IL TROVATORE
Libretto di Salvatore Cammarano
Musica di Giuseppe Verdi
Macerata
ARENA
SFERISTERIO
14 luglio 1990
Il Conte di Luna
Leonora
Azucena
Manrico
Ferrando
Ines
Ruiz
Un vecchio zingaro
Maestro concertatore e direttore
Maestro del coro
Scene e costumi
Luci
Collaboratori ai costumi
Giancarlo Pasquetto
Maria Dragoni
Elisabetta Fiorillo
Emil Ivanov
Enrico Turco
Debora Beronesi
Giandomenico Bisi
Elvio Marinangeli
Gustav Kuhn
Tullio Giacconi
Enrico Job
Franco Marri
Gino Persico e Massimo Marafante
Regia Enrico Job
Orchestra Filarmonica Marchigiana
Coro Lirico Marchigiano “Vincenzo Bellini”
Leonora
“Una volta tanto c’è un muro integro, che non si intende assolutamente abbattere e anzi ispira l’arte. Lo scenografo Enrico Job sistemerà l’accampamento
degli zingari che affollano Il trovatore ai lati del muro imponente che fa da sfondo all’Arena Sferisterio di Macerata. Quel muro che ha sempre spaventato registi e scenografi, ha invece acceso la sua fantasia...” (Valerio Cappelli, A Macerata
si “accampano” gli zingari di Enrico Job, Corriere della Sera, 8 giugno 1990).
“La griglia che scende lenta e inesorabile sui personaggi, spiega Job, darà significato ‘visibile’ al destino. È una morsa di ferro che stringe i protagonisti del
dramma, nella scena finale e di maggior tensione… La gabbia, sistemata sulla
parete dell’Arena, di 16 metri per 12, è di alluminio. Per abbassarsi sul palcoscenico, durante la rappresentazione impiegherà un minuto e 55” (Fulvio
Fulvi, La griglia del destino, Il Messaggero, 4 luglio 1990).
“È sparito il colonnato neoclassico ai lati del palcoscenico dell’Arena, eretto da
Attilio Colonnello nell’87 come prosecuzione forzata del doppio ordine di palchi davanti al muro frontale… ‘Questo allestimento si distinguerà – dice Job –
per molte cose: prima di tutto per l’ambientazione seicentesca, poi per la struttura dei tre palcoscenici e la funzione portante dello spirito zingaresco che non
abbandona mai l’opera; per la festosità e l’allegria che l’elemento gitano apporta in una storia così cupa.’ L’idea di fondo della regia è proprio ‘… questo elemento zingaresco. Credo che i caratteri gitani siano i veri protagonisti dell’opera, tant’è che il compositore voleva intitolarla La gitana’ ” (Rosanna Luciani,
Tre palcoscenici per il “Trovatore”, Il Resto del Carlino, 6 luglio 1990).
“Dopo quindici giorni di prove, – osserva il tenore Emil Ivanov, Manrico – per
la prima volta abbiamo chiesto ‘una tregua’, Job l’ha concessa a malincuore. Pensi
che resta sveglio fino alle cinque di mattina a provare le luci… poi arriva l’alba
e deve interrompere. Ma è straordinario come tutto funziona” (Francesca
Benadduci, C’è il clima ideale, daremo il massimo, Il Messaggero, 10 luglio 1990).
“ ‘Un regista che soffre e trepida con noi – commenta Elisabetta Florillo (Azuce-
”This time there is a real wall, which he has no intention of knocking down and, on
the contrary, inspires his art. Set designer Enrico Job will locate the encampment of
the gypsies which throng Il trovatore on either side of the imposing wall which
functions as a backdrop to Macerata’s Arena Sferisterio.This wall, which has always
intimidated directors and set designers, has fired his imagination...” (Valerio
Cappelli, A Macerata si “accampano” gli zingari di Enrico Job, Corriere della
Sera, 8 June 1990).
