INCONTRO –DIBATTITO Dei delitti e delle pene: giustizia ed economia politica Roma, 26 novembre 2014 Il libro immortale di Beccaria: dalla forza delle idee al «fremito» dello stile Ennio Amodio Professore emerito di procedura penale Università di Milano (sintesi dell’intervento) Il libro immortale di Beccaria:
dalla forza delle idee al «fremito» dello stile.
Ennio Amodio
Professore emerito di procedura penale
Università di Milano
(sintesi dell’intervento)
1.- Dei delitti e delle pene specchio della pluralità dei saperi. 2.- La giustizia
penale di Beccaria come baluardo contro gli abusi in danno dei diritti di
libertà. 3.- Il modello matematico nella legislazione penale e nella analisi dei
fatti economici. 4.- Lo stile in Dei delitti e delle pene: il calcolo delle
sensazioni nell’intreccio tra idee principali e idee accessorie.
1.- Dei delitti e delle pene specchio della pluralità dei saperi.
Come studioso di diritto penale dovrei rimanere nel recinto del giurista e
parlare del Beccaria artefice di una radicale trasformazione del diritto di punire
costruita sulle macerie dell’Antico regime. La sua analisi delle «infelici
procedure criminali» e il suo sdegno per le atrocità consumate nei confronti
degli inquisiti dalla giustizia del suo tempo lo hanno condotto a fondare i
principi del sistema penale moderno: legalità, proporzionalità e prontezza delle
pene, umanizzazione del trattamento carcerario e di quello processuale
dell’imputato.
La formula scelta per questo incontro sollecita però l’adesione ad una
prospettiva più ampia. E anche gli studi più recenti, da quello di Giuseppe
Zarrone del 1971 al contributo di Philippe Audegean pubblicato quest’anno in
Italia, invitano ad una riflessione che sappia far affiorare la pluralità dei saperi
insiti nella personalità di Cesare Beccaria. Tre diversi aspetti della sua
fisionomia di illuminista europeo emergono alla attenzione della storiografia
contemporanea: sapere giuridico, sapere economico e sapere “comunicativo”.
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Non ho certo l’ambizione in questa sede di andare alla ricerca dei tratti
che definiscono l’unità del pensiero di Beccaria. Piuttosto voglio qui tentare di
rintracciare in Dei delitti e delle pene lo specchio di una filosofia che già rivela
la consapevolezza circa la pluralità degli aspetti riguardanti la scienza
dell’uomo, che verranno a maturazione successivamente, con le Ricerche sulla
natura dello stile del 1770 e con la trattazione più impegnata dei temi
economici contenuta negli Elementi di economia pubblica, opera apparsa post
mortem nel 1804.
E’ un obiettivo che deve anzitutto prendere le mosse dal rilievo che Dei
delitti e delle pene non è un’opera giuridica in senso stretto. E’ l’esemplare
progetto di un nuovo regime penale uscito dalla penna di un grande riformatore
che sviluppa un discorso di politica legislativa. La scienza della legislazione è
lo sbocco naturale di un ripudio del sistema di giustizia dell’Antico regime.
A questo nuovo orizzonte, pensato in ossequio all’utile individuale e
sociale per la felicità degli uomini, Beccaria giunge facendo leva su un modello
matematico di precisione e chiarezza che anticipa l’uso del calcolo, sottratto
alla fluttuazione dei sentimenti, che si ritrova tanto nel lavoro di politica
economica quanto nell’indagine sulla natura dello stile.
Infine, proprio con la prosa serrata, veemente e al tempo stesso lucida e
impietosa nel catalogare gli arbitrii e i soprusi della giustizia penale, Beccaria
dimostra di saper far uso di quello stile che descriverà sei anni dopo nella sua
opera dedicata ai modi di suscitare il “fremito del piacere”. E conferma così
che la straordinaria fortuna della sua opera deriva anche da un modo di
argomentare capace di imprimere nell’animo dei lettori il suo messaggio di
rinnovamento della giustizia penale.
L’aureo libretto del filosofo milanese è dunque un’opera di politica
penale che contiene in sé la cifra identificativa delle doti di un riformatore
capace di impegnarsi anche su fronti estranei a quello del sistema penale.
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2.- La giustizia penale di Beccaria come baluardo contro gli abusi in
danno dei diritti di libertà.
