CULTURE AL MUSEO Progetto didattico interculturale promosso da: Musei Civici di Modena CPIA - Centro Provinciale Istruzione Adulti Modena Corsi di scuola media Anno scolastico 2014-2015 A cura di: Francesca Piccinini Giorgio Cervetti Rosa Delgrano Silvia Ronchi Con la partecipazione di: Lydia Akoussam Ghita Ballarh Irina Bogheanu Assiatou Cisse Kevin Di Donato Antonia Ramos Dos Santos Soriba El Hadji Camara Agnese Esposito Fabrizio Faggioli Mariama Fofana Lucia Giacone Veronica Germano Antonella Guglielmelli Ivanilda Leal Do Vale Sara Mekkaoui Morena Morfino Youssef Moutaouakil Elvira Notar Haroon Shahzad Luaneta Taulla Leonardo Urtecho Jian Wang Ramatou Zanne Grafica: Cinzia Casasanta Ufficio grafica Comune di Modena Comunicazione: Stefano Bulgarelli, Museo Civico d’Arte Alessia Pelillo, Museo Civico Archeologico Etnologico Segreteria e amministrazione: Annalisa Lusetti, Musei Civici Maria Grazia Lucchi, Musei Civici Milvia Servadei, Musei Civici PRESENTAZIONE DEL PROGETTO Domenica 7 giugno alle ore 16 il progetto sviluppato da Musei Civici di Modena e CPIA viene presentato a Villa Sorra (Gaggio di Castelfranco E.). Condivisione di ricordi, racconti, ricette e assaggi di cibi a base di cereali dei paesi di origine degli studenti. Concerto del coro multietnico degli studenti diretto da Laura Cattani CULTURE AL MUSEO Premessa Q uesto piccolo libretto rende conto del percorso compiuto dai Musei Civici insieme agli studenti delle classi di scuola media del Centro Provinciale Istruzione Adulti, come ora si chiama il Centro Territoriale Permanente, durante l’anno scolastico 2014-2015. La collaborazione tra questo centro di formazione per adulti, molti dei quali stranieri impegnati oltre che nell’acquisire un titolo di studio anche nell’apprendimento della lingua italiana, e i Musei Civici è ormai consolidata e portatrice di sempre nuove esperienze che arricchiscono entrambe le istituzioni e prima ancora tutti coloro che vi si impegnano. Risale al 2010 Choose the piece, prima agenda interculturale del Museo Civico Archeologico Etnologico, frutto del progetto realizzato assieme a un gruppo di migranti, studenti presso il Centro Territoriale Permanente di Modena ai quali fu proposta l’adozione simbolica di oggetti del museo a partire da un’idea condivisa di Patrimonio Culturale, inteso come bene che una comunità nel suo complesso è chiamata a conservare, tutelare e valorizzare. Punto di partenza per la riflessione erano in quel caso gli oggetti che il museo conserva ed espone, dagli strumenti agricoli usati nell’antichità fino alle testimonianze di vita rurale della Raccolta della vita contadina di Villa Sorra per fare emergere la memoria di esperienze e ricordi personali riconducibili alle differenti esperienze di vita dei partecipanti. Del 2013 è invece il primo progetto legato al Sito Unesco, Storie di santi, eroi e migranti. Uno scambio tra culture, che prendeva spunto dalla figura del patrono san Geminiano, il protettore della città di Modena, per proporre una serie di personaggi esemplari appartenenti ai paesi di origine dei partecipanti, mettendo a confronto storie esemplari e personalità storiche o mitiche di eccezionale importanza per le comunità che in esse si identificano. Il 2014 è stato l’anno del progetto Incroci. La Piazza Grande di Modena incrocia piazze, strade, luoghi di culto e luoghi del cuore di altri paesi del mondo, sviluppato in rapporto sia con il progetto partecipato promosso dal Museo Civico d’Arte è la mia vita in Piazza Grande dedicato al significato di questo importante spazio cittadino che fa parte del complesso tutelato dall’Unesco ed è il cuore della città, sia con l’altro progetto partecipato condotto parallelamente dal Museo Archeologico Etnologico, Strade. Al museo si intrecciano le strade del mondo. In questa occasione ci si è confrontati sul tema degli spazi pubblici, luoghi dai molti usi e differenti significati, ma sempre punto di riferimento per le diverse comunità del mondo. Durante l’anno scolastico 2014-2015, in rapporto al progetto partecipato Pane a Villa Sorra. Percorso partecipato dalla semina alla tavola, si è deciso invece di optare per un percorso dedicato ai pani del mondo (?), proponendo agli studenti un progetto che partiva dalla conoscenza del pane modenese per arrivare a descrivere e gustare pani appartenenti ai loro paesi, attraverso un percorso di conoscenza reciproca. Lo si è fatto nella consapevolezza che il pane è sempre stato un cibo importante per Modena e per il territorio ad esso collegato, dove la coltivazione del grano è molto diffusa, ma esso è un alimento altrettanto importante per tutta l’umanità, a fianco del riso. I dati ufficiali confermano infatti che nel mondo si produce quasi altrettanto grano che riso: nel 2012, ad esempio, a fronte di 719 milioni di tonnellate di riso sono state prodotti nel mondo oltre 670 milioni di tonnellate di grano ed il maggiore produttore di entrambi è la Cina, paese tradizionalmente identificato con il riso! Per la sua importanza