������ ��������
L’arte nella sua forma più alta non è un lusso superfluo, anzi:
proprio nel nostro tempo essa svolge un compito irrinunciabile.
L’arte nella sua forma più alta mette a tacere i vaniloquenti,
dona raccoglimento ai distratti, profondità ai superficiali
e meravigliosa introspezione a coloro che vedono.
Creare e mettere a disposizione arte nella sua forma più alta
anche nella celebrazione della liturgia, nel culto dei misteri della fede,
significa accompagnare dolcemente al Sacro:
essa è pertanto un servizio fatto alla fede,
un’attività salvifica nei confronti del mondo.
(Ph. Harnoncourt)
Tanta parte della musica dorme nel passato e la incontriamo in rare occasioni. Non
sono mai quelle ufficiali. L’ antica armonia dell’ Occidente la si ritrova in rassegne
discrete, tra persone che si incontrano per il solo motivo di recare qualche
beneficio alla propria anima. Non ci sono cantanti di grido. Non si attende l’acuto
e il gesto patetico. Di solito non c’è nemmeno regia o allestimento. Ci sono note. E
basta.
E’ quanto avviene ogni anno nella nostra Cattedrale per il Concerto di Natale che
la Cappella Musicale prepara per la città e il territorio. Rara occasione di ascoltare
musica rara, che solo formazioni straniere e di professionisti hanno in repertorio e
che vendono al miglior offerente.
I Concerti natalizi della Cappella Musicale della Cattedrale hanno viziato da
qualche anno il pubblico lodigiano: l’hanno abituato a considerare normale e
dovuta l’eccezionale avventura dell’anima offerta dall’esecuzione di pagine di
grande impegno e di eccezionale bellezza.
Ogni uomo che non sia del tutto sprovveduto ha bisogno di nobili emozioni. E i
grandi della musica ne sanno regalare a piene mani.
Il Concerto di Natale di quest’anno si tinge di britannico. Saranno due pietre
miliari della musica anglosassone ad offrirci una serata diversa, più ricca e più
intensa. E a farci vivere quella nobile emozione.
1. W. Byrd (1543-1623), S i n g j o y f u l l y u n t o G o d , Anthem
(SSAATB)
a 6 voci
Prima di abbandonarci alle maestose e stupende sonorità dei cori di Handel, il gran
sassone, naturalizzato inglese, sembra doverosa una breve, ma significativa
incursione nel territorio della musica polifonica anglosassone, che ha in W. Byrd il
suo massimo esponente. L’Anthem1 che sarà eseguito rappresenta non solo un
prezioso gioiello della tèchne polifonica di Byrd, ma anche un eccellente preludio al
clima festoso che animerà l’intera serata.
Mai come nel Rinascimento il pensiero musicale dominò la scena delle arti,
assumendo il valore simbolico di un’estetica soprannaturale che poteva incarnarsi
nell’umano microcosmo modellandolo secondo criteri di perfezione. E fu proprio la
polifonia, sobrio sovrapporsi di voci, a rappresentare ora il traguardo di armonia da
raggiungere nella vita, ora l’attuazione momentanea e terrena di quel principio divino
che la musica rivelava all’uomo.
Ma se in Italia già alla fine del ‘500 si sperimentavano voci e strumenti insieme in
improvvisate scenografie per esprimere le umane passioni, in Inghilterra ancora per
un trentennio vanno per la maggiore la polifonia e l’aria accompagnata dal liuto.
Dire età elisabettiana significa cogliere gli aspetti molteplici di una grande civiltà nel
senso più ampio della parola. Il lungo regno di Elisabetta I fu un periodo di grande
splendore per le Arti e le Lettere inglesi; non fece eccezione la musica che sia in
ambito sacro, sia in ambito profano, vide fiorire un grandissimo numero di talenti.
In campo musicale è il tempo dei madrigalisti Thomas Morley e John Dowland, dei
polifonisti e dei musicisti da camera come lo stesso Morley, William Byrd e Orlando
Gibbons, quest’ultimi tra i più grandi autori di musica sacra del periodo. E’ il tempo di
William Shakespeare.
1
Il termine inglese Anthem può essere considerato l’equivalente, dal punto di vista
etimologico, al nostro «antifona» ed è generalmente impiegato per indicare musiche a più
voci, usate per il canto del mattino e della sera nella Chiesa anglicana. Sotto certi punti di
vista, la forma può essere considerata analoga al «mottetto».