Sul piano della politica penale, la filosofia di Beccaria svela anzitutto la
convinta adesione ad un assetto costituzionale dei poteri dello stato di netta
ispirazione rousseauiana. Il diritto di punire scaturisce dall’aggregato delle
minime porzioni di libertà che ciascun cittadino conferisce in deposito al
sovrano per vedere tutelata la «salute pubblica». Al di là di questa
autolimitazione basata sul contratto sociale, ci sono gli abusi e i dispotismi
della autorità (Dei delitti e delle pene, § II).
Questa bella metafora, che mette in luce la forza espressiva dello stile di
Beccaria, fa intendere come la legge penale sia un baluardo posto a difesa
dell’individuo per sottrarlo «alla crudeltà delle pene e alla irregolarità delle
procedure» (Dei delitti e delle pene, Introduzione).
Il cittadino è titolare di un diritto di libertà, per la parte non concessa in
deposito per il bene pubblico, che rischia continuamente di essere travolto da
una autorità «assuefatta a voler trovare rei» e che «non cerca la verità nel
fatto, ma cerca nel prigioniero il delitto» (Dei delitti e delle pene, § XIV e
XVII).
Questa idea di fondo che assegna alla legge penale la missione di frenare
gli abusi della autorità offre la linfa vitale per costruire la presunzione di
innocenza dell’inquisito: «un uomo non può chiamarsi reo prima della
sentenza del giudice, né la società può togliergli la pubblica protezione se non
quando sia deciso che egli abbia violato i patti con i quali gli fu accordata»
(Dei delitti, § 55). Beccaria enuncia questo principio nel condannare ad
altissima voce la tortura come strumento crudele e insensato.
Le pagine sulla libertà personale nel processo sono tra i gioielli del
pensiero del filosofo milanese pari, per intensità di forza innovativa, a quelle
dedicate alla pena di morte, alla dolcezza delle pene e alla tortura. Qualificata
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come «carissima all’uomo, carissima all’illuminato legislatore» (Dei delitti, §
XL), la libertà è presentata nello splendore di una definizione epigrammatica:
«non vi è libertà ogni qual volta le leggi permettono che, in alcuni eventi,
l’uomo cessi di essere persona e diventi cosa» (Dei delitti, § XX).
Beccaria ripudia la discrezionalità dei magistrati che non possono essere
lasciati arbitri di imprigionare un cittadino. Occorre che «la sola legge
determini i casi nei quali un uomo è degno di pena» (Dei delitti, § XXIX). E dà
sfogo all’ardore del suo sentimento umanitario lamentando che il carcere «è
piuttosto un supplicio che una custodia del reo» al punto che «si gettano
confusi nella stessa caverna gli accusati e i convinti» (Dei delitti, § XXIX). Poi
passa
sul
piano
progettuale
osservando
che
«la
custodia
essendo
essenzialmente penosa, deve durare il minor tempo possibile e dev’essere meno
dura che si possa» (Dei delitti, § XIX).
Fa impressione registrare come la tavola di valori elaborata da Beccaria in
materia di libertà personale sia così moderna da apparire sovrapponibile ai
principi fissati dall’art. 13 della nostra Costituzione. Legalità, stretta necessità e
minima coercizione temporale e modale sono principi ormai solidamente
radicati nella nostra Carta fondamentale.
3.- Il modello matematico nella legislazione penale e nella analisi dei
fatti economici.
E’ ben noto che l’asse portante del pensiero dell’illuminista milanese è
costituito dall’utilitarismo mutuato da Helvetius. Dall’idea che la felicità
coincide con l’utile di un individuo e della società scaturisce l’opzione per una
analisi quantitativa che Beccaria applica anzitutto alla scienza della
legislazione penale.
E’ su questo terreno che egli propone come pietra angolare della politica
penale la massima secondo cui va perseguita «la massima felicità divisa nel
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maggior numero». E se anche la storiografia moderna ha rintracciato echi di
questa formula in Helvetius e Hutichson, è proprio il massimo teorico
dell’utilitarismo, Jeremy Bentham, a riconoscere di aver tratto da Dei delitti e
delle pene «il primo spunto del principio secondo cui la precisione, la
chiarezza e la incontrovertibilità del calcolo matematico sono introdotte per la
prima volta nel campo della morale» (v. H.L.A. Hart, Bentham and Beccaria,
in Essays on Bentham). Il filosofo inglese è così entusiasta di Beccaria, anche
per il rigore del suo metodo nello studio dei problemi giuridici, da chiamarlo
«mio maestro, primo evangelista della ragione».
