SPECIALE AZALEA DELLA RICERCA Donne per le donne Ricercatrici per le pazienti, donne attente a se stesse nella prevenzione BOMBONIERE AIRC. Una promessa per la vita che arriva al cuore della ricerca. Per celebrare il suo matrimonio e tutte le occasioni speciali della vita, scelga le idee solidali di AIRC. Un modo concreto per sostenere, anche con i suoi eventi da ricordare, chi ogni giorno si impegna a rendere il cancro sempre più curabile. Scopra le nostre proposte per tutte le occasioni richiedendo il nostro catalogo al numero 035 419.9029 o direttamente sul sito www.airc.it Una per tutte, tutte per una Sono centinaia e centinaia le donne ricercatrici che AIRC sostiene attraverso i propri finanziamenti: si parte da chi comincia la carriera scientifica e ha bisogno di una borsa di perfezionamento fino ad arrivare a chi, invece, è nella fase in cui mette le basi del proprio laboratorio di ricerca per proseguire il percorso verso l’autonomia e, ancora, a chi è oggi già leader di progetti competitivi. Per non parlare di tutte quelle ricercatrici che, pur non avendo ruoli di primo piano, spesso rappresentano la maggioranza infaticabile nei grandi gruppi di ricerca. Tutto questo è una dimostrazione della grande vitalità femminile nella scienza, e in particolare nel mondo della ricerca sul cancro. Alle donne che lavorano per la salute di altre donne AIRC ha voluto dedicare questo libretto allegato all’Azalea della Ricerca. Non dimentichiamo che, a parte le grandi scienziate di cui raccontiamo la vita nelle pagine che seguono, la battaglia contro il cancro non può essere vinta senza l’impegno di ciascuna di noi. L’arma, questa volta, è una sola: la prevenzione. Per questo abbiamo dato ampio spazio anche alle “ricette della salute”, semplici accorgimenti che, secondo gli esperti, potrebbero aiutarci ad aumentare il numero delle diagnosi precoci, le uniche che consentono interventi curativi e tempestivi. Imparare ad ascoltare i segnali precoci del corpo e a consultare il medico quando si ha un dubbio (senza per questo esagerare con la preoccupazione) può essere una strategia vincente, afferma l’American Society of Clinical Oncology, che ha stilato la lista di cui vi parliamo nell’ultima parte del testo. Perché tutte possiamo fare qualcosa contro il cancro, per noi stesse e per le altre donne: stando attente alla nostra salute, contribuendo a finanziare la ricerca ma anche, specie in giovane età, aspirando a una carriera di ricercatrice. Editore: Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro Via Corridoni 7, 20122 Milano, Tel. 02 7797.1, www.airc.it - Numero Verde 800.350.350 Coordinamento redazionale: Patrizia Brovelli, Martina Perotti ([email protected]) Testi: Daniela Ovadia (Agenzia Zoe) Progetto grafico e impaginazione: Silvia Ruju Fotografie: Istockphoto, Corbis Stampa: Roto2000 aprile 2012 1 Contro il cancro, donne in prima fila 2 Sono state le pioniere della ricerca al femminile, hanno sfidato i pregiudizi della loro epoca e le chiusure preconcette; a volte hanno persino dovuto aspettare anni per vedersi riconoscere i giusti meriti. Sono le donne che hanno fatto la storia della scienza e in particolare quella della ricerca sul cancro. Ecco le loro storie, che possono essere d’ispirazione per le ragazze che immaginano un futuro nella ricerca. Nella scienza non esiste differenza di genere: è l’intelligenza che conta, la capacità di vedere ciò che altri hanno trascurato, la costanza di un duro lavoro quotidiano. 3 Rosalind Franklin Quando Rosalind Franklin decise che avrebbe fatto la scienziata aveva quindici anni. Non immaginava che di lì a pochi anni avrebbe contribuito alla scoperta della struttura a doppia elica del DNA. Frequentava una delle poche scuole femminili di Londra in cui in quegli anni – era il 1936 – si insegnavano fisica e chimica. Suo padre, però, aveva in mente per lei un lavoro di assistente sociale, e a lungo si oppose. Alla fine, però, le permise di iscriversi al college e di iniziare una carriera scientifica che l’avrebbe portata a un passo dal premio Nobel. Fu grazie alle fantastiche immagini prodotte da Rosalind – che dopo la laurea in chimica si era specializzata a Parigi nelle tecniche di diffrazione a raggi X – che la struttura del DNA fu chiarita e compresa. Infatti solo dopo l’osservazione di queste immagini – che uno scienziato dell’epoca definì “le più belle fotografie a raggi X mai scattate” – James Watson, Francis Crick e Maurice Wilkins riuscirono a costruire un modellino della struttura tridimensionale del DNA. Il premio Nobel, nel 1962, andò solo a Watson, Crick e Wilkins. Rosalind Franklin era deceduta quattro anni prima, all’età di 37 anni, per un tumore dell’ovaio. La ricerca sul cancro, oggi, deve molto a questa donna, che ha dato il via a un’era nuova: quella delle indagini genomiche per comprendere la natura dei tumori. Dorothy Crowfoot Hodgkin Chi, se non una donna, poteva mettere in piedi un ambiente di lavoro “immancabilmente gioioso e produttivo” senza per questo rinunciare a competere ai massimi livelli della ricerca scientifica, a sposarsi e crescere tre figli? Dorothy Crowfoot Hodgkin era nata al Cairo nel 1910, dove il padre conduceva ricerche archeologiche. Quando ebbe l’opportunità di aprire il suo laboratorio a Oxford, non solo fu capace di creare un simile ambiente di lavoro, ma condusse tali e tante ricerche nell’ambito della cristallografia a raggi X da meritarsi il premio Nobel per la chimica nel 1964. Il Nobel le fu conferito per avere chiarito la struttura della vitamina B12 e più in generale per l’immenso contributo alla visualizzazione della struttura tridimensionale di sostanze cruciali anche nel cancro. Il collega Max Perutz, anch’egli premio Nobel, la definì “una grande chimica, un’amante delle