Tracce del termine si riscontrano già in epoca preriformista, nelle forme antefn o antempn
(sec. XIII), ma è soltanto nella seconda metà del XVI sec. che l’uso diviene comune. La
produzione di Anthems si fa copiosa già al tempo della regina Elisabetta I. Il tipo
dominante, nel corso del secolo, è il full Anthem, un brano polifonico interamente eseguito
dal coro, in genere di stile omofono e sillabico. Più tardi si affermò un nuovo tipo, il verse
Anthem, che alternava brani (verses) corali con brani per uno o più solisti con
accompagnamento di strumenti. Il verse Anthem fu prediletto nel XVII sec. ed è ampiamente
rappresentato nell’opera di H. Purcell. Nel XVIII secolo, sotto l’influsso specialmente della
cantata italiana, il genere divenne virtuosistico, mentre ben presto si giunse a concepire
degli Anthems con accompagnamento d’orchestra, come sono quelli che Handel scrisse nel
1727 per l’incoronazione di Giorgio II.
Su tutti svetta la statura artistica di William Byrd (1543-1623), vero capostipite della
scuola musicale inglese, compositore completo e originale, dotato di un linguaggio
personale in tutti i generi che affrontò.
Il fatto d’ appartenere alla minoranza cattolica non gli impedì di occupare posizioni
di grandissimo rilievo all’interno della società inglese.
Così come nella sua produzione di carattere sacro, nel complesso un vero e
proprio scrigno di meraviglie, la sua fede religiosa non lo ostacolò nel comporre sia
per la liturgia anglicana - fu tra i primi a scrivere "anthems"-, che per quella cattolica.
Suddito fedele ma strenuamente cattolico, Byrd trovò nella protezione della
protestante Elisabetta I, amante della musica e lei stessa musicista, le condizioni
ideali per intraprendere liberamente il suo cammino di ricerca artistica, al riparo
dalle vessazioni cui erano sottoposti molti dei suoi correligionari. Organista e
gentleman della Chapel Royal, insieme al cattolico Tallis fu insignito dalla regina
dell’esclusivo privilegio di stampare musica nel 1575.
Le sue composizioni sono in gran parte su testo latino, spesso destinate al culto
cattolico, celebrato ormai in segreto nelle hidden chapels di alcune famiglie
aristocratiche inglesi rimaste legate all’antico credo. E’ tra queste composizioni
latine che troviamo alcuni capolavori di struggente intensità e bellezza, riflesso
delle drammatiche condizioni di una chiesa perseguitata e costretta alla
clandestinità. Anche la musica che Byrd scrisse per il rito anglicano, in lingua
inglese quindi, raggiunge i livelli qualitativi di quella cattolica, sebbene presenti più
spesso un carattere più estroverso e celebrativo.
Ne può essere prova l’anthem in programma Sing joyfully unto God a 6 voci (2 soprani,
2 alti, tenore e basso). Si tratta di un inno di giubilo, breve ma festoso, ricavato dal
salmo 81 (2-5), in cui il salmista invita a celebrare il Dio di Giacobbe con canti e
strumenti musicali. Questo anthem non fu mai pubblicato da Byrd, ma ebbe
grandissima popolarità al suo tempo, dato che il testo è presente in un centinaio
circa di manoscritti dell’inizio del XVII secolo e in raccolte a stampa.
E’ sicuramente uno degli anthems più perfetti scritti da un Byrd maturo: pur nella
sua brevità il contrappunto è serrato, ma lucido e ricco di vivacità ritmica. Lo
stesso trattamento sillabico, che doveva assicurare l’intelligibilità del testo,
conferisce alla tessitura musicale un sobrio carattere di continua animazione
ritmica. Particolarmente efficace è la sezione costruita con sonori accordi sulle
parole “Blow the trumpet in the new mon”, che può essere considerata uno dei primi
esempi di descrittivismo musicale. Tale “effetto” è ottenuto anche grazie alla
disposizione del coro nelle cattedrali inglesi: divisi in due ali (decani e cantores), i
coristi si alternano o si uniscono nel canto creando spesso straordinari giochi
imitativi, senza nulla togliere all’ omogeneità armonica del brano e alla chiarezza
del testo sacro, che per il cattolico Byrd era prioritaria, come egli stesso scrive:
“There is such profound and hidden power in sacred word that to one thinking upon things divine
and earnestly and diligently ponderino them, thes most suitable measures occur –I know not how
– as of themselves … spontaneously ”2.
2. G. F. Handel (1685-175923), F o u r C o r o n a t i o n A n t h e m s per soli, coro
e orchestra (HWV 258-261)
2.1. Handel fra musica sacra e operistica
Quando Handel arrivò in Inghilterra nel 1710, la sua fama era soprattutto quella di
compositore d’opera, genere che lo impegnerà ancora per una ventina d’anni.