quale alimento essenziale per una buona parte della popolazione mondiale, il tema del pane si collega perfettamente a quello dell’Esposizione Universale di Milano, attualmente in corso, Nutrire il pianeta. Energia per la vita, che invita a riflettere sul diritto di tutti gli uomini ad un’alimentazione sufficiente, sana e sicura e sul dovere che essi hanno di farlo rispettando l’ambiente. Ripercorriamo infine le tappe del percorso, iniziato nel mese di gennaio con un incontro al Museo durante il quale sono stati illustrati ai partecipanti il progetto Pane a Villa Sorra, la Raccolta della vita contadina e l’importanza di questo semplice cibo nella tradizione emiliana e modenese. A questo è seguita la visita ad un panificio tradizionale modenese, il Forno Bortolani di Rua Muro, dove abbiamo potuto vedere in diretta come il pane viene impastato e le diverse forme che può assumere sotto le mani abili del fornaio. Il pane nella tradizione contadina modenese Il secondo appuntamento è stato la visita al Sito Unesco, dove abbiamo osservato in particolare quanto la produzione del grano sia importante anche nel Duomo, un edificio che risale al Medioevo e che ha quindi nove secoli di vita. Qui troviamo infatti un mazzo di grano sulla facciata, tra le mani di Caino che offre a Dio il proprio sacrificio, ma anche ben tre formelle dedicate alla coltivazione di questo cereale nella Porta della Pescheria: il contadino che miete il grano è il mese di luglio, quello che lo batte sull’aia per separare i chicchi dalla paglia è agosto; il contadino che semina, infine, è il mese di novembre. All’interno del Duomo, compare invece proprio il pane, accanto al vino, sulla tavola dell’Ultima cena scolpita sul pontile. Nel frattempo è stato portato avanti il lavoro a scuola con le insegnanti, le quali, attraverso conversazioni con gli studenti e letture di testi narrativi, hanno stimolato gli studenti a raccontare e scrivere i loro ricordi, legati alle farine dei paesi di provenienza, dall’America del sud, all’Asia, dall’Africa all’Europa; ai testi hanno poi affiancato le immagini dei piatti descritti. Racconti, ricette e storie sui pani nel mondo sono stati quindi condivisi durante un incontro a scuola che è stato occasione per i partecipanti di esporli a voce o di leggerli, anche perché - non dobbiamo dimenticarlo - il nostro è un percorso scolastico legato all’apprendimento della lingua italiana, oltre che della cultura e delle tradizioni del nostro paese, che vogliamo in dialogo con quelle di tutti gli altri paesi del mondo. E proprio ai pani dal mondo sarà dedicato l’evento finale del 7 giugno a Villa Sorra, dove è allestita la mostra che illustra il progetto partecipato nel quale rientra anche il percorso sviluppato con il Centro Provinciale Istruzione Adulti e presenta una selezione di oggetti e immagini della Raccolta della vita contadina. Nella splendida cornice di questo luogo magico, dove sta ancora crescendo il grano seminato in ottobre quando il progetto è iniziato, sarà possibile assaggiare pani tipici dei paesi di provenienza dei partecipanti e ascoltare un coro multietnico. F ino alla prima metà del ‘900, in un’epoca in cui le condizioni di vita delle classi rurali erano legate in prevalenza a un’economia di sussistenza, tutte le fasi di preparazione del pane avvenivano all’interno della famiglia contadina. Il pane rappresentava il cibo principale del pasto e consentiva di affrontare le dure giornate di lavoro nei campi. Nelle grandi famiglie patriarcali se ne consumavano circa due o tre chili al giorno, sprecarne era un sacrilegio e quasi un segno di disprezzo della provvidenza divina. Il rito della panificazione si svolgeva di solito il sabato per avere il pane fresco la domenica e provvedere al fabbisogno settimanale. L’impasto avveniva nella madia, una semplice cassa di legno usata anche per conservarvi le pagnotte. La lavorazione, considerata una delle principali mansioni femminili, era sottoposta alla donna più anziana, la rezdòra, che aveva il compito di stabilire la quantità di farina necessaria e di sovrintendere alle operazioni più delicate come la formazione del lievito madre. La preparazione cominciava la sera: da un lato della madia si ammucchiava la quantità necessaria di farina separandola dalla crusca tramite un setaccio, mentre in un angolo si stemperava con acqua tiepida il lievito, un panetto sodo avvolto in un panno e conservato dalla precedente panificazione. A questo si incorporava gradualmente la farina aggiungendo acqua fino a ottenere una pasta di giusta consistenza che veniva ben battuta con le mani, più volte ripiegata su se stessa e poi distesa sul fondo della madia. Dopo la lievitazione il composto veniva trasferito sulla gramola, una sorta di tavolo basso al quale era fissata una stanga che si abbassava sul piano. Mentre una persona muoveva l’impasto, un’altra, generalmente un uomo, azionava la leva. I pani modellati erano poi disposti su un’asse sulla quale era posto un telo infarinato e qui lasciati a