Parrocchia
Santa Maria della
Consolazione
don Alfonso Capuano
Is 42, 1-4
Dio presenta il suo
servo
da Lui
eletto per ristabilire la Sua Signoria
su tutta la terra.
Il servo non userà la
forza
e passerà attraverso una forma di
travaglio.
Is 49, 1-6
Il servo rivolgendosi alle nazioni
si presenta come un
Profeta inviato da Dio
ad Israele per la
Salvezza.
Il servo, dopo una fase di scoraggiamento, si
riprende e Dio rilancia la sua missione per
tutte le nazioni.
Is 50, 4-9
Il Signore Dio mi ha dato una lingua da
iniziati, perché io sappia indirizzare allo
sfiduciato una parola. Ogni mattina fa attento il
mio orecchio perché io ascolti come gli iniziati.
Il Signore Dio mi ha aperto l'orecchio e io non
ho opposto resistenza, non mi sono tirato
indietro. Ho presentato il dorso ai flagellatori, la
guancia a coloro che mi strappavano la barba;
non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi.
Is 50, 4-9
Il Signore Dio mi assiste, per questo non
resto confuso, per questo rendo la mia faccia
dura come pietra, sapendo di non restare
deluso. È vicino chi mi rende giustizia; chi
oserà venire a contesa con me? Affrontiamoci.
Chi mi accusa? Si avvicini a me. Ecco, il
Signore Dio mi assiste: chi mi dichiarerà
colpevole? Ecco, come una veste si logorano
tutti, la tignola li divora.
Is 50, 4-9
Il Signore Dio mi ha dato una lingua da
iniziati, perché io sappia indirizzare allo
sfiduciato una parola.
Il servo si presenta e parla in prima
persona per la seconda volta. Conferma
l’indole profetica della sua vocazione,
presentandosi come fornito di una lingua
capace di dare speranza a chi l’ha persa.
Il termine profeta indica il “parlare a
nome di” Dio.
Is 50, 4-9
Ogni mattina fa attento il mio orecchio
perché io ascolti come gli iniziati.
Non si può parlare a nome di Dio a chi è
scoraggiato se non si è capaci di ascoltare
prima Lui: colui che è chiamato a portare Dio
agli altri e gli altri a Dio deve,
necessariamente, avere un rapporto continuo
e costante con Dio.
Is 50, 4-9
Il Signore Dio mi ha aperto l'orecchio e io
non ho opposto resistenza, non mi sono tirato
indietro.
Il servo è consapevole della volontà di
Dio che non rifiuta ma, anzi, accetta
completamente senza alcun riserbo.
Ma quale è la volontà di Dio?
Is 50, 4-9
Ho presentato il dorso ai flagellatori, la
guancia a coloro che mi strappavano la barba;
non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi.
Si presenta una parte del travaglio come
persecuzione, come aggressività del popolo (o
comunque di una folla) nei confronti del
servo.
Ma perché lo perseguitano e perché viene
dileggiato e messo alla berlina?
Is 50, 4-9
Il Signore Dio mi assiste, per questo non
resto confuso, per questo rendo la mia faccia
dura come pietra, sapendo di non restare
deluso.
Di
fronte
alla
persecuzione,
all’isolamento e al dileggio, il servo non si
scoraggia e non indietreggia, avendo fiducia
nell’aiuto del Signore ed essendo convinto che
ne vale la pena.
Is 50, 4-9
È vicino chi mi rende giustizia; chi oserà
venire a contesa con me? Affrontiamoci. Chi mi
accusa? Si avvicini a me.
Il servo sembra prospettare un giudizio in
tribunale nel quale viene accusato: facendo
forza sulla vicinanza del Signore, egli affronta
il giudizio e non si sottrae al confronto.
Is 50, 4-9
Ecco, il Signore Dio mi assiste: chi mi
dichiarerà colpevole? Ecco, come una veste si
logorano tutti, la tignola li divora.
Il servo è convinto della sua innocenza e
la afferma a voce alta, chiaramente.