Anche se ebbe raramente occasione, prima di quella data, di comporre pagine
corali, dato che l’opera era basata essenzialmente su recitativi e arie per voce
solista, Handel, che aveva al riguardo una solida formazione, essendo stato
musicista di chiesa durante la sua giovinezza ad Halle, era sempre desideroso di
mostrare ciò che sapeva fare anche su questo versante. A Roma, nel 1707, aveva
musicato tre salmi in latino, fra cui lo splendido Dixit Dominus. Poco dopo il suo
arrivo a Londra, compose degli anthems per la Cappella Reale; poi, nel 1713, musicò
il solenne Te Deum e lo Jubilate per celebrare la Pace di Utrecht. Da questo
momento, il genere musicale dell’anthem inglese per coro e solisti diventerà per
Handel un altro terreno fertile da coltivare e dal quale raccogliere i frutti più belli
della sua produzione. Un breve ma fecondo periodo (1717-1718) trascorso a
Canons, presso Edgware, residenza di campagna di James Brydges (futuro duca di
Chandos), gli permise di comporre i famosi “Chandos anthems”. All’inizio del 1720 le
occasioni di scrivere musica corale si limitarono agli anthems destinati sempre alla
Cappella Reale, quando la morte improvvisa del re Giorgio I di Hannover,
avvenuta nel giugno del 1727, gli offrì l’opportunità di mostrare il suo talento e di
dare il suo più alto e durevole contributo alla musica liturgica d’apparato
britannica.
Poco prima, con un decreto parlamentare del febbraio 1727, era stata concessa ad
Handel la cittadinanza inglese; potè così dichiararsi altrettanto britannico quanto il
re d’Inghilterra Giorgio I, tedesco come lui di nascita (Hannover) e finalmente
ricevere l’ambita carica di compositore della Cappella Reale, altrimenti preclusagli.
2.2. Perché la composizione dei Coronation Anthems fu assegnata a Handel?
Il re era morto l’11 giugno, di ritorno dalla Germania. Il suo unico figlio, Giorgio,
fu proclamato re tre giorni dopo dal Privy Council del re britannico. A partire dal
regno di Guglielmo il Conquistatore tutti i sovrani venivano incoronati
2
“Nei testi sacri si cela una forza così profonda e nascosta che, quando si riflette sulle cose
divine con fervore e intensità, le frasi musicali più appropriate sgorgano - non saprei dire
come - da sole, in modo del tutto spontaneo”.
nell’Abbazia di Westminster, una tradizione che risaliva al 1066. Per il rito di
incoronazione di Giorgio II, il nuovo re d’Inghilterra, si esigeva una cerimonia
magnifica e pomposa con musica adeguata e festosa.
Il Privy Council si riunì tre giorni dopo il decesso del re, ma con un nuovo monarca
sul trono gli affari di stato più urgenti non potevano attendere. Fu solo l’11 Agosto
che il Consiglio affrontò la questione dell’incoronazione, per la quale venne
stabilita la data del 4 ottobre. Con tutta probabilità i dettagli pratici del rito saranno
stati affidati momentaneamente al Gran Ciambellano e al Decano della Cappella
Reale, Edmund Gibson (che era al tempo stesso Vescovo di Londra), in attesa che
l’arcivescovo di Canterbury, William Wake, tornasse da un periodo di
convalescenza a Tunbridge Wells.
Secondo la tradizione, la maggior parte della musica per l’incoronazione era presa
dai riti precedenti. Nel caso di nuove composizioni, il compito spettava
all’organista titolare della Cappella Reale, che in quel periodo era William Croft.
Ma, per ironia della sorte, il 14 agosto Croft moriva improvvisamente. Il 18 Agosto
il vescovo di Salisbury raccomandava Maurice Greene alla successione di organista
titolare, ma sarebbe stato ufficialmente nominato solo il 4 settembre, data in cui i
preparativi per l’incoronazione dovevano essere già a buon punto. Sembra tuttavia
che il nuovo Re avesse già deciso, e il 9 settembre i giornali londinesi annunciavano
che «M. Handel, famoso compositore di opere, è stato nominato dal Re per
comporre l’anthem della messa di incoronazione che sarà celebrata nell’Abbazia di
Westminster durante la solenne Cerimonia». Sembra che Handel, di fatto, sia stato
incaricato di comporre non uno, ma quattro nuovi mottetti per l’occasione. Inoltre
Handel dovette rappresentare la scelta ovvia come compositore dei grandi inni
della cerimonia. Altri musicisti forse potevano vantare maggiori diritti quanto ad
anzianità, ma Handel soltanto possedeva uno stile che era in grado di adattarsi
felicemente al teatro, alla chiesa, alle celebrazioni nazionali, o a una combinazione
di questi tre aspetti com’era una liturgia per l’incoronazione. Una cerimonia che dal
tempo di Giacomo II (1633-1701) rivestiva ancora più importanza perché veniva
incoronata anche la Regina consorte.