riposo per alcune ore prima della cottura. Nella tipica casa di campagna il forno si trovava all’esterno dell’abitazione. Alcune ore prima del suo utilizzo si iniziava a scaldare la camera uniformemente con legna secca e fascine di vite. Quando la bocca assumeva una colorazione biancastra era segno che il forno aveva raggiunto la giusta temperatura: a quel punto si infornavano rapidamente i pani con una pala, ponendoli prima intorno alle pareti, poi al centro e vicino alla bocca. Il forno era chiuso da uno sportello in ferro dotato di uno spioncino dal quale si poteva controllare la cottura in base al colore della crosta. In seguito si spostavano le pagnotte ponendo le più cotte ai lati e le altre al centro. Una volta sfornato, il pane veniva coperto da un panno per essere poi conservato nei giorni a venire nella parte inferiore della madia. Schede PANE - 面包 ROTTI, UN CIBO DEL PAKISTAN Ogni volta che sento il profumo del pane appena fatto, sento le parole di mia madre: “Jian, vai subito al forno a comprare il pane!” Era il 24 dicembre 2004, io ero appena arrivato in Italia, non sapevo una parola di italiano, avevo quattordici anni, ma mi sentivo bambino. In Cina avevo sentito dire che il pane italiano è buonissimo; cosi quel giorno, con molta curiosità e qualche timore, sono andato nel forno di fronte a casa e appena entrato ho sentito quel profumo unico e speciale del pane appena fatto. C’era tanta gente e tutti mi passavano davanti; io me ne stavo muto, immobile, incantato davanti alla grande vetrina piena di tanti panini diversi. E la gente continuava a entrare e poi a uscire con un bel sacchetto pieno di pane, “Ragazzo, cosa vuoi ?” e io con il dito ho indicato il pane che mi attirava di più. Mario, il fornaio, ha capito che non sapevo parlare, mi ha dato il pane, ha preso i soldi mi ha dato il resto e mi ha detto qualcosa, ma non so che cosa… Appena fuori dal negozio, ho preso un pezzo di pane e l’ho mangiato: era buonissimo e l’ho mangiato tutto. Quella è stata la prima indimenticabile volta in cui ho mangiato il pane italiano. Il pane cinese è molto diverso, è più morbido e cotto al vapore; anche il pane cinese è buono, ma quello italiano… Un cibo di cui un pakistano non può fare a meno in nessun luogo della terra si trovi, è la ROTTI, e così anch’io la mangio quasi ogni giorno anche qui a Modena. Si fa con la farina atta, ne prendi quanta ne vuoi, circa un chilo, la metti insieme con l’acqua poi mescoli bene, giri con le mani, dopo 2/3 minuti è pronta. Poi c’è una cosa che metti sul fuoco: si chiama tava; prendi un pezzo di impasto e fai come una pizza rotonda che stendi sopra la tava per cuocerlo. Dopo poco la giri una, due volte, poi è pronta. è pronta una Rotti per te: la mangi come vuoi: la mangi con la carne, con la verdura o senza niente. Jian Wang Cina Shahzad Haroon Pakistan DOLCETTI PER LA FESTA DI MATRIMONIO PREPARAZIONE DEL PANE IN FAMIGLIA Io sono del Burkina Faso che si trova in Africa. Mi ricordo che da noi per le cerimonie importanti come il battesimo, il matrimonio, e in occasione d’una festa facciamo differenti dolci.Quello che mi ricordo si chiama croquete e sono piccoli dolci. Per la preparazione ,abbiamo bisogno di farina, uova,zucchero, lievito , latte, olio.Questi dolcetti hanno diversi forme: rotonda, a triangolo,rettangolari ec… Per il mio matrimonio le mie amiche li hanno preparati. Io quando faccio questi dolcetti li taglio in forma triangolare perché mi piace. Quando ero una ragazzina, se c’era un matrimonio o un battesimo, io e le mie amiche, andavamo ad aiutare a fare questi dolcetti. Io li tagliavo solo triangolari; le mie amiche dicevano Ramatou sempre: “tu tagli le croquete sempre a triangoli. Cambia.” La preparazione di pane nella mia famiglia avveniva due volta all’anno per tradizione. E IL PANE DI MANIOCA. Mi ricordo della mia nonna, che di mattina presto si svegliava per pelare le patate da grattugiare. All’arrivo della prima zia si cominciava a pelare le patate e a grattugiarle per farle diventare un bel purè crudo che, dopo veniva schiacciato nel sacco con un grosso legno di peso importante, per fare uscire l’acqua. Dopo questa specie di impasto crudo, veniva setacciato e poi si aggiungeva il sale. Il pane di manioca si preparava in gruppo perché era molto divertente: era un evento per incontrare tutte le zie e fare delle belle chiacchiere. Anche le zie sposate venivano per le chiacchiere e nello stesso tempo davano una mano. Dentro una pentola di terracotta, si metteva un po’ di acqua, si piazzava uno scolapasta a misura della pentola per non avere fuoriuscita del vapore. Dopo di che si metteva la farina di manioca appena salata dentro lo scolapasta e si copriva con un coperchio a misura, fatto apposta. Dopo qualche minuto diventava pane cotto a vapore che si accompagnava con qualsiasi cibo soprattutto con umido di fagioli. Che bei momenti! Mi raccontava mia nonna, che al loro tempo si faceva il pane ogni settimana per necessità Oggi solo nei villaggi si trova ancora questa