“The grille which descends slowly and inexorably upon the characters”, explains
Enrico Job, “will give ‘visible’ meaning to their destiny. It is an iron vice which grips
the characters of the drama in the last scene, which is that of the greatest tension...
The grille, positioned on the wall of the Arena, 16 m x 12 m, is of aluminium. It
will take one minute and fifty-five seconds to lower it onto the stage during the opera”
(Fulvio Fulvi, La griglia del destino, Il Messaggero, 4 July 1990).
“The neo-classical colonnade mounted on either side of the Arena’s stage by Attilio
Colonnello in 1987, as a forced continuation of the double order of platforms before
the front wall, has disappeared...‘This production’, says Job,‘will be distinguished by
many things: above all by its seventeenth-century setting, then by the structure of the
three stages and the fundamental function of the gypsy atmosphere which never
abandons the opera, ie the festive and cheerful contribution which the gypsy element
makes to such a depressing story’. The basic idea behind the direction is precisely
‘...this gypsy element. I believe that the gypsy characters are the true protagonists of
the opera: that is why the composer wanted to entitle it La gitana’” (Rosanna
Luciani, Tre palcoscenici per il “Trovatore”, Il Resto del Carlino, 6 July 1990).
“After fifteen days of rehearsals”, commented tenor Emil Ivanov, Manrico,“we have
finally asked for a ‘truce’. Job has begrudgingly conceded this to us. Just imagine, he
stays up until five in the morning testing the lighting... Then dawn comes and he
has to stop. But it’s amazing how it’s all coming together” (Francesca Benadduci,
C’è il clima ideale, daremo il massimo, Il Messaggero, 10 July 1990).
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na) – Cantanti, comparse, per venti giorni consecutivi possono contare sulla sua
presenza costante… C’è armonia in tutto lo spettacolo, tra regia e direzione musicale, come tra i cantanti. In queste condizioni riesco a esprimermi meglio’. Gentile e disponibile, questo Enrico Job mago della scenografia, ma anche meticoloso, accurato, instancabile lavoratore. Lo abbiamo visto provare le luci fino all’alba
drappeggiato in pesanti mantelli di lana contro l’umidità della notte” (Francesca
Benadduci,“Aria nuova in Arena il merito è di Kuhn”,Il Messaggero,11 luglio 1990).
“La regia di Enrico Job è curatissima, – aggiunge il soprano Maria Dragoni, Leonora nel Trovatore – la scenografia stupenda, ma quello che mi rende più felice è
la bellezza dei costumi che indosserò. Pensi, la mantilla che Eleonora getta via nel
momento in cui apprende che Manrico, il suo amore, è zingaro, è un velo verde
dorato, autentico, che costa più di ottocento mila lire al metro. Job ha sottolineato l’energia del mio personaggio... Con lui io so dove sono, so chi sono e sento
la purezza del personaggio di Leonora, una Leonora amabile e forte” (Francesca
Benadduci, Aria nuova in Arena, il merito è di Kuhn, Il Messaggero, 11 luglio 1990).
“L’abito seicentesco del Conte voluto da Job, dà un risalto a un ‘epico’ Pasquetto – come lo stesso Job lo definisce – fiero tra gli svolazzi del mantello nero
argenteo, inappuntabile barba corvina e phisique du rôle” (Francesca Benadduci,
Per il Conte di Luna applausi anche in prova, Il Messaggero, 12 luglio 1990).
“Un fuoco nella notte” Così Enrico Job vede Il Trovatore, un’anima zingaresca,
gitana, in una Spagna seicentesca, dilaniata dai soprusi dei nobili e dalle persecuzioni religiose. “Il titolo Trovatore, – spiega Job – evoca l’idea di un personaggio
delicato, un menestrello dalle inclinazioni cortigiane: decisamente contrastante
con l’irruenza guerriera di Manrico. In secondo luogo, i continui riferimenti del
libretto – ispirato al dramma di Gutierrez ambientato all’inizio del XV secolo –
a guerre, violenze di ogni genere, streghe e roghi, a una comune cognizione storica, appaiono più seicenteschi. Del resto, le ambientazioni storiche verdiane sono
più emozionali che realistiche, e autorizzano un regista a qualche libertà” (Anonimo, Un’opera di solitudine e passioni, Il Resto del Carlino, 12 luglio 1990).