Si racconta che egli si sia messo subito all’opera, senza ricevere o attendere da parte
dell’arcivescovo istruzioni precise sul rito.
Solo il 20 settembre, pare dopo frenetiche discussioni fra arcivescovo e Consiglio,
si rese noto l’ordine della cerimonia, basato sul programma della messa di
incoronazione della regina Anna (1702). Al tempo stesso venne annunciato che
l’incoronazione doveva essere rinviata di una settimana perché l’alta marea
minacciava di inondare Westminster proprio per la data prevista.
Per l’occasione furono stampate solo 100 copie del programma della cerimonia, di
cui cinquanta destinate ai Lords del Privy Council di Sua Maestà e le altre cinquanta
per i vescovi e gli alti prelati concelebranti. Probabilmente la folla degli invitati che
si attendeva, circa un migliaio di persone, non ricevette alcun libretto. Si
accontentò di leggere l’annuncio e il relativo programma del 4 ottobre sul Parker’s
Penny Post il quale, fra l’altro, riferiva che la data delle prove era tenuta segreta,
affinché il pubblico non disturbasse gli esecutori. Comunque già nelle prime prove
esecutori e musica avevano suscitato l’ammirazione degli esperti di musica, i quali
assicuravano che il risultato era sorprendente, superiore ad ogni attesa.
Per l’occasione Handel compose 4 maestosi Anthems, dove poté sperimentare
l’associazione dell’esperienza dei cori inglesi col talento dei musicisti e dei cantanti
dei teatri londinesi.
Un articolo del Norwich Gazette del 14 ottobre 1727 informa: “C’erano 40 coristi e
circa 160 fra violini, trombe, oboi, timpani e bassi in proporzione, oltre ad un
organo, che per l’occasione, è stato installato dietro l’altare”.
Secondo C. Burney, i testi degli anthems erano stati inviati ad Handel «dai vescovi
… ai quali egli rispose, un po’ seccato, ritenendosi offeso perché pensava che quel
gesto significasse che egli ignorasse le Sacre Scritture: “Conosco perfettamente la
Bibbia e saprò scegliere bene da solo”»3. La scelta fu senza dubbio felice,
nonostante le critiche dell’arcivescovo Wake, perché i testi musicati da Handel da
allora sono diventati parte integrante delle cerimonie di incoronazione dei re
d’Inghilterra. Let thy hand be strengthened sembra essere stato concepito per uno dei
primi momenti del rito («Recognition»); Zadok the Priest per l’unzione; The King shall
rejoice per l’incoronazione vera e propria; infine My heart is inditing per
l’incoronazione della regina.
2.3. Il rito dell’incoronazione
Era una mattinata piovosa quando Giorgio II fu incoronato insieme alla sua
consorte Carolina l’11 ottobre 1727. E’ certo che, oltre ai quattro anthems composti
da Handel per l’occasione, furono eseguite anche composizioni di Purcell, Blow,
Child, Gibbons, Farmer e Tallis, dato che il rito prevedeva ben 13 diversi momenti:
Procession, Entrance, Recognition, Litany, Anointing, Investiture, Crowning, Te Deum,
Inthronisation, Homage, Coronation of the Queen, Communion, Recessional.
Non esiste alcuna relazione dettagliata circa i brani eseguiti il giorno
dell’incoronazione. Sono però conservate alcune irritate annotazioni
dall’arcivescovo Wake sul registro delle funzioni che ci offrono indicazioni
preziose ed interessanti. Grazie a tali annotazioni e a ricerche d’archivio D.
Burrows, il più autorevole biografo di Handel, ha ricostruito come si svolse
approssimativamente il rito della incoronazione di Giorgio II4. Sulla base delle sue
informazioni rivivremo idealmente quella mattinata percorrendo le singole fasi
della cerimonia, soffermandoci in particolare sui momenti in cui furono eseguiti gli
anthems di Handel.
Il suono delle grandi campane dell’Abbazia invitava simbolicamente l’assemblea
degli invitati ad entrare e annunciava alla folla esterna che il solenne rito stava per
3
C. Burney, An Account of the Musical Performances in Westminster Abbey: in Commemoration of
Handel, London 1785 (rist. 1964), p. 178.
