora ricordando a questa gentile lettrice che l’elenco completo delle incisioni delle sorelle Lescano, da sole o assieme ad altri cantanti, si trova nella pagina del presente sito http://www.trio-lescano.it/discografia.html. Quanto alle due canzoni che piacciono tanto alla sua mamma, non siamo purtroppo in grado di inviargliele come richiesto, perché ce lo vieta la legge sui diritti d’autore; tuttavia possiamo offrirle le anteprime significative di entrambe: - Mustafà, ritmo allegro di Filippini-Morbelli; cantano Gilberto Mazzi e il Trio Lescano (disco Parlophon GP 92872, 1939). - Ho imparato una canzone, ritmo moderato di Rizza-Pinchi; cantano Ernesto Bonino e il Trio Lescano con l’Orchestra Barzizza (disco Cetra DD 10022, 1939 ca.). Di quest’ultima canzone abbiamo in archivio anche il testo originale, apparso nel «Canzoniere della Radio», n. 17, Giugno 1941, p. 11: 10 ◙ Si direbbe che perfino la Società Dante Alighieri, un tempo reputata ovunque per la sua serietà e autorevolezza, stia oggi perdendo colpi. Lo temiamo in quanto la sezione olandese di detta Società [ http://www.dante-alighieri.nl/ ] si è ultimamente occupata in due occasioni del Trio Lescano e lo ha fatto ogni volta con deplorevole faciloneria. Logo della Società Dante Alighieri in Olanda. Nel primo caso, parlando dei tulipani, cantati dal Trio nella versione italiana (GP 93080a e GP 93119a, matrice 154680) della celebre canzone di Maria Grever Tu-LiTulip Time, Marisa Jansen-Miglioli scrive, nel Bollettino di Voorjaar (Primavera) 2010 del Comitato di Leida e dell’Aia della Dante Alighieri, che le Lescano «alla fine 11 [sic] degli anni Trenta, mentre sono a Torino e lavorano come acrobate e cantanti in un piccolo circo, vengono scoperte da un produttore radiofonico che le [sic] consiglia di adattare il loro stile di canto a quello delle Andrews Sisters, un trio americano di swing. In Italia le sorelle Lescano hanno un successo immediato e vendono migliaia di dischi, successo però che non arriva fino in Olanda. Anche durante il periodo fascista continuano a cantare, con un pesante accento olandese, ma agli italiani non importa; solo dopo la caduta del fascismo devono nascondersi, ma alla fine della guerra ormai la loro carriera è al tramonto». È sbalorditivo constatare quante corbellerie la buona signora Marisa sia riuscita ad infilare in poche righe! Non mette conto enumerarle tutte (lo possono fare, giusto per divertirsi un po’, i nostri fedeli lettori), ma vorremmo almeno ricordare alla predetta signora che le tre olandesine cantarono in Italia dal 1936 al 1943 e quindi non «anche», ma solo «durante il periodo fascista». Quanto alle Andrews Sisters, abbiamo ripetuto in questa sede a sazietà che non possono essere state il modello delle Lescano, per la semplice ragione che arrivarono al successo internazionale dopo di loro. In realtà non è alle Andrews, bensì alle Boswell Sisters che si ispirarono le Lescano (se mai lo fecero) e ci chiediamo sgomenti per quanto tempo ancora questa topica irritante continuerà a circolare… Il secondo caso riguarda un articolo abbastanza lungo, a firma di Laura Briganti, apparso nel Bollettino di Zomer (Estate) 2010. Esso trae lo spunto dallo spettacolo teatrale De meisjes van Mussolini [Le ragazze di Mussolini], di cui abbiamo parlato anche noi, in termini assai critici, nelle Notizie del 12 Ottobre 2009 e dell’8 Aprile 2010. Aggiungiamo ora che chi volesse accertarsi personalmente del livello qualitativo di tale deprimente spettacolo può visionare, in YouTube, qualcuno dei numerosi videoclip ivi presenti su di esso: c’è solo l’imbarazzo della scelta. La Briganti non vi ha trovato invece nulla da eccepire e si impegna a raccontare ai lettori del Bollettino la storia delle tre sorelle Lescano, dando quindi per scontato che nessuno la conosca in Olanda. Per farlo ha dovuto però documentarsi «un po’», dal momento che, per sua stessa ammissione, all’inizio «non sapeva molto» neanche lei della loro vita. Dove si sia documentata non ce lo precisa, ma non è difficile arguire che le uniche fonti da lei consultate con illimitata fiducia siano state la voce Trio Lescano di Wikipedia, voce purtroppo inficiata da errori e imprecisioni, e il ben noto articolo di Natalia Aspesi, apparso su La Repubblica del 26 Ottobre 1985 e reperibile anche in rete. Chi ci segue con continuità sa bene che tale articolo è stato da noi analizzato e dibattuto in questa sede a varie riprese, in modo serio, rigoroso e approfondito (il tutto è disponibile nell’Archivio delle Notizie), e sa anche che siamo giunti alla conclusione che esso sia in larga misura inattendibile, contenendo affermazioni rivelatesi palesemente false o quanto meno prive di riscontri oggettivi. Certo, non tutti sono tenuti ad avere l’acribia e l’esprit critique che animano le nostre ricerche e discussioni, ma fa specie che a dimostrarsene affatto priva sia una persona che lavora e scrive per un Istituto di alta cultura quale ha fama di essere la Società Dante Alighieri. La Briganti, in effetti, riporta punto per punto nel suo articolo, avvalorandole, tutte le 12 panzane che ha reperito nelle fonti testé citate, incluse quelle attribuite a Sandra Lescano. In realtà è ben possibile che la povera donna, ormai anziana e malata all’epoca dell’intervista (morirà un anno e mezzo dopo), non si sia resa conto dell’effettiva portata delle dichiarazioni che l’abile intervistatrice, come tutti i giornalisti a caccia di scoop, può averla “incoraggiata” a fare. Non paga di ciò, l’Autrice ha pensato bene di aggiungere di suo alcune strepitose invenzioni, come quella delle Lescano che presentano «numerosissime canzoni, alcune scritte da altri autori, altre anche con il loro apporto» (?), o quell’altra del «re Umberto» (dimenticando che il Principe di Piemonte diventerà il “re di Maggio” solo nel ’46) che viene «in loro aiuto, facendole trasferire in Svizzera» (quasi che Saint-Vincent, dove si rifugiarono le Lescano agli inizi del ’44, si trovasse in territorio elvetico, anziché in Valle d’Aosta). Ed infine il fragoroso botto conclusivo, con le Lescano «riscoperte grazie a Paolo Limiti, che le ha invitate in una sua trasmissione televisiva». Non insistiamo oltre, per carità di Patria, ma ci permettiamo di suggerire, sottovoce, alla gentile signora Laura di occuparsi in futuro d’altro. Tuttavia, se proprio ama le Lescano, legga almeno con più attenzione i titoli delle loro canzoni: il celebre gatto, morto benché nella sua casa avesse in abbondanza «pane e vin», si chiamava Maramao e non Marameo, come lei scrive! Dall’articolo di Laura Briganti, De Meisjes van Mussolini: Il trio Lescano. Tre sorelle olandesi, leggenda nell’Italia fascista, poi arrestate e dimenticate. Mandolino, incipit dello spartito ed etichetta del disco originale del fox-trot di Panzeri-Consiglio Maramao perché sei morto? (© 1939 by Casa Editrice MELODI, Milano). ◙ Mail di Aldo: «Cari amici, bentornati dalle ferie e buona ripresa col Notiziario! Direi che dal discorso “fiction TV-Lescano” non mi sento per niente intrigato (e chissà perché); so solo che in Luglio avevo chiesto in qualche libreria fiorentina informazioni a proposito delle uscite (ma che belle uscite, mi verrebbe da dire) 13 imminenti dei libri sul famoso Trio; a parte che Firenze (ahimè) da tempo non è così al top circa le primizie audio-testo-visuali, nelle varie librerie non mi hanno saputo dire gran che, e nemmeno cliccando un po’ su Internet ho ottenuto migliori risultati. Che faccio? Riprovo? Vedremo, nei prossimi dì. Più interessante mi parrebbe il discorso su Fascismo e repertorio musicale straniero, discorso un po’ lunghetto. Esprimendo qui solo una mia breve e modesta opinione, posso dire che, materiale alla mano, i cataloghi discografici italiani, sin dalla fine degli anni Venti, erano pieni di brani stranieri, di dischi con canzoni o pezzi orchestrali stranieri, i quali erano spessissimo di matrice anglo-americana, tedesca o francese; inoltre sui dischi compariva di solito pure il titolo originale. Quindi basta con queste storielle para-intellettuali di alcune “teste d’uovo”, che di sicuro ben poco sanno di concreto sulla storia della musica leggera italiana, ma che scrivono solo con intenti giornalistico-ideologici. Omissioni di censura le incontriamo solo a partire da fine ’41 e dal ’42, e mi pare ovvio, con l’entrata in guerra degli americani. Punto. Quanto ai brani, essi continuarono a circolare lo stesso e ad essere interpretati. Quindi, che noia, basta! D’altronde a noi poveri... nostalgici (?, ma per favore, non chiamateci così) somministrano, chissà come o perché, qualche brano incastrato in contesti di chiacchiera radiofonica mattinale o pomeridiana; ben venga qualcosuccia così (mi si perdonino dei toscanismi che a tanti dan fastidio): per lo meno non così perniciosa per il nostro povero udito, come certi strilli di prima mattina che vorrebbero consigliarci nell’uso del nostro Paese (ma si può, dico io). Pensare invece alla gentilezza di Adriano Mazzoletti, che in pieno 1968 ci parlava quasi sottovoce, la mattina verso le 6.30, con Svegliati e canta. Quella sì che era una trasmissione Radio: competente e piacevole, e pure educata! Un’ultima annotazione. Girando in rete, ho notato con fastidio e disappunto che continua, da parte di alcuni siti, il saccheggio di informazioni o notizie date da noi e pubblicate sul nostro sito: ad esempio, su http://www.78-giri.net/ru/ (di provenienza russa), si riportano pari pari tutte le note (appunti) che IO, beh..., ho fatto su Crivel, qualche mese fa. Che dire? Citare le fonti... noo? Credo che occorra davvero fare qualcosa, altrimenti... stop». L’amico Aldo ha assolutamente ragione. Proveremo ad invitare il responsabile del sito russo (una nostra vecchia conoscenza) a citarci sempre – come aveva promesso di fare – quando siamo noi la fonte delle informazioni e delle foto che va pubblicando nel suo sito Musica del Ventennio (1923-1943), sito apprezzabile, in verità, perché dedicato alla musica leggera italiana a noi così cara. Speriamo dunque che si tratti solo di una banale dimenticanza… 3 Settembre 2010 ◙ In questa rubrica abbiamo più volte lamentato il fatto che numerosi autori e interpreti della Canzone Italiana degli anni Venti-Quaranta, alcuni anche di primo piano, non vengano oggi ricordati e valorizzati come meriterebbero, quando non appaiano addirittura del tutto dimenticati. Sulle ragioni di questa riprovevole 14 indifferenza quasi generale nei confronti della conservazione del nostro patrimonio musicale – sul cui valore, riconosciuto ovunque nel mondo, non sussistono dubbi di sorta – ci sarebbe molto da dire, ma non è questo il punto che intendiamo trattare ora. Vogliamo invece attirare l’attenzione di chi ci segue su quest’altra realtà: se l’Italia si mostra vergognosamente incline a relegare nel dimenticatoio quanti l’hanno onorata in passato col proprio ingegno e la propria arte, per incensare magari altre “glorie” attuali, tanto inconsistenti e discutibili quanto presumibilmente effimere (il tempo ha fama di essere galantuomo e di fare sempre giustizia, almeno alla lunga...), ci sono altri paesi che lo fanno per noi e nel modo giusto. Ci riferiamo in particolare al Brasile, dove è attiva da parecchi anni una Casa discografica, la Revivendo Músicas [http://www.revivendomusicas.com.br/], fondata da un grande musicofilo, Leon Barg (1930-2009), il quale, fino al termine della sua vita, ci ha costantemente onorati con la sua calda amicizia e straordinaria generosità. Chi conosce, anche solo un po’, il portoghese-brasiliano è invitato a visionare il video di YouTube che racconta la storia di questa Casa, ammirevole esempio di impresa commerciale che, oltre a perseguire – com’è logico e giusto – finalità economiche, si è anche posta, fin dall’inizio, al servizio della Cultura. Ma quel che più conta è che lo ha fatto con scelte e modalità operative tali da soddisfare non solo i semplici appassionati, ma anche studiosi, musicologi e specialisti di discografia. Il suo catalogo, divenuto col tempo assai vasto, comprende in effetti la riedizione, sempre accurata in ogni dettaglio, di buona parte di quello che è stato inciso in Brasile nell’epoca dei 33 giri: vale a dire decine di migliaia di dischi, moltissimi di una bellezza incomparabile da tutti i punti di vista (melodie, testi, arrangiamenti, interpreti, ecc.). Questo però può interessare chi (come lo scrivente) ha da sempre un feeling tutto speciale per la musica sudamericana d’annata; a noi importa invece evidenziare qui come la Revivendo Músicas dedichi una parte significativa delle sue riedizioni anche alla produzione discografica di molti strumentisti e cantanti di altri paesi, inclusa l’Italia. A questo punto confessiamo di procedere nella stesura della presente nota con un misto di compiacimento, sì, ma anche di disagio e perfino di amarezza, nel constatare come in Brasile (paese con una quantità di enormi problemi) qualcuno riesca a fare in difesa della nostra Cultura quello che potremmo e dovremmo fare noi, sicuramente con ben minori difficoltà, se solo lo volessimo sul serio. Ma tant’è, siamo certi che chi dovrebbe arrossire davanti a fatti del genere non proverebbe, dopo averli conosciuti nei dettagli, il ben che minimo rincrescimento, perché – parafrasando un vecchio detto – non c’è peggior tonto (o finto tonto) di chi non vuol capire… La Revivendo Músicas ha dunque manifestato sin dalla sua fondazione un evidente interesse per i grandi cantanti italiani del passato, anche perché alcuni di loro si sono esibiti dal vivo in quel lontano e musicalissimo paese, incidendovi talvolta dei dischi. È il caso di Carlo Buti, che nel 1950 registrò in loco per la Continental 28 brani del suo miglior repertorio, dando prova di possedere, a 48 anni e una carriera oltremodo intensa e logorante alle spalle, una voce ancora pressoché integra. Ascoltiamo, ad esempio, l’anteprima di una di tali incisioni, il bel tango di Ala-Bertini Vecchia Cumparsita (disco Continental 20077A, matrice 2522). Segnaliamo per la cronaca 15 che 22 delle suddette 28 canzoni sono state riedite nel CD Carlo Buti - La Voce d’Oro (Again, LBACD-046); purtroppo esso risulta oggi fuori catalogo. Copertina del CD della Revivendo Músicas dedicato a Carlo Buti (Again, LBACD-046). Carlo Buti è stato ed è tuttora molto amato in Brasile (e non solo dai tanti brasiliani di origine italiana), ma non meno famosi sono ancor oggi laggiù altri nostri vecchi cantanti, quali Tito Schipa e Daniele Serra. È appunto a questi magnifici artisti che furono dedicati tre dei primissimi LP prodotti da Leon Barg più di vent’anni fa: Copertine degli LP della Revivendo Músicas dedicati a Tito Schipa (BL-007), Daniele Serra (BL-012) e Carlo Buti (BL-013), tutti pubblicati a Curitiba (Paraná) nel 1989. 16 Per passare all’attualità (dopo la morte di Leon Barg, è la figlia Lilian che ne continua, col medesimo spirito, l’opera), merita di venir segnalato, sempre della Revivendo Músicas, il CD RVFC002, appena uscito e dedicato a Fernando Orlandis, uno dei numerosi tenori lirici prestati in quel tempo alla canzone. Egli incise, tra la fine degli anni Venti e la metà degli anni Quaranta, un gran numero di dischi per la Brunswick e la Fonit ed è senz’altro un ottimo cantante, anzi uno dei migliori nel suo campo specifico: per rendersene conto, basta ascoltare una qualunque delle sue incisioni, come ad esempio Terra lontana, una barcarola di Bixio-Cherubini (Fonit 8545B). Malgrado ciò, non siamo oggi in grado di ricostruire, neppure a grandi linee, la biografia di Orlandis: sappiamo solo che era fiorentino e di lui ci restano, oltre ai dischi che incise, unicamente alcune foto, tutte sfortunatamente di scarsa qualità. Per questo l’iniziativa dei nostri amici brasileiros, accompagnata da parole che sottoscriviamo in pieno, ci sembra degna di plauso. ◙ In relazione alla mail di Aldo pubblicata ieri, riceviamo il seguente testo di Stanislav Blinov, il creatore del sito http://www.78-giri.net/ru/. Conformemente alla sua richiesta, ne pubblichiamo la parte più rilevante (ci siamo presi la libertà di sistemarvi un po’ l’inglese, per renderlo meglio comprensibile): «I must admit that I have used information from your site. However, I have asked you an e-mail address of Aldo to contact him and ask his permission to republish his text on my site, but you have not replied to me. So I have decided to use his text (which as you can see I have modified and not just copied) and I have however placed following thanks in the end of the text: «Grazie a Max e Gabriele per alcune notizie di Crivel». For some reason, I have confused name Aldo with Max, and now I have changed the text and instead of Max I have wrote Aldo as I wanted originally. My apologies to Aldo. Please publish this letter on your site. I don’t want to have reputation of man who steals texts of other people without quoting the source. 17 Anyway, my site has a lot of original information, like fotos of Crivel, Livi, Serra from my own collection and I don’t see a big problem that I have used some of facts about Crivel from your site on mine». Per quanto ci concerne, temiamo che la mail di cui parla Stanislav sia andata smarrita (ogni tanto succede). Noi abbiamo infatti l’abitudine di rispondere nel giro di uno o due giorni a tutte le mail che riceviamo, incluse quelle che meriterebbero, per un motivo o per l’altro, di non avere alcuna risposta. Comunque, a parte la strana confusione tra Aldo e Max (ora corretta), resta, nella pagina http://www.78giri.net/it/links, la non meno strana assenza del nostro sito, che Stanislav ben conosce e dal quale ammette di aver preso qualcosa. 4 Settembre 2010 ◙ Il nostro collaboratore Francis, che negli ultimi mesi ha arricchito l’Archivio del sito con tante preziosità di primario interesse, ha reperito una bella foto in cui si vede il cantante Lucio Ardenzi impegnato in un’esecuzione dal vivo, accompagnato dal Trio Aurora e dall’Orchestra di Pippo Barzizza. Sul retro si legge questa annotazione: «Spettacolo per i militari. Teatro di Torino, 9 maggio1942». Lucio Ardenzi (Roma, 1922-2002), al quale Il Canzoniere della Radio dedicò nel 28° fascicolo (15 Gennaio 1942-XX) la pregevole copertina di Baggiolini nonché un articolo (pp. 4-5) del solito Sergio Valeri, è uno dei tanti cantanti degli anni Quaranta oggi ingiustamente dimenticati. L’amico Massimo Baldino scrive di lui, nel suo sito Il Discobolo, che era «dotato di una voce assai gradevole, ricca di ironia e di swing»; la possiamo apprezzare in Ombretta [http://www.youtube.com/watch?v=1PYq5kagUbY], l’unica sua incisione postata su YouTube. Lucio Ardenzi. Dal volume Artisti della Radio (1942), p. 125. 18 ◙ Mail di Alessandro Rigacci: «Il 18 Agosto scorso, alle ore 8.45, è scomparsa a Formello (Roma), alla bella età di 102 anni, l’attrice e cantante Rina Franchetti, l’ultima interprete femminile ancora in vita ad aver inciso con le Lescano. Una bronchite le è stata fatale. Tramite Facebook, sono riuscito a prendere contatto con la figlia, l’attrice Sara Franchetti, la quale, molto gentilmente, mi ha inviato foto e materiale, rendendosi disponibile per eventuali chiarimenti e informazioni. Allego una poesia [v. Appendice 1] scritta nel 1971 da Rina Franchetti: una sorta di testamento, che spero sarà utile nel confezionare la notizia della sua scomparsa. Allego inoltre un paio di foto, una giovanile e una invece più recente, dell’artista». Ricordiamo che la Franchetti incise nel 1938, assieme al Trio Lescano, il fox di MarfMascheroni Quando m’addormento al cinemà, purtroppo non presente nel nostro Archivio sonoro. Tre ritratti di Rina Franchetti nelle diverse stagioni della sua lunga vita. Etichetta dell’unico disco inciso da Rina Franchetti col Trio Lescano. 5 Settembre 2010 ◙ Ci scrive un simpatico ragazzo, Manuel, studente di Storia dell’Arte alla Sapienza di Roma, il quale ci confessa di essere «innamorato della voce di Norma Bruni […], ingiustamente dimenticata». Siccome in Rete ha trovato ben poco su di lei (la pagina che le dedica Wikipedia è in effetti assai lacunosa e contiene parecchie notizie 19 fantasiose o inesatte), egli ci chiede se possiamo passargli la biografia che il nostro ottimo collaboratore, Alessandro Rigacci, ha dedicato alla cantante bolognese. Premesso che, come abbiamo ripetuto tante volte, l’Archivio del sito è a disposizione unicamente di chi collabora con noi in modo concreto e continuativo, la biografia in questione, frutto di anni di instancabili ricerche coronate dall’esito più soddisfacente, è per il momento top secret per tutti. Alessandro conta infatti di pubblicarla per proprio conto (con modalità che sta ancora valutando) e quindi è comprensibile che la massima riservatezza sia da parte sua una scelta obbligata. Manuel saprà certamente che il mondo di Internet non è popolato solo da giovani entusiasti come lui (e che lo sia nell’accezione migliore del termine lo prova la pagina che ha creato su Facebook, http://www.facebook.com/pages/Divi-del-passato-dimenticati/111558112232216?ref=ts), ma anche da fior di furbastri e farabutti, pronti ad approfittare ignobilmente della generosa disponibilità dei veri appassionati. Invitiamo dunque Manuel ad avere pazienza, con la certezza che alla fine non rimarrà deluso, giacché Alessandro è riuscito a ricostruire tutta la vera storia di Norma Bruni, spazzando via una buona volta tutte le squallide menzogne che si sono dette e scritte sul suo conto, per invidia e altro, e ha anche potuto recuperare l’intero corpus delle sue incisioni, che non si limitano affatto ad una dozzina o poco più come sostiene Wikipedia, ma sono per fortuna assai più numerose. Infine contiamo di avere presto Manuel tra i nostri collaboratori: proprio a Roma ci sono ancora tante cose da fare! Norma Bruni nella vita di tutti i giorni, condotta all’insegna della semplicità, da quella donna buona e parsimoniosa che era; dal Canzoniere della Radio, n. 53, 1° Febbraio 1943, p. 27. ◙ Il sempre attivissimo Walter ci segnala il canale di YouTube di tenorbanjo4, citato anche dal Discobolo [ http://www.youtube.com/user/tenorbanjo4 ]. Ce lo descrive così: «…presenta molto materiale in ottima condizione. Fra gli altri, alcuni dischi italiani, anche strumentali, delle orchestre più famose dell’epoca ‘lescaniana’». Tra i brani che più hanno colpito il nostro collaboratore c’è la versione del fox di 20 Mascheroni-Marf Vado in Cina e torno, interpretata da Terni (?) con l’Orchestra di Dino Olivieri. Ricordiamo che questa canzone, così graziosa e originale, fu incisa nel 1938 anche dal Trio Lescano (GP 92633), con Giuditta Lescano in bella evidenza nel ruolo di voce solista. Dal canto suo Paolo attira la nostra attenzione sulla pagina di Facebook intitolata I bei tempi dell’EIAR…[http://th-th.facebook.com/group.php?v=wall&gid=83959467045]. Il suo fondatore e amministratore è Enea A. Minotti, il cui nome ci giunge nuovo. È indiscutibile che i tempi dell’EIAR erano belli, bellissimi, musicalmente parlando; tuttavia è altrettanto evidente che, al di fuori della musica e di qualche altra forma di svago o di spettacolo, il discorso da fare è radicalmente diverso. Vorremmo che questo fosse ben chiaro a tutti, al fine di evitare incresciosi equivoci! 6 Settembre 2010 ◙ Ci sono giunte varie mail di commento a ciò che abbiamo pubblicato nei giorni scorsi, cioè da quando abbiamo riattivato questa rubrica, dopo la pausa estiva. Una di tali mail riassume il senso della maggior parte delle altre là dove dice: «… è incredibile la leggerezza di chi scrive, nei giornali o nei siti Internet, sulle Lescano. Vien da chiedersi come sia possibile che tanti pubblicisti firmino trafiletti, articoli o recensioni su di loro senza curarsi minimamente di controllare la veridicità e/o l’esattezza di ciò che raccontano ai propri lettori...». È una domanda che ci siamo posti tante volte anche noi e che ci pare avere un’unica risposta plausibile: la carenza, in codeste persone, di serietà professionale, la quale si traduce automaticamente nella loro evidente riluttanza a far bene il proprio lavoro. Questa però è solo la nostra opinione: se qualcuno ritiene di avere una spiegazione più convincente, è pregato di farsi avanti, giacché siamo tutti desiderosi di capire come vadano effettivamente le cose. Un altro visitatore, particolarmente interessato al dibattito sulla fiction della Rai Le ragazze dello Swing, ci domanda come mai non abbiamo commentato la Sinossi, piuttosto dettagliata, della miniserie, quella che si può leggere nel sito della Casanova Multimedia: http://www.casanovamultimedia.it/f_LE%20RAGAZZE%20DELLO%20SWING.as p?t=LE%20RAGAZZE%20DELLO%20SWING. Non l’abbiamo fatto per il semplice motivo che questo ampio riassunto della sceneggiatura del film si commenta da solo. Vogliamo dire che quanti ci seguono assiduamente fin dal Dicembre 2008, e hanno così potuto acquisire una conoscenza approfondita della vera biografia delle sorelle Leschan/Lescano (o quanto meno dei tanti problemi tuttora irrisolti relativamente ad essa), sono in grado di cogliere immediatamente e da soli l’enormità delle “licenze” che gli autori di tale sceneggiatura si sono presi (secondo noi senza alcuna vera necessità) con la Storia, quella che emerge dai documenti ed è da essi suffragata. Ribadiamo ancora una volta quella che è la nostra convinzione di fondo: nel realizzare un film o un lavoro teatrale, ovvero nello scrivere un romanzo di argomento storico, si può benissimo (anzi normalmente si deve) “romanzare” la 21 Storia, vale a dire raccontarla con arte, ma senza con questo stravolgerla fino al punto da falsificarla completamente. In altre parole, se un personaggio storico è – poniamo – un volgare assassino non è ammissibile trasformarlo, per esigenze “narrative” o di spettacolo, in un romantico eroe, come pare sia avvenuto, ad esempio, nel film Vallanzasca - Gli angeli del male di Michele Placido, presentato in questi giorni, fuori concorso, alla Mostra del Cinema di Venezia. Al limite l’operazione è possibile, ma solo se si cambia l’identità, con nome e cognome, del personaggio: se questa, al contrario, viene mantenuta nella fiction ogni indebito capovolgimento della Storia diventa intollerabile abuso, specie agli occhi di coloro che, quella Storia, l’hanno vissuta in prima persona e magari sulla propria pelle. ◙ Mail di Paolo: «Bisogna ammettere che Paolo Limiti dispone di infinite risorse! Il cantante Claudio Terni, per tutti uno sconosciuto (v. le Notizie di ieri), non lo è per lui, che lo ricorda in un video [ http://www.youtube.com/watch?v=fbvveVlT04k ] postato su YouTube da maggio1972 (il suo canale è ricchissimo e merita più di una visita). Certo è che Claudio Terni compare in ruoli marginali in varie opere: si veda il sito http://www.operadis-opera-discography.org.uk/CLDOCATE.HTM, dove egli figura in un cast interessante. Partecipa poi a vari Festival della Canzone Napoletana (1958 e altri) e infine il suo nome compare in alcuni dischi revival, come questo: http://www.musicanapoletana.com/product.php?productid=21638&cat=280&bestseller=Y Claudio Terni. Ah, se potessimo avere anche noi libero accesso alle Teche Rai...». 7 Settembre 2010 ◙ Grazie ai buoni uffici del nostro impareggiabile amico Massimo Baldino (di cui non si sa se lodare di più la passione, quella che riversa tutta intera nel suo sito Il Discobolo, o la generosità, tante sono le incisioni e i documenti sulla musica leggera del passato che egli ci ha offerto), il collezionista livornese Giorgio Solinas ha messo a nostra disposizione delle rarità di enorme interesse per le ricerche che ci vedono impegnati da innumerevoli anni. Dando prova di un’illimitata fiducia nei nostri confronti, che naturalmente sarà nostro primo dovere non deludere in alcun modo, egli ci ha prestato i seguenti tre volumi, facenti parte della sua collezione, affinché possiamo non solo analizzarli coi nostri occhi, ma anche scansionarli, per poi accoglierli, una volta digitalizzati e restaurati con la massima cura, nell’Archivio del sito, accanto agli altri dello stesso genere già in nostro possesso: 22 Diciamo subito che il secondo di tali volumi, quello intitolato Assi e stelle della Radio (1941), era già stato da noi acquisito per intero, in forma digitalizzata, per merito del nostro collaboratore Francis (v. le Notizie del 27 Giugno scorso); confessiamo tuttavia che è tutt’altra cosa avere ora in mano l’originale e poterlo sfogliare per ammirarne con comodo le splendide illustrazioni. Delle altre due opere la prima, Tra le quinte della Radio (1942), ci era già nota e anzi la possedevamo in parte, ma solo in fotocopie di modesta qualità: anche qui poter disporre dell’originale, oltretutto in ottime condizioni di conservazione, costituisce per noi un decisivo passo in avanti, che ci galvanizza. La seconda invece, l’edizione del dopoguerra di Assi e stelle della Radio, non l’avevamo mai vista ed è stata per noi una sorpresa davvero piacevole per le tantissime foto di cantanti e musicisti che contiene, tutte stampate in modo eccellente e spesso relative ad artisti oggi poco noti o dimenticati. Il fascicolo, di formato tascabile (cm 12,5 x 18,2), comprende 84 pagine più le quattro di copertina e non è datato, anche se dovrebbe risalire al 1951: vi leggiamo infatti che Tina Allori e Flo Sandon’s, nate entrambe nel 1924, avevano allora 27 anni. Altri indizi, però, suggeriscono come data di pubblicazione il 1949. Offriamo qui in anteprima ai nostri lettori tre delle foto summenzionate, che hanno il pregio di mostrare dei volti familiari agli appassionati delle canzoni di quel periodo, ma in nitide immagini che molti di loro non avranno probabilmente mai visto in precedenza; altro pregio di tali foto è che recano in calce il nome dello studio fotografico dove sono state eseguite. Nell’ordine: Clara Jaione, Lidia Martorana e Flo Sandon’s. 23 Nei prossimi giorni dedicheremo la maggior parte del nostro tempo a scansionare al completo le due opere in oggetto (complessivamente 220 pagine), in modo da poter restituire quanto prima questi tre preziosi documenti al loro proprietario, al quale esprimiamo fin d’ora tutta la nostra gratitudine, nostra personale e di quanti ci seguono. È possibile che per fare questo lavoro dobbiamo trascurare per un po’ la presente rubrica, certi di poter contare sulla comprensione dei nostri affezionati lettori. 8 Settembre 2010 ◙ Paolo ha reperito una cartolina pubblicitaria di Rina Franchetti (v. le Notizie del 4 Settembre scorso). Essa ci mostra la versatile artista nel pieno fulgore della sua giovinezza: ◙ Ancora Paolo ci scrive: «Colpito dal fatto che nella Sinossi della fiction Le ragazze dello Swing compaia per la prima volta il fratello minore di Eva, Aharon, quale compagno di “fuga” sulle montagne, scopro che a quell’epoca il poverino era evidentemente uno spettro! In una pagina del sito Jewish Council leggiamo infatti che Aaron de Leeuwe (settimo figlio dei de Leeuwe), nato ad Amsterdam il 12 Febbraio 1895, vi morì il 20 Settembre 1942 assieme alla moglie, Marianne de Leeuwe-Mozes: http://www.joodsmonument.nl/person/559903. Da un’altra pagina del medesimo sito apprendiamo che i due coniugi si suicidarono, probabilmente per sottrarsi ai rastrellamenti nazisti ad Amsterdam: http://www.joodsmonument.nl/page/559902?lang=en. Sulla famiglia de Leeuwe si veda http://akevoth.org/genealogy/deleeuwe/301.htm. 9 Settembre 2010 ◙ Nel sito dell’editore Einaudi è comparso l’annuncio ufficiale dell’uscita, a metà Settembre (la Feltrinelli parla del giorno 14), del tanto atteso volume di Gabriele Eschenazi sul Trio Lescano. Sorpresa, sorpresa: il titolo, che doveva essere identico a quello della miniserie Rai Le ragazze dello Swing (v. le Notizie del 1° Settembre scorso), appare ora cambiato in Le regine dello swing, cambiamento attestato anche dalla nuova copertina del libro: 24 Si ignorano le ragioni che hanno costretto l’Autore, d’accordo col suo prestigioso editore, a mutare – non in meglio, a nostro avviso – il titolo dell’opera a poche settimane dalla sua uscita. L’ipotesi più probabile è che tra la Casanova Multimedia ed Eschenazi siano sorti all’ultimo momento dei contrasti insanabili. Ne abbiamo una controprova nel fatto che, come abbiamo già notato, Eschenazi, inizialmente accreditato come coautore del soggetto, sia poi scomparso dal cast della fiction, scomparsa confermata dall’ampia scheda del film pubblicata in Wikipedia. In altri termini è successo ad Eschenazi esattamente quello che capitò alle Lescano alla fine del ’42, quando furono completamente “cancellate” sia dall’Eiar che dalla Cetra, qualcuno dice perché venne fuori che erano figlie di madre ebrea (noi abbiamo seri dubbi che fosse proprio questo il motivo del loro improvviso oscuramento radiofonico e discografico, dal momento che l’Ovra sapeva benissimo, fin dal ’35 o ’36, che Eva de Leeuwe era di religione ebraica). A voler essere maligni si è tentati di osservare che «chi le Lescano ferisce, come le Lescano perisce»: in che modo e quanto gravemente Gabriele Eschenazi abbia “ferito” la memoria delle sorelle canterine ce lo dirà tra poco il suo libro, le cui anticipazioni, almeno quelle che abbiamo potuto leggere e commentare in questa sede, non promettono sfortunatamente nulla di buono. 