tradizione. Ora la baguette francese ha sostituito il pane tradizionale di manioca Sono felice di aver vissuto quel periodo. Sono dei bei ricordi della mia infanzia. Ramatou Zanne Burkina Faso yakayeke Lydia Akoussan Togo IL PANE CARAMELLATO TANTE TORTINE A me viene l’acquolina in bocca quando ripenso al profumo e al sapore del pane che facevamo a casa mia, in Guinea. Quando ero una bambina, avevo 8 anni, vedevo sempre mia madre che faceva il pane; la vedevo impastare la farina con l’acqua, il lievito, il sale, e un pizzico di zucchero; lo faceva riposare un po’, cosi la farina iniziava a crescere e a gonfiarsi. La mamma aveva un tavolo che la nonna le aveva regalato ed è su quel tavolo che faceva “rotolare” il pane con tanta cura, creando così dei lunghissimi filoni tipo baguettes. Quando finiva di rotolare i filoni, prendeva lo zucchero che aveva caramellato sul fuoco e lo metteva sopra al pane per dargli un bel colore e infine lo metteva in forno: il quel momento ogni mio pensiero era solo mangiare il pane appena sfornato. Allora la mamma mi dava un po’ di pane, io ci mettevo dentro il burro che si scioglieva. Ed ecco che anche ora mi viene l’acquolina in bocca… Mi piace fare delle tortine da friggere e sono buonissime . Prima prendo un chilo di farina, il lievito, 3 uova, un po’ di latte, acqua, zucchero e un po’ di sale . Prima metto la farina dentro una ciotola la mescolo con l’acqua e poi metto lo zucchero e dopo circa 5 minuti metto un po’ di sale. Aggiungo uova e latte lo mescolo insieme ,alla fine metto il lievito . Dopo un ora mi preparo a friggere quella pasta a forma di tortine. Metto l’olio dentro una pentola lo scaldo sul fuoco. Un po’ alla volta metto dentro all’olio un po’ di pastella, la friggo formando delle piccole palline, che vengono alla fine assemblate e ricoperte di varie decorazione colorate. Il risultato è bellissimo. A mio marito piace molto e anche mie figli, veramente anche a me . Li prepariamo anche quando c’è una festa diversa, ad esempio come un matrimonio, un battesimo anche quando vogliamo divertirci: sono buonissimi. Assiatou Cisse Guinea Conackry Mariama Fofana Guinea Conakry IL TAPALAPA MSSEMEN Mi chiamo Camara El Hadji Soriba, vengo dal Senegal. Nel mio paese si fa il pane tradizionale che si chiama ‘Tapalapa’ nella nostra lingua. Questo tipo di pane lo facevano i fornai con il forno a sabbia. Noi abitavamo in campagna, il fornaio metteva una certa quantità di farina dentro un grande contenitore dove la mescolava con tutti gli ingredienti, e noi, alcuni ragazzi, l’aiutavamo a farlo nel mese del Ramadan perché non era sufficiente quello che faceva da solo. In questo mese le persone mangiano solo la sera e di mattina e preferiscono mangiare il pane la sera. Lo aiutavamo a farlo anche se c’era un evento importante come la festa di ‘Tabaski. Dopo avere finito, gli aiutanti ricavavano un po’ di bonus comprando questo pane con un po’ di sconto; invece gli altri si mettevano in fila per comprare il pane ogni sera del Ramadan. Questo pane che facevamo a mano era molto dolce e molto carino; anche gli abitanti di altri villaggi venivano a comprarlo. A volte mancava perchè non riuscivamo a farlo per tutti quanti. Lo mangiavamo con burro, miele e con tante altre cose. Per preparare questo pane, ci mettevamo molto tempo perché affinché sia buono bisogna lavorarlo tanto. Mi ricordo 7 anni fa ero a casa di mia nonna per stare con lei un po’ di tempo. Mia nonna faceva durante tutte le feste un tipo di pane che si chiama ‘mssemen’ era buonissimo. Era diverso del pane di tutti i giorni per la forma che era quadrata e non rotonda. Questo pane veniva fritto con un po’ di olio di oliva in padella. Il pane di tutti i giorni veniva cotto nel forno invece la nonna si alzava al mattino presto e preparava questo pane con questi ingredienti: farina, lievito, sale, olio. Poi aspettava quando ci alzavamo verso le 9. Veniva tutta la famiglia di parenti per fare con noi la colazione e mangiavamo questo pane con formaggio e con il miele. Camara El Hadji Soriba Senegal Sara Mekkaoui Marocco LA SORPRESA shebakia Un giorno, da piccolo, ero fuori a giocare con i miei amici e quando sono ritornato a casa perché ero stanco sono entrato, ho visto mia madre in cucina e questo mi ha sorpreso perché di solito mia madre non sta in cucina a cucinare a quell’ora; infatti stava preparando il dolce che mi piace di più: era una sorpresa per me e io ne sono stato felicissimo! Questo dolce si chiama kaab el lghzal I suoi ingredienti sono: • 500g di farina • 125g di burro fuso • 1 bustina di vaniglia • 2 cucchiai di sciroppo di fiori d’arancio • un pizzico di sale Ingredienti per guarnire: • 1kg di mandorle tritate • 500g di zucchero • una buona gomma arabica • 10 cucchiai di sciroppo di fiori d’arancio • 125g di burro fuso E alla fine l’ha preparato, l’ha messo in forno, per circa 20 minuti e l’ha tirato fuori, l’ha messo nel vassoio per lasciarlo raffreddare per poterlo mangiare con il tè. Quando ero una bambina, all’età più o meno