“L’ambientazione è nella Spagna seicentesca, e Job al primo atto veste la Dragoni come un’amazzone dal cappellino piumato e veste di cuoio e di mantelli dal sicuro effetto gli interpreti maschili” (Francesca Benadduci, A mezzanotte va il Trovatore, Il Messaggero, 13 luglio 1990).
“Tre palcoscenici:o meglio,tre spazi deputati all’azione e al canto… Il grande muro
dello Sferisterio di Macerata è stato suddiviso in tre precisi luoghi scenici dalle grandi scalinate lignee che ospitano il movimentato e coloratissimo accampamento del
popolo zingaro, grande protagonista dello spettacolo di Job. Il regista ha immaginato un Trovatore giocato sui contrasti: tra la solitudine dei nobili, che si aggirano al
centro della scena, e la fierezza gitana.‘Ho collocato l’accampamento zingaro fuori
dalle mura di un’ideale città, – dice Job – come del resto avviene spesso in Spagna’.
Al centro del muro, una imponente grata di alluminio di 16 metri per 12 simboleggerà l’ineluttabile tragedia che incombe sui protagonisti:nel momento clou di Trovatore. Mentre Manrico intonerà Di quella pira, la grata calerà lentamente sul palcoscenico tagliandone diagonalmente in due lo spazio e ‘imprigionando’ i cantanti”
(Ennio Melchiorre, Una stagione in nome di Verdi,Avanti!, 13 luglio 1990).
“Seducente… la scenografia: grande, maestosa, ma mai esagerata, riempie con
impeccabile finezza l’austerità dell’Arena… La sensazione è quella, infatti, di non
trovarsi in un’Arena ma autenticamente fuori di un medioevale castello che
segretamente consuma i suoi rituali di amore e di morte. Le tre porte – utilizzate come tre luoghi deputati dell’azione sovrastate da quella gigantesca grata
metallica issata disperatamente contro il muro come presagio di irrevocabile tragicità – lasciano intravedere una vita interna al castello. Sui due lati gli accampamenti zingari, caldi di vita e di vendetta, sembrano contendere lo spazio scenico
al Conte della Luna. Ed è questo che colpisce immediatamente: il doloroso sentimento della vita umana che, negata, cerca prepotentemente di affermarsi nelle
danze selvagge e cariche di passione degli zingari, nei loro autentici fuochi, nello
scintillare dei loro fieri sorrisi. Costumi curatissimi nella scelta del contrasto: ai lati
la vivace aggressività – quasi moderna– della vita nomade, di là l’ingabbiata rigidità del grigio e del nero dei costumi delle donne e dei guerrieri del palazzo.Non
appare casuale la veste d’oro e di pizzo che Leonora - gitana indossa accanto al
suo Manrico. Emozionante il cupo precipitare della grata su quella croce di sup-
“‘A director who shares our suffering and worries’, commented Elisabetta Florillo
(Azucena). “Singers and actors have been able to count on his constant presence for
the last twenty days... There is harmony between theatrical and musical direction
throughout the production, and also between the singers. I can express myself better
in conditions like these’. Kind and obliging, this Enrico Job is not only a wizard of
set design, but also a meticulous, accurate, tireless worker.We have seen him up until
dawn testing the lighting, wrapped in thick woollen blankets to keep out the damp of
the night” (Francesca Benadduci, “Aria nuova in Arena il merito è di Kuhn”, Il
Messaggero, 11 July 1990).
“The Count’s seventeenth-century costume, designed by Job, gives Pasquetto an ‘epic’
profile, as Job himself defines it, proudly flourishing his black, silvery cape, with his
neat black beard and his physique du rôle” (Francesca Benadduci, Per il Conte di
Luna applausi anche in prova, Il Messaggero, 12 July 1990).
