UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MACERATA
Facolta di Giurisprudenza
DOTTORATO
TEORIA DEI SISTEMI E SOCIOLOGIA DEI PROCESSI NORMATIVI E
CULTURALI
TESI
DAL CONCETTO DI EFFICACIA AL CONCETTO DI
VALUTAZIONE
Trasformazioni e sviluppi in una prospettiva Sociologico-Giuridica
TUTOR
Chiar.mo Prof. Alberto Febbrajo
a.a. 2008-2010
DOTTORANDA
Dott.ssa Filomena Giordano
INTRODUZIONE………………………………………………….…………
CAPITOLO I
IL CONCETTO TECNICO - GIURIDICO DI EFFICACIA
1.1. Teoria dell'effetto giuridico ......................................................................................... 3
1.2. Presupposti generali della teoria dogmatica dell’efficacia .......................................... 14
1.3. Principio di convenienza .............................................................................................. 17
1.4.Analisi dell’effetto giuridico ......................................................................................... 23
1.5. Efficacia e rilevanza giuridica - Tipi di efficacia ........................................................ 29
CAPITOLO II
IL CONCETTO SOCIOLOGICO DI EFFICACIA
2.1. Il principio di causalità................................................................................................. 43
2.2. Alcuni problemi di spiegazione causale....................................................................... 46
2.3. Il concetto sociologico di efficacia .............................................................................. 67
2.4. Il contributo di Theodor Geiger ................................................................................... 71
2.5. Il concetto di efficacia nella prospettiva funzional-strutturalistica di Luhmann ......... 77
2.6. Alcuni indicatori di efficacia e di efficienza nella giustizia e nelle amministrazioni .. 87
CAPITOLO III
DEFINIZIONI DEL CONCETTO DI VALUTAZIONE
3.1. Definire la valutazione ................................................................................................. 101
3.2. Metodologia della valutazione .................................................................................... 154
3.3. Valutazione e sapere sociologico ................................................................................. 284
3.4. Le dimensioni della valutazion .................................................................................... 290
3.5. L'approccio "sistematico" alla valutazione .................................................................. 300
CAPITOLO IV
LA VALUTAZIONE DELLE NORME TRA POLITICHE E CONTROLLI
4.1. La valutazione della normazione ................................................................................. 307
4.2. La valutazione delle politiche pubbliche ..................................................................... 327
4.3. Valutazione della efficacia e dell'efficienza - La Pubblica Amministrazione
come “sistema” (alcune considerazioni sul decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150) 343
4.4. Un esempio di controllo sull’attuazione delle leggi e la valutazione delle politiche:
La carta di Matera ............................................................................................................... 362
4.6. Analisi efficacia e di efficienza: il caso del sistema universitario italiano .................. 378
Verso un Panvalutazionismo? ............................................................................................ 392
Bibliografia ......................................................................................................................... 396
Introduzione
L’intento di questo lavoro, naturalmente senza alcuna pretesa esaustiva, è stato
quello di analizzare come sia stato elaborato, dalla scienza giuridica, il concetto
di “efficacia” e come tale nozione si presenti diversa dalla elaborazione
sociologica.
Il termine “efficacia” è stato ampiamente e spesso inopportunamente usato da
"tecnici del diritto, da economisti, da giuristi, da sociologi e da filosofi.
Stupisce il fatto che tale termine trovi un proprio spazio sull’Enciclopedia del
Diritto, sul Dictionnaire Encyclopédique de Théorie et de Sociologie du Droit,
sul Lalande (Vocabulaire de la Philosophie, ove si ricorda che è meglio
considerare l'oggetto piuttosto che il nome, cioè il carattere di ciò che è
efficace/efficiente), ma tuttavia non appare né sul Dizionario di Filosofia della
Garzanti, né sul Dizionario di Sociologia di L. Gallino, né sull'Enciclopedia
Giuridica Treccani. Quali siano le ragioni di questo silenzio è difficile dire,
forse il fatto che “efficace” ed “efficiente” sono attributi spesso assunti in
relazione alla causa, con significato equivalente, sebbene sarebbe opportuno
distinguerli.
Si è detto che “efficace” è la causa che produce il suo <<effetto senza nulla
perdere di sé>> mentre “efficiente” è quella causa <<che nel suo manifestarsi si
trasforma>>.
Nel linguaggio giuridico, secondo la teoria generale: l’efficacia è l’idoneità di
un fatto, di un atto, di un negozio, a produrre effetti giuridici di natura
costitutiva, modificativa o estintiva, di una determinata situazione o posizione
giuridica. Si parla di efficacia del negozio giuridico, di efficacia della legge, di
efficacia nel tempo, nello spazio, di efficacia della sentenza, dell’atto
amministrativo e dei trattati.
Si distingue anche un “principio di efficacia” parallelo, ma diverso, dal
principio di economicità. Quest’ultimo indica il rapporto tra le risorse
impiegate e i risultati ottenuti, mentre il principio di efficacia individua il
rapporto tra risultati ottenuti ed obiettivi prestabiliti.
Questo principio assume una valenza diversa rispetto al concetto di efficacia
giuridica e di efficienza. Infatti mentre l’efficacia giuridica designa l’attitudine
formale di un atto o di un fatto giuridico a produrre i propri effetti, il
‘principio’ indica la concreta idoneità dell’azione amministrativa a conseguire,
in termini pratici, i risultati prefissi in tema di tutela degli interessi pubblici. Si
differenzia poi dal concetto di efficienza poiché non si riferisce, generalmente,
al funzionamento complessivo degli apparati amministrativi o di taluni di essi,
ma in particolare, alle singole, specifiche manifestazioni dell’operato dei
pubblici poteri .
Si distingue poi un principio di ‘effetto utile’. L’effetto utile è un principio in
base al quale una determinata norma deve essere interpretata, di preferenza, in
modo da fornire il raggiungimento dell’obiettivo in essa prefissato.
Tale principio è spesso utilizzato dalla Corte di Giustizia delle Comunità
Europee (es. in forza di questo principio, qualora si verifichi un caso di
conflitto, di contraddizione o incompatibilità tra norme di diritto comunitario e
norme nazionali, queste ultime sono disapplicate, senza che ne sia necessaria la
richiesta della previa rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro
procedimento costituzionale).
Proveremo a vedere dapprima i termini in cui si pone oggi il problema
dell’effetto giuridico, e quindi la concezione giuridica del concetto di efficacia,
ed alcune teorie sociologiche, del concetto stesso. Si proverà poi a fare una
analisi delle innumerevoli definizioni del concetto di “valutazione”, che ormai
sembra essere diventato l’equivalente della efficacia se non addirittura il
sostituto. Quindi si vedrà l’equivalenza e/o le differenze tra il concetto di
“efficacia” e il concetto di “valutazione”, con l’intento di dimostrare che la
valutazione ha praticamente “preso il posto” della efficacia. Per cui tutto ciò
che viene valutato, diventa in un certo senso efficace.
2
Capitolo I
Il concetto tecnico giuridico dell’efficacia giuridica.
1.1. Teoria dell’effetto giuridico
Un breve richiamo dei precedenti storici potrebbe offrirci, non un risultato, ma
una prospettiva utile e qualche indicazione.
Già nelle fonti romane si trovano espressioni contenenti l’idea di una
causazione o generazione di effetti giuridici. Espressioni del tipo: causae ex
quibus obligationes nascuntu, causae lucrativae, venivano usate e interpretate,
senza troppo rigore, per esigenze espressive del linguaggio giuridico. La teoria
dell’effetto giuridico, così come si configura oggi nelle dottrine generali del
diritto, risale ai primi tentativi compiuti, dalla dottrina, nella seconda metà del
XVIII sec., per la definizione e classificazione degli atti giuridici e della
trasformazione dei diritti soggettivi. Sin dall’inizio alla base di queste
trasformazioni si poneva un particolare tipo di fatti, i cosiddetti fatti giuridici,
che erano accompagnati da determinate situazioni giuridiche, da doveri e
poteri. Ne risultava spontanea l’idea che queste situazioni giuridiche fossero gli
effetti o conseguenze di quei fatti e che tra fatti ed effetti potesse e dovesse
esistere uno specifico rapporto di causalità. Si costituiva così gradualmente la
terminologia oggi nota: fatto giuridico, effetto giuridico, rapporto di causalità
giuridica.1
L’intuizione sottesa a tale terminologia era che nel rapporto di causalità
giuridica il termine fatto giuridico non avesse nulla che lo distinguesse dagli
altri fatti osservabili nel mondo reale; mentre il termine effetto giuridico avesse
un’esistenza peculiare al diritto, squisitamente giuridica e non materialmente
determinabile come può essere l’effetto di una qualunque causa fisica. 2
Non mancarono, nella letteratura, imprecisioni ed incertezze per cui
confondeva
l’effetto
giuridico
con
l’effetto
materiale
(es.
si
invece
1
Una scorsa ai trattati dei Pandettisti mostra le tracce di questa formazione graduale, Savigny
F. I testi di diritto positivo fanno largo uso di questa terminologia, si legga per esempio l’art.
1334 c.c., la cui rubrica è intitolata alla “efficacia degli atti unilaterali”, mentre il testo fissa il
momento a partire dal quale gli atti unilaterali <<producono effetto>>
2
Cammarata A., Il significato e la funzione del fatto nell’esperienza giuridica, Milano, 1973.
3
dell’obbligazione si considerava “effetto” l’adempimento o l’esecuzione
forzata; invece della soggezione alla pena, l’esecuzione della pena). Attraverso
queste contrapposizioni o meglio fluttuazioni terminologiche si delineava, nella
seconda metà del secolo scorso, il problema di fondo della teoria dell’effetto.
Proveremo a vedere cosa si è inteso propriamente con il termine “effetto
giuridico”. Cosa hanno voluto fare e in quale modo i giuristi hanno usato la
“causalità”. Quale uso è stato fatto della relazione tra causalità giuridica e
causalità fisica.
Le risposte date storicamente al problema si riducono a tre gruppi principali.
La concezione più propriamente causale (se ne attribuisce l’origine ai giuristi
romani) secondo la quale le norme giuridiche hanno, come le leggi fisiche, la
struttura di proposizioni ipotetiche o condizionali per cui collegano ad un
evento condizionante, cioè la causa, un evento condizionato, cioè l’effetto.
Il rapporto tra causalità giuridica e causalità fisica è solo una analogia.
Successivamente tale concezione fu avversata da coloro che escludevano ogni
analogia poiché il diritto appartiene al mondo dello spirito e non a quello della
materia. Si sosteneva che tra fatti giuridici e diritti soggettivi non vi fosse una
causalità bensì un nesso psicologico di motivazione, nel senso che la situazione
di fatto costituisce psicologicamente il motivo del vincolo giuridico stabilito
dal legislatore. Era questa la concezione psicologica (Schlossmann, 1876).
Una terza dottrina rifiutava sia la spiegazione causale che quella psicologica del
rapporto tra fatto ed effetto giuridico. Sosteneva l’impossibilità sia di ridurre
l’effetto giuridico ad effetto fisico, sia l’impossibilità di attribuirvi una
esistenza solo psicologica-soggettiva. Voleva invece garantire il carattere
immateriale e l’oggettività dei vincoli e delle relazioni costituite dall’ordine
giuridico. Era questa la dottrina dell’effetto giuridico e della causalità giuridica,
la quale causalità, intesa come pura condizionalità, serviva a definire ciò che
costituisce il fondamento di una determinata conseguenza.
Tale dottrina oscillava tra un’analisi logico-formale e una tesi ontologica che
negava l’esistenza reale dell’effetto giuridico e ne affermava la mera esistenza
ideale. Basti ricordare che Kelsen negava il carattere reale dell’effetto,
4
muovendo dalla concezione della norma come dover-essere e contrapponendo
il dover-essere all’essere e alla realtà del mondo fenomenico.
Questi costituivano i tre principali modi di connessione e di consequenzialità di
cui si servivano i giuristi per mettere ordine nel mondo delle loro
rappresentazioni.
Si è visto che fatto giuridico ed effetto giuridico hanno una diversa “carica di
giuridicità.” Da queste prime considerazioni si osserva che, per i giuristi, il
fatto giuridico resta essenzialmente il medesimo fatto che si rileva sul piano
pre-giuridico, infatti la rilevanza che il diritto attribuisce ad un atto dell’uomo,
ad un evento fisico non muta essenzialmente la sua natura. Lo stesso non può
dirsi dell’effetto giuridico. Un vincolo giuridico non è pensabile senza il
riferimento al piano giuridico: proprietà, obbligazione, patria potestà, non
hanno senso fuori del mondo del diritto. Tali considerazioni sono puntualmente
criticate e rifiutate dalla sociologia del diritto, se ne vedrà in che modo e
perché.
L’effetto giuridico è dunque un fenomeno essenzialmente giuridico, non è altro
che uno degli aspetti del problema stesso della giuridicità, cioè il problema
stesso del diritto.
Ma una tale affermazione porta alla considerazione che sia vano sperare di
raggiungere una soddisfacente definizione dell’effetto giuridico senza risalire
ad una chiara concezione del diritto. In tal modo è come spiegare una questione
complessa rimenandola ad un’altra ancora più complessa. Sorge poi un dubbio,
se una questione per essere risolta richiede il ricorso ad una concezione
generale del diritto, essa rimane ancora di competenza del giurista? 3
Da una parte è un dato di fatto che nessun giurista può fare a meno di una
3
E’ questa l’opinione prevalente, Del Vecchio G., Lezioni di filosofia del diritto, Milano, 1948.
Che il problema di una definizione generale del diritto sia di competenza dei filosofi è
contestato, infatti contrariamente a quanto si potrebbe pensare, tra i problemi filosoficogiuridici non vi è quello di dare una definizione del diritto, ossia di formulare il concetto di
diritto; intendendo con tale espressione l’insieme delle note caratteristiche o caratteri
differenziali dell’esperienza giuridica nei confronti delle altre forme dell’esperienza pratica.
Tale formulazione è opera del pensiero scientifico, il quale ricava quelle note dell’osservazione
della realtà, e così distingue il proprio oggetto, e cioè il fenomeno giuridico, da altri che
possono avere punti di contatto o di somiglianza con esso (per esempio dal fenomeno del
5
concezione sociologica, dall’altra è anche vero che il giurista possiede un
criterio immanente per decidere e discutere i problemi di fondazione della
propria scienza.
La nozione di effetto giuridico è storicamente parte della dottrina della causalità
giuridica e la sua definizione è conseguita alle soluzioni assunte per questa.
La dottrina nasce dalla analogia tra leggi fisiche, che determinano il mondo
fisico, e leggi in uso per il mondo giuridico. A questo si obiettava, per un verso,
che una legge fisica esprimesse un rapporto causale, cioè un rapporto tra
l’essere di un fenomeno e l’essere di un altro fenomeno (es. il calore della
fiamma ed il disgelo: se in un certo tempo è dato il fenomeno A, calore, nel
tempo successivo avverrà il fenomeno B, disgelo); per un altro verso, che una
legge giuridica mettesse in rapporto l’essere di un fenomeno con il dover-essere
di un altro fenomeno (da un contratto regolarmente concluso segue
giuridicamente il dovere di adempimento; ma non segue necessariamente
l’ottemperanza al contenuto di quel contratto cioè l’adempimento effettivo che
in concreto potrebbe anche mancare, come direbbero i giuristi).
Esiste dunque una differenza essenziale, nel primo caso (il calore della fiamma
produce disgelo) abbiamo una conseguenza reale; nel secondo caso (il contratto
produce il dovere di pagamento) abbiamo una conseguenza meramente ideale,
un mero dover fare a cui potrebbe non corrispondere un fare effettivo. Il
pagamento potrebbe non avvenire, in realtà dunque non è necessario. È anche
vero che se il contratto restasse ineseguito l’altro contraente potrebbe
promuovere azione esecutiva e sorgerebbe nell’apparato giudiziario il dovere di
attuare l’esecuzione forzata a danno dell’inadempiente. Ma anche questo è un
dovere ideale che potrebbe restare ineseguito, non è una necessità reale.
La struttura logica della proposizione giuridica è dunque la seguente: se in un
certo tempo è dato A (contratto) le norme che regolano quel contratto esigono
(necessità ideale, non reale) o sarebbe più appropriato dire si aspettano che nel
tempo successivo avvenga B (pagamento o adempimento). E’ evidente che il
giurista qui vede come
necessario un fenomeno che piuttosto si direbbe
costume, da quello politico, economico, ecc.)
6
doveroso, e doveroso non vuol dire reale.
Il giurista dunque si occupa delle modificazioni delle posizioni giuridiche che
studia e non si preoccupa di stabilire se queste si produrranno o meno Compito
del giurista è quello di acclarare diritti e doveri che il diritto pone, anche se di
fatto molte di esse non si realizzano.
Premesso che il giurista non tiene alcun conto delle discussioni teoriche sulla
realtà e idealità dell’effetto, egli trae la conclusione che la causalità giuridica
non sia riducibile alla causalità fisica; in quanto l’effetto ideale prodotto dalle
norme giuridiche non è l’effetto reale prodotto dalle leggi fisiche.
Il giurista ritiene che la legge fisica stabilisca una necessità di fatto e incida sul
mondo dei fatti, ma è più corretto dire che si tratti di un nesso condizionale
empirico enunciato e che la legge fisica dice del mondo dei fatti. La norma
giuridica invece qualifica i comportamenti, pone un dovere-essere che si
riferisce al piano dei valori. Ogni norma di condotta definisce un valore (se al
valore diamo un senso formale) dell’agire umano.4
Ignorando poi che i fatti non esistono in natura, il giurista dice che le
proposizioni della fisica enuncino rapporti di condizionalità tra due fatti, e le
proposizioni giuridiche5 esprimano rapporti di condizionalità tra un fatto e un
valore, tra un fatto del mondo reale e un valore dell’agire umano.
Le
proposizioni giuridiche non esprimono, ma qualificano fatti e valori. Ciò che si
chiama effetto giuridico non è altro dunque che un valore condizionato, il
valore di un determinato atto umano (il pagamento o adempimento) è dunque
condizionato in genere ad una determinata qualificazione della realtà (il
“contratto” “concluso” “regolarmente”). A questo punto sorge la domanda se
sia veramente esclusa ogni forma di condizionamento reale. Se si considera
4
Anche per Kelsen la legge positiva in quanto norma è un dover-essere e quindi un valore.
Filosofi del diritto delle più diverse tendenze concordano nel considerare il diritto come
sistema di valori o riferito a valori. Battaglia F., Il diritto nel sistema dei valori, in Riv. trim.
proc. civ., 1964, II.
5
Comunemente secondo le più varie scuole e tendenze le proposizioni giuridiche sono l’analisi
logica del linguaggio legislativo, proposizioni condizionali o ipotetiche. Ma vi è anche chi ha
inteso che le proposizioni giuridiche descrivano non soltanto le norme, ma anche le situazioni
reali cui le norme si riferiscono. Gavazzi G. Elementi di teoria generale del diritto, Torino
1970.
7
che sia le proposizioni giuridiche sia quelle causali della fisica esprimono
rapporti condizionali, potrebbe essere utile vedere quali significati possa avere
il termine causa nella espressione causalità giuridica.
Dell’uso di questo termine si sono date tre sostanziali definizioni: a) causalità
come carattere esclusivo del condizionamento fisico6;
b) causalità come
carattere comprensivo di ogni condizionamento reale anche non fisico,
contrapposto a un condizionamento meramente
ideale7;
c) causalità
equivalente a condizionalità reale o ideale, fisica o non fisica8.
La prima definizione sembra essere troppo ristretta e porterebbe ad una
soluzione negativa del problema della causalità giuridica, dal momento che il
cosiddetto effetto giuridico non è fisicamente causato. La seconda definizione
considera come fenomeno di causalità ogni influsso che una forza esercita su
altre forze, quindi ogni processo reale di condizionamento sul piano morale,
sociologico e fisiologico.
La terza definizione è troppo ampia e potrebbe essere la soluzione positiva
visto che la proposizione giuridica è una proposizione condizionale e l’effetto
giuridico è il valore condizionato, espresso da questa proposizione.
6
Per quanto anche in altri campi scientifici l’attenzione degli studiosi sia rivolta da tempo a
determinare il significato e precisare la validità del principio di causalità, è la fisica che per
prima ha presentato una discussione non meramente filosofica, ma strettamente connessa con il
lavoro dello scienziato, lo sviluppo delle sue ricerche e la formulazione critica dei risultati
raggiunti. Cosi questioni già trattate in sede filosofica da Hume o da Mill potevano essere
riprese e approfondite in contatto con l’esperienza. Le prime ricerche misero in luce i rapporti
tra “causalità” e “dipendenza funzionale”. Una presentazione chiara di questo orientamento
dava all’inizio del secolo Russell B., On the notion of cause, trad. it., Milano 1964.
7
Chi considerava le difficoltà incontrate nella analisi della causalità fisica, non si sorprendeva
che in altre scienze messe di fronte a dati più complessi, biologici o sociologici, si procedeva
con apparente lentezza nella precisazione di ciò che nei rispettivi campi di studio è da intendere
per rapporto causale, e nella conseguente terminologia stabile e univoca. Una direzione
metodologicamente significativa di queste ricerche è rivolta all’elaborazione di strumenti atti a
rappresentare rapporti di dipendenza tra fenomeni di difficile identificazione, sia per la quantità
di variabili in gioco sia per la difficoltà di isolarle e ordinarle. Sulla ricerca delle cause nelle
scienze sociali, osservazioni si trovano già in Durkheim E. Le règles de la méthode
sociologique, trad. it. Milano, 1963. Alla causalità sociale ha dedicato un’opera Mac Iver R.
M., Social Causation.
8
Anzitutto la trattazione che della legge scientifica fa, sulla fine del secolo, Pearson K. egli
richiama la definizione della legge giuridica proposta da Austin per argomentarne la differenza
essenziale tra legge in senso scientifico e legge in senso giuridico. Il problema di una precisa
trascrizione simbolica del rapporto di causalità e quindi della legge scientifica in cui questo
rapporto trova la sua tipica espressione, sorge in seguito allo sviluppo della teoria logica della
implicazione. Russell B., Logic and Knowledge, trad. it. Milano, 1961. Popper K., La logica
8
Se consideriamo ora il diritto come valore possiamo individuare quattro
concezioni dello stesso: concezione ideale sostanziale; concezione ideale
formale; concezione reale soggettiva e reale oggettiva.
Secondo l’indirizzo principale del giusnaturalismo il diritto andrebbe inteso
come un valore ideale etico-materiale. La conseguenza di ciò sarebbe un
ricorso illimitato a criteri ideali di giustizia per la soluzione di problemi di
diritto positivo.