di 4 anni, vivevo con la mia nonna perché mia madre lavorava e mio padre abitava in un altro paese. Ero molto felice perché mia nonna era molto bella, gentile e affettuosa con me. A me piaceva tanto la sua “Shebakia”, un biscotto speciale che si mangia durante il Ramadan. Quando mancavano solo 15 giorni all’inizio del Ramadan, io e mia nonna ci mettevamo in viaggio per raggiungere Fez; è qui che mia nonna mi portava in giro per i banchetti del grande mercato a cercare i vari ingredienti: lo zafferano, l’anice, la cannella, la gomma arabica (e quella di Fez è davvero speciale…) i semi di girasole, i fiori di arancio e il miele. Tornati a casa, mi ricordo che la nonna cominciava la preparazione, mettendo tutte le cose davanti a sé. Poi, però, il mio ricordo scompare. La “Shebakia” sono deliziosi dolcetti al miele con semini di sesamo: una ricetta tradizionale marocchina preparata per ricorrenze importanti e in particolare per il Ramadan. è difficile da fare e ha bisogno di tempo, ma la mia nonna era bravissima. E adesso che non c’è più, io non ho più mangiato una “Shebakia” cosi buona… Ingredienti: • 100g di farina di mandorle • 1 cucchiaino di zafferano • zucchero • ½ cucchiaino di lievito di birra • 20g di semi di anice • ½ bicchiere di burro fuco • 2 cucchiaini di cannella in polvere • 150g di sesamo • ½ cucchiaino di gomma arabica • olio di semi di girasole • acqua di fiori d’arancio • 500g di farina Youssef Moutaouakil Marocco • 1l di miele (per la decorazione) • 1 manciata di sale Preparazione: La ricetta richiede una grande quantità di semi di sesamo tostati in un padella per 15 minuti, lasciare raffreddare prima di procedere con fare la pasta. Per fare la pasta, occorre una scodella di semi tostati fino a quanto sono in polvere e umido. Si fondono con gli ingredienti e flessibile come quella del pane. Aggiungere più farina se necessario per raggiungere questo obiettivo. Dividere la pasta in quattro parti, ciascuna forma a fontana liscia, e mettere l’impasto in un sacchetto di plastica a riposo per 10 minuti. Quando il miele è schiumoso ma non bolle, aggiungete l’acqua di fiori d’arancio al miele e spegnere il fuoco. Quando l’olio è caldo, cuocere la “Shebakia” in lotti. Regolare il colore necessario per friggere lentamente ogni lotto Di Shebakia ad un colore marrone medio. Quando il Shebakia sono cotte un supporto dorato, utilizzare un mestolo forato o filtro per trasferirli dall’olio direttamente al miele caldo. Sono difficili, ma buonissimi. Ghita Ballare Marocco L’asinello nero “Domani andiamo in campagna!” Così diceva mia nonna e io ero felice e sempre prontissima a seguirla. Avevo circa sette anni, quando con mia nonna, qualche mio fratello, e altri cugini, andavamo tutti insieme in campagna per raccogliere la mandioca per fare poi il beju di tapioca chiamato anche beju de goma, una focaccia dolce e buonissima, che noi mangiamo soprattutto a colazione col latte. Partivamo con l’asinello di mia nonna, che lei chiamava Giegue preto, che vuol dire asinello nero: era buono, tanto che anche un bambino poteva tenerlo, non mordeva mai e noi giocavamo con lui come fosse un giocattolo, e io lo cavalcavo come fosse il mio puledro. Sull’asino mettevamo una cangaia, una specie di sella con due grandi ceste su ogni fianco: lì avremmo messo tutta la mandioca raccolta al forno. Ci serviva una enchiada, la zappa per estirpare le piante, un facao, un grande coltello per tagliare la pianta. Dopo averla raccolta, la mettevamo nelle ceste e il nostro asinello la trasportava nella casfarinha motorizzata dove veniva lavorata. Lì noi tutti insieme la sbucciavamo e intanto però chiacchieravamo, ridevamo, scherzavamo mangiando la frutta e la verdura che la campagna ci offriva. Dopo averla lavata, la mandioca veniva macinata, messa in una grande vasca con acqua, poi con un panno bianco veniva filtrata e lasciata depositare per ventiquattr’ore nella vasca. Il giorno dopo, eliminata l’acqua, resta la gomma nel fondo della vasca che viene raschiata e ripulita a mano: ecco finalmente ottenuta la farina di tapioca. Con la tapioca eravamo tutti pronti per fare il famoso beju! La mia nonna la faceva in una padella molto grande; quindi una volta cotta e farcita, la piegava in due, come una luna gigantesca, e dopo la tagliava a losanghe Per 500g di farina di tapioca, 200g di zucchero, il sale a piacere anche l’acqua piacere. La marmellata di frutta e quella di banana, a piacere e anche il cocco macinato. Attenzione la marmellata di frutta e la banana, il cocco macinato vengono messi all’interno; il burro viene steso sulla superficie interna col pennello! Atonia Ramos Dos Santos Brasile IL BOLINHO DE ESTUDANTE LA CACHANGA CON IL DOLCE Ricordo mia madre, quando ero bambina. Lei andava al mercato la mattina presto, per cercare la farina di manioca. Lei era bella, colorata, con la sua borsa grande, dove teneva il mondo dentro. A lei non importava svegliarsi alle sei del mattino… Era una delle migliori clienti del mercato, perché arrivava prima di tutti