L’ultimo versetto, ad una prima lettura,
sembra enigmatico.
Is 50, 4-9
 Quale è la volontà di Dio?
 Perché lo perseguitano?
 Perché viene dileggiato e messo alla
berlina?
 Cosa significa l’enigmatico versetto finale?
Is 50, 4-9
Il servo è convinto che ciò che di male gli sta
accadendo rientri “misteriosamente” nei progetti di
Dio.
Questo è un fatto clamorosamente assurdo
nella logica dell’Antico Testamento.
Infatti gli ebrei in tutto l’A.T. ed anche in parte
del N.T. (dove è presente per essere confutata)
parlano della Teologia della Retribuzione e credono
profondamente in essa.
Ma di cosa si tratta?
Gv 9,1-3.9
Passando vide un uomo cieco dalla
nascita e i suoi discepoli lo interrogarono:
«Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori,
perché egli nascesse cieco?». Rispose Gesù:
«Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è così
perché si manifestassero in lui le opere di Dio.
Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati
e vuoi insegnare a noi?». E lo cacciarono fuori.
Gv 9,1-3.9
Il testo evidenzia che i discepoli prima e i
farisei poi sono profondamente convinti di un
assunto fondamentale: quando il dolore, la
sofferenza, la malattia, la morte, toccano la vita di
una persona, allora se ne deve dedurre che c’è una
colpa che ha generato la Retribuzione cui si assiste.
Ma già Giobbe aveva affrontato questo
problema: secondo quali coordinate?
Il libro di Giobbe
Il libro di Giobbe rappresenta sicuramente un
punto molto alto della letteratura universale, tanto
che il suo protagonista si configura come un
modello importante, un prototipo di un
atteggiamento di fronte alla vita. L’opera, infatti,
essendo la testimonianza di un itinerario tormentato
dedicato alla ricerca di Dio attraverso la via del
dolore innocente, si presta indubbiamente ad essere
un punto di riferimento per chiunque cerchi una
risposta al mistero del dolore.
Il libro di Giobbe
La ricerca odierna è concorde
nell’affermare che il libro di Giobbe non è il
prodotto di un unico scrittore, anche se è
possibile ricondurre la sostanza poetica e
religiosa dell’opera ad un unico autore.
Nella genesi dell’opera sono, infatti,
individuabili almeno sei strati della sua
complessa elaborazione.
Composizione di Giobbe
 Un primo strato è costituito da un racconto
popolare, il cui protagonista ha il nome di
Giobbe, individuabile, nell’opera attuale, nel
Prologo e nell’Epilogo.
 Il secondo strato dell’opera, che rappresenta la
parte più importante della struttura finale, è
costituito dai dialoghi di Giobbe con gli amici (cc.
3-27 e 29-31) e dall’intervento finale di Dio (cc.
38-41).
Composizione di Giobbe
 Il terzo strato del libro è costituito dai discorsi di
Elihu (cc. 32-37); questi discorsi sono del tutto
inattesi nella economia della narrazione e da essi
viene fuori una teologia raffinata e originale che
pone in evidenza che questi capitoli non
appartengono al libro originale.
 Il quarto strato del libro è individuabile nell’inno
alla sapienza del c. 28.
 Il quinto strato è costituito dal discorso di Dio
intorno Behmot e Leviatan (cc. 40-41).
 Il sesto strato del libro può essere visto nel lavoro
di ‘cesura’ delle varie parti dell’opera.
Struttura di Giobbe
I. Prologo. cc. 1-2, testo in prosa il cui tema
centrale è la sofferenza e la prova.
II. Dialogo. cc. 3-27, testo in poesia che
contiene nove proteste di Giobbe e tre
serie di interventi degli amici (Elifaz,
Bildad, Zofar)
III. Dialogo Giobbe Dio - prima parte -. cc.
29-31, testo in poesia in cui Giobbe cita in
causa Dio.
Struttura di Giobbe
IV. Inserzione di Elihu. cc. 32-37, testo in
poesia nel quale viene evidenziato che la
sofferenza è educazione e purificazione
dell’uomo.