Di fatto comunque nessuno, parrebbe, aver tratto una
conseguenza del genere.
Kelsen invece riteneva il diritto un valore ideale formale, ma in tale modo
l’ordinamento positivo formalmente determinato, ad es. attraverso codici e
leggi scritte, costituirebbe un limite per il giurista in quanto non sarebbe
consentito alcun richiamo a ciò che sta oltre la forma. Ciò ovviamente sarebbe
possibile solo se avessimo un formalismo così perfetto da garantire coerenza e
completezza al sistema.9 Ma sicuramente coerenza e completezza non sono
presenti nel formalismo giuridico.
Secondo la concezione reale soggettiva, il diritto sarebbe un valore posto dalla
volontà umana mediante un libero contratto o un comando autoritario. La
conseguenza di ciò e che l’interpretazione delle norme si riduce ad una
quaestio voluntatis, ovvero al problema dell’accertamento della intenzione del
legislatore. Questa concezione soggettiva diffusa nel secolo scorso fu superata,
a fine secolo, dai sostenitori della tesi oggettiva dell’interpretazione; era
evidente che il senso di una norma giuridica non poteva essere desunto dalle
rappresentazioni di una coscienza soggettiva o dagli scopi di una o più
volontà.10
della scoperta scientifica.
9
E’ pressoché pacifico che un sistema giuridico positivo non può essere ridotto ad un sistema
assiomatico unitario di tipo matematico o geometrico, nel quale cioè si possa far capo a un
numero chiuso di concetti fondamentali. Kelsen H., Teoria generale delle norme, trad. it.,
Torino 1985.
10
Nel nostro secolo il volontarismo costituisce la concezione del diritto dominante nella
letteratura continentale (tedesca, francese, italiana) e ha larga risonanza anche tra i giuristi e
filosofi del diritto anglo-americani. Il rapporto tra volontà e comando (o imperativo), già chiaro
nei pensatori classici (S. Tommaso, Hobbes, Kant), sarà ben analizzato successivamente da
molti autori. Tuttavia l’ambiguità dell’imperativismo sta nel fatto che il suo riferimento al fatto
psicologico della volontà spesso rimane indeterminato e generico. Robilant E., Osservazioni
9
Contro la tesi della norma come comando, i giuristi obiettavano che ogni
comando è recettizio, quindi affinché sia eseguito è necessario averne
conoscenza. In tal modo la norma avrebbe una doppia soggettività, cioè una
origine soggettiva nell’intenzione del legislatore, ed una destinazione
soggettiva, ossia i cittadini che devono conoscerla per eseguirla (nessun
riferimento veniva fatto agli “utenti” della norma, intesi come operatori del
diritto). Tutto ciò però urtava contro il noto aforisma, “ignorantia iuris non
excusat”..
Secondo la concezione reale oggettiva: il diritto come valore reale oggettivo,
invece, è una realtà che l’individuo trova nella sua vita e definisce nella sua
cultura e nel suo linguaggio, al di là di ogni volontà o soggettività.
Secondo Jhering questo valore oggettivo reale potrebbe chiamarsi interesse.
Egli opponeva quindi interesse a volontà, cosicché il fondo del diritto è
l’interesse.
Quindi un ordinamento giuridico è
un sistema di interessi
derivante da una vita comune e accertabile oggettivamente da una comune
esperienza e cultura.11
Le conseguenze di ciò sono state messe in luce
dall’indirizzo del pensiero giuridico, tedesco, che va sotto il nome di
Interessen-Jurisprudenz. Compito di questa è quello di agevolare la risoluzione
giudiziaria dei problemi di vita e questo compito è assolto attraverso l’indagine
interpretativa. Al di là della formula legislativa l’interprete deve guardare alle
aspirazioni e alle esigenze della società, cioè agli interessi che hanno
determinato il comando legislativo, la sua dunque è un’esplorazione storica
degli interessi di cui la legge è la risultante.
La configurazione dei fatti come interessi, la definizione in termini di causalità
del rapporto tra gli interessi e le rappresentazioni del legislatore, quindi
(attraverso tali rappresentazioni) i comandi legislativi medesimi, la
identificazione
del
compito
dell’interprete
nell’accertamento
e
nella
sulla concezione della norma giuridica come giudizio di valore, in Riv. Trim. dir. e proc. civ.,
1957.
11
Il momento dell’interesse nella definizione del diritto era già apparso tra i sostenitori della
tesi imperativistica. Ma anche altri indirizzi del pensiero giuridico insistettero sul diritto come
sistema di interessi. Ad es. Carnelutti porrà tali concetti a fondamento del suo sistema
giuridico; nonché Roscoe Pound il decano dei filosofi del diritto americano. Paresce E.,
10
descrizione di questo rapporto di causalità, mostrano come un dato sicuro e
fondamentale, quale quello della realtà dei valori giuridici, sia stato intuito ma
poi successivamente travisato.
In sostanza, sulle orme di Jhering, si sosteneva che alla base di ogni norma si
dovesse individuare un problema di vita e di interessi di vita, che non può
essere risolto dal giurista senza un riferimento alla realtà sociale e alle sue
esigenze. Cioè il significato delle norme si estende alla sostanza degli interessi
sociali di cui la comunità, Stato o altro che sia, ne persegue la tutela.
Si giustificava tutto ciò asserendo che se la forma adottata per oggettivare le
norme nella comune esperienza e cultura, in particolare la forma simbolica del
linguaggio legislativo, non è tanto perfetta da garantire la coerenza e la
completezza del sistema giuridico, non si vede altro modo se non quello di
riferirsi alla sostanza degli interessi sociali in gioco.
D’altro lato questo eccessivo sostanzialismo veniva criticato poiché conduceva
ad un diritto privo di ogni seria garanzia formale; si riteneva infatti che ogni
vero giurista obbedisse al canone del razionale equilibrio tra la sostanza e la
forma; ossia la forma culturale che queste esigenze assumono attraverso
pratiche, consuetudini, istituzioni e leggi scritte.
Un ordinamento positivo può dunque essere inteso come un insieme di
interessi che nasce dalla vita comune ma che si manifesta nella comune
esperienza e cultura. La tesi della oggettiva realtà del diritto si esprime col
principio che il diritto non può essere avulso dalla totalità delle sue condizioni
reali. Queste condizioni non si esauriscono nell’attualità della vita associata ma
spesso hanno carattere storico; infatti la realtà sociale in atto non è
comprensibile nelle sue strutture giuridiche più profonde (ad esempio nelle sue
strutture costituzionali) senza il richiamo ad una realtà storica12. Lo studio del
sistema vigente quindi può rendere necessario l’inquadramento del sistema in
Diritto, norma, ordinamento, in Rivista italiana di Filosofia del diritto, XIII, 1933.
12
Secondo lo strutturalismo ogni formazione sociale di sufficiente oggettività e stabilità
(istituzione o struttura) è capace di generare diritto. Al limite estremo l’opinione
dell’esperienza giuridica di Capograssi, per la quale i valori giuridici sono immanenti, al di là
delle istituzioni. Frosini V., La struttura del diritto, Milano, 1964
11
una intera classe di sistemi, ed è proprio questa necessità che giustifica
l’impiego di metodi storici e sociologici nella scienza del diritto.
Orbene vediamo le conseguenze per la teoria dell’effetto giuridico, come
criterio di decisione tra le quattro concezioni del diritto.
Partendo dalle quattro concezioni del diritto di cui si è detto in precedenza, i
giuristi hanno tentato qualche spiegazione sul meccanismo della causalità o
condizionalità giuridica, nonché sulla natura della relazione tra fatto ed effetto
nelle norme giuridiche.
Il giurista tralascia la concezione giusnaturalistica poiché vi sarebbero delle
difficoltà ad
intendere come valori
ideali,
a cui
nella tradizione
giusnaturalistica si suole attribuire carattere assoluto ed incondizionato, siano
compatibili con un fenomeno di condizionamento.13
Egli ritiene poi che la concezione dei valori giuridici, come valori ideali
formali, dovrebbe affidare al fatto giuridico soprattutto la funzione di
condizionare formalmente, in origine sulla base di una ipotetica norma
fondamentale, il potere dei soggetti delegati ad emanare le norme secondarie.
In genere, il fatto dovrebbe essere destinato essenzialmente a stabilire le
condizioni formali per la validità dell’effetto. Si vedrà in seguito che il
problema non si pone in questi termini. Si osserva che la struttura del fatto
spesso manca dei requisiti formali indispensabili allo scopo, tanto che lo stesso
Kelsen riconosceva che il giurista non potesse limitarsi ad un’analisi
meramente formale delle norme.
La concezione del diritto come valore soggettivo della volontà o della
conoscenza ha avuto invece maggiore applicazione. Qui infatti il rapporto tra
fatto ed effetto giuridico veniva spiegato come un condizionamento
psicologico. Ad una spiegazione più chiara del rapporto tra fatto ed effetto si
prestava la teoria della norma come imperativo ipotetico.
Si riteneva che il fatto fosse l’ipotesi a cui l’imperativo era condizionato. Il
13
Tuttavia storicamente già ad esempio in Sant’Agostino si trovano tracce di un diritto naturale
ipotetico, condizionato, e che anche nel gisnaturalismo contemporaneo, N. Hartmann, il
concetto di un condizionamento ideale d’ordine etico-materiale si è andato affermando.
12
concretarsi dell’effetto allora si ha quando verificatasi l’ipotesi, l’imperativo
diventa incondizionato, dunque l’efficacia giuridica consiste nel “diventare”
incondizionato dell’imperativo ipotetico, nello scaturire della prescrizione
giuridica concreta dalla norma astratta, (nella concretizzazione della norma).
Risultò subito chiara l’insostenibilità e insufficienza di queste spiegazioni
psicologiche. Escluso, infatti che il giurista debba preoccuparsi di accertare
l’intenzione soggettiva del legislatore, non ha alcun rilievo né il nesso
psicologico di motivazione tra le parti della norma, né che questo nesso di
motivazione si trasferisca o meno dalla volontà del legislatore alla volontà del
destinatario della norma.
La quarta concezione, quella del diritto come sistema di interessi, secondo i
giuristi, conduceva a risultati metodologicamente utili. Nella maggioranza dei
casi gli interessi, tutelati dalla comunità giuridica, sono valori reali condizionati
in funzione delle diverse situazioni del mondo astrattamente configurabili. Il
rapporto di condizionalità posto nella norma tra il fatto e l’effetto esprimerebbe
(sempre secondo il giurista) un condizionamento reale.14
Per definire la natura di questo condizionamento, si aggiunge che, mentre il
fatto, in quanto tipo astratto di situazione del mondo, configura un determinato
problema generale di vita e prospetta definiti interessi individuali o collettivi,
l’effetto deve rappresentare una soluzione adeguata del problema e un
armonico contemperamento degli interessi in gioco. Con questo modo di
concepire la relazione tra fatto ed effetto, il problema che si proponeva ai
giuristi si esprimeva nell’interrogativo spesso ricorrente tra i giuristi pratici:
quid iuris, se... ? dove appunto la particella ipotetica “se..” introduce la
fattispecie, il fatto giuridico in quanto fatto condizionante, e il “quid iuris” (che
va determinato) è l’effetto giuridico cercato.
14
Pernice escludeva che la legge giuridica potesse dare ragione della efficacia giuridica. Come
la legge di attrazione dei corpi trova nella forza di gravità il suo fondamento, così la legge
giuridica deve trovare fuori di sé la forza di cui è espressione. Tuttavia nella identificazione di
questa forza Pernice oscillava tra riferimenti alla morale, alla sociologia, alla psicologia.
13
1.2. Presupposti generali della teoria dogmatica dell’efficacia
Le varie dottrine elaborate dalla dogmatica tradizionale intorno alla teoria
dell’efficacia giuridica toccano temi come la definizione e nozione di effetto;
le situazioni giuridiche fondamentali del dovere e del potere, cioè le due
situazioni in cui l’effetto si polarizza riferendosi all’attività dei soggetti; il
tempo dell’effetto; la teoria delle trasformazioni giuridiche (costituzione,
modificazione, estinzione) che sono le trasformazioni dell’effetto attraverso il
tempo.
Occorre premettere che per il giurista, la norma è il contenuto della
proposizione giuridica o addirittura è la stessa proposizione giuridica (secondo
che si intenda per proposizione un insieme di segni linguistici o il
corrispondente insieme di significati).
Aa<Proposizione è un quid che può essere vero o falso, per cui ha senso parlare
di verità o falsità. Stando a una tale definizione anche le proposizioni
normative dovrebbero essere vere o false, ciò per i sostenitori della teoria
imperativistica della norma è molto strano. Non ha senso parlare di verità o
falsità per un imperativo, se al posto dell’imperativo <<onora il padre e la
madre>> si sostituisce la norma <<si deve onorare il padre e la madre>>, una
applicazione dei concetti di verità e falsità sembra poco plausibile.
Allora o si nega che la norma sia una proposizione o si definisce un nuovo tipo
di proposizione; qui il problema si allarga, la logica del giurista è la logica
comune o una logica diversa dal comune?
Al giurista interessa sapere, non in astratto (quale può essere desunto caso per
caso) se è vero o falso che il figlio abbia particolari obblighi verso i genitori;
questo ha perfettamente senso. Ciò perché, proposizione, falsità, verità, hanno
senso solo in riferimento al sistema globale che viene assunto volta per volta
come universo logico; ogni proposizione descrive una situazione.
Il termine situazione ha assunto tra i giuristi un significato piuttosto vasto.
Situazione non intesa come un fenomeno isolato e parziale, una cosa o un
gruppo di cose, un fatto o un gruppo di fatti, isolatamente presi. Piuttosto il
14
giurista pensa ad una configurazione globale di fenomeni, un complessivo stato
di fatto.
Le situazioni di cui si parla nella comune esperienza o nelle scienze empiriche
sono situazioni temporali, riferite ad un determinato momento o periodo del
tempo o a dimensioni temporali generiche come, presente, passato, futuro.
Nei fenomeni giuridici le situazioni da considerare sono in linea di massima
situazioni temporali, e senza dubbio il tempo ha in esse una speciale
importanza. Una volta configurate come situazioni temporali esse vengono in
stretto rapporto con i fenomeni chiamati fatti. La differenza tra situazione e
fatto è tutt’altro che netta, anzi spesso sembra esserci come un mescolamento,
come avviene ad esempio nell’espressione situazione di fatto. Si potrebbe dire
che il fatto è un fenomeno circoscritto, temporalmente limitato o limitabile:
avviene in certi tempi e non in certi altri. La situazione invece non è mai un
fenomeno circoscritto, essa fa riferimento globale all’intero universo.
Di solito l’attenzione degli studiosi si concentra sulla forma della regola di
condotta, che è il dover-essere di un comportamento umano, ossia il dover-fare.
La base più immediata della teoria dogmatica dell’efficacia è fornita
tradizionalmente dalla nozione di norma giuridica. Il linguaggio normativo
presenta varie strutture formali che sono reciprocamente connesse e
logicamente intermutabili. Il punto di partenza non è né il dovere né il potere,
ma il valore o, diciamo anche l’interesse per usare un termine più diffuso tra i
giuristi. L’interesse che in un determinato ambito storico-sociale è assunto
come misura o criterio di valutazione di tutti gli altri interessi, privati o
pubblici, diventa l’interesse fondamentale, l’interesse della comunità giuridica
e costituisce il sistema giuridico.
Pare evidente che in ogni norma determinata questo interesse fondamentale si
svolge in una direzione determinata e sarà volta per volta l’interesse della
comunità giuridica alla libertà delle persone; l’interesse all’uguaglianza dei
cittadini; l’interesse al rispetto della vita umana e della proprietà; l’interesse
all’adempimento dei contratti, alle sanzioni civili o penali ecc. Per ciascuna
norma esiste un corrispondente valore giuridico in cui l’interesse della
15
comunità viene a specificarsi.
Nella maggioranza dei casi un valore giuridico determinato viene assunto nel
sistema dei valori non incondizionatamente, bensì a condizione che prima si sia
prodotto un fatto o un complesso di fatti; di conseguenza le norme
corrispondenti hanno carattere condizionato.
Spesso è stato posto il quesito se esistano norme incondizionate accanto alle
norme condizionate. E non si è escluso che alcuni comportamenti abbiano
valore giuridico incondizionato, per es. i modi di condotta conformi a interessi
protetti da principi costituzionali. Infatti la continuità e la costanza di tali
interessi esige un atteggiamento pratico di permanente rispetto, cosicché la loro
esistenza non è legata al verificarsi di particolari avvenimenti.
Nel caso delle norme incondizionate la proposizione normativa avrebbe una
struttura relativamente più semplice e si limiterebbe a stabilire un certo valore
giuridico incondizionatamente (es. il rispetto della vita umana). Negli altri casi
invece la norma si configura come proposizione ipotetica o condizionale,
distinguendo in sé tre componenti logiche: la proposizione condizionante, la
proposizione condizionata, il rapporto di condizionalità.
Si è dunque detto che ogni norma costituisce un rapporto di condizionalità, che
condizionante è un antecedente di fatto e che condizionato è un valore
giuridico. Ebbene quando un antecedente di fatto condiziona un valore
giuridico, i giuristi dicono che il fatto è, appunto, l’antecedente o la causa del
valore giuridico, parlano cioè di fatto giuridico e del valore giuridico come di
un effetto o di una conseguenza del fatto.
Ottengono così una definizione dogmatica della nozione di effetto. Effetto
giuridico è ogni valore giuridico condizionato, ogni valore giuridico assunto
dal diritto positivo sotto la condizione che si sia prodotta una precedente
situazione di fatto.15
15
Il concetto di condizionalità assiologica spiega senza difficoltà le norme che conferiscono
effetti giuridici a fatti passati e nelle quali manca la previsione di fatti futuri: norme che ad
esempio revocano discriminazioni giuridiche per razza o sesso o cittadinanza. A questa
categoria di norme si è fatto richiamo per dimostrare che l’efficacia giuridica non è spiegabile
col paradigma della causalità. (Cammarata, Formalismo giuridico.....) Il tempo dei fatti
16
1.3. Principio di convenienza dell’effetto al fatto.
Il problema a cui guarda il giurista ha carattere generale e ammette una
soluzione solo generale. E’ questo il principio di convenienza dell’effetto al
fatto, cioè tra più possibili effetti, secondo la lettera di un testo ambiguo,
prevale l’effetto migliore ossia più conveniente alla soluzione pratica del
problema.
Le varie implicazioni del principio di convenienza sono comunque dei
corollari, applicati alla relazione tra fatto ed effetto, dei criteri assiologici
oggettivi comunemente utilizzati per la interpretazione delle norme: prevalenza
del senso sul non senso, prevalenza del senso migliore sul senso peggiore,
favor libertatis, (da ultimo la libertà e l’autonomia dei soggetti decide sulla
realizzazione dell’effetto).
Un ulteriore sviluppo del principio di convenienza è stato contraddistinto come
principio di adattabilità dell’effetto.
Si è parlato di adattamento della forma alla sostanza, e in virtù di questo
adattamento l’effetto risulta da una vera e propria integrazione della lettera dei
testi nello spirito del sistema. Per meglio chiarire, si supponga che il testo di
una legge attribuisca un’efficacia determinata ad una fattispecie complessa
costituita di una serie di elementi. Cosa avviene se un elemento della serie
manchi nel tempo richiesto o presenti irregolarità o anomalie rilevanti?
Sul piano formale la fattispecie è venuta meno, poiché essa risulta dalla totalità
degli elementi previsti. Quindi dovrebbe venir meno anche l’effetto. Ma
guardando alla disciplina giuridica di qualsiasi fattispecie importante - negozio
o sentenza, provvedimento amministrativo o legislativo, procedure elettorali
ecc. - ci si è resi conto della insostenibilità pratica di un così rigido principio.
D’altra parte, anche in assenza di norme che prevedano opportuni rimedi per
salvare l’efficacia degli atti compiuti, qualsiasi giurista avrebbe delle remore
considerati da norme del genere è sempre un tempo presente (esistenza di persone discriminate
per razza, sesso, cittadinanza); codesti fatti sono la materiale espressione di interessi umani che
per la prima volta l’ordinamento assume tra i valori giuridici e che dunque nel medesimo tempo
presente spiegano i loro effetti, restandone necessariamente rinviata al tempo futuro
l’attuazione e realizzazione di una situazione di fatto di libertà e di uguaglianza. Enc. Giuridica
17
nel sostenere che la minima deviazione dal modello legale porti a una totale
nullità (in senso giuridico) e mancanza di effetti.
Si tratta in concreto di
vedere che cosa importa per il valore complessivo del risultato e quanto la
deviazione di un dato elemento alteri i termini del problema tanto da richiedere
una nuova soluzione giuridica.
L’analisi dei requisiti essenziali dovrà essere fatta caso per caso, fattispecie per
fattispecie.
La tendenza generale sarà comunque quella di salvare il più
possibile l’efficacia adattata alle deviazioni o variazioni del caso.
Secondo il principio di adattabilità ogni norma contiene, oltre il suo rigido
modello formale, un criterio sostanziale più elastico di orientamento
dell’efficacia e che nei limiti consentiti, dallo scarto tra criterio sostanziale e
modello formale, l’effetto deve potersi adattare alle variazioni della fattispecie.
Cosicché le anomalie dei negozi e in genere degli atti giuridici possono
ritenersi una immediata applicazione del principio di adattabilità.
Per un mero chiarimento, al fine di determinare le norme dell’efficacia dal
punto di vista delle norme specifiche e dell’intero sistema, va sottolineato che
qui le norme vengono intese genericamente come direttive del comportamento
umano ed il sistema giuridico come un insieme di direttive del comportamento
umano, un insieme costituente una totalità organizzata e complessa le cui parti
più elementari possono continuare a chiamarsi col nome tradizionale di norme.
Il rapporto tra norma e sistema dunque è un rapporto di parte a tutto: il sistema
è la totalità delle norme, la norma è la parte più elementare.
Il giurista spiega tali opinabili affermazioni partendo dalla riflessione che il
sistema giuridico sia una totalità divisibile in parti; ma a anche le parti del
sistema si trovano esposte al dilemma: o sono indivisibili o sono divisibili in
parti ulteriori, le quali parti ulteriori a loro volta o saranno indivisibili o
dovranno ancora dividersi in altre parti e così via. Tenuto conto che il diritto
risponde a problemi pratici non si otterrebbe mai una soluzione di questi
problemi se occorresse cercarla all’infinito, ed allora il giurista ritiene che la
conoscenza empirica e scientifica del diritto debba arrestarsi in qualche punto.
Enciclopedia Treccani,, voce Norma giuridica.