4 Cfr. D. Burrows, Handel and the 1727 Coronation, «Musical Times», 118 (1977), pp. 469-473.
Dello stesso autore fondamentale la biografia di Handel: D. Burrows, Handel, Oxford 1999
(per i Coronation anthems cfr. p. 154 ss e passim ).
iniziare. Il corteo reale era accompagnato dalla prima delle numerose fanfare5 di
trombe, eseguita dai trombettieri della Casa Reale posizionati su entrambi i lati
ovest dell’Abbazia. Un’altra fanfara accompagnava l’ingresso (P r o c e s s i o n ) della
coppia reale nell’Abbazia, dove era accolta dal coro di Westminster e della Cappella
Reale che eseguivano il mottetto O Lord, grant the King a long life (“O Signore, concedi
lunga vita al re”) di W. Child (1606-1697). Mentre il corteo dei sovrani, preceduto
dai vescovi e dal clero, attraversava la navata centrale del tempio per raggiungere i
rispettivi seggi, posti sotto i due troni, i cori eseguivano come canto d’E n t r a n c e
l’anthem di H. Purcell (1659-1695) I was glad they said unto me (“Mi rallegrai quando mi
dissero”). Seguiva, quindi, il momento della R e c o g n i t i o n (“Riconoscimento”), vale a
dire il momento in cui l’arcivescovo, accompagnato dal Gran Cancelliere, dal Gran
Ciambellano e da altri dignitari, presentava il nuovo sovrano al popolo e gli
domandava se voleva rendere omaggio al suo re.
I vescovi, i Lords e i Nobili esprimevano ad una sola voce l’assenso e la gioia
dell’intera assemblea con l’acclamazione “God save King George”. Subito dopo
un’altra fanfara di trombe rendeva omaggio al re. Si racconta che a questo punto
l’arcivescovo Wake si sarebbe aspettato l’esecuzione della nuova versione di
Handel dell’anthem The King shall rejoice, ma, con sua grande sorpresa (manifestata
poi con le parole «anthem molto confuso»), il coro e l’orchestra attaccavano con L e t
t h y h a n d b e s t r e n g t h e n e d 6.
Dei quattro nuovi mottetti di Handel, composti per l’occasione, questo, che non
prevede trombe e timpani, si adatta perfettamente a questo momento della
cerimonia, sia dal punto di vista contenutistico (il testo è derivato dal salmo 89, vv.
13-14), che musicale. Il movimento iniziale [Allegro], richiamandosi alle parole del
salmo che esalta “la sua mano destra”, è incisivo e trasmette fermezza e sicurezza,
in evidente contrasto con il tempo centrale [Larghetto], che colpisce per il tono
malinconico, creando per così dire un contrasto con il senso delle parole. Tuttavia
tale andamento è eloquente: la connotazione quasi lamentosa sulle parole “Let
Justice and Judgement” vuole significare la gravità dell’impegno che il monarca si
assume, in quanto il regno è un compito che comporta dei sacrifici, in virtù del
mandato divino che lo investe. L’anthem si chiude, come a suggellare l’impegno
assunto dal re, con un festoso “Alleluia”, costruito con solida tecnica
contrappuntistica.
Subito dopo l’esecuzione di questo anthem, la Bibbia, la patena e il calice venivano
portati all’altare da tre vescovi, e una processione di Nobili consegnava
all’arcivescovo le insegne reali, che il Diacono di Westminster deponeva sull’altare,
5
Anche durante il concerto di questa sera, tra un anthem e l’altro, verranno eseguite alcune
di queste fanfare.
6 L’esecuzione in concerto, come del resto anche nelle incisioni, assegna al primo posto
Zadok the Priest secondo la numerazione del Catalogo delle opere di Handel (HWV =
Handel Werke Verzeichnis) e per le ragioni che saranno presto dette. Non ci sono dubbi
sul fatto che l’anthem L e t t h y h a n d b e s t r e n g t h e n e d dovesse essere eseguito a questo punto
della cerimonia.
mentre il re e la regina si inginocchiavano per il canto delle L i t a n y nella versione
di T. Tallis (1505-1585).
Il momento più suggestivo, prima della incoronazione vera e propria, era
rappresentato dal rito dell’unzione (A n o i n t i n g ), preparato dal canto del Veni
Creator Spiritus composto da J. Farmer (fl. 1591-1601). Dopo questo antico inno
nella versione anglicana, durante l’unzione del re veniva eseguita un’opera destinata
a restare la più grande composizione di incoronazione. Si tratta del celebre Z a d o k
t h e P r i e s t , ricavato dal I libro dei Re, che spicca per bellezza e impatto
emozionale, l’unico dei quattro eseguito senza soluzione di continuità in tutte le
incoronazioni a Westminster. Il preludio si apre con un leggero arpeggio dei
violini e con note ribattute dal resto dell’orchestra (archi, oboi, fagotti e bassi), e “si
sviluppa con un inesorabile crescendo che culmina – per dirla con Lang - nella
sorprendente entrata del coro, una vera esplosione di voci (sono ben sette le
parti!)”7. Il motivo della gioia (“And all the people rejoiced”), espresso dal ritmo
puntato, l’acclamazione “God save the King” e la ripetizione alternata degli “alleluia”
e degli “amen” creano una pagina di musica spettacolare e inimitabile.