“A fire in the night”.This is how Enrico Job sees Il Trovatore, a gypsy, gitanesque
spirit in a seventeenth-century Spain, torn apart by the abuses of the nobles and by
religious persecution. “The title Trovatore”, explains Job, “evokes the ideal of a
delicate person, a minstrel of courtly inclinations, decidedly in contrast with Manrico’s
warrior-like impetuousness. Secondly, the continual references of the libretto (inspired
by a play by Gutierrez set at the beginning of the fifteenth century) to wars, violence
of all kind, witches and burnings at the stake, ie to a common historical knowledge,
are more characteristic of the seventeenth century. Anyway, Verdi’s historical settings
are more emotional than realistic, and authorize a director to take some liberties”
(anon., Un’opera di solitudine e passioni, Il Resto del Carlino, 12 July 1990).
“The opera is set in seventeenth-century Spain, and in the first act Job dresses
Dragoni as an amazon in feathered cap and leather and the male actors in striking
mantles” (Francesca Benadduci, A mezzanotte va il Trovatore, Il Messaggero, 13
July 1990).
“There are three stages, or rather, three areas delegated to the acting and singing...The
big wall of Macerata’s Sferisterio has been subdivided into three precise areas of action
by the big wooden stairways which host the lively, colourful encampment of the gypsy
people, which plays an important part in Job’s production.The director has devised a
Trovatore which depends on contrasts: between the solitude of the nobles, who hang
around in the middle of the stage, and the gypsies’ pride. ‘I have located the gypsy
encampment outside the walls of an imaginary city’, says Job, ‘as, indeed, often
happens in Spain’.At the centre of the wall, an imposing aluminium grille measuring
16m x 12m will symbolize the ineluctable tragedy which bears down on the main
characters at the critical moment of Il Trovatore.While Manrico intones Di quella
pira, the grille will descend slowly onto the stage, cutting its space diagonally in two
and ‘imprisoning’ the singers” (Ennio Melchiorre, Una stagione in nome di Verdi,
Avanti!, 13 July 1990).
“The set is seductive... Big, majestic, but never exaggerated, it fills the austerity of
the Arena with impeccable refinement... Indeed, the sensation is that of not being
in the Arena, but really outside a medieval castle in which the rituals of love and
death are secretly consumed. The three gates, used as three areas delegated to the
action, with that gigantic metal grille looming over them, hoisted against the wall
like a presage of irrevocable tragedy, allow us to spy upon life inside the castle. On
either side are the gypsy encampments which, fiery with life and vendetta, seem to
contend with the Count for the scene of the action. And it is this which is
immediately striking: the painful sentiment of human life which, when denied,
seeks forcefully to affirm itself in the wild, passionate dances of the gypsies, in their
authentic fires, and in the scintillation of their proud smiles. Extreme care has been
taken in the achievement of a contrast in the costumes: on either side, the lively,
almost modern aggressiveness of nomadic life, and in the centre the caged-in rigidity
of the grey and black of the costumes of the palace’s women and warriors.The dress
of gold and lace which Leonora, the gypsy, wears alongside her Manrico, does not
seem a casual choice. And the sinister descent of the grille onto the cross of
supplication, which appears to definitively crush any dream of a positive and
heroically romantic solution to the story is extremely effective. Here the heroes die
at dawn and take with them their improbable mark of diversity.The set design is,
then, a real wonder, not a framework for, but, as in certain Manzonian landscapes,
an answer to the protagonists’ anxieties, troubles and memories” (Maria Laura
Bozzetti per la scenografia dell’accampamento Gitano
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plizio che sembra far crollare definitivamente ogni sogno di soluzione positiva e
eroicamente romantica della vicenda. Gli eroi qui muoiono all’alba e portano con
sé l’improbabile segno della diversità. Una scenografia, dunque di autentica meraviglia, non cornice ma – come certi paesaggi manzoniani – risposta alle ansie, ai
turbamenti, alle memorie dei protagonisti” (Maria Laura Platania, Un Trovatore
affascinante tra la luce gitana e il buio della grata, La Gazzetta, 13 luglio 1990).