persone, santa, gentile e tollerante, e una devota protagonista della pace”. May Edward Chinn May Edward Chinn era figlia di uno schiavo, che era scappato giovanissimo dalle piantagioni di tabacco della Virginia, e di una nativa americana, appartenente a una tribù che per tradizione attribuiva una grande importanza all’educazione. May crebbe nella casa dei Tiffany, i noti produttori di gioielli, dove la madre lavorava come domestica. Da piccola sognava di diventare musicista, ma uno dei suoi insegnanti la incoraggiò a fare studi scientifici. Dopo un percorso accidentato per via dell’estrema povertà, riuscì a prendere il diploma di tecnico di laboratorio. Quindi, lavorando di giorno in un 4 laboratorio di anatomia patologica, poté pagarsi gli studi universitari che svolgeva di notte. Fu così che nel 1926 divenne la prima donna di colore a laurearsi in medicina al Bellevue Hospital di New York, e la prima a lavorare all’ospedale di Harlem. Girava anche – unica donna – sulle ambulanze e visitava a domicilio in zone da cui i medici di solito si tenevano alla larga. Dopo la specializzazione in sanità pubblica alla Columbia University, negli anni Quaranta cominciò ad occuparsi di cancro. Qui diede un importante contributo alla messa a punto del Pap-test che sarebbe poi diventato un formidabile strumento per la diagnosi precoce del tumore della cervice uterina. Marie Curie Nata in Polonia nel 1867, Marie Sklodowska-Curie è forse la scienziata più nota al mondo. È stata infatti la prima persona ad aver vinto due volte il premio Nobel, in fisica nel 1903 – insieme al marito Pierre Curie e al collega Henry Becquerel – e in chimica nel 1911, da sola. Il merito e il successo però non portarono solo gioie a questa scienziata polacca, francese di adozione. I membri dell’Accademia francese delle scienze infatti non gradivano avere fra loro uno scienziato straniero che per giunta era donna. Così, proprio nel 1911, la Curie non fu ammessa all’Accademia e per due voti le fu preferito un inventore che oggi nessuno ricorda. La prima accademica donna di Francia sarebbe stata una studentessa della Curie, oltre mezzo secolo più tardi. L’ostracismo ottuso dei colleghi scienziati non impedì a Marie Curie di mettere a frutto i suoi studi pionieristici sulla radioattività e le prime applicazioni della radioterapia nella cura dei tumori. Fu proprio la passione per la ricerca in un campo che avrebbe offerto moltissime armi alla lotta contro il tumore a ucciderla: morì nel 1934, a causa dalla prolungata esposizione alle radiazioni, di cui solo più tardi si sarebbe scoperta la pericolosità per la salute. Fu sepolta nel cimitero di Sceaux, accanto al marito Pierre che era morto nel 1906 in un incidente stradale. Le salme dei due coniugi sono state successivamente trasferite con tutti gli onori, nel 1995, nel Panthéon di Parigi. Irene Joliot-Curie Figlia di Marie e Pierre Curie, Irene Joliot-Curie vinse anche lei il premio Nobel, insieme al marito Frédéric. Il premio, per la chimica, assegnatole per gli studi sulla radioattività artificiale (all’origine anche delle attuali tecniche di radioterapia) le fu conferito nel 1935, un anno dopo la morte della madre. Irene si iscrisse giovanissima alla Facoltà di scienze della Sorbona, dove studiò fino allo scoppio della Prima guerra mondiale nel 1914. Dopo un anno trascorso al sicuro in Bretagna, a 18 anni appena compiuti seguì la madre negli ospedali mobili dotati di rudimentali apparecchiature a raggi X con cui le due donne contribuivano alla diagnosi dei traumi dei soldati feriti al fronte. Anche in questo modo Irene e Marie si esposero a dosi massicce di radiazioni. 5 Dopo la guerra Irene concluse l’università e prese un dottorato, durante il quale conobbe un giovane ingegnere chimico che sarebbe passato alla storia con il cognome della moglie: Frédéric Joliot-Curie. Insieme condussero gli studi su come trasformare un elemento in un altro. Nel 1936 Irene Joliot-Curie divenne sottosegretario di Stato alla ricerca scientifica e contribuì a fondare il Centre National pour la Recherche Scientifique, promuovendo fra le altre cose l’educazione femminile. Morì di leucemia nel 1956, a Parigi, a soli 59 anni. Anche lei era stata colpita , come sua madre Marie, dagli effetti delle radiazioni, ossia dal fenomeno cui doveva la sua fama di grande scienziata. Gertrude Belle Elion A Gertrude Belle Elion, nata nel 1918 a New York da genitori immigrati, si deve la messa a punto di farmaci rivoluzionari. Tra questi l’AZT, utilizzato nella terapia dell’AIDS, e il primo farmaco capace di contrastare la leucemia. Elion mise a punto un gran numero di composti mirati, in grado di colpire i tessuti malati senza danneggiare quelli sani, grazie allo studio dell’attività biochimica delle cellule umane sane e degli agenti infettivi. Nel 1988 condivise il premio Nobel per la medicina con George Hitchings e Sir James Black. Rita Levi-Montalcini Nel suo libro Elogio dell’imperfezione, Rita Levi-Montalcini racconta di quanto sia stato difficile, per lei, donna ed ebrea, condurre le proprie ricerche nella Torino degli anni Quaranta, in piena guerra e con le leggi razziali. Solo la determinazione di una grande scienziata, oggi ultracentenaria, può spiegare la creazione di un laboratorio domestico, nella sua camera da letto, che le permise di portare avanti le ricerche sul sistema nervoso: le stesse grazie alle quali, nel 1947, fu invitata a trasferirsi negli Stati Uniti. Fu lì che scoprì il fattore di crescita dei neuroni o NGF, una sorta di fertilizzante che permette alle cellule nervose di moltiplicarsi nella fase di sviluppo embrionale. Per questa scoperta vinse il Nobel nel 1986. L’NGF è il primo dei fattori di crescita cellulari a esser stato identificato: oggi sappiamo che altri fattori di crescita giocano un ruolo fondamentale nella genesi del cancro e possono essere manipolati per curare la malattia. Da quando ha vinto il Nobel, Levi-Montalcini non ha mai smesso di impegnarsi per sostenere la ricerca italiana e favorire la carriera delle donne nella scienza. 