18
Il punto di arresto, l’unità ultima indivisibile del sistema giuridico, sarà
precisamente la norma. Perciò il pensiero giuridico tende a considerare la
norma come l’atomo del sistema. Tuttavia quali sono le possibilità di isolare
questo atomo sul piano di una considerazione empirica scientifica? Si dovrebbe
poter distinguere attraverso il linguaggio legislativo norma da norma, così
nettamente come si distingue sistema da sistema. Dovremmo avere un criterio
rigoroso che ci permetta di distinguere norma da norma all’interno dello stesso
sistema, sempre che non si voglia confondere la norma con l’articolo di legge
preso nella sua pura esteriorità.
Questa situazione ha un certo peso per la teoria della efficacia giuridica.
Secondo l’inquadramento tradizionale l’effetto andrebbe cercato in ogni
singola norma; secondo la dottrina tradizionale infatti l’effetto è una parte della
norma, il modello logico di ogni norma è il rapporto di condizionalità, in cui
la parte condizionante è il fatto e la parte condizionata è proprio l’effetto.
Tuttavia mediante l’indagine giuridica diretta ad accertare l’esistenza di un
singolo effetto di legge, si ritenne che l’effetto si determinasse compiutamente
non in funzione della singola norma ma in funzione dell’intero sistema.
L’effetto dovrebbe darci la soluzione di un problema generale di vita; esso
infatti definisce un interesse giuridico che la norma tutela, in quanto risulta il
trattamento giuridicamente migliore della situazione degli interessi sociali o
individuali definita nella fattispecie. Ovviamente la soluzione di un problema
giuridico non potrebbe essere soddisfacente se si limitasse a considerare solo
gli interessi emergenti da un settore dell’ordinamento positivo. Ogni problema
giuridico infatti si risolve in funzione dell’intero ordinamento e la soluzione è
raggiunta solo quando si è in grado di stabilire che, in presenza di una certa
situazione, l’intero sistema dei valori giuridici esige, una certa altra situazione
da realizzare mediante idonea attività dell’uomo.
Affinché si abbia una vera e propria valutazione giuridica, occorre riferire e
assoggettare i diversi valori e interessi umani a un criterio di valutazione
unitario, a quel valore o interesse fondamentale che è rappresentato dall’intero
sistema.
19
A questo punto si dovrebbe asserire che di fronte al sistema positivo
globalmente considerato le norme specifiche non hanno nessuna esistenza!?
Tale interrogativo si lega ad un altro, più immediatamente concernente la teoria
dell’efficacia giuridica: la norma giuridica sarebbe niente altro che un astratto
schema, un mero modello logico!?
E’ pacifico che la norma non è una unità realmente isolabile come è invece il
sistema e che non è possibile distinguere norma da norma così nettamente
come sistema da sistema.
Si afferma che il sistema ha un lato formale e un lato sostanziale: quello
formale è l’insieme dei segni linguistici, cioè l’apparato documentale delle
leggi e dei codici, mentre il sistema sostanziale è il corrispondente insieme di
significati e valori.
Il giurista ritiene che la norma sia parte del sistema
sostanziale e non del sistema formale.
La norma, in quanto si distingue dall’articolo di legge, non è un dato sensibile,
non è la forma linguistica esteriore di un segno o di un insieme di segni, ma è il
significato di certi segni linguistici.
Nella distinzione tra norma e sistema il giurista comunque parla di lavoro
scientifico; ma il punto decisivo è che il lavoro scientifico del giurista è diretto
a risolvere problemi pratici reali posti dai casi della vita e che gli effetti
giuridici intesi nel loro senso sostanziale non sono che le risposte a questi
problemi.
Ora si consideri che i casi della vita reale hanno una certa unità di significato,
che non è rigorosa ma si consolida attraverso il continuo ricorrere del caso e si
viene enucleando e fissando prima nell’esperienza giuridica elementare della
comunità (attraverso la costituzione del nomen iuris) e poi nella riflessione
scientifica del giurista.
Ebbene la norma specifica che il giurista riesce ad estrarre dal sistema mediante
l’analisi dei testi, secondo qualcuno è appunto la soluzione di massima del
problema: una soluzione che vale soltanto di massima, una regola che non
manca di eccezioni ma che tuttavia dà un orientamento pratico e “scientifico”
20
sufficientemente unitario nel modo di trattare il problema.
Questo è lo schema, piuttosto abbreviato e stereotipato, di quello che è in
definitiva il procedimento del giurista. Il problema si stilizza nella formula:
quid iuris in un caso così determinato? Il giurista risponde che, secondo la
norma specifica del caso e salvo le interferenze di circostanze eccezionali, ciò
che il diritto richiede è un comportamento dei soggetti così e così determinato.
Ovviamente queste norme specifiche non valgono sempre, infatti ciò che il
diritto richiede secondo queste norme, l’interesse o valore giuridico in esse
rappresentato, non è sempre l’effetto giuridico.
Nella determinazione dell’effetto si è anche richiamata l’attenzione su opposte
esigenze metodologiche per cogliere la distinzione tra efficacia e rilevanza: una
esigenza sintetica o sistematica ed una esigenza analitica o esegetica.
La prima esigenza metodologica fa capo al concetto dell’unità del sistema; è
questo un concetto indispensabile per il metodo del giurista. Senza il
riferimento al sistema (inteso come valore onnicomprensivo capace di fornire
un criterio di decisione unitario) il giurista, con il solo ausilio dei codici,
sarebbe quasi sempre sommerso dalla sterminata varietà e complessità dei
problemi pratici, talora privo di risposte davanti al silenzio della legge, talora
indeciso tra le alternative di un testo ambiguo. Affermare che l’effetto
giuridico, il quid iuris che dà risposta al problema pratico sollevato da una
situazione di fatto, è definito volta per volta in funzione della situazione, in
armonia con la totalità degli interessi giuridici, significa dire che il giurista per
risolvere i suoi problemi ha costantemente bisogno di guardare all’unità del
sistema.
Sebbene l’unità del sistema sia il valore giuridico fondamentale e il criterio
ultimo di decisione degli effetti giuridici, tuttavia una esigenza metodologica
opposta punta sulla realtà dei valori giuridici contenuti nelle norme specifiche e
sulla rilevanza effettiva che questi valori hanno nella determinazione
dell’efficacia. In concreto nel lavoro del giurista l’analisi del testo specifico,
quindi il procedimento esegetico con le sue analisi minute non è meno
essenziale del procedimento sistematico o sintetico.
21
Sorgendo un problema pratico, il primo lavoro interpretativo analitico, detto
esegesi, individua nel sistema formale (cioè nell’insieme di segni linguistici
che è l’apparato documentale delle leggi e dei codici) la serie dei testi che
trattano espressamente il problema. Ora nei testi analizzati può già profilarsi
uno schema di soluzione che lascia intravedere qual è il valore normativo
preponderante nella tutela degli interessi in gioco. Certo per avere una
soluzione esauriente non ci si può fermare alla interpretazione immediata;
infatti anche quando il senso del testo soddisfa gli interessi in considerazione
non è da escludere che altri interessi interferendo dall’esterno riescano a
determinare una soluzione diversa.
Dunque le due esigenze metodologiche, una delle quali guarda al valore
complessivo rappresentato dall’unità del sistema, mentre l’altra è diretta verso i
valori parziali delle norme specifiche, trovano dunque una conciliazione, infatti
solo la totalità delle condizioni può agire come causa e determinare l’effetto. Si
può parlare di un quasi-fatto, di una quasi-condizionalità, di un quasi-effetto. Il
quasi-fatto non ha efficacia sicura, perché non è la fattispecie totale.
Insomma il fenomeno fondamentale che si tratta di mettere a fuoco è, che ogni
norma specifica ha una rilevanza insopprimibile per la produzione di certi
effetti ma tuttavia presa da sola non è capace di determinare univocamente
l’efficacia; occorrerà reintegrare la norma specifica nel sistema normativo.
Il processo di integrazione delle norme nel sistema per la determinazione
dell’efficacia ha diversi esiti possibili.
I casi principali configurabili in astratto sono ad es.: 1) la coincidenza, cioè
supponendo che la fattispecie parziale sia la parte rilevante dell’intera
fattispecie ci si aspetta che dal sistema non sorgano impedimenti e che il resto
della fattispecie agisca in senso conforme e favorevole al valore proposto dalla
norma specifica, cioè si avrà una coincidenza tra il valore parziale rilevante,
stabilito dall’analisi dei testi e il valore emergente da una considerazione
sintetica e sistematica.
2) L’impedimento, è questo un caso frequente, può succedere che dalla
fattispecie emergano circostanze impeditive atte a paralizzare del tutto
22
l’efficacia della norma specifica. Il fenomeno delle circostanze impeditive è
ben noto ai processualisti per i problemi dell’onere della prova.
3) L’adattamento, questo caso si verifica quando il valore normativo non
rimane del tutto integro né cade del tutto, ma secondo il principio di adattabilità
si specifica nei modi opportuni per entrare in concorso con il resto della
fattispecie nella determinazione dell’effetto. In alcuni casi l’adattamento dà
luogo ad una riduzione dell’efficacia e quindi ad una limitazione del contenuto
dell’effetto.
Si è soliti citare il fenomeno della cosiddetta efficacia relativa, in cui il diritto
soggettivo, nei confronti di determinate categorie di persone, opera nella
pienezza della sua forza giuridica, mentre rispetto ad altre categorie è
inefficiente. Inoltre l’adattamento può anche comportare un frazionamento
dell’efficacia nel tempo, cosicché la fattispecie parziale ha già in atto alcuni
effetti preliminari ma minorati, mentre gli effetti più tipici e importanti si
avranno in un tempo differito eventualmente in attesa di circostanze e
condizioni ulteriori che dovranno completare la fattispecie.
1.4. Analisi dell’effetto giuridico: confronto tra fatto giuridico ed effetto
giuridico.
La considerazione che ogni valore condizionato è effetto giuridico, viene
chiarita assumendo come termine costante di confronto, della nozione di effetto
giuridico, la nozione complementare di fatto giuridico.
La nozione piuttosto ampia di fatto comprende tutto ciò che esiste e si trova
nel tempo, fatto è ogni fenomeno temporale; poiché nel mondo i fenomeni del
tempo non sono dissociabili dai corrispondenti fenomeni dello spazio, se si
conviene di chiamare oggetto ogni fenomeno dello spazio, è chiaro che i fatti
sono sempre connessi ad oggetti. Non necessariamente ma eventualmente i fatti
sono atti e gli oggetti sono (corpi fisici di) soggetti, quindi come i fatti sono
legati agli oggetti, così parallelamente, gli atti sono sempre da ricondurre ai
soggetti, quanto meno ai soggetti che li hanno eseguiti o dovranno eseguirli.
23
Se si confronta il fatto e l’effetto dentro lo schema logico della norma,
possiamo distinguere anzitutto l’effetto giuridico, in quanto valore giuridico,
dal fatto giuridico, attraverso alcuni esempi. Supponiamo che il fatto sia un
negozio obbligatorio: l’effetto sarà il valore giuridico dell’adempimento, cioè
l’interesse della comunità giuridica a che la prestazione dedotta nel negozio sia
adempiuta. Supponiamo che il fatto sia un reato: l’effetto sarà il valore
giuridico della pena, cioè l’interesse della comunità giuridica a che la pena sia
inflitta. Gli schemi delle norme corrispondenti saranno di questo tipo: se fosse
stipulato un contratto di compravendita, sarebbe interesse della comunità che il
prezzo sia pagato e la cosa sia consegnata; se fosse commesso un reato,
l’interesse della comunità giuridica sarebbe quello che la pena sia inflitta.
L’interesse è appunto il valore fondamentale che riassume di volta in volta, di
fronte ad ogni fattispecie configurabile, il sistema dei valori o interessi della
comunità. L’effetto giuridico consiste precisamente nel riferire o attribuire
questo valore fondamentale, di volta in volta, al versamento di una somma, a
una datio rei, alla inflizione di una pena.
L’effetto di ogni norma è dunque un valore e come valore si distingue dal fatto.
Tuttavia la distanza tra valore e fatto diminuisce se si pensa che in ogni effetto,
il valore fondamentale è sempre riferito a un astratto schema di fenomeno
temporale (adempimento di una prestazione, l’inflizione di una pena). Non vi è
dubbio che questi siano astratti schemi di fatti, appunto fattispecie, non meno
del negozio obbligatorio o del reato. La distinzione quindi tra fatto giuridico
ed effetto giuridico diventa delicata, in quanto distinzione tra fatti e valori di
fatti.
Dunque l’effetto della norma non è né il semplice valore né il semplice fatto,
ma il valore attribuito al fatto (secondo i giuristi) più correttamente la
qualificazione del fatto.
E’ da considerare che nei più diversi effetti l’attributo di valore è generico ed è
sempre lo stesso - esso rappresenta in ogni caso l’interesse fondamentale della
comunità giuridica. Invece i fatti a cui il valore è attribuito sono fatti specifici,
fatti diversi secondo diversi effetti (adempimento spontaneo, esecuzione civile,
24
esecuzione penale ecc.)
E’ opportuno poi confrontare il fatto giuridico non più con l’intero effetto
giuridico, ma con la sola componente di fatto dell’effetto, distinta e isolata
dalla componente di valore. Ad es. nel regime giuridico dei negozi obbligatori
costituisce effetto giuridico del contratto di mutuo l’interesse della comunità
giuridica alla restituzione della somma mutuata. Dunque la prima fattispecie è
il contratto di mutuo ed è lo stesso fatto giuridico; la seconda fattispecie è la
restituzione della somma mutuata ed è la componente di fatto dell’effetto
giuridico. Analogamente, nell’ambito delle assicurazioni legali, consideriamo
effetto giuridico di un dato evento, sinistro, infortunio o malattia, l’interesse
della comunità al pagamento dell’indennizzo da parte dell’assicuratore; anche
qui sono distinguibili due fattispecie: la prima fattispecie è lo stesso fatto
giuridico ossia l’evento caratterizzato come sinistro o infortunio; la seconda
fattispecie, il pagamento dell’indennizzo da parte dell’assicuratore, è la
componente di fatto dell’effetto giuridico.
In corrispondenza delle due fattispecie si hanno pertanto due situazioni
temporali, una temporalizza il fatto giuridico, l’altra temporalizza l’effetto
giuridico: la situazione in cui si verifica il fatto giuridico, in ipotesi, il
verificarsi dell’evento (contratto di mutuo, infortunio) costituisce per la
comunità giuridica una esigenza o un problema pratico, quindi si cerca una
soluzione a questo; tale esigenza viene soddisfatta ed il problema pratico
risolto nell’altra situazione quella in cui si verifica la componente di fatto
dell’effetto giuridico, ossia la restituzione della somma o il pagamento
dell’indennizzo.
Tra fatto giuridico e componente di fatto dell’effetto giuridico risulta esserci
una differenza di tempi, non vi è dubbio, ma più complessa risulta la questione
se l’intero effetto giuridico (non la sola componente di fatto) abbia a sua volta
un tempo e quale sia questo tempo.
Occorre osservare che il fatto giuridico può essere un atto, di una o più persone
- un qualunque contratto - ma può anche non essere un atto. Infatti il sinistro,
la malattia non sono atti ma eventi che non dipendono dalla volontà umana.
25
Invece (secondo il modo di vedere del giurista) la componente di fatto
dell’effetto giuridico è sempre necessariamente un atto: un atto è la restituzione
della somma da parte del mutuatario, un atto è pure il pagamento
dell’indennizzo da parte dell’assicuratore. Questo perché ritiene che l’effetto
giuridico si riferisca sempre, direttamente o indirettamente ad una attività
umana.
Dunque nei presupposti fenomenici della teoria dell’efficacia vi è insieme alla
distinzione tra fatto e atto, la connessione tra atto e soggetto.
Si può dire che in ogni norma la situazione temporale condizionante presenta
un fatto riferito ad oggetti, che è appunto il fatto giuridico, mentre la situazione
condizionata, che costituisce l’effetto giuridico, presenterà più specificamente
un atto riferito a soggetti, quanto meno al soggetto esecutore dell’atto.
In linea di principio ne consegue che il soggetto è il punto di collegamento tra
le due situazioni temporali contenute nella norma. L’affermazione di punto di
collegamento, che richiama i presupposti fenomenologici generali della teoria
della efficacia, può essere estesa dal soggetto all’oggetto, sicché si può parlare
sia di punti di collegamento soggettivi, sia oggettivi, tra fatto ed effetto
giuridico.
Per meglio chiarire il discorso sull’effetto giuridico brevemente si può
accennare alle situazioni giuridiche.
“Situazione giuridica” dovrebbe essere il contenuto di ogni proposizione
giuridica, d’altro canto è noto che la proposizione giuridica fondamentale è la
norma, e che la norma è una proposizione complessa risultante da un rapporto
di condizionalità, in cui la proposizione antecedente o condizionante denota il
fatto giuridico e la proposizione conseguente o condizionata denota l’effetto
giuridico. Quindi in astratto sia all’intera norma che al fatto giuridico, che
all’effetto giuridico, dovrebbe corrispondere una situazione giuridica.
Tuttavia, nel linguaggio tecnico dei giuristi, situazione giuridica in senso stretto
è soltanto l’effetto giuridico, in più configurato come situazione in quanto nel
suo concretarsi si riferisce a soggetti determinati, e non solo ma più
precisamente anche a determinate attività dei soggetti.
26
Tra situazione ed effetto esiste un nesso, è sufficiente che l’effetto si concentri
in certi soggetti che compiono atti o ricevono atti di altri soggetti, perché si
abbia una situazione giuridica.
Un’analisi di questo nesso porta ad individuare quella situazione che, in termini
generici, è chiamata “dovere”.
In ogni effetto una situazione viene considerata e valutata in funzione di
quell’interesse fondamentale che è l’interesse della comunità.
I giuristi ritengono dimostrabile che in ogni norma giuridica l’effetto contiene
in nuce una valutazione di necessità. Ovviamente non tutte le situazioni
saranno giudicate necessarie, ma ve n’è almeno una la cui necessità è posta con
la posizione dell’effetto stesso, e questa sarà la situazione il cui verificarsi
soddisfa e il cui mancato verificarsi non soddisfa quel particolare interesse
della comunità che l’effetto definisce.
A es. se in un dato tempo si stipula un contratto di mutuo, l’interesse è che in
un tempo successivo (stabilito dalle parti o dalla legge) avvenga il pagamento
della somma mutuata. Ebbene la situazione temporale in cui si compie il
pagamento è la situazione che verificandosi, soddisfa, e non verificandosi,
lascia insoddisfatto, l’interesse della comunità.
Proprio per questo tale situazione è considerata necessaria. dal diritto. Chiaro si
tratta di una necessità assiologica e non fisica.
Si vede allora come ogni norma definisce nel proprio effetto un particolare
interesse della comunità e quindi una situazione necessaria per soddisfare
questo interesse.
In un certo senso la necessità è già racchiusa allo stato ancora astratto ipotetico
nella generalità della norma. Appena la fattispecie condizionante si realizza, il
valore giuridico condizionato diventa incondizionato, ovvero definisce la
situazione che verificandosi lo soddisfa.
D’altra parte ogni valore giuridico è un valore del comportamento umano
dunque un valore di azione e perciò in ogni effetto giuridico la situazione
futura va riferita ad un’azione corrispondente.
27
Questo rapporto per cui il giudizio su una situazione futura non è mai
indipendente dal giudizio sull’azione capace di realizzarla, chiarisce in qual
senso la categoria della necessità viene impiegata nel campo della valutazione
giuridica: una necessità giuridica sussiste nella misura in cui la necessità
assiologica di una situazione diventa la necessità assiologica di un’azione.
L’idea di una necessità propria dei valori è in sostanza l’idea del dovere
giuridico.
La necessità dell’azione è precisamente il dovere. La categoria del dovere nasce
dalla esperienza del valore necessario di una situazione e perciò dell’azione
capace di realizzarla. Se la situazione ha valore necessario, l’attività del
soggetto capace di realizzarla prende la figura dell’atto dovuto.
La valutazione giuridica può anche accertare che dopo una determinata
fattispecie sia necessario che la situazione non si realizzi, affinché l’interesse
della comunità sia soddisfatto. In questo caso si ha ancora un dovere, ma di
carattere negativo e l’attività diretta a realizzare la situazione prende la figura
di atto illecito (contrapposto di atto dovuto).
Tuttavia non sempre la valutazione giuridica di una situazione porta a un
giudizio di necessità, può anche portare a un giudizio di possibilità; al dovere
fa riscontro il potere, l’uno rappresenta la necessità assiologica, l’altro la
possibilità assiologica, insieme rappresentano le due modalità fondamentali di
ogni valutazione.
Ora mentre la necessità dell’azione costituisce il dovere, così la possibilità
dell’azione costituisce il potere.
Il potere si rafforza in un doppio senso: da un lato, la norma “libera” il potere
da ogni stretto dovere del soggetto, e d’altro lato, lo “lega” a doveri di altri
soggetti, così nel primo caso il potere diventa libertà o almeno discrezionalità,
nel secondo caso si costituisce una relazione giuridica intersoggettiva.
A tal proposito particolarmente noti sono i rapporti giuridici regolati dal diritto
privato, per il loro caratteristico schema bilaterale, in cui al potere di un
soggetto si oppone il dovere di un altro soggetto. Quindi si ha un potere di
28
utilizzazione quando il compimento del dovere altrui precede il proprio potere,
il cui esercizio quindi utilizza l’altrui attività dovuta (il creditore riceve il
pagamento del debitore e ne gode il risultato). Invece si ha un potere di
iniziativa (o di impulso) se l’esercizio del proprio potere, solitamente nella
forma di una dichiarazione di volontà, precede e condiziona il dovere altrui,
determinandone il contenuto o il tempo o il luogo.
1.6. Efficacia e rilevanza giuridica.
Quanto alla differenza tra efficacia e rilevanza sappiamo che alla fattispecie
totale corrisponde l’efficacia giuridica, mentre alla fattispecie parziale è legata
la rilevanza giuridica. La fattispecie parziale non è in grado di esprimere
pienamente l’interesse tutelato dal diritto e non può produrre i suoi effetti tipici
e fondamentali fino a quando non viene completata e reintegrata. Tuttavia essa
indica già un nucleo centrale di interessi che, qualora nel processo di
reintegrazione giunga a completarsi è tale da meritare o esigere la tutela del
diritto. In ciò sta il fondamento della rilevanza giuridica della fattispecie
parziale e la ragione degli effetti minori che essa produce.
Le ipotesi che danno luogo a tale fattispecie sono da ricondurre a due categorie
generali: l’incertezza circa gli elementi soggettivi o oggettivi della situazione
giuridica; la incertezza circa la sopravvenienza di un interesse esterno
prevalente e incompatibile rispetto all’interesse che è interno alla fattispecie
parziale.