10 Settembre 2010 ◙ Mail di Walter intitolata Chi li ha... visti?: «In un CD inviatomi da un mio conoscente collezionista, ho trovato una versione di È arrivato l’ambasciatore, eseguita da Remo Turchi, nome per me affatto nuovo. Ma non è l’unico, dato che ho a che fare con numerosi altri nomi di cantanti che non mi dicono nulla, e nemmeno l’archivio delle biografie del Discobolo mi è venuto in soccorso. Per alcuni di essi, seppure citati, non è emerso niente e perfino lo stesso Massimo Baldino chiede lumi ai visitatori del suo sito. Secondo il mio punto di vista, tutti questi artisti hanno nomi alquanto fantasiosi (oltre che ripetitivi), e mi chiedo allora se non fossero pseudonimi dietro i quali si celassero altri cantanti ben più conosciuti. Insomma chi erano veramente Gianni D’Arco, Gianni Turco (!), Gino Stella, V. Angeloni, T. Vanni...?». 25 Anche per noi questi cantanti sono dei perfetti sconosciuti, ma forse non lo sono per certuni dei nostri lettori: a loro la parola, dunque! ◙ Mail di Aldo intitolata Torna e ritorna: «Chi cerca musica da ascoltare in rete, può imbattersi in un motivo reintepretato oggi dal gruppo “trip” Portishead o dalla islandese Bjork. Trattasi di Gloomy sunday (titolo originale: Szomorú vasárnap), un motivo che l’ungherese Seress Rezső compose agli inizi degli anni ’30. Seress Rezső (1889-1968). La cover fu ripresa tra il ’41 ed il ’42 col titolo (traduzione dell’ungherese, appunto) di Triste domenica, da alcuni nostri cantanti, come Carlastella (su Odeon) e Giovanni Vallarino (Fonit); dieci anni più tardi, nel ’52, fu riproposto anche da Nilla Pizzi (Cetra). Il testo italiano, di Rastelli, si diversifica comunque nelle varie interpretazioni. Un motivo strano (da suicidio, si legge in rete), senz’altro particolare, come forse il suo autore. Chissà che anche le Lescano possano averlo qualche volta, in qualche occasione, interpretato pure loro, magari in ricordo del padre. Chissà...». Una bella versione strumentale di questa struggente canzone si può ascoltare su YouTube all’indirizzo http://www.youtube.com/watch?v=8Kkxbw3s2pM&feature=related. 11 Settembre 2010 ◙ Nove mesi or sono, esattamente nelle Notizie del 5 Dicembre 2009, abbiamo recensito il CD Diamoci del tu…, prodotto dalla P-nuts [http://www.p-nuts.it/] e dedicato all’Orchestra Maniscalchi diretta da Christian Schmitz. In questi giorni il titolare di detta Casa, Giorgio Bozzo, ci ha fatto pervenire la sua ultima creazione discografica, il CD Signorine Novecento, interamente consacrato alle Sorelle Marinetti, accompagnate come sempre dall’Orchestra Maniscalchi, con Christian Schmitz nel molteplice ruolo di arrangiatore, direttore, pianista e qui perfino corista. Per la precisione il disco è uscito il 25 maggio scorso, ma, per un banale disguido (complici anche le vacanze estive), lo abbiamo ricevuto solo ora. 26 A sinistra: copertina del CD Le Sorelle Marinetti - Signorine Novecento; a destra: le Sorelle Marinetti con Christian Schmitz. Diciamo subito che esso ci ha fatto, sin dal primo ascolto, un’impressione delle più favorevoli, tanto che non esitiamo ad affermare che i 14 brani che contiene ci paiono rappresentare il meglio del meglio in fatto di rivisitazioni di classe della musica vocale degli anni Trenta-Quaranta. Può anche darsi che il nostro giudizio sia influenzato positivamente da motivi di ordine… sentimentale, dato che più della metà di tali brani furono incisi una settantina di anni fa dalle sorelle Lescano, le nostre beniamine, ma è innegabile che proprio il confronto diretto con le incisioni originali (e questo vale anche per le rimanenti canzoni, tutte incise in quel lontano passato da altri esecutori di vaglia) mette in luce l’eccellenza di queste moderne reinterpretazioni. Ma vediamo i motivi del nostro pieno gradimento. Ben conoscendo la sconfinata passione di Giorgio Bozzo per le cose fatte bene, con una cura maniacale (in senso buono) di ogni pur minimo dettaglio, va dato per scontato che, da un punto di vista tecnico, il CD sia assolutamente impeccabile. Non per nulla l’incisione dei 14 brani ha richiesto quasi tre settimane di strenuo lavoro, effettuato in uno dei migliori studi di registrazione del Bergamasco, il Cavo Studio di Azzano San Paolo; lo esigeva del resto anche l’etichetta prescelta per la distribuzione del disco, la Atlantic - Warner Music Italia, nota per l’ottimo livello qualitativo dei suoi prodotti. Anche la presentazione esteriore del disco è accattivante per vari motivi, il primo dei quali è l’originalità con cui, sulla retrocopertina, sono indicati i brani prescelti. Invece del solito elenco ben incolonnato, troviamo questo piacevole sfarfallio di titoli, scritti con caratteri tutti diversi che richiamano lo stile del primo Novecento: 27 Se poi andiamo a sfogliare il libretto, vediamo con piacere che ogni singolo brano è descritto in una scheda che, seppur concisa, risulta chiara ed esauriente. Si veda ad esempio come viene presentato il delizioso fox-trot Vado in Cina e torno: È appunto in questo pezzo che si esibisce, come corista, Christian Schmitz: lo fa assieme a Paolo De Tuglie e Tony Corsano nel trio vocale maschile che accompagna le Marinetti, ruolo che nell’incisione originale col Trio Lescano venne affidato al Quartetto Cetra. Molto opportuna la precisazione della scheda riguardo a quest’ultima formazione, perché molti ignorano che essa aveva in comune solo il nome col famoso Quartetto Cetra di Virgilio Savona e soci. Per inciso ricordiamo che abbiamo trattato anche noi questo punto nelle Notizie del 10 Febbraio scorso. Ma veniamo ora al contenuto del disco, che in definitiva è ciò che interessa maggiormente i suoi acquirenti. È un mix molto ben equilibrato di sette canzoni italiane più sei canzoni americane, queste ultime assai popolari qui da noi al tempo delle Lescano, ovviamente in versione italiana, che non sempre rispecchia il 28 significato del testo primitivo. È il caso di Nature Boy, grande successo di Nat King Cole, diventato in Italia Ricordati ragazzo (la prima incisione della versione nostrana fu quella di Natalino Otto, nel ’49) o di Love for Sale, canzone basata in origine su un tema allora scottante che appare del tutto eluso nella versione italiana, intitolata Ma perché? A queste tredici si aggiunge un’allegra canzone tedesca, Liebes Kleines Fräulein, che fu incisa nel ’42 delle Valtonen, tre sorelle finlandesi emule delle Lescano col nome di Harmony Sisters (ne abbiamo parlato a lungo nelle Notizie del 10 Giugno 2009). Sono tutte canzoni scelte, con gusto sicuro, non solo per i loro pregi oggettivi, tanto a livello delle melodie quanto a quello dei testi, ma anche con l’intento di valorizzare al massimo la duttile e raffinata vocalità delle Marinetti, che qui ci paiono davvero perfette: mai una sbavatura e soprattutto mai una nota sopra le righe, come solo agli artisti più dotati e maturi è concesso di fare. Non è da meno il cantante solista, Gianluca De Martini, che è il degno complemento delle Marinetti, così come dell’Orchestra Maniscalchi. Già, l’Orchestra: i suoi componenti sono qui solo dieci ma, ad ascoltarli, sembrano una big band. Merito senza dubbio del fatto che sono tutti elementi di prim’ordine, parecchi dei quali anche polistrumentisti, ma merito incontestabile anche degli splendidi arrangiamenti di Christian Schmitz: fedelissimi nello spirito a quelli originali, ma ripensati con ammirevole maestria in funzione di un organico ridotto e anche dell’odierna sensibilità, che per forza di cose non può essere quella del tempo in cui le Lescano cinguettavano dai microfoni dell’Eiar, accompagnate dalle grandi Orchestre dei Maestri Barzizza o Angelini. In conclusione riteniamo di poter dire che l’ultima fatica di questa bella compagine di artisti, validamente capitanati da quel grande talent scout che è Giorgio Bozzo, meriti di figurare nella discoteca di ogni amante della buona musica, a fortiori se è un incallito lescanofilo, come lo siamo tutti noi di questo sito. ◙ Mail di Aldo intitolata Illustri... s-conosciuti?: «In riferimento alla mail e alle considerazioni di Walter, è un bel “capitolone” quello dei nomi (diciamo anche pseudonimi) coi quali apparivano (su disco) i vari artisti o musicisti dell’epoca; credo che abbiamo sfiorato il problema solo qualche mese fa, a proposito dell’Orchestra di Stefano Ferruzzi: forse ricorderete, in quella sede, la testimonianza stessa del Maestro: «...Incidevo per sette case discografiche diverse con sette[ma forse anche più, n.d.r.]nomi diversi...« (in Café-chantant di Contini-Paganini-Vannucci, Ed. Bonechi, Firenze, 1977, pag. 120). Ecco, esattamente così: presentarsi con più nomi (quando, meccanismo opposto, addirittura si omette), variare per “arricchire-incrementare” il panorama artisticomusicale, e di sicuro per motivi contrattuali. Renzo Mori, contemporaneamente attivo presso quasi tutte le etichette (label, dicono oggi) milanesi (ma non certo alla C.e.t.r.a.-Parlophon) ne è (con Crivel...) un efficace esempio. Canta la notissima È arrivato l’ambasciatore (1938) da solo per La Voce del Padrone e su Italfon come Remo Turchi; mentre è la voce più saliente (come sempre) nel coro che accompagna la versione su Columbia di Lita Manuel e Crivel, e su Odeon quella di Meme Bianchi 29 (naturalmente assieme con Servida, pardon, Nino Amorevoli, per la Odeon: Duo Gianni-Ramiro, quando non omessi). Renzo Mori, su Odeon, appare anche come Reno Zomir (solito meccanismo del quasi anagramma, v. Dino Olivieri/Gino Dover). Queste etichette (minori?) accoglievano spesso gli “illustri s-conosciuti”: la Excelsius e Italdisco, la Italfon (molto vicine alla Fonit-Trevisan di allora, che avrebbe proseguito questo discorso con la Combo degli anni ’60), la Fonotecnica Electro Record/Fonola, poi semplicemente Fonola (così negli anni ’60 –’70 e che vive tuttora con un suo bel catalogo di CD!). Aggiungo inoltre che T. Vanni è A. Servida. Che dire... un lavoro appassionante: sarebbe bello affrontare anche questo “Capitolone”. Ricordo qui (per gli eventuali interessati) un’ultima uscita nel campo della musica leggera e della canzone italiana: si tratta del variopinto, coloratissimo volume Le ragazze dei capelloni (di F. Brizi, Ed. Coniglio), un bel testo dedicato alle cantanti italiane (e non solo) del periodo beat (e non solo): un ulteriore ammirevole esempio (anche se in qualche maniera principalmente compilativo) di chi si dedica alla ricerca in questo campo, e in questo caso agli anni ’60 ». ◙ Mail di Alessandro: «Ho seguito in questi giorni tutte le varie Notizie pubblicate e ci tengo a fare alcune puntualizzazioni: 1) il Claudio Terni citato da Walter e da Paolo nelle notizie del 5 e del 6 Settembre non è assolutamente il Terni che nel filmato di YouTube canta, accompagnato dall’Orchestra Olivieri, Vado in Cina e torno. Si tratta evidentemente di un banale caso di omonimia. Il tenore Terni, come si legge nell’etichetta, è stato un cantante quasi sconosciuto che negli anni Trenta incise una discreta quantità di dischi, accompagnato dal Maestro Olivieri. Il Claudio Terni della fotografia, invece, è stato un valente cantante degli anni Cinquanta, tipico rappresentante del bel canto all’italiana. Si può dire che nella fitta schiera degli interpreti “minori” di quegli anni (quali Antonio Vasquez, Lauro Raffo, Vittorio Tognarelli, Rino Loddo, ecc.), Terni sia indubbiamente quello di maggior spicco. Del resto, poi, non potrebbe trattarsi della stessa persona dato che, come si legge nelle note del video, l’incisione risale al Settembre 1938, mentre il Claudio Terni di cui parla Limiti è nato il 10 giugno 1927. Allego, per togliere ogni dubbio, il brano Campana di Santa Lucia, pezzo tratto dal festival di Sanremo 1958, nell’interpretazione appunto di questo Claudio Terni. 2) Pseudonimi e nomi d’arte. La questione sollevata da Walter nelle Notizie di ieri immagino che susciterà un dibattito molto acceso, dato che, sugli pseudonimi dietro i quali si celavano artisti conosciuti, ci sono decine e decine di versioni, alcune contraddittorie fra loro e ovviamente tutte prive di qualsiasi prova, se si esclude un banale confronto vocale. Ad ogni modo posso dire a Walter che: - Gianni D’Arco era il nome d’arte usato da Giovanni Turchetti, durante gli anni Trenta, quando si esibiva al seguito dell’orchestra Angelini in diverse sale da ballo e incideva dischi per la Italfon. Quando nel 1939 venne iscritto, a sua insaputa, al Secondo Concorso per Voci Nuove indetto dall’EIAR, fu costretto a cambiare nome poiché il regolamento vietava la partecipazione di cantanti già affermati. Una cosa simile successe a Lidia Aurora nel 1947, quando divenne Lidia Martorana. - Tullio Vanni era un comico fantasista molto in voga negli anni Trenta e Quaranta. A partire dalla seconda metà degli anni Trenta fece coppia con Renato Romigioli, altro 30 cantante e comico di razza, dopo che quest’ultimo aveva posto fine al suo connubio artistico con Riccardo Billi. Assieme incisero una discreta quantità di dischi, parteciparono ad alcuni spettacoli di varietà e alle prime trasmissioni di radiovisione. Una leggenda molto diffusa tende ad affermare che Tullio Vanni fosse uno pseudonimo dietro il quale si celava il chitarrista Angelo Servida: nulla di più falso! Le foto dell’epoca di questi due interpreti tolgono ogni dubbio. 3) Prima della pausa estiva era balzato all’attenzione dei nostri amici lettori, grazie ad un pregevole video su YouTube, il Duo Vocale delle Sorelle Fiorenza e molti si erano domandati se le due sorelle napoletane, Elvira e Pierina La Guardia, fossero ancora in vita. Sono quindi riuscito a contattare la signora Fulvia La Guardia, che da un po’ di anni si occupa della sorella Pierina, oggi arzilla 85enne, con qualche piccolo problema di salute dovuto all’età. Sono così riuscito a ricostruire la vicenda di queste due sorelle che, cresciute alla scuola del padre musicista, per un biennio, dal 1940 al 1942, furono tra le voci di punta della Radio, fino a quando vennero licenziate per “inadempienze contrattuali”. Purtroppo Elvira ci ha lasciato ormai da quasi vent’anni, a soli 69anni, stroncata da un aneurisma cerebrale. La tradizione canora però non si è spenta, dato che il figlio di Pierina, Dario Giuntoli, è un apprezzato cantante lirico». ◙ Altra mail di Alessandro, intitolata A proposito di “Triste domenica”...: «Leggo ora l’intervento di Aldo a proposito della canzone Triste domenica. A tal proposito vorrei dire che questa bella canzone, il cui titolo originale è Szomoru Vasàrnap venne composta dall’ungherese Rezső Seress su testo di Laszlo Jàvor nel 1933. In Italia arrivò nel 1938 con un testo di Nino Rastelli che descriveva, in tre strofe, le tristi domeniche di un’innamorata: la prima, quando cupi pensieri tormentano la sua mente; la seconda, mentre ricorda un’altra triste domenica, quando il suo amore se ne andò, promettendo di fare ritorno; la terza, quando di fronte al passare dei giorni e all’aumentare della sofferenza, decide di togliersi la vita. Passò alla storia come “canzone da suicidio” quando, pochi giorni dopo il suo lancio (grazie alla voce di Aldo Masseglia), due giovani amanti nel Bolognese, suicidandosi, lasciarono scritto nel loro ultimo disperato messaggio che si sarebbero tolti la vita ascoltando Triste domenica, perché avrebbe dato loro la forza necessaria per andare fino in fondo. Tali circostanze indussero l’editore e l’autore italiano a realizzare una versione meno suggestiva (anche se sempre triste) per la diffusione radiofonica. Fu così che la nuova versione di Triste domenica venne presentata alla radio, nel 1940, dalla voce profonda e fascinosa di Norma Bruni: due strofe che raccontavano la triste domenica di una donna rimasta sola dopo la morte dell’innamorato. Seguirono poi le incisioni di Carlastella, Giovanni Vallarino, Nilla Pizzi e Carla Boni, a volte prendendo il testo originale, altre quello corretto. Triste circostanza: anche l’autore del pezzo, Seress, morì suicida nel 1968...». ◙ Virgilio ci segnala che nel blog autocelebrativo del regista Maurizio Zaccaro è annunciato che la miniserie Le ragazze dello Swing verrà trasmessa su Rai Uno nelle serate di lunedì 27 e martedì 28 Settembre p.v. Molti i nuovi video inseriti nel blog, i quali confermano, anzi accrescono i nostri timori di un bel flop, malgrado l’entusiastico giudizio di N. Tommasino, collocato en exergue: «Chi ama i film 31 musicali adorerà questo film, mentre chi li detesta per una volta potrebbe cambiare idea». Speriamo di essere tra i fortunati! Particolare curioso: la fiction diventa adesso nella versione inglese The Queens of Swing, titolo che ricalca quello del libro di Eschenazi cui abbiamo accennato due giorni fa. Inizialmente si era parlato di The Swing Girls (vedi http://www.imdb.com/title/tt1634527/) e tutti questi cambiamenti dell’ultima ora appaiono sospetti, chissà cosa c’è sotto… 12 Settembre 2010 ◙ Christian ci ha inviato il file della canzone La sardina innamorata (DD 10024, 1940 ca.), travasata da un disco originale in buone condizioni che ha potuto acquistare recentemente. Tale brano era già presente nel nostro Archivio sonoro, ma la copia donataci da Christian è senz’altro migliore, per cui la sostituzione è d’obbligo. Col suo amabile consenso siamo lieti di offrire agli appassionati l’anteprima di questa graziosa canzoncina di Mariotti-Rastelli, incisa con l’abituale verve dal Trio Lescano, accompagnato dall’Orchestra Angelini. ◙ Riceviamo questa graditissima mail: «Buongiorno, innanzi tutto mi presento: mi chiamo Vito Vita, e sono un collaboratore della rivista mensile Musica leggera, della Coniglio Editore ( http://www.musicaleggera.org/la-rivista/). Vi scrivo in merito alla vostra richiesta contenuta nella pagina degli Annunci. Essendo di Torino, sono andato al Cimitero, dopo aver fatto le opportune ricerche nel sito del Comune, ed ho fotografato alcune delle tombe di vostro interesse. La prima di cui vi invio le foto è quella di Lina Termini […], segue quella di Dirce Marella, mentre la terza è relativa alla tomba di Carlo Prato. Quest’ultima pone però un problema. Dalla scheda pubblicata nel suddetto sito si legge che Prato morì il 17 Dicembre 1949, e la relativa tomba è dislocata al Cimitero Monumentale in questo punto: - Zona: AMPLIAZIONE 3 GRUPPO 19 SCOMPARTO 188 (A3GR19S188) - Tipo Sepoltura: CELLETTA SOTTERRANEA DI TESTA FILA 5 (CELLETTA) - Numero manufatto: 0028. Bene, mi sono recato nel luogo indicato ed ho trovato in effetti la tomba dove doveva essere, ma con un particolare sconcertante, ben visibile nella foto: la data di morte è il 1960! Nei prossimi giorni proverò a cercare nei vecchi numeri de La Stampa (che all’epoca pubblicava l’elenco di tutti i morti in città) per verificare se nei giorni successivi al 17 Dicembre di quell’anno è riportata qualche notizia sulla morte del Maestro Prato, assai noto a Torino. Resta il fatto che non si spiega la discrepanza tra i dati nel sito del Comune (che presumo essere ufficiali) e quelli della lapide: che si tratti di un errore del marmista?». 32 Le tombe nel Cimitero Monumentale di Torino fotografate da Vito Vita. Il nostro nuovo collaboratore, al quale diamo il più cordiale benvenuto nel team, ha fatto un eccellente lavoro: gliene siamo tutti oltremodo grati. Le foto delle tombe che ci ha spedito sono tuttavia, per ragioni del tutto indipendenti dalla sua volontà, alquanto deludenti ai nostri occhi, a causa dell’estrema sobrietà delle lapidi, che rasenta... l’indigenza. Quella di Dirce Marella è addirittura priva di foto, mentre su quella di Lina Termini ce n’è una nella quale stentiamo a riconoscere le sembianze della brava (e bella) cantante siciliana. Evidentemente i suoi familiari hanno voluto ricordarla con un’immagine dell’ultimissimo periodo della sua lunga vita, mentre noi preferiamo un’equilibrata via di mezzo, come è stato fatto ad esempio per Sandra Lescano (v. le Notizie dell’8 Luglio scorso). 33 Tre ritratti di Lina Termini in momenti diversi della sua vita: dalla prima giovinezza all’età matura. La tomba di Carlo Prato, infine, è problematica non solo per l’inspiegabile errore circa l’anno di morte, ma anche per l’identità stessa del defunto: confrontando la foto che vi vediamo con vari ritratti sicuramente del Maestro, si è infatti tentati di credere che si tratti di persone diverse, seppure col medesimo nome e cognome. La confusione potrebbe essere stata favorita dal fatto che i due omonimi erano nati entrambi a Torino nel 1909… Ma lasciamo l’ultima parola ai fisionomisti fuoriclasse, che per fortuna non mancano tra i nostri collaboratori. Il M° Carlo Prato, pianista e insegnante di canto nella sede torinese dell’Eiar; scoprì le sorelle Lescano nel 1935 e ne curò la preparazione fino al termine della loro carriera in Italia. ◙ Precisazioni di Aldo, a seguito della sua mail di ieri: «Nota su T. Vanni (in riferimento alle notizie di Alessandro): che il Vanni del Duo Vanni-Romigioli non sia Angelo Servida è assolutamente chiaro e indiscutibile; solo che quel Vanni non è il T[ullio] su Excelsius, cioè il Servida cantante e chitarrista che conosciamo. La voce, 34 come vari e medesimi motivi interpretati, corrispondono perfettamente al cantante lombardo, come (da orecchio) si può ascoltare nelle varianti su disco di San Francisco / E tu..., fatte sia per la Voce del Padrone (come Servida) che per la Excelsius (come Tullio Vanni). Ho solo immagini di Servida, ma sinceramente confido più nell’udito, e il Vanni-Servida non mi sembra il Vanni-Romigioli: credo che nessun “confronto vocale” sia mai da considerarsi “banale” (o secondario, o inutile). Anzi. Ad averne di dischi e canzoni da ascoltare e valutare! Certo che il Terni che canta con Dino Olivieri negli anni Trenta non è il Claudio Terni degli anni ’50! Ma inconvenienti di questo tipo mi risultano anche a proposito di altri artisti, come il cantante Giorgio Baracchini, descritto in rete come nato a Cervia nel 1926. Questo bravo artista (che credo toscano di Arezzo) ha in realtà inciso dischi già dai primissimi anni ’30 (Polydor, Durium, Parlophon), e ascoltando appunto queste incisioni, come Mimose, Paese incantator, la stessa famosissima Rondine (tutte del 1932), ed affidandomi ancora all’udito (oltreché a un po’ di buon senso) mi sembra che dalla voce non avesse proprio sei anni. 13 Settembre 2010 ◙ Che il mondo sia bello proprio perché è vario, specie in fatto di gusti e punti di vista, è una lapalissade che mette (o meglio dovrebbe mettere) tutti d’accordo. Noi ne siamo arciconvinti ed è per questo che, fin dalla creazione del sito, abbiamo dato ampio spazio a tutte le opinioni, a cominciare da quelle diverse dalle nostre, alla sola condizione che fossero espresse con urbanità e senza mai offendere nessuno. In nome di questo principio pubblichiamo ora volentieri questa mail del nostro collaboratore Virgilio, il quale prende lo spunto dalla nostra recensione del CD Le Sorelle Marinetti - Signorine Novecento per fare alcune considerazioni molto personali in tema di reinterpretazioni moderne delle canzoni d’antan. Ascoltiamolo, lasciandogli ovviamente tutta intera la responsabilità di ciò che afferma. «Per quanto riguarda la recensione alle Sorelle Marinetti, non metto lingua perché non le conosco, e mi fido sulla parola di chi ne sa più di me. Dico chiaramente però che non sono per i repêchages di questo tipo, non perlomeno quando di quei brani musicali esistono versioni originali da leccarsi i baffi, quali quelle delle Lescano. Posso capire se si incidono dei brani caduti nel più totale dimenticatoio, e cantati originalmente da artisti di secondo piano; ma, con tutta la stima che posso avere per Rita Pavone, mi volete dire, scusate, che senso ha il suo Pippo non lo sa dopo quello Fioresi-Lescano? Anche perché – quisquilia, pinzillacchera, direbbe Totò – mica si vorrà paragonare l’arrangiamento del ’67 (ignoro perfino di chi) con la sontuosa veste sonora dell’Orchestra Cetra diretta da quel mago della bacchetta che fu Pippo Barzizza, per me – l’ho già detto, e mai mi stancherò di ripeterlo – il più grande direttore d’orchestra della musica leggera italiana d’ogni tempo? Eh no, il paragone sarebbe impietoso. Dunque, grande rispetto per le Marinetti, le Blue Dolls e chi più ne ha più ne metta, ma non esageriamo per favore con gli incensamenti e le ridicole iperboli (qualcuno è 35 arrivato a dire che queste ultime sono “la reincarnazione delle Lescano”!). Finché si scherza va bene, ma qui davvero si passa il limite». In risposta al quesito che abbiamo posto ieri (l’uomo la cui foto si trova sulla tomba di Carlo Prato è davvero il Maestro?), Virgilio ci scrive inoltre: «Avete proprio ragione a dubitare, perché se quello della foto presente sulla lastra tombale è il maestro Carlo Prato, bisognerebbe inferirne che fu deportato ad Auschwitz e, miracolosamente scampato, appena rientrato dal campo di concentramento ebbe necessità di un ritratto per la carta d’identità. In ogni modo è un bel dilemma, perché, magrezza a parte, i lineamenti non sono poi così diversi, almeno dalla seconda delle quattro foto del Maestro riportate nelle Notizie: l’arco delle sopracciglia e la bocca sono identiche, le orecchie somigliano, solo i capelli in quest’immagine appaiono più radi. Mah? In tutta onestà non si può escludere che fosse proprio lui... ma, ripeto, scampato da Auschwitz». ◙ Ancora a proposito della recensione di cui sopra riceviamo questa mail della nostra collaboratrice Lea: «Dopo aver letto l’articolo che avete pubblicato l’altro giorno sul CD Le Sorelle Marinetti - Signorine Novecento mi è venuta la curiosità di ascoltare le anteprime di tutti i 14 brani, che ho reperito nel sito ibs.it. Il loro ascolto mi ha convinta ad acquistare senza indugi il disco e desidero farvi sapere che le esecuzioni delle Marinetti mi sono piaciute tantissimo, proprio come le incisioni originali delle Lescano, perché hanno saputo conservarne il garbo e la grazia, ma offrendo in più i pregi della moderna incisione digitale. Io non sono una patita del suono dei vecchi e gracchianti 78 giri, anche se mi guardo bene dal criticare o peggio ancora deridere chi fa autentiche pazzie per procurarseli: ma, da innamorata delle vecchie canzoni, sono ben contenta di poterle ascoltare oggi senza fruscii, crepitii e altri inutili rumori parassitari, mi basta che a reintarpretarle siano artisti di talento e sicuro mestiere, animati inoltre dal maggiore rispetto possibile per gli interpreti del passato, come lo sono appunto le Sorelle Marinetti con relativi collaboratori. A tutti loro va perciò il mio plauso incondizionato». ◙ Mail di Sandro: «Riguardo all’ottimo lavoro del Sig. Vito Vita, di cui leggo nelle Notizie di ieri (sempre interessanti e ricche di novità), da vecchio graves scout e pseudo fisionomista, vorrei dire la mia. Le foto sulle lapidi di Lina Termini e di Carlo Prato a me non fanno sorgere dubbi: si tratta dei due artisti, la prima al 95%, il secondo all’80%. Per esser deceduto a soli 40 anni, il M° Prato – che nelle foto visibili sul sito appare pieno di vita e tutt’altro che smilzo – fu forse colpito da qualche male inesorabile, per la qual cosa la foto usata per la lapide, che pare tratta da un documento d’identità, potrebbe risalire a un periodo di poco antecedente la sua dipartita. L’assenza dei baffi, inoltre, contribuisce a renderlo ancor meno riconoscibile. Per quanto riguarda l’errore madornale nell’indicare l’anno di morte, trattandosi di un loculo di seconda tumulazione previa “riduzione”, con tutto il rispetto per gli addetti ai servizi cimiteriali di Torino, penso che la lapide sia stata apposta “d’ufficio”, cioè senza controlli o interventi da parte dei familiari. L’errore, quindi, può esser dovuto esclusivamente alla trascuratezza, visto che all’anagrafe cimiteriale la data del decesso è esatta». 36 ◙ Mail di Alessandro: «Quanto prima scriverò a Vito Vita (chissà che non sia parente della cantante torinese Agata Vita?) per ringraziarlo delle foto che ci ha gentilmente inviato. Lo avvertirò anche che, secondo l’Anagrafe di Torino, Carlo Prato nacque a Susa il 15 Aprile 1909 e morì a Torino il 4 Febbraio 1949. Quindi non so come mai il database cimiteriale di Torino riporti come data il 17 Dicembre. C’è da dire che in alcuni casi non è riportata la data del decesso bensì quella della tumulazione; ciò basterebbe a spiegare uno slittamento di qualche giorno, ma non certo uno, come nel nostro caso, di 10 mesi! Consiglierò quindi a Vito di controllare anche le edizioni de La Stampa del 4, 5 e 6 Febbraio 1949, in modo da chiarire, prima di tutto, il giorno esatto del decesso. Sicuramente posso dirvi che il Carlo Prato fotografato da lui non è assolutamente il Maestro Prato che andiamo cercando. Poco credibile anche il fatto che sia stato un errore del marmista, dato che la moglie di Prato, sopravvisse al marito di molti anni e non credo che fosse così disinteressata da lasciare un errore così evidente sulla lapide. Speriamo che il nostro nuovo collaboratore riesca a risolvere questo mistero. Circa le osservazioni di Aldo posso dire che: - così come per Terni, esistono nella storia della Canzone Italiana, due Giorgio Baracchini: il primo, tenore più o meno in voga negli anni Trenta; il secondo (Cervia, 1926 - Roma, 1986), cantante più vicino al genere sincopato, uscito da un concorso EIAR del 1942 ed esibitosi per un periodo alla radio al seguito delle formazioni di Zeme e di Barzizza, prima di passare al teatro di rivista; - per quanto riguarda Gianni o Giovanni D’Arco/Turchetti posso dire, prove alla mano, fornitemi anche dalla figlia del cantante, che si tratta della stessa persona. Inizialmente ero anch’io un po’ scettico, dato che anche i motivi interpretati sono assai lontani come genere fra loro (motivi patriottici e filofascisti per Gianni D’Arco, canzoni melodico-confidenziali per Turchetti), ma i dati biografici e i relativi documenti confermano quanto ho appena detto; - così come per Terni e per Baracchini, saranno esisti, nella storia della Canzone Italiana, due Tullio Vanni, per altro contemporanei: il primo comico di razza, cantante e fantasista, spalla di Renato Romigioli, altro grande attore, con cui formerà un connubio artistico destinato a durare fino alla fine degli anni Cinquanta; il secondo, cantante misterioso, ennesimo pseudonimo dietro al quale si celava Angelo Servida. Dal Canzoniere della Radio, n. 49, 1° Dicembre 1942, p. 30. 