6 Ada Yonath Nata nel 1939 a Gerusalemme, Ada Yonath ha condiviso il Nobel per la chimica del 2009 con Venkatraman Ramakrishnan e Thomas A. Steitz per gli studi sul ribosoma, la struttura in cui, in ogni cellula, vengono assemblate le proteine. Decise di studiare la cristallografia ispirata dalla figura di Marie Curie. Con notevole determinazione si dedicò per anni a una linea di ricerca su cui il resto della comunità scientifica aveva espresso molto scetticismo. Ciò nonostante è riuscita a diventare un’esperta del cosiddetto drug-design: l’approccio che permette di costruire nuovi farmaci su misura del bersaglio con cui devono interagire. «Sopravvivere è molto più complicato e impegnativo che fare scienza. Puoi sempre provare un altro approccio; o addirittura cambiare argomento quando una strategia o un esperimento fallisce» ebbe a dire riferendosi agli anni della gioventù, in cui la morte prematura del padre l’aveva obbligata a cominciare a lavorare e a occuparsi della famiglia a 11 anni. «Invece quando hai fame hai fame!» Elizabeth Blackburn e Carol Greider Elizabeth Helen Blackburn, nata in Australia ma naturalizzata americana, e la californiana Carol Greider hanno ricevuto insieme a Jack W. Szostak il premio Nobel per la medicina nel 2009, per le loro scoperte sull’enzima telomerasi. Si tratta di una molecola fondamentale per assicurare il corretto funzionamento dei telomeri, le strutture che proteggono le estremità dei cromosomi. Oggi presidente della American Association for Cancer Research, la Blackburn fu nominata nel 2001 a far parte del President’s Council on Bioethics, da cui l’Amministrazione Bush in seguito la rimosse per divergenze di visione: «È sempre più diffusa la convinzione che la ricerca scientifica – che dopo tutto è la ricerca della verità – venga manipolata a fini politici» dichiarò. Carol W. Greider era entrata nel suo laboratorio all’Università di Berkeley come studentessa nell’aprile del 1984, e si era messa di buona lena – restando al bancone del laboratorio anche per periodi di 12 ore filate – a cercare di identificare l’enzima che continua a rifornire i telomeri del necessario per non consumarsi. Si tratta di una molecola dal ruolo importante anche in alcuni tipi di cancro. Era il giorno di Natale del 1984 quando Greider annunciò a Blackburn di aver portato a termine con successo la missione. Dopo altri sei mesi di puntigliose verifiche la conferma, sancita dalla pubblicazione sulla rivista Cell. 7 Nella lotta contro il cancro le donne hanno una marcia in più Elisabetta Dejana è da molti anni alla guida del programma di ricerca sui meccanismi dell’angiogenesi presso IFOM (l’Istituto FIRC di oncologia molecolare) a Milano. Oltre che della sua attività di scienziata di successo, si occupa da sempre della relazione non sempre idilliaca tra donne e carriera scientifica. “Parto da una considerazione personale: per arrivare dove sono arrivata ho dovuto, in alcuni momenti, sacrificare la mia vita privata e non è stata sempre una scelta facile né indolore”. D’altronde per arrivare a diventare Ufficiale al Merito della Repubblica, onorificenza ricevuta dall’allora Presidente Ciampi nel 2005 (una tra le poche donne insignite di tale riconoscimento) è facile immaginare che il lavoro abbia avuto una grande importanza anche in termini di investimento personale. “Mi sono laureata in biologia a Bologna e subito dopo la laurea sono andata in Canada, a Toronto. Sono quindi tornata in Italia e fino al 1993 ho diretto il Laboratorio di biologia vascolare dell’Istituto Mario Negri” spiega. “Non mi sono mai fermata. Nel frattempo ho lavorato per alcuni periodi alla Harvard Medical School di Boston, all’Ospedale Bicêtre di Parigi e all’Hadassah Medical School di Gerusalemme, fino ad approdare a Grenoble, in Francia, dove per tre anni ho portato avanti ricerche presso il Centro di energia nucleare”. Ritorno in una nuova casa È semplice comprendere che ci vuole una discreta tenacia per adattarsi a tanti cambiamenti. “Quando è nato IFOM, ho pensato che fosse davvero un’opportunità per ricreare in Italia le modalità di fare ricerca che ho conosciuto all’estero”. Da allora dirige l’unità che si occupa di identificare nuovi farmaci antitumorali in grado di bloccare la formazione di nuovi vasi, e quindi aggredire la malattia tagliandole viveri e vie di diffusione. È contenta della scelta di vita che ha fatto? “Moltissimo. Amo il mio lavoro e sono contenta di essere arrivata in una posizione che mi consente di fare qualcosa per altre donne che amano la scienza”. Dejana considera con attenzione tutti i dati relativi all’occupazione femminile nei laboratori (e non solo in quelli in cui si cerca una cura contro il cancro). “Le donne sono sempre di più: la metà degli iscritti alle facoltà scientifiche sono donne e tra chi intraprende la carriera di ricercatore si arriva addirittura al 60 per cento. E le giovani sono brave, con un tasso di produttività scientifica mediamente più elevato di quello dei colleghi maschi”. Dove sta il problema, allora? “Sta nella progressione di carriera: nelle posizioni apicali le donne sono ridotte al 15 per cento del totale; sono solo l’1 per cento tra i grandi manager dell’industria farmaceu8 tica, il 16 per cento dei professori ordinari nell’università italiana e il 10 per cento tra i group leader del Consiglio nazionale delle ricerche, che rimane pur sempre la nostra massima istituzione scientifica. I rettori universitari donna sono solo due in tutto il Paese e