gli altri. La mamma arrivava presto per poter avere la possibilità di comprare la miglior farina di manioca di tutto il mercato, per fare il bolinho de estudante, un tipo di dolce tradizionale in Salvador, a Bahia, che a me e ai miei fratelli piace tantissimo. Ricordo ogni tanto quando mia nonna iniziava a preparare la farina e l’acqua per impastare e fare la cachanga con il dolce. Alla mia nonna ogni tanto capitava che quando la famiglia era riunita specialmente la domenica, di prendere in mano la farina e diceva; “Oggi facciamo la cachanga con dolce” in quel momento io e i miei cugini aspettavamo che la nonna, e le mie zie facessero l’impasto per la cachanga. Era molto facile per loro: usavano la farina e l’acqua, una volta fatto l’impasto iniziavano a fare le palline e poi facevano dei cerchi e per ultimo li friggevano nella padella con l’olio; intanto una mia zia iniziava a preparare il dolce: non era soltanto fatto di zucchero caramellato e farina liquida, ma anche cannella, e chiodo di garofano. Lo faceva bollire fino a che diventava denso e prendeva un colore marrone. Noi stavamo ad aspettare quando calava un po’ la confusione in cucina per potere entrare; a quel punto la nonna a noi non diceva niente, l’unica parola era “State attenti a non bruciarvi che l’olio è bollente”; noi prendevamo le palline rimaste, per fare la nostra “cachanga”: ognuno faceva un disegno come voleva, semplice o strano e poi lo portava alla nonna che friggeva ogni capriccio dei suoi nipoti. Una volta fritti, si iniziava a spalmare il dolce sulla cachanga e se ne metteva una sopra un’altra per coprirla. A quel punto tutta la famiglia riunita, ed eravamo almeno in quindici, mangiavamo con gusto la cachanga. Ivanilda Leal Do Vale Brasile Lefaural Perù PROFUMI E RICORDI DI UNA VOLTA RICETTA DI CUCINA MOLDAVA Stamattina passando davanti al forno, ho sentito il meraviglioso profumo di pane, e la mia memoria è andata a quando ero piccola . Avrò avuto dieci anni, forse dodici. Ricordo quando guardavo con attenzione mia nonna a preparare da mangiare; la guardavo con la bocca spalancata quando impastava il pane e vedevo quell’impasto crescere a dismisura. Però il pane non si faceva tutti i giorni, ma ogni volta che c’era una grande festa. Per noi nipotini, la nonna preparava anche degli uccellini (colombine) per i maschietti e tortorelle per le femminucce . Che gioia immensa, indescrivibile! Succedeva che, delle volte quando il pane mancava, la nonna mi mandava a comprarlo. Io tutta contenta uscivo di casa e andavo verso il centro, nel negozio di campagna. Mi mettevo in fila vicino agli altri, che erano arrivati prima di me e aspettavamo l’auto che portava il pane dalla provincia. Tra le spinte e grida, riuscivo appena sfiorare il pavimento, scavalcando i piedi degli altri, pestando tutti quelli che mi impedivano di uscire dal negozio, con la borsa piena di pane. Io ritornavo verso casa con il pane bollente e profumato, ma a metà strada non potevo resistere a quella tentazione di mangiare un pezzettino di pane così caldo che emanava quei profumi così intensi. Tornata a casa la nonna faceva finta di arrabbiarsi, ma poi tagliava il resto del pezzo e mi diceva: “però basta, altrimenti poi non mangi!” LA PLACINTA È simile al calzone ed e una specialità gastronomica della Rep. Moldova. Il ripieno di questi calzoni può essere molto vario: patate, cavolo, cappuccio, formaggio, funghi. Inoltre vi sono variante dolci: con ciliegie, zucca, mele. Ugualmente molto gustosi sia le placinte classiche sia quelle dolci, costituiscono un pasto nutriente e appetitoso e semplice da preparare. Ingredienti per placinte con formaggio ed erbe: • farina 00 700 gr • yogurt o panna acida (smintina) 300 gr • uova 1 • olio dei semi di girasole 3-4 cucchiai • sale q.b. Ingredienti per il ripieno: • formaggio,fiocchi di latte 500-600 gr • aneto 1-2 ciuffi • prezzemolo 1-2 ciuffi • cipolle verde 3-4 • uova 1 • sale q.b. Preparazione: 1. Nella farina setacciata, versare lo yogurt e aggiungere 1 uovo, sale, olio di girasole. 2. Lavorare l’impasto fino a che raggiunge la consistenza elastica non appiccicosa, quindi, lasciare l’impasto un’ora avvolto in un foglio di pellicola . 3. Intanto preparare il ripieno: mescolare il formaggio con un pizzico di sale, sminuzzare l’aneto, il prezzemolo, le cipolline verdi e mescolare insieme a un uovo al formaggio. 4. Dividere l’impasto in 8-10 sfere. Irina Bogheanu Moldavia 5. Stendere ogni sfera, con il matterello, il più sottile possibile, quindi, con le dita stendere ancora un po’ la sfoglia. 6. Al centro di ogni sfoglia sistemare 2 cucchiai ,colmi di ripieno . 7. Chiudere verso il centro i 4 angoli di ogni placinta e appiattirli leggermente. 