37 Il caso di Angelo Servida è tutt’ora un caso aperto e difficilmente risolvibile, dato che la figlia del cantante, Franca, recentemente intervistata al Notturno Italiano, ha ammesso di non sapere quali fossero gli pseudonimi con il quale il padre incideva presso altre case discografiche; nel corso dell’intervista infatti la signora Servida ha prima detto di non ricordare gli pseudonimi e subito dopo ha confermato, senza troppa convinzione, una serie di nominativi, preparati dal conduttore fra cui spiccavano gli ormai famosi Amorevoli e Solinas, che da anni si associano come nomi d’arte del chitarrista milanese. Credo che il problema degli pseudonimi associati a Servida risalga al periodo della guerra, quando iniziarono le incursioni aeree degli Alleati nel Settentrione. All’epoca numerosi cantanti fecero perdere le loro tracce, per riapparire poi solo nel dopoguerra. Servida fu uno dei temerari che, assieme ad altri “eroi”, quali Gorni Kramer e Vittorio Belleli (“banditi” dall’Eiar), continuò ad esibirsi clandestinamente, sotto falso nome, in vari locali della Lombardia, proponendo canzoni allora poco gradite al Regime. Il fatto poi che Belleli fosse ebreo, aggravava le cose. Tale vicenda ha generato poi una serie di pasticci, alcuni dei quali si portano avanti ancora oggi: primo fra tutti il fatto che Servida abbia usato nel corso della sua carriera qualcosa come sei-sette pseudonimi, poi che lo abbia fatto (come si legge ancora in rete), per nascondere le sue origini ebree, cosa assolutamente infondata. Premesso ciò, mi permetto di dire che Rodolfo Solinas, in arte Rudy, era un cantante sardo (credo di Iglesias), che conobbe un periodo di discreta popolarità negli anni Quaranta e che, durante il decennio successivo, si riciclò come attore; con Servida non ha niente a che vedere. Anche qui foto e filmati parlano chiaro. Giuseppe Amorevoli, detto Nino, era un cantante milanese che è stato da sempre associato ad Angelo Servida. Non si capisce, tra l’altro come mai, e a cosa sia dovuta questa associazione. Tant’è che sia Servida che Amorevoli incidevano per la Odeon. Da qui vengono fuori tutta una serie di situazioni che delineano uno stato di assoluta pazzia fra i vertici della Odeon di quell’epoca. Ad esempio Luciano Tajoli canta in duetto con Angelo Servida i motivi La Paloma e Serenata di maggio. Etichetta del disco Odeon H 18122 con La Colomba (La Paloma), incisa da Luciano Tajoli in duo con Angelo Servida. 38 Parallelamente, a distanza di poco, lo stesso Tajoli incide, questa volta però in duetto con Nino Amorevoli, i brani Il valzer di ogni bambina e Montanina. Ora se Amorevoli e Servida erano realmente la stessa persona, che senso aveva immettere nel mercato delle canzoni cantate dallo stesso binomio di cantanti con nomi diversi? Era una tecnica decisamente controproducente e dannosa per Servida. Ripeto, evidentemente ai vertici della Odeon sedevano dei pazzi scatenati. La cosa si ripete quindi, sempre su dischi Odeon, per i duetti di Meme Bianchi: prima con Servida in Chiesetta alpina e poi con Amorevoli in Rondinella azzurra. Tutto questo fino al caso limite di canzoni come Canzone a una triestina, Canzone del fante, La Mazurka di Carolina, Ritornerò e Bella bionda, motivi cantanti da Nino Amorevoli con il Duo Gianni- Ramiro (ovvero Renzo Mori e Angelo Servida, alias Nino Amorevoli). Quindi a cantare queste canzoni erano in due effettivi ma tre in etichetta. E allora perché non scrivere semplicemente Duo Gianni- Ramiro come già era accaduto per altre canzoni come Autunno o Rosalpina? Sempre per la stessa pazzia dei direttori di produzione. In più di un’occasione molti cantanti, da Tajoli a Ossani, dalla Martorana a Lojacono (tutti interpreti Odeon) hanno precisato che Amorevoli e Servida erano due persone distinte. Ma, ahimè, si tratta di una delle tante leggende smontate che nessun collezionista vuole apprendere; altre che conosciamo sono il fantomatico arresto delle non ebree Lescano e la romanzesca storia di Pippo Barzizza che alla stazione di Bologna scopre una giovanissima (ma non poi così tanto!) Norma Bruni che batteva il marciapiede... Perdonatemi se mi sono dilungato su questa questione, ma purtroppo la vicenda di Servida/Amorevoli è un punto critico della storia della Canzone Italiana, su cui nessuno vuole indagare o fare luce. Si prendono le cose come sono state tramandate e via, senza batter ciglio, accettando tutto acriticamente. Io, se me lo permettete, non ci sto, anche perché, come avrete notato, ci sono delle contraddizioni in questa associazione Servida/Amorevoli che possono essere spiegate solo attraverso la pazzia». ◙ Mail di Aldo: «Sono felice che ci sia un nuovo arrivato, Vito Vita di Musica leggera (un’interessante nuova pubblicazione mensile, che si spera questi brutti tempi di crisi non riescano a cancellare). Come lo stesso Vito, ho anch’io dubbi su quel Carlo Prato: oltre a una data sulla tomba che non quadra (1960 invece di 1949), anche l’immagine stessa della foto sembra essere quella di un’altra persona: solito “banale” problemuccio di omonimia? Qui pro quo? Fischi per fiaschi? O, come si dice in Toscana “mi sono sbagliato nel confondermi”, esulando da altre espressioni più colorite?». 14 Settembre 2010 ◙ Mail di Antonio: «Cari amici, vi mando questo mio annuncio come partecipazione alla rubrica Notizie. Esso esula assolutamente dalle lunghe dissertazioni che stanno avendo luogo in questi ultimi tempi (!). Eccolo: Una semlice curiosità - Una curiosa domanda 39 Qualcuno ha notato un’impressionante rassomiglianza tra i due brani delle Lescano La sardina innamorata (1940 ca.) e C’è un’orchestra sincopata (1941)?». Risposta del Curatore - Una certa somiglianza tra le due canzoni è innegabile: il problema è stabilire se essa sia del tutto casuale (il mondo della musica è pieno di casi del genere) ovvero intenzionale, e quindi configurabile come plagio, commesso da Bixio-Cherubini nei confronti di Mariotti-Rastelli. La discussione è aperta. ◙ Mail di Aldo, intitolata: Voci, mode, epoche e pareri: «È comprensibile che il raffronto tra versioni e interpretazioni diverse, specie se distanti nel tempo tra di loro, possa lasciare perplessi. Ma ben giungano le novità, soprattutto se positive. C’è da dire che la versione di Pippo non lo sa di Rita Pavone (in un momento già particolare della sua carriera, e di passaggio dalla RCA alla Ricordi) fu ben sfruttata per essere inclusa nel film La feldmarescialla (di Stefano Vanzina, alias Steno), girato a Firenze e in Toscana nell’estate del ’67 e ambientato negli eventi bellici del ’44. Locandina del film La feldmarescialla. Rita (credo innegabilmente bravissima anche come attrice) nella pellicola ripesca (nel repertorio dei vecchi motivi) Rosamunda, Camminando sotto la pioggia, oltre a (edite su 45 giri) Pippo non lo sa (etichetta Ricordi, SRL 10480, ma registrazione RCA con l’arrangiamento di Berto Pisano) e Non dimenticar le mie parole (disco RCA Italiana PM 3424, direzione orchestrale di Ruggero Cini). L’epoca-moda della riscoperta e del “ritorno” alle melodie del passato era iniziata da tempo, ed ora anche il 1967 è già molto lontano. Chissà se la nostra cara Rita avrà conosciuto le versioni di quelle canzoni interpretate dal Trio Lescano. Potrebbe essere magari interessante, simpatico, avere una sua idea, un parere: e chissà che non conosca il nostro sito ed abbia sbirciato nel Notiziario. 40 Per il discorso Servida-Amorevoli-Vanni ecc., risulta dunque chiaro che la voce appartenga alla stessa persona. Ci si attende solo un documento ufficiale d’epoca, che possa tranquillizzarci; ci rassereni almeno sapere che il percorso discografico di Angelo Servida è stato molto lungo, dal 1932 al 1966 circa. Su Giorgio Baracchini, il problema è sorto unicamente per il fatto che in rete l’interpretazione di Rondine (1932) di Giorgio Baracchini “Primo” è stata attribuita (o collegata, che dir si voglia) alla persona-identità (da foto e date) di Giorgio Baracchini “Secondo”». ◙ Un lettore ci chiede come mai abbiamo tolto dalla pagina degli Annunci la richiesta di foto della tomba di Michele Montanari: forse che quelle foto le abbiamo già acquisite? In effetti è proprio così, solo che non possiamo né pubblicare né utilizzare nella biografia del cantante le foto in questione perché le figlie dell’artista ci hanno pregato di non farlo: desiderio in verità poco comprensibile (la tomba di Michele Montanari non ha nulla di particolare), ma che va comunque rispettato. Michele Montanari (Noci, 1908 - Torino, 1995). 15 Settembre 2010 ◙ Le Lescano sono indiscutibilmente di moda, prova ne sia la quantità di iniziative sorte negli ultimi tempi intorno al loro nome, il tutto in un clima di revival degli anni Trenta-Quaranta che non di rado va oltre l’ambito strettamente musicale. Fra tali iniziative un posto di rilievo è occupato dalle numerose formazioni vocali che ripropongono, in chiave più o meno “filologica”, lo stile e il repertorio delle mitiche (e comunque per tutti inarrivabili) sorelle olandesi trapiantate con tanto successo in Italia. Giorni fa abbiamo recensito favorevolmente l’ultimo CD inciso dalle Sorelle Marinetti, ora vorremmo attirare l’attenzione dei nostri lettori sul Trio Marrano, venuto alla ribalta negli ultimi mesi in quel di Verona. La sua prima particolarità è quella di essere, a differenza di tutti gli altri, un trio misto, formato cioè da due vocaliste con voci di soprano e un cantante dal timbro tenorile, naturalmente con un’impostazione adatta alla musica leggera o al jazz e non già alla lirica. Ognuno dei tre artisti possiede un curriculum che parla da solo, ricco com’è di studi ed esperienze lavorative realizzate in diversi campi. Ma ecco come si presentano: 41 Il Trio Marrano, composto da Angela Castellani, Diego Carbon e Irene Pertile. Il Trio Marrano è molto ben organizzato, a riprova della professionalità dei suoi componenti, e possiede un sito [http://triomarrano.com/] che, nella sua sobrietà, si distingue per piacevolezza della grafica ed esaustività: in esso il visitatore troverà tutte le informazioni che gli permetteranno di meglio conoscere questi eccellenti artisti ed avere anche un’idea precisa del loro sound, grazie alla possibilità di ascoltare tre brani da loro incisi, tratti dal repertorio più noto delle Lescano. Essi fanno parte di un CD, che si può acquistare on-line seguendo le istruzioni date nel sito. Eccone la copertina e il contenuto: 42 Abbiamo ascoltato più volte questo CD e il nostro giudizio è assolutamente positivo, da ogni punto di vista: qualità delle voci, gradevolezza degli arrangiamenti, fedeli nell’impostazione agli originali e allo stesso tempo innovativi, e infine efficacia degli accompagnamenti. Questi ultimi sono assicurati da un quartetto di ottimi strumentisti, che ogni tanto si arricchisce con la presenza occasionale di qualche guest star, come il violinista Carlo Cantini, che si direbbe uscito da una costola del vecchio e mai dimenticato Joe Venuti. Con la collaborazione di Angela Castellani, che assieme ad Irene Pertile è l’ideatrice del progetto, abbiamo realizzato un’intervista (v. Appendice 2) allo scopo di chiarire ulteriormente le linee guida che il Trio Marrano ha voluto darsi e intende seguire in futuro. A tutti loro i nostri più sinceri complimenti e auguri: ad maiora! ◙ Mail di Francis: «Pochi giorni fa ho trovato per caso, nel negozio dove compro i libri di seconda mano, un vecchio libro di Pietro Cavallo intitolato Riso amaro Radio, teatro e propaganda nel secondo conflitto mondiale. Ho visto poi che questo valente ricercatore ha anche pubblicato un libro, intitolato Vincere, su come cambia la canzone italiana tra il 1935 e il 1943. Sarebbe interessante leggerlo, per cui penso che lo ordinerò. Sul volume appena comprato, che è del 1994, ho trovato un lungo passo sul Canzoniere della Radio: non c’entra niente con le Lescano, però marginalmente la sua lettura potrebbe rivelarsi interessante. Va precisato che la maggior parte del libro è occupata dalle battute integrali di alcune riviste radiofoniche che andarono in onda in quegli anni, e da informazioni tecniche tipo il giorno, l’ora e la data di... approvazione della censura. Non ho ancora avuto modo di verificare se ci siano altri passi come questo, però il volume è fatto con grande cura e sicuramente è molto ben documentato». 43 ◙ Mail di Virgilio: «Ieri sera Rai Uno ha trasmesso un breve “promo” (o clip che dir si voglia) su Le watusse dello swing: beh, devo dire che se il buongiorno si vede dal mattino, attendo con frenesia la mezzanotte. Mamma mia! Ho sentito anche, brevemente, voci e musiche: che stanno alle Lescano come – col dovuto rispetto – Rosina Anselmi o Ave Ninchi stavano a una danzatrice di can-can... Infine, poiché leggo sul Notiziario una mail di Aldo che “difende” Rita Pavone, vorrei chiarire che contro Rita La Zanzara non ho nulla, sono anzi anch’io un suo sincero estimatore, per me è davvero una bravissima artista. Infatti, non contestavo lei ma la semplice scelta del repêchage della canzone Pippo non lo sa, difficilmente dovuto alla stessa cantante, visto che rientrò nelle proposte di un film. Che io sappia, in qualsiasi campo, i remake sono quasi sempre dei fallimenti. Nell’ambito delle canzoni l’unico, forse, che non consideri tale riguarda Tornerai: cantato prima dal Quartetto Cetra degli inizi, poi da Rina Ketty nella versione francese (J’attendrai) e quindi da Tonina Torielli: tre registrazioni stupende. In ambito cinematografico, l’Oh my darling Clementine di John Ford (1946, in italiano – splendida la nostra attitudine ai titoli... – divenuto Sfida infernale) è un capolavoro, ma Sfida all’OK Corral di John Sturgess (1957), grazie alla presenza di due attori del calibro di Kirk Douglas e Burt Lancaster, è senz’altro un ottimo film, benché inferiore». 16 Settembre 2010 ◙ Com’era prevedibile, l’uscita del libro di Gabriele Eschenazi, Le regine dello swing (più di un sito continua però a riportare il titolo annunciato nei mesi scorsi, ossia Le ragazze dello Swing) ha suscitato fra i lescanofili le più vivaci reazioni, giacché si erano già avuti parecchi segnali che la storia delle sorelle Lescano ricostruita da questo signore sarebbe stata “discutibile”, giusto per usare un eufemismo. E per lescanofili intendiamo quelli seri, che amano veramente le Sorelle Lescano, artiste dal talento più unico che raro, e vogliono conoscerne la storia quale essa emerge da documenti e fatti inoppugnabili, senza accontentarsi delle tante leggende o bugie messe in giro sul loro conto da pseudostorici della Canzone Italiana o, peggio ancora, da gazzettieri facilitoni e privi di scrupoli, che purtroppo continuano a godere di immeritato prestigio presso il largo pubblico. Riportiamo da oggi – se possibile integralmente – le più interessanti (perché meglio argomentate) di tali reazioni, rispettando l’ordine con cui ci sono pervenute. ♦ Sandro (aka Alexander agrimensor romanus): «Prima di scorrere gli otto capitoli che suddividono il racconto, sono andato a consultare nelle ultime pagine la Nota bibliografica e i Ringraziamenti: - non v’è alcun cenno al sito Ricordando il Trio Lescano; di quanto esiste in rete è citato solo un saggio di Elisabetta Ricciardi, Musica e politica dal Fascismo alla Seconda Guerra Mondiale [www.storiamilitare.net]; - tra i libri, sono citati quelli di Bigazzi, Borgna, Mazzoletti, Petacci (Claretta), Pezzetti, Picciotto Fargion, Sachs H. e Sarfatti (questi ultimi quattro per le leggi antiebraiche e questioni relative); 44 - Toenke Berkelbach è citato sia per il suo saggio Het Trio Lescano del 2008, sia per il radiodocumentario del 2004, mentre di Alessandro Forlani è citato un documento trasmesso nel 2008 da GR Parlamento; - tra i periodici, il Canzoniere della Radio (1941), la Domenica del Corriere (19351943), Oggi (1939-1940), Omnibus (1937-1939), Radiocorriere (1936-1943 e 19471949), e Settegiorni (1942-1943); - tra gli audiovisivi, il documentario di Boniotti-De Stefanis Tulip Time (2009). E, naturalmente, sono citate – in quanto riportate quasi in ogni pagina del testo – le interviste di Orlando, di Verre e della Aspesi a Sandra Lescano; i tanti ricordi di Maria Bria, raccontati a non si sa chi, i pochi di Sante Franceschi e quelli di Isa Bellini inzeppano i rari spazi vuoti. Nei Ringraziamenti, quindi, figurano, come testimoni, la Bria, la Bellini, Angelina Boetto, Michèle Kamps, Sante Franceschi, Piero Vacca Cavallotto, Emanuele Belleli, Piero Nuti, Adriana Innocenti, più i soliti Aspesi, Verre e una certa Monica Sciolla; come consulenti, Borgna, Giannelli, Berkelbach, Picciotto Fargion, Sarfatti e tale Andrea Jacchìa, giornalista; come fornitori di documenti, Daniela Di Castro e vari altri funzionari in Italia e in Olanda; sono stati scomodati, fra i tanti, anche il Direttore del Carcere di Marassi (tanto per fargli dire che dalle sue parti non c’è proprio un bel niente, per via delle alluvioni, degli incendi, ecc.), Walter Colombo, direttore della RCS Periodici, addetti dell’Archivio di Stato di Roma (ce sarà annato solo pe’ ffasse ‘na trasferta) e di Torino, e perfino (ciliegina sulla torta) un esperto belga di storia circense! Alla fine c’è la sviolinata conclusiva «all’amico Maurizio Zaccaro» per il sostegno e il lavoro comune. I brani tratti dai documenti citati (riportati doverosamente con interlinea e paragrafi più stretti) occupano il 53% del testo (sono un tipo preciso, fidatevi! Nei cantieri siciliani dove ho lavorato la gente mi chiamava millimetro, perciò ribadisco: il cinquantatre per cento). Ho cominciato a leggere la prima, presuntuosa bugia sulla bandella rossa che fascia il libretto (potrebbe entrarci poco Eschenazi e molto Einaudi): “La vera storia del Trio Lescano, protagonista della fiction Rai Le ragazze dello swing”. Il sottotitolo mi sembra, invece, azzeccato: Il Trio Lescano: una storia fra cronaca e costume. Nella sua Introduzione l’Autore descrive uno spettacolino allestito, una sera del 2007, nella scuola materna di Farigliano (CN), animato dalle tre ragazze del “Trio L’è Strano”. Parlano Ernesto Billò e Gianni Borgna. Lo spettacolo pare sia stato replicato con successo in tante altre località del Piemonte. Nel resto delle cinque pagine sono descritti (piuttosto bene, devo ammettere che sono invoglianti) i motivi e i contenuti del libro, accennando, nelle ultime dieci righe, alla fiction Rai: «...tra libro e film non c’è sovrapposizione, ma completamento...» e altre blandizie. Il primo capitolo Stelle del varietà e della radio si apre descrivendo, con le solite, manierate note di costume, lo svolgersi di una fantasiosa festa alla presenza del raffinatissimo Principe di Piemonte che balla sempre con loro tre... che contrasta con l’ovvia rozzezza e volgarità dei gerarchi presenti... e cominciano a spuntare da tutte le parti i soliti brani dell’intervista concessa da Sandra Lescano a Luciano Verre, più le testimonianze di Isa Bellini sulla loro bravura, ma anche sulla loro mancanza di gusto 45 nel vestire e nel truccarsi; poi subentra un’analisi del contrasto tra la serietà del momento storico e l’opportunità di far divertire il popolo bue, un referendum condotto dal nostro prode Fulvio Palmieri sui gusti del pubblico, ecc., righe tratte da testi umoristici del giovane Fellini, il tutto inframmezzato dal solito racconto sul tenore di vita (la Balilla sotto casa, i vestiti negli armadi, ecc. ecc.) che le tre olandesine conducevano. Viene riportato anche un articolo del ’41 di Sergio Valeri sul Canzoniere della Radio. Tutte cose arcinote, ma di cui, in molti casi, abbiamo dimostrato la totale infondatezza. Il secondo capitolo Le radici olandesi prende lo spunto da Tulipan per ricordare gli esordi olandesi e circensi, pescando a piene mani dalle interviste della Bria e di Sandra, nonché da scritti di autori olandesi sulle locali condizioni di vita degli ebrei durante la guerra. Nel terzo capitolo L’Italia le adotta si raffrontano le interviste concesse a Orlando e a Verre con quanto scritto da Sergio Valeri e quanto raccontato dallo storico Enzo Giannelli sugli esordi delle Lescano e sul grande lavoro svolto con loro e sulle loro voci dal M° Prato. Vengono citati scritti di Borgna, Giannelli, Berkelbach, ecc. Segue Dagli altari alla polvere nell’Italia fascista e razzista nel quale Eschenazi cita passi delle leggi razziali e documenti, relativi alle Lescano, che dichiara «esposti nella Sala 5 del Museo Ebraico di Roma», mentre lì ce ne sono solo quattro: noi sappiamo quali sono, mentre è evidente che diversi altri, acquisiti all’asta di Christie’s, gli sono stati copiati e forniti in camera caritatis dalla sullodata sora Daniela, alla faccia delle grandi cure e attenzioni per la conservazione del patrimonio museale, sulle quali la stessa si è esibita, facendo al sottoscritto un duro predicozzo. Tutto il resto è la più convenzionale e ricalcata delle storie sulle Lescano, che si rifà pari pari alla famigerata – vera o presunta, comunque in gran parte inattendibile – intervista della Aspesi. Compresa la storiella dell’arresto al cinema Grattacielo, con quel che segue. Eschenazi, questa autentica panzana, se la beve pari pari e riporta quel che sanno tutti, non gli passa manco p’a capa di avanzare dubbi né, tanto meno, di documentarsi meglio. Troppa fatica farlo. Stessa cosa per quanto riguarda l’adesione al PNF: all’Archivio di Stato, se c’è andato davvero, come dichiara, s’è fatto ‘na pennichella dopo aver pranzato da Corsetti all’EUR. Da questo punto in poi non vale la pena che aggiunga altro. I capitoli successivi, infatti, non dicono niente di nuovo: Il mistero della scomparsa (che si rifà al documentario Tulip Time e ad un articolo di Piero Vacca Cavallotto apparso nel 2008 sul periodico storico piemontese Canavéis), Altri casi Lescano (nel quale si parla del tristissimo caso di Giuseppe Funaro e di quello più fortunato di Vittorio Belleli), Il Trio emigra, ma non è più lo stesso e L’ultima Lescano (soliti brani delle tre interviste a Sandra Lescano e ricordi di Maria Bria)». Osservazione finale del Curatore del sito – Non c’è da stupirsi che Gabriele Eschenazi non ci citi nella Nota bibliografica. Se lo avesse fatto, non avrebbe potuto ignorare, come è avvenuto, i risultati delle nostre ricerche, di cui abbiamo ampiamente riferito nelle Notizie (il relativo Archivio è accessibile a chiunque). Di conseguenza avrebbe anche dovuto scrivere un libro completamente diverso, solo che non tutti hanno la capacità di mettere in discussione le proprie convinzioni e/o 46 conoscenze, quando altri dimostrano loro, prove alla mano, che sono erronee. Se Eschenazi lo avesse fatto, però, la qualifica di vera applicata alla sua storia delle Lescano non avrebbe avuto, come ha ora, il sapore della beffa, perpetrata ai danni di lettori. ♦ Manuel: «Ho dato un’occhiata al libro Le regine dello swing. Non sono così esperto da poter dare un giudizio sulla veridicità delle notizie che contiene, anche perchè non ho ancora avuto il piacere di leggere tutto quello che avete raccolto voi in questi anni. Ma una cosa è certa: qualsiasi biografia che si rispetti, tra l’altro riguardante ben tre sorelle, non può esaursi in 60 paginette scarse, oltretutto di ridotte dimensioni. È più che evidente che il libretto è una trovata commerciale (e l’autore stesso ricorda che esso è praticamente complementare alla serie TV), di scarso valore scientifico, storico e culturale. Ho letto qualcosina molto velocemente, quanto basta per capire che dal libro emerge una sorta di esegesi anti-fascista, spesso forzata (si insiste sulla solita solfa dello swing che il regime vietava, ecc.). Essa è forse dovuta al fatto che l’autore si è occupato in passato di cultura ebraica. Tuttavia mi piace intravedere il lato positivo di tutto questo: il grande pubblico si (ri)avvicinerà al Trio Lescano e i più curiosi che vorranno saperne di più riusciranno, approfondendo l’argomento, ad andare oltre la superficialità del libro (e probabilmente anche della serie TV)». ◙ Altra mail di Manuel: «Sono stato alla Discoteca di Stato. I dischi con incisioni di Norma Bruni conservati colà sono pochissimi, e quasi tutti in restauro: tuttavia sono riuscito a farmi fissare un appuntamento per l’ascolto di Ti lascio un fiore / C’è una casetta. La cosa interessante della DdS, però, è che contiene una delle poche postazioni per la consultazione on-line delle ricchissime Teche Rai: ho avuto solo il tempo di cercare materiale su Norma Bruni. C’erano anche due foto che vi allego, non so se le avete mai viste prima: sono a bassa definizione, ma, se vi interessano, chiedo come fare per averne una riproduzione a definizione ottimale. Solo la foto di Norma con gli occhiali (un modello che, tra l’altro, è tornato oggi in voga!) ha una data: 1955. Si possono vedere anche i vari sceneggiati in cui ha fatto più che altro la comparsa: l’unico degno di nota è Il mio bar del 1971, quello in cui canta Nebbia (il cui spezzone si può vedere su YouTube, privo però delle poche battute che Norma recita prima e dopo la canzone). Ho letto nelle vostre Notizie che quella fu la sua ultima 47 apparizione in TV e dicevate che fosse degli ultimi anni Sessanta: sono quindi lieto di correggervi, dandovi questa data precisa». Complimenti al giovane Manuel che, entrato da poco nella nostra squadra di collaboratori, si sta già mettendo in luce per il suo entusiasmo, accompagnato dal più proficuo attivismo. Ci aspettiamo tutti grandi cose da lui! ◙ Mail di Paolo: «Giorni fa, ho scritto la seguente mail al Jewish Historical Museum di Amsterdam: «Dear Sirs, I’m taking informations on De Leeuwe family, because I’m a researcher for an italian site of music, http://www.trio-lescano.it/. As you probably know, Trio Lescano was a Dutch origin trio (Alexandra, Judith and Kitty Leschan), daughters of Alexander Leschan and Eva De Leeuwe; the latter was a sister of Aaron De Leeuwe we’re talking about. Now, I am informed that Aaron and his wife committed suicide to escape the nazi: would it be possible to have a look at the letter NIOD, Records Joodse Raad, box 36d, letter dd. 23, September 1942? I ask you this because in Italy they are going to broadcast a fiction concerning the history of the Trio, Le Ragazze dello Swing [The Swing Girls], in which, among other big errors, it is said that Eva and her brother Aaron escaped in 1943 on the mountains in Italy, to run from fascist persecution. This is false and unrespectful, and I should like to support this statement with some document. Could you help me please? Best regards, etc.». Ed ecco cosa gli ha risposto Daniël M. Metz, Coördinator Digitaal Monument Joodse Gemeenschap in Nederland, Joods Historisch Museum / Jewish Historical Museum (il suo nominativo è stato subito da noi inserito nella pagina dei Ringraziamenti): «Thank you for your message to the Digital Monument. In our records I found the following information: Alexander Leschan died in […] 1945. I am not sure whether he was Jewish. According to some sources he was baptized at birth. He therefore does not appear on our website. On Eva de Leeuwe I found a record card at the The Hague Archives (see attachment). I hav’ent found any information on her whereabouts during the war. Aaron de Leeuwe and his wife both died in Amsterdam on 20 September 1942: see the webpage http://www.joodsmonument.nl/person/559903. This probably indicates that they did commit suicide. For your question about the Niod Archives you can contact the website http://www.niod.nl/». Dunque è del tutto evidente che, fra le tante fandonie inventate di sana pianta per riscrivere la storia delle Lescano (al fine, ci viene spiegato, di evocarla…), c’è anche quella della fuga in montagna, nel ’43, di Eva, la loro madre ebrea. Lo avrebbe fatto in compagnia di un suo fratello, il quale però si era suicidato l’anno prima ad Amsterdam. Mica male, vero? Quanto al documento cortesemente inviatoci dal sig. Metz si tratta dello Stato di Famiglia di Alexander Leschan; non è datato, ma sicuramente è posteriore al Novembre 1919, dato che tutte e tre le figlie vi sono registrate. 48 ◙ Mail di Roby: «Ho ascoltato con attenzione le incisioni proposte sul sito del “Trio Marrano”, e trovo che sono veramente meravigliose. Quella che mi ha colpito di più è stata Ba… ba… baciami piccina, veramente elettrizzante e piena di Swing, con la S maiuscola! Questa incisione è stata riproposta in moltissime versioni e da moltissimi cantanti, ma una cosi, non l’avevo mai sentita prima. Risalta subito che hanno rivisitato l’arrangiamento e parte del testo, ma in modo saggio e di grande effetto, così da conferire all’incisione una straordinaria freschezza e vitalità. La scelta di un trio misto mi sembra anch’essa un’idea vincente, musicalmente parlando, perché trasmette alle canzoni da loro incise un marchio inconfondibile, che le distingue dai tanti altri trii che stanno riproponendo, con esiti diversi, lo stile delle Lescano. Auguro dunque a questo Trio un grande successo, che sono sicuro non si farà attendere, vista la loro bravura. Infine guardate un po’ questo video [http://www.youtube.com/watch?v=OHK6BnoEioY&NR=1]: se si osserva attentamente si noterà che quella che canta sulla destra è proprio una delle tre attrici del film Le ragazze dello Swing! Io non avevo mai fatto caso che Elise Schaap avesse partecipato alla rappresentazione teatrale De meisjes van Mussolini, che, come già commentato nelle Notizie di qualche tempo fa, è stata una pagliacciata, realizzata purtroppo da gente priva di gusto e di cultura a spese delle povere Lescano. Guardare, per credere, il video http://www.youtube.com/watch?v=gJERBiZj5uE&feature=related». 