gli stipendi delle scienziate sono mediamente più bassi di quelli degli uomini del 30 per cento. Si tratta di dati inequivocabili, di una fotografia della realtà che dovrebbe far riflettere”. Questione di cultura Anche sulle cause di questa differenza, che priva innanzitutto i pazienti di menti brillanti che potrebbero trovare una soluzione ai loro problemi, Elisabetta Dejana non ha dubbi. “Si tratta di una questione culturale, un perpetuarsi dei ruoli maschili e femminili tradizionali: e quando è così è più facile che sia la donna a sacrificare una carriera anche brillante per non modificare gli equilibri familiari”. Ci sono però anche questioni pratiche che concorrono a ostacolare la carriera delle donne scienziato e l’Unione Europea sta cercando di porvi rimedio favorendo politiche di sostegno all’occupazione femminile, con la creazione di asili nido e di orari consoni a una madre di famiglia che è anche impegnata al bancone del laboratorio. “Sono iniziative utili, ma resto convinta che il maggior ostacolo sia nella mentalità che vuole la scienza area di eccellenza maschile, anche se sappiamo che ormai non è così. Una ricerca condotta a Harvard, per esempio, dimostra che le donne sono più brave anche nella raccolta di fondi, vincono bandi prestigiosi e riescono a finanziare il proprio laboratorio”. Cosa bisognerebbe fare, dunque? “Personalmente farei un appello alle donne che già sono nella ricerca: unitevi ad altre donne, sostenetevi a vicenda, formate le studentesse più brillanti, ovviamente se ritenete che dal punto di vista del merito quella persona meriti il vostro sostegno: perché i buoni cervelli non si distinguono per genere e il merito deve sempre prevalere su tutto”. Non sempre conviene bloccare Gli studi sull’angiogenesi stanno cambiando, in questi ultimi anni, da quando si è scoperto che non sempre conviene bloccare la formazione di nuovi vasi intorno al tumore. “Talvolta il taglio dei viveri è una strategia sufficiente per mettere il cancro in difficoltà, ma purtroppo i tessuti mutati sono molto resistenti e spesso si adattano persino a sopravvivere in carestia” spiega Dejana. “In questi casi è meglio addirittura favorire la formazione dei nuovi vasi per facilitare l’arrivo dei farmaci fino alla massa da eliminare”. Ovviamente la scelta se distruggere o potenziare la rete vascolare di un tumore non dipende solo da come reagiscono i tessuti, ma anche dalla disponibilità di una terapia efficace per quel tipo di malattia. “Non avrebbe senso potenziare la rete vascolare di un tumore contro il quale abbiamo le armi spuntate”. 9 Da eRende a Houston ritorno A scorrere il curriculum di Ines Barone, giovane ricercatrice poco più che trentenne, viene spontaneo chiedersi come sia riuscita a fare tante cose interessanti in così poco tempo: studi brillanti, specializzazioni all’estero, premi scientifici e un lungo elenco di pubblicazioni testimoniano una passione per la ricerca nata durante gli studi di chimica e tecnologie farmaceutiche presso l’Università della Calabria a Rende. “Durante lo svolgimento della mia tesi di laurea, che riguardava la relazione tra i recettori per gli estrogeni nel cancro del seno e la leptina, un ormone i cui livelli sono alti nei soggetti obesi, mi sono appassionata alla ricerca oncologica. Così dopo la laurea ho scelto di proseguire con un dottorato di ricerca, sempre qui in Calabria, presso i laboratori di patologia generale diretti dal professor Sebastiano Andò”. In viaggio per il Texas Concluso anche il dottorato, durante il quale ha portato avanti le sue ricerche sui tumori della mammella, si apriva per lei un’unica opzione, quella di andare all’estero per qualche anno. “Sono stata fortunata perché ho vinto una borsa post doc al Baylor College of Medicine di Houston, in Texas, che per gli studi che conduco rappresenta un centro di eccellenza. Lì sono rimasta tre anni. Avrei potuto scegliere di restare ancora all’estero, ma volevo tornare a casa. Diciamo che il Texas non è il luogo più semplice dove vivere, per un’italiana. Forse, se fossi stata altrove negli Stati Uniti, sarei rimasta”. È così che Ines Barone ha concorso per una delle borse di studio congiunte Marie Curie – AIRC. Si tratta di un programma speciale che la Comunità europea sostiene in collaborazione con l’Associazione italiana per la ricerca sul cancro per favorire il ritorno in patria dei ricercatori che sono all’estero. “Senza questi strumenti sarebbe impossi10 bile ritornare, anche perché in questo periodo l’università italiana non prevede percorsi professionali per coloro che se ne allontanano, anche se è d’obbligo studiare e specializzarsi all’estero”. Un recettore molesto Ines Barone ha continuato le sue ricerche sul tumore mammario. “In questo periodo, in particolare, mi occupo di un recettore per gli estrogeni, il recettore alfa, che, in una forma mutata sembra essenziale per regolare le comunicazioni tra la cellula tumorale e l’ambiente che la circonda”. Attraverso queste comunicazioni il tumore regola la propria crescita. “Le donne che possiedono una forma mutata del recettore alfa rispondono meno bene delle altre alle terapie antiestrogeniche, cioè a quelle cure che vengono date dopo l’intervento per evitare la recidiva tumorale”. Non solo: le cellule tumorali con questo recettore mutato danno origine a malattie più aggressive. “Non è ancora chiaro quale sia la percentuale di donne malate che hanno la forma mutata. Ci sono studi che hanno misurato fino al 50 per cento di forme mutate e altri invece che non hanno trovato mutazioni. Il problema è che si tratta di una piccolissima variante sul gene, quella che viene chiamata mutazione puntiforme, quindi per trovarla bisogna usare tecniche di analisi del DNA particolarmente potenti”. Conoscere il modo con