Nel primo caso la fattispecie ha bisogno di essere integrata mediante fatti che
valgano a costituire o individuare il soggetto o l’oggetto della situazione;
nell’altro caso la integrazione avviene con fatti che hanno il compito di
denunciare la inesistenza dell’interesse esterno sopravvenuto.
Il ruolo fondamentale che gioca la rilevanza giuridica può essere valutato
guardando rapidamente le figure più importanti rientranti nelle due ipotesi
prospettate.
La sospensione dell’efficacia, per fatti inerenti al momento soggettivo
29
dell’effetto, si verifica: a) quando il destinatario della situazione giuridica è
rimasto estraneo all’atto e si deve attendere la sua decisione se utilizzare o
meno l’effetto messo a sua disposizione (negozio stipulato in nome altrui dal
rappresentante senza poteri, fino alla ratifica; contratto per persona da
nominare, fino alla scadenza del termine assegnato per l’esercizio della facoltà
di nomina); b) quando la situazione giuridica è destinata ad un soggetto futuro
e si attende che il soggetto venga ad esistenza o che sia definitivamente esclusa
la possibilità del suo nascere (disposizione testamentaria o donazione a favore
di nascituro o di persona giuridica da costituire); c) infine quando il
destinatario della situazione deve essere indicato da un terzo e si attende questo
atto di scelta (disposizione testamentaria rimessa all’arbitrio del terzo).
La sospensione dell’efficacia invece per fatti concernenti il momento oggettivo
dell’effetto ha luogo: a) se nell’atto il bene sia indicato in modo generico o
alternativo sicché si rende necessario un successivo atto di specificazione o
individuazione (vendita di genere o vendita alternativa); b) se la indicazione
del bene sia rimessa all’arbitrio del terzo (vendita in cui la fissazione del
prezzo sia demandata ad uno o più arbitri); c) se il bene indicato nel contratto
non sia ancora esistente (negozi giuridici su cosa futura). In tutti questi casi la
sospensione dell’efficacia è dovuta all’attuale inesistenza di circostanze che
non sono necessarie per la costituzione della fattispecie nel suo nucleo centrale,
ma sono indispensabili per il sorgere dell’effetto giuridico.
La seconda ipotesi è invece rappresentata dal fenomeno della condizione
sospensiva (sia che si parli della condicio voluntatis, sia della condicio iuris);
fenomeno questo il cui largo impiego nelle varie aree del diritto rende ancora
più vasto il campo di applicazione della rilevanza giuridica.
E’ opportuna una precisazione, tutte le situazioni giuridiche che si fanno
rientrare tra gli effetti giuridici, non sono e non possono essere né del tutto
determinate né del tutto attuali. Tra le situazione peculiarmente generiche si
possono ricordare il rapporto di lavoro, il rapporto di mandato, il diritto di
proprietà, il diritto di usufrutto. Poiché la realizzazione dell’effetto è sempre
posta in un tempo successivo rispetto a quello in cui l’effetto sorge.
30
Ma la maggiore indeterminatezza si ha quando manchino o siano da
individuare il soggetto o l’oggetto del rapporto o quando l’effetto sia
subordinato a una condizione sospensiva; in tal caso finché non avviene la
individuazione, l’effetto non può sorgere. L’efficacia tipica e fondamentale del
fatto, resta in questi casi sospesa mancando alla situazione giuridica quel
minimo di finitezza e di attualità che la ponga in termini di realizzazione.
Tuttavia il fatto si è già verificato, in qualche modo è già entrato nel diritto
profilando interessi che vanno salvaguardati.
Questa giuridicità peculiare del fatto, perfezionatosi in tutti gli elementi
essenziali ma non ancora produttivo dei suoi effetti tipici e fondamentali,
designa appunto la rilevanza giuridica.
La regola è che appena vengono ad esistenza gli elementi essenziali della
fattispecie sorge la correlativa situazione giuridica; ma l’immediato prodursi
dell’effetto può anche essere impedito da ragioni interne o esterne all’interesse
medesimo, come si è visto negli esempi. Nella fattispecie condizionale sono
compresi, accanto agli elementi essenziali, che rappresentano l’interesse
interno, altri fatti i quali denunziano l’interferenza probabile di interessi esterni.
La perplessità che, sul piano dell’efficacia, caratterizza il fenomeno
condizionale si traduce in un gioco di piani contrastanti di interessi. La
necessità di preservare gli interessi esterni esige che fino a quando quella
interferenza non sia esclusa, l’efficacia tipica del fatto rimanga sospesa.
La previsione di elementi aggiunti al nucleo centrale del fatto influisce
sull’efficacia tipica, alla quale viene dato corso solo quando si verificano le
circostanze integrative, in modo che il risultato raggiunto nel mondo giuridico
sia in tutto rispondente all’interesse o al complessivo bilancio degli interessi.
Si distinguono perciò nella norma elementi essenziali (gli ‘elementi’), e non
essenziali (i ‘coelementi’).
La rilevanza designa perciò la situazione speciale di un interesse preso in
considerazione dal diritto ma in grado soltanto di pretendere la garanzia
giuridica della propria conservazione e non ancora la garanzia della propria
realizzazione. L’interesse rilevante produce mere aspettative; l’interesse
31
efficace produce diritti pieni.
Tutto ciò chiarisce che efficacia e rilevanza pur distinguendosi sono legate da
nessi e da una coordinazione necessaria. La rilevanza non può esaurire la
giuridicità del fatto ma è essenzialmente preordinata in funzione dell’efficacia.
Rappresenta la premessa, al momento necessario, dell’efficacia perché è solo
in quest’ultimo che l’interesse può trovare realizzazione.16
Si è anche detto che la fattispecie rilevante ha solo la funzione di evidenziare
una direzione generica dell’efficacia, pertanto essa è un momento del “metodo”
con cui il giurista, attraverso l’analisi degli interessi, perviene alla
determinazione progressiva dell’effetto; può anche avere la funzione di
produrre già una efficacia preliminare diretta a preparare e a conservare quella
che sarà l’efficacia tipica della fattispecie completa.
La riflessione principale è che la valutazione giuridica ha carattere
essenzialmente prospettico; essa infatti vuole dare, già in astratto, nelle teorie
dei giuristi, poi più in concreto nelle sentenze dei giudici, infine nelle azioni
dei soggetti, un giudizio anticipato di valore sulla realtà pratica dell’immediato
avvenire.
Ogni norma, condizionando ad un fatto giuridico un effetto non fa che
attribuire valore giuridico a certe situazioni che riguardano certe altre
16
Si è obiettato con le proposte di taluni giuristi, i quali volevano riporre tutta la giuridicità del
fatto nella rilevanza giuridica, con specifica esclusione della efficacia. Alla base di questa
proposta vi era l’idea che causa dell’effetto giuridico non fosse il fatto bensì la norma e che al
fatto è riservato il compito più modesto di provocare l’efficacia della norma.
Negato il nesso causale tra fatto ed effetto giuridico ed esclusa di conseguenza l’efficacia
giuridica del fatto, a mantenere la giuridicità del fatto non resterebbe che la rilevanza.
Se questi giuristi (Scognamiglio R., Cataudella A) volessero porre l’accento sulla differenza tra
causalità giuridica e causalità naturale e chiarire che senza la norma il fatto non avrebbe alcun
potere di causare l’effetto giuridico, si muoverebbero in un ordine di pensieri ovvio ma non
concludente.
Il necessario presupposto della norma non impedisce di porre ugualmente nel fatto la causa
diretta e immediata dell’effetto giuridico. Ma quando si nega l’efficacia causale del fatto e si
indica nella norma la causa esclusiva dell’effetto si dice cosa sicuramente errata. L’efficacia
della norma è diversa dall’efficacia del fatto. L’efficacia della norma consiste nella
costituzione del rapporto di condizionalità tra un fatto ed un effetto; l’efficacia del fatto si
risolve invece nella trasformazione di una situazione giuridica. Le due zone di efficacia sono
differenziate, sicché affermare che causa dell’obbligazione non è il contratto o l’illecito, ma la
norma di diritto che fa discendere l’obbligazione dal contratto o dall’illecito, è quanto meno
inesatto. Scognamiglio R. Fatto giuridico e fattispecie complessa, in Riv. Trim. dir. proc. civ.
1954; Cautadella A. Note sul concetto di fattispecie giuridica, ivi, 1962.
32
antecedenti situazioni di fatto e fornire così ai soggetti una base e un criterio
per la valutazione del futuro.
E’ ovvio si tratterà di una valutazione anticipata e prospettica attraverso tipi e
schemi generali desunti dalle esperienze trascorse. La stessa situazione
giuridica non è che uno schema generale; allo stesso modo l’evento a cui la
situazione guarda è uno schema generale tolto al passato e proiettato
nell’avvenire, un tipo riproducibile in astratto in un numero illimitato di tempi
e di luoghi. Si tratterà, poniamo, del pagamento o riscossione di una somma, di
un procedimento amministrativo o giudiziario, del godimento di un bene, o di
qualsiasi altro fatto di vita pubblica o privata. Questo tipo di evento non è mai
individuato in concreto, ma è solo astrattamente individuabile in funzione di
luoghi o tempi in cui si proietta.
La valutazione giuridica è dunque sempre una valutazione essenzialmente
prospettica, i valori a cui guarda il diritto non sono valori effettivi e attuali ma
mere prospettive assiologiche.
Un altro problema su cui occorre fare un breve cenno è: quale sia esattamente
il tempo della realizzazione. Si tratta di osservare se la situazione che va
determinata, mediante il comportamento obbligato del soggetto, abbia nel
tempo carattere definito o indefinito.
E’ naturale supporre che l’osservanza del dovere si abbia solo nel momento
delle attività di prestazione puntualmente determinate (nel momento cioè in cui
si deve consegnare la cosa o effettuare la singola somministrazione). Al
contrario una situazione indefinita esclude per sua natura ogni attività puntuale
diretta a realizzarla.
Ad es. nell’obbligo di vivere in un determinato luogo in seguito a domicilio
coatto, l’osservanza dell’obbligo è da riscontare in tutto il tempo in cui dura il
domicilio coatto, così nel dovere dei figli di rispettare i genitori. Lo stesso
sembra si debba dire per ogni obbligo negativo, per esempio per l’obbligo di
non introdursi in un luogo di proprietà altrui senza il consenso del proprietario.
In genere una situazione da realizzarsi mediante comportamento omissivo o
negativo è sempre indefinita (salvo che i soggetti definiscano i termini iniziali
33
o finali).
C’è da dire che vi sono situazioni le quali, a motivo del loro particolare
contenuto, sono per se stesse indefinite pur realizzandosi mediante
comportamento commissivo o positivo, tali ad es. il rapporto di lavoro, il
diritto di usufrutto.
Bisogna osservare che il tipo di comportamento, evento e situazione in cui il
dovere si concreta giova a definire l’obiettivo finale del processo di
realizzazione, ma non il tempo in cui la realizzazione ha inizio.
Se immediatamente dopo il contratto di compravendita il venditore distrugge la
cosa che deve consegnare in un termine stabilito, egli trasgredisce il suo
obbligo e compie atto illecito, sebbene il termine della consegna non sia ancora
giunto.
Naturalmente si dovrà guardare all’obiettivo ultimo del processo di
realizzazione per stabilire quale deve essere il comportamento da tenere nel
momento iniziale e nei momenti ulteriori.
tempo
sicuramente
vincolato
da
un
Intanto risulta chiaro che l’unico
dovere
giuridico
è
il
tempo
immediatamente successivo al completamento della fattispecie condizionante.
Le stesse considerazioni sono plausibili anche per la figura del potere.
1.6. Trasformazioni legali e tipi di efficacia.
Sulle considerazioni di tempo si è fondato essenzialmente il fenomeno delle
trasformazioni dell’effetto giuridico, nato dalla riflessione teorica sulle vicende
di mutamento dei diritti soggettivi.
Il fenomeno delle trasformazioni assume rilievo e valore pratico solo se viene
riferito a situazioni giuridiche principali e non accessorie o secondarie.
Gli avvenimenti che sopravvengono al prodursi della situazione giuridica e
mutano la fattispecie dell’effetto, esigono una trasformazione del mondo
giuridico che lo adegui alla nuova realtà. La legge
dovrà stabilire quali
avvenimenti sono idonei ad alterare l’assetto dei valori precostituiti ed in qual
34
modo l’alterazione debba trovare compenso nel sistema degli effetti giuridici.
Le trasformazioni delle situazioni giuridiche consistono perciò in effetti legali.
Vi sono comunque degli avvenimenti che provocano trasformazioni ineluttabili
nelle situazioni giuridiche, e il diritto nulla può fare affinché si producano
diversamente.
Del tutto evidente, per il tipo di trasformazione che determina, è il fenomeno
della estinzione. La morte del debitore, la distruzione della cosa nel diritto
reale, la morte del coniuge nel rapporto di matrimonio sono tutti avvenimenti
che producono di necessità l’estinzione della situazione giuridica.
Tale estinzione non è dovuta ad una disposizione di legge ma è necessaria. La
morte, la distruzione escludono per l’avvenire la realizzazione dell’effetto,
fanno venir meno il valore giuridico e perciò stesso la situazione giuridica. La
figura dell’estinzione non è un effetto legale, bensì un effetto necessario; alla
legge resta solo da stabilire se accanto a tale effetto si verifichino altri effetti: se
in conseguenza della distruzione sorga un obbligo di risarcimento, se
nonostante l’estinzione del rapporto coniugale, per morte, i figli sopravvenuti
debbano considerarsi legittimi, ecc.
Tradizionalmente si distinguono tre figure di trasformazione: costituzione,
modificazione, estinzione; queste vengono raccolte sotto la rubrica <<efficacia
costitutiva>>, tale aggettivo assume un significato generico e serve a designare
un qualunque fenomeno innovativo, non solo la nascita ma anche la estinzione
o la semplice modificazione di una situazione giuridica.
Comunque è bene sottolineare che in questa sua accezione generica, l’efficacia
costitutiva è l’universale denominatore di ogni efficacia giuridica e copre senza
residui tutto il mondo delle situazioni giuridiche.
Si dirà in seguito come tuttavia tale concezione sia angusta ed incapace di
cogliere tutti i tipi di efficacia che l’esperienza giuridica mostra allo studioso.
In astratto ogni fenomeno di mutamento potrebbe essere considerato come
costituzione, se si guarda alla situazione nuova che si determina con il
mutamento; come estinzione, se si guarda invece alla situazione precedente a
35
cui la nuova situazione è subentrata; e come modificazione, se si guarda ad
entrambe le situazioni cumulativamente prese.
Più correttamente costituzione, modificazione, estinzione, si hanno quando
nasce, si modifica, si estingue non ogni situazione in genere ma una situazione
dotata di specifica rilevanza per il diritto, cioè una situazione che non si
confonda con lo stato generico di libertà, ma che comporti delle posizioni di
dovere o di potere, di vincolo o di preminenza (es. al verificarsi
dell’adempimento si estingue l’obbligazione, cioè lo stato di preminenza e di
vincolo e si costituisce lo stato di libertà; in astratto potrebbe parlarsi tanto di
estinzione, guardando alla obbligazione che è venuta meno, quanto di
costituzione, guardando alla liberazione che il debitore ha ottenuto. Ma
secondo il criterio indicato, può parlarsi solo di estinzione perché occorre
guardare alla situazione di rilevanza specifica, e cioè all’obbligazione, e non
alla situazione di rilevanza generica che è lo stato di libertà).
E’ lo stesso legislatore che, nella disciplina dei singoli istituti, ci offre la
possibilità di stabilire quali fattori egli ritiene che costituiscano la sostanza
della situazione giuridica e quali gli
accidenti, quali differenze considera
essenziali e quali inessenziali.
Spesso però il richiamo alla legge è incapace di offrire una sicura soluzione,
per alcuni fenomeni infatti i testi di legge non hanno risolto i dubbi, né sopito i
contrasti.
Comunque la schematizzazione degli effetti giuridici è appunto fatta dal
legislatore in funzione dei nuclei fondamentali di interessi che più
frequentemente ricorrono nella esperienza comune e che possono perciò essere
utilmente previsti e regolati mediante predisposizione di situazioni giuridiche
tipiche.
Sebbene le trattazioni generali del diritto continuino ad indicare costituzione,
modificazione ed estinzione come le uniche figure di efficacia giuridica, da
tempo è riconosciuta la necessità di fare posto ad un tipo di efficacia diverso da
quella costitutiva.
Vi sono controversie sulla natura costitutiva o dichiarativa di atti come la
36
divisione, la transazione, il negozio di accertamento, o ancora la sentenza, la
legge interpretativa. Ciò di cui si discute è appunto l’attitudine di certi fatti, che
sono incontestabilmente giuridici, a produrre uno stato giuridico nuovo ed anzi
si assume che la loro funzione essenziale consiste nel dichiarare e conservare la
situazione giuridica preesistente.17
Si parla di paradosso della efficacia dichiarativa, nel senso che ci si chiede un
fatto, che non produce alcuna innovazione nello stato giuridico preesistente e
che ha come sua specifica funzione quella di mantenere inalterata la situazione
giuridica su cui incide, in cosa riesce a distinguersi da un qualsiasi fatto
giuridicamente irrilevante, se per definizione fatto giuridicamente irrilevante è
quello che non produce alcuna novità nel mondo del diritto?
Il paradosso è apparente, poiché anche i fatti designati come dichiarativi o
conservativi producono una qualche novità; solo che questa è del tutto diversa
da quella propria dei fatti costitutivi. Costituzione modificazione estinzione
rientrano nella categoria delle trasformazioni esterne, esse però non
esauriscono ogni ipotesi di trasformazione giuridica. Ad esse si contrappone la
categoria degli svolgimenti interni, i quali potrebbero, da un verso, anche non
17
La problematica dell’efficacia dichiarativa si può far risalire al sedicesimo secolo ed è legata,
nel suo sorgere al contratto di divisione. A quell’epoca pressanti esigenze pratiche
determinarono una viva reazione contro la configurazione romanistica della divisione quale
contratto traslativo.
Solo nel XIX sec. la dottrina francese accettò l’idea dell’effetto dichiarativo e la relativa
problematica si arricchì allorché fu introdotto l’istituto della trascrizione. Si vennero così
riconoscendo altre ipotesi di dichiaratività, soprattutto la sentenza e la transazione. Si andò
delineando così una classe di atti dichiarativi contrapposti a quelli costitutivi, similmente a
quanto avveniva in Germania.
Due momenti erano ritenuti importanti: la funzione rivelatrice che l’atto dichiarativo assolve
rispetto a un diritto soggettivo preesistente; l’efficacia non innovativa dell’atto dichiarativo, il
quale non costituisce né trasferisce il diritto soggettivo. Dunque all’opposto degli atti
costitutivi, l’atto dichiarativo non introduce alcuna modificazione nello stato giuridico
anteriore.
In Italia e in Germania il tema dell’efficacia dichiarativa è iscritto nella vasta problematica
delle dichiarazioni di accertamento; se ne è parlato e se ne parla a proposito del negozio di
accertamento, delle decisioni e degli accertamenti amministrativi, delle sentenze, della legge
interpretativa, delle pronunce sulla legittimità costituzionale delle leggi ordinarie ecc.
Nello studio delle singole figure la dottrina si è poi divisa in due opposti orientamenti,
fondando l’interpretazione dei fenomeni gli uni sulla efficacia costitutiva e gli altri sulla
efficacia dichiarativa. Tuttavia quale sia stata la novità giuridica introdotta dall’effetto
dichiarativo la dottrina non è riuscita a indicare se non con metafore. Di queste la più corrente è
quella che assegna all’effetto dichiarativo il compito di rendere efficace il diritto soggettivo.
Nella nostra letteratura giuridica basta citare Ascarelli T., La letteralità dei titoli di credito, in
37
determinare alcun mutamento nella identità strutturale della situazione, ma
dall’altro conducono questa ad ulteriore sviluppo.
Il problema della efficacia dichiarativa è quello di spiegare la possibilità di
trasformazioni che incidano su una situazione giuridica senza mutarne il
contenuto.
Secondo i giuristi il problema si risolve con una riflessione molto semplice.
Sappiamo che la situazione giuridica è in ogni caso una situazione futura e che
si risolve in uno schema generale, individuato in funzione del tempo; ebbene
proprio questo carattere generale della situazione giuridica è da tenere in conto
per intendere la possibilità di meri svolgimenti interni, accanto alle ipotesi delle
trasformazioni esterne.
Gli svolgimenti interni si definiscono caso per caso. Sotto un primo profilo
appare carattere costante degli svolgimenti interni il fatto che essi non
determinano mai una modificazione degli elementi strutturali o del contenuto
sostanziale della situazione giuridica. Se il mutamento interessa il soggetto o
l’oggetto, che rappresentano gli elementi strutturali di identificazione di ogni
situazione, non può aversi che trasformazione esterna, così pure se le modifiche
riguardano le modalità di comportamento. Il presupposto sarà tuttavia che
occorra qualche mutamento affinché si abbia uno svolgimento interno.
Si è tentato di individuare tre figure di queste alterazioni interne corrispondenti,
in un certo senso, alle figure esterne: rafforzamento corrispondente alla
costituzione,
specificazione
che
fa
riscontro
alla
modificazione
e
affievolimento che fa riscontro alla estinzione.
Queste tre figure delineano i sottotipi dell’efficacia dichiarativa.
Una esemplificazione dell’efficacia rafforzativa è data dal fenomeno della
ricognizione dei diritti soggettivi: es. il riconoscimento del debito è
indubbiamente inidoneo giuridicamente a modificare il diritto soggettivo
preesistente. Ma il diritto positivo ci chiarisce che il riconoscimento del
debitore vale ad impedire che l’obbligazione si estingua per prescrizione.
Studi in tema di contratti, Milano, 1962.
38
Dunque il riconoscimento difende e preserva la situazione giuridica
preesistente contro i guasti del tempo; il diritto quindi ha riacquistato tutta la
sua originaria vitalità, si è rafforzato.
E’ naturale che le situazioni giuridiche che non ‘seguono’ le esigenze della
comunità sono soggette a perdere man mano la loro efficienza e vedere
affievolita la loro attuabilità. Il fenomeno del riconoscimento, che proviene dal
soggetto tenuto a rispettare specificatamente o ad attuare il diritto soggettivo ha
precisamente l’effetto di restituire alla situazione giuridica la sua originaria
efficienza. E’ questa una novità giuridica che si esaurisce tutta all’interno della
situazione giuridica.