“La forte teatralità del libretto di Cammarano è giocata dal regista Enrico Job
attraverso colori contrastanti della enorme scena, lunga quanto l’Arena. Il caldo
solare del legno delle strutture contro il nero della grata di ferro e dei costumi
nobili sempre ricorda la ‘storia funesta’; e poi la vistosa varietà zingaresca delle
tinte degli accampamenti e delle vesti gitane che rompono la drammatica vicenda” (Rosanna Luciani, Verdi a tinte forti, Il Resto del Carlino, 13 luglio 1990).
“Scene, costumi e regia curati in ogni particolare con quel gusto ed eleganza che
ormai tutti riconoscono a Job, e hanno ottenuto dal pubblico il successo meritato” (Valentino Gabrielli, Trionfa il “Trovatore”, La Gazzetta, 15 luglio 1990).
“… Ma graticola e accampamento hanno sortito il doppio vantaggio di
costruire elementi fissi e non troppo monotoni, risparmiando agli spettatori le
snervanti attese per i cambi di scene” (Domizia Carafoli, Trovatore con sorpresa
allo Sferisterio, il Giornale, 16 luglio 1990).
“Nella rappresentazione all’aperto il dato visivo è essenziale:impegnato come regista, scenografo e costumista Enrico Job ha fatto un buon lavoro senza disturbare la
musica” (Alfredo Gasponi, Una pira tira l’altra, Il Messaggero, 16 luglio 1990).
“Un bellissimo spettacolo… tutto è andato per il suo verso, secondo la logica
lineare di Job, regista-scenografo costumista che ha puntato per il successo dell’allestimento su elementi visivi chiari e semplici: la nudità del muro in tutta la
sua lunghezza; l’azione scenica estesa lungo i 96 metri dell’Arena; la forza dei bellissimi costumi zingareschi contrapposti al nero di cui invece si avvolge il mondo
nobile; effetti scenici tra il reale e il simbolico, come fuochi accesi, che fumanti
nella tendopoli gitana, esprimono l’ardore delle fortissime passioni e la lugubre
grata nera della prigione del quarto atto, che è anche il segno visibile dei destino
‘funesto’ che si abbatte sui personaggi e li conduce alla tragedia finale” (Rosanna Luciani, Bello spettacolo e tanti applausi, Il Resto del Carlino, 16 luglio 1990).
“C’è infine piaciuto senza riserve l’allestimento pensato da Enrico Job, responsabile di regia, scene e costumi” (Fabio Brisighelli, Macerata, nel Trovatore soprattutto una ricerca di suggestioni visive, Il Corriere Adriatico, 16 luglio 1990).
“Lo spettacolo è stato risolto, sia nella parte visiva curata da Job che in quella
musicale da Gustav Kuhn, in un alternarsi di enigmatici ed equivocanti pirandelliani giochi delle parti. La immensa e suggestiva muraglia dello Sferisterio, è
stata scelta come elemento integrante della scena con al centro, in alto una grande grata… con pregevoli e suggestivi tagli di luce.Ai lati,per tutta la larghezza è
stato allestito un accampamento di zingari per evidenziare la caratterizzazione di
Azucena, vera protagonista del dramma, ma che ha offerto motivi di disturbo e
di dubbiosi valori simbolici nell’animazione, soprattutto nei piccoli zingarelli”
(Walter Baldasso, Alla ricerca del Trovatore, La Stampa, 16 luglio 1990).
“Job ha utilizzato tutta l’estensione dello Sferisterio con molta oculatezza e ha
condotto la regia con mano leggera e musicale contribuendo in modo determinante al buon esito” (Adriano Cavicchi, “Trovatore” infine ritrovato, Il Resto
del Carlino, 16 luglio 1990).