17 Settembre 2010 ◙ Continuano a giungere le reazioni, dirette o indirette, al libro di Gabriele Eschenazi. Eccone altre tre: ♦ Franco C.: «Amici, vi segnalo un articolo apparso su La Stampa, dedicato al libro di Eschenazi (che non ho ancora visto). Esso offre qualche “perla”, secondo me fantastica. Infatti per l’autrice del pezzo, Elena Loewenthal, le Lescano vengono “lanciate” come trio in quanto “...il collettivismo spinto del Regime, che esige masse 49 d’urto e ha diffidenza d’ogni protagonismo che non sia quello del duce, non vuole voci soliste”. Con buona pace di Rabagliati, Boccaccini, Montanari e compagnia cantante. Oppure, leggiamo che Pippo non lo sa non piacque al Regime perché “...sembrava scritta apposta per il gerarca Achille Starace” (chissà perché Starace, poi?). Forse la giornalista confonde Starace con Costanzo Ciano, cui qualcuno affermò alludesse Maramao perché sei morto? Ignoravamo poi che le Lescano – per la loro origine ebrea – avessero ottenuto dalle autorità “uno status speciale [...] per continuare a cantare”. La Loewenthal si riferisce forse alla tessera del PNF? Essa dimentica però – o più verosimilmente ignora – che le Lescano chiesero e ottennero detta tessera solo nel 1942, a quattro anni dal varo delle infami leggi razziali. Del fantomatico arresto a Genova si parla, ma almeno ci vengono risparmiate le funzioni di interprete, che le Lescano avrebbero svolto nel carcere di Marassi. Vorrei ricordare alla giornalista che non c’è la ben che minima prova che tali fatti siano realmente accaduti: ci sono solo le dichiarazioni che un’altra giornalista, Natalia Aspesi, ha “messo in bocca” all’anziana e malata Sandra Lescano, seguita poi a ruota da altri giornalisti o sedicenti tali. Nell’articolo viene riportata una sola frase virgolettata di Eschenazi, il quale alludendo all’italico jazz delle Lescano afferma: “non si può importare [lo swing americano] ma si può imitare”, come se in Italia fossimo stati costretti ad inventare un nuovo genere. Mi permetto di sottolineare che le Lescano iniziarono a cantare nel 1935-1936, cioè ben prima dello scoppio della guerra e che tutta la filmografia americana (dai western alle commedie), venne regolarmente proiettata qui da noi anche a guerra iniziata (basta vedere i giornali dell’epoca, se non è uno sforzo troppo grande per certi intellettuali nostrani). Infine, il jazzista Carlo Loffredo, in una telefonata che gli feci qualche tempo fa, negò, in maniera risoluta, che durante il Fascismo vi fossero divieti di suonare questa o quella musica americana, tanto che egli, in piena guerra, durante uno spettacolo a favore dei feriti, si esibì (mi sembra al teatro Quattro Fontane di Roma), su invito della federazione romana del PNF, ricevuto con una lettera che ancora conserva. Mi pare che ce ne sia abbastanza per farsi un’idea del grado di “preparazione” che hanno certi giornalisti, anche di quotidiani (un tempo) prestigiosi come La Stampa». Vito, dal canto suo, ci segnala che l’articolo di cui parla Franco si può leggere in rete all’indirizzo: http://www3.lastampa.it/libri/sezioni/news/articolo/lstp/327152/. ♦ Massimo B.: «Ho dato un’occhiata al libro di Eschenazi, trovandolo a dir poco pressappochista e scontato, ovvero pieno di luoghi comuni e leggende metropolitane, ormai abbondantemente disquisite e smentite, soprattutto per merito del grande lavoro di ricerca seria svolto dall’équipe del sito. Dunque perché non avvalersene “in chiaro”, citandone l’uso e la fonte, invece di rubacchiare qua e là (e pure male)... Solite cose all’italiana... che è persino meglio non commentare. La faciloneria e la disinformazione, ogni volta che ci si avvicina a quel periodo storico, sono qualcosa di drammatico. Basta (anche senza aspettare la fiction di Rai Uno) dare una sbirciatina ad altri recenti “capolavori” di casa Mediaset, tipo l’ultimo 50 con la Arcuri e Garko, per rendersi conto di come la conoscenza da parte degli autori degli usi e costumi di quell’epoca sia a dir poco... da fumetto: radio fuori epoca, auto fuori periodo e persino abiti e acconciature discutibili sono all’ordine del giorno... Scandaloso se rapportiamo il nostro modo di operare a quello degli americani (che in questo sono da ammirare): essi hanno per la meticolosa preservazione della loro cultura una forma di attenzione quasi maniacale. Quando poi si parla di musica leggera, si retrocede da noi in serie B o C, come se essa fosse qualcosa che non ci riguarda in quanto espressione della cultura nazionale, un mero prodotto di consumo, insomma, da usare e gettare. Non ci rendiamo conto che la storia di una nazione va considerata nella propria globalità, cosicché, per esempio, il “fenomeno Lescano” è qualcosa di più che un insieme di canzonette, perché attraverso la loro vicenda artistica sono passate milioni di altre vicende umane: storie, passioni, avvenimenti e mode che hanno segnato indiscutibilmente l’evolversi del nostro paese. Passato remoto che non è possibile ritrovare sui libri di storia e che dunque andrà irrimediabilmente perduto se nessuno, ognuno per il proprio settore, farà qualcosa per preservarlo correttamente e tramandarlo. Ecco perché, quando si parla di quel periodo, come nel volumetto di Eschenazi o nella fiction sulle nostre amate sorelle, NON DOVREBBERO ESSERE AMMESSE CIALTRONERIE!». ♦ Alexander mensor: «Padre Dante, salvaci tu! [...] L’imminente messa in onda della fiction Le ragazze dello swing, così come la circolazione, speriamo limitata, del libercolo Le regine dello swing (ma alla Einaudi si saranno resi conto di quanto nuocerà alla loro reputazione l’aver pubblicato una schifezza del genere?), contribuirà a travasare e radicare nella testa di qualche centinaio di lettori sprovveduti e ahinoi diversi milioni di telespettatori inebetiti, tutte le inesattezze, le mezze verità, le clamorose bugie (ricopiate e riscritte tali e quali) che saranno, una volta di più, digerite e metabolizzate talmente bene che diventerà sempre più difficile, se non impossibile, sradicarle. A differenza del troppo indulgente Manuel, non vedo nessun “lato positivo” in questa triste faccenda, vedo solo gli effetti della mancanza di onestà. Qual è ’l geomètra che tutto s’affige per misurar lo cerchio, e non ritrova, pensando, quel principio ond’elli indige, […] Dante, La Divina Commedia, Paradiso, Canto XXXIII, vv. 133-135. ◙ Mail di Roby: «Quando facevo la quarta elementare, mio padre mi fece ascoltare un’incisione delle sorelle Lescano, precisamente La famiglia canterina, e ricordo che rimasi folgorato dalle loro voci: fu veramente per me il classico “colpo di fulmine”. Prima di quel momento non le avevo mai sentite, non conoscevo neanche il loro nome, come erano fatte, la loro storia; capii però immediatamente che erano bravissime. Ora ciò che mi preoccupa maggiormente del film sulle Lescano, Le ragazze dello 51 swing, è che le attrici, quando cantano, sono doppiate dalle Blue Dolls. A mio avviso, questo trio non ha capito un granché di quel periodo e ha ben poco in comune con le Lescano. Lo affermo perché usano lo stile anni ’50, periodo, musicalmente parlando, molto più “a buon mercato” degli anni ’40: lo si nota dal microfono che usano e da altri particolari. Inoltre il fatto che abbiano scelto un nome inglese mi fa ancor più pensare che, in realtà, non abbiano voluto cimentarsi più di tanto con gli anni ’40 italiani. Sinceramente non mi divertono quando cantando in televisione Tulipan, usando ognuna un microfono, stando metri distanti l’una dall’altra e sventolando dei finti tulipani con la speranza di far colpo sulla gente [http://www.youtube.com/watch?v=BnCJ3-thAJY]. Secondo me le Blue Dolls non fanno rivivere le Lescano, ma ne propongono la parodia, e mi vien da ridere quando, in televisione [http://www.youtube.com/watch?v=0vDeRo3biIo], sono presentate con enfasi come «la reincarnazione delle Lescano». Mi auguro comunque che per il film Le ragazze dello swing le Blue Dolls si siano evolute, rinunciando, almeno in questa occasione, ad evocare le Lescano con alle spalle solamente un pianoforte, una chitarra elettrica e un basso!». 18 Settembre 2010 ◙ Manuel, proseguendo le sue ricerche su Norma Bruni, ha potuto visionare il Tom Jones televisivo (sul quale si veda la pagina http://www.imdb.com/title/tt1309550/fullcredits#cast). In esso l’ormai ex-cantante ha avuto una particina, nel ruolo di una cuoca. Eccola appunto in tali panni: All’inizio, Manuel stentava a riconoscerla ma poi il nostro bravo collaboratore non ha avuto dubbi quando «ad un certo punto, la Bruni si è girata di profilo, mostrando la famosa gobbettina sul naso». Nella foto si intravede anche, sulla guancia sinistra, l’altrettanto famoso neo. ◙ Ci scrive il signor Isacco B., verosimilmente un israelita (il cognome in chiaro lascia pochi dubbi al riguardo). Egli ci rimprovera, con garbo ma anche con estrema durezza, di aver «denigrato senza validi motivi l’insigne studioso e saggista Gabriele Eschenazi e la valente giornalista Elena Loewenthal, che lavora per uno dei quotidiani più prestigiosi d’Italia». A suo dire le critiche che abbiamo loro rivolte in 52 questa sede sarebbero in malafede, in quanto appoggiate su argomentazioni speciose, prive di qualsiasi consistenza. E siccome «entrambi i professionisti da noi ingiustamente attaccati sono ebrei» il signor Isacco si spinge fino a tacciarci, neanche tanto velatamente, di antisemitismo. A quest’ultima accusa non mette conto rispondere, tanto è ridicola: nessuno di noi alberga nel proprio animo sentimenti del genere, che giudichiamo tra i più degradanti che si possano immaginare, né nutre la ben che minima simpatia per chiunque li abbia coltivati in passato o, purtroppo, continui a coltivarli ancor oggi. A quell’altra rampogna, invece, di aver attaccato gratuitamente «l’insigne studioso e saggista» e «la valente giornalista», rispondiamo così: 1) Il libretto di Gabriele Eschenazi non ci piace a motivo del fatto che contiene non solo molte inesattezze, imperdonabili perché dovute a trascuratezza, ma anche troppe notizie false o di dubbia veridicità, spacciate per vere dall’Autore con sconcertante disinvoltura. Su tutto ciò entreremo presto in maggiori dettagli. 2) È per noi un’aggravante che l’Autore abbia desunto dette notizie false da quattro articoli preesistenti (rispettivamente di Orlando, Aspesi, Verre e Berkelbach), che le nostre approfondite ricerche (i cui risultati sono accessibili a chiunque attraverso l’Archivio delle Notizie) hanno dimostrato, prove alla mano, essere in larga misura inattendibili. Un biografo serio ha, secondo noi, l’obbligo morale e deontologico, prima di avvalorare un’informazione o un fatto, di sottoporli a rigoroso vaglio critico. E questo indipendentemente dalla sua fede religiosa o le sue convinzioni politiche. 3) Alla giornalista Elena Loewenthal, di cui non mettiamo in dubbio il valore, rimproveriamo di non avere, almeno in questa occasione, fatto lo stesso recensendo il libro. Né possiamo scusarla perché non ha dimestichezza con la materia: nessuno – crediamo – è obbligato a recensire un’opera che tratti di argomenti che gli siano ignoti o quasi; ma se proprio deve farlo, cerchi almeno di documentarsi bene prima di mettere nero su bianco. Così fa, o dovrebbe fare, ogni «valente» professionista. 19 Settembre 2010 ◙ Altre reazioni al libro di Gabriele Eschenazi, Le regine dello swing. ♦ Virgilio: «La risposta del Curatore del sito al signor Isacco B. è misurata e ineccepibile. Se mi è permesso, vorrei rispondergli anch’io pubblicamente. “Gentile signor Isacco B., ho letto delle sue osservazioni circa libro e articolo sulle Lescano e i brani della sua lettera riportati tra virgolette dal Curatore del sito, e perdoni, ma mi sono sentito in dovere di risponderle. Lei sostiene, «con garbo ma anche con estrema durezza», che i collaboratori del sito, hanno «denigrato senza validi motivi l’insigne studioso e saggista Gabriele Eschenazi e la valente giornalista Elena Loewenthal, che lavora per uno dei quotidiani più prestigiosi d’Italia», insinuando – mi pare – il sospetto che tutto ciò sia dovuto a malafede, insomma, a sotteso antisemitismo. Devo anzitutto chiarirle: non sono ebreo ma sono tutt’altro che antisemita, sono una persona che riconosce i diritti di ognuno e si sforza di guardare gli altri senza il velo dei 53 pregiudizi. Dunque, per amore della Verità che dev’essere la prima norma di ogni legge morale, le dico: 1) Gabriele Eschenazi è tutt’altro che un «insigne» e, purtroppo, ha ancor meno autorevolezza per poter essere definito «studioso». A meno che, per lei, lo studioso non sia una persona che confeziona libri facendo copy and paste di quel che hanno scritto gli altri, senza preoccuparsi di effettuare quel minimo di verifica sulle notizie che compirebbe qualsiasi persona onesta. Egli ha infarcito il suo opuscolo (un libro di 100 pagine così raffazzonato non può essere definito altrimenti) di una tale serie di imprecisioni, inesattezze e conclamate falsità che c’è da mettersi le mani nei capelli (io non lo faccio, solo perché purtroppo ne sono carente). Ma quello che è peggio, e che cancella di colpo ogni sua credibilità, è il fatto che lui conosceva benissimo l’infondatezza di certe notizie, evidenziata da questo sito con dovizia di prove fin dal giorno della sua apertura, ovvero dal 2008: lo sapeva, ma ha fatto orecchie da mercante. Guardi, non mi riferisco a questioni vaghe e inaccertate. Pensi solo alla faccenda dell’arresto e detenzione genovese delle tre sorelle olandesi: una colossale balla inventata verosimilmente dalla stessa Alessandra Lescano, certo col concorso di chi l’ha intervistata. La prova certa che un tale fatto non è mai avvenuto? L’attività ininterrotta del Trio Lescano a Genova, riportata passo passo sui giornali, anche quando – tra il Settembre e il Dicembre del ’43 – il comando tedesco impose il bavaglio ai quotidiani locali. Queste cose Eschenazi le sapeva benissimo, e se non le sapeva poteva documentarsi (gli archivi sono lì, a disposizione di tutti); lui invece cos’ha fatto? Ha tirato in ballo il direttore delle carceri di Marassi, la guerra, i bombardamenti, i documenti carcerari perduti... Semplicemente indecoroso. Quanto alla signora Loewenthal, non è certo colpa nostra se riporta imprecisioni (e altre ne aggiunge di suo) senza imporsi il minimo scrupolo di verifica: l’abbiccì che s’impartisce ai giornalisti sulle notizie (dovrebbe saperlo anche lei) è di soddisfare, nello scrivere, a queste domande: chi, come, dove, quando e perché. Ora, si legga l’articolo della signora e mi dica onestamente se queste domande hanno trovato tutte degna risposta. Ciò è professionalmente ben poco etico, e l’aggravante è che la signora Loewenthal non scrive sul Gazzettino della Parrocchia di Putipù ma su quello che personalmente considero il miglior giornale italiano, La Stampa. 2) Ieri, nel leggere l’articolo della signora Loewenthal, avevo inarcato «di stupor le ciglia» (direbbe il Cavalier Marino) per quel che vi è scritto, ma non mi era certo venuto in mente che il cognome della giornalista ne denunci l’origine israelita. A questo punto, gentile signor Isacco B., vorrei farle (nel pieno rispetto e stima per il suo credo religioso) una domanda, fidando nella sua onestà intellettuale di cui non dubito: non sarà che Gabriele Eschenazi ed Eva Loewenthal siano ai suoi occhi, l’uno un «insigne studioso e saggista» l’altra una «valente giornalista» solo a motivo dei loro cognomi? Perché se così fosse, sarebbe davvero ben triste. Cordiali saluti, ecc.”». ♦ Alessandro: «Ho appena finito di leggere il libro di Gabriele Eschenazi, Le regine dello swing ed ecco le mie impressioni. Premetto che ho fatto una lettura molto attenta, appuntandomi subito gli errori o le contraddizioni che vi ho riscontrato, e 54 rileggendo alcuni passi più d’una volta. Nessuno mi potrà quindi accusare di dare giudizi affrettati o superficiali! In generale posso dire che il volume contiene qualche notizia interessante (magari da approfondire!); tuttavia l’Autore si limita a riportare, quasi integralmente, anche se spezzate, le tre famose interviste (Vito, Aspesi e Verre) rilasciate da Sandra Lescano, alcune dichiarazioni di storici della canzone, colleghi o conoscenti delle Lescano e qualche frase tratta dagli ultimi documentari incentrati sulle Lescano. Il resto – e per “resto” intendo più d’un quarto del libro – parla delle leggi razziali, di casi di ebrei simili a quello delle Lescano, della storia dei De Leeuwe d’Olanda e di altre cose che con il nostro Trio non hanno molto a che vedere. In ogni modo ho preparato un’analisi capitolo per capitolo, in modo da esaltarne i pregi e da discuterne i difetti: Capitolo 1 - L’Autore presenta al lettore il Trio Lescano, descrivendolo durante il periodo di maggiore popolarità. Come capitolo non è niente di che e non riporta notizie inedite o di particolare interesse. Dopo poche righe si ha il primo di una lunga serie di attacchi al Regime: i gerarchi fascisti vengono infatti descritti come persone che durante le feste da ballo si concedono “gesti volgari, derisioni”. Il lettore capirà scorrendo il libro che l’Autore non perde la minima occasione per attaccare il Fascismo anche laddove l’attacco appare inutile e forzato. Per carità, non che dovesse esaltarne i pregi, nessuno gli chiederebbe mai questo (anche perché di pregi il Fascismo non ne ha), ma nemmeno ogni due pagine ribadire le solite cose. Il troppo stroppia. Ed infatti a pagina 5, descrivendo il rigido controllo del Minculpop sull’EIAR e sulle canzoni, l’Autore afferma che: “dell’accresciuta importanza che il Regime dà alla musica ne fanno le spese i compositori italiani, sottoposti a un rigido controllo e istigati a mettere la loro opera al servizio del patriottismo”. Ora dire che gli autori italiani erano addirittura istigati a scrivere canzoni che esaltassero la Patria mi sembra quantomeno esagerato. Coloro che scrissero canzoni patriottiche o di Regime, furono per lo più autori vicini ad esso o alle sue ideologie: basti citare Mario Ruccione (1908-69), autore di Faccetta nera, La sagra di Giarabub, Camerata Richard, La canzone dei sommergibili, Spagnolita, Camicia nera, Tacete! (giusto per ricordarne alcuni). Ruccione era in rapporti diretti con Mussolini e fu un convinto sostenitore della politica fascista, soprattutto quella autarchica, tanto da farsi promotore, nell’immediato dopoguerra, del Fronte Nazionale per la Difesa della Canzone Italiana contro l’invadenza della musica straniera nei programmi RAI; non c’è da stupirsi se l’unica canzone di cui compose anche le parole (delle altre era solito comporre solo la musica), E la barca tornò sola, allude a una colpevole “bionda forestiera” che, secondo gli storici della canzone, sarebbe una reminiscenza tipicamente ruccioniana della Perfida Albione e delle sue sanzioni contro l’Italia. Alberto Simeoni (1891-1943), che in molte delle canzoni riportate qui sopra, affianca la firma di Ruccione, era un giornalista che allo scoppio della guerra si arruolò volontario. Evidentemente anche lui credeva nel Regime tanto da esaltarne i pregi tramite le canzoni. Eldo Di Lazzaro (1902-1968), scrisse invece canzoni considerate oggi di stampo tipicamente fascista, poiché esaltavano le bellezze della Patria e i privilegi della vita contadina (“Fare il contadino è un Onore”): Reginella 55 campagnola, Rosabella del Molise, Siciliana bruna, La romanina, Pastorella abruzzese ne sono l’esempio. Tuttavia, se si scorre tutta la produzione di Di Lazzaro, ci si rende subito conto che tutte le sue composizioni inneggiano alla vita campestre, alla natura e alle bellezze dell’Italia: La mogliera, Il passerotto, Io ti porto nel mio cuore, tutte composte nel dopoguerra, ne sono l’esempio. Insomma ogni autore scriveva ciò che gli era più consono scrivere (ovviamente sempre nei limiti previsti); non mi risulta che Panzeri o Mascheroni abbiano mai scritto una canzone di Regime, né furono mai istigati a farlo. Si creò questo filone e alcuni autori seppero sfruttarlo. Ad essere invece in qualche modo istigati furono, a mio avviso, i cantanti che si trovarono costretti a interpretare canzoni di propaganda (vedi Montanari, Boccaccini, Carboni, ecc.) senza potersi rifiutare. Il resto del capitolo ripropone per l’ennesima volta la storia delle mille lire al giorno versate dall’EIAR e un’intervista di Isa Bellini che si ricorda tutto delle Lescano: da come si vestivano a come si truccavano (malissimo secondo lei). Peccato che affermi che ha inciso assieme al Trio le canzoni Quando il gallo canterà, Suona la trombettina e Quando passano i battaglioni. In realtà, solo l’ultima di queste tre canzoni l’ha incisa con le Lescano (oltre a Sfilano i battaglioni, non menzionata). Il tutto fa pensare che la Bellini avrebbe potuto affermare di aver cantato anche 100 canzoni con il Trio, senza un minimo controllo da parte dell’Autore. Capitolo 2 - Esso è dedicato alle origini delle Lescano; interessante appare soprattutto la storia di Alexander Leschan, che è descritta meticolosamente ma solleva parecchi dubbi. Si fa riferimento alle sorellastre delle Lescano, Diana e Marie Françoise; tuttavia, a pag. 16, si dice che “Marie Françoise, fin da bambina dà spettacolo con le due piccole sorellastre Rosine e Jeanette”. Ma chi sono Rosine e Jeanette? Sono forse figlie della prima compagna di Alexander Leschan? Non ci è dato saperlo: qui appaiono e qui si fermano. A pag. 18 Eschenazi invece ci informa che le Lescano “nei teatri uniranno alle loro capacità vocali accenni di danza molto apprezzati dal pubblico”. Anche questa informazione però, non molto credibile, rimane isolata e non supportata da alcun riferimento alle fonti. Il resto del capitolo si perde parlando dei De Leeuwe d’Olanda e della loro storia (4 pagine su 9 totali). Capitolo 3 - Tratta dell’arrivo delle Lescano in Italia e del loro debutto davanti ai microfoni. Niente di interessante. Le solite informazioni già risapute, a metà fra verità e leggenda. Iniziando il capitolo l’Autore ci informa che negli anni Trenta la musica leggera in Italia era più importata che prodotta. Se con questo discorso vuole alludere al fatto che la musica italiana era poco esportata, ne prendo atto e gli do ragione. Se invece allude al fatto che in Italia la musica leggera era poco prodotta (ovvero scarsa produzione di canzoni) forse è bene che Eschenazi si riguardi un po’ di storia della canzone, dato che a partire dalla fine della Prima Guerra Mondiale, innumerevoli autori italiani scrissero tantissimi motivi, alcuni rimasti nella memoria (Vipera, 1919, Come pioveva, 1919, Creola, 1925, Miniera, 1927, Tango delle capinere, 1928, ecc.), altri destinati purtroppo a scomparire (Ninnolo, 1920, Leggenda rossa, 1925, ecc.). A pagina 28 si apprende invece che le Lescano “apprendono i ritmi, li assecondano e li interpretano senza conoscere una nota” (!). Appare molto strano che il Maestro Prato, durante i mesi di preparazione delle tre sorelle, non abbia insegnato loro nemmeno le 56 basi minime del solfeggio. Viene narrato inoltre che per meglio apprendere “la musicalità italiana e la padronanza della lingua” vengono mandate a Napoli, culla del bel canto. Da cui: “Forse ispirato da questa esperienza napoletana il Trio inciderà nel 1942 una sua versione della canzone napoletana Oi Marì, Oi Marì”. Canzone che Eschenazi non ha evidentemente mai ascoltato. Un minimo ascolto gli avrebbe infatti permesso di rendersi conto che il brano inciso dalle Lescano, composto da Cosimo Di Ceglie (e su un testo di Nisa in italiano, con solo qualche verso in napoletano!) non ha nulla a che vedere con il capolavoro della canzone napoletana di Di Capua. Infine apprendo a pagina 32 che lo storico Enzo Giannelli ignora (!) che il materiale della Discoteca di Stato venne riordinato e catalogato da una commissione cui era a capo il maestro Petralia, fustigatore delle canzonette: per questo alla DdS c’è poco materiale riguardante la musica leggera. Dal Canzoniere della Radio, n. 17, Giugno 1941, p. 16. Capitolo 4 - Le vicissitudini delle Lescano dalla pubblicazione delle Leggi razziali al fantomatico arresto al Grattacielo di Genova, sulla cui veridicità Eschenazi non ha dubbi di sorta. L’unica cosa interessante è la testimonianza dell’attore Piero Nuti, il quale ricorda che una sera del 1943, andò a vedere una rivista con le Lescano al Grattacielo, ma esse, non si sa bene per quale motivo, non apparvero in scena. La dichiarazione sarebbe ancora più interessante se Nuti non si fosse lasciato andare a un: “Ricordo comunque che nei giorni successivi le Lescano sparirono da radio e teatri”. Egli dimentica (o ignora) che Lescano erano già scomparse dalla Radio alla fine del 1942, con il bombardamento di Torino. Vi è inoltre, all’inizio del capitolo, 57 l’ennesimo attacco alla Censura Fascista, tanto da definire le canzoni della fronda “una fissazione e un’idiozia del Fascismo”. La censura e la messa al bando di alcune canzoni è continuata anche nel dopoguerra, quando la RAI divenne il tesoretto della Democrazia Cristiana. Canzoni come L’onorevole Bricolle, L’uomo che voglio, L’ombra, Tua, Nun è peccato caddero sotto la scure della censura democristiana, che le ravvisava come immorali. Canzoni poi come Il tamburo della Banda d’Affori erano, a mio avviso, volutamente ambigue: è credibile infatti che un paroliere come Panzeri non potesse trovare un altro numero che andasse bene con la musica a sostituire quel “550 pifferi”, ovvero quanti erano i membri componenti della Camera dei Fasci? Vogliamo credere che in un periodo come quello (1942) non ci avesse pensato? Capitolo 5 - Narra il periodo durante il quale le Lescano si rifugiarono prima nel Canavese e poi vicino a Saint Vincent. Il capitolo sarebbe davvero interessante, se solo fosse più preciso e meglio documentato, in quanto affronta un tratto di storia delle Lescano alquanto oscuro. Sono svolte abbastanza bene le interviste a coloro che le ospitarono e le conobbero durante il periodo a Gallenca, tuttavia tutto il capitolo ha un che di fiabesco, che risulta, ahimè, poco credibile. Si dice ad esempio che l’intero paese sapeva della presenza delle Lescano, che in molti andavano a omaggiarle, che i ragazzi le seguivano per farsi cantare un motivetto e altre cose simili: ma ci rendiamo conto che siamo nel 1944, con le Lescano rifugiate in casa di amici, mentre tentano di nascondere la madre ebrea? Sinceramente non mi sembra molto verosimile, nonostante l’enorme popolarità delle Lescano, che la popolazione locale si esponesse così tanto nei rapporti con loro, rischiando di passare dei seri guai, in carcere o peggio ancora davanti ad un plotone d’esecuzione. In fondo stiamo parlando di manifestare solidarietà a una famiglia che nascondeva un’ebrea, in un periodo in cui le rappresaglie erano all’ordine del giorno, non so se mi spiego. Ricordo che al Palazzaccio, una piccola frazione nel comune di Castelnuovo Berardenga (Siena), vennero sterminate tutte le famiglie ivi residenti, perché una di loro aveva nascosto imprudentemente un militare americano e perché le altre ne erano probabilmente al corrente. Nell’eccidio perirono anche numerose donne e tre bambini (il più piccolo di 4 mesi!). Interessante infine il passo in cui la signora Boetto parla dei fidanzati delle tre sorelle, citandone, per quanto riguarda quello di Caterinetta, nome, cognome, impiego e indirizzo. Peccato che l’Autore non si sia servito di questa informazione per approfondire, nei capitoli successivi, gli anni di vita torinese della minore delle Lescano. Peccato anche qui per alcuni errori o contraddizioni che si sarebbero potute evitare: a pag. 65 Eschenazi ci informa che due giorni dopo la fuga delle Lescano a Saint Vincent, la madre, rimasta a Gallenca, riceve la visita delle Camicie (ma nel libro sono Camice!) Nere a caccia delle figlie. Tutto questo dopo averci spiattellato per metà libro il fatto che le Lescano non erano riconosciute ebree ma erano guardate a vista d’occhio per la condizione della madre, ebrea pura, e che fecero numerosi sacrifici per nasconderla. Ora le Camicie Nere scovano la madre e non le fanno niente perché cercano le figlie? La cosa appare del tutto inverosimile. A pag. 66, invece, l’Autore, nel citare i vari trii formatisi “nel 58 frattempo” sulla scia delle Lescano, vi inserisce il Trio Joyce, nato ben dieci anni dopo (1955)! Capitolo 6 - Altri casi simili alle Lescano: Funaro, Bellini e Belleli. Capitolo 7 - Parla del periodo che le Lescano hanno passato in America Latina. Lo fa attraverso la testimonianza di Maria Bria, la quale non perde occasione per etichettare Sandra e Giuditta Lescano come due alcolizzate e per informarci dei fantastici successi del nuovo Trio Lescano in giro per il Sud America. Successi che, a detta della Bria, sarebbero continuati anche in Italia, dove alcuni spettacoli delle Lescano vennero trasmessi anche dalla radio (ma quando mai, gentile signora Bria?!). Nel repertorio del nuovo Trio c’erano canzoni interpretate in quattro lingue (e a volte, perché no?, anche in sei), fra cui, quello di maggior eco fu Che serà interpretata in inglese. Incredibile, vero? Proprio la famosa canzone lanciata da Doris Day col titolo di Que será será nel 1956 e arrivata in Italia l’anno successivo grazie alle interpretazioni di Carla Boni, Gloria Christian e Marisa Colomber! A meno che non si tratti di Quien será un mambo messicano, noto in Italia come Chi sarà? Ma se si trattasse di questo motivo, perché interpretarlo in inglese dato che la Bria afferma di conoscere benissimo lo spagnolo, tanto da impartire lezioni alle due Lescano? E ovviamente in Sud America alloggiano in alberghi di lusso e si spostano sempre in aereo (dice la Bria...). Il tutto consentito dagli strepitosi guadagni, accumulati spettacolo dopo spettacolo. Poi arriva il 1952, ottobre: la Bria rivendica i suoi soldi, dato che non è mai stata pagata; Giuditta accusa il marito di Sandra, Nino Gallizio, impresario del Trio, di aver rubato tutto; Sandra difende il marito e rimane con lui, in miseria, arrangiandosi a fare la commessa in un supermercato e in una calzoleria. E gli strepitosi guadagni, dove sono finiti? Mistero fitto. Sia la Bria che Sante Franceschi, uno dei tre figliastri di Sandra, confermano che la maggiore delle Lescano era sposata con Nino Gallizio e ne era rimasta vedova nel 1960 o giù di lì. Sandra quindi, nel corso della sua vita, avrebbe contratto due matrimoni. Tuttavia negli atti ufficiali in nostro possesso, riguardanti il matrimonio di Sandra con Guido Franceschi, non si fa alcuna menzione a un precedente matrimonio di Sandra, né tantomeno si fa riferimento al suo status di vedova. L’Autore, sicuramente in possesso di questi atti (spero), avrebbe quindi potuto svolgere qualche ricerca in più, magari approfondendo la figura ambigua di Gallizio: attore, controfigura di Macario prima e impresario poi, conobbe le Lescano nel 1942 durante il periodo rivistaiolo con la Osiris. Questo folle e morboso amore fra lui e Sandra sarebbe però sbocciato successivamente, dato che all’epoca, come ci informa la signora Boetto, Sandra era fidanzata con un marinaio che perì durante un combattimento. Ma affermazioni ben più importanti vengono fatte nelle ultime pagine del capitolo, sempre da Sante Franceschi (che, secondo vari testimoni, detestava la matrigna e tutta la sua famiglia). Egli afferma che Giuditta si sposò e si stabilì a Puerto Ordaz (nel libro divenuto Ortas) o a Puerto La Cruz; egli aggiunge, inoltre, che non ha mai incontrato né Giuditta né tantomeno Caterinetta (ma allora come faceva a sapere che Giuditta si sposò a Puerto Ordaz o La Cruz?); ci fa sapere, infine, che nel 1965, due anni dopo il suo rientro in Italia, Sandra tornò, assieme al 59 marito, per l’ultima volta in Venezuela; non ha mai saputo di un carteggio fra Sandra e Giuditta. A questo punto, se fossi stato incaricato io a scrivere il libro, avrei tratto delle prime conclusioni: - è molto strano che nel 1965 Sandra torni in Venezuela e non riveda nessuna delle due sorelle (perlomeno Giuditta, dato che Caterinetta probabilmente sarà stata morente o era già morta); - è ancora più strano che Sandra e Giuditta non si rivedano, dal momento che, stando a quanto raccontato da Sandra, nel 1965 esse avevano un fitto scambio epistolare. Secondo Sante Franceschi, quindi, i rapporti tra le sorelle si sarebbero interrotti nel 1952. E del resto qualcosa di grave dev’essere certamente accaduto. Personalmente sono convinto che non è stata la sola defezione della Bria a provocare la rottura del Trio: le due Lescano avevano sostituito una componente una volta, potevano farlo una seconda, no? Tuttavia appare poco credibile che Sante Franceschi non abbia mai visto Giuditta, dato che, secondo il Consolato italiano a Caracas, le Lescano, verso il 1960, frequentavano assiduamente la pensione di Guido Franceschi. C’è in tutta questa storia qualcosa che non torna. Tuttavia è abbastanza credibile che le due sorelle abbiano continuato a frequentarsi fino alla partenza di Sandra per l’Italia; del resto, tra le carte di Sandra, è stata trovata una foto che mostra una cinquantenne Giuditta in compagnia di un uomo (forse il marito?). Se non si fossero più frequentate o scritte, come faceva Sandra a possedere quell’immagine? Capitolo 8 - La triste fine di Sandra. Nulla di interessante, tutte cose già risapute. Se non altro, Eschenazi, che ha libero accesso agli archivi RAI, poteva recuperare la data esatta dell’intervista di Carlo Loffredo a Sandra Lescano! Sono riuscito a saperla io, che tale accesso non ho!». 