V. Dialogo Giobbe Dio - seconda parte -. cc.
38-42,6, testo in poesia nel quale Dio
interviene e Giobbe scopre che Dio non è
riconducibile ad un semplice schema
razionale.
VI. Epilogo. vv. 42,7-17, testo in prosa dove si
racconta della riabilitazione di Giobbe
Coordinate teologiche
Si è visto come il libro di Giobbe sia, sotto
diversi punti di vista, un testo molto ricco che
richiede una analisi complessa e articolata ogni
volta che ci si avvicina ad un aspetto di esso. Allo
stesso modo per comprendere la teologia del libro
bisogna fare una analisi che si snoda secondo
angolature e livelli differenti.
Analizziamo le tre principali coordinate
teologiche di Giobbe: il mistero di Dio, il mistero
dell’uomo, ed infine il mistero del dolore.
Il mistero di Dio
Il motivo teologico del libro di Giobbe si
configura come una critica alle sistemazioni e agli
stereotipi della teologia ufficiale, cioè quella che nel
libro è incarnata dagli amici del protagonista, che
delineano con le loro risposte un ‘razionalismo
teologico’ fondato sul dogma della retribuzione.
Nel libro, infatti, questo razionalismo
teologico viene messo in crisi quando si evidenzia
l’aporia della realtà stessa dove il giusto soffre
mentre per i malvagi “il bastone di Dio non pesa su
di loro” (Gb 21, 9).
Il mistero di Dio
Nella teologia di Giobbe, nasce una nuova visione di
Dio che, comprendendolo come libertà e misteriositàalterità, può far acquistare nuova luce anche alla
comprensione dello scandalo del dolore.
Dio, allora, ha un primato indiscutibile e
trascendente, ma la sua trascendenza è comunque carica di
sim-patia nei confronti dell’uomo che, dopo che Dio ha
preso l’iniziativa, accogliendo la salvezza offerta per
grazia, può dire con Giobbe:
“Io ti conoscevo per sentito dire,
ma ora i miei occhi ti vedono” (Gb 42, 5).
Il mistero dell’uomo
Il libro di Giobbe, attraverso
l’esperienza del dolore e dell’incontro
con Dio, delinea nella figura di Giobbe la
sua antropologia: Giobbe è un uomo, un
credente e un sofferente.
Uomo
Nella economia del libro, la storia dell’uomo
Giobbe è delineata da diverse simbologie che
sottolineano innanzitutto la fragilità dell’esistenza
umana: “l’uomo, nato di donna, breve di giorni e
sazio di inquietudine come un fiore spunta e
avvizzisce” (Gb 14,1), “abita case di fango che
nella polvere hanno fondamento” (Gb 4,19).
Il libro poi sottolinea la corruzione della
condizione umana (“può il mortale essere giusto
davanti a Dio, o innocente l’uomo davanti al suo
creatore?” - Gb 4,17) e sua la sua caducità.
Credente
In questa prospettiva si situa forse la caratteristica
più evidente di Giobbe: egli è un credente. Giobbe, infatti,
non abbandona mai il parametro di giudizio della fede ed è
cosciente che il mistero dell’uomo non può essere risolto in
se stesso ma trova risposta nella proclamazione della sua
sudditanza nei confronti di Dio.
Il credente Giobbe, allora, riconosce l’incapacità
naturale dell’uomo di rapportarsi correttamente a Dio e
comprende che rapportarsi a Lui è possibile solo per grazia
divina che si può accogliere, senza costringere Dio in
schemi razionali, accettando l’uomo e accettando Dio nella
rispettiva autenticità profonda.
Sofferente
L’autenticità dell’uomo può essere
compresa nella dimensione esistenziale più
importante di Giobbe: la sua sofferenza.
Il libro di Giobbe insegna che nella
sofferenza l’uomo viene ridotto al suo
essenziale, alla sua radicalità; è nella via del
dolore che l’uomo trova la sua purezza e può
riconoscere la sensatezza dell’amore di Dio.