“Enrico Job ha fatto tutto lui, la regia, le scene, i costumi. E ha cominciato col
togliere innanzittutto il superfluo. Sono sparite così le due costruzioni laterali… e l’immensa, sterminata parete dello Sferisterio è apparsa nella sua nuda
imponenza... Bellissime le luci, che giustamente fingono sempre un’atmosfera
notturna, in questa che è la più notturna delle opere di Verdi. Alla notte dell’azione corrisponde infatti la notte dei cuori, alle fiamme delle fiaccole e dei
roghi, i fuochi inestinguibili delle passioni. I costumi non conoscono un’epoca definita, ma appaiono genericamente cinquecenteschi…” (Dino Villatico,
Fuochi e bagliori, la Repubblica, 17 luglio 1990).
“E bene ha fatto Enrico Job a prendere il toro per le corna. Eliminati i falsi contrafforti che tentavano di rimpicciolirlo, ha esposto il muro in tutta la sua imponenza, creando ai lati della scena fissa dei praticabili dove trovano posto due
accampamenti zingari. Un bellissimo colpo d’occhio, fatto di masse in movi-
Platania, Un Trovatore affascinante tra la luce gitana e il buio della grata,
La Gazzetta, 13 July 1990).
“The strong theatricality of Cammarano’s libretto is expressed by director Enrico Job
through the contrasting colours of the enormous set, which is as long as the Arena.
The sunny warmth of the wood of the structures against the black of the iron grille
and the noble costumes always reminds us of the ‘woeful story’. And then there is
the gypsies’ bright variety in the colours of their encampments and clothing, which
breaks up the dramatic story” (Rosanna Luciani, Verdi a tinte forti, Il Resto del
Carlino, 13 July 1990).
“Every detail of the sets, costumes and direction displays that taste and elegance for
which Job has become famous, and they have had the success that they deserve with the
public” (Valentino Gabrielli, Trionfa il “Trovatore”, la Gazzetta, 15 July 1990).
“... But grille and encampment had the double advantage of constituting fixed
elements which were not too monotonous, so that the audience didn’t have to put up
with long waits for scene changes” (Domizia Carafoli, Trovatore con sorpresa allo
Sferisterio, il Giornale, 16 July 1990).
“In an open-air production the visual element is essential: acting as director, set and
costume designer Enrico Job has done a good job without disturbing the music”
(Alfredo Gasponi, Una pira tira l’altra, Il Messaggero, 16 July 1990).
“A beautiful production... Everything went according to plan, according to the linear
plan of Job, both director and set and costume designer, who has entrusted the success
of the production to clear, simple visual elements: the nakedness of the wall for the
whole of its length, the stage action extended across the 96 metres of the Arena, the
strength of the beautiful gypsy costumes contrasting with the black in which the world
of the nobles is wrapped. Stage effects which function as both real and symbolic, like
the burning fires which, smoking in the gypsy encampment, express the ardour of the
deep passions, and the sinister black grille of the prison in the fourth act, that is also
the visible sign of the ‘woeful’ destiny which strikes the characters and leads them to
the final tragedy” (Rosanna Luciani, Bello spettacolo e tanti applausi, Il Resto
del Carlino, 16 July 1990).
“The author is, then, unreservedly pleased by the production devised by Enrico Job,
responsible for direction, sets and costumes” (Fabio Brisighelli, Macerata, nel
Trovatore sopratutto una ricerca di suggestioni visive, Il Corriere Adriatico, 16
July 1990).
“The production was done, both on the visual side handled by Job and on the musical
side, handled by Kuhn, in an alternation of enigmatic and ambiguous Pirandellian
games.The big, imposing wall of the Sferisterio was chosen to be an integral part of
the set, with a big grille in the centre... and with admirable and evocative lighting
effects. At the sides, the whole breadth, a gypsy encampment was set up in order to
illustrate the characterization of Azucena, the real protagonist of the drama, but which
created some disturbance of doubtful symbolic value in the way in which it was
realized, especially with the gypsy children” (Walter Baldasso, Alla ricerca del
Trovatore, La Stampa, 16 July 1990).