Merita di essere menzionata, per l’effetto di tipo conservativo e rafforzativo,
che essa spiega, anche l’intimazione di pagamento. In essa la dottrina ha
identificato un esempio importante di dichiarazione non negoziale di volontà,
l’intimazione appare di gran lunga più interessante per il profilo della sua
efficacia.
L’intimazione non spiega effetti costitutivi, se l’obbligazione non esistesse
l’atto non avrebbe alcuna efficacia giuridica; diventa efficace a condizione che
la prestazione richiesta fosse già dovuta in virtù di una valida obbligazione.
L’intimazione in quanto atto giuridicamente rilevante non può produrre, di
conseguenza deve esaurirsi all’interno dell’obbligazione, appartiene quindi alla
medesima figura di efficacia che abbiamo riscontrato per il riconoscimento.
Esso preserva il diritto dagli effetti del tempo e altresì dagli effetti
dell’ignoranza del debitore, conserva il diritto (di credito) riportandolo alla
originaria efficienza ed assicurandosi la possibilità di far valere la tutela
accordata dalla legge. Una trasformazione c’è stata ma interna alla situazione
giuridica, la quale risulterà rafforzata rispetto a fattori esterni che potrebbero
comprometterne la esistenza o realizzazione.
Altra trasformazione interna si ha quando l’effetto consiste nella semplice
specificazione o determinazione del contenuto della situazione giuridica.
Tutte le situazioni hanno un certo grado di genericità destinato a risolversi al
momento della loro attuazione. Ma talvolta la impossibilità di prevedere in
39
anticipo gli atteggiamenti che l’interesse giuridico verrà ad assumere nel corso
della sua esistenza, fino alla completa realizzazione, impone una definizione
più generica della situazione che valga a consentirle una maggiore capacità di
adeguarsi alle circostanze che influiranno in concreto sull’interesse. Di qui la
necessità, affinché l’interesse sia soddisfatto, di fatti ulteriori i quali in
funzione della specificazione dell’uno, producano una corrispondente
determinazione dell’altra.
Il tipo di efficacia che corrisponde a questo ruolo non può ovviamente entrare
nel quadro della efficacia costitutiva.
Il diritto positivo offre numerose ed importanti applicazioni del tipo di efficacia
che qui si considera. Il fenomeno trova infatti nel settore pubblicistico,
costituzionale e amministrativo, il terreno ideale di attecchimento. Due istituti
di diritto privato, il rapporto di mandato e il rapporto di lavoro, si prestano bene
ad esemplificare la figura della efficacia specificativa.
In entrambi, la prestazione del debitore non è interamente determinata al
momento della costituzione del rapporto, almeno di solito, gli ordini del datore
e le istruzioni del mandante assolvono appunto alla funzione di specificare,
nelle singole circostanze, l’obbligo della prestazione. L’effetto specificativo
lascia immutato l’interesse originario e conserva nella sua struttura e nel suo
contenuto sostanziale la situazione giuridica originaria.
Infine terza classe delle trasformazioni interne riguarda l’affievolimento cioè la
riduzione dell’originaria efficienza della situazione giuridica. Confluiscono in
questa nozione la maggior parte dei casi che la dottrina inquadra sotto la
rubrica della quiescenza dei diritti soggettivi.
Avviene così nella cosiddetta inefficacia relativa: quando il diritto soggettivo
incontra altri diritti, a scapito dei quali esso non potrà essere né esercitato né
realizzato. La presenza di un altro diritto che impedisce il pieno esercizio e la
piena realizzazione del diritto soggettivo - ad es. il diritto di ipoteca rispetto al
diritto di proprietà - non comporta alcuna modificazione strutturale della
situazione giuridica ma influisce, in qualche modo, sul contenuto del diritto
soggettivo, che in una certa direzione non potrà essere né esercitato né
40
realizzato.
Dunque ogni trasformazione che incide su un effetto giuridico deriva da un
fatto giuridico e dà luogo a un effetto giuridico ulteriore. Si è visto come alle
diverse categorie di trasformazioni corrispondono categorie di fatti con diversi
tipi di efficacia. Agli svolgimenti interni corrispondono fatti con efficacia
conservativa, le trasformazioni esterne invece derivano da fatti la cui efficacia
può chiamarsi costitutiva o innovativa. A questo punto per completare il
quadro delle trasformazioni degli effetti e dei tipi corrispondenti di efficacia, è
importante osservare che l’esperienza giuridica mostra trasformazioni che ben
possono dirsi <<ambivalenti>>. Esse non presuppongono né la conservazione
né la innovazione dello stato giuridico anteriore. I fatti giuridici da cui esse
derivano sono configurati dalla legge in modo da poter ‘prescindere’ dalle
situazioni pregresse.
Il tema dell’efficacia preclusiva sostanziale costituisce un po’ un novum nella
letteratura giuridica e sta alla base di alcune questioni dogmatiche
fondamentali, ad es. le questioni sulla efficacia del giudicato, le cui preclusioni
processuali sono sorrette in definitiva da preclusioni sostanziali.
Il presupposto da cui muove la teoria tradizionale della efficacia è che non
possa aversi alcuna situazione giuridica che non sia in un rapporto ben definito,
di conformità o non conformità con la situazione giuridica anteriore.
Da un verso vi è l’esigenza di garantire giuridicamente in forma piena e
definitiva, situazioni di fatto consolidate dal tempo. Dall’altro l’esigenza di
rimuovere i conflitti che impediscono l’attuazione delle situazioni giuridiche.
Queste due esigenze sono espressione del generale interesse alla certezza.
Alla base della categoria dei fatti preclusivi vi è l’esigenza di superare le
difficoltà che la realizzazione degli interessi e dei valori giuridici, incontra nel
diritto a causa dell’incertezza sulla esistenza e sul contenuto delle situazioni
giuridiche. Si tratta dell’incertezza oggettiva, il conflitto intersoggettivo di
apprezzamenti e la versione contrastante che gli interessati sostengono della
realtà giuridica.
Il tipo di efficacia della generale categoria dei fatti diretti all’eliminazione
41
dell’incertezza può essere approfondito attraverso un raffronto tra fatti di
accertamento e fatti con efficacia dichiarativa. Il fatto di accertamento è la
risultante di un processo che, muovendo da una situazione iniziale di oggettiva
incertezza, porta mediante l’attività di chiarificazione della realtà, ad una
dichiarazione di scienza munita di efficacia preclusiva. A differenza delle
comuni dichiarazioni di scienza, nelle quali al contenuto, corrisponde un effetto
di tipo conservativo, nel fatto di accertamento si verifica una deviazione tra
l’efficacia tendenzialmente indicata nell’atto (conservazione) e l’efficacia che
la legge assegna all’atto medesimo (preclusione).
L’efficacia preclusiva dei fatti di accertamento si atteggia come efficacia
tipicamente legale.
42
CAPITOLO II
IL CONCETTO SOCIOLOGICO DI EFFICACIA
2.1. Il principio di causalità
Il principio di causalità esprime una delle concezioni dell'ordine del mondo ed è
comunemente considerato uno strumento essenziale per una valida spiegazione e
previsione degli eventi. Quando ci si chiede perché una cosa sia accaduta, di solito, si
indica la causa dell'evento che si vuole spiegare, quando si vuole prevedere un evento
futuro si va alla ricerca degli effetti possibili o necessari degli eventi appena accaduti e
degli accadimenti futuri.
Il principio di causalità deve essere considerato come una generalizzazione sperimentale
di relazioni esistenti tra eventi, oppure come una forma necessaria della conoscenza
umana, uno strumento per mezzo del quale l'intelletto ordina fenomeni? Ed ancora, la
relazione di causalità consiste in una successione di eventi priva di eccezioni? E'
universalmente valida? I processi orientati verso uno scopo possono essere spiegati
ricorrendo a relazioni causali?
Posto che per 'legame causale' s'intende la relazione tra certi eventi individuali chiamati
cause e certi altri eventi chiamati effetti (essi sono trattati come elementi di due classi
illimitate), il problema se sia possibile parlare di cause di eventi unici, cioè di eventi che
non sono considerati come elementi di una qualche classe, è argomento di polemica ed
ha importanza speciale per quelle discipline come il diritto che pretendono di fornire
spiegazioni causali di eventi unici ed irripetibili.
Per 'legge causale' invece si intende un enunciato condizionale universale, che asserisce
che gli elementi di una certa classe sono connessi causalmente con gli elementi di una
certa altra classe (ad esempio l'enunciato che il riscaldamento produce sempre la
dilatazione dei metalli può essere considerato come una legge causale.
Per 'principio di causalità' si intende l'enunciato che asserisce l'esistenza di legami
causali nell'universo. Esso è stato formulato in modi differenti ad esempio: ogni evento
ha le sue cause; nulla accade senza cause; le medesime cause producono i medesimi
effetti e cosi via.
43
Il problema di una formulazione adeguata del principio e dell'ambito della sua validità,
da luogo ad interminabili discussioni.
Nelle parole di Hume, la causalità è <<il cemento dell’universo>>, la relazione
attraverso cui ogni evento è legato ad un altro o attraverso cui un tipo di fatto ne porta
con sé un altro. Tuttavia il concetto di causa risulta difficile da analizzare. Il problema è
come interpretare il <<cemento>> che lega causa ed effetto, cioè la necessità con cui
pensiamo che gli effetti conseguano dalle loro cause. I modi con cui il problema è stato
affrontato nel corso del xx secolo prendono le mosse dall’empirismo di Hume.
Secondo Hume, le connessioni causali non sono <<necessarie>> nel senso che siano
relazioni logiche, poiché la descrizione di un evento non implica per necessità logica
l’esistenza di un altro evento. Né il legame di un effetto con la sua causa è una relazione
che esiste nella realtà fisica, dal momento che noi non abbiamo alcuna esperienza di un
nesso necessario del genere tra un evento (causa) ed un altro (effetto), abbiamo
esperienza soltanto di due eventi.1
Nella prospettiva di Hume i nessi causali non sono altro che la congiunzione ripetuta di
eventi contigui e consecutivi. La causalità risulta incorporata in regolarità che esprimono
nessi costanti fra tipi di eventi. La nozione di “nessi costanti” può essere elaborata in
termini di condizioni necessarie e condizioni sufficienti: la condizione necessaria di un
evento è una condizione che si verifica ‘sempre’ quando l’evento si manifesta;
condizione sufficiente quella che ‘quando’ si verifica è accompagnata dall’evento.
Questa distinzione consente di tener conto di alcune complicazioni: per esempio che un
evento possa essere connesso con la congiunzione di più cause o con diverse cause
indipendenti e possa verificarsi se sono assenti certe cause contrarie. Queste
1
La linea di argomentazione adottata da Hume contro la causalità evidenziava il fatto che
nella percezione sensibile ci è data soltanto la successione degli stati o degli eventi.
L'asserzione che la relazione tra due eventi consista in una qualche specie di interazione, che
uno degli eventi produca l’altro, equivale ad andare oltre i dati empirici. L'inferenza per cui
il fatto che B venga dopo A significa che A genera B, è ingiustificata anche se si osserva la
medesima successione per molte volte, senza rilevare eccezione alcuna. Dicendo che B
accadrà sempre dopo A si esprime fede nell'uniformità della natura, fede che non può essere
giustificata. L'inferenza induttiva, che conduce alla generalizzazione per cui B seguirà
sempre A, non è valida, perché per giustificarla si deve supporre che esista una relazione
causale (cioè necessaria) tra A e B. Quindi per giustificare il principio di causalità, si
dovrebbe ricorrere al principio di induzione, o di uniformità della natura, che non può a sua
volta essere giustificato se non s'applica di nuovo il principio di causalità. Hart H. L. A. e
Honorè A. M. Causation in the Law, 1966.
44
complicazioni sono riunite in nessi: <<tutte le situazioni LM-N o PQ-R sono seguite
dall’evento E>>, dove -N simboleggia l’assenza di condizioni del tipo N ed ogni lettera
rappresenta una condizione per E che è parte contemporaneamente insufficiente ma non
ridondante di un insieme composto di più fattori (LM-N), insieme che a sua volta non è
necessario ma sufficiente perché E ne risulti. 2
La prospettiva humeana non sfugge alla critica di non riuscire a distinguere le regolarità
causali dalle generalizzazioni accidentali.
Non sono neppure accettabili le analisi non humeane della causalità che si sono spinte
oltre i limiti dell’empirismo: così la prospettiva realista affermava che la necessità che
caratterizza la causalità è una necessità di ordine fisico. Cause ed effetti non sono eventi
indipendenti ma correlati. Secondo questa prospettiva le cause hanno il potere di
produrre i loro effetti poiché vi è tra loro una relazione un meccanismo generativo che
collega causa ed effetto. I nessi causali possono non manifestarsi affatto come regolarità
poiché tra l’azione di una causa e il verificarsi del suo effetto possono intervenire altri
fattori, altre cause che contrastano l’effetto della prima causa. (es. premere l’interruttore
può non avere l’effetto di illuminare la stanza perché il filamento della lampadina è
fuso). In tale occasione la confutazione di un nesso regolare non porta, secondo tale
prospettiva, a negare la causalità della connessione reale fra pressione sull’interruttore e
accensione, che si basa sul meccanismo del flusso della corrente elettrica. La difficoltà
della prospettiva realista, dopo aver negato l’empirismo humeano, garantendo che
esistono meccanismi ‘invisibili’ al di là del controllo epistemologico, sta nell’incapacità
di individuare e analizzare i meccanismi che possono essere utilizzati come spiegazione
causale.
2
Un esempio di ciò è la teoria della rivoluzione che combini idee marxiste con altre derivate
dalla teoria della deprivazione relativa e sostenga che l’attività rivoluzionaria (E) segue o
dal verificarsi congiunto della: polarizzazione della società capitalistica in due classi,
borghesia e proletariato (L), dell’impoverimento del proletariato (M) e dell’assenza di falsa
coscienza in quest’ultimo (-N), oppure dal verificarsi congiunto della divisione della società
in gruppi gerarchizzati (P), del desiderio dei membri di un gruppo di conformarsi alle norme
di un altro gruppo di status più elevato (Q) e dell’assenza di percorsi legittimi di mobilità dal
più basso a quello più alto (-R). Davidson D., Azioni ed eventi, 1992.
45
Il principio di causalità ed il principio del determinismo hanno in comune la tesi
secondo cui gli eventi futuri dipendono dagli eventi che li hanno preceduti. Tale
dipendenza
può essere intesa sia come relazione uno-uno sia come una relazione
statistica. Entrambi sono enunciati-limite, cioè riguardano certe situazioni idealizzate,
che possono essere soddisfatte empiricamente solo con una certa approssimazione.
Se una differenza esiste tra i due principi, essa consiste nel fatto che quella che si
suppone sia una relazione causa/effetto non è riducibile alla relazione di determinazione,
cioè alla successione priva di eccezione di certi stati. Se la legge deterministica asserisce
che se A, allora sempre (o con qualche probabilità) B, le leggi causali devono asserire
qualcosa di più. Infatti asseriscono che A produce, genera B; che tra A e B esiste una
qualche connessione necessaria che non può essere ricondotta alla pura e semplice
successione (fisicamente impossibile che B non accada se è accaduto A)
Mentre le leggi deterministiche descrivono i processi, le leggi causali dovrebbero
spiegarli, fornendo una risposta alla domanda perché ha luogo proprio questa
successione regolare di eventi. Alla luce di questa differenza le leggi causali e le leggi
deterministiche dovrebbero riguardare rispettivamente aspetti differenti dell'ordine del
mondo. Le prime fornendo soltanto la descrizione di regolarità, senza spiegarle, le
seconde stabilendo una connessione tra la tesi del determinismo ed il presupposto che la
successione regolare di stati o di eventi è dovuta all'esistenza di certi legami causali.
La differenza tra relazione di determinazione e relazione causa/effetto non è tuttavia
riconosciuta, anzi spesso i principi sono stati identificati tra loro,
basandosi sulla
opinione che qualsiasi relazione di determinazione abbia sempre un carattere causale, o
sulla opinione che sia impossibile trovare nella relazione di causa e di effetto qualcosa di
più che non la successione regolare degli eventi.
D'altra parte l'identificazione della causalità con il determinismo può venire dall'opinione
che la relazione causa/effetto non sia nient'altro che una successione, priva di eccezioni,
di eventi; e che la supposizione che in essa si abbia a che fare con una specie di
produzione o generazione di un evento da parte di un altro non possa essere provata
empiricamente.
Nelle parole di Hume, la causalità è <<il cemento dell’universo>>, la relazione
attraverso cui ogni evento è legato ad un altro o attraverso cui un tipo di fatto ne porta
46
con sé un altro. Tuttavia il concetto di causa risulta difficile da analizzare. Il problema è
come interpretare il <<cemento>> che lega causa ed effetto, cioè la necessità con cui
pensiamo che gli effetti conseguano dalle loro cause. I modi con cui il problema è stato
affrontato nel corso del xx secolo prendono le mosse dall’empirismo di Hume.
Secondo Hume, le connessioni causali non sono <<necessarie>> nel senso che siano
relazioni logiche, poiché la descrizione di un evento non implica per necessità logica
l’esistenza di un altro evento. Né il legame di un effetto con la sua causa è una relazione
che esiste nella realtà fisica, dal momento che noi non abbiamo alcuna esperienza di un
nesso necessario del genere tra un evento (causa) ed un altro (effetto), abbiamo
esperienza soltanto di due eventi.3 -L'argomentazione humeana nega
che la relazione causale possa consistere in una
qualche sorta di interazione fisica, e che la necessità del legame causale possa consistere
in qualcosa di più che non nella regolarità della successione.
Ovviamente la scienza non si è mai limitata a scoprire e a descrivere la successione o la
coincidenza, regolari e prive di eccezioni, dei fenomeni, ma ad ogni stadio del suo
sviluppo si è sempre posta il problema del perché tali regolarità si verifichino. La scienza
ha sempre tentato di rispondere, non solo alle questioni sul come, ma anche alle
questioni sul perché, elaborando concezioni ontologiche del mondo, che sono andate
oltre i puri e semplici dati sensibili ed empirici.
Il significato del principio di causalità va oltre il significato del principio del
determinismo
Il principio di causalità risulterebbe meglio formulato della rispettiva formulazione del
principio del determinismo, poiché asserisce che la relazione causa/effetto non sia
3
La linea di argomentazione adottata da Hume contro la causalità evidenziava il fatto che
nella percezione sensibile ci è data soltanto la successione degli stati o degli eventi.
L'asserzione che la relazione tra due eventi consista in una qualche specie di interazione, che
uno degli eventi produca l’altro, equivale ad andare oltre i dati empirici. L'inferenza per cui
il fatto che B venga dopo A significa che A genera B, è ingiustificata anche se si osserva la
medesima successione per molte volte, senza rilevare eccezione alcuna. Dicendo che B
accadrà sempre dopo A si esprime fede nell'uniformità della natura, fede che non può essere
giustificata. L'inferenza induttiva, che conduce alla generalizzazione per cui B seguirà
sempre A, non è valida, perché per giustificarla si deve supporre che esista una relazione
causale (cioè necessaria) tra A e B. Quindi per giustificare il principio di causalità, si
dovrebbe ricorrere al principio di induzione, o di uniformità della natura, che non può a sua
volta essere giustificato se non s'applica di nuovo il principio di causalità. Hart H. L. A. e
Honorè A. M. Causation in the Law, 1966.
47
riducibile alla successione regolare degli stati del sistema, ma sia dovuta a una qualche
specie di interazione. Ponendo, così, la questione se tutti i processi siano rigorosamente
determinati, o alcuni siano determinati soltanto statisticamente?
Occorre osservare che il concetto di interazione, costitutivo per il concetto di causalità,
spesso è stato trattato come un equivalente del concetto di forza. Ma la forza è soltanto
una delle possibili concretizzazioni dell'idea di interazione, questa si potrebbe connettere
al concetto di trasmissione di energia. Fondamentale è il fatto che ogni trasmissione di
informazioni è collegata con una trasmissione di energia, e che ogni trasmissione di
energia può essere considerata come una trasmissione di informazioni destinata a un
dato ricevitore. Si sa bene che ciò che importa per comprendere il legame causale di
molti processi non è la specie o l'intensità della trasmissione dell'energia, ma il
significato che riveste il segnale per il ricevitore.
Quando vedo un semaforo rosso, mi fermo, indipendentemente dall'intensità luminosa
del segnale; non mi fermo invece se la luce rossa è emessa da un'altra fonte. In tal senso
si può parlare del significato che la luce del semaforo ha per il pedone, dunque l'effetto
può essere del tutto indipendente sia dalla specie di energia trasmessa (segnali differenti
possono avere il medesimo significato) sia dall'intensità del segnale. E' interessante
notare che tutti i legami causali possono essere considerati come una trasmissione di
informazioni, e che il concetto di informazione, così come viene usato nella teoria
dell'informazione potrebbe diventare una nuova concretizzazione del concetto generale
di interazione.
Tuttavia anche se si fosse d'accordo nel ritenere che la relazione di causa e di effetto
consista in qualche specie di interazione e che essa sia responsabile della successione
regolare degli eventi, non è affatto chiaro che cosa voglia dire che la relazione di causa e
di effetto abbia un carattere necessario; che cosa voglia dire che la causa produca
necessariamente l'effetto. In primo luogo non si intende una necessità logica, la causa e
l'effetto non sono enunciati, ma eventi e, di conseguenza, la loro relazione non può avere
un carattere logico. Proprio la difficoltà di spiegare in cosa possa consistere questa
specie di necessità, ha spinto alcuni ad identificare la relazione causa/effetto con la
deducibilità logica delle conclusioni dalle premesse. Per confutare tale concezione è
sufficiente osservare che essa implica l’opinione che una qualsiasi legge può essere
48
stabilita indipendentemente da qualsiasi ricorso all’esperimento, solo sulla base di
un’analisi logica delle cause. La causa comporterebbe l’effetto, nello stesso modo che le
premesse comportano la conclusione, ed il problema sarebbe semplicemente quello di
renderle esplicite.
La legge causale non asserisce l’esistenza di una relazione tra l’antecedente ed il
conseguente, ma una relazione reale tra entità che soddisfano le condizioni descritte da
certi enunciati. Dunque il concetto logico di deducibilità non è adeguato per spiegare la
natura della necessità, cioè caratterizzare la relazione causa/effetto.4
Questa concezione della necessità del legame causale non risulta più sostenibile della
concezione razionalistica, la quale identifica la necessità del legame causale con la
deducibilità logica. Ma se né la concezione razionalistica, né quella aprioristica del
carattere necessario del legame causale possono essere ritenute valide, cosa significa il
carattere di necessità di questa relazione? Ed è possibile spiegare in cosa consista la
differenza tra questa necessità e la pura e semplice successione degli eventi?