8. Friggere le placinte una alla volta in una padella, con 2 cucchiai di olio di semi di girasole fino a doratura in entrambi lati. 9. Servire caldi. Irina Bogheanu Moldavia IL FORNO A LEGNA Quando sono stata al Museo Civico di Modena, ci hanno fatto vedere delle foto di vecchi attrezzi per fare il pane; io mi sono ricordata della mia nonna come faceva il pane, proprio come ho visto in quelle foto. Mi sono commossa molto perchè mi sono ricordata del forno a legna della mia nonna: era fuori dalla casa e lei andava a prendere la legna per fare il pane. Aveva un profumo molto buono quel pane; io e mio fratello seguivamo la nonna per andare in casa a rubare il pane dal forno per mangiarlo ancora caldo: era buonissimo così caldo. Elvira Notar Romania UNA TORTA DI MELE MOLTO INTIMA IL PROFUMO DEL PANE Questa torta mi piace molto perché è semplice da preparare. La faccio insieme a mia figlia, di solito, di domenica mattina e lei aspetta con piacere questa occasione. Diventa un momento intimo tra di noi; è motivo anche per un scorpacciata di dolci per tutta la famiglia che è golosa di questa torta. Ingredienti: • 180g di farina • 180g di zucchero • 4 uova • 1kg di mele • 80g di burro • una bustina di lievito Ricordo ancora il profumo del pane che mia madre preparava quando ero bambina. Riempiva la cucina e narici. Usava ingredienti semplici come farina, sale, acqua e lievito madre. Papa aveva fatto costruire un forno a legna nel cortile di casa, dove oltre al pane, pane infornava anche dolci e pietanze varie. Lei era molto brava a preparare queste cose, e lo sapevano anche amici e parenti che, puntualmente si presentavano a casa, come richiamati dall’inebriante profumo di pane caldo. E se ne andavano contenti, di solito con una pagnotta ancora calda sotto il braccio. Sono passati parecchi anni da allora,ma quando mi ritrovo in cucina a preparare pizze e dolci, mi tornano in mente quei profumi e quei sapori. Cerco di trasmetterli ai miei ragazzi sperando che anche per loro diventino cari ricordi e tradizioni da conservare. Sbatto le uova insieme allo zucchero, aggiungo la farina e il burro poi le mele pelate e tagliate a fette sottili. Imburro una teglia nella quale verso l’impasto. Inforno a 180° per 40 minuti. Una volta cotta la tiro fuoridal forno la metto su un vassoio e infine la spolvero con lo zucchero a velo. Luaneta Taulla Albania Lucia Giacone Sicilia DOLCE DI CARNEVALE RICORDO DI INFANZIA Da piccola, nel periodo di Carnevale, dalle mie parti cioè a NAPOLI, si faceva un dolce chiamato MIGLIACCIO. Io mi divertivo da pazzi , perché mia zia mi faceva preparare tutti gli ingredienti, poi iniziavamo a impastare. Il migliaccio è un dolce fatto con molta ricotta, semola, uova e zucchero. Quello che mi piaceva di più della preparazione era quando la nostra vicina doveva accendere il forno a legna, perché io la aiutavo con la legna ad alimentare il fuoco nel forno. Quando dovevamo mettere tutto l’impasto negli stampi, io sceglievo sempre quella a forma di gatto. Quando mia zia iniziava a svuotare l’impasto negli stampini io per dispetto ci mettevo sempre un dito sotto per assaggiare. Questo dolce noi ce lo mangiavamo sempre il giorno dopo per colazione con il latte, che bei ricordi!! Nella nostra cultura napoletana ci sono tante pietanze molto gustose, di cui la più importante e famosa è la pizza Margherita. Si prepara con pasta di pane e ingredienti naturali come: pomodoro, mozzarella e basilico. L’ha inventata un pizzaiolo per la Regina Margherita di Savoia, infatti gli ingredienti richiamano i colori della bandiera italiana. Da quel momento in poi è diventata famosa in tutto il mondo. Per noi napoletani è come un rito preparare la pizza, è sinonimo di gioia e di festa da condividere insieme ad amici e parenti in lunghe tavolate. La pizza viene ancora oggi cotta nel forno a legna e l’incantevole profumo che si sprigiona dal forno durante la cottura, riempie di gioia e buon umore, ma non solo il profumo! La cosa meravigliosa è il suo sapore ricco, genuino e naturale per cui non si smetterebbe mai di mangiare la pizza, fino a scoppiare . Io sono orgogliosa di essere napoletana e condividere insieme al mondo intero la nostra pizza napoletana. Agnese Esposito Campania Antonella Guglielmelli Campania VI RACCONTO IL CASATIELLO SUGNA E PEPE è tradizione prepararlo il giorno di Pasqua e poi portarselo dietro il giorno della Pasquetta durante la gita fuori porta, ma è davvero ottimo in ogni occasione. L’ingrediente fondamentale del casatiello, ciò che gli dona il suo caratteristico sapore e la sua fragranza, è la sugna (strutto). Sì, perché lo scopo del casatiello è quello di accompagnare la ricotta salata, il salame e le fave fresche, quindi parliamo di un pane ricchissimo. Ricordo da bambina, quando mia mamma preparava tutti gli ingredienti in una bacinella e le sue mani iniziavano a sbattere un impasto pesante e grezzo, fino a farlo diventare liscio, lucido e pieno di bolle. Raccoglieva l’impasto con la mano a cucchiaio, alzandolo verso l’alto e sbattendolo, mio padre le teneva la bacinella ferma sul tavolo per evitare che si sollevasse insieme all’impasto. Restavo li a guardare fino a quando metteva tutto l’impasto in una teglia e la ricopriva con una coperta, mettendolo in una stanza chiusa al caldo per farlo lievitare. Il giorno