cui il recettore mutato influenza le relazioni tra la cellula e l’ambiente consente di creare terapie più efficaci e mirate per le donne che non rispondono alle cure classiche. “Per chiudere il cerchio, il gruppo di ricerca col quale lavoro qui presso l’Università della Calabria ha dimostrato che proprio la leptina, l’ormone che è stato l’argomento della mia tesi di laurea, è un importante mediatore nella comunicazione di cui si è parlato”. Questa scoperta fornisce tra l’altro una importante chiave di comprensione del legame tra obesità e rischio aumentato di cancro del seno, poiché la leptina è considerata uno degli ormoni correlati al sovrappeso e poiché l’epidemiologia ci dice che le donne sovrappeso vanno incontro più facilmente alla malattia. Un legame con l’estero Ora che cosa si aspetta Ines Barone dopo il ritorno a casa? “Spero di poter concludere con successo le ricerche che ho iniziato. Ho una borsa particolare che, oltre a essere più sostanziosa di quelle che normalmente vengono erogate in Italia (perché utilizza standard europei e non locali), comprende anche dei fondi per tornare una volta l’anno negli Stati Uniti, in modo da conservare i legami scientifici che ho costruito nel tempo”. Essere una donna non ha penalizzato la sua carriera, almeno fino a questo stadio: “Sono ancora giovane e non ho una famiglia, questo rende molto più facile prendere certe decisioni, come quelle di partire per l’estero e poi di tornare a casa, qui in Calabria. Certo, se guardiamo quante donne ci sono nelle posizioni apicali della carriera scientifica possiamo dire che sono davvero poche. Ma forse è solo questione di tempo: ora noi ‘ragazze’ siamo davvero tante e amiamo questo lavoro”. 11 Le ricette della salute Si sa, e lo dimostrano anche le indagini epidemiologiche, che le donne tendono a essere più attente degli uomini in materia di prevenzione. Si sottopongono con maggiore frequenza ai controlli necessari e, soprattutto, hanno una certa dimestichezza nel riconoscere i segnali precoci che il corpo è in grado di mandare quando qualcosa non va. Nel caso della prevenzione oncologica, però, basarsi sui sintomi può non essere una strategia vincente: quando un tumore da segno di sé, è in genere già oltre la fase della cosiddetta diagnosi precoce, quella in cui gli interventi, sia farmacologici sia chirurgici, sono meno invasivi e più efficaci. Malgrado ciò, poiché non per tutti i tumori sono disponibili esami di screening validati ed efficaci, c’è chi si è interrogato sul peso da dare a eventuali sintomi. In delicato equilibrio tra giusto allarme per disturbi anche banali, ma che non passano, e il rischio di sopravvalutare determinate sensazioni e di angosciarsi per nulla, l’American Society of Clinical Oncology (ASCO) ha stilato un elenco di “campanelli d’allarme” riservato alle donne. Non si tratta solo di segni legati a tumori tipicamente femminili, ma anche di neoplasie che, purtroppo, sono in aumento anche nel gentil sesso, come il cancro del colon o del polmone. La raccomandazione di base è però di non farsi mai prendere dal panico: quelli che vengono descritti di seguito sono sintomi comuni a moltissime malattie, la maggior parte delle quali assolutamente benigne. Dare loro ascolto, andando a farsi controllare dal medico di famiglia, può però essere una buona mossa, una semplice ricetta che consente di restare a lungo in salute. 12 13 La “sporca dozzina” Perdita di peso immotivata La maggior parte delle donne potrebbe essere davvero felice di perdere peso senza ragione e, soprattutto, senza fatica. Rimane il fatto che se fluttuazioni di piccola entità sono normali e possono dipendere da fattori stagionali, ormonali o persino emotivi, legati allo stress, un dimagrimento di cinque o più chilogrammi in un mese (o del cinque per cento del proprio peso in sei mesi, o meno) in assenza di una dieta o di un aumento sostanziale dell’esercizio fisico merita una visita di controllo. Le cellule cancerose sono infatti dotate di un metabolismo molto attivo e un aumentato consumo energetico da parte dell’organismo è un segno che qualcosa non va per il verso giusto. Attenzione però: prima di pensare a un tumore, bisogna escludere altre patologie più comuni, come un disturbo della tiroide (molto frequente nel sesso femminile) oppure una patologia gastrointestinale che interferisce con l’assorbimento delle sostanze nutritive. Per accertarsene il medico potrà prescrivere alcuni esami del sangue, che verificheranno la presenza di carenze, di anemia o di infiammazione in corso. Inoltre verranno valutati i livelli degli ormoni tiroidei. Solo se gli esami del sangue non saranno risolutivi e se la perdita di peso continuerà ad aumentare, il medico ricorrerà a esami strumentali come ecografie, radiografie e TC. Alcune domande sulla perdita di peso Prima di attribuire una perdita di peso immotivata a un fenomeno neoplastico, il medico indagherà alcuni aspetti importanti che possono spiegare il fenomeno. È bene, prima della visita, essere pronti a rispondere alle seguenti domande: • Ha problemi dentali? Le persone con problemi di denti o gengive possono ridurre improvvisamente e inconsapevolmente il loro consumo di cibo. • Ha disturbi gastrointestinali come vomito o diarrea? • È molto stressata? Ci sono stati cambiamenti importanti nella sua vita negli ultimi tempi? • Sta mangiando come prima? Di meno? Diversamente? • Ha cominciato a fumare? Ha aumentato il numero delle sigarette? Ha aumentato il suo consumo di alcol? • Ha altri sintomi concomitanti? 