Si prende l’enunciato: ‘tutti i pezzi di rame si dilatano se vengono riscaldati’. Cosa
s’intende dicendo che il calore causa necessariamente la dilatazione del rame? In primo
luogo potrebbe essere inteso come un enunciato che asserisce una necessità di fatto:
quindi che non sono esistiti pezzi di rame che non si dilatassero al calore. Ma se la
necessità del legame causale viene intesa in questo modo l’enunciato (e le leggi causali)
nulla dice di quei pezzi che non sono stati riscaldati o del tipo di calore. Si crede che le
leggi causali asseriscano qualcosa di più della necessità di fatto. Quando un enunciato
condizionale universale viene trattato come una legge di natura, si suppone che esso
garantisca la verità dell’enunciato condizionale controfattuale (se quel pezzo di rame
4
Una possibilità di comprendere il carattere necessario del legame causale è stata fornita da
Kant, il quale accettando, da una parte l’idea che nessuna necessità può essere messa in
evidenza dall’esperienza - ciò che l’esperienza ci mostra è solo la coincidenza o la
successione de facto dei fenomeni - e credendo dall’altra, che certi enunciati cui si perviene
hanno un carattere di necessità, cioè non possono essere confutati dl’osservazione, Kant ha
concluso che devono esistere categorie a priori dell’intelletto, le quali garantiscono il
carattere di necessità di questi enunciati. Secondo lui la causalità è appunto una di queste
categorie. Ciò significa che la causalità sarebbe una forma della conoscenza umana, e la
necessità della relazione causale sarebbe un risultato del nostro modo di ordinare i fenomeni,
piuttosto che una caratteristica propria dell’ordine del mondo. Dunque le leggi causali della
scienza pura sarebbero enunciati fattuali garantiti a priori…………………
……………….
49
fosse stato riscaldato allora si sarebbe dilatato); e si dice che gli enunciati condizionali
universali intesi in questo modo, asseriscano la ‘necessità nomica’.5
Alcuni hanno sostenuto che il concetto di necessità nomica non è analizzabile, ma non se
ne può fare a meno, altri hanno ritenuto che fosse nulla più di che la successione, priva
di eccezioni, di eventi.6
La successione regolare degli eventi è stata spiegata anche con un altro modo opposto
alla causalità cioè con il finalismo; per molto tempo si è creduto che certe regolarità
avessero un carattere causale, altre un carattere finalistico.
Da un lato i sostenitori delle spiegazioni causali sostenevano che fosse irragionevole
credere che uno stato futuro potesse determinare il corso attuale degli eventi; un conto è
dire che le aspettative e le conoscenze del futuro possano determinare il nostro
comportamento presente, cosa diversa è credere che siano gli stessi eventi futuri a
determinare quello che stiamo facendo. D’altra parte gli oppositori della causalità
indicarono processi, biologici, psicologici, sociali, che non erano spiegabili in termini di
relazione causa effetto, in quanto processi aventi carattere teleologico, orientati verso
uno scopo. Il finalismo (a prescindere dalla affidabilità dei concetti) fu un tentativo di
spiegare quei fenomeni ai quali
il causalismo non era in grado di fornire una
spiegazione. Nell’ambito di tale controversia bisogna distinguere: esistono processi
orientati verso uno scopo? E se esistono il finalismo è l’unico modo possibile per
spiegarli? Il concetto di ‘orientamento verso uno scopo’ può essere inteso più come
classificatorio che come concetto esplicativo. Tale concetto è stato usato in modi diversi,
per ‘orientamento verso uno scopo’ qualche volta si è inteso, l’adattamento funzionale di
un organismo o delle sue parti all’ambiente, o la capacità di anticipare con il proprio
comportamento gli eventi futuri e così via. Tuttavia classificare il processo con cui si ha
a che fare come un processo orientato verso uno scopo non è la stessa cosa che
rispondere alla domanda: perché procede in certo modo? La disputa ottocentesca tra i
sostenitori del causalimo e i sostenitori del finalismo verteva non sulla domanda se
5
Dopo Hume, che ha ridotto la necessità nomica alla necessità di fatto, cioè alla successione
di eventi priva di eccezioni, questo è costantemente argomento di polemica. Nagel E.,The
structure of Science (trad. it. Feltrinelli, Milano 1970)
6
Ernest Nagel ha tentato di spiegare la differenza tra necessità di fatto e necessità nomica,
specificando le condizioni logiche ed epistemologiche che devono essere soddisfatte da un
enunciato condizionale universale, affinchè sia possibile trattarlo come una legge scientifica.
50
esistono processi orientati verso uno scopo ma se fosse possibile spiegare i detti processi
in termini di relazione causa ed effetto. Per trovare una soluzione alla controversia
importante fu il nuovo approccio al problema fornito dalla cibernetica e dalla teoria
generale dei sistemi.7
2.2. Alcuni problemi di spiegazione causale
Solitamente quando ci si chiede quale sia la causa di un certo effetto, il problema può
essere affrontato da due diversi punti di vista: il primo consiste nel trattare la causa come
la condizione sufficiente (o necessaria) perché l’effetto abbia luogo. In tal caso tutti i
fattori dai quali dipende l’accadere dell’effetto vengono considerati congiuntamente
come la causa. Il secondo punto di vista consiste nel considerare causa uno solo dei
fattori, mentre gli altri vengono chiamati <<condizioni>>. Quale di questi fattori venga
trattato come causa dipende dalla situazione cui ci si trova, dal contesto dell’indagine.
Così per esempio (questa è soltanto una delle possibilità) qualche volta si considera
causa quel fattore la cui realizzazione ha preceduto direttamente il prodursi dell’effetto
in questione. In altri casi causa e condizioni si differenziano in quanto ciò che interessa
sono i fattori che dipendono dal comportamento umano (proprio questi vengono trattati
come causa, mentre gli altri non sono che condizioni). Tuttavia la distinzione tra cause e
condizioni avrà sempre un carattere relativo: ciò che in una determinata situazione
risulta causa, in un’altra risulterà condizione e viceversa.
S’immagini un giudice che indaghi su un incidente automobilistico e concluda che esso
sia stato causato da un eccesso di velocità; naturalmente il giudice sa bene che se il
conducente avesse guidato alla stessa velocità in circostanze diverse, l’incidente non
sarebbe accaduto. Egli non cerca le condizioni sufficienti dell’incidente stradale, e la sua
conclusione non va certo intesa come l’asserzione che quell’incidente deve accadere
ogni volta che un conducente guidi a quella velocità. Affermando che quella è stata la
causa dell’effetto dato, il giudice considera certe circostanze come date, le tratta come
7
Già nel XIX secolo Claude Bernand introdusse il termine ‘omeostasi’ per indicare quei
sistemi capaci di autoregolazione, cioè in grado di conservare alcune loro caratteristiche
nonostante il cambiamento delle condizioni ambientali. Così la domanda: in cosa consiste
l’orientamento verso uno scopo? Potrebbe essere trasformata in: qual è il meccanismo di
autoregolazione? Wiener N. Cybernetics, or control and Communication in the animal and
the Machine, (trad. it. Il Saggiatore, Milano 1968)
51
condizioni e cerca quel fattore che nelle condizioni date, ha potuto produrre l’effetto. Se
il medesimo incidente venisse analizzato non da un giudice, cui interessa trovare quei
fattori che dipendevano dal comportamento del conducente, ma da un fabbricante di
automobili, quest’ultimo potrebbe concludere, per esempio, che l’incidente è stato
causato dai freni poco potenti. La distinzione tra cause e condizioni dipenderebbe dal
contesto dell’indagine: il giudice, volendo trovare un responsabile dell’incidente,
congiunge il concetto di responsabilità con il concetto di causalità; il fabbricante, avendo
interesse a migliorare le automobili che produce, cerca la causa dell’incidente in un
difetto di costruzione.
Immaginiamo ora uno scienziato che cerchi una spiegazione causale di una certe specie
di eventi, il suo compito non potrà essere completato fin quanto non avrà indicato tutti i
fattori dai quali dipende l’accadere degli eventi da spiegare. Egli dovrà specificare la
condizione sufficiente (o necessaria) dell’accadere per formulare qualche legge; e non
rileva alcuna differenza tra causa e condizione.
Dunque al giudice interessa trovare la causa di un evento singolo, il fatto che il giudice
deve spiegare gli è dato in tutta la sua concretezza ed il suo compito consiste
nell’analizzarlo per risolvere il problema della responsabilità dell’incidente: così egli
parte dal presupposto che se il guidatore si fosse comportato secondo certe norme
stabilite, l’incidente non avrebbe avuto luogo. Sa anche che se i freni fossero stati più
potenti, la strada più agevole, il tempo migliore e così via, l’incidente non sarebbe
accaduto, ma nelle circostanze date il guidatore era obbligato dalla legge a guidare con
maggiore precauzione; quello che gli interessa è stabilire quali norme di comportamento
sono state violate dal guidatore. Dal canto suo lo scienziato cerca una legge causale, non
gli interessa spiegare un evento particolare, singolare, in quanto tale, ma spiegare tale
evento in quanto elemento di una classe di eventi simili che sono accaduti in passato e
possono accadere in futuro. Egli fa astrazione dalle caratteristiche e condizioni
particolari di quell’evento, lo interessano solo le caratteristiche che esso ha in comune
con altri della medesima classe (astraendosi lo scienziato non dovrà elencare tutti i
fattori negativi che avrebbero potuto impedire l’accadere degli eventi in questione). Egli
fa astrazione mentre sta costruendo quella classe di eventi che dovrà spiegare in base alla
52
legge che sta cercando. Di conseguenza ha a che fare con una situazione astratta e non
con un evento singolare e concreto.
Il giurista si ritiene incapace, quando cerca la causa di un particolare evento accaduto,
qui ed ora, di indicarne le condizioni sufficienti; l’elenco delle condizioni positive e
negative sarebbe infinito. D’altra parte se si cerca una regolarità, bisogna sapere quale
sia la condizione sufficiente (o necessaria) dell’accadere degli eventi in questione, cioè
degli eventi trattati come rappresentativi di quella data classe, ottenuta per astrazione.
Sebbene la differenza tra le due impostazioni del problema sembri spiegare perché ci si
trovi di fronte a questi diversi concetti di causa, il problema della loro validità è
argomento di polemica sul carattere delle spiegazioni causali nel diritto.
Hart e Honorè affermarono che il caratteristico interesse del diritto per la causalità <<
non è rivolto alla scoperta di connessioni tra tipi di eventi, e quindi al tentativo di
formulare leggi o generalizzazioni, ma, spesso, all’applicazione di generalizzazioni già
note, o accettate come vere e addirittura come banalmente evidenti, a casi particolari
concreti. Per questo, e per altri aspetti, gli enunciati causali del giurista sono come
enunciati singolari che,in situazioni complesse, identificano certi eventi particolari come
cause, o effetti, o conseguenze, di altri eventi particolari… Per contro, nelle scienze
sperimentali… il fuoco dell’attenzione è concentrato sulla scoperta di generalizzazioni e
sulla costruzione di teorie>> (in Causation in the law).
Si è anche detto che il concetto di causalità non è univoco, ma muta al variare del punto
di vista di volta in volta prescelto da chi ha interesse ad accertare rapporti di causa ed
effetto tra determinati fenomeni.
L’ottica nella quale si muove lo studioso di scienze naturali è diversa da quella del
giurista o del giudice, essendo differenti nell'uno e nell'altro caso gli scopi che
giustificano l’indagine. Tale differenza di punti di vista non può non condizionare il
rispettivo approccio al problema della causalità. Ciò è tanto più vero se si tiene conto
della evoluzione delle scienze fisiche che hanno messo in crisi il tradizionale principio
causale (si pensi alla meccanica dei quanti, alla teoria della relatività), sono infatti
difficilmente utilizzabili in sede giudiziaria per la ragione che sono stati conseguiti
mediante indagini di laboratorio, mentre nel processo penale il giudice affronta processi
53
e fenomeni della vita sociale che si iscrivono in una logica più ampia dei fenomeni
naturali strettamente intesi.8
Se il concetto in esame viene di volta in volta plasmato in funzione dello specifico
interesse perseguito, ne deriva che, ad esempio, nel determinare il concetto di causalità
penalmente rilevante, non potrà farsi a meno di prendere le mosse dalle esigenze e
finalità proprie della espressione penale, abbandonando dunque l’idea che esista un’idea
di causalità valida per tutti i settori. Così di fronte al verificarsi di un evento lesivo
corrispondente ad una figura criminosa, emerge l’esigenza di riconnettere tale evento
(effetto) alla condotta (causa) di un determinato soggetto in modo da attribuirgli la
responsabilità di averlo provocato. Da questo punto di vista la causalità funge da criterio
di imputazione del fatto al soggetto: l’esistenza di un rapporto causale tra condotta ed
evento comprova infatti che non solo l’azione ma lo stesso risultato esterno richiesto
dalla fattispecie incriminatrice (ad es. la morte di un uomo nel caso di un omicidio) è
opera dell’agente.
Poiché l’ottica del giurista è quella del giudizio di responsabilità, si comprende come sul
terreno giuridico vi sia l’uso di modelli di spiegazione causale meglio atti a dar conto
dell’influenza dell’operare umano sulla dinamica degli accadimenti.9
La formulazione tradizionale secondo cui è causa ogni condizione dell’evento, ogni
antecedente senza il quale l’evento non si sarebbe verificato, di solito viene denominata
“teoria dell’equivalenza” in quanto essa parifica l’efficacia eziologica di tutti gli
antecedenti necessari alla produzione dell’evento: da questo punto di vista affinché la
condotta umana funga da causa, basta che essa integri una delle condizioni che
conducono al risultato preso in considerazione dalla norma. Al fine di accertare il nesso
di condizionamento, il criterio cui si ricorre è quello usualmente definito “procedimento
8
Per la tesi della perfetta identità tra il concetto giuridico di causalità e quello proprio delle
scienze naturali, e più in genere per i problemi metodologici connessi al rapporto fra scienze
naturali e scienza giuridica, di recente, Villa, Teoria della scienza giuridica e teorie delle
scienze naturali, Milano, 1984
9
Il codice penale contiene una disciplina espressa del rapporto causale (artt.40 e 41 c.p.),
che l’evento lesivo debba, per poter essere attribuito all’agente, rappresentare una
conseguenza della condotta tipica, è un “assunto così ovvio”, che nessuno oserebbe
contestarlo quale che sia l’ottica causale prescelta. Il problema sorge invece al momento di
individuare i criteri atti a stabilire le condizioni in presenza delle quali è corretto asserire che
sussiste il richiesto nesso di condizionamento. AA.VV., Metodologia e problemi
fondamentali della riforma del codice penale, Napoli, 1981.
54
di eliminazione mentale”, cioè un’azione è condicio sine qua non di un evento, se non
può essere mentalmente eliminata senza che l’evento stesso venga meno.
Tuttavia tale formula è criticabile in quanto non spiega perché, in assenza dell’azione,
l’evento non si sarebbe verificato, visto che proprio il ricorso al metodo
dell’eliminazione mentale presuppone che il soggetto giudicante sappia in anticipo se
sussistano rapporti di derivazione tra antecedenti e conseguenti di un certo tipo.
La prima correzione, dunque, da apportare a tale formula sarebbe quella di rendere
esplicito il fondamento sul quale poggia il procedimento di eliminazione mentale ma, è
qui il limite dell’assunto giuridico, il giudice a differenza dello scienziato non deve
preoccuparsi di accertare successioni regolari tra fenomeni concepiti come accadimenti
ripetibili. Al massimo il giudice avrà interesse a spiegare la causa di un evento singolo
particolare che si verifica hic et nunc per effetto di un’azione altrettanto unica ed
irripetibile: proprio perché finalizzato a rinvenire gli antecedenti di un singolo fatto
considerato in tutta la sua concretezza, come facente parte di un contesto di eventi unici
e particolari; il metodo di spiegazione causale tipico del diritto (anche della storiografia)
andrebbe definito “individualizzante”.10
Contro una tale impostazione si possono avanzare obiezioni. A ben vedere il fatto che A
sia la causa di B, quando B accade soltanto una volta, è nel migliore dei casi, solo una
descrizione di quella sequenza di eventi. E’ una spiegazione ad hoc che non può essere
né confermata né confutata, poiché non possono esserci altri casi che la confermino o la
infirmino.
Per prospettare una spiegazione causale realmente dotata di validità, anche il giudice e lo
storico, comunque si trovano costretti a far uso di qualche generalizzazione diretta ad
evidenziare tratti in comune tra l’evento da spiegare e una classe di eventi simili. Da
questo punto di vista, le spiegazioni prospettabili nella storiografia e nel diritto finiscono
per possedere la medesima struttura logica di quelle adottate nell’ambito delle scienze
naturali.
L’impiego da parte del giudice del modello causale condizionalistico (un’azione può
essere considerata come condizione necessaria soltanto se rientra nel novero di quelle
10
Sul punto vasta panoramica giurisprudenziale fatta da F. Bonafede, Il rapporto di
causalità materiale, Torino, 1984.
Ed anche P. Rossi, Lo storicismo tedesco
contemporaneo, Torino, 1956.
55
azioni che, sulla base di una successione regolare conforme ad una legge dotata di
validità scientifica, producono eventi del tipo di quello verificatosi in concreto)
l’impiego di tale modello presuppone che il giudice possa disporre di conoscenze
nomologiche adeguate ai fini di un accertamento scientificamente valido del nesso di
causalità.
La concezione della causalità come teoria “condizionalistica” esprime un punto di vista.
Come è possibile in genere una spiegazione causale di un fatto individuale poiché già
una descrizione anche della più piccola sezione di realtà non può mai essere esaustiva?
56
2.4. Il concetto sociologico di efficacia
Nei paragrafi successivi si proverà a tracciare un profilo del concetto di efficacia,
oggetto di considerazioni della sociologia del diritto.
Con il proliferare dell’attività legislativa, la Sociologia del Diritto ha spostato il
proprio interesse dallo studio delle problematiche relative all’origine delle norme
giuridiche, all’accertamento degli effetti e della verifica dell’efficacia delle leggi
emanate.
Tale interesse si è rivolto principalmente alla law in action, cioè al tentativo di
chiarire se e in che misura le norme siano osservate dai destinatari e siano applicate
dall’apparato giuridico. Ciò che è stato definito come descrizione di azioni o di
posizioni giuridiche, relative alla norma.10
Il problema prioritario è appunto se una norma, di cui sia stata affermata la validità,
sia anche efficace. Ci si chiede, infatti, se un divieto di legge sia anche di fatto
osservato dalla gente o se in caso di inottemperanza sia fatto valere dai tribunali.11
Occorre preliminarmente chiarire che sebbene i giuristi e i teorici del diritto si
occupano principalmente di validità di norme e i sociologi di efficacia delle norme,
in realtà anche i sociologi fanno affermazioni sulla validità e i teorici guardano anche
all’efficacia. Spesso chi parla di validità delle norme, intende riferirsi alla loro
efficacia.
Abbiamo già visto la variante specificamente giuridica dell’efficacia (per cui efficace
si dice ad es. di un accordo quando è valido, quando sono adempiute le condizioni
istitutive; mentre è inefficace quando in senso giuridico gli accordi, pur producendo
10
Ciò che si cela dietro questa definizione è il tentativo di accertare se una azione disciplinata giuridicamente sia o non
sia effettivamente eseguita. Ovvero ci si astiene effettivamente dall’azione proibita? L’azione prescritta viene eseguita?
Le autorizzazioni sono esercitate? Ciò che si intende dire può essere chiarito sull’esempio della struttura delle norme
penali. Nelle norme del diritto penale, di solito, al verificarsi di una fattispecie (A) si collega l’ordine che il giudice
debba disporre una più o meno determinata conseguenza giuridica O (B). Alla base di questa norma penale, c’è un’altra
norma, nella quale è vietato il comportamento A. Ora le domande cui occorre dare una risposta empirica sono: se A
sussista nonostante il divieto; se, posto che sia compiuto A, venga effettivamente disposto anche B, ovvero si realizzi la
conseguenza giuridica prescritta – sanzione.
Per rispondere a questa domanda, i sociologi si servono di determinati elementi delle norme giuridiche, ossia delle parti
descrittive A e B. Quando ci riferiamo a delle norme, ci riferiamo ai loro elementi utilizzabili sul piano descrittivo (non
si dirà mai che x è un dirigente eccezionale, ma la questione sarà piuttosto se, le condizioni che qualcuno deve avere
adempiuto per ottenere una certa posizione giuridica, siano operazionabili a livello empirico, cioè verificabili
intersoggettivamente. Neil MacCormick; Hubert Rottleuthner.
11
Questa domande sono alla base della distinzione operata dai realisti del diritto americani, tra law in the books e law in
action.
57
effetti causali non recano con sé effetti giuridici) e proveremo ora a tracciare una
variante empirico-causale della efficacia.
Kelsen ha sottolineato la dicotomia di validità ed efficacia.
Il rapporto tra validità ed efficacia può risultare dal fatto che una certa misura di
efficacia è posta come condizione per la validità di una norma12. La norma
fondamentale di Kelsen contiene una ulteriore condizione per la validità di un intero
ordinamento giuridico: che essa sia stata effettivamente statuita. Cioè se una
costituzione è effettivamente statuita, e se è efficace – ossia <<le norme prodotte in
conformità alle sue disposizioni sono a grandi linee applicate e osservate>> - allora
ci si deve comportare in modo conforme alla costituzione, all’ordinamento giuridico,
cioè <<l’ordinamento giuridico è in vigore>>13. Kelsen ha più volte asserito che
fissazione effettiva ed efficacia non sono il motivo della validità, bensì condizioni di
validità <<il fondamento della validità di una norma può essere solo la validità di
un’altra norma>>. Comunque Kelsen parla già di una norma vigente anche prima
che esista un singolo caso di applicazione ed osservanza della stessa, poiché la
fissazione è sufficiente! La mancanza di efficacia, in seguito, può confutare la
precedente presunzione di validità. Qui si pone, però, il problema di indicare in quale
misura debbano essere efficaci le norme, affinché si possa attribuire loro validità. O
meglio quale grado di inefficacia deve essere raggiunto, per negare la validità di una
norma e chi giudica in proposito?
Partendo dal concetto di legalità e dai diritti individuali naturali, Habermas ha così
spiegato la “modalità di validità” che attiene al diritto.
12
..“Poiché la validità della norma è un dover essere (Sollen) non un essere, la validità della norma deve essere
distinta anche dalla sua efficacia, ossia dal fatto, che rientra nella sfera dell’essere, di essere effettivamente applicata e
osservata, dal fatto che si verifichi in concreto un comportamento umano conforme alla norma.