20 Settembre 2010 ◙ Mail di Walter: «Leggo con interesse le ultime notizie e i commenti su Le regine dello swing testé pubblicato, ma per favore non chiedermi pareri! In effetti non ho letto il libro e, cosa ancor più importante, non sono a conoscenza di tutte le scoperte e i contributi che avete raccolto in questi anni, così da poter confermare o confutare fatti e avvenimenti riportati nel volume. Posso solo dirvi che, a conti fatti, Eschenazi e il suo editore sono semplicemente andati incontro ad una richiesta del mercato attuale. Mancava una pubblicazione ad hoc sulle Lescano, in questo momento di nuovo sulla cresta dell’onda, anche per via della miniserie targata Rai, ma quello che serviva non era una biografia fatta a regola d’arte, opera di un vero specialista, occorreva invece una bella storia romanzata, per cui voilà, ecco servito il polpettone, confezionato con gli scarti, anche avariati, della dispensa e di formato tascabile per maggiore digeribilità. D’altronde, non si può pretendere da chi si occupa di fiction un approfondito studio di ricostruzione storico-scientifica, né la capacità di farlo: non si dice forse sutor, ne ultra crepidam? Oggi l’imperativo numero uno è far soldi, accontentando in tutto e per tutto il popolino, ed è vano cercare una fiction televisiva che meriti una qualche 60 segnalazione per l’accuratezza delle ambientazioni, dei dialoghi e della sceneggiatura. Tutto questo, in TV, è roba di una volta, inutile negarlo... Semmai ciò che sorprende (e addolora) è constatare come una casa editrice, un tempo reputata per l’estremo rigore di tutte le sue pubblicazioni, tanto che il famoso struzzo del suo marchio era sinonimo di sicura qualità, si presti oggi ad operazioni così squallide: anche questo è evidentemente un segno dei tempi! Ma ora passo volentieri ad altro argomento. Ho ritrovato una versione di The Man I Love [L’uomo che amo] della Martorana, ma non riesco a collocarla nel tempo. Secondo voi è degli anni ’40 o ’50? Che faticaccia renderla ascoltabile! Ad ogni modo si tratta dell’incisione di un’ottima cantante di quel periodo, una delle poche ancora con noi e in gran forma: già questo fatto è di per sé un motivo di indiscutibile interesse, oltre che di gioia per il ritrovamento. Lidia Martorana (classe 1928), com’è oggi. ◙ Mail di Paolo: «Eccellenti collaboratori hanno già sviscerato il libercolo malfamato. Mi limiterò ad alcune puntualizzazioni sul Jazz in Italia durante il Regime. Il primo segno di musica jazz nel nostro paese appare addirittura verso il 1917, con l’arrivo delle truppe americane e delle loro orchestrine di musica sincopata. Musicisti come Spina, Ortuso, Rizza iniziano timidamente a prodursi con piccoli complessi. Le cose avanzano pian piano finché addirittura il 21 febbraio 1936, e siamo in piene sanzioni, Levi e Testoni danno vita al “Circolo Jazz Hot”, scrivendo in seguito (1937) il saggio Introduzione alla vera musica jazz, dedicato a Vittorio Mussolini che in quel periodo era vicino all’ambiente jazzistico. Sempre nel 1937, alla vigilia del viaggio in Libia, Mussolini stesso dichiarerà sorprendentemente al giornalista Webb Miller: “Non vi stupirete se vi dico che non ho alcuna antipatia verso il jazz. Come ballabile lo trovo divertente” (Grande enciclopedia del Jazz, Curcio, voce “Italia”). Altri saggi a favore del jazz sono redatti da ottimi critici musicali, ad esempio Massimo Soria nel 1936 esamina attentamente le differenze tra jazz sinfonico e jazz autentico, tra swing e non swing nella pubblicazione Prolegomeni del Jazz. Renzo Nissim, prima di fuggire in America a causa delle persecuzioni razziali, pubblica su Scena illustrata un lungo articolo in difesa del jazz. Le cose poi cambiano, perché 61 Dino Alfieri sostituisce Ciano al Ministero della Stampa e Propaganda e la censura si fa più rigorosa. Ciò non evita comunque che i dischi di jazz giungano dall’America in ogni modo, soprattutto tramite le navi di linea della Società Italia. Le tracce, come già detto da me altrove, si trovano negli arrangiamenti delle canzoni più insospettabili, da Ba… ba… baciami piccina a Madonna malinconia, ove addirittura vengono clonati interi passaggi orchestrali di Glenn Miller e Benny Goodman. Lungi dal limitarsi a copiare dall’estero, le orchestre italiane producono eccellente musica originale, superbamente orchestrata da geni quali Ferrari e Barzizza. Chi ha visto il documentario Ecco la Radio del 1940 riveda l’ultima parte, in cui le orchestre del momento eseguono il tema conduttore ciascuna secondo il suo stile, dallo swing scattante di Barzizza all’ampollosità di Petralia (gran nemico delle canzonette). Mi pare dunque chiaro che, durante il Ventennio, non ci fossero divieti aprioristici a suonare il jazz in Italia. Mussolini stesso, violinista abbastanza evoluto, non poteva non capirne il valore. Gli ostacoli vennero semmai sollevati da una censura cieca e stupida, da un apparato burocratico composto da ignoranti (Mussolini stesso ebbe a dire “Starace è un asino, ma un asino necessario”). Del resto basta leggere l’interessante La stampa del Regime di Nicola Tranfaglia (Bompiani, 2005), per rendersi conto di come si voleva indirizzare il pensiero del popolo». Oggi si fa esattamente lo stesso, con certe “biografie” e con le miniserie televisive [NdC]. 21 Settembre 2010 ◙ Continuano le reazioni al libro di Gabriele Eschenazi, Le regine dello swing. ♦ Mail ricevuta: «Buongiorno, mi chiamo Sarah P. [nell’originale il cognome è in chiaro] e sono un’israelita. Ma non allarmatevi, non Vi scrivo per rivolgervi dei rimproveri, come ha fatto il mio correligionario Isacco B., secondo me fuori di testa. Al contrario, io desidero ringraziarVi, perché amo molto le Lescano e, leggendo regolarmente le Notizie del Vostro sito, ho imparato tantissime cose su di loro. Cose vere e documentate con cura e non fanfaluche, come quelle che si trovano in quasi tutte le altre fonti. Vi scrivo per togliermi una curiosità. Visto che siete tutti così preparati (e anche abili nel fare ricerche), perché non avete offerto la Vostra collaborazione a Gabriele Eschenazi, al regista Maurizio Zaccaro e alla Casanova Multimedia, in modo che la biografia delle Lescano e la fiction su di loro fossero più rispettose della verità storica? Non posso credere che tutti costoro avrebbero rifiutato alla leggera un aiuto tanto prezioso e per di più disinteressato, posto che il sito non persegue finalità di lucro. Vi ringrazio in anticipo per un Vostro cortese cenno di risposta. Cordialmente, ecc.». Ecco la nostra risposta: Cara Sarah dal dolce nome e dall’animo gentile, tutti noi saremmo stati oltremodo felici di dare il nostro contributo, del tutto disinteressato, appunto, ad una degna celebrazione del Centenario della nascita di Alessandra Lescano. Purtroppo nessuno ci ha invitati alla festa e anzi c’è chi arriva a 62 negare la nostra stessa esistenza! Il fatto è che a certe persone la “verità storica” (anzi la verità tout court) non interessa affatto e addirittura la detestano, perché pericolosamente incline a compromettere il buon andamento degli affari, l’unica cosa che stia loro a cuore. Quanto ad Eschenazi, poi, si dev’essere offeso a morte perché abbiamo avuto l’ardire di segnalare un suo clamoroso errore, comportante la diffamazione di tre brave e oneste signore (rilegga, per favore, le Notizie dei giorni 2 e 3 Settembre 2009). Noi, per nostra fortuna, siamo fatti di un’altra pasta: quando qualcuno ci segnala una nostra svista, siamo ben felici di correggerla immediatamente e non manchiamo mai di ringraziare chi ci ha permesso di farlo. Grazie per le Sue parole di stima e continui a seguirci fino alla fine, ormai non lontana, della nostra bella avventura. È per persone come Lei che ci piace lavorare! ♦ Aldo: «Scorrendo il volumetto-libriccino di Eschenazi, ho pensato a quanto sarei stato felice se la cosa (un’edizone Einaudi!), dedicata al Trio Lescano, mi fosse capitata tra le mani un circa trent’anni fa. Tralasciando emozioni a posteriori (oramai di poca importanza anche per me), si può dire che tutto ha un certo interesse, ma molto limitato. Di sicuro non si richiede (almeno per ora) una esegesi o un’edizione critica del (o sul) Trio Lescano, ma sappiamo quanto sia importante l’onestà, nelle piccole come nelle grandi cose. Se ci concediamo all’approssimazione, dobbiamo poi mettere in conto anche le perplessità di tanti appassionati e specialisti che, per quanto facciano parte del grande pubblico, si attendono sempre qualcosa di più. Come si fa a non correggere, in qualsiasi pubblicazione, inesattezze o svarioni, a riportare senza un ulteriore controllo cose che vengono riprese da altri e che a maggior ragione vanno esaminate? Ricordo solo un breve passo che non mi è chiaro (a pagina 18), quando Alessandra parla dice che “A 27 anni con mia sorella Giuditta, che ne aveva 24, formammo il duo acrobatico Sunday Sisters e lavorammo nel circo...”. Ma (facendo i calcoli)... nel 1937? Ancora duo acrobatico al circo? Ma non sarà forse dieci anni prima, o almeno all’inizio degli anni ’30? Occorre spiegarlo. Per quanto concerne i problemi “esterni”, le critiche (sic) di taluni giornalisti (sic), beh, mi si accappona la pelle leggendo quei righi di recensione su La Stampa (ad opera di E. Loewenthal), ricordati da Franco C.: le Lescano “lanciate” come trio in quanto... “il collettivismo spinto del Regime, che esige masse d’urto e ha diffidenza d’ogni protagonismo che non sia quello del duce, non vuole voci soliste”. Si può aprir bocca per replicare? No. Lasciamo che ogni animo e mente pensante capisca e comprenda. A questo punto, sterzando bruscamente su censura e repertori stranieri, mi viene in mente (grazie al collettivismo e alle masse di poc’anzi) la Russia sovietica. Credo oramai lo si abbia detto sino alla noia (ma a che pro, non so): i brani, le canzoni, i pezzi stranieri sono entrati in Italia negli anni ’20 e ’30 quasi-assolutamente-sempre, come in ogni regime totalitario (in verità con le dovute riserve...): ebbene sì, anche in quelli comunisti dell’Est europeo, dove, chiaramente, nessuno pagava i diritti d’autore (e questo problemuccio dei diritti non pagati in quei paesi sta spuntando proprio oggi); figuriamoci se nell’Italia fascista non circolavano pezzi stranieri. A proposito di repertori: sarebbe stato davvero bello se il volumetto di Eschenazi avesse contenuto, alla fine, una lista (magari con “qualche piccolo appunto” critico) delle 63 canzoni interpretate dal Trio Lescano: semplice, la si poteva estrapolare da questo sito: sarebbe stato un modo per ricordare che esso esiste e come! Riguardo al suo Curatore, come a chi vi collabora, non si possono certo rimproverare faziosità o partigianerie: sembra invece un bel banco di prova di onestà, diplomazia, coerenza e informazione, innanzitutto musicale: tratto, quest’ultimo, ahimè mancante nel volumetto in questione». ♦ Alessandro: «Condivido in pieno l’intervento di Walter: il libretto Le regine dello swing è soltanto una trovata pubblicitaria: del resto, il modo in cui l’autore lo ha redatto lo dimostra in pieno. Eschenazi, infatti, fa riferimento ben due volte alla fiction TV di prossima trasmissione (e due volte in poche pagine mi sembrano troppe), tanto più che non si limita a farlo nella sola Introduzione, dove sarebbe, ahimè, trascurabile, ma lo fa anche nel bel mezzo del libro, a racconto (o a romanzo, come dice, a ragione, Walter) già iniziato. Inoltre traccia tutta la storia in modo piatto e lineare, approfondendo cose assolutamente inutili e non interessanti ai fini del libro: spende ben 4 pagine sulla storia dei De Leeuwe d’Olanda e liquida Caterinetta in 4 righe, omettendo di precisare dov’è stata, cosa ha fatto, con chi è vissuta durante il periodo di inattività artistica tra il 1946 e il 1965». ◙ Mail di Sandro: «Amo quasi tutta la musica di George Gershwin e le sue canzoni in modo particolare; insieme ad alcune di Jerome Kern, sono le uniche che sia ancora in grado di accompagnare al pianoforte, quando mia figlia Paola le canta. Per questo mi permetto di dare un parere sull’epoca di riferimento della versione italiana di The Man I Love, proposta da Walter: a me sembra appartenere più agli anni ’50 che non al periodo precedente, sia per lo stile dell’accompagnamento sia per la mediocrità di tale versione, firmata da Riccardo Morbelli (ma quella francese, di Marc Hély, è assai più bella). Sperando che a qualcuno possa interessare, riporto in un documento a parte il testo originale inglese, con una mia traduzione letterale in italiano, e quello francese di Marc Hély (Editions Salabert, Paris, décembre 1945)». Per parte nostra abbiamo aggiunto il testo italiano di Morbelli. ◙ Altra mail di Aldo: «Info per Walter: la versione italiana di Lidia Martorana del famoso brano di Gershwin (The man I love) è incisa su disco Cetra DC 4708, con data su matrice 10.1.1948». ◙ Mail di Paolo: «In risposta all’amico Walter, L’uomo che amo appare a pagina 150 del Catalogo Cetra 1949 come DC 4708, benché altrove quella sigla venga citata a proposito di altre canzoni (Gelosia, La Cumparsita), cantate da Ilda Tulli. In realtà tali canzoni si trovano nel disco DC 4709. Catalogo Dischi Cetra 1949, p. 150. 64 ◙ Altra mail di Paolo: «Grazie alla gentilezza del personale dell’Archivio Sonoro della Rai, ho potuto avere le seguenti informazioni sul cantante Claudio Terni: il suo vero nome era Claudio Scimmi e nacque a Terni il 10 giugno del 1927. Le uniche notizie disponibili sono quelle riportate nell’Enciclopedia della Canzone Napoletana di Ettore De Mura. Eccole: “Aveva otto o nove anni, quando iniziò, nella chiesa di S. Valentino, protettore di Terni, a cantare cori sacri, con limpida voce. Dopo i 18 anni, decise di studiare canto e frequentò L’Istituto Baiccialdi della sua città. Dopo i 20 anni – era ancora sotto le armi – ebbe la possibilità di perfezionarsi come tenore con valenti maestri quali Galliano, Marini, B. Gigli e Taccate, direttore del R. Conservatorio di Parma. Costretto, per una emorraggia all’occhio destro, ad abbandonare la carriera lirica, iniziò a cantare canzoni. Ha partecipato a Festival napoletani, Piedigrotte, e ha inciso un centinaio di dischi. Ha svolto tournées in Russia, Australia e Canada”». 22 Settembre 2010 ◙ Numerosi nostri lettori (non tra i più assidui, però) hanno difficoltà a credere che la storia dell’arresto delle Lescano nel ’43, così come ci viene narrata, con abbondanza di particolari, negli articoli di Natalia Aspesi e di Luciano Verre, sia tutta un’invenzione. Abbiamo perciò pregato il nostro collaboratore Virgilio – che è giornalista (di quelli in gamba) e ha fatto approfondite ricerche a Genova negli archivi della stampa locale – a esporre nel modo più chiaro ed esauriente tutte le ragioni che ci inducono a considerare i due suddetti articoli inattendibili, almeno per la parte che tratta del fantomatico arresto. Virgilio ha prontamente accolto il nostro invito e ha scritto un lungo articolo (v. Appendice 3) che, a nostro avviso, dovrebbe convincere una volta per sempre anche i più riottosi circa la fondatezza delle nostre argomentazioni. Non convincerà invece di sicuro chi si ostina a negare l’evidenza, vuoi per partito preso, perché la faccenda ha anche dei risvolti ideologici, vuoi per interessi di bottega; in questi casi non resta che dar retta ad un altro Virgilio, quello dell’antichità, quando dice a Dante: “Non ragioniam di lor, ma guarda e passa” (La Divina Commedia, Inferno, Canto III, v. 51). Per parte nostra vorremmo solo aggiungere che quanti sostengono a spada tratta la storicità dell’arresto con annessi e connessi, dando quindi ragione ai due giornalisti summenzionati, dovrebbero spiegarci come diavolo abbiano fatto le sorelle Lescano a cavarsela così a buon mercato dopo essere state incarcerate con accuse di estrema gravità, come quella di lanciare al nemico, con le proprie canzoni, dei segnali in codice: di essere insomma delle spie al servizio degli Alleati. Non va infatti dimenticato che moltissimi altri innocenti, arrestati in quegli stessi frangenti per molto, ma molto meno, furono immediatamente deportati in Germania e quindi sterminati senza pietà nei lager nazisti. Assolutamente incredibile, poi, è la storiella di Sandra, che tiene spavaldamente testa al truce militare venuto ad arrestarla sul palco, mentre si esibiva con le sorelle: possibile che la signora Aspesi (che in tante altre occasioni ha dato la misura del suo valore come giornalista) non si sia accorta che, 65 mettendo in bocca a Sandra Lescano frasi come quelle, aveva davvero passato il segno? In conclusione è un gran peccato che l’anziana giornalista di Repubblica si sia chiusa nel più sdegnoso silenzio, rifiutandosi sempre di rispondere alle nostre motivate (e quanto mai rispettose – v. Appendice 4) richieste di chiarimenti, che riteniamo legittime essendo dettate solo dall’esigenza, in noi molto forte, di ristabilire una buona volta la verità dei fatti. Tacendo con tutti la signora Aspesi si porterà i propri segreti nell’Aldilà (dove le auguriamo comunque di approdare il più tardi possibile), esattamente come ha fatto Sandra 23 anni or sono. ◙ Mail di Max: «Visto che non sono morto? Anche se, a dire il vero, non sono al 100% della forma. Ad ogni modo seguo sempre le Notizie del sito e sono lieto di vedere quanti nuovi ed entusiasti collaboratori si siano aggregati negli ultimi tempi. Sfogliando l’elenco degli autori stranieri ho scoperto, ma forse lo sapevate già, che Henry René (o Rene) era lo pseudonimo di Harold M. Kirchstein, compositore franco-tedesco nato e morto negli USA (di lui le Lescano incisero Sogni del Mare del Sud [Träumen von der Südsee], GP 92508b, matrice 153568). Verificate, per favore, questi dati. Se sono corretti, forse possiamo recuperare anche qualche foto nel web. Passo la palla al segugio Paolo. Buon lavoro!». http://www.imdb.com/name/nm0456332/ http://en.wikipedia.org/wiki/Henri_Ren%C3%A9 http://de.wikipedia.org/wiki/Die_Goldene_Sieben». ◙ Mail di Roby (che ha solo 16 anni!): «Fa un certo effetto vedere, in una libreria, vicino a scuola, un libro con la foto del nostro Trio. Credo, che si possa misurare la grandezza di un personaggio storico in base ai libri che gli sono stati dedicati. Quindi le Lescano, grandi protagoniste di un periodo musicale, assai significativo per l’Italia, non potevano non avere un libro interamente dedicato a loro. Attualmente però le iniziative si estendono anche oltre la carta stampata, coinvolgendo l’ambito cinematografico e dando così modo di farle conoscere ad un vastissimo pubblico. 66 Come si può ben leggere dalle Notizie e relativi commenti di questi ultimi giorni, le persone dovranno tuttavia accontentarsi di una versione brutalmente modificata del reale svolgimento della vita delle tre cantanti. Spero però che qualcuno, incuriosito dal fenomeno Lescano, si informi oltre il libro e il film: se andrà a curiosare in rete, si affiderà magari proprio a questo sito, che indiscutibilmente è il più autorevole in materia. Per parte mia ringrazio il destino di avermi fatto scoprire le Lescano, quando ancora non erano state rese di nuovo celebri da questo tipo di iniziative, e di avermi permesso di conoscere la loro vera storia grazie alle tante ricerche sul campo effettuate dagli animatori del sito Ricordando il Trio Lescano». 23 Settembre 2010 ◙ Paolo non si è fatto pregare per raccogliere l’invito dell’amico Max. Si è subito attivato e in men che non si dica ha trovato nel sito http://nfo.net/usa/r3.html#TOP parecchie notizie su Henri René (cognome che negli USA si scrive di solito senza accento: Rene), nonché una bella foto del musicista: Henri René e le Bell Sisters: Cynther al centro e Kay sulla destra. Su YouTube ci sono diversi video di queste due eccellenti cantanti, attive nei primi anni Cinquanta. Esiste anche un sito a loro dedicato: http://www.bellsisters.com/. Di Henri René/Rene alias Harold M. Kirchstein si parla anche nel libro di Victor R. Greene, A Passion for Polka: Old-time Ethnic Music in America, pp. 135-136. È possibile visionarlo anche in rete. Quanto a noi, abbiamo già provveduto ad aggiornare la scheda dedicata a Kirchstein nella pagina degli Autori stranieri di nostro interesse. ◙ L’articolo di Virgilio da noi pubblicato ieri, proprio perché così ben argomentato e documentato, ha avuto molte reazioni, per lo più di plauso incondizionato («Era ora – si legge in una mail – che qualcuno di ben preparato sbattesse in faccia ai falsari di 67 professione un bel po’ di fatti inconfutabili: vediamo se questa gente avrà ancora la spudoratezza di parlarci in futuro di arresto delle Lescano, detenzione al Marassi, mille lire al giorno, ecc. ecc.»). Ci sono però giunte anche mail di segno completamente opposto. Una, in particolare, molto secca e sferzante, ce la scrive qualcuno che ci contatta per la prima volta; il suo succo è condensato in queste due frasi: «Ma come potete mettere in dubbio ciò che ha scritto una giornalista di tale fama e reputazione come Natalia Aspesi, una delle firme più illustri de La Repubblica? Non è che l’attaccate rabbiosamente solo perché è un’intemerata militante comunista, nemica acerrima dei fascisti e dei nostalgici del Ventennio quali siete voi?». Per una volta il Curatore del sito desidera che siano altri a rispondere a quella che ha tutta l’aria di essere solo una ben studiata provocazione. Ha quindi pregato di farlo al suo posto due collaboratori, scelti non solo per il loro equilibrio e la loro saggezza, ma anche perché hanno entrambi alle spalle vicende familiari tali da metterli nel modo più assoluto al riparo da certe “simpatie”. Ecco dunque cosa rispondono questi due amici al signore che ci accusa di faziosità e malsana nostalgia per il Ventennio fascista: ♦ Paolo: «Il presente sito, dedicato al Trio Lescano, è nato per iniziativa di un gruppo di appassionati di diversissima estrazione: studenti, giornalisti, discografi, discomani, docenti universitari, marinai e musicisti (mancano solo i santi, per completare l’italiano medio). Tutti costoro hanno avuto in comune l’idea di riscoprire un trio vocale, sul quale troppo poco si sapeva e si ricordava. Ognuno ha contribuito a ricostruire la vera storia del Trio Lescano con le proprie abilità e vari colpi di fortuna, nonché mediante pazienti ricerche in rete, negli archivi e nelle biblioteche, addirittura nei cimiteri, e tutto questo a prescindere dalle ideologie, credenze religiose e convinzioni politiche di ogni singolo collaboratore. Pochi giorni fa c’è stato chi si è lasciato andare, nei nostri confronti, a velate accuse di antisemitismo; adesso c’è addirittura chi ci taccia apertamente di filofascismo. Mi domando, in tutta onestà, dove e quando qualcuno di noi possa aver detto o scritto qualcosa che giustifichi un sospetto così oltraggioso. Al contrario, i riconoscimenti di obiettività e correttezza abbondano negli interventi dei nostri visitatori, anche occasionali. Ognuno di noi ha ovviamente un suo background culturale e politico. Chi scrive, per esempio, vanta ascendenti che sono dei Caduti della Resistenza, genitori in possesso di attestati di iscrizione al PCI da prima del 1945, magari si fregia pure di una militanza politica nella sinistra, ma tutto questo non gli impedisce di dedicarsi con passione alla ricerca della verità storica. Ci è poi di grande conforto che una gentile ospite scagioni il sito dall’essere antisemita, e che tale persona sia ella stessa un’israelita... Si dà il caso che il ciclo italiano del Trio Lescano inizi nel 1935-1936, e quindi pretendere che per parlarne non si citino date e argomenti del Ventennio fascista è quanto meno puerile. I fatti sono fatti, anche se questo ci può dare fastidio. Il rigore di una seria ricerca scientifica deve portare alla verità accertata, tutto il resto è irrilevante. Se, putacaso, si scoprissero prove definitive che l’uomo non è mai stato 68 sulla Luna, che i comunisti sovietici mangiavano effettivamente i bambini, o si rinvenissero le ossa di Nostro Signore, con gli evidenti sconquassi che ne seguirebbero, si potrebbe forse negare la Verità? Nossignori. E sarebbe poi inutile scrivere che si tratta di propaganda, di complotti internazionali, di ingerenze aliene nei fatti della Terra. L’artista, per definizione, ha tutto il diritto di “indorare” la realtà; ce lo dice in fondo anche il Marino, nel 1602: “ È del poeta il fin la meraviglia, / parlo dell’eccellente e non del goffo, / chi non sa far stupir, vada alla striglia!” (da La Murtoleide: Fischiate del cav. Marino). Il giornalista invece, a differenza dell’artista, non ha alcun diritto di alterare a piacere la realtà dei fatti. Se lo fa, perde ogni credibilità e, in fondo, ci imbroglia. Natalia Aspesi, alla quale nessuno si sogna di negare la militanza comunista e la grandissima professionalità, invero non si pone problemi a cimentarsi con argomenti più leggeri, se vogliamo. Dai primi anni Novanta cura, sul settimanale Il Venerdì, la rubrica di successo “Questioni di cuore”, in cui risponde con partecipazione e vivacità a lettere nelle quali delle persone espongono dubbi ed incertezze sull’amore e sul sesso. Tuttavia, quando si parla di ricerca storica, non si può né si deve transigere. Negare le evidenze è antiprofessionale e immorale. Se Dante stesso ci ricorda “Che giova ne le fata dar di cozzo?” (Inferno, Canto IX, v. 97), come possiamo noi miseri nascondere la verità dietro opportunismi di ogni genere? Questa è naturalmente la mia opinione personale. Il sito ha secondo me il pregio di ospitare tutti i pareri, favorevoli e contrari, cosa della quale ci facciamo vanto, ad onta di coloro che questa possibilità non ce la offrono, negandoci il diritto di replica e addirittura negando la nostra stessa esistenza. Ed ora a voi, cari amici e collaboratori: la discussione rimane aperta!». ♦ Sandro: «Potrei dire che questo interlocutore non merita risposta, perché sembra parlare senza aver letto – o avendo frainteso completamente – quanto abbiamo scritto (e che chiunque può leggere) nelle Notizie del presente sito, dal dicembre del 2008 in poi: per chi usa solo Internet, è evidente che, oltre al leggere e allo scrivere, non vi sono altre risorse a disposizione. Ciò nonostante, è opportuno rispondergli, per togliere ogni residuo dubbio a chiunque ne potesse ancora avere. Vorrei quindi invitare questo signore ad andarsi a leggere attentamente tutto quello che abbiamo pubblicato nel sito, dalla sua creazione ad oggi. Quando l’avrà fatto, io lo sfido a indicarci con precisione cosa ha trovato che giustifichi l’accusa infame e infamante che ci rivolge. Chi ama la musica, il cinema, la letteratura, la grafica, l’architettura come espressioni di un qualunque periodo storico (incluso dunque anche il Ventennio fascista), non per questo è tenuto a condividere, di quel periodo, gli ideali politici e sociali, né tantomeno i metodi usati per attuarli. Qualsiasi errore umano, come qualsiasi fede religiosa o politica sono degni di rispetto: è la malafede, al contrario, che merita solo disprezzo». 24 Settembre 2010 ◙ L’autore Giovanni Abis, di cui abbiamo parlato nelle Notizie del 9 Luglio 2010 (è 69 uno degli ultimi collaboratori delle Lescano ad essere ancora in vita), ci ha espresso il desiderio di recuperare il mandolino, o almeno una sua scansione, della canzone La Pensione do-re-mi, da lui creata assieme al compositore Luciano Perazzi, canzone incisa nel 1942 da Ernesto Bonino e il Trio Lescano con l’Orchestra Barzizza. Se qualcuno ne fosse in possesso è gentilmente pregato di mettersi in contatto con noi. ◙ Nel sito del mensile Max è comparso un breve articolo intitolato Le ragazze dello swing. Parla il soggettista [http://max.rcs.it/hot/cinema/09-2010/ragazze-swing-parla-soggettista20532298415.shtml]. In esso, fra varie altre amenità, troviamo in chiusura questa chicca: «E se la storia v’intriga e volete distinguere tra realtà e fantasia c’è il libro: Le regine dello swing (Einaudi)». Che un commerciante vanti la propria merce, è cosa comprensibile: ma nel farlo non deve ricorrere alla pubblicità ingannevole, oltretutto vietata dalla legge. Dopo la montagna di prove che abbiamo esibito per dimostrare che il libretto Le regine dello swing contiene non solo una miriade di errori e imprecisioni, ma anche una quantità sbalorditiva di notizie false o quanto meno “fantasiose”, ci vuole una bella faccia tosta per dire che esso permette al lettore di «distinguere tra realtà e fantasia»! Caveat emptor, dunque… Un altro articolo [http://mauriziozaccaro.myblog.it/archive/2010/09/06/le-ragazze-dello-swing-nota-diregia.html] che è bene leggere, per constatare fin dove possa arrivare l’impudenza di certi personaggi dell’italico show business, è quello intitolato Le ragazze dello swing: nota di regia..., apparso nel blog di Maurizio Zaccaro. Unbelievable but true, il regista della miniserie Rai ha persino la modestia, nient’affatto falsa, di accostare il proprio nome a quello di… John Ford! Parlare in casi del genere di delirio di autostima e autocelebrazione è decisamente poco: chissà se vale ancora il detto chi si loda si sbroda. Ecco come il nostro Virgilio (che, da buon genovese, è ricco di caustico humour) commenta l’exploit di questo self-styled erede del grande patriarca del cinema americano: «Ancora stasera ho avuto modo di vedere il breve filmato che presenta Le ragazze dello swing, subendo una sorta di shock anafilattico: non solo per la decisa lontananza fisica e psicologica delle interpreti dagli originali, ma altresì perché le canzoni delle Lescano cantate da altre [le Blue Dolls], e con gli arrangiamenti modernizzanti che ho sentito, fanno semplicemente c….e [in chiaro nella mail originale]. Film così tentano di distruggere i miei sogni, che ritengo il peggiore delitto che si possa perpetrare verso chi ha anche un minimo di propensione verso la bellezza. È chiaro che il regista, avendo capito che l’uscita della fiction gli tirerà addosso una valanga di critiche (non solo nostre, sarei pronto a giurare), ha già cominciato a mettere le mani avanti, traendo dal suo inesauribile cilindro nientemeno che John Ford – oddio, che bestemmia per il regista di Ombre rosse e Sentieri lontani! – e il povero Manzoni, e cominciando a distinguere tra «vero storico e vero poetico»... Peccato che il suo lavoraccio non si identifichi né col primo né col secondo, essendo semplicemente un falso e di pessimo gusto. […]. Fare un film sulle Lescano e non far sentire nessuna delle loro canzoni originali è, oltreché una volgarissima marchetta verso le nuove interpreti, un modo per uccidere ogni credibilità: come andare a Roma senza vedere il Papa, si sarebbe detto una volta. Si pensi ai ragazzi di oggi, che non 70 hanno mai sentito le canzoni del Trio Lescano: che idea si faranno ascoltando quei ridicoli rifacimenti? In essi è sparita la grazia, la levità, l’umorismo, il candore... Spero che produttore, sceneggiatori e regista vengano letteralmente sommersi di fischi». 25 Settembre 2010 ◙ Ci scrive un lettore, Osvaldo G., per dirci che ha molto apprezzato la mail di Virgilio (quella pubblicata ieri): «Sono assolutamente d’accordo con lui quando rimprovera a certe fiction televisive di distruggere le cose belle che ci portiamo dentro. Il punto del dibattere è proprio questo: le falsità insidiano i sogni. E a persone come noi, cresciute a pane e Lescano, tutto quell’artifizio fa male, riesce sommamente fuorviante: col pretesto di farlo conoscere, si fornisce un’idea del Trio di incredibile volgarità, si uccide tutto il bello artistico contenuto nel tessuto della loro musica e delle loro voci. Può esistere, a livello culturale, un delitto peggiore?». Siamo in perfetta sintonia con Osvaldo: ci tolgano pure tutto, ma ci lascino almeno i nostri sogni più belli, intatti please. ◙ Mail di Antonio: «Sono pienamente d’accordo su quanto espresso dalla maggioranza di noi circa il “libricino” di Eschenazi. Aggiungo solo una cosa: non guarderò la fiction televisiva. Voglio conservare intatto il ricordo che serbo nel cuore delle Sorelle Lescano». Antonio, da quell’uomo saggio e colto che è, fa bene ad astenersi, con stoica determinazione, dal guardare in TV il fumettone “venduto già in 16 paesi”. Ma questo non preoccuperà minimamente chi lo ha prodotto, perché ci saranno comunque milioni e milioni di telespettatori che lo guarderanno e prenderanno per buona la “storia” del Trio Lescano ivi “evocata”: quella di tre stangone apolidi e mezze ebree, neanche tanto brave a cantare ma bellissime e dalla vita sentimentale ultramovimentata, le quali, abbandonate dal padre quand’erano “ancora in tenera età”, diventano famose in Italia durante il Fascismo, ma finiscono poi in galera essendo impavide antifasciste. Per i più curiosi ci penserà la “biografia” di Gabriele Eschenazi, grande amico del regista, a raccontare nei minimi particolari il resto della “vera” storia delle tre sorelle. ◙ Mail di Manuel: «Passando davanti ad un’edicola, ho visto che con TV Sorrisi e Canzoni è uscito un DVD della serie Le inchieste del commissario Maigret. Si tratta proprio dell’episodio, intitolato Un’ombra su Maigret, in cui compare Norma Bruni. Sembra quasi uno scherzo del destino! E pensare che pochi giorni fa mi trovavo alle Teche Rai ad appuntare questa sua apparizione televisiva: forse è la volta buona che la Bruni, una notte o l’altra, mi appare in sogno…». ◙ Vito, il nostro nuovo e solerte collaboratore torinese, si è recato nel cimitero di Sassi, per visitare la tomba della signora Giuseppina Vernetti, vedova del M° Carlo Prato. Si pensava che i resti mortali del musicista, deceduto prematuramente nel 1949, fossero stati riesumati e quindi traslati nella stessa tomba della moglie, ma purtroppo non è così, come testimoniano queste foto, scattate da Vito: 71 La sola possibilità che apparentemente ci resti di ritrovare l’ultima dimora di colui che fu il primo artefice dello strepitoso successo delle Lescano, è che il M° Prato sia stato inumato non a Torino, dove morì, bensì nella sua città natale, Susa. Vito si ripromette di andarci alla prima occasione. Che peccato che nessuno abbia mai avuto l’idea di intervistare la signora Vernetti quand’era ancora in vita! Chissà quante cose avrebbe potuto raccontarci sul marito e anche sulle Lescano, che dal 1935 al 1943 furono le sue “allieve” predilette e, nel tempo libero, frequentarono assiduamente la sua casa. Il M° Carlo Prato con le sorelle Lescano a spasso per Torino, verso la fine degli anni Trenta. 