Dopo l’unzione, in cui il re è stato unto con l’olio consacrato sulla testa, sul petto e
sulle mani, seguiva il momento dell’I n v e s t i t u r e . Nel corso di una serie di
cerimonie parlate il sovrano riceveva l’anello, due scettri, sormontati l’uno da una
colomba l’altro da una croce, gli speroni, la spada e il globo. La conclusione dell’
investitura era salutata da una fanfara di trombe e di timpani e dall’anthem di J.
Blow (1649-1708) Behold, o God, our defender (“O Signore, nostro difensore, veglia”).
E siamo giunti al cuore dell’evento: la C r o w n i n g (Incoronazione). L’arcivescovo
prendeva la corona dall’altare, la benediceva e, assistito da altri vescovi e dal
Decano di Westminster, incoronava il re Giorgio II. Un’altra fanfara di trombe e
l’acclamazione “God save the King” salutava il nuovo re. Perfettamente appropriato
all’evento, il T h e K i n g s h a l l r e j o i c e di Handel echeggiava allora al suono
sfavillante dell’ouverture iniziale. Qui archi, oboi, trombe e timpani preparano
l’entrata esultante (“rejoice”) del coro. Come spesso accade con Handel,
l’espressione musicale delle parole è semplice, ma efficace: alla parola “rejoice”
corrisponde una frase ampia, mentre per “in thy strength, O Lord” (“nella tua potenza, o
Signore”) è rigorosamente omofona. Il secondo movimento, molto lirico, “exceding
glad shall he be” (“quanto è grande la sua gioia”) presenta una scrittura rasserenante e
discreta in tre tempi, cui segue, per contrasto, un grandioso e squillante “Glory and
worship”. “Thou hast prevented him” (“Gli vieni incontro”) è un modello al tempo stesso
di lirismo per la misura in tre tempi, e di solennità per gli accordi energici e pieni.
Significativa poi l’entrata delle trombe sulle parole “hast set a crown of pure gold” (“gli
poni sul capo una corona di oro puro”). L’anthem si chiude con un possente Alleluia
fugato, in cui non possono sfuggire alcuni tratti originali: il crescendo dei soprani, gli
accordi che accentuano l’ultima sillaba della parola “alleluia” (c’è chi vi ha visto
�
P. H. Lang, Händel, Milano 1985, p. 254. Si veda anche C. Hogwood, Georg Friedrich
Händel, Pordenone 1991, pp. 101-102.
quasi delle “risate” di gioia) e l’effetto creato dalla lunga pausa prima delle ultime
battute.
Dopo che l’arcivescovo ha presentato la Bibbia del re, per significare la saggezza e
la giustizia, e dopo averlo benedetto, il coro intonava il canto di ringraziamento, il
T e D e u m di O. Gibbons (1583-1625). Terminato il Te Deum, il re veniva
accompagnato al trono dai vescovi, dai Lords e dai Nobili. Ancora una fanfara
solennizzava il momento dell’ I n t h r o n i s a t i o n , mentre i Lords presentavano il loro
H o m a g e «pubblico e solenne» al sovrano inginocchiandosi davanti a lui. Intanto il
coro intonava l’anthem di J. Blow God spake sometime in visions (“Dio ha parlato in una
visione”) tratto dal salmo 89. Al termine dell’anthem, l’assemblea era chiamata a
vivere di nuovo una grande emozione: al suono dei tamburi e delle trombe tutto il
popolo, ad una sola voce, esclamava “Dio salvi il re Giorgio! Lunga vita al re Giorgio!
Vita eterna al nostro re!”.
Il re era stato ormai incoronato. La regina, che era rimasta seduta e in silenzio
durante tutta la cerimonia, veniva unta in questo momento con l’olio consacrato
(C o r o n a t i o n o f t h e Q u e e n ). Riceveva quindi un anello e la corona, lo scettro e il
bastone d’avorio. Il contributo conclusivo di Handel per la messa
dell’incoronazione riprende il testo tradizionale dell’incoronazione delle regine, M y
h e a r t i s i n d i t i n g , il cui testo è derivato parte dal salmo 45 e parte dal profeta Isaia.