Questa propensione per l’analisi quantitativa, che Bentham definisce
«moral arithmetic», estendendola alla teoria di tutti i piaceri e le sofferenze, è
anticipata in Dei delitti e delle pene per essere poi ripresa nella trattazione dei
temi economici. Per Beccaria il fine generale di tutta la «politica economia» è
di «eccitare nella nazione la maggior quantità possibile di travaglio utile, cioè
producente la maggior quantità di prodotto contrattabile e producente i più
piccoli ma più spessi possibili salari alle opere della mano» (Elementi di
economia pubblica, I, 1, 17, vol. XI p. 35).
Così Beccaria rivela la sua figura di precursore della economia
matematica. Tra i primi egli cerca di raggiungere risultati economici mediante
l’analisi quantitativa (v. Audegean, La philosophie de Beccaria. Savoir punir,
savoir écrire, savoir produir, Paris, 2010, p. 219).
4.- Lo stile in Dei delitti e delle pene: il calcolo delle sensazioni
nell’intreccio tra idee principali e idee accessorie.
Beccaria pubblicherà il suo lavoro frutto delle Ricerche sulla natura dello
stile nel 1770, sei anni dopo Dei delitti e delle pene. Eppure già nello snodarsi
dei paragrafi sul diritto di punire e sulle atroci procedure criminali si avverte
che il filosofo manifesta una grande padronanza degli strumenti argomentativi
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necessari ad ottenere l’attenzione e il consenso. E così l’immortale libretto
diventa una inconfondibile testimonianza dell’altissimo grado di capacità del
suo autore nell’uso delle tecniche di retorica cui egli darà poi sistemazione
scientifica nell’opera del 1770.
Anche l’indagine sull’arte di comunicare muove da una formula
aritmetica che designa «il principio fondamentale di ogni stile, cioè il massimo
delle sensazioni compossibili tra di loro» ( Ricerche sulla natura dello stile, I,
4, p. 108). Ne deriva quindi che lo stile è misurabile sulla base delle intensità
delle sensazioni prodotte dalle idee accessorie, destinate ad accrescere la forza
dell’idea principale: queste impressioni si devono raggruppare in una fascia di
tre o quattro, collocate attorno all’idea principale, in modo da richiamare
l’attenzione sulla stessa (Ricerche, I, 1, p. 82 e 91).
Il fine che deve proporsi chi scrive, secondo Beccaria, è quello di
catturare la «svogliata attenzione» del lettore per generare «l’interno fremito di
una tenera sensibilità», fatta di un «piacere soavissimo e insaziabile»
(Ricerche, I, 1, p. 77).
Nasce così una teoria empirista dello stile, concepito come qualità
attinente all’ultima fase della eloquenza e racchiuso nella fenomenologia della
espressione. Siamo di fronte ad una radicale trasformazione della elocutio della
retorica antica, che approda sul terreno psicologico e delinea lo stile come
modo dell’agire comunicativo calcolabile in base al rapporto tra idee principali
e idee accessorie.
Al di là delle plurime affascinanti metafore - come quella della porzione
di libertà depositata dal cittadino nelle mani del sovrano per garantirsi la
protezione nei conflitti sociali - Dei delitti e delle pene offre numerosissimi
esempi di sviluppi argomentativi in cui si ripropone il modello teorizzato nelle
Ricerche del 1770.
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Basterà ricordare un tema tutt’altro che marginale, finora ingiustamente
trascurato dagli studi sull’illuminista milanese: quello delle forme del processo,
ritenute necessarie per non lasciare niente all’arbitrio del giudice (Dei delitti, §
XXXVIII). Questa è l’idea principale, che Beccaria irrobustisce poi con una
sequenza di tre idee accessorie. Le forme sono necessarie, in primo luogo, per
evitare lo spettacolo di un «giudizio tumultuario e interessato» invece di un rito
«stabile e regolare». Inoltre questa esteriorità va garantita «perché sugli uomini
imitatori e schiavi dell’abitudine fanno più efficace impressione le sensazioni
che i raziocinii». Infine, la ricerca della verità nel processo «per essere troppo
semplice e troppo composta, ha bisogno di qualche esterna pompa che le
concilii il popolo ignorante» (Dei delitti, §, XXXVIII).
Difficile non avvertire quel fremito di «tenera sensibilità» che Beccaria
considererà l’obiettivo dello stile nel suo saggio sulla retorica della elocuzione.
In questa magistrale capacità espressiva sta di certo una non secondaria
ragione della fortuna conosciuta dall’aureo libretto. Alla forza delle idee Dei
delitti e delle pene ha saputo coniugare l’intensità del «fremito» che ha
incendiato l’Europa e reso indelebile l’icona di un grande riformatore del
sistema penale.
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