72 26 Settembre 2010 ◙ Mail di Lea: «Non è male la recensione del volumetto di Eschenazi che Massimo Lomonaco ha pubblicato nel sito ANSA.IT / Un libro al giorno: http://www.ansa.it/web/notizie/unlibroalgiorno/news/2010/09/23/visualizza_new.html_1760360206.html. È equilibrata e scritta benino (non bene, però, perché spiace vedere notorieta’ al posto del corretto notorietà, e simili), inoltre ha il pregio di risparmiarci le solite baggianate, divenute ormai insopportabili (le mille lire al giorno, l’arresto, il Principe che le salva…). Peccato solo che anche questo giornalista (pure romanziere di successo) sembri fare poca attenzione ai dettagli. Ad esempio, il cognome originario delle Lescano è Leschan e non Leschen: lo sa perfino Nerone, il grosso gatto nero (nomade) che frequenta indisturbato il giardino di casa mia, perché, sveglio com’è, ha capito subito che i felini io li amo. Forse, chissà, è un parente di Maramao, dato che gli piace mangiucchiare l’insalata, rigorosamente bio, che coltivo in un angolino del suddetto giardino trasformato in orticello, giusto per seguire il celebre consiglio di Voltaire. Mi piacerebbe poi sapere da quali documenti Lomonaco abbia tratto la notizia, da lui riportata come certa, che “la famiglia [delle Lescano] in Olanda contera’ piu’ di cento assassinati nella Shoah”: tale cifra mi pare francamente esagerata, se riferita ai parenti stretti di Eva de Leeuwe. Ma ciò che mi turba maggiormente è un’altra frase, anche questa buttata lì come si cala sul tavolo da gioco l’asso di briscola: “Le ragazze sanno bene che e’ giunto il momento di cercare una via di fuga. La troveranno in Sud America dove e’ ancora vivo il ricordo del loro successo: li’ conosceranno scampoli di gloria, ma soprattutto avranno salva la vita”. Ohibò, questa notizia mi giunge del tutto nuova e, se è vera, mi obbligherà a rivedere da cima a fondo la mini-biografia del Trio Lescano che con tanta fatica mi sono appuntata nel mio block notes, ovviamente elettronico. Pensate: ero convinta che le olandesine, per via di quella loro mamma così ingombrante, avessero rischiato di fare una brutta fine (come la fece il povero Funaro) nel ’44, quando, assieme a lei, si erano rifugiate in montagna per sottrarsi all’arresto (quello vero, che per fortuna mai ci fu); ora invece scopro che anche a guerra finita le Lescano continuavano ad essere in grave pericolo, tanto da dover scappare in Argentina per salvare la pelle, come chiaramente precisa il giornalista-scrittore dell’Ansa. Sandra (a destra) e Giuditta Lescano in Sudamerica con la loro mamma Eva de Leeuwe, probabilmente a Caracas alla fine degli anni Cinquanta. Nella fiction di Maurizio Zaccaro il ruolo di Eva è affidato alla sempre affascinante Sylvia Kristel, che da giovane fu la supersexy Emmanuelle. 73 C’è chi afferma che le recensioni lascino il tempo che trovano. Io dico invece che servono, eccome, se non altro a mostrarci quale sfoggio di inventiva debbano esibire tanti pubblicisti se vogliono guadagnarsi un tozzo di pane!». ◙ Mail di Walter: «Amici, come promesso vi mando il file di Cuore diglielo anche tu, il brano in cui canta un non meglio identificato Gino Stella. La volta precedente (v. le Notizie del 10 Settembre scorso), vari collaboratori del sito si lanciarono in supposizioni di ogni tipo sui nomi “sospetti”che proposi. Nessuno però citò Gino Stella né azzardò alcuna associazione con un cantante famoso. Fra i nostri collaboratori ci sono fior d’intenditori con orecchi fini, per cui qualcuno sarà sicuramente in grado di dire chi si celi veramente dietro questo pseudonimo. Apriamo dunque i giochi...». 27 Settembre 2010 ◙ ULTIMA ORA - Riceviamo or ora (alle 15.45) la seguente mail di un certo Dott. Michele T. [in chiaro nell’originale]. Riteniamo utile pubblicarla immediatamente e integralmente, senza cioè cambiare una sola virgola, giacché essa annuncia, nel tono e nella sostanza, con quali argomenti i nostri “avversari” intendano controbattere alle critiche che noi rivolgiamo, fin dalla creazione del sito, a pressappochisti, falsari e mistificatori di ogni risma, che si occupano delle sorelle Lescano senza conoscerle minimamente. I lettori sono invitati ad apprezzare, in particolare, la chiusa della mail, giacché si tratta di una perla di valore inestimabile: «Gentile Curatore, seguo abbastanza spesso la sua interessante rubrica, e trovo che abbia sempre dato prova di misura nelle sue osservazioni; ma da qualche tempo in qua, sono sorpreso per la continua serie di critiche contro il libro di Gabriele Eschenazi e il film televisivo di Maurizio Zaccaro, che ottengono puntualmente spazio nel “Notiziario”; tra l’altro, siccome il film di Zaccaro verrà programmato solo stasera, come si possono rivolgere tante critiche a quel che non si è ancora visto? Non trova anche lei che siano davvero (e sospettosamente) eccessive? Ho letto il libro di Eschenazi e ho gradito molto le tante cose che ci ha narrato con garbo sulle tre sorelle ebree olandesi, che molti di noi senz’altro ignoravamo. Perché dunque criticarlo tanto? Che importanza può avere se è stato sbagliato qualche cognome o qualche data, e se il padre delle Lescano ha abbandonato le figlie, o sono state le figlie ad abbandonare il padre? Questo non cambia il valore delle loro canzoni, e mettersi a criticare guardando alle virgole è un po’ come discutere sul sesso degli angeli. Sul Trio Lescano non esisteva un libro ed Eschenazi ha semplicemente colmato la lacuna; se poi qualcuno ritiene di scrivere cose più esatte, si faccia avanti. Sulla questione dell’arresto, poi, state facendo solo un gran polverone: qualcuno di voi c’era, per poter affermare con sicurezza che non ci fu? Credo che la miglior prova del contrario stia proprio nel fatto che l’arresto delle cantanti risulta il punto saliente nel film di Maurizio Zaccaro: la Rai è un servizio pubblico, pagata coi soldi di tutti: perciò non può avere nessun interesse a mettere in giro delle panzane. Cordiali saluti, ecc.». 74 Modestamente, se abbiamo creato il presente sito con la sua pagina interattiva di Notizie, è proprio perché riteniamo di essere in grado di scrivere, sul Trio Lescano, cose più esatte di quelle scritte da altri: cose non inventate, ma che risultano dagli innumerevoli documenti originali che abbiamo riportato alla luce. In quanto all’arresto, il Dott. Michele T. è invitato a leggere con tutta l’attenzione di cui è capace il saggio del nostro collaboratore Virgilio. Il quale, pur essendo genovese, non era presente al fatto, è vero, ma per il semplice motivo che non era ancora nato; questo però non gli ha impedito di reperire le prove certe che, alla fine del ’43, le sorelle Lescano non stavano in prigione, al Marassi, bensì al lavoro, per guadagnarsi onestamente da vivere, come avevano sempre fatto fin dal loro arrivo in Italia. O avevano il dono dell’ubiquità, o in carcere non ci sono mai finite: tertium non datur. Con buona pace di Mamma Rai, la quale, essendo «un servizio pubblico», non dovrebbe mai mentire, per definizione: parola del Dott. Michele T. ◙ Mail di Virgilio: «Non conosco la nostra collaboratrice Lea, ma dobbiamo tenercela stretta: non perché abbia un ruolo decisivo come ricercatrice, tipo Alessandro, Manuel o Vito (senza far torto agli altri che non menziono, tutti uno più bravo dell’altro), ma semplicemente perché ha un pregio oggi rarissimo: sa scrivere. Che non vuol dire soltanto saper articolare le frasi, dominare la grammatica e la sintassi e scegliere i vocaboli più opportuni, ma significa soprattutto avere qualcosa da dire. Avete visto con quale finezza osserva questo e quello, con quale umorismo parla del suo gatto Nerone? Eppoi, perdinci, nell’osservare il notorieta’ (ed e’, e li’ ed obbrobri simili, che un giornalista mai dovrebbe commettere, a fortiori se è anche scrittore) questa Lea è davvero fenomenale, è la sorella che tutti noi vorremmo avere. Secondo me essa deve custodire nel cassetto – ma già, i tempi sono cambiati: dunque, nel computer – qualche grande romanzo ancora inedito, che prima o poi vedrà la luce. E scommetto che sarà ambientato negli anni Trenta, con sullo sfondo il Trio Lescano che canta alla radio, accompagnato dal mitico Pippo Barzizza… Quanto ai rilievi che Lea muove all’articolo di Lomonaco, essi sono ineccepibili e solenni. Le dico quindi da amico e ammiratore: cara Lea, continua sempre così! Abbiamo bisogno di persone come te: attente, fini, ironiche, con qualcosa da dire e che sanno come dirlo. Una Lea ci ripaga di cento giornalisti, saggisti, scrittori, storici della canzone, sceneggiatori, registi televisivi, recensori ed editori che non vogliono (o non sanno) fare bene il proprio lavoro. Il signor Lomonaco, poi, se avesse seguito ciò a cui lo invitava il suo cognome (nomen omen), si sarebbe fatto frate e avremmo così letto qualche sciocchezza in meno sulle nostre beneamate sorelline». ◙ Più di un lettore ci scrive per manifestarci il proprio sconcerto di fronte al diluvio di lodi sperticate tributate, in modo assolutamente acritico, al libricino di Gabriele Eschenazi e alla fiction di Maurizio Zaccaro in arrivo stasera nella TV di Stato (Rai Uno). Valanghe di elogi a buon mercato, che troviamo sia sui giornali e periodici in vendita nelle edicole, sia in innumerevoli siti e blog che affollano la Rete. Parafrasando un gradevole film di una dozzina di anni fa, si potrebbe dire: tutti pazzi per Le ragazze-regine dello swing! C’è da scommettee che per tutti questi incensatori da claque le nostre riserve e critiche, seppur suffragate da prove inconfutabili, saranno (supposto che ne siano al 75 corrente) nient’altro che elucubrazioni di un gruppo di nostalgici, i quali vorrebbero far rivivere il passato nella sua autenticità, invece di “evocarlo” o “interpretarlo” in modo da conciliare, come oggi è assolutamente prioritario, political correctness e business. Che possiamo dire a questi nostri amici che preferiscono la verità, anche quando è dura e scomoda, alla menzogna, magari allettante e di comodo? Che il mondo va attualmente così ed è sempre più difficile (presto sarà probabilmente impossibile) dissipare la spessa cortina fumogena di bugie e mistificazioni che, per ignoranza, conformismo, interesse o altro, i media spargono intorno a noi, al fine di impedirci di ragionare con la nostra testa. E bisogna riconoscere che il loro compito è facilitato dalla generale acquiescenza della gente, ormai assuefatta ad accettare ogni cosa passivamente, specie se si tratta di trash. Le Lescano “evocate” nella miniserie di Rai Uno non hanno quasi niente in comune con le vere Lescano? E allora? Le loro controfigure, incarnate dalle tre palestrate watusse, presto le avranno completamente rimpiazzate nell’immaginario collettivo: d’ora in poi saranno loro le vere Lescano, mentre le loro vere voci saranno quelle, modernissime, delle Blue Dolls. Libro e fiction si vendono bene, i critici dei giornali – di ogni tendenza – plaudono, l’audience è alle stelle: che si vuole di più? Noi comunque non ci lasceremo impressionare da questa poderosa macchina del consenso di massa, già vista in passato con gli esiti che sappiamo. Non cambieremo rotta, fieri della nostra diversità e dell’inevitabile solitudine che l’accompagna. Ci conforta questa bella massima di Rivarol: «les moutons s’attroupent, et les lions s’isolent». Capisca chi vuol capire. ◙ Il nostro collaboratore torinese Vito, «curiosando in Rete» (lo dice con eccessiva modestia: in realtà pochi sanno sfruttare come lui le potenzialità di Internet), ha reperito due interessanti riferimenti al M° Carlo Prato, che attualmente è al centro delle nostre ricerche, unitamente a Caterinetta Lescano, sulla quale speriamo di essere presto in grado di dire qualcosa di nuovo e – quel che più conta – di vero, finalmente. Il primo [ http://www.mascagni.org/works/ratcliff/performances?print=true ] di tali riferimenti lo troviamo nel sito dedicato a Pietro Mascagni ed è relativo ad un’esecuzione in concerto della sua opera tragica Guglielmo Ratcliff, avvenuta il 5 Ottobre 1933 negli Studi dell’Eiar di Torino. In essa Prato cantò come basso nel duplice ruolo di Robin e di John. Che Prato sapesse cantare era ovvio, visto che per lunghi anni fu insegnante di canto, nell’ambito della musica leggera, nonché pianista preparatore di innumerevoli cantanti di successo, a cominciare dalle sorelle Lescano. Quello che non sapevamo era che in gioventù si esibì anche come cantante lirico e che aveva appunto una voce grave. Ricordiamo che Prato fu pure un valente jazzista; nel 1936 accompagnò spesso il Trio Lescano nei concerti dal vivo col suo Quartetto Jazz Prato, che comprendeva anche il chitarrista-fisarmonicista Giuseppe Funaro (gli altri due musicisti erano Nazzareno Raineri e Antonio Gozzi). 76 A sinistra: Il M° Carlo Prato mentre canta; a destra: ritaglio di una locandina pubblicitaria del 1936, facente parte del Fondo Portino, attualmente proprietà di Giorgio Bozzo. Questo documento fornisce l’ennesima prova che il jazz non era affatto proibito, come sostengono in molti, durante il Fascismo. Il secondo riferimento si trova in un articolo de La Stampa, apparso il 27 Gennaio 2005 e intitolato Il racconto degli scampati alle atrocità dei nazisti: http://archivio.lastampa.it/LaStampaArchivio/main/History/tmpl_viewObj.jsp?objid=5840232. In esso il nome di Carlo Prato compare due volte, ma non è chiara la posizione dell’articolista nei suoi confronti. La prima volta, infatti, egli è definito «eminenza grigia della musica leggera, alla sede Eiar di Torino», qualifica non certo benevola, mentre più oltre è detto «consigliere privilegiato nell’organizzare la prima Resistenza». Sia come sia, sapevamo che Prato era stato deportato in Germania, anzi la signora Lidia Martorana ci confidò, nel corso di una lunga e interessante telefonata che ci scambiammo l’anno scorso, che erano stati proprio i gravi disagi e le privazioni di quel triste periodo nella vita del Maestro a minare la sua salute, purtroppo in modo irreversibile. Sappiamo in effetti che egli morì, a soli 39 anni, il 4 febbraio 1949. ◙ Il nostro collaboratore Franco cerca informazioni sul paroliere Mimmo Suraci, che fu attivo dai primi anni Quaranta, se non da prima. Se qualcuno sa qualcosa su di lui è pregato di contattarci. 28 Settembre 2010 ◙ Francis ci segnala che su eBay storiadelcalcio2006 vende, per soli € 2,99 il mandolino della canzone di D’Anzi-Bracchi Il maestro improvvisa, incisa nel 1941 da Alberto Rabagliati e il Trio Lescano, accompagnati dall’Orchestra Barzizza. 77 ◙ Il nostro collaboratore Manuel ha intervistato Gianni Borgna, il notissimo autore della Storia della Canzone Italiana (prima edizione: Laterza, 1985; ristampa: Oscar Mondadori, 1992); principale argomento dell’intervista: il Trio Lescano, in relazione alle attuali e molto discusse iniziative editoriali e cinematografiche finalizzate a ricordarlo. Tale intervista è stata pubblicata sul Giornale di Letterefilosofia.it, all’indirizzo http://www.letterefilosofia.it/2010/09/gianni-borgna/. Ci asteniamo di proposito dal commentare le risposte date all’intervistatore da questo illustre studioso, attualmente Presidente dell’Auditorium - Parco della Musica (Roma). Preferiamo che ognuno di noi le legga e si faccia quindi una sua opinione. Ci piacerebbe solo che il dr. Borgna ci spiegasse meglio, magari in questa sede, a chi si riferisce di preciso quando, a proposito della vexata quaestio del fantomatico arresto delle Lescano, egli afferma testualmente: «[...] esistono mille testimonianze di loro conoscenti che riportano la vicenda, la cui durata e drammaticità, però, non ci è dato sapere». Sarà che siamo molto sfortunati, ma noi, di tali “conoscenti”, non ne abbiamo incontrato neanche uno, nel corso delle nostre approfondite ricerche. In compenso abbiano rinvenuto in vari archivi numerosi trafiletti di giornali dell’epoca comprovanti al di là di ogni dubbio che nei mesi di Ottobre-Dicembre 1943 le Lescano, anziché trovarsi imprigionate nel carcere genovese di Marassi, lavorarono senza interruzione nei teatri di quella città, con varie compagnie d’avanspettacolo. Se queste non sono prove certe… ◙ Ci ha contattati il giornalista Achille Mezzadri, ex-inviato e redattore capo centrale di Gente, il quale ha creato due anni e mezzo fa il giornale online a forma di blog Pramzanblog [http://www.pramzanblog.com/], contenitore di parmigianità. Esso pubblica cioè notizie di attualità, storia, costume, sport, musica, gastronomia, ecc. più una vasta galleria di interviste a parmigiani famosi, come Carlo Bergonzi, Franco Nero, Lidia Alfonsi e Gene Gnocchi, tanto per citarne alcuni. Va sottolineato che tale blog non persegue scopi di lucro, ma è solo frutto della passione di un uomo per la sua terra natale. Il motivo per cui Mezzadri ci ha scritto è che Alessandra Lescano sposò, com’è noto, un parmigiano, Guido Franceschi, e visse parecchi anni, fino alla morte (1987), a Salsomaggiore Terme. Di qui il desiderio di dedicare alla primogenita delle sorelle Lescano un ricordo su Pramzanblog, per il quale servivano delle foto e ulteriori 78 notizie sull’artista, possibilmente veritiere. Abbiamo naturalmente aderito subito – e con vero piacere – a tale richiesta di collaborazione, formulata per di più nei termini più cordiali. Dati i trascorsi di Mezzadri, gli abbiamo anche suggerito di contattare il giornalista Luciano Verre, pure lui di Gente e quindi suo ex-collega, per approfondire con lui la questione dell’intervista concessagli da Sandra Lescano nel 1985, della quale abbiamo spesso parlato, in termini assai critici, in questa pagina. Ne è nato così un articolo, per noi estremamente interessante, che si può leggere all’indirizzo http://dl.dropbox.com/u/2398515/LESCANOarricolo.pdf. Ringraziamo Achille Mezzadri per la sua estrema correttezza nei nostri confronti (qualità rara al giorno d’oggi), e ci complimentiamo con lui per la sua obiettività e chiarezza, dato che è riuscito in poco spazio a far capire anche al lettore non specialista i termini essenziali della problematica inerente alla vera storia del Trio Lescano. Ci auguriamo che questo primo contatto abbia un seguito, giacché ci sono ancora parecchie ricerche da fare nel parmense, relativamente agli argomenti che ci stanno a cuore… ◙ Mail di Virgilio: «Cari amici, siamo ancora vivi, grazie a Dio. Certo che, quando ci si mette, mamma Rai fa proprio le cose per bene! La serata è cominciata col programma I soliti ignoti - Le identità nascoste (che io non vedo mai, preferendo largamente Striscia la notizia, il TG2 o i programmi de La 7): dove – e chiedo in anticipo scusa per il bisticcio – indovina chi era il primo personaggio da indovinare? Ma Andrea Klara Osvárt, è ovvio! Peccato solo che al termine del facile “riconoscimento” l’attrice ungherese (assolutamente bellissima, non ci piove), intervistata dal presentatore, Fabrizio Frizzi, sul film di Zaccaro di successiva programmazione […], si sia espressa con queste testuali parole, che infatti virgoletto: «abbiamo ricostruito la storia vera delle Lescano»! Oddio, che mal di pancia mi è venuto a queste parole! Ma veniamo alla prima puntata del film televisivo, tratto «da un’idea di Gabriele Eschenazi» (per fortuna ci ha messo solo un’idea, altrimenti...). Dico la verità: l’ho trovato meno peggio di quel che pensavo, e onestamente l’ammetto. La regia non è malvagia, è solo la storia ad essere infarcita di falsità conclamate e, quel ch’è peggio, consapevoli, dunque volontarie. Discreto l’inizio, bella la scena del bordello, con la tariffa delle marchette che si pagava a orario, bella la casa torinese “povera” delle Lescano coi ballatoi interni, tipici dell’anteguerra, e discrete le scene dell’avanspettacolo, con l’albergo di Mondovì che ha un solo gabinetto (per inciso, ricordo che a Mondovì esordì sulle scene – nel 1884, se ricordo bene – la grande Eleonora Duse), nonché il “ricordo olandese” di Delft (uno dei luoghi più incantevoli del mondo, legato indissolubilmente al ricordo di Vermeer); mentre la scena al ristorante La Grange è così così, un po’ tirata via (figuriamoci tutta quella manfrina per Barzizza: erano altri tempi, nei locali c’era più rispetto, la riservatezza dei grandi era sacra); ho trovato davvero bellissima la scena dell’audizione EIAR, con le tre ragazze emozionate che sfiorano i tasti del pianoforte. Anche le scene degli spettacoli sono discrete, e in quella in cui esse incidono il disco Non dimenticar le mie parole, il cantante che fa la parte di Emilio Livi ha proprio la sua voce: bravo. Per il resto, 79 buoni i costumi e gli interni abbastanza veridici, ma... Ma quanti e spesso grossolani svarioni! Ne elenco qualcuno. 1) Siamo nel 1935: Battiston, l’impresario, parla con due suoi colleghi, e a un certo punto afferma con retorica interrogazione: – E chi ti trovo? – E quelli: – Rabagliati? Natalino Otto? Peccato che nel ’35 Natalino Otto fosse ancora Natalino Codognotto e cantasse solo sui transatlantici. 2) Quando Battiston entra nella casa “povera” delle Lescano si vede palesemente il microfono. 3) Assurdo il fatto che Battiston offra una casa così lussuosa alle Lescano prima ancora che queste avessero inciso il primo disco. E qui, a seguire, ci sarebbe anche la solita balla delle «mille lire al giorno» che nessuno – tanto meno un impresario avveduto – si sarebbe mai sognato di “sparare” così a ruota libera: semplicemente surreale. 4) In una scena – siamo sempre nel 1935 – vien detto che «le parole straniere sono abolite». In un’altra – siamo nel ’36 – Battiston decide di italianizzare Leschan in Lescano, e parla di una «circolare del Regime»; ma l’autarchia linguistica di Starace risale soltanto alla fine del ’37 o all’inizio del ’38; dunque, altra assurdità. Del resto, non c’era bisogno di tirar fuori circolari per italianizzare dei nomi che, semplicemente, nella nostra lingua suonavano, alla radio, più familiari ed eufonici. Tutto qui. 5) Arbitrario e irritante il fatto che, in una esecuzione pubblica di È arrivato l’ambasciatore, si sia attribuito ad Alessandra Lescano la parte che era (nel disco) di Nuccia Natali. Allora, le cantanti della Radio quasi sempre si esibivano in giro nelle stesse formazioni con cui incidevano i dischi: tant’è vero che, a Torino, spesso le esecuzioni EIAR trasmesse alla radio venivano riprese direttamente da alcuni locali. Circa gli attori, non ho particolari riserve da esprimere, a parte la statura eccessiva delle tre interpreti: le quali, però, se la cavano in modo abbastanza credibile, idem i personaggi di contorno, a partire dalla madre: dove l’ancor bella Sylvia Kristel è poco “granatiera”, ma forse va bene così. Il cameriere che corteggia Kitty non è un cattivo attore e non sarebbe un brutto ragazzo, ma i suoi baffi interrotti a metà proprio sotto il naso sono senz’altro la cosa più disgustosa che abbia visto finora nel film. Le mie critiche, ahimè, si appuntano invece sui brani incisi dalle Blue Dolls: le quali sono senz’altro corrette e “a tono” dal punto di vista vocale, ma – grazie alla complicità della nuova versione orchestrale – privano molti brani delle Lescano del loro mordente, cioè dello swing: che è tutto! Fatto ancor più significativo, tale pecca si fa drammaticamente evidente in un brano che non è neanche musicalmente spericolato, La gelosia non è più di moda: dove l’effervescenza dell’orchestra Barzizza e la stessa vocalità delle interpreti si annacqua in un osceno “zum-papa” che fa semplicemente inorridire; analogamente, in Ultimissime e in un altro brano che ora non ricordo, è evidente l’arrangiamento orchestrale che nei passaggi-chiave delle canzoni ne “smorza” certi virtuosismi... Perché? Opinione sintetica (e chi vuol capir capisca): perché Pippo Barzizza purtroppo non è più tra noi, e le Blue Dolls non sono le Lescano, vale a dire, non dispongono della loro stessa magica duttilità vocale. 80 Così, come succede spesso anche con certe famose soprano in difficoltà, quando l’aria è particolarmente impegnativa l’orchestratore abbassa il registro delle note acute, et voilà! Lo fece perfino un direttore d’orchestra come Richard Bonynge per la moglie Joan Sutherland in un’edizione della Traviata rimasta famosa: perché la sera del 17 febbraio 1983 al Teatro Margherita di Genova (io c’ero), durante il duetto «Parigi o cara...» la difficoltà a cantare in quel modo fece steccare il povero tenore, Lamberto Furlan, scatenando un putiferio colossale da parte del pubblico: andò a finire che interpreti e direttore d’orchestra abbandonarono la scena sommersi dai fischi, e l’opera non andò più avanti. Trovo, infine, ironicamente amaro il fatto che si sia fatto vedere per alcuni istanti un filmato originale delle Boswell Sisters, e nessuno del nostro Trio. Fine della prima parte...». ◙ Mail di Franco: «Amici, ho visto, a tratti, la fiction: tutta intera non ce l’ho fatta! Credevo piovesse, invece è grandinato. La seconda puntata me la racconterete voi, se ce la fate a vederla. Io non sono un santo, non sono un moralista e nemmeno un bigotto: mi considero un “libero pensatore”, ma la volgarità, sciorinata senza alcun motivo, la dice lunga su come siamo ridotti oggi, grazie a quello che ci viene propinato in TV. Il grave è che certe produzioni, alla fin fine, le paghiamo noi coi soldi del canone. Un amarissimo ciao a tutti». ◙ Mail di Sandro (ore 14.00): «Ho letto le Notizie di oggi e in sostanza – avendo anch’io visionato completamente (con tanto di appunti) la prima parte della fiction – sono quasi completamente d’accordo coi cinque punti elencati da Virgilio. Ma lo sono ancora di più con Franco, per la volgarità gratuita, per la fatica che si fa ad assistere (per citarne solo un paio di cose) alle reiterate scene nel bordello o a quella della falsa e anacronistica concupiscenza del personaggio di Eva De Leeuwe (fino alle scene precedenti puritana e bacchettona) nei confronti del repellente, seppur umano, personaggio dell’impresario Fiore. C’è una lentezza affaticante nel trascinarsi delle scene, s’indugia spesso su particolari insignificanti, che rallentano e insabbiano il racconto e sono inutili per la comprensione della vicenda. Non si capisce, poi, quale sia la logica dell’uso dell’olandese, con sottotitoli in italiano, in alcune scene della madre con le figlie, mentre in altre gli stessi personaggi parlano in italiano con forte accento straniero. Posso dire di esser contento e fortunato per non aver visto altri “lavori” di Zaccaro, prima di questo. Prevedo che la seconda e ultima parte, che si vedrà stasera, sarà ancora peggiore». 29 Settembre 2010 ◙ Mail di Paolo: «In dialetto ligure “borgna” è quella conchiglia (charonia tritonis) che serve a emettere suoni cavernosi, per segnalazione o richiamo. Di uso antichissimo nei popoli marinari, più recentemente veniva suonata durante i carnevali o sotto le finestre di vedovi appena risposati, per dileggio o per disturbo. Ecco, appunto: nomen omen. 81 Il dr. Borgna è tutto meno che un musicista o un esperto di musica. Lo dimostra il fatto che parli, nell’ntervista concessa a Manuel Carrera, di essere stato affascinato dall’unisono del Trio Lescano, il che mi fa pensare alla famosa affermazione della stessa linea melodica su ottave diverse, che un tempo qualche mattacchione aveva piazzato nella voce Trio Lescano di Wikipedia: ovvero un’emerita cavolata (sia lode a chi ha provveduto a toglierla). Tra parentesi, l’unisono delle Lescano non è perfettissimo e si ascolta raramente... Le nuove generazioni sarebbero disorientate dallo swing? Personalmente partecipo a diversi festivals dove centinaia di coppie giovani frequentano stages di danza swing con entusiasmo travolgente, e passo le mie giornate a trascrivere per orchestra i successi degli anni ’40! http://www.swingcrashfestival.com/ http://www.rockthatswing.com/en/rtsf/rtsf.aspx http://www.belindyzenacamp.it/ http://www.belindyzenacamp.it/artists.php?type=show (guardate il video dei Killer Dillers! Sullo sfondo ci siamo noi! http://www.swingfestival.it/ Spiace poi che, mascherandosi dietro i “non ricordo”, il suddetto eviti di dire una parola definitiva sull’arresto delle Lescano. È un buon politico, non c’è dubbio, ma il fatto che persone così siano preposte alla Cultura musicale, spiega come e perché, ad esempio, molti cari amici orchestrali del Carlo Felice di Genova siano disperati per il lavoro che stanno perdendo... Plaudo infine a Manuel, che cita le nostre affermazioni come “prove concrete”. Bravo! Ecco finalmente un giovane che non teme di dire le cose come stanno. ◙ Dopo aver intervistato Gianni Borgna (v. le Notizie di ieri), Manuel Carrera ha pensato bene di intervistare il Curatore di questo sito, quasi a voler offrire ai lettori del Giornale di Letterefilosofia.it una sorta di contraltare della precedente intervista. Ha quindi rivolto al Curatore cinque domande assai precise, alle quali l’intervistato ha risposto, com’è sua abitudine, in modo sintetico, ma mai elusivo. L’intervista è pubblicata anche nel nostro sito (v. la sezione Documenti). ◙ Ci contatta un nuovo estimatore, per offrici la sua collaborazione. Si tratta di Tiziano Micci, che ha un proprio sito [http://www.tizianomicci.com/], dedicato al suo hobby preferito. Ecco il testo della mail: «Egregi signori, immagino che dopo la trasmissione di ieri sera sul Trio, il vostro sito verrà inondato di e-mail. Indipendentemente dalla attendibilità o meno della rappresentazione televisiva, che non sono in grado di giudicare, vediamone l’aspetto positivo: l’attenzione su un fenomeno unico nella storia italiana, non solo musicale ma sociale in senso lato. Casualmente ho trovato il Vostro sito, sentivo il bisogno di saperne di più su queste cantanti, che ho sentito solo sporadicamente, dato che sono nato nel ’56. Inutili i complimenti per chi si impegna in questa ricerca, indubbiamente senza alcuno scopo di lucro! 