14 15 Gonfiore addominale La maggior parte delle donne convive costantemente col gonfiore addominale, che segue andamenti periodici legati all’alimentazione e alle fasi del ciclo. Eppure la pancia molto gonfia, specie se accompagnata da dolore addominale o pelvico sembra essere uno dei pochi segni indicatori della presenza di un tumore ovarico in fase iniziale. Altri elementi che caratterizzano questa malattia sono la sensazione di pienezza anche dopo aver consumato pochi bocconi di cibo e difficoltà urinarie, come il bisogno di correre in bagno più spesso del solito, oltre a un’aumentata circonferenza addominale in assenza di un aumento di peso. Ovviamente questo quadro sintomatologico deve persistere per tutto il giorno e per alcune settimane di seguito prima di meritare un controllo medico. Nel 2007, uno studio uscito sul British Medical Journal e recepito dalle linee guida dell’American Cancer Society ha dimostrato che basandosi su questa breve lista è possibile anticipare la diagnosi di carcinoma ovarico rendendo più efficienti le terapie in un tumore che è ancora tra i più temuti. Anche in questo caso le società scientifiche raccomandano di non andare nel panico: è possibile che gli stessi sintomi siano il segnale di malattie molto più benigne, come il colon irritabile. In ogni caso, a dirimere ogni dubbio spesso basta un’ecografia addominale. Il ginecologo interpellato, oltre all’ecografia addominale, procederà probabilmente con un esame della pelvi e con un’ecografia transvaginale. Inoltre potrà richiedere, tra gli esami del sangue, anche la misurazione di eventuali marcatori tumorali. Solo in caso di dubbi ulteriori si procederà con una TC addominale o con una risonanza magnetica. Quattro consigli per non preoccuparsi troppo • Tutte le donne hanno questi sintomi di tanto in tanto e solo molto raramente sono dovuti a un carcinoma ovarico. Quasi sempre sono provocati da questioni banali e passeggere. • Impara ad ascoltare il tuo corpo. Vai dal medico solo quando hai uno o più sintomi ogni giorno per molte settimane e soprattutto se sono inusuali, cioè se non si sono mai presentati prima. • Sapere che cosa osservare è utile, consente di rivolgersi al medico quando ce n’è davvero bisogno. • Non è necessario precipitarsi dal medico al primo manifestarsi dei disturbi: qualche settimana di osservazione non cambia la prognosi e permette, nella maggior parte dei casi, di assistere alla naturale scomparsa dei disturbi senza sottoporsi a esami inutili. (dalle raccomandazioni della Gynecologic Cancer Foundation) 16 17 Cambiamenti a carico del seno La maggior parte delle donne conosce bene la conformazione del proprio seno anche quando non ha l’abitudine (peraltro molto utile) di praticare l’autopalpazione. Gli esperti segnalano però un’eccessiva attenzione alla presenza di noduli e formazioni solide e una scarsa attenzione ad altre manifestazioni che possono essere indicative di un cancro del seno come un arrossamento persistente della cute in una determinata zona della mammella e un ispessimento della pelle (che talvolta assume il tipico aspetto a buccia d’arancia). In ambedue i casi questi sintomi potrebbero essere un segnale di una forma di neoplasia con una forte componente infiammatoria. Anche cambiamenti a carico del capezzolo meritano una visita dal medico: modifiche della forma (retrazioni o protrusioni inusuali), così come la perdita di sangue, siero o latte (ovviamente in un momento in cui non si sta allattando) vanno verificate con un esperto. Questi procederà a esaminare il seno al tatto, farà alcune domande riguardanti la salute della donna in generale e il suo stato ormonale in particolare. In caso di perdite dal capezzolo vengono richiesti anche alcuni esami del sangue, tra i quali la misurazione della prolattina, un ormone che stimola la produzione di latte e che può aumentare anche in alcuni tumori benigni o in seguito ad alcune terapie farmacologiche. In caso di sospetto, il medico prescriverà, a seconda dell’età e del sintomo una mammografia (che tra i 50 e i 70 anni andrebbe fatta periodicamente anche in assenza di disturbi) o un’ecografia del seno. Se nel seno c’è un nodulo Sentire qualcosa sotto le dita quando si palpa il seno è sempre un elemento di ansia per una donna. Eppure i cosiddetti “noduli” non sono, nella maggior parte dei casi, sintomi preoccupanti. Come spiegano le linee guida della Società italiana di senologia, molto dipende dall’età di comparsa della formazione. Fra i 20 e i 30 anni sono molto comuni i fibroadenomi, duri e fibrosi, dovuti alle variazioni ormonali tipiche dell’età. Possono essere dolorosi, specie in alcune fasi del ciclo, e regrediscono o diminuiscono con le gravidanze e l’allattamento. Fra i 30 e i 50 anni, invece, sono comuni le cisti sierose, costituite da una capsula contenente liquido. Il medico esperto è capace, già alla palpazione, di distinguere una formazione benigna da una maligna. La prima in genere si muove se spostata con i polpastrelli, mentre una formazione maligna rimane aderente al piano sottostante. Inoltre fibroadenomi e cisti hanno un contorno regolare, mentre spesso le neoformazioni maligne hanno bordi irregolari. 18 Perdite di sangue tra due cicli Qualsiasi perdita di sangue al di fuori delle mestruazioni merita un controllo ginecologico, a qualsiasi età. In particolare è bene farsi controllare se il ciclo è già scomparso, quindi se la donna è già in menopausa. Le donne più giovani tendono a non preoccuparsi per questo tipo di disturbo che, se nella stragrande maggioranza dei casi è dovuto a variazioni ormonali fisiologiche, talvolta può essere un segnale della presenza di endometriosi (l’anomala proliferazione di tessuto tipico del rivestimento interno dell’utero al di fuori della sua sede naturale) o di cancro dell’endometrio. È possibile assistere a sanguinamenti anomali anche in presenza di cancro della cervice uterina. Il ginecologo, in questi casi, procede a una normale visita, esegue un’ecografia di controllo e spesso anche un Pap-test, per controllare lo stato delle cellule cervicali. Molte possibili cause Il sanguinamento tra due cicli non è un evento raro e molte possono essere le cause non oncologiche di tale fenomeno. Ecco le più comuni: • infiammazione della cervice uterina (cervicite); • polipi cervicali; • infezioni sessualmente trasmissibili; • lievi abrasioni della parete vaginale dopo rapporti sessuali. 