CHE COSA NON È L’ENERGIA – PARTE SECONDA
Finalmente! Finalmente, nella mia più che ventennale battaglia contro l’idea che, in fisica, l’energia
rappresenti la capacità di lavoro (come si legge in tutte le enciclopedie, e in tutti i libri di testo che si
avventurano in una definizione) non mi sento più solo. Fino a ieri, non ero in grado di citare un solo autore a sostegno della mia critica: tutto quello che potevo fare era di avvertire che nessuno dei tanti docenti (stranamente, tutti universitari) che mi hanno scritto a proposito del mio 100 errori di fisica (nel
quale la mia critica a quella definizione di energia compariva per la prima volta) aveva trovato da ridire
sulle mie argomentazioni. Potevo magari aggiungere che proprio la lettura di quel libretto aveva indotto
il prof. A. Dupasquier (Politecnico di Milano) a propormi la collaborazione didattica che, iniziata con
l’anno accademico 93-94, è tuttora in corso. E potevo citare le parole con cui, in epoca più recente,
Friedrick Herrmann, un’autorità indiscussa nella didattica della fisica di base, aveva elogiato quel mio
librino (in cui ben otto dei cento capitoletti trattano l’argomento energia). Non è poco, ma non poteva
bastare: dovevo poter citare, a sostegno delle mie idee, le parole esplicite di qualche studioso più autorevole di me.
Adesso finalmente lo posso fare, grazie gli amici prof. Riccardo Urigu e prof. Gabriele Varieschi (direttore della rivista La fisica nella scuola il primo, docente di fisica alla Loyola University di Los Angeles il secondo) che mi hanno fatto conoscere alcuni articoli apparsi in anni ormai lontani su Physics
Teacher.
Il primo articolo, firmato da Robert L. Lehrman, risale al gennaio 1973: si intitola, significativamente, Energy is not the ability to do work [1] Del successivo maggio è una replica, a mio parere assai debole, di M. Jona, titolo Energy is the ability to do work [2] immediatamente seguita da una breve, secca
risposta con cui Lehrman chiude la discussione. Dieci anni più tardi, Nancy Hicks sferra, all’idea di
energia come capacità di lavoro, un secondo attacco [3]: evidentemente, dieci anni erano passati invano,
la critica di Lehrman non aveva sortito alcun effetto! Ma oggi, a oltre trent’anni di distanza dallo scritto
della Hicks, possiamo ben dire che neanche la sua critica è servita a qualcosa: e io prendo atto che
l’inefficacia della mia battaglia ha precedenti illustri.
Io però ho qualcosa da contestare anche a Lehrman e alla Hicks. Prima di tutto, a mio parere finisce
per essere fuorviante ricorrere, come loro fanno, ad argomentazioni avanzate, tipo principi della termodinamica. Io sono convinto che basti molto meno, e credo di averlo dimostrato nel mio precedente articolo. Ma ho qualche obiezione più fondamentale. Il secondo principio della termodinamica, invocato a
riprova del fatto che l’energia si conserva ma la possibilità di trarne lavoro no, si riferisce in realtà non,
genericamente, alla possibilità di ottenere lavoro, ma di ottenere ‘lavoro utile’ (utile ai fini delle applicazioni tecniche, il lavoro che, nelle macchine termiche, trova riscontro nella produzione di energia cinetica macroscopica). Il calore che, in un ciclo termico, viene trasferito da alta a bassa temperatura, è
una conseguenza della limitazione tecnologica imposta dal fatto che le macchine termiche non possono
che funzionare per cicli: in una semplice espansione isoterma, tutta l’energia fornita a un gas perfetto
sotto forma termica si traduce in lavoro compiuto dal gas. Per di più, il calore trasferito a bassa temperatura (con perdita di lavoro utile) corrisponde a energia cinetica che, anziché essere prodotta a livello
di moto ordinato delle molecole, viene prodotta a livello di moto disordinato (agitazione termica).
L’energia fornita dalla sorgente calda è stata dunque tutta utilizzata nell’esecuzione di lavoro: parte a
livello macroscopico, collettivo, parte a livello microscopico, individuale.
Contesto da ultimo, ancora una volta, che una semplice e rigorosa definizione di energia non sia possibile: la Hicks lo dice più chiaramente, Lehrman lo fa capire. Non sono d’accordo. Finiamola, in particolare, con le “tante forme di energia”, discorso che serve solo a confondere le idee. Il discorso sull’energia può essere (deve essere) di una semplicità meravigliosa. Lo schema potrebbe essere questo.
1. Ci sono, nella fisica classica, due forme di energia: l’energia cinetica e l’energia potenziale.
2. L’energia cinetica è la metà del prodotto massa per velocità al quadrato.
3. Il lavoro è ciò che produce variazioni dell’energia cinetica.
4. L’energia potenziale è il lavoro eventuale delle forze conservative.
5. Quando tali forze lavorano, di tanto diminuisce (o aumenta, se il lavoro è negativo) l’energia potenziale, di altrettanto aumenta (o diminuisce) l’energia cinetica.
6. La conservazione dell’energia complessiva dell’universo consegue dal fatto che, a livello di singole
particelle, tutte le forze sono conservative.
7. La degradazione dell’energia (la diminuzione della possibilità di ottenere lavoro utile) consegue dal
fatto che una configurazione disordinata di particelle è più probabile di una configurazione ordinata.
Domanda finale: come mai questa discutibilissima definizione di energia come capacità di lavoro continua ad avere tanta fortuna? Mi sembra chiaro, perché corrisponde bene al senso che alle parole si dà nel
linguaggio corrente. In una vecchia edizione (1969) del testo di fisica generale di Alonso-Finn leggo: let
us remind the student that these concepts of work and energy, as used in physics, have very precise
meanings that must be understood thoroughly, and must non confused with the same terms as they are
loosely used in daily life. Parole sante! Ma, oggi possiamo ben dirlo, perfettamente inutili.
[1] Robert L. Lehrman, ‘’Energy Is Not The Ability To Do Work”, The Physics Teacher, 11, 15 (1973)
[2] M. Iona, The Physics Teacher, 11, 259-313 (1973)
[3] N. Hicks, "Energy is the capacity to do work-or is it?”, The Physics Teacher, 21, 529 (1983)
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