82 Visitando il sito ho visto che ricercate disponibilità a fare fotografie, in particolare io potrei scattare qualcosa nel cimittero di Cugliate Fabiasco, posto che vivo nelle vicinanze e, come passione, mi occupo di fotografia. In questi giorni mi trovo in Polonia per lavoro, ma dovrei rientrare tra un paio di settimane. Dato che il tempo che ho, quando sono a casa, è stringato Vi chiederei il favore di darmi conferma della necessità di fotografare la tomba di Giovanni [Gianni] Di Palma. Con vero piacere darei il mio contributo alla Vostra meritevole ricerca! Ringrazio dell’attenzione e porgo i miei distinti saluti, ecc.». Abbiamo naturalmente ringraziato subito questo nuovo amico per la sua generosa offerta di collaborazione, che accettiamo più che volentieri, dandogli le necessarie istruzioni per realizzare il servizio fotografico che a noi serve. Siamo però desolati di non poter condividere il suo ottimismo circa l’utilità della fiction televisiva: noi temiamo infatti che essa, ben lungi dal suscitare in molti telespettatori un sano interesse per la vera storia del Trio Lescano, li induca a prendere gli aberranti contenuti della fiction per verità storicamente documentate. Non si dice forse che l’erba cattiva scaccia quella buona? ◙ Virgilio ci segnala un sorprendente articolo, apparso su La Stampa di Torino. È intitolato Blue Dolls-Trio Lescano la fiction si tinge di giallo ed è a firma di Luca Indemini. Il sottotilo ne chiarisce meglio il contenuto: Il trio torinese interpreta tutte le canzoni del film ma il ruolo non è riconosciuto. http://www3.lastampa.it/torino/sezioni/musica/articolo/lstp/341692/ Che dietro la realizzazione di questa miniserie Rai, prodotta dalla Casanova Multimedia di Luca Barbareschi, ci siano cose poco chiare ce ne siamo già accorti constatando il cambiamento, all’ultimo momento, del titolo del volumetto di Gabriele Eschenazi pubblicato dall’Editore Einaudi. Ora salta fuori che le Blue Dolls, le quali interpretano la totalità delle canzoni incluse nella fiction (mentre le tre attrici fanno solo finta di cantare), sono state “oscurate”. Avrà ragione Paolo Volante, manager di Viviana, Flavia e Angelica, quando ipotizza che la «Rai Fiction non abbia piacere che si parli del ruolo delle Blue Dolls», per cui le tre artiste italiane «potranno vivere il loro momento di gloria solo sui titoli di coda»? Dubitiamo che si possa mai sapere come sono andate realmente le cose dietro le quinte: vale comunque la pena di leggere l’articolo in questione perché, per una volta, è scritto bene da un giornalista che non ha paura di dire pane al pane. Come piace a noi. ◙ Lunedì scorso siamo stato contattati, verso mezzogiorno, da tale Angelo van Schaik, il quale ci scriveva: «Per la Radio Nazionale Olandese sto preparando un reportage sul Trio Lescano, perché stasera ci sarà il primo [episodio] della fiction sulla loro vita. Per quel reportage vorrei intervistare un esperto, sulla popolarità e la musica del gruppo. È possibile trovare, tramite vostro, una persona a Roma che possa svolgere tale ruolo? L’intervista non durerà più di 20 minuti, però dovrebbe aver luogo oggi o, al limite, domani mattina». Abbiamo prontamente fatto i nomi di Sandro e Manuel, che abitano appunto nella Capitale e si possono senz’altro definire “esperti” di cose lescaniane. Solo il secondo è stato contattato e l’intervista si è svolta regolarmente. Ecco cosa ci ha scritto 83 Manuel in serata: « Intervista italo-olandese fatta: un ragazzone indigeno è venuto a casa mia con tutto l’occorrente e mi ha tenuto mezz’ora al microfono. Scopro però che quello che verrà trasmesso durerà appena 5 minuti: insomma, sembrerò un cretino. Spero almeno che facciano un’intelligente selezione di quanto ho detto. Erano per lo più considerazioni personali…». La speranza del nostro collaboratore si è purtroppo rivelata illusoria, perché ciò che gli olandesi hanno mandato in onda riflette ben poco il pensiero di Manuel, che è anche il nostro pensiero. Sentite cosa ci ha comunicato ieri sera l’interessato: «Ecco la registrazione: lo speaker traduce tutto quello che dico, quindi non si sente molto di mio. Trovo strano che, tra tutte quelle che mi ha fatto, abbia scelto le domande meno interessanti. Nella prima mi chiede se fosse strano sentire cantanti con un accento olandese: io ho risposto che non mi trovavo d’accordo, le parole si capiscono, e comunque gli italiani erano abituati a sentir parlare degli stranieri (anche semplici soldati, vaganti per paesi e città). E che anche in quel periodo l’Italia ero meno chiusa verso le altre culture di quanto attualmente si crede. Poi ha osato chiedermi se si potessero paragonare le Lescano alle Spice Girls: gli ho risposto che probabilmente solo per via della celebrità, dal momento che proprio tutti conoscevano le loro canzoni, ma... assolutamente non paragonabili per la qualità! Nella loro musica c’era del raffinato, dell’artistico... non di certo mera apparenza (mi pare di sentire che abbia tradotto alla lettera il tutto, e ne sono contento)! Terza domanda, della trasmissione ovviamente: com’è possibile che fossero in libertà nonostante fossero ebree? Chiaramente, come potete sentire, ha tagliato quasi tutta la mia risposta, in cui mi sono preoccupato di citare anche il saggio di Virgilio Zanolla (ormai ne parlo con tutti!). Quando menziono la tessera, ovviamente mi riferisco all’adesione al fascismo... Tagliato così, sembra che stia parlando dei punti della Despar. Vabbè. Il fatto grave è che dopo parli – così mi sembra – di arresto e persecuzione (non conosco l’olandese, vado ad orecchio): non mi avrà manipolato la risposta? Quarta ed ultima domanda, molto semplice: perché sono state dimenticate? La mia risposta è stata che, da aspirante storico dell’arte, mi rendo conto che tutto quello che è accaduto in arte in quegli anni, è stato accantonato anche per un processo di rimozione di tutto quanto potesse ricondurre alla guerra, al fascismo. Insomma, una sorta di tabula rasa. Spero di non aver fatto una figuraccia troppo ‘accia’. Ho quasi vergogna a farvela ascoltare. Domani dovrebbe uscire anche un articolo scritto, ma non conosco nessuno che lo possa tradurre». ◙ Mail di Paolo: «Da un agghiacciante documento (pagina 29) [http://www.comune.bolzano.it/UploadDocs/2193_The_Concentration_Camp_in_Bz_Le_Camp_de _concentration_de_Bz.pdf] apprendiamo che Giuseppe Funaro fu arrestato a Genova nel ’44, e deportato ad Auschwitz il 24 Ottobre di quell’anno. A rigore, in quel periodo le Lescano dovevano essere già al sicuro in montagna, o comunque lontane da Genova... Inoltre proprio non capisco cosa c’entri il povero Aaron de Leeuwe, che non aveva 84 figli, né risiedeva in Italia, né, purtroppo, era ancora in vita nel 1943... Credo che prendersi degli arbitrii del genere su un tema così doloroso come le persecuzioni razziali sia la macchia più lercia che abbiano commesso soggettisti e sceneggiatori de Le ragazze dello swing, con Eschenazi in testa». ◙ Mail di Virgilio, intitolata Le watusse dello swing, II: «...Seconda ed ultima puntata. Comincio a chiedermi chi siano questi misteriosi personaggi: il Piero che ha “torbide attenzioni” verso Judith, il famoso cameriere dai disgustosi baffi interrotti che ama Kitty, il capetto fascista (Sergio Assisi) che subisce misteriose e inquietanti mutazioni ‘tricotiche’ (dato che quando fa l’amore con Alexandra ha i lunghi ciuffi assassini che gli ondulano ai lati del viso, mentre quand’è in servizio, viceversa, la brillantina non è mai troppa, e c’è senz’altro una stiratrice che gli pialla la chioma sul cranio). Circa, poi, la questione del Capodanno Fascista, e del rifiuto del Trio a cantare, nutro forti perplessità che, davanti a tale proposta le nostre olandesine avrebbero detto di no, e meno ancora che l’avrebbe fatto per loro la madre Eva. Gli sceneggiatori confondono troppe volte (forse a bella posta) la cronologia dei fatti: nel ’37 non c’erano ancora persecuzioni razziali in Italia, anche se Mussolini aveva appena firmato il patto Roma-Berlino. Ad esempio, nel ’37 un gerarca tira fuori una battuta sugli organi genitali attribuita a Starace: senz’altro prematura, però. Certamente per errore (un po’ d’attenzione!) appare la sovrascritta «1936» in luogo di «1938»: ma, anche la scritta fosse stata giusta, riguardo alla persecuzione ebraica si attribuiscono al ’38 comportamenti che sono troppo in anticipo sui fatti; il certificato di non appartenenza delle Lescano alla razza ebraica, poi, è del novembre ’39: e quanto alle tessere fasciste, a consegnargliele provvide probabilmente qualche incaricato del Prefetto, non certo un gerarca imbecille recandosi saltellante nel loro camerino. Bellissima (la migliore della puntata) la scena in cui il Trio gira la famosa scena di Ecco la radio!, visibile anche su YouTube. A questo punto, tuttavia, confesso d’avere perso il bandolo della matassa: ma Giuseppe Funaro non amava Judith? e allora come mai finisce a letto con Alexandra? Mistero gaudioso: tanto il poverino non può più parlare, e quindi non può mandare gli sceneggiatori dove certo molti li staranno invitando urgentemente a recarsi. Sulla faccenda dell’arresto genovese mi piacerebbe tanto soprassedere, ma come si fa? Quelle scene sono un insulto al buon senso, prima che alla verità: proprio tutte. A partire da quella dell’arresto: con un drappello di militari armati fino ai denti che scende da un camion per recarsi - insostenibile leggerezza dell’essere! - proprio sul palco del cine-teatro dove canta il Trio; ma neanche le Sturmtruppen di Bonvi avrebbero agito con tale elefantiaca idiozia: qui si offendono veramente gli esponenti della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, che di offese magari ne avranno meritate mille, per carità, meno quella di essere stati dei deficienti! Riguardo all’interrogatorio, con lo pseudo-commissario che domanda di Tuli-Tuli-Tulipan, c’è da toccarsi per vedere se siamo veri... E dopo tante nequizie nei confronti delle nostre tre, cosa succede? Che proprio il comandante nazista, cioè quello indiziato come cattivone numero uno, chiede alle Lescano di cantare in concerto: ma che anima candida! Ora, a parte il fatto che gli uffici carcerari e gli interni di Marassi sembrano la reggia di Versailles (venite a vederli...), figuratevi un po’ quale morale per la 85 cittadinanza e i nostri prodi combattenti nel sentire arrivare da un carcere il rumore di una festa! Come se l’equivalente cileno di Vasco Rossi si fosse recato a cantare nelle carceri di Santiago, dove stavano i disperati cacciati lì da quella canaglia di Pinochet. La scena in cui il nostro Trio canta La gelosia non è più di moda in mezzo ai detenuti, che ululano di piacere manco fosse appena scappato dalla sua cella Papillon o Rambo, è semplicemente da mentecatti, e raggiunge – quasi – il livello d’idiozia del finale di Novecento parte II di Bertolucci, quando i partigiani, anziché far finalmente la festa ai fascisti loro persecutori, gettano le armi e si mettono tutti a suonare il violino e a danzare come fossero alla festa del paese, o – più attendibilmente – come fossero tutti ‘fatti’ di qualche sostanza... Ciliegina finale su questo splendido esempio di aderenza al buon senso: nel momento in cui le nostre olandesine escono dal carcere, chi va ad attenderle lì fuori, con grande sprezzo del pericolo? Proprio la madre, l’israelita Eva de Leeuwe! A questo punto, quale importanza assume il fatto che non ci sia mai stato nessun arresto delle Lescano, e quasi certamente neppure alcuna denuncia? Inutile insistere su questo tasto, quindi procedere sulle assurdità riguardanti il tentato salvataggio di Funaro da parte di Alexandra, eccetera: ormai la misura è colma. Tutta la storia procede secondo la più stucchevole e inveterata banalità narrativa, coi fascisti cattivoni e opportunisti da una parte, i partigiani esaltati dall’altra... Un fascista perbene e un partigiano meno propenso a sbraitare a destra e a manca col fucile in mano, no, eh? Eh certo, a sforzarsi di concepirli così, fumano i pochi neuroni che uno ha... Mi par quasi di sentirli, gli autori di questa meraviglia, sbottare: «Oh, questi rompiscatole che importunano i veri creatori con le loro volgarissime fisime sulla verità storica, che ormai non interessa più a nessuno!». Passiamo dunque, di nuovo, ad altre note dolenti: che sono sempre le stesse, ovvero l’inadeguatezza della veste musicale. Ieri, nella prima puntata, ho criticato le Blue Dolls: ed è vero, non sono certo le Lescano; ma preso atto di questo assioma, bisogna ahimè ribadire il fatto che chi ha orchestrato e diretto le canzoni non è Pippo Barzizza: e questa ‘pecca’ è assai più evidente e più grave. Ho riascoltato attentamente i brani: in tutti, in sottofondo, si avverte quel disgustoso ’zum-pa-pà’ che spezza il dinamismo dello swing e lo annacqua, costringendo il suo ritmo a un’esecuzione che richiama vagamente certi concerti bandistici nelle piazze di paese. D’accordo, Barzizza era il Raffaello Sanzio della bacchetta, ma per carità, bastava un po’ di sbrigliatezza: neanche un Pinturicchio, come avrebbe detto l’Avvocato buonanima, anche solo un Francesco Botticini: purché onesto e di buona volontà... Ma la buona volontà in questo film televisivo è come l’araba fenice... In conclusione: ho visto solo un paio di scene memorabili, quella del Trio negli studi dell’EIAR in attesa della prima audizione e quella del Trio quando interpreta Papà e mammà per il film Ecco la radio! S’intende, qualche altra bella scena c’è stata, per carità, anche se non così alta. Ma se mettiamo sui piatti della bilancia il buono e il cattivo, quale piatto potrà essere a pesare di più?». Un’unica osservazione. La tessera di adesione al Partito Nazionale Fascista, che nella fiction le Lescano sono di fatto costrette ad accettare dalle mani del Prefetto (Giuditta però si mostra meno recalcitrante di Sandra e Caterina), nella realtà fu richiesta dalle tre sorelle, col tono quasi della supplica, al Duce in persona. Detta tessera l’ottennero 86 in data 29 Ottobre 1942 (v. Appendice 5). Tutta la pratica è custodita presso l’Archivio di Stato di Roma: chissà se il trio Eschenazi-Ippoliti-Zaccaro, queste cose, le sa? E se i sullodati le sanno, con quale coraggio hanno falsificato in tal modo la Storia? ◙ Mail di Giovanni: «Della fiction ne avrò seguiti cinque minuti, le finzioni non mi interessano: ne avverto la falsità... ». 30 Settembre 2010 ◙ Mail di Lea: «Amici, permettetemi innanzi tutto di ringraziare pubblicamente Virgilio per le belle parole che ha speso per me. Non so se le merito, ma temo che, dicendo di sì, darei l’impressione di emulare un certo regista televisivo cui piace gonfiarsi come la rana di Fedro, col rischio di fare, prima o poi, la stessa fine. Quanto alle mie supposte doti letterarie, diciamo che so scrivere un po’ meglio di quel tal giornalista-scrittore (di successo), il quale non sa neppure che la terza persona singolare del presente indicativo dell’ausiliare essere si scrive è e non e’: strafalcioni del genere mi vanto di non averne mai fatti in vita mia, e forse non li faceva neppure il collodiano Lucignolo, quello destinato a diventare – meritatamente – un bel ciuco. Che dire della fiction appena conclusa? Ciò che di essa mi è piaciuto di più è la sua (relativa) brevità. Non ho chiuso occhio un’intera notte al pensiero che potesse durare non due puntate, bensì quattro o – prospettiva per me da incubo – addirittura otto: con, di conseguenza, svariate altre scene nei postriboli e innumerevoli altri amplessi filmati a distanza ravvicinata, da quelli al calor bianco di Alessandra (gesummaria, chi l’avrebbe mai detto, guardando le foto che di lei ci restano, che fosse assatanata a quel punto?) a quelli, presumibilmente più tranquilli, dell’attempata, ma tutt’altro che rinunciataria mamma Eva. C’è da scommettere che la fiction, se solo fosse durata più a lungo, ci avrebbe regalato senza fallo qualche corpo a corpo pure di quest’ultima, e non solo con l’impresario partenopeo Fiore, piccolino e dagli occhi bovini, ma anche con l’altro suo collega, il corpulento tabagista e buona lana Canapone. Proprio lui, sì, quello che alla fine scappa in Brasile col tesoretto, tirando un colossale bidone non solo alle Lescano, ma, peggio ancora, alla sventurata prostituta dal cuore d’oro, che si illudeva di venir da lui redenta e magari, chissà, perfino impalmata. Tutto inventato, ben inteso, ma di sicuro effetto su un pubblico di Calandrini. Ecco, è proprio questa miserella maddalena una delle poche figure di secondo piano che mi siano piaciute. Tutti gli altri comprimari li ho trovati stucchevoli e scialbi, specie i musicisti: Barzizza, Kramer, Prato (!) e compagnia non mostrano nella fiction un briciolo di personalità, tanto che al loro posto si potevano mettere tranquillamente dei manichini, risparmiando sul budget. Si direbbe poi che fumare in continuazione sia l’unica attività che li tenga occupati e, ahinoi, li diverta. Già, questa è un’altra cosa che mi ha dato enormemente fastidio: il film sembra essere un lungo spot pubblicitario a favore di sigarette, sigari e pipe, e meno male che ci sono state risparmiate altre tecniche inalatorie, tipo spinelli, sniffate, narghilè e simili. In conclusione sono anch’io del parere che il denaro pubblico della Rai – suppongo tanto – si poteva spendere in cento altri modi, sicuramente migliori di questo. Tutti 87 quelli che hanno partecipato all’allegro festino andrebbero mandati a casa, o, ancor meglio, a tener compagnia a Lucignolo. Non occorre che vi precisi dove». ◙ Mail di Alessandro: «Anch’io, come molti altri collaboratori, ho seguito entrambe le puntate de Le ragazze dello swing. E anch’io, come molti altri, sono rimasto assai deluso. Mi trovo pienamente d’accordo con tutti gli appunti fatti da Virgilio e non ho molto da aggiungere. Posso dire, però, che per quanto mi sia sforzato di capire, non sono riuscito a spiegarmi alcune scelte fatte, immagino, dai soggettisti e dagli sceneggiatori, che hanno caratterizzato l’intero svolgimento della storia. Ad esempio, la scoperta delle Lescano e il loro debutto davanti ai microfoni radiofonici è tuttora materia di discussione, dato che esistono decine di versioni differenti e contrastanti fra loro, quindi capisco benissimo la scelta dei soggettisti di inventarsi la storia della scalcinata compagnia di Gennaro Fiore, che serve, oltre a dare un inizio al film, anche a dare un’idea sul mondo dello spettacolo di quel periodo. Tuttavia non capisco perché andarsi a infangare mettendo di mezzo il personaggio dell’impresario Canapa, quando sappiamo benissimo che l’impresario delle Lescano di quel periodo era Enrico Portino. In fondo non cambiava molto. Seconda cosa: perché inventare di sana pianta tutta quella storia del Capodanno fascista con l’abbandono di mamma Eva? Forse per accentuare l’avversione delle Lescano al Regime e per introdurre la storia delle tessere del PNF? Ma mi dico: non era più bello, e anche più intrigante, un soggetto dove si vedesse queste tre povere ragazze che, in un periodo alquanto caotico, per salvare la madre e per tutelarsi anche loro, facevano richiesta della cittadinanza italiana e delle tessere del PNF? In fondo anche così, ovvero romanzando la verità storica, si arrivava alla conclusione che le Lescano non erano in sintonia col Regime, né, probabilmente, ci capivano niente di politica, ma furono costrette a fare determinate azioni per salvare la pelle. Altra cosa: qual è il senso della storia d’amore tra Giuseppe Funaro e Alessandra? Accentuare ancora di più il fatto della deportazione e della morte di Funaro, amico delle Lescano? Ma anche qui: non era più semplice narrare una semplice amicizia fra Funaro e il Trio, magari inventando alcune serate fatte insieme chissà dove (del resto chi può dirci il contrario?), evitando cioè di manipolare un po’ troppo la verità? Del resto se volevano una storia d’amore fra una Lescano e un’orchestrale c’era quella di Giuditta con Cianfanelli. Queste sono due fra le cose che non sono riuscito a spiegarmi. Ci sono poi vari errori: Alberto Rabagliati che nel 1937 pasteggia assieme a Pippo Barzizza a Torino, durante un concerto delle Lescano. Peccato che Rabagliati, in quel periodo, fosse in tournée con i Lecuona Cuban Boys; egli tornerà in Italia, per di più a Milano e non a Torino, solo nel 1939, debuttando pochi mesi dopo all’EIAR, ovvero quando le Lescano erano già “le tre Grazie del microfono” e Rabagliati non era nessuno: quindi è inutile la scena dei fiori a Caterinetta, con le sorelle che parlano di “Rabagliati, Rabagliati”, come fosse chissà quale divo! Anche qui bastava documentarsi un po’ (diciamo un minimo) e far slittare la scena di tre anni, per ambientarla, magari, fra gli studi EIAR, con Caterinetta corteggiatissima da Rabagliati e da Aldo Donà. Altro errore grossolano: per tutto il film presenzia fra i direttori d’orchestra EIAR, Gorni Kramer: peccato che Kramer fosse stato allontanato 88 dall’EIAR a causa della sua Crapa pelada, motivo censuratissimo del 1936. E soprattutto Kramer non era fra i direttori d’orchestra di Radio Torino! Infine un errore logico: per Maramao perchè sei morto? viene convocato davanti al commissario Mario Panzeri, autore del pezzo; poco dopo per Tulipan, vengono convocate le tre sorelle Lescano, esecutrici del pezzo. Allora, mettiamoci d’accordo: la colpa è dell’uno o delle altre? Per tutto il film non viene mai citato il Maestro Cinico Angelini. Durante l’esibizione di Piccole stelle dell’attrice che interpreta Nuccia Natali, si sentono volare, tra gli applausi, alcune grida: “Brava Nuccia! Brava Nuccia!”. Però nessuno, poi, dice il suo nome per esteso. I vari Bonino, Carboni, Garbaccio, Fioresi, Bruni, Termini, Boccaccini è come se non fossero mai esistiti. Magari qualche scena in meno tra i bordelli e una scena in più fra gli studi EIAR avrebbe fatto la differenza». ◙ Mail di Christian: «Ho visto quasi tutta la miniserie sulle Lescano. Purtroppo sono rimasto parecchio deluso e anche un po’ irritato, lo confesso. C’era l’occasione di fare qualcosa di sensato e bello, e magari anche veritiero, per raccontare una vicenda umana che già di per sé rappresenta la trama di un romanzo d’altri tempi. Invece ho visto solo “macchiette” e falsificazioni grossolane. Capisco che scegliere tre attrici di piccola statura, e magari non bellissime, poteva sembrare una soluzione inopportuna, ma le tre pur splendide protagoniste non somigliano neanche lontanamente alle Lescano, almeno per come le abbiamo sempre viste e le conosciamo attraverso le tante foto che tutti noi abbiamo in mente. Non bellissime, forse, ma graziose e fini: in special modo Alessandra, secondo me. Per tutto questo, passi... ma la recitazione per quello che ne so io, è pur sempre un’altra cosa. In Rai non si riesce più a ripetere la magia dei grandi sceneggiati degli anni Sessanta. Ovvio: Bice Valori, Gino Cervi, Paolo Panelli e compagnia bella sono purtroppo morti, e con loro un’epoca fatta di attori capaci e credibili. Un altro elemento (su mille altri che sarebbe troppo lungo elencare) mi ha proprio stupito e seccato. Come possono pensare che in Eiar, alla visione di un filmato delle Boswell Sisters – e almeno questa ‘filiazione’ è stata riconosciuta – i musicisti presenti dicano “Senti che ritmo? Questo lo chiamano swing”? Nel 1935? Nel Luglio di quell’anno Kramer aveva già inciso diversi brani splendidi, pieni di... non può essere! Swing! Ascoltate ad esempio I Promise You, risalente al 1932 ca. All’epoca, se non sbaglio, da almeno 10 anni i musicisti italiani che si occupavano di musica ritmica sapevano benissimo cosa fosse lo “swing”. Barzizza stesso racconta che intorno al ’29, dopo aver ascoltato un disco di Whiteman, rimase folgorato, e anziché andare a fare il copista alla Scala di Milano, decise di dedicarsi al “jazz” a tempo pieno. Perché? Ma perché era musica che aveva swing, senza dubbio! Negli splendidi affreschi che molti ammirano sulle pareti delle più belle chiese in Italia, i Santi vengono riconosciuti grazie al simbolo che li rappresenta. Santa Lucia? Una bacinella con gli occhi. San Lorenzo? Una graticola infuocata. San Sebastiano? I dardi che lo trafiggono. Ma allora perché Kramer (Kramer? in Eiar?) dovrebbe avere con sé sempre la tromba, o Barzizza la famosa pipa? A me è sembrata una forzatura ridicola, che abbassa tutti i personaggi a livello di macchiette, come poteva fare Maldacea per prendere in giro i “tipi” umani. 89 Insomma, un’altra occasione mancata!». ◙ Mail di Peppa P. [cognome abbreviato anche nell’originale: che stia per Pig, come l’eroina del famoso cartone animato?]: «Salve, cercando notizie in Internet sul trio dell’epoca fascista, sono capitata sul vostro sito. In verità non sarebbe impostato male, ma siete antipatici, perché troppo saccenti. Si direbbe che sapete tutto voi, mentre gli altri sono mezzi scemi e anche disonesti, in quanto, secondo voi, raccontano solo balle. Un po’ di modestia, vi ci vorrebbe, ecco! Odiosa, poi, la vostra campagna denigratoria nei confronti del film per la tv Le ragazze dello swing, che io ho trovato bellissimo, penso il migliore in assoluto tra quelli finora realizzati dal grande Zaccaro, che sono tutti dei capolavori. E che dire poi dell’interpretazione di Sergio Assisi, che io giudico da premio Oscar, ma che voi non avete neppure notato? Avete il prosiutto [sic] sugli occhi oppure siete maledettamente gelosi, perché lui è bello come un dio, mentre voi siete brutti e magari anche vecchi e sdentati? Non vi guarderò più». Il Curatore assicura la gentile visitatrice occasionale che i suoi denti sono tutti al loro posto (meno due del giudizio, che purtroppo ha dovuto togliere) e in buono stato di salute. Quanto alle età dei collaboratori del sito, esse sono tutte rappresentate, dai 16 agli 82 anni. ◙ Mail di Max: «Non entro nel merito sulla qualità e la verosimiglianza storica della miniserie, vi invito solo ad una riflessione. Come sapete, come Maxmenox60, ho pubblicato su YouTube più di cento video di canzoni anni Trenta-Quaranta. I miei video hanno complessivamente circa 1.500 contatti giornalieri, con punte fino a 1.800 nel fine settimana. Ieri ed oggi i contatti sono passati a 15.000 ! Tutti, dico tutti, grazie alle Ragazze dello Swing. Solo La gelosia non è più di moda che fa da leitmotiv allo sceneggiato ha avuto più di 5.000 contatti! Bella o brutta, verosimile o no, la serie ha suscitato un interesse per il Trio incredibile, e questo a me sta bene». Sta bene, anzi benissimo pure a noi, tanto più che l’amico Max fa ascoltare la versione originale della meravigliosa canzone e non quella taroccata della fiction. Ci dispiacerebbe però che qualcuno, sulla scia delle giuste considerazioni di Max, fosse indotto a pensare che la fiction Rai abbia (ri)destato tanta curiosità intorno alle Lescano proprio perché è una pacchianata, mentre, se fosse stata realizzata con criteri diversi, più rispettosi della verosimiglianza storica, avrebbe fatto flop. ◙ Mail di Massimo Baldino: «Ho visto in TV la fiction sulle Lescano. Cosa posso dirvi, è più o meno come me la immaginavo: romanzata all’eccesso, piena di errori/orrori e di inesattezze inaudite. Non saprei proprio cosa aggiungere, e trovo un unico aspetto positivo: che qualcuno, vedendola, imparerà se non altro a conoscere l’esistenza di queste tre splendide artiste, ricorderà il loro nome. Alludo ai giovani, soprattutto, mentre chi già ne conosceva l’esistenza, ma non conosceva la loro vita, finirà (e questo è l’aspetto negativo) per conoscerla in modo approssimativo ed errato. Del resto i film biografici sono quasi sempre soggetti a questo doppio risvolto. L’esigenza di romanzare (anche dove non sarebbe il caso), di supporre dove sarebbe invece meglio approfondire o piuttosto glissare, e di voler rendere eccezionale ciò che sarebbe già di per sé speciale, contagia in questo genere di lavori quasi tutti gli 90 sceneggiatori, con devastanti conseguenze per l’attendibilità dell’opera. La seconda parte della fiction (di nome e di fatto) scade poi nel ridicolo più drammatico. Era ovvio che un lavoro così complicato (come sempre è quello di ricostruire un’esistenza, figuriamoci tre!), affrontato con tanta leggerezza e approssimazione, man mano che si avvicinava agli episodi più cruenti e intricati, sia della loro vita che della realtà storica del paese (perché pure su quella sono stati commessi svarioni imperdonabili), non poteva che claudicare sino alla rovinosa caduta. Credo che non solo chi con molta passione si è interessato alla vita e alle personalità delle tre ragazze che “fecero innamorare l’Italia” col loro swing semplice e al tempo stesso sensuale, ma pure chi, ignaro della loro vita e persino della loro esistenza, si sia posto all’ascolto della strampalata ricostruzione del regista Zaccaro, avrà notato tutta una serie di situazioni insostenibili e storicamente false, tali – già da sole – da squalificare l’opera televisiva, riducendola ad un volgare tele-romanzetto di infima qualità, roba da telenovela sudamericana. Si può, come dicevo poc’anzi, romanzare e fantasticare su tutto, il linguaggio cinematografico lo permette; si può condire il racconto con episodi e licenze creative, forse pure necessarie per avvolgere maggiormente lo spettatore e fare maggiormente leva sulla sua emotività, ma non si può stravolgere la personalità dei protagonisti (quando questi sono realmente vissuti), non si può evocare episodi mai avvenuti o cambiarne nei contenuti più profondi il vero significato e valore: non si può insomma stravolgere la storia o ricostruirla modellandola a proprio piacimento, per far tornare i conti in qualche modo. Se non avessi neppure saputo dell’esistenza delle Lescano e le avessi conosciute solo per merito (diciamo così) della fiction di Rai Uno, mi sarei fatto l’idea di tre avventuriere olandesi sbarcate chissà come in Italia in cerca di fortuna, pronte a qualsiasi compromesso pur di farcela. Di tre cantanti per caso, conniventi con il Regime fascista (e tutti i suoi aspetti riprovevoli), il quale, dopo averle sfruttate in tutti i sensi, le ha abbandonate al loro destino, pur garantendo in qualche modo almeno la loro incolumità fisica. In definitiva tre furbone (anzi due, perché la figura di Caterinetta è l’unica che esce bene dal film), che ci hanno provato e gli è andata bene, almeno sino a un certo punto, prima del precipitare degli eventi... Non una traccia della loro arte, non un accenno alla loro sensibilità artistica e umana, non una spiegazione del come e perché l’Italia si sia così presto dimenticata di loro (almeno nell’immediato dopoguerra), né del perché loro abbiano deciso di chiudere l’Italia fuori dai loro cuori. Mi sarebbe piaciuto almeno un finale esplicativo e magari (se l’avessi creato io) antropologico: credo infatti che i popoli tendano spesso a rimuovere dalla loro mente e dai loro cuori i simboli di un tempo, quelli che vogliono dimenticare. Ecco le mie amate Lescano, che continuano a commuovermi ogni volta che le ascolto, hanno rappresentato ahimè, loro malgrado, un simbolo di quegli anni bui e questo fu per molto tempo per la maggior parte degli italiani un “problema” insormontabile. Era davvero così difficile narrare la vera storia di queste tre artiste, soffermandosi maggiormente sulla loro inarrivabile bravura?». 91 ◙ Mail di Sandro Alba: «Non ho granché da aggiungere al commento di Massimo Baldino, se non che fare cultura male è peggio che non farla. La sceneggiatura de Le ragazze dello swing è raffazzonata, frettolosa, assolutamente carente per ciò che concerne il periodo storico in cui è inquadrata la vicenda, nonché la psicologia delle tre protagoniste. L’aspetto artistico è marginale (tanto che a volte si ha l’impressione che il trio si esibisca prevalentemente in circoli dopolavoristici di periferia). L’infanzia delle Lescano è inoltre trascurata, e solo di striscio si intuisce la figura paterna, che ebbe invece un ruolo non secondario nella loro formazione. Il maestro Barzizza appare come una “pipa”, una macchietta ridicola, mentre sappiamo quanto fu importante per la vicenda umana e artistica delle tre artiste. La storia d’amore di Alessandra con Giuseppe Funaro credo sia inventata [proprio così - NdC], e anche il patetico finale della pagliuzza appare assolutamente inverosimile. Quanto allo swing, non si capisce dove le Lescano lo abbiano acchiappato, visto che non c’è alcun riferimento storico alle avanguardie musicali del tempo. Infine credo di aver letto da qualche parte che Benito Mussolini fosse un fan delle Lescano. Si aveva paura a citarlo? E paura di che? Dietro allo spettro nero del fascismo, il “manovratore” dirigeva pure le quisquilie e forse fu proprio per suo volere che le tre cantanti olandesi, figlie di madre ebrea, furono salvate dai campi di sterminio. Mi sento invece di spezzare una lancia a favore degli attori: tutti bravi, stranamente, e addirittura commovente l’interpretazione delle tre attrici protagoniste, immedesimate nei ruoli e all’altezza della situazione. Ma un Majano o un Bolchi avrebbero fatto di questa “cosuccia” un capolavoro». Ringraziamo per questo suo intervento, così equilibrato e penetrante, l’amico Sandro Alba, che è l’insostituibile collaboratore di Massimo Baldino nella gestione del sito Il Discobolo, mai abbastanza lodato: non per nulla è la cassaforte sicura della nostra memoria musicale, quella che più merita di venir preservata per le future generazioni. 