19 Alterazioni della pelle Come ben sanno le donne, la pelle, specie quella del viso e delle altre parti del corpo esposte alla luce solare, subisce continui cambiamenti. E se tutte abbiamo ormai imparato a dare peso alle modificazioni dei nei, poche si preoccupano di cambiamenti nella pigmentazione della cute o nel suo aspetto. Se è eccessivamente arrossata in un punto preciso, o desquama, allora è possibile che la causa sia un tumore della pelle diverso dal melanoma, come il basalioma o il carcinoma spinocellulare. Per fortuna si tratta di forme maligne a bassissima invasività, che nella stragrande maggioranza dei casi si asportano senza bisogno di ulteriori cure. Gli esperti si sono però chiesti per quanto tempo è necessario che perduri l’alterazione prima di rivolgersi al medico: non c’è una risposta univoca, anche se tutti concordano nel dire che se si superano le 6-8 settimane è necessario consultare un dermatologo. Tre diverse forme Come riconoscere alla vista i diversi tipi di tumori della pelle? Ecco qualche indicazione molto generale. Basalioma: • è un piccolo rigonfiamento di colore bianco perlaceo; • in alternativa si presenta come una lesione tipo escoriazione, piatta, bruna. Carcinoma spinocellulare: • può essere un nodulo rosso e duro; • talvolta è una lesione squamosa, piatta, arrossata. Melanoma: • può essere un neo bruno con puntini più scuri all’interno; • può essere un neo che ha cambiato colore, forma o misura, oppure che sanguina spontaneamente; • può essere una piccola lesione con bordi irregolari e un insieme di colori che vanno da bruno al rosso, al blu; • può essere una macchia scura e circoscritta sul palmo della mano o sulla pianta del piede, all’interno delle mucose della bocca o delle grandi labbra. 20 Sanguinamenti non comuni Perdere sangue (tranne ovviamente durante il ciclo mestruale) è sempre un segno di qualcosa che non va. E se la perdita ematica con le feci, specie se rossa, è quasi sicuramente dovuta a emorroidi infiammate (ma merita, almeno fino alla diagnosi, un controllo più approfondito), la presenza di sangue nelle urine richiede un esame delle stesse e un’ecografia renale. Nel primo caso il sangue potrebbe nascondere un cancro del colon, in costante aumento anche tra le donne perché legato a scorrette abitudini di vita. In questo caso è spesso utile ricorrere alla ricerca del sangue occulto nelle feci anche se si è al disotto dei 50 anni di età, momento a partire dal quale questo esame è consigliato pur in assenza di sintomi. La tappa successiva è l’ecografia addominale o più spesso, la colonscopia, che permette di fugare ogni dubbio. L’esame delle urine e l’eventuale analisi di cellule epiteliali staccatesi dalla parete della vescica permette di diagnosticare eventuali infezioni e di escludere un cancro della vescica. L’ecografia renale studia invece l’intero decorso dell’apparato urinario e può mettere in luce anche la presenza di calcoli renali. 21 Se cambia qualcosa in bocca A volte ad accorgersene è solo il dentista: una piccola piaga all’interno della mucosa della bocca, un “brufolo” sulla lingua, una escoriazione delle gengiva… Quando questi disturbi non scompaiono nel giro di qualche giorno o con trattamenti disinfettanti o spennellature apposite, allora è il caso di farsi controllare da un medico. I tumori della bocca sono infatti in aumento tra le donne anche a causa dell’abitudine al fumo e dell’incremento nel consumo di alcol e superalcolici. Individuare precocemente un’alterazione della mucosa o della gengiva (per esempio una leucoplachia, che costituisce una forma precancerosa relativamente semplice da trattare) consente di evitare cure invasive, chirurgie demolitive e gravi difficoltà conseguenti. Per questa stessa ragione è buona norma sottoporsi annualmente a una visita dal dentista, che provvederà anche a esaminare tutto il cavo orale. 22 Il dolore Si dice sempre che se fa male, non è un cancro. Una voce popolare non priva di fondamento che però non tiene conto di alcuni casi nei quali un dolore sordo e persistente può essere un campanello d’allarme per una malattia neoplastica. Il dolore osseo, specie alla schiena, merita sempre un approfondimento se non scompare nel giro di qualche settimana o con l’aiuto di farmaci antinfiammatori. Il dolore è un sintomo molto complesso da inquadrare, come ben sanno i medici, poiché può avere molte cause. Ciò non significa che non sia necessario indagare approfonditamente, anche solo per non trascorrere troppo tempo in sofferenza, senza poter accedere alla terapia corretta. I linfonodi ingrossati È bene ricordare che, quando si nota un linfonodo ingrossato, nella maggioranza dei casi la causa del disturbo è infettiva. Questi piccoli noduli posti nelle intersezioni strategiche del corpo umano (alla base del collo, sotto le ascelle, nell’inguine, nel torace tra i due polmoni) hanno infatti il compito principale di filtrare gli agenti infettivi e favorire la produzione di anticorpi in grado di combatterli. Trovare un linfonodo ingrossato è quindi un’evenienza piuttosto comune. I linfonodi sono anche importanti in un gran numero di malattie autoimmuni, come il lupus eritematoso sistemico, e ciò proprio per il loro ruolo di sentinelle del sistema immunitario. Quando bisogna preoccuparsi? Secondo gli esperti dell’ASCO, bisogna far valutare dal medico qualsiasi linfonodo che non diminuisca di volume nel giro di una decina di giorni. Inoltre se un linfonodo continua ad aumentare di volume, è necessaria una ecografia di controllo ed eventualmente una biopsia. I linfonodi possono aumentare di volume sia per neoplasie del sistema linfatico stesso (come le leucemie) sia per invasione da parte di cellule maligne provenienti da neoformazioni di organi vicini. Febbre persistente La febbre non è un sintomo tipico delle malattie oncologiche, almeno in fase iniziale: è più comune nelle forme metastatiche e per questo in genere non la si considera allarmante. Nonostante ciò è possibile che in alcuni casi un tumore alteri i sistemi di controllo della temperatura corporea. Può accadere, per esempio, nel caso di tumori del fegato e del pancreas. 