Il mistero del dolore
Per
giungere
ad
una
corretta
comprensione del ‘mistero del dolore’ bisogna
muovere secondo due direttrici: innanzi tutto
bisogna vedere il senso originario del testo
(movimento centripeto), e poi vedere ciò che il
libro dice all’uomo di oggi (movimento
centrifugo).
Il mistero del dolore
Per quel che concerne il movimento
centripeto, si può affermare che il tema centrale
dell’opera è sicuramente la sofferenza.
Se, infatti, si osservano le posizioni di tutte
le tappe (gli strati) della complessa elaborazione
di Giobbe si vede subito che, anche se si
sviluppano riflessioni diverse, il punto di
partenza è sempre la sofferenza.
Il mistero del dolore
Il risultato conclusivo dell’opera, infatti, sarà
la critica, fatta attraverso la via della sofferenza,
delle varie posizioni che fino a quel momento si
sono assunte di fronte ad essa (la retribuzione, la
sofferenza come mezzo pedagogico).
Il merito di questa critica, che coincide col
senso originario del testo, sarà quindi quello di aver
messo in crisi tutti gli antropomorfismi ed aver
aperto la via alle nuove proposte che ancor oggi
interpellano l’uomo.
Il mistero del dolore
Si può ora vedere il movimento
centrifugo per comprendere, coordinando il
mistero di Dio e quello dell’uomo, ciò che il
testo biblico può dire oggi.
Attraverso il protagonista del libro di
Giobbe, l’uomo che soffre riesce a
comprendere che il suo dolore viene da Dio e
sperimenta la presenza di Dio nella
sofferenza.
Il mistero del dolore
A partire da questa presa di coscienza
Giobbe, e con lui ogni uomo che soffre, deve
ripensare ai contenuti della sua fede, poiché il
Dio che si rivela nella sofferenza non è più
comprensibile alla luce della fede fino a
questo punto vissuta, e provoca, così, nel
credente, l’obbedienza della fede nella nuova
proposta avanzata da Dio.
Il mistero del dolore
In questo modo, poi, Giobbe intuisce che la
sua fede non può forzare l’amore di Dio e la Sua
libertà, e comprende, ritornando al ‘mistero di Dio’,
che Dio è diverso da come lo aveva fino ad allora
pensato.
L’uomo di oggi, allora, deve comprendere,
come ha compreso Giobbe, che “il Dio contro di Lui
è ancora il Dio per lui” al quale deve offrire una
fiducia incondizionata e totale anche nella morsa
del dubbio e della sofferenza.
Il mistero del dolore
La conseguenza di questa impostazione è
quella di far propria la convinzione per la quale Dio
resta un mistero, è incomprensibile; anche se Dio si
rivela, ed in maniera nuova e più convincente nel
dolore, Giobbe capisce che Dio non è
completamente disponibile Nel libro di Giobbe,
infatti, non è possibile individuare una vera e
propria Teofania quanto piuttosto una Logo-fania.
Il mistero del dolore
Un ultimo spunto di riflessione per
l’uomo, per il sofferente di oggi, può venire
dalla presenza, nel libro di Giobbe, della
teologia degli amici.
Le proposte degli amici vengono
considerate ‘cose non rette’ (Cf. Gb 42,7),
anche se le loro argomentazioni sono di
origine biblica.
Il mistero del dolore
Il perché di questo drastico giudizio è
riconducibile a due motivi: prima di tutto al fatto
che gli amici di Giobbe si comportano come se la
loro teologia fosse l’unica corretta comprensione di
Dio, senza capire che deve essere Dio ad
interpellare e comprendere; e poi al fatto che essi
non considerano la vera portata della libertà di
Dio, e cercano di ricondurre la presenza di Dio
nella storia a rigidi schemi razionali.
Is 50, 4-9
Ecco, come una veste si logorano tutti, la
tignola li divora.
A leggere bene il profeta parla dei suoi nemici
come di persone soggette alla legge della morte del
consumarsi: accenna alla vita eterna?
Ad una vita dopo la persecuzione e la morte?
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mistero di Dio