92 Appendici 1) Poesia di Rina Franchetti 93 2) Intervista del Curatore del sito Ricordando il Trio Lescano alle ideatrici del “Trio Marrano” D. - Cominciamo col precisare i motivi che vi hanno spinte ad adottare per il vostro Trio un nome alquanto bizzarro, che potrebbe anche essere male interpretato, dato che, nel linguaggio corrente, il termine “marrano” ha un significato spregiativo. R. - L’idea iniziale era quella di trovare un nome che richiamasse l’epoca e avesse un sapore antico… Lo spunto ci è arrivato in fase di studio del brano Il Pinguino Innamorato, in cui il papà della pinguina caccia lo spasimante chiamandolo “marran”. Trio Marrano ci pareva carino anzitutto per l’assonanza con Lescano, inoltre ricercandone il significato abbiamo scoperto che originariamente con questo termine si indicavano coloro che furono costretti a convertirsi al Cristianesimo durante il periodo dell’Inquisizione Spagnola. In qualche modo abbiamo subito anche noi una piccola “conversione”, date le nostre esperienze musicali passate, pertanto il nome ci pareva appropriato alla situazione! Per quanto riguarda l’accezione negativa che ha poi assunto, ci piace interpretarne positivamente il significato intendendolo come sinonimo di “simpatica canaglia”. D. - Un’altra spiegazione opportuna riguarda il vostro organico, curiosamente composto da due voci femminili più una maschile: è una scelta più o meno contingente o addirittura casuale, oppure essa risponde ad un progetto ben preciso, avente come base di partenza il desiderio di differenziarvi dagli altri Trii (tutte ragazze o drag queens) che fanno rivivere il repertorio del Trio Lescano? R. - La scelta è stata decisamente voluta e non casuale. L’esigenza era quella non tanto di differenziarci da altre situazioni artistiche, piuttosto di creare una compagine che fosse unita soprattutto dal punto di vista umano, oltre che tecnico-vocale. Inizialmente abbiamo cercato un contralto, ma purtroppo è molto difficile trovare artiste donne in grado di collaborare senza voler imporre il proprio divismo innato. In un progetto come questo sono solo l’unità delle intenzioni e il sapere rimanere al proprio posto, senza eccedere, gli ingredienti per dare vita ad un buon spettacolo. Un uomo alla fine ci è parsa la scelta migliore per completare il nostro trio. Inoltre Diego ci ha dato l’opportunità di poter ampliare il repertorio con brani maschili. (Natalino Otto, Ernesto Bonino). D. - Nel vostro logo è ben precisato che intendete riproporre lo «Swing italiano degli anni Quaranta». Perché una tale opzione, che può apparire limitativa? La musica leggera italiana di quel periodo è infatti ben lungi dall’essere tutta swingata, e le stesse Lescano eccellevano in molti altri generi, assai lontani dallo swing: uno fra tutti quello della canzone melodica, a tempo di slow e con testi decisamente romantici, come Senza parlare, Come l’ombra, O luna pallida, ecc. R. - La scelta è di carattere logistico-commerciale. Nel proporre uno spettacolo vi è l’esigenza di creare uno “slogan” che aiuti lo spettatore a capire sin dal primo momento che legge un cartellone che cosa andrà a vedere e ascoltare. In realtà la 94 nostra scaletta include oltre a brani tipicamente swing anche brani più melodici come Ma l’amore no o È arrivato l’ambasciatore. D. - Colpisce nei tre brani ascoltabili nel vostro sito a titolo dimostrativo, la composizione, decisamente moderna, del quartetto strumentale che vi accompagna: pianoforte, chitarra, basso acustico (che all’epoca delle Lescano non esisteva) e batteria. Sono tutti e quattro ottimi elementi, ma il loro stile non ricorda molto quello degli strumentisti che accompagnavano allora i cantanti. Volete illustrare anche qui le ragioni di queste vostre scelte? R. - Gli arrangiamenti strumentali sono stati rivisti un po’ volutamente per dare un tocco di novità, pur mantenendoci fedeli il più possibile agli originali, ed un po’ per esigenze tecniche, non potendo permetterci di avere, ahimè, una sezione di fiati e una di archi. Siamo comunque molto orgogliosi e onorati di essere accompagnati da questi musicisti professionisti, dotati di grande esperienza, tecnica, gusto e sobrietà. D. - E veniamo ora alle voci. Quali problemi di adattamento ha comportato il passaggio dall’originario Trio vocale femminile delle olandesi ad un Trio misto come il vostro? Ricordiamo che il Trio Lescano era formato da due soprani (Sandra e Caterinetta), dal timbro e dal temperamento assai diverso, ed un contralto (Giuditta), molto “tipato”, in bella evidenza in parecchie incisioni (ad esempio in Vado in Cina e torno). R. - A dir la verità, senza peccare di presunzione possiamo affermare di non aver avuto problemi particolari di adattamento, Diego è un bravissimo tenore dall’estensione ampia e in grado di utilizzare i diversi tipi di registro a seconda dell’esigenza. Solo in un paio di brani abbiamo effettuato cambi di tonalità, dell’estensione di un tono o un tono e mezzo, per esigenze di impasto vocale. Abbiamo dedicato alla preparazione delle voci un anno intero, in cui siamo riusciti con molto lavoro a trovare una dimensione vocale che ci pare equilibrata e piacevole. L’obiettivo era di ricreare quelle atmosfere, non di copiare tre voci assolutamente singolari e inimitabili. D. - Come avete risolto il problema degli arrangiamenti vocali? Avete trascritto fedelmente, nota per nota, quelli originali, limitandovi poi ad inserire qua e là qualche sobrio spunto personale, oppure avete preferito ispirarvi solamente alle incisioni delle Lescano, per poi ricrearne lo spirito mediante una vostra riscrittura delle parti, in funzione anche delle voci di cui disponete? R. - Ci siamo ispirati prevalentemente alle incisioni delle Lescano (per i loro brani che riproponiamo). Non avendo a disposizione le partiture vocali originali abbiamo dovuto arrangiarci ascoltando i pezzi e sviscerando una linea vocale alla volta. Devo dire che questa è stata la parte più complicata, ma senz’altro istruttiva. D. - Il Maestro Angelini dichiarò, nel corso di una trasmissione radiofonica condotta da Carlo Loffredo e dedicata al Trio Lescano (Toh! Chi si risente, 8 aprile 1979), che le tre sorelle, non appena udivano un nuovo motivo, si autoarmonizzavano 95 spontaneamente e in un batter d’occhio: erano insomma capaci di improvvisare lì per lì un arrangiamento a tre voci di squisita fattura su qualunque melodia, anche da loro ascoltata per la prima volta. Secondo voi, basta questo per affermare che le Lescano potrebbero essere loro stesse le autrici (o, più verosimilmente, le co-autrici) degli arrangiamenti vocali che poi interpretavano con inarrivabile maestria? R. - Sicuramente! La tecnica o il “saper leggere” sono strumenti utili che diventano però quasi irrilevanti di fronte ad un talento innato e fuori dalla media. È innegabile che le Lescano fossero dotate di una maestria naturale che le ha rese famose e apprezzate dai grandi musicisti, e che ha permesso loro di andare oltre alla melodia imposta dalla scrittura del brano. D’altra parte la natura dell’artista è proprio quella di creare qualcosa, non di eseguire alla perfezione una parte! D. - Nelle vostre esecuzioni o incisioni discografiche c’è spazio per l’improvvisazione estemporanea, di tipo jazzistico, oppure tutte le parti, sia vocali che strumentali, sono scritte, studiate e quindi eseguite alla perfezione, sempre uguali e senza la minima sbavatura? R. - Senza voler scadere nella falsa modestia è necessario dire che la perfezione è dono di pochi, se non di nessuno; noi dal canto nostro cerchiamo di dare il meglio e di ricreare un’atmosfera per noi molto piacevole. L’improvvisazione vocale nel nostro spettacolo non è utilizzata perché ci sembra un po’ forzata, gli strumentisti invece hanno parti obbligate per quanto riguarda la struttura del brano, ma sono liberi di “sbizzarrirsi” durante le parti di solo. D. - Contate di riproporre anche brani in cui il Trio vocale affianca un cantante solista? Non va dimenticato che quasi due terzi dei dischi incisi dalle Lescano sono di questo tipo, specie nel genere swingato che voi privilegiate (memorabili le canzoni da loro incise assieme al grande Ernesto Bonino). In caso affermativo, che tipo di voce solista immaginate come la più adatta ad armonizzarsi bene col vostro Trio? R. - Eseguiamo già brani di quel tipo come La famiglia canterina o Ma le gambe e le parti soliste vengono eseguite da Diego. D. - Per concludere una domanda sui vostri progetti futuri: intendete incidere altri CD, magari ponendoli in vendita anche nei negozi di dischi, oppure preferite puntare maggiormente sui concerti e le esibizioni dal vivo? R. - I concerti sono una parte assolutamente fondamentale per la nostra attività artistica, quindi ci auguriamo di poter proseguire su questa strada a lungo. Per il momento il CD che abbiamo appena inciso è acquistabile ai nostri concerti o on-line sul nostro sito, se dovessimo trovare un’etichetta interessata al nostro progetto saremmo più che felici di poterlo vendere nei negozi ad un pubblico più vasto. Non escludiamo comunque di rientrare in sala d’incisione in un futuro prossimo con nuovi brani. 96 Angela Castellani, Diego Carbon e Irene Pertile. 97 3) Virgilio Zanolla, Una leggenda da sfatare Pochi giorni fa è uscito il libro sulle Lescano di Gabriele Eschenazi, Le regine dello swing, e per il 27-28 Settembre p.v. Rai Uno ha annunciato la programmazione dello sceneggiato che ripercorre la vita e la carriera artistica delle tre sorelle olandesi: Le ragazze dello swing diretto dal regista Maurizio Zaccaro. Poiché è stato Eschenazi a ispirare la sceneggiatura del film TV, scritta da Laura Ippoliti e dallo stesso Zaccaro, ed è stato quest’ultimo nel suo blog a citare l’arresto genovese del celebre 98 Trio, facendo intendere come esso abbia nel suo lavoro un rilievo centrale, mi pare logico proporre su quest’episodio alcune osservazioni, ben consapevole di essere solo l’ultimo di una lunga e valida serie di lescanofili che in proposito si sono espressi sul nostro sito. Per comprendere meglio la questione, è opportuno anzitutto sapere che la notizia dell’arresto delle sorelle olandesi viene da Alessandra Lescano. L’ultima componente del Trio, intervistata da Adriano Mazzoletti per il suo libro Il jazz in Italia. Dalle origini al dopoguerra (Roma-Bari, Laterza, 1983, p. 245) si era limitata a dire: «Fummo costrette a nascondere nostra madre, poi malgrado fossimo cattoliche, avessimo italianizzato il nostro nome in Lescano, avessimo preso anche la nazionalità del Paese che ci aveva dato la celebrità, ci fu qualcuno che per interesse ci denunciò ai tedeschi. Erano tre ragazze che volevano prendere il nostro posto e che avevano formato un trio vocale. Fummo costrette ad andarcene e a nasconderci». L’anno seguente all’uscita di questo libro, nell’intervista rilasciata su “La Repubblica” a Natalia Aspesi, la Lescano ritornava in argomento, stavolta entrando nei particolari: «“I guai li avemmo dopo, nel 1943: nostra madre era ebrea e dovette nascondersi, a Saint Vincent, in casa di un partigiano, che noi ricompensammo con calze, golf e bandiere per i suoi amici. Eravamo state proscritte dalla radio; continuammo a fare spettacoli, ma una sera, mentre cantavamo al cinema Grattacielo di Genova, venne la milizia ad arrestarci. “Con quel naso non potete essere che ebree”, ci disse un capitano tedesco, e io gli risposi, “se la razza dipende dal naso, allora anche lei è ebreo”. Fummo rinchiuse a Marassi, con le divise carcerarie che portavano i numeri 92, 94, 96. Fummo anche sospettate di spionaggio; probabilmente era stato il trio Capinera, invidioso del nostro successo, a denunciarci. L’accusa era che cantando Tuli-tuli-tulipan, mandavamo in realtà messaggi al nemico”.» Spiegava poi la Aspesi, lasciando la chiosa all’intervistata: «In galera le tre celebri sorelle restarono due settimane; la stessa milizia, che le aveva arrestate, portava loro tè e sigarette fornite dal loro amministratore: “Quei giorni furono terribili soprattutto perché i nazisti obbligarono mia sorella Judith, che non voleva assolutamente, a fare da interprete, lei che sapeva bene il tedesco, durante gli interrogatori degli arrestati. Così fu costretta ad assistere a pestaggi; ricordo che in cella piangeva sempre.”» (Natalia Aspesi, Sfogliando i Tuli-Tuli Tulipan; in “La Repubblica”, Roma, anno I, venerdì 26 ottobre 1984, p. 26). Per finire, nel 1985, rilasciando la sua ultima intervista, la Lescano dichiarava a Luciano Verre: «Nel 1943, però, i fascisti ci arrestarono. Il trio vocale Le Capinere, che in quegli anni furoreggiava come noi in Italia, ma non quanto noi che eravamo le prime in assoluto, fece arrivare alle orecchie dei tedeschi e dei fascisti l’informazione che io, Giuditta e Caterinetta, eravamo spie ebree. […] I gerarchi che ci odiavano, colsero la palla al balzo e mentre stavamo cantando al Grattacielo di Genova, ci arrestarono sul palco e ci portarono in manette alle carceri di Marassi. A nulla valsero le nostre proteste. Ci rinchiusero in cella e ci diedero le divise carcerarie con i numeri di matricola cuciti sopra il petto 92, 93, 94. Venne un capitano tedesco e ci disse che eravamo accusate di spionaggio perché con la nostra canzone Tulipan, mandavamo in realtà messaggi agli americani, cioè al nemico. […] Piangemmo disperate dicendo 99 che non era vero. Allora venne un capitano fascista. Ci disse che avevamo ragione perché noi non eravamo ebree: infatti nostro padre non lo era, ma lo era la mamma. Nostra madre era infatti ricercata dalle SS. Era tutto vero, e lo ammettemmo. Mamma era ebrea e, per fuggire alla fucilazione, si era rifugiata sulle montagne di Saint Vincent in casa di un partigiano: questo però noi non lo rivelammo, altrimenti mamma non sarebbe morta a 94 anni. Giurammo di non sapere dove si trovasse nostra madre. I fascisti dissero che per loro tutto era a posto e che potevamo essere rilasciate. I nazisti, invece, ci trattennero in carcere. Volevano fucilarci e nel frattempo ci costrinsero a lavorare da interpreti durante gli interrogatori con gli arrestati. […] Restammo in carcere a Marassi per più di un mese. Fummo scarcerate credo grazie all’intervento diretto di re Umberto: è una cosa che non abbiamo mai potuto accertare personalmente, ma lo abbiamo sempre pensato. Comunque, finché la guerra non fu terminata, fummo messe al bando dalla radio, dove tornammo dopo la Liberazione.» (Luciano Verre, «Ero la regina del Trio Lescano, adesso vivo sola e sono in miseria»; su “Gente”, Milano, anno XXIX, n° 47, 22 novembre 1985, pp. 106-109). Queste, dunque, la affermazioni di Alessandra Lescano nelle due occasioni in cui ebbe a parlare dell’arresto e alla detenzione del Trio, con la Aspesi e con Verre. E prima ancora di verificare cronologicamente i fatti, sorgono alcuni pesanti interrogativi sui motivi che avrebbero portato a quel fermo e sulle sue modalità. Vediamo i motivi: una (presunta) denuncia di essere spie ebree da parte del Trio Capinere, che allora rivaleggiavano in popolarità con le sorelle olandesi, senza tuttavia raggiungere il loro successo. Delle tre sorelle Codevilla, che formavano il trio rivale, Carla e Caterina non sono più tra noi, mentre Gianna vive da oltre quarant’anni negli Stati Uniti e non è facilmente contattabile; non siamo in grado, quindi, di ascoltare la loro versione dei fatti, ma la signora Giulia Libano, figlia di Caterina, assicura che sua madre e le loro zie erano rimaste indignate da tale accusa. Per entrare nei dettagli, circa il fatto che la madre delle Lescano, Eva de Leeuwe, fosse ebrea, la polizia fascista era informata da sempre; ed è stato a suo tempo reso noto il documento del Ministero degli Interni (15 novembre 1939: cioè in piena campagna di “difesa della razza”), in base al quale Alexandra, Judith e Katarina Leschan venivano dichiarate «a tutti gli effetti di legge non appartenenti alla razza ebraica». Se né loro né la loro madre ebbero mai problemi fino ad allora, riesce difficile credere che la polizia – anche nel clima esasperato di quei mesi – abbia potuto dar credito ad accuse che per poter davvero richiamare l’attenzione dovevano, senza dubbio, essere in qualche misura argomentate. La pretesa che cantando Tulituli-tulipan le Lescano mandassero «messaggi al nemico» è ridicola, e con ogni evidenza non regge: prima di tutto, perché, nel caso specifico, tale accusa avrebbe dovuto essere rivolta anzitutto all’autore del testo originale della canzone, il pianista californiano Horace Haidt (1901-86), il quale, come statunitense, non mandava certo messaggi a se stesso; il monferrino Riccardo Morbelli, traduttore e adattatore italiano dei versi del brano, non risulta aver mai avuto fastidi: non si vede, dunque, perché mai avrebbero dovuto averne le Lescano. E oltretutto, quali messaggi reconditi trasmetteva la canzone? È vero che in Sogniamo insieme il testo di Tuli-tuli-tulipan, 100 come quello di molti altri brani eseguiti sui palcoscenici delle riviste, venne proposto in una «nuova versione», della quale nulla sappiamo; ma è probabile si trattasse solo di una garbata parodia. È da notare, semmai, come il tono argutamente serafico del testo di Morbelli si prestava comunque, senza volerlo, a considerazioni di amara ironia: si pensi ai versi «Ogni cosa giace, / tutto tace. / Che pace! Che pace!» in un momento in cui tutta l’Italia, e Genova in particolare, veniva squassata da pesantissimi bombardamenti. Nelle due interviste, vien detto che ad effettuare l’arresto del Trio fu la «milizia»; si trattava della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale (MVSN), un corpo militare fascista formato da cittadini volontari, che sul patrio suolo aveva, appunto, il compito di vigilare per mantenere l’ordine e tutelare gli interessi nazionali. Molti sospetti desta anche la versione della Lescano circa le modalità con cui tale arresto venne attuato: considerato che a suo dire esso sarebbe avvenuto mentre lei e le sorelle stavano cantando, addirittura quando si trovavano «sul palco»; ciò che significa, o mentre provavano con la compagnia o mentre si esibivano davanti al pubblico. Un intervento molto malaccorto, che avrebbe certamente suscitato sconcerto e commenti a non finire, e sarebbe stato impossibile occultare o minimizzare... E invece, prima che l’intervistata riferisse quest’episodio, di esso non si aveva alcuna cognizione; circostanza sorprendente se si considera la fama delle tre sorelle olandesi, allora all’apice della loro carriera artistica. Di tanti tra colleghi e maestranze che lavorarono con loro, nessuno ne fece mai cenno; neppure dopo l’uscita delle interviste vi fu in proposito alcun riscontro, da parte di chi, volendo, avrebbe potuto dire la sua. Alessandra Lescano disse alla Aspesi che il Trio restò in carcere «due settimane»; ma qualche mese dopo, parlando con Verre, il loro periodo di detenzione nelle carceri di Marassi salì a «più di un mese», ed ella sostenne addirittura: i nazisti «volevano fucilarci», un’eventualità così improbabile da suonare grottesca. Veniamo però alla verifica dei fatti. La Lescano affermò che l’arresto del Trio avvenne nel 1943, al Grattacielo di Genova. Tale notizia non ebbe alcuna eco sulla stampa; ma questo, secondo qualcuno, si spiegherebbe proprio con la notorietà delle tre artiste, e il desiderio del Regime, o del comando militare tedesco, di non impressionare negativamente l’opinione pubblica. In realtà, la notizia non ebbe alcuna eco... semplicemente perché non vi fu alcun arresto. Da ricerche compiute proprio sui giornali, sappiamo che nell’anno 1943 le Lescano si produssero a Genova solo in un determinato periodo, nel mese di novembre. Ora, subito dopo l’8 settembre 1943, l’alto comando tedesco che in città, manu militari, si assunse il comando della piazza, proibì l’uscita dei quotidiani genovesi fino alla seconda settimana di dicembre, con l’eccezione del “Corriere Mercantile”, in quanto giornale del pomeriggio; per quest’arco di tempo di poco più di tre mesi, il “Mercantile” restò dunque l’unico organo della stampa cittadina a fornire notizie locali quotidiane. Ebbene, dalle informazioni contenute in questo giornale, risulta che le Lescano soggiornarono a Genova dall’8 al 26 novembre: esibendosi prima al cine-teatro Grattacielo nello spettacolo Grattacielo N° 1, poi, dal 17 al 21, al cine-teatro Augustus, con la compagnia del comico Freddi Scotti e dell’attrice brillante Nicla Berti; infine, sempre con la compagnia Scotti, al Politeama 101 Sampierdarenese. Dopo il 21, non risultano più né le Lescano né la compagnia Scotti, anche se il 30 novembre il Politeama Sampierdarenese propose uno spettacolo con 30 artisti chiamato La carovana della canzone (i nomi degli interpreti, però, purtroppo non risultano). Se, dunque, la memoria non giocò un brutto tiro ad Alessandra Lescano, l’arresto può aver avuto luogo solo in questo periodo, durante le recite al Grattacielo, dall’8 al 15 o 16 novembre; tuttavia, articoli e trafiletti del giornale provano inequivocabilmente come tale arresto non vi fu. Infatti, non solo il Trio continuò a prodursi per tutto il periodo della permanenza in città della compagnia, cambiando due volte palcoscenico, ma lo fece con straordinario successo: e ben difficilmente il giornale avrebbe dato spazio agli elogi nei riguardi delle tre artiste nel caso, anche, di una loro semplice convocazione al commissariato di polizia. «Un particolarissimo, entusiastico successo ha salutato le acrobazie canore delle sorelle Lescano, che hanno dovuto concedere vari «bis» sempre più brave ed ap-plaudite», si legge infatti il 9, e di «vivissimo successo» si legge il 18, di «grande successo» delle «tre graziose cantanti» il 20, e così via. E se è vero che né gli occupanti tedeschi né i fascisti loro alleati, futuri repubblichini, avrebbero avuto alcun interesse a rendere pubblica la notizia di un arresto delle famose cantanti, non è però possibile credere che il giornale desse notizie delle loro esibizioni mentre in realtà le tre sorelle languivano in carcere. Sforzandoci comunque di dar credito alle affermazioni di Alessandra Lescano, e immaginando perciò che possa essersi confusa, sarebbe logico supporre che ella abbia riferito erroneamente l’episodio dell’arresto al 1943, quando esso, invece, avvenne in altra data. Già, ma quando? Non certamente dopo: perché a Genova, nel ’44, delle Lescano non v’è traccia. E - si badi bene - a dispetto dei tempi difficili, nella prima metà di quell’anno gli spettacoli continuarono ad essere rappresentati: sui palcoscenici del Grattacielo e di altri cine-teatri si succedettero riviste come Una notte a Madera, Musica nell’aria, Via delle sette note, eccetera, con interpreti spesso di primo piano come Natalino Otto, il Quartetto Cetra e Lucia Mannucci, Luciano Tajoli, Nella Colombo, Bruno Pallesi, e direttori d’orchestra della levatura di Gorni Kramer e Carlo Zeme; il 21 aprile, inoltre, tornò al Grattacielo anche la compagnia di Freddi Scotti e Nicla Bruni, con cui le sorelle olandesi si erano esibite solo cinque mesi prima, in occasione del loro ultimo soggiorno genovese. Vediamo dunque prima, nel ’42. Quell’anno le Lescano furono a Genova tre volte. Tra il 22 e il 25 gennaio si esibirono al Politeama Genovese, in un concertospettacolo dell’orchestra Semprini presentato da Ermanno Roveri, assieme ad Elena Grey e ad altri artisti, con un complesso costituito da ben 100 orchestrali; concerto che ebbe grande successo. Le sorelle tornarono poi il 18 maggio, per uno spettacolo al Grattacielo, Le Vedette, dove ebbero nome in ditta assieme alla coppia di danzatori Silvio e Ferrara; restandovi almeno fino al 22. Infine, soggiornarono ancora in città tra gli ultimi giorni di settembre e la prima decade di ottobre, con la compagnia OsiriDapporto, per le prove della rivista Sogniamo insieme, annunciata come «il più grande spettacolo teatrale dell’annata, con i migliori artisti della rivista e con un complesso di 70 esecutori». Non ho fornito le date perché a Genova, in realtà, la rivista non venne mai rappresentata. Infatti essa, presentata sui giornali già il 26 102 settembre, con l’esordio previsto per il 2 ottobre al Politeama Genovese, a causa della «mancata consegna dei materiali e dei costumi» all’ultimo momento venne rinviata al 7 ottobre, e spostata al più modesto cine-teatro Paganini. Ma il giorno della prima veniva annunciato un nuovo rinvio «ad epoca da stabilire», «per difficoltà sorte all’ultimo momento nell’arrivo degli scenari e dei costumi». Nei giorni seguenti il Paganini restò chiuso, con la notizia del «prossimamente» di Sogniamo insieme; ma il 15 ottobre riaprì i battenti con un’operetta, Milioni al vento; e della rivista della compagnia Osiri-Dapporto, della compagnia stessa e naturalmente del Trio Lescano, in città non si ebbe più notizia fino allo spettacolo dell’anno successivo. Dei tre soggiorni genovesi delle Lescano nel ’42, è certamente l’ultimo l’unico che possa offrire qualche ‘sospetto’ – peraltro debolissimo – in relazione al loro eventuale arresto. Debolissimo, ripeto. Prima di tutto, perché lo spettacolo non era programmato al Grattacielo bensì al Genovese. E si deve subito chiarire come la mancata ricezione di scenari e costumi fu ben difficilmente una scusa. All’epoca, questo materiale viaggiava in treno, ed era perciò soggetto a tutti i rischi che correvano i convogli ferroviari in tempo di guerra, il primo dei quali era il bombardamento della ferrovia o del convoglio da parte degli aerei della RAF. Scorrendo i quotidiani locali, ho potuto accertare altri rinvii di spettacoli originati da problemi di questa natura: ad esempio, nel maggio ’43 la compagnia di Tecla Scarano debuttò con tre giorni di ritardo a motivo di un «disastro ferroviario», e nel giugno dello stesso anno, per ritardo nella consegna delle scenografie teatrali, quella dei Fratelli De Rege posticipò il suo esordio di un giorno. Ora, anche a voler considerare la motivazione apparsa sui giornali una scusa addotta per coprire la vera ragione di quel rinvio, ovvero l’arresto delle Lescano, si vedrebbe subito come tale ipotesi non regge. Prima di tutto, per logica: in quanto il fermo delle sorelle olandesi avrebbe senz’altro costituito un problema, ma non certo al punto da pregiudicare la messa in scena della rivista, dato il gran numero di artisti che essa comprendeva: oltre alla Osiris, a Dapporto e alle Lescano, i fratelli Giulio e Italo Clerici, i fantasisti Bruno e Brani, Letizia Gissi, Marisa Benucci, Landa Bruna, Vanda Di Leda, Luciana Salvi, Carlo Berti, Sandro Dal Buono, Nino Gallizio, e 24 ballerine dirette da Vera Petri. Inoltre, si do-vrebbe rilevare come, pure in questo caso, a parte Alessandra Lescano, nessuno ne abbia mai fatto cenno. C’è infine da considerare il fatto che gli artisti arrestati dalla milizia fascista, anche in caso di successivo rilascio, avevano la carriera pregiudicata; mentre – come s’è visto – ancora tredici mesi dopo le tre sorelle olandesi erano più che mai sulla cresta dell’onda, esibendosi proprio a Genova sui palcoscenici del Grattacielo, dell’Augustus e del Politeama Sampierdarenese. In conclusione, cosa si deve pensare? Il sospetto che il famoso arresto non vi sia mai stato è al 99,9% una certezza, e perde credito anche l’ipotesi che non di arresto si sia trattato, bensì di una semplice convocazione senz’alcuna conseguenza. Tutto, purtroppo, porta a pensare che Alessandra Lescano abbia deliberatamente inventato tale episodio; oppure, che la storia dell’arresto sia nata, se non proprio ‘a tavolino’, da una vera e propria complicità tra l’intervistata e chi la intervistava, almeno con l’implicita ma sottaciuta volontà da parte di entrambe (uso il femminile, perché per 103 ovvi motivi cronologici il giornalista in oggetto non poté che essere Natalia Aspesi) di ‘costruire’ un magnifico tassello che im-preziosisse il già di per sé affascinante mosaico della storia delle Lescano. D’altra parte, se si leggono attentamente le testimonianze rilasciate dall’ultima delle sorelle olandesi, si scopre in ciascuna intervista, con la grande amarezza per l’oblio entro il quale le figure e le canzoni del Trio erano state relegate dal tempo e dall’indifferenza dei più, anche l’ansia di restituire alle loro immagini quel nitore che l’inevitabile identificazione con gli anni di «quando c’era Lui» portava ad abbinare le tre interpreti al Fascismo, senza per questo che sia lecito leggere nell’adesione delle Lescano al Regime null’altro che un mero motivo di opportunità professionale. Essa fu infatti, per intenderci, quella che allora spinse a fare altrettanto, o a fornire comunque palesi attestazioni di fede fascista, molti altri personaggi, tra cui diversi futuri esponenti della cosiddetta intellighenzia di sinistra del dopoguerra, come Elio Vittorini, Giulio Claudio Argan, Renato Guttuso, Pietro Ingrao, Nilde Jotti, Elsa Morante, Giorgio Bocca, Dario Fo, Eugenio Scalfari e Norberto Bobbio; non c’è nulla di male nel riconoscerlo. Alla luce di ciò, si può meglio comprendere il desiderio di Alessandra Lescano di poter effettuare un bel restyling sulle posizioni del Trio negli anni fino alla caduta del Regime, anché perché – non del tutto a torto, ma certo esagerando – ella attribuiva la causa delle loro disgrazie prima all’ostracismo degli stessi fascisti, poi dei democristiani nuovi ‘padroni del vapore’ nell’ambito, soprattutto, di un mezzo come la radio, che allora costituiva il più immediato veicolo di diffusione delle canzoni, e che anni prima aveva contribuito moltissimo al loro successo. In realtà, ostracismo a parte, occorre tener presente anche l’inevitabile mutamento del gusto da parte dei fruitori delle canzoni; altrimenti, non si spiegherebbe come mai altri artisti molto amati quali Rabagliati, Bonino, la Fioresi, la Bruni eccetera furono anch’essi più o meno velocemente messi da parte: era il contrappasso dei tempi. 4) Testo della lettera cartacea inviata dal Curatore del sito alla Signora Natalia Aspesi (Via Olmetto, 3 - 20123 Milano) il 3 Novembre 2009. Lettera rimasta purtroppo senza alcuna risposta. Gentile Signora Aspesi, siamo un gruppo di appassionati che hanno creato un sito dedicato alle Sorelle Lescano; il suo indirizzo è http://www.trio-lescano.it/. Lo scopo principale di tale iniziativa è di recuperare il maggior numero possibile di documenti originali della loro epoca, che ci consentano di ricostruire la storia di queste tre grandi artiste con maggior rigore di quanto non sia stato fatto in passato. Grazie al contributo di un cospicuo numero di volonterosi ricercatori, sparsi in tutta Italia e anche all’estero 104 (principalmente Olanda, Argentina e Venezuela), siamo finora riusciti a costituire un archivio storico di tutto rispetto, che ha permesso di far luce su molti aspetti della loro vicenda umana e artistica. Non su tutti, però. Uno dei punti più oscuri dell’intera biografia delle Lescano riguarda certe affermazioni contenute nel Suo articolo Sfogliando i tuli-tuli tulipan, pubblicato su «La Repubblica» del 26 Ottobre 1985. Alcune di queste sono infatti in aperto contrasto con quanto emerge dai documenti: ad esempio è provato che le Lescano chiesero e ottennero l’iscrizione al PNF, avvenuta in data 29 Ottobre 1942, mentre Sandra afferma di aver sempre rifiutato – lei e le sue sorelle – tale tessera. Inverosimile risulta anche l’altra affermazione di Sandra che nel 1939 guadagnassero “mille lire al giorno”, dal momento che esiste un certificato ufficiale del Municipio di Torino (una copia del quale si trova nel nostro Archivio) attestante lo stato di “povertà relativa” delle Lescano stesse. Esso dava loro la possibilità di godere del “patrocinio gratuito” nella pratica per l’ottenimento della nazionalità italiana. Ma il fatto più controverso è quello relativo all’arresto nel ’43 ad opera della Gestapo, con conseguente detenzione di alcune settimane nel carcere genovese di Marassi. Per quante ricerche siano state fatte, sia negli archivi del carcere sia in quelli dei principali quotidiani del tempo, incluso Il Secolo XIX, non è stato possibile reperire il ben che minimo riferimento a tale arresto. Data la grande notorietà delle Lescano ci pare impossibile che esso sia passato del tutto inosservato. Ma c’è di più. In due precedenti interviste, una assai dettagliata del 1981 e un’altra del 1983, Sandra non accenna mai a questo momento cruciale della sua vita; inoltre colleghi e colleghe di lavoro delle Lescano (cantanti, direttori d’orchestra, orchestrali, autori, ecc.) non ne hanno mai parlato, neanche per vaghe allusioni, nelle tante interviste che hanno concesso nel corso degli anni, prima di lasciarci per sempre. Ci prendiamo dunque la libertà di chiederLe se può rievocare per noi le circostanze in cui fu realizzata la summenzionata intervista del 1985: fu un incontro diretto con Sandra Lescano? Il colloquio venne registrato? Lei non ebbe mai l’impressione che l’anziana cantante non Le dicesse sempre la verità o addirittura si inventasse cose mai accadute nella realtà, ovvero verificatesi sì, ma non nel modo con cui Sandra Gliele riferì? La Sua testimonianza ci sarebbe oltremodo preziosa, al fine di ricostruire i fatti come realmente si svolsero. In attesa di un Suo cortese riscontro, di cui La ringraziamo fin d’ora, La preghiamo di gradire i sensi della nostra stima e ammirazione. Il Comitato di Redazione del sito Ricordando il Trio Lescano 105 5) Iscrizione delle sorelle Lescano al PNF di Torino