23 Stanchezza Una stanchezza anomala che perduri a lungo può essere provocata da carenze nutrizionali o da anemia. Ma anche l’anemia stessa è un sintomo che può fungere da campanello d’allarme per una malattia oncologica. Ecco perché qualsiasi senso di spossatezza che duri oltre due settimane in assenza di una malattia o di una situazione oggettiva che lo giustifichi deve essere riferita al medico, che valuterà la necessità di procedere con altri esami. Tosse persistente La tosse persistente è tipica del fumatore e proprio per questa ragione è di scarsissima utilità nella diagnosi precoce del tumore del polmone. È talmente frequente che un fumatore soffra di infiammazioni dei bronchi da rendere pressoché inefficace il naturale campanello d’allarme costituito dalla tosse. C’è però una caratteristica che deve spingere tutti, fumatori compresi, a fare un ulteriore controllo ed eventualmente, su prescrizione del medico, una radiografia del torace: se la tosse è secca, dura da settimane o mesi e se si presenta in piccoli accessi circoscritti, per pochi minuti al giorno. 24 Rendiamo il cancro sempre più curabile NOTIZIARIO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA PER LA RICERCA SUL CANCRO VIA CORRIDONI 7 - 20122 MILANO T 02 77.97.1 - WWW.AIRC.IT La guaribilità media dei tumori è più che raddoppiata in soli 30 anni. Di questo progresso sono promotrici AIRC e la sua Fondazione FIRC, che investono su giovani talenti e progetti innovativi e diffondono corretta informazione sulle novità terapeutiSPECIALE ARANCEuna DELLA SALUTE che e diagnostiche e sugli stili di vita da adottare per una buona prevenzione. I COMITATI REGIONALI, UN PUNTO DI RIFERIMENTO PER TUTTI I NOSTRI SOCI Comitato Abruzzo Molise Viale Regina Elena, 126 65123 Pescara Tel. 085 352 15 com.abruzzo.molise@ airc.it Comitato Emilia Romagna Via delle Lame, 46/E 40122 Bologna Tel. 051 244 515 com.emilia.romagna@ airc.it Comitato Friuli Comitato Basilicata Venezia Giulia Via Orazio Petruccelli, 14 Via del Coroneo, 5 85100 Potenza 34133 Trieste Tel. 0971 411 208 Tel. 040 365 663 [email protected] [email protected] Comitato Calabria Viale degli Alimena, 3 87100 Cosenza Tel. 0984 41 36 97 [email protected] Comitato Lazio Viale Regina Elena, 291 00161 Roma Tel. 06 446 336 5 [email protected] Comitato Campania Via dei Mille, 40 80121 Napoli Tel. 081 403 231 [email protected] Comitato Liguria Via Caffaro, 1 16124 Genova Tel. 010 277 058 8 [email protected] Comitato Lombardia Via Corridoni, 7 20122 Milano Tel. 02 779 71 [email protected] Comitato Puglia Piazza Umberto I, 49 70121 Bari Tel. 080 521 870 2 [email protected] Comitato Marche c/o Istituto di biologia e genetica dell’Università politecnica delle Marche Via Brecce Bianche 60131 Ancona Tel. 071 280 413 0 [email protected] Comitato Sardegna Via De Magistris, 8 09123 Cagliari tel. 070 664172 [email protected] Comitato Piemonte Valle d’Aosta c/o Istituto per la ricerca e la cura del cancro Strada Provinciale 142, km 3,95 10060 Candiolo (Torino) Tel. 011 993 335 3 [email protected] Comitato Sicilia Piazzale Ungheria, 73 90141 Palermo Tel. 091 611 034 0 [email protected] Comitato Toscana Via Cavour, 21 50129 Firenze Tel. 055 217 098 [email protected] Comitato Umbria Via Brufani, 1 0614 Perugia Tel. 075 583 813 2 [email protected] Comitato Veneto Cà Michiel S. Marco 3907 (S. Angelo calle Avvocati) 30124 Venezia Tel. 041 528 917 7 [email protected] COME CURARE L’AZALEA DELLA RICERCA Si chiama Azalea Indica Syn Rhododendron Simsii Fam. Ericaceae. Piante Rattiflora Como Insegna Azalea di Gand: la prima IGP per un prodotto orticolo Le competenze e la professionalità nell'arco dei secoli hanno permesso all'azalea di Gand di diventare il primo prodotto orticolo a ottenere il 17 marzo 2010 l'etichetta europea di origine e di qualità IGP (Indicazione Geografica Protetta). Solo le azalee che corrispondono alle esigenze di qualità ben definite e coltivate in questa regione, potranno essere messe in vendita con il nome di azalee di Gand. Maggiori informazioni su www.gentseazalea.be Va collocata alla luce, non al sole diretto Deve essere bagnata abbondantemente (immersioni nel vaso) ogni 2/3 giorni Necessita di rinvasatura dopo la fioritura o di essere messa a dimora con terriccio a pH acido (torba) Ama ambienti luminosi e freschi Non sopporta temperature sotto i -5° ANCHE IL TUO 5X1000 METTE IL CANCRO ALL’ANGOLO. IL TUO 5X1000 X 4 NUOVI PROGETTI. MOLTIPLICA I RISULTATI DELLA RICERCA! Grazie alla scelta di oltre un milione di persone di destinare il proprio 5x1000 a AIRC, ai 10 progetti quinquennali partiti nel 2010 per cercare nuovi strumenti di cura si sono affiancati 4 progetti del nuovo programma sulla diagnosi e prevenzione, per moltiplicare fronti di azione e risultati entro 5 anni. Per questo ti chiediamo di sostenerci, inserendo il nostro Codice Fiscale e la tua firma nello spazio “Finanziamento della Ricerca Scientifica e della Università”. Rendiamo il cancro sempre più curabile. 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