“Job has used the whole extension of the Sferisterio very cleverly, directing with a light
and musical touch and thus contributing definitively to the production’s success” (Adriano
Cavicchi, “Trovatore” infine ritrovato, Il Resto del Carlino, 16 July 1990).
“Enrico Job has done everything himself: direction, set, costumes. And he began by
stripping it of the superfluous. So the two lateral constructions have disappeared...
and the immense, endless wall of the Sferisterio appears in all its imposing
nakedness... The lighting is beautiful, always correctly suggesting a nocturnal
atmosphere in this, the most nocturnal of Verdi’s operas. Indeed, to the night of the
action corresponds the night of hearts, and to the flames of the torches and bonfires,
the inextinguishable flames of passions.The costumes do not belong in any definite
period, but they seem generally sixteenth-century...” (Dino Villatico, Fuochi e
bagliori, la Repubblica, 17 July 1990).
“Enrico Job has done well to take the bull by the horns. Having eliminated the false
buttresses which attempted to make it smaller, he has exposed the wall in all its
imposingness, building moveable platforms on the two sides of the fixed stage in order
to accommodate two gypsy encampments. This is beautifully striking, made of
moving masses, with subdued lights and burning fires and reinforced by effect of a
gigantic grille... In his telling of the story, which is vaguely cinematographic, Job lets
mento, con luci livide e fuochi accesi, rafforzato dall’effetto di una grata gigantesca... Nella linea narrativa, vagamente cinematografica, Job ci fa vedere l’arresto di
Azucena, la carneficina degli zingari, l’arresto di Manrico e i suoi personaggi
acquistano una luce più reale che li avvicina al Don Carlos.Anche lo spostamento dell’azione nel XVI secolo,che ha dato ai sontuosi costumi toni scuri da Inquisizione” (Marco Spada, Trovatore piace anche senza il do, l’Unità, 17 luglio 1990).
“La continuità scenica ideata da Job è affascinante, è come assistere a una
proiezione in cinerama”(Osvaldo Scorrano, Le note di Verdi per aprire la stagione
lirica, Il Corriere di Puglia e Lucania, 18 luglio 1990).
“... una serata all’insegna dell’opulenza e del fasto nell’allestimento di Enrico Job,
che impegnato come regista, scenografo e costumista, ha proposto un Trovatore
quasi in cinemascope, sfruttando interamente il palcoscenico... e animandolo con
un grande accampamento gitano che funge da ‘cornice’ alla vicenda, con retroscene di vita zingaresca e duelli di sapore cinematografico” (Anonimo, Un “Trovatore”in...cinemascope su un palco lungo cento metri, L’Eco di Bergamo, 18 luglio 1990).
us see the arrest of Azucena, the gypsies’ butcher, and the arrest of Manrico, and his
characters acquire a more real light which brings them closer to Don Carlos.There
is also the displacement of the action to the sixteenth century, which lends the
sumptuous costumes the dark tones of the Inquisition” (Marco Spada, Trovatore
piace anche senza il do, l’Unità, 17 July 1990).
“The scenic continuity devised by Job is fascinating, it is like watching a film
projection” (Osvaldo Scorrano, Le note di Verdi per aprire la stagione lirica, Il
Corriere di Puglia e Lucania, 18 July 1990).
“... an evening marked by the opulence and luxury of the production of Enrico Job
who, employed as director and set and costume designer, has offered us a Trovatore
almost in ‘cinemascope’, exploiting the whole stage... and animating it with a big
gypsy camp functioning as a ‘frame’ for the story, with backstage activities of gypsy
life and duels reminiscent of the cinema” (anon., Un “Trovatore” in...
cinemascope su un palco lungo cento metri, L’Eco di Bergamo, 18 July 1990).
Costumi per il Conte di Luna e Manrico
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