Dire che una norma è valida significa qualcosa di diverso dal fatto di essere effettivamente applicata e osservata;
sebbene tra validità ed efficacia vi possa essere un certo rapporto. Una norma giuridica viene considerata
oggettivamente valida solo quando il comportamento umano da essa regolato le è effettivamente conforme, almeno in
certa misura. Una norma non applicata né osservata in alcun tempo e in alcun luogo, ovvero una norma che – come si
suol dire – non sia in certa misura efficace, non è considerata una norma giuridica valida. Un minimo di cosiddetta
efficacia è condizione per la sua validità”. H. Kelsen, Eine Grundlegung der Rechtssoziologie, in “Archiv fur
Sozialwissenschaft und Sozialpolitik, XXXIX.
13
L. Nelson: “ … Il fondamento della validità di una legge, se mai ve n’è uno, può consistere solo in una altra legge e
mai in una volontà”. Si cerca talvolta di chiarire la differenza tra fondamento di validità e condizione di validità
attraverso l’impiego di formulazioni di <perché> e di <se>. “Le norme di un ordinamento giuridico positivo sono in
vigore perché la norma fondamentale, che costituisce la regola fondamentale per la loro produzione, viene presupposta
come valida, e non perché esse stesse sono efficaci, ma esse sono vigenti solo se, cioè solo finché, questo ordinamento
giuridico è efficace.
58
Il passaggio dal diritto naturale al diritto positivo ha fatto sì, che l’uso della forza,
monopolizzata dallo Stato, e non più messa in atto direttamente dagli individui, si
trasformasse in una facoltà alla azione giudiziaria.
Mentre nelle istituzioni arcaiche la fattualità e validità giuridica erano sottratte ad
ogni discussione dal potere coercitivo, ora nella dimensione della validità giuridica,
la fattualità e la validità si intrecciano. Ossia la fattualità dell’imposizione statale del
diritto si interseca con la forza legittimante del procedimento, di produzione
giuridica, che garantisce libertà.
Questo rapporto fattualità/validità appare come il nesso interno stabilito dal diritto tra
coercizione e libertà. Ossia la coercizione autorizzata dal diritto si giustifica in
quanto posta a tutela della libertà di ciascuno contro ogni violazione della libertà
medesima.
La validità del diritto finisce dunque per essere espressione di un “accordo” tra il
libero arbitrio di ciascuno. Come diceva Kant la legalità del comportamento, intesa
quale <<puro accordo di un’azione con la legge>>, può anche essere ottenuta tramite
coercizione.
Le regole giuridiche dunque stabiliscono le condizioni coercitive <<per mezzo delle
quali l’arbitrio dell’uno può accordarsi con l’arbitrio di un altro, secondo una legge
universale della libertà>>.
Tuttavia l’integrazione sociale data dall’unione dell’arbitrio di tutti, è possibile solo
sulla base di regole normative valide, ossia di regole riconosciute dai destinatari della
norma stessa.
Il paradosso dato da regole coercitive che necessitano di riconoscimento, viene
risolto da Kant con il concetto di legalità. Nel dualismo coercizione /libertà della
validità giuridica, viene definito “diritto” tutto ciò che trae forza giuridica dalla
correttezza delle procedure di statuizione.
La validità sociale delle norme giuridiche è determinata dalla misura in cui esse si
impongono e dalla accettazione che ne fanno gli individui.
La legittimità delle leggi dipende dal fatto di essere formate attraverso un
procedimento legislativo razionale. La legittimità di una regola è dunque
indipendente dalla sua fattuale imposizione nella realtà.
Questo duplice riferirsi della validità giuridica, alla fattualità commisurata
all’osservanza delle norme, da un lato, e alla legittimità della pretesa di
59
riconoscimento normativo, dall’altra, lascia ai consociati la libertà di assumere un
atteggiamento ora oggettivante, ora performativo nei confronti della medesima
norma. A seconda di quale prospettiva si sceglie, la norma si collegherà altrimenti
alla situazione.
Ora la caratteristica della norma giuridica sta proprio nel fatto che la sua validità
ideale garantisce, sia la legalità di comportamento, ossia l’obbedienza (coercibile
mediante sanzioni), sia la legittimità della regola.
Per spiegare il formarsi ed il perdurare dei modelli di comportamento, Durkheim
ipotizzò un orientamento ed un consenso sui valori, intersoggettivamente
riconosciuti, da parte degli interessati. Senza tuttavia spiegare come gli attori
possano essere obbligati dalle norme e realizzare i corrispondenti valori. Ciò che
Parsons chiama processo di interiorizzazione, cioè i destinatari della norma saranno
sufficientemente motivati ad obbedire solo se avranno interiorizzato i valori che le
norme stesse incarnano.
La tesi di Habermas è che le norme giuridiche e le norme morali, dopo essersi
simultaneamente differenziate dall’eticità tradizionale, si sviluppino parallelamente
come due tipi di norme d’azione diverse e tuttavia capaci di integrarsi a vicenda.
L’indeterminatezza cognitiva viene assorbita dalla attualità della produzione
giuridica. È il legislatore che decide quali norme debbano valere come legge, e sono i
tribunali ad applicare ed interpretare norme valide. In tal modo il sistema giuridico
toglie agli individui, destinatari delle norme, il potere di definire criteri per stabilire il
giusto e l’ingiusto.
Orbene lo studio dell’efficacia non si limita ad accertare se, e in che misura, una
norma sia osservata, applicata, eseguita, ma piuttosto si chiede perchè delle norme
siano rispettivamente efficaci o inefficaci, ed analizza non solo le condizioni
dell’efficacia, ma anche gli effetti di un comportamento conforme o non conforme, ai
diversi livelli dell’osservanza, dell’applicazione e dell’esecuzione.
Interrogarsi sulle condizioni dell’efficacia, significa ricercare una teoria del
comportamento conforme o deviante (si sono sviluppate molte teorie sulla
criminalità, al fine di spiegare fenomeni di comportamento deviante), ma dallo studio
dell’efficacia dovremmo aspettarci una teoria generale che consenta di spiegare sia il
comportamento conforme, sia quello deviante.
60
La emanazione delle norme può essere intesa come una condizione necessaria
affinché le medesime norme possano essere osservate o violate, tuttavia tra una
norma e la loro osservanza non sussiste una relazione causale, ma al massimo una
“corrispondenza”, e la circostanza che un comportamento corrisponda ad una norma
non significa ancora che tale norma sia efficace. Secondo Geiger infatti agire in
effettivo accordo con la norma non significa necessariamente osservare la norma14.
Così come una rilevante devianza dalla norma non dimostra che la legge sia stata
ininfluente, né l’osservanza delle prescrizioni rappresenta una prova sicura
dell’efficacia della legge.15
Una teoria dell’efficacia dovrà avere come oggetto oltre al comportamento degli
individui anche quello dell’apparato giudiziario, l’applicazione, l’esecuzione o non,
da parte degli organi competenti. Una siffatta teoria dovrebbe spiegare come si
giunge a determinati modi di comportamento, ma anche consentire delle previsioni.
Diventa
dunque
fondamentale
analizzare
e
comprendere
gli
effetti
del
comportamento conforme o deviante e dell’uso del diritto a tutti i livelli. La
distinzione tra l’ottemperanza ad una norma e l’effetto di tale ottemperanza è molto
importante per constatare l’efficienza di una legge, non basta infatti individuare la
misura in cui la norma è osservata, spesso la stessa osservanza costituisce solo una
condizione necessaria affinché si attuino gli obiettivi auspicati dal legislatore. Ad
esempio una legge che regoli l’eccesso di velocità in strada non ha come obiettivo
che la gente non viaggi ad alte velocità, ma lo scopo sarà piuttosto la sicurezza nel
traffico stradale, che si potrebbe misurare non tanto con l’ottemperanza al limite di
velocità posto, ma con il numero di incidenti e feriti in un certo arco temporale. Così
ancora nell’ambito dell’istruzione, non è certo l’osservanza dei programmi didattici
lo scopo ultimo del legislatore, quanto il raggiungimento del livello di istruzione
prefissato.
14
T. Geiger, distingue tra una proposizione di norma meramente dichiarativa ed norma proclamativa con cui viene
creata una norma che prima non esisteva. Geiger usa l’espressione “proposizione di norma” per designare ciò che altri
chiamano “formulazione di norma”. (Rottleuthner; Kutschera; Wright ). Kelsen parla, nel caso di norme giuridiche, di
proposizioni di diritto; ma per “proposizioni di diritto” intendeva, già nella sua controversia con Ehrlich, appunto
formulazioni codificate di norme giuridiche.
15
Vilhelm Aubert nell’immediato dopoguerra analizzò gli effetti sociali della legislazione sul controllo dei prezzi e
successivamente quelli sulla legge delle lavoratrici domestiche. In entrambe i contributi fu messo in luce che la legge in
certi casi “funziona perché i suoi fini espliciti sono realizzati, in altri gli obiettivi sono raggiunti solo in piccola parte o
per nulla affatto, ma l’istituzione continua ad esistere perché produce altre conseguenze che la tengono in vita (funzione
latente), in casi estremi <<le leggi disapplicate possono avere una funzione sociale che è quella di prevenire seri
conflitti fra parti ideologicamente in contrasto, facendo a ciascuna di esse delle concessioni, una parte essendo
soddisfatta della promulgazione della legge, l’altra della sua mancata applicazione.>>.
Vilhelm Aubert, Alcune funzioni sociali della legislazione, “Quaderni di sociologia”, 1965.
61
Posto allora che il sociologo precisa concetti di per sé tanto vaghi come “sicurezza
stradale” o “livello di istruzione”, diventa inevitabile inserire delle “valutazioni”
nelle ricerche sull’efficacia, cosicché lo studio sociologico dell’efficacia orienterà il
proprio interesse sulle “funzioni obiettive” delle azioni e sugli effetti anche non
intenzionali. Non si tratta solo di accertare che la norma sia stata ottemperata e che
gli effetti voluti dal legislatore o dall’apparato giuridico si siano realizzati, ma anche
di vedere se l’osservanza conduca a conseguenze di cui essi non avevano tenuto
conto16.
Così ad esempio le leggi di tutela in materia di diritto del lavoro, il rafforzamento
della tutela contro i licenziamenti, ha generato una minore fluttuazione delle
assunzioni, ed un aumento delle assunzioni “in nero”; così come le norme a tutela di
determinati gruppi di persone (disabili, donne incinte) hanno avuto come
conseguenza un aumento di difficoltà nell’assunzione di dette persone.
Tuttavia lo studio tradizionale dell’efficacia si è concentrato sul rapporto tra
divieti/prescrizioni/autorizzazione
delle
leggi,
loro
osservanza,
eventuale
applicazione del diritto in sede giudiziale ed esecuzione coercitiva.
Si potrebbe illustrare tale studio tradizionale con il seguente schema:
_________ corrispondenza_________

Formulazione
di norma da
parte del
legislatore o
dell’apparato
giuridico
Effetti colla
obiettivi auspicati

→
T
1
→→
Osservanza/non
→
osservanza, uso
del diritto
Destinatari:
- legislatore
- apparato
giuridico
- consociati
→T2
Effetti
dell’osservanza/non
osservanza, dell’uso del
diritto
effetti collaterali
- indesiderati
- non intenzionali
T1: Teoria che contiene le condizioni del comportamento conforme/deviante e dell’uso del diritto.
T2: Teoria sugli effetti del comportamento conforme/deviante e dell’uso del diritto (Rottleuthner).
16
Un esempio quasi divertente è stato il Sex Discrimination Act, inglese, secondo il quale gli annunci di offerte di
lavoro non potevano essere pubblicati specificando il sesso. Pertanto in osservanza rigorosa a tale prescrizione, una
impresa di costruzioni pubblicò questo annuncio: “In omaggio alla legge per la parità dei diritti tutti i posti liberi di
muratore saranno ora disponibili in egual modo a uomini e donne. Gli aspiranti dovranno avere una circonferenza
toracica di almeno 38 pollici (cm. 96,25 ) ed essere disposti d’estate a spogliarsi fino alla vita”.
62
È importante, preliminarmente, fare alcune distinzioni al fine di meglio interpretare
le differenze tra la validità e l’efficacia.
Quando si dice <<la norma x è in vigore>> , si potrebbe intendere che sono state
adempiute le condizioni di validità (concetto tecnico giuridico di validità); o che la
norma deve essere applicata ed osservata, o ancora che la norma viene di fatto
applicata/osservata (concetto ontologico di validità). In realtà con gli enunciati
linguistici possiamo fare cose estremamente diverse. Se diciamo: “è proibito
viaggiare in autostrada ad una velocità maggiore di 130 km/h”, dalla sola frase non
possiamo arguire come essa vada intesa. È importante allora la distinzione tra un
impiego informativo ed uno imperativo, ossia tra proposizioni di norma giuridica,
nel primo caso e formulazioni di norma giuridica, nel secondo caso.
Con
formulazioni di norma intendiamo ciò che si enuncia quando si ordina, si vieta, si
concede, si dà in facoltà ecc., che tuttavia non va confuso con il fatto dell’enunciare
(anche Kelsen distingueva tra atto volitivo che pone la norma e senso di questo atto
volitivo). Con le formulazioni di norme non si descrive nulla, né si esprime alcuna
circostanza di fatto normativa in qualche modo esistente (con la frase la neve è
bianca, si può descrivere la circostanza di fatto che la neve è bianca), le formulazioni
di norme non sono capaci di verità. Geiger distingue tra una proposizione di norma
meramente dichiarativa ed una proclamativa con cui viene creata una norma che
prima non esisteva. Geiger usa l’espressione “proposizione di norma per designare
ciò che altri chiamano “formulazioni di norma”. Con la proposizione di norma si
vuole informare sulla situazione del diritto. Con essa si afferma che una norma
giuridica è in vigore, nel senso che determinate condizioni sono adempiute da colui
che enuncia la norma stessa. In tal senso queste proposizioni sono capaci di verità.
Sono vere, quando la norma giuridica affermata esiste, ossia è vigente17.
Tuttavia proposizioni e formulazioni di norme solo di rado si possono identificare in
base alle espressioni in esse usate, queste vengono distinte in base alle espressioni in
esse usate; si distinguono quanto alla loro funzione allocutiva, per usare il termine di
Austin; ossia riguardo alla funzione che un enunciato ha convenzionalmente,
riguardo a ciò che si fa con un enunciato. Per individuare, nel caso concreto, se si
tratti di una proposizione o di una formulazione di norma, si dovrà considerare il
“contesto” di un enunciato. Ciò potrebbe riferirsi alla situazione e a coloro che vi
17
Kelsen parla, nel caso di norme giuridiche, di “ proposizioni di diritto” intendendo appunto formulazioni codificate
di norme giuridiche.
63
sono interessati. Ross fa riferimento al ruolo di colui che fa l’enunciazione, a cui si
potrebbe aggiungere la natura delle relazioni tra gli interagenti. Infatti di fronte a
colui che infrange la norma vi è differenza se la frase: “qui è vietato parcheggiare”,
viene pronunciata da un poliziotto o da un amico18. Nel contesto generale rientra
anche il contesto linguistico, ossia le frasi che seguono o eventualmente precedono
l’affermazione in questione.
Talvolta il senso di come vada intesa la frase, risulta dalla frase stessa, Austin parla
di enunciati esplicitamente performativi. Si tratta di enunciati in cui vengono usati
determinati verbi che rendono esplicita la funzione allocutiva dell’enunciato ( verbi
come prometto, giuro, vieto di.., concedo di.. ). Austin definisce “allocutiva” la
funzione che un enunciato ha di consueto (informare, descrivere, constatare, pregare,
ordinare); usa invece il termine
“perlocutiva” riferendosi agli effetti che un
enunciato ha sul destinatario. Ebbene con una proposizione di norma si può
informare qualcuno sulla situazione del diritto, ma se questi poi ne venga
effettivamente portato a conoscenza, dipende da altri numerosi fattori, oltre che dalla
enunciazione della proposizione. Con una formulazione di norma posso prescrivere,
vietare, permettere a qualcuno un determinato comportamento, ma se ciò lo induca
effettivamente a comportamenti conformi alla norma, resta questione tuttora aperta.
E appunto queste connessioni empiriche esistenti tra la formulazione, la fissazione di
una norma giuridica e la sua osservanza effettiva, costituiscono il problema
dell’efficacia del diritto. L’essere informati sulla situazione del diritto, in quanto
risultato
dell’enunciazione
di
una
proposizione
di
norma,
non
induce
necessariamente a comportamenti conformi. Il punto centrale dell’osservazione si
sposta così sull’aspetto perlocutivo degli enunciati: quali effetti essi provochino nel
destinatario, nelle sue azioni e nelle sue idee.
Geiger si è occupato della questione se le idee sull’obbligatorietà di una norma il
contenuto delle idee, siano semplicemente delle riflessioni metafisiche o se invece a
queste idee corrisponda davvero qualcosa di reale. Egli si chiede quale sia il
contenuto di realtà dell’idea di una norma vincolante, ed adotta la formula: (s→g)v
per rappresentare una norma vincolante (dove s = situazione tipica della norma, g =
comportamento), adottando tale formula il contenuto di realtà non può consistere
18
Ross distingue tre categorie: 1) comando d’autorità (formulazione di norma); 2) information about the existence of a
certain regulation (proposizione di norma), che però si riduce ad asserzioni sull’atteggiamento dell’apparato giuridico e
soprattutto dei giudici; 3) esortazioni disinteressate, nelle quali chi enuncia non ha alcun interesse all’osservanza della
norma, ma la enuncia solo per rispetto verso la norma come tale.
64
soltanto nel fatto che nella situazione tipica della norma si mostri di fatto il
comportamento: s→g. Se infatti si mostrasse un comportamento deviante g̅ , ciò
farebbe diventare la norma non vincolante. Ma l’inosservanza della norma non
annulla la sua obbligatorietà. Se si verifica g̅ , allora il contenuto di realtà della norma
potrebbe consistere nel subentrare di una reazione (r). Geiger quindi interpreta
l’obbligatorietà (v) di una norma con il riferimento ad un concreto effetto alternativo.
v= s →│ g
dove A = l’agente rispetto ad altri imprecisati
Ac = l’agente A deviante
Ώ = i gruppi che sanzionano
Tuttavia un comportamento deviante g̅ non sempre è seguito dalla sanzione (r), ciò
perché g̅ potrebbe non essere scoperto, o il deviante potrebbe sottrarsi al
procedimento, o l’apparato giuridico potrebbe non essere interessato ad un
procedimento punitivo. In tal caso si dovrà modificare v: una morma può essere più
omeno vincolante. Il carattere vincolante di una norma sarebbe una grandezza
misurabile, ossia come “intensità” della norma.
La norma in ogni caso è vincolante in grado limitato sul piano numerico.
Con l’introduzione di questo concetto comparativo o meglio quantitativo di
obbligatorietà, Geiger lascia l’uso linguistico dei giuristi. I giuristi infatti usano un
concetto nominale (qualificativo, classificatorio) di obbligatorietà o validità: una
norma vige o no vige; deve essere osservata oppure no; ma non può essere più o
meno adempiuta, magari all’80%.
Geiger non esplica in tal modo il concetto
giuridico di obbligatorietà ma fornisce al giurista e al teorico del diritto informazioni
sulla misura in cui realizzata una delle condizioni di validità, ossia l’efficacia della
norma. Tuttavia con questo non si è ancora risposto alla domanda sul perdurare del
vigore della norma. Rimane infatti da stabilire quale sia il limite oltre il quale una
norma vada considerata tanto inefficace da poter essere trattata ( bisognerà stabilire
poi da chi) come non più vigente.
La proposta di Geiger di un concetto comparativo di obbligatorietà potrebbe non
essere soddisfacente per il giurista ma appare utile per il sociologo del diritto che
studia l’efficacia. Geiger infatti definisce l’obbligatorietà di una norma come.
65
v = e/s
dove e = quoziente di efficacia; s = il numero complessivo di casi in cui
i destinatari della norma si trovano attualmente in situazioni tipiche delle norma. Il
quoziente di efficacia (e) si calcola secondo Geiger cosi:
e = (s→bg) +[(s→cg̅ ) → r]
dove b designa il numero di comportamenti conformi
(g), c il numero di comportamenti non conformi (g̅ ).
Una delle obiezioni che è stata mossa alla concezione di Geiger è ad esempio il fatto
che le norme sono sempre formulate da Geiger come prescrizioni, per cui la sua
formula (s→g)v corrisponde a quella logica delle norme A → O(B). Per cui
“autorizzazione” per Geiger è mancanza di una norma. Ma in tal modo come si
determinerebbe l’efficacia dei divieti? Probabilmente in Geiger un divieto avrebbe la
seguente formula (s→g̅)v; ma allora g sarebbe l’infrazione del divieto. E tuttavia
come accerto quando spesso si verifichi g̅ ? oppure limitandosi a prescrizioni: quante
volte io oggi ho eseguito l’azione prescritta ( non rubare)? Quante volte sarebbe b in
questo caso? Secondo gli oppositori di Geiger, egli lascerebbe nel vago che cosa si
debba intendere per “situazione tipica della norma” (s), poiché secondo Geiger
formulerebbe le norme in linea di massima come prescrizioni condizionali. Nella
situazione s (ovvero alla condizione che sussistano le caratteristiche della situazione
s ) è prescritto g, ma quale sarebbe la situazione “tipica” della norma che prescrive di
non rubare? Forse la situazione in cui qualcuno ha già concepito il proposito di
rubare qualcosa e poi vi ha rinunciato?
In buona sostanza la possibilità di
individuare quanto spesso si agisca o ci si astenga dall’agire, dipende dalla
possibilità di determinare s. E così s entra nel calcolo di v.
In tal modo il problema che si pone è che solo le norme giuridiche destinate
all’apparato giuridico hanno la struttura esplicita di norme condizionali, mentre
saranno escluse le norme destinate ai consociati (che sono alla base) delle norme di
diritto penale.
Come viene allora calcolato il quoziente di efficacia? Nella seguente formula:
e = (s→bg) +[(s→cg̅ ) → r] le frecce vanno interpretate come indicazioni di calcolo,
addizionando b+c, si otterrebbe sempre la cifra che esprime s (qui Geiger presuppone
che vi siano solo comportamenti conformi e non conformi, e non invece
comportamenti più o meno conformi!), forse andrebbero piuttosto addizionati b e la
cifra delle reazioni verificatesi, che viene indicata con d. Ad esempio:
66
100 s → | →80g
|→20 g̅ → 15 r
b = 80
c = 20
d = 15
Per mezzo del numero di s si standardizza v, di modo che v oscillerà tra 0 e 1.