Non meno ampio degli altri anthems scritti per il re, questo mottetto rende omaggio
alla natura più dolce della regina, riservando l’entrata del coro con le trombe e i
timpani solo a metà del primo movimento [Andante]. Esso si distingue dagli altri
anthems anche per l’impiego di voci soliste: dopo l’introduzione orchestrale, i solisti
intonano ad entrate successive una melodia che poi sarà ripresa, leggermente
variata, dal coro. Particolarmente dolce ed elaborato al tempo stesso il secondo
movimento [Andante], dove si dice che “King’s daughters were among thy honourable
women” (“Figlie di re stanno tra le tue predilette”), in cui le voci femminili, soprattutto
nelle battute iniziali, si impongono per grazia e delicatezza. La sezione successiva
[Andante] “Upon thy right hand did stand the Queen in vesture of gold” (“Alla tua destra la
regina in abiti d’oro”), è costruita su uno schema di danza, il cui ritmo si arricchisce di
nuove figurazioni sulle parole “and the King shall have pleasure in thy beauty” (“al re
piacerà la tua bellezza”). Certamente originale l’ultimo movimento [Allegro e
staccato], dove il re e la regina figurano uniti, ma distinti da due temi diversi: uno
più deciso e marcato, più maschile, riservato al re (“Kings shall be thy nursing fathers”)
ed uno più dolce e femminile, riservato alla regina (“and queens thy nursing mothers”).
L’intero versetto è ripreso nella parte conclusiva dell’anthem, in cui l’aggiunta di
trombe e timpani conferisce maestosa solennità all’intero brano.
A questa cerimonia faceva seguito la C o m m u n i o n il cui commento musicale era
affidato unicamente all’organo. Terminati i riti, il re e la regina si preparavano alla
processione finale (R e c e s s i o n a l ) riprendendo le insegne della regalità: corona,
scettro e manto di porpora. Scendendo lungo la navata centrale del tempio, fra due
ali di Nobili e dignitari, il corteo reale si avviava verso l’esterno per essere
acclamato dal popolo e accolto dal suono festoso delle campane di tutte le chiese
di Londra.
3. G. F. Handel (1685-175923), C o n c e r t o o p . 3 n ° 3 i n s o l m i n o r e per
oboe e orchestra (HWV 287)
Il Concerto per oboe e orchestra in sol minore di Handel, che la Capella Instrumentalis
Laudensis eseguirà, dopo i primi due Coronation Anthems, appartiene ai sei Concerti op.
3, noti anche come Concerti per oboe, che furono probabilmente composti a
Cannons, presso la residenza del duca di Chandos (1717-1718). Come scrive
Burney «vennero chiamati Concerti per oboe benché avessero pochissimi soli per
questo strumento; molti passaggi e sezioni tra i più difficili erano destinati al
violino primo... ed erano concepiti in modo mirabile per un complesso strumentale
numeroso e potente»8. In verità si tratta di concerti grossi con fiati, meno interessanti
di quelli posteriori dell’op. 6, ma non privi di musica bella e piacevole, in cui
Handel dimostra di restare fedele alla tradizione italiana di Corelli, Albinoni,
Locatelli. Si tratta di musica “popolare” nel senso migliore del termine, musica
semplice, scorrevole, articolata in maniera chiara in cui trionfa l’armonia. Il
contrasto fra il tutti e il concertino è di solito molto evidente, perché il tutti è energico
mentre i soli sono dolci e a volte persino privi di accompagnamento. Handel era
uno dei più grandi maestri del contrappunto del tempo, tuttavia non aveva
interesse per una complicata scrittura delle parti, ma piuttosto per una espressione
plastica, per la melodiosità e per un suono strumentale differenziato9.
Tutto ciò trova conferma nel Concerto in sol minore. L’opera, in forma di Suite,
suddivisa in quattro tempi Grave – Allegro – Sarabande (Largo) – Allegro, è percorsa
da una cantabilità che è cifra distintiva di ogni movimento, ma che trova
espressione più eloquente nei tempi lenti, come nell’intensa Sarabanda, mentre nei
tempi veloci lo strumento solista dispiega in alcuni passaggi un tale dinamismo da
conquistare l’ascoltatore.
Ci siano consentite, dopo questa lunga e forse noiosa presentazione del concerto di
Natale, due riflessioni conclusive.
La prima riguarda Handel, senza dubbio il protagonista del comcerto: deve essere
ascoltato con incantamento. La sua musica è tutta bella, luce su luce, chiarezza su
chiarezza, Si impone con limpida aristocrazia, con elementare semplicità. Le sue
opere sacre sono preghiere così terse, cartoni così nitidi di affreschi su navate
sconfinate che meriterebbero una freschezza naturale e affettuosa in chi ascolta,
ammaliato dalla bellezza confidenziale delle melodie. E nulla più.
8
�
Ch. Burney, op. cit., p. 120.
Cfr. P. H. Lang, op. cit., p. 719.
La seconda riguarda ognuno di noi. La musica ci parla, e ci parla in una Cattedrale,
sede privilegiata delle più alte manifestazioni religiose diocesane. In una Cattedrale
che da sempre è luogo di incontri spirituali e culturali.