dopo, il mio stupore era quello di vedere come fosse cresciuto a dismisura quel miscuglio di ingredienti. Adesso sono io a prepararlo e succede la stessa cosa con mio figlio: ricordo bene quei momenti e quello stupore che avevo io allora e che ora ha lui. La ricetta è sempre la stessa, quella di mia nonna, conservata con cura da mia mamma e adesso è la mia. Ingredienti: • kg. 1200 di farina • 10 uova • 400 gr. di sugna (strutto) • 400 gr. di salame • 150 gr. di ciccioli • 400 gr. di pecorino romano • 500 gr. di lievito madre • 1 cubetto di lievito di birra • 100 ml. di acqua tiepida • sale e pepe q. b. Procedimento: In una bacinella disporre a fontana la farina, le uova, il salame e i ciccioli (tagliati a cubetti), la sugna, il pecorino, sale, pepe, acqua tiepida (sciogliere il cubetto di lievito e ammorbidire il lievito madre nell’acqua) poi trasferire tutto il composto in un passatutto e passare nell’impasto per setacciare i grumi. Adesso iniziare ad impastare gli ingredienti energicamente per 20/25 minuti fino a farlo diventare liscio, lucido e pieno di bolle. Preparare una teglia alta, unta con la sugna e infarinata, mettere il composto e coprirlo con un canovaccio per 6/8 ore. Infornarlo a cottura tradizionale a 200°C per un’ora. Veronica Germano Campania IL SEMIDOLCE I MIEI PANINI AL LATTE Succede spesso che quando passo vicino un bar situato a Modena Est di fianco alle mie antiche scuole elementari, mi viene in mente un certo panino che mangiavo sempre quando ero bambino: il “semidolce”. Ricordo quando, prima di entrare a scuola, andavo in quel Bar con mio padre: il barista appena mi vedeva, mi diceva “Ehilà, Kevin!” oppure “Ciao biondo! Semidolce, vero?” E la mia risposta era sempre affermativa. Di quel bar ricordo poco, soltanto la domanda che mi faceva il barista e… naturalmente il Semidolce, che portavo a scuola e mangiavo durante l’intervallo. A distanza di anni, sono tornato in quel bar, il barista mi ha subito riconosciuto, e gli ho chiesto il segreto di quel mitico panino. “Ci sono due tipi di farine, quella tipo 0 e quella manitoba e un bel po’ di latte, un po’ di zucchero, olio e sale! provaci anche tu biondo!” Un giorno,un mio amico Giacomo di Sassuolo,ha mangiato a casa mia questi panini al latte e ha voluto subito la ricetta,perché era rimasto sbalordito dal quel profumo dolce e meraviglioso di quel pane che non riusciva a smettere di mangiare. Infatti mi diceva sempre che l’incontro con questi panini era stato bellissimo,tanto che quasi non faceva pranzo dopo la scuola, ma mangiava solo i panini. Io ero contenta di avergli insegnato a preparare i miei buonissimi panini al latte. Ogni volta che li mangiavo anche io stessa mi sentivo un’altra persona. Ho ancora la memoria,il ricordo della pasta tiepida e molle,che nella fredda passeggiata d’inverno mi riscaldava lo stomaco; era una bella emozione. Preparazione: si procede con metodo indiretto. Preparare il poolish: scaldare il latte, poi sciogliere il lievito e lo zucchero; quindi incorporare la farina, mescolando delicatamente. Lasciare lievitare fino a quando il volume sarà triplicato. Impastare la farina con lo zucchero, il lievito e il malto fino a ottenere una massa morbida; aggiungere la poolish, il latte (poco alla volta), l’uovo intero, il burro e il sale. Porre l’impasto in una bacinella, lascialo riposare e far lievitare per 30 minuti. Dividere l’impasto in pezzi da 50-60 g, disporli sulla tavola di legno coperti con un telo per 10 minuti, poi formare i panini e disporli a distanza regolare su una teglia imburrata o protetta con carta da forno. Lasciare lievitare i panini per un’ora, coprendoli con gli appositi teli. Quindi spennellarli (per due volte prima della cottura) con il tuorlo d’uovo, mescolato, con il latte e un pizzico di sale. Infine metterli in forno a vapore a 200-210 gradi per circa 18 minuti. Ingredienti: • farina 900g, • burro morbido 120g, • sale 20g, zucchero 20g, • lievito 15g, • malto 10g, • latte fresco intero 4dl, • uova 100g, Kevin Di Donato Emilia Romagna Poolish (lievito semiliquido): • farina 100g, • lievito di birra 30g, • zucchero 10g, • latte fresco intero 1dl Lucidatura: • tuorli d’uovo 20g, • sale fino 2g, • latte 10g Morena Morfino Emilia Romagna LA MIA CRESCENTINA DI PAVULLO Da bambino non vedevo l’ora che venisse il fine settimana perché mia madre impastava la farina, con un uovo, il sale, acqua e un po’ di latte per fare le crescentine. Mia madre mi concedeva sempre di impastarmi le mani con gli ingredienti e io giocavo con l ‘impasto che puntualmente facevo cadere a terra e doveva a quel punto essere buttato via. Le crescentine venivano cotte sulla piastra della stufa a legna . Il profumo che emanavano era fantastico. Erano croccanti fuori e di un colorito più scuro, mentre dentro la mollica era morbida. Io usavo la mollica per farci delle palline che, volendo, potevano essere di nuovo impastate e cotte, ma certo quella crescentina sarebbe stata più “scura” delle altre. Fabrizio Faggioli Emilia Romagna NOTE