Musica loquitur. La musica ci parla per ammaestrarci con la lezione di suoni capaci di
colorare spiritualmente le nostre sensibilità culturali e umane e incoraggiarci verso
percorsi ineffabili fatti di ascolti e silenzi, che con il loro alternarsi creano il
movimento più interiore della vita che guarda verso la volta celeste, segno
dell’armonia divina. Alzando lo sguardo verso la volta della nostra Cattedrale
quando la musica risuona, si può già pregustare la dimensione infinita dello spirito,
riflessa nella ineffabilità di quella musica.
Ettore Garioni
CAPPELLA MUSICALE DELLA CATTEDRALE DI LODI
RAGAZZI CANTORI
CAP E LLA I NS TR U ME NT A LIS LA UDE N SI S
Violini I
Violini II
Violini III
Silvia Colli, Francesca Micconi, Raoul Orellana
Yayoi Masuda, Chiara Zanisi, Steve Slade
Liliana Mijatovic, Elena Marazzi, Giacomo Trevisani
Viole
Celli
Basso
Enrico Groppo, Ottavia Rausa
Micael Chiareppa, Vanessa Petrò
Alberto Lo Gatto
Oboi
Fagotto
Organo
Simone Toni, Gianmarco Solarolo
Cecilia Medi
Elvia Soresini
Trombe
Timpani
Jonhatan Pia, Luciano Marconcini, Alessio Moretto
Nicola Moneta
Programma
W. Byrd (1543-1623)
Sin g joyfully unto God
Anthem a 6 voci
Sing joyfully unto God our strength.
Sing loud unto the God of Jacob.
Take the song and bring forth the
timbrel,
the pleasant harp and the viol.
Blow the trumpet in the new moon,
even in the time appointed and at
our feast day.
For this is statute for Israel,
and a law of the God of Jacob.
Cantate con gioia a Dio, nostra forza.
Cantate a voce alta al Dio di Giacobbe.
Intonate il cantico e portate fuori il
timpano,
l’ arpa melodiosa e la cetra.
Date fiato alla tromba nel novilunio,
proprio all’ora fissata e nel nostro giorno
festivo:
perché questa è una legge per Israele
e un decreto del Dio di Giacobbe.
fanfara
ANTHEM I
Zadok the priest
HWV 258
Zadok the priest
and Nathan the prophet
anointed Solomon the King.
And all the people rejoiced
and said:
God save the King!
Long live the King!
May the King live for ever.
Alleluia. Amen.
(I Libro dei Re 1, 39 …)
Zadok il sacerdote
e Natan il profeta
hanno unto re Salomone.
E tutti furono pieni di gioia
e dissero:
Dio protegga il re!
Gli doni lunga vita!
Gli conceda di vivere per sempre.
Alleluia. Amen
fanfara
ANTHEM II
Let t hy han d be st ren gt hn ed
HWV 259
Let thy hand be strengthned,
and thy right hand be exalted.
La tua mano è forte,
alta la tua destra.
Let justice and judgment
be the preparation of thy seat!
Let mercy and truth
go before thy face.
Giustizia e diritto
sono la base del tuo trono.
Grazia e fedeltà
precedono il tuo volto.
Alleluia
(Salmo 89, 13-14)
Alleluia.
G. F. Handel (1685-175923)
Conce rto op. 3 n° 3 i n sol mi nore
Grave, Allegro, Sarabande, Allegro
Simone Toni oboe
fanfara
ANTHEM III
The Ki n g shall rej oi ce!
HWV 260
The King shall rejoice
in thy strength, o Lord.
Signore il re gioisce
della tua potenza.
Exceeding glad shall he be
of thy salvation.
Quanto esulta
per la tua salvezza.
Glory and great worship hast
thou laid upon him.
Lo avvolgi di maestà
e di onore.
Thou hast prevented him
with the blessings of goodness
and hast set a crown of pure gold
upon his head.
Gli vieni incontro
con larghe benedizioni,
gli poni sul capo una corona
di oro fino.
Alleluia.
(Salmo 21, 1-3.5)
Alleluia.
fanfara
ANTHEM IV
My heart is in ditin g
HWV 261
My heart is inditing of a good
matter;
I speak of the things
which I have made unto the King.
Effonde il mio cuore
liete parole
io canto al re il mio poema.
King’s daughters were among
thy honourable women.
Figlie di re stanno tra le tue predilette.
Upon thy right hand did stand
the Queen in vesture of gold;
and the King shall have pleasure
in thy beauty.
Alla tua destra
la regina in abiti d’oro;
al re piacerà la tua bellezza.
Kings shall be thy nursing fathers,
and queens thy nursing mothers.
(Salmo 45, 1.10.12 - Isaia 40, 23)
I re saranno i tuoi tutori,
le loro principesse le tue nutrici.
G. F. Handel (1685-175923)
A l l e l u i a (dal Messia)
Scarica

libretto interno.indd