Nel nostro caso: v = e/s = 95/100.
Geiger comprende in e l’efficacia di due
norme. Egli dapprima parla di “nucleo della norma” (s→g)v, e della norma in cui
rientra la reeazione ® in caso di g̅ . Poi egli distingue tra norme di azione e norme di
reazione, ma l’addizione dell’efficacia delle due norme conduce a un’interpretazione
errata. Se infatti all’esempio di calcolo fatto sopra contrapponiamo il seguente:
100 s → | → 50 g
|→ 50 g̅ → 48 r
e = 98, v = 98/100
risulta bensì, sul piano del calcolo un più alto grado di
obbligatorietà. Ma forse ciò corrisponde propriamente al nostro modo di intendere
l’efficacia di una norma. In questi esempi infatti è presente in misura notevole la
reazione contro i comportamenti devianti, ma l’osservanza della norma di azione è
piuttosto scarsa.
Secondo Kelsen il caso ideale di efficacia è quello in cui la norma non ha affatto
bisogno di essere applicata dall’autorità giudiziaria.
Con le variabili s e g, g e r, come anche con la loro negazione si possono formare otto
combinazioni non tutte considerate da Geiger. Combinando infatti, sarebbero
possibili: s →g = efficacia della norma di azione;
s → g̅ = inefficacia della norma di azione;
s̄ → g = iperconformità
s̄ → g̅ = efficacia della norma di azione;
s → r = giudizio errato;
g̅ → r = efficacia della norma di reazione;
g → ̅r = (corretto) non procedimento in caso di comportamento conforme;
g̅ → r̅ = inefficacia della norma di reazione (comportamenti devianti non rilevati,
scarsa intensità di procedimento, selettività, ecc).
67
Questo ultimo caso è preso in considerazione da Geiger nell’indicazione delle tre
possibilità:
s →[→ g
[→ ḡ → r
[→ ḡ → r̄ → r
L’ultima riga va interpretata nel senso che una istanza dell’apparato giuridico non
abbia comminato una sanzione e che ciò sia stato fatto successivamente da altra
istanza. Quindi come g è prescritto solo se sussiste s, così anche r è prescritta solo se
sussiste g. L’inosservanza di queste prescrizioni ha come conseguenza che s >g,
ḡ>r; ma può essere anche il fatto che a g segua una sanzione (illegale).
Il quoziente di efficacia proposto da Geiger ed il suo concetto quantitativo di
obbligatorietà, per quanto singolare, in realtà non hanno mai trovato impiego nella
ricerca sociologica del diritto, impossibile infatti determinare la struttura e l’efficacia
delle norme di diritto privato con il calcolo di Geiger.
19
. Dal tentativo di Geiger è
emerso chiaramente che l’efficacia può essere constatata in relazione al
comportamento di diversi gruppi. Infatti sono state definite efficaci norme
riconosciute o osservate in larga misura nella popolazione, tra i consociati. Ma sono
state considerate efficaci delle norme anche quando l’apparato giuridico sanziona in
larga misura il comportamento deviante, quindi quando applica le norme punitive
previste in tal caso. Tuttavia la mera applicazione di queste norme non è sufficiente:
sentenze giudiziarie, atti amministrativi ecc. devono essere anche eseguiti o attuati.
Diventa dunque importante distinguere i diversi livelli dei possibili destinatari della
norma, e precisare di volta in volta in base a cosa si misura l’efficacia ai diversi
livelli. Tenendo altresì conto delle differenze strutturali in singoli ambiti del diritto
(distinzione tra norme di diritto penale, privato, pubblico).
Nella questione dei destinatari delle norme giuridiche è sorta una certa confusione
terminologica, le varie espressioni sinonime si potrebbero così raggruppare al fine di
evitare usi linguistici impropri ed avere quindi più chiara la visione del problema
19
Sempre più spesso i sociologi del diritto vengono incaricati di indagare sull’efficacia di leggi, già esistenti o da poco
emanate. Così lo studio dell’efficacia diventa il più importante collegamento tra la sociologia del diritto e la prassi
legislativa. Tuttavia le leggi non vengono emanate solo per produrre degli effetti identificabili e auspicati. Le leggi, in
particolare quelle in materia di diritto penale, vengono emanate anche per la loro funzione simbolica, servono cioè alla
dichiarazione di fondamentali concezioni di valore, qualunque possa essere la loro efficacia. “La legge non è solo
strumento di guida dei processi sociali secondo le conoscenze e le prognosi sociologiche, è anche espressione
permanente di una valutazione etico-sociale e, di conseguenza, giuridica delle azioni umane; essa deve dire che cosa è
diritto e che cosa è contro il diritto per il singolo”. T. Eckhoff – N.K. Sundby, The Notion Basic Norms in
Jurisprudence, in “Scandinavian Studies in Law., XIX (1975).
68
effettivo, ossia chi sono coloro in base al cui comportamento accertare l’efficacia di
un certo tipo di norma. Le norme che riguardano il comportamento dei consociati
vengono definite: norme di comportamento (Geiger); norme secondarie (Kelsen);
norme primarie (Blankenburg);
law of order and maintenance
(Malinowski);
norme di osservanza (Garrn).
I termini usati per designare le norme destinate all’apparato giuridico sono: norme di
decisione (Ehrlich); norme di reazione (Geiger); norme primarie (Kelsen); norme
secondarie (Blankenburg); law of correction, retribution, restitution, the mechanism
of law when breach occurs (Malinowski); norme di applicazione (Garrn).
L’efficacia delle norme è stata per lo più analizzata in riferimento alle norme di
diritto penale o comunque norme condizionali, nelle quali il realizzarsi delle
condizioni (ossia un comportamento contrario alla norma) deve comportare la
reazione dell’apparato giuridico. Ma tale schema sembrerebbe poco utile nell’ambito
del diritto privato, o comunque lo è solo nella misura in cui si tratti di divieti di legge
che comportino, per esempio, l’inefficacia di un accordo o riguardino
regolamentazioni del risarcimento dei danni. E verrebbe comunque tralasciato tutto
l’ambito dell’amministrazione delle prestazioni dove si cerca appunto, con
prestazioni positive, e non solo con sanzioni negative, di conseguire un obiettivo
auspicato, senza che debbano sussistere chiare condizioni come presupposto per tali
prestazioni.
In materia di diritto privato si potrebbe parlare di efficacia nella misura in cui viene
effettivamente fatto uso delle norme di regolamentazione (ad esempio quante volte
vengono conclusi validi contratti di vendita). Le regole del diritto privato infatti
contengono in gran parte esplicite autorizzazioni a stabilire determinate situazioni
giuridiche (concludere contratti, avere, acquistare e trasferire proprietà, regolare il
regime dei beni matrimoniali, dare disposizioni testamentarie, ecc.), consideriamo
che di queste esplicite autorizzazioni non è obbligatorio farne uso, ma se si vuole
fare uso occorre osservare determinate regole, realizzare determinati presupposti,
affinché abbia luogo la situazione giuridica desiderata. Queste sono quelle regole
istitutive che si riferiscono, per esempio, a come viene in essere un contratto valido,
come avviene un passaggio di proprietà, quali requisiti dovrà avere un valido
testamento. Quando la situazione giuridica desiderata è stabilita ciò comporta precise
conseguenze giuridiche che sono fissate in norme consequenziali (determinati diritti
di disporre della proprietà, obblighi di prestazione in negozi giuridici bilaterali ecc.).
69
Nel caso vi siano alternative di regolamentazione si dovrebbe allora confrontare
l’efficacia delle singole possibilità. In questi casi l’efficacia si potrebbe misurare a
seconda se gli accordi (qualora conclusi in modo valido) siano poi anche
effettivamente realizzati dagli interessati; o se in caso di mancato adempimento, tali
accordi siano attuati in via giudiziale; siamo così ritornati al livello dell’apparato
giuridico. Inoltre occorrerebbe tenere conto che nel diritto privato non si deve
necessariamente fare uso delle offerte legali di regolamentazione, poiché le
disposizioni di legge possono anche essere escluse da regolamentazioni di natura
autonomo-privata. E quindi ai fini della efficacia non si tratterrà di accertare solo se
vengono conclusi contratti d’acquisto conformi al codice e quanti, ma se e quante
regolamentazioni
del
codice
vengano
escluse.
L’efficacia
allora
delle
“regolamentazioni legali” potrebbe essere determinata dalla proporzione di esse
rispetto ad accordi che le escludono. Si potrebbe poi verificare l’efficacia degli
accordi autonomi-privati nel senso già noto, se cioè siano stati liberamente rispettati,
o in caso di necessità, possano essere attuati in via giudiziale. 20
20
Nella controversia Elsen/Kelsen, quest’ultimo ha sostenuto che solo i divieti o le prescrizioni possano dar luogo a
degli effetti, ma non le autorizzazioni. La salvaguardia di una determinata posizione giuridica, l’esclusione di regole,
non rappresenterebbe né violazione, né un’osservanza di norme giuridiche e non sarebbe perciò in alcun modo oggetto
della sociologia del diritto, che potrebbe occuparsi solo degli “effetti “ di norme giuridiche.
In realtà come sociologi non si potrà accettare tale limitazione, bensì si terrà in considerazione ogni comportamento che
possa configurarsi come corrispondente o non corrispondente alle norme di diritto.
70
2.4. Il contributo di Theodor GEIGER.
Il dibattito svolto in Italia in tema di copertura amministrativa, di inapplicabilità e
fattibilità amministrativa, delle leggi1 ha spinto alla ricerca di descrizioni empiriche,
nonché a formulare proposte operative, atte a superare la contemporanea situazione di
inefficienza degli apparati, speculare rispetto ad una produzione legislativa sconcertante
per la sua indifferenza all'esito delle prescrizioni che emana, e atta a non perdere di vista i
possibili modelli teorici di valutazione della situazione stessa. I sociologi del diritto, per
definizione competenti in tema di efficacia delle norme giuridiche, hanno in effetti poco
teorizzato in materia, presi, fino a Weber, da problemi di rapporto diritto-morale-comportamento individuale, e disattenti alla sempre più autonoma mediazione e interazione tra
legislazione, società, individui - degli apparati pubblici.
Tra i contributi più significativi a riguardo vanno menzionati quello di M. Weber in tema
di burocrazia e quello di T. Geiger in tema di effettività delle norme. Per quanto riguarda
l’efficacia del diritto, il problema non si pone esplicitamente in M.Weber, attento
principalmente, più che alle vicende microsociologiche del diritto, agli aspetti macrosociologici dell’agire sociale,2
alla modellistica .comportamentistica complessiva, alla
tipologia giuridica delle società globali, senza toccare i problemi della sociologia
sistematica del diritto,e della tipologia giuridica dei gruppi particolari 3. Il contributo
weberiano alla teoria sociologica del diritto sembra risentire in modo particolare
dell'impegno storiografico dello studioso, avversario degli schemi deterministico-evolutivi
e teso alla costruzione di concetti, tipi o-modelli socio-storici e di teorie della
trasformazione storica di lungo periodo4. Sulla base di questa premessa era quindi
improbabile che il rapporto tra le categorie dicotomiche della razionalità formale e
1
R. Bettini, “Il rapporto al Ministro per la Funzione pubblica della Commissione di studio per la fattibilità e
'applicabilità delle leggi”, in Riv. trim.di Scienza dell' Amministrazione, 1991-2.
2
“Come agire sociale empiricamente osservabile, razionare e riferito all’agente” .. (Weber, Economia e Società, I,
Milano,1961).
3
“Weber riduce ogni sociologia giuridica allo studio delle probabilità o chances del comportamento sociale, secondo un
sistema coerente di regole elaborate dai giuristi per un determinato tipo di società.” G. Gurvitch, Sociologia del diritto,
Milano, 1967
4
Sul punto la relazione di Schiera che ritiene tra l’altro Weber debitore ai giuristi “non solo in terna causalità e di logica
delle norme, ma addirittura per quanto concerne il nucleo stesso della sua innovazione: il tipo ideale” Convegno “Max
Weber 60 anni dopo”, 26-28/6/1980, Roma, Scuola di perfezionamento nelle scienze morali e sociali dell’Università in
collaborazione con il Goethe Institut di Roma.
71
materiale da un lato e della razionalità rispetto allo scopo e rispetto al valore dall'altro
venisse approfondito, con il risultato che ogni dinamismo veniva ad essere congelato in
effetti nella
idealtipicità della razionalità formale. A. Febbrajo a tal proposito ha
evidenziato tra l'altro la non coincidenza tra le due dicotomie5, trattate in parti diverse di
<.Economia e società>;
Rossi ha sottolineato come <sviluppo verso la razionalità e
acquisizione di un’autonomia fondata su di una tecnica specializzata vengono a
coincidere>; in altri termini l'interesse a proporre un diritto formale capace di combinare un
grado elevato di prevedibilità e calcolabilità delle decisioni con criteri rigorosamente
interni all'ordinamento giuridico ha interessato Weber. Tuttavia, secondo diversi critici, la
mancanza di un raccordo soddisfacentemente individuato e articolato tra razionalità
rispetto allo scopo, da un lato e razionalità formale dall'altro, ha fatto perdere a Weber una
occasione ideale per un'analisi dei problemi dell’efficacia del diritto che non si risolva nella
generale identificazione del diritto con il Sein (e cioè nel diritto normativisticamente e
positivisticamente inteso)6. Probabilmente Weber era giunto a tale identificazione
semplificata anche per il modo in cui il diritto pubblico tedesco (da Jellinek a Kelsen)
aveva trattato il tema della effettività del diritto: e cioè come problema della effettività
dell’ordinamento nel suo complesso (non delle singole norme) su cui fondare la validità del
diritto7. Ove è quindi l’ineffettività o l’inefficacia dell’ordinamento nel suo complesso che
può far perdere validità alle singole norme8 e mai l’inefficacia di queste a far perdere
effettività e validità a quello. Sta di fatto che comunque Weber non viene neppure attratto
dal problema della effettività del suo idealtipo di potere, mentre è chiaro che problemi di
efficacia od effettività che dir si voglia possono riguardare non solo il potere legale ma
5
A. Febbrajo ha sottolineato come “la razionalità formale non coincida con la razionalità rispetto allo scopo né con
quella rispetto al valore ma si situi come terza ipotesi tra queste due” ed a proposto di chiamarla “razionalità
condizionale” (cioè conforme a recenti disposizioni giuridiche).
6
Bobbio ricorda al riguardo la distinzione webweiana tra validità ideale e validità empirica della norma (che in Kelse è
contrapposizione tra Normativitat e Faktivitat).
7
Sulla effettività come principio o criterio in base a cui si considera legittimamente costituita la comunità politica cfr. P.
Piovani, “Effettività (principio di), in Enciclopedia del diritto, Milano,1965.
8
Ogni norma perde la sua validità quando l’ordinamento giuridico totale al quale essa appartiene perde, nel suo
complesso, la sua efficacia conditio sine qua non, ma non conditio per quam... l’efficacia dell'ordinamento giuridico
totale è condizione, non fondamento della validità delle norme che lo compongono. Il principio di legittimità è quindi
limitato dal principio di effettività. Kelsen, Teoria generale del diritto e dello Stato, Milano, 1952. L'effettività
riguarda cosi il tutto, e non le parti. Infarti in Kelsen “l’effettività contribuisce a liberare il precetto dalla immediata
dipendenza dalla volontà del legislatore inserendolo nella sistematicità. E la sistematicità cui si appella irnplicitamente
l’effettività non è solamente logica ma storica. Piovani. Sulla contraddizione con Kelsiana nel teorizzare, con il
principio di effettività (fondante la validità giuridica), il raccordo tra efficacia e validità, tra teoria puramente
sociologica e teoria puramente normativistica del diritto. G. Fasso, Storia della filosofia del diritto, III, Bologna, 1970.
72
anche quello carismatico e quello tradizionale9 insomma sotto questo primo profilo, quello
dell'efficacia del diritto, pur proponendoci stimolanti categorie d'analisi (razionalità rispetto
allo scopo, razionalità formale) Weber non approfondisce i modi della loro interazione, e
non ci è direttamente utile per la comprensione del fenomeno della inefficacia delle singole
norme sia come fenomeno in sé sia come sintomo della perdita di effettività
dell'ordinamento complessivo, negazione emergente della calcolabilità e prevedibilità della
decisione giuridica e amministrativa. Basandosi sull'idea della inevitabilità dell'autorità
<<legale>> e della giuridicità razionale-formale come fase idealtipica dello sviluppo
storico delle istituzioni, contrario ad ogni razionalità giuridica materiale di marca socialista,
Weber ha taciuto sugli impegni di razionalità <<rispetto allo scopo>> gravanti sul
legislativo10. Per quanto riguarda la <forma burocrazia> Weber sottolinea innanzitutto che
l'idealtipo burocratico ci appare come separato dalla società, quale strumento del potere
politico11 anche se in un contesto di democrazia di massa12. Il raccordo con la società, in
altri termini, gli viene indirettamente attraverso il suo collegamento appunto col legislativo.
Nello stesso tempo il legislativo è prospettato da Weber come ingabbiato nel principio di
legalità, più omogeneo alla burocrazia che alla società. C. Schmitt vedrà in questo un
processo storico di <<naturalizzazione politica>> e di <<svuotamento formalisticofunzionalistico>> dello stato13. Sta di fatto che si crea così una situazione di blocco: la
burocrazia non può darsi da sé la razionalità secondo lo scopo ma le deve provenire dal
9
<<Passando attraverso I'originaria esperienza internazionalistica e 1a successiva esperienza costituzionalistica al diritto
pubblico generale e alla teoria generale del diritto e dello stato, il principio di effettività si presenta, in ultima analisi,
come nuovo principio di legittimità dello stato contemporaneo. Lo stato contemporaneo infatti è tendenzialmente ostile
allo stesso concetto di legittimazione del proprio potere ed ambisce... ad emanciparsi dalla legittimazione “legale” non
meno che dalla 'carismatica' e dalla 'tradizionale'>> (Piovani. cit.).
In linea con tali osservazioni sono i riferimenti di P.P. Portinaro e C. Schmitt secondo i quali la legalità weberiana è un
principio antitetico della legittimità: <<la legittimità è il momento positivo, creativo, dinamico, la legalità è il momento
negativo, meccanico, statico dell'esistenza statale>>.
10
Nota A. Febbrajo che la razionalità formale è propria dei giuristi e degli operatori giuridici, mentre < il legislatore e
chi crea il diritto si orienta generalmente verso una razionalità rispetto allo scopo>. A. Febbrajo, Capitalismo, stato
moderno e diritto razionale formale.
11
<L'apparato amministrativo rappresenta l’impresa di un potere politico come ogni altra impresa nella sua
manifestazione esteriore> (Weber cit.)E' un'interessante osservazione che poi non ha sviluppi sul'versante della
comparazione apparati pubblici apparati privati.
12
La burocratizzazione è dovunque l'ombra indivisibile della avanzante democrazia di massa> (Weber, cit., I,).
13
II formalismo giuridico e I'applicazione burocratica del diritto, secondo Schiera, finiscono <per inaridire lo slancio
con cui il ceto dei giuristi (Juristen-stand) propugnato da Savigny aveva inseguito il sogno di sostituirsi allo stato nella
massima funzione politica: quella legislativa>. Ma in effetti c’è qui da chiedersi se non sia proprio i1 far perno sulla
professionalità dell'operatore del diritto, di un singolo ceto, insomma, per quanto culturalmente rappresentativo, a
pregiudicare ogni sortita verso la razionalità rispetto allo scopo. P.P.Portinaro, Convegno Roma 1980.
73
legislativo; ma questi a sua volta è sospinto verso la razionalità formale... In conclusione la
separatezza dalla società della burocrazia come apparato, mediato dal momento
parlamentare, è resa comunque insopportabile per il calo di responsabilità rispetto allo
scopo che soffoca il legislatore. Comunque la burocrazia è separata dalla società anche per
la mancala considerazione, da parte di Weber, della omogeneità culturale e organizzativa
della burocrazia stessa con l’analoga <<professionalità> del mondo <<privato> delle
organizzazioni complesse. La mancata attenzione ai problemi lavoristici e sindacali del
pubblico impiego chiude tra I'altro Weber nella sola preoccupazione della <<burocratizzazione>> come processo di degradazione delle libertà politico-sociali, con il risultato che
la burocrazia viene ad essere considerata o come macchina dalle prestazioni prevedibili, un
mezzo (astrattamente) razionale rispetto allo scopo14. Secondo i critici, in realtà sembra che
a Weber sfuggano i condizionamenti sociali della burocrazia, preso come è dalla classe
politica; egli non riesce a vedere la burocrazia15 come terminale della società secondo una
professionalità che si fa nella storia e nel gioco della diversità dei ceti professionali, e che
può resistere al comando politico non solo in termini di autonomia di competenze ma
anche in termini di contrattazione delle caratteristiche dei modi di espressione di queste.
Conclusivamente si può ammettere allora che uno dei maggiori contributi, quale è quello di
weber, sui rapporti tra efficacia del diritto ed apparati si risolve al positivo nella
individuazione di alcuni teoremi di fondo: quello del progressivo orientamento alla regalità
da parte dei sistemi giuridici, e quello della superiorità dei sistemi giuridici che consentono
la prevedibilità delle loro determinazioni16. Ma al negativo ne vengono inaccettabilmente
trascurati aspetti di verifica dei rapporti politica-burocrazia, risolti una volta per sempre in
formule idealtipiche. Se ne può inferire la connessione leggi inefficaci-positivismo
legalistico, non attrezzato concettualmente per il governo veramente razionale degli
14
<<In effetti le definizioni tipico-ideali di stato e burocrazia sono fondate sulla loro natura di mezzi. Sono mezzi
,razionali rispetto ad uno scopo che non ammette alternative sul piano storico-politico>> (Rusconi). Ma si tratta pur
sempre di una razionalità astratta, direi a sua volta idealtipica.
15
Organizzazione burocratica- formale tendenzialmente totalizzante, che defrauda I'individuo della sua razionalità per
costituirsi, in nome dell’efficienza in “gabbia d'acciaio” (Ferrarotti). Ma a parte il rapporto con una razionalità
individuale (preoccupazione tradizionale di tipo liberale) quello che qui interessa è proprio la consistenza effettiva di
tale efficienza.
16
Weber, descrivendo lo stato legale-razionale, il cui carattere specifico è il fenomeno della burocratizzazione, riteneva
che il modello valesse non solo per gli stati capitalistici dall'analisi dei quali il modello era stato ricavato, ma anche, e
forse, a maggior ragione, per gli stati socialisti del futuro>> (Bobbio). La razionalità formale potrebbe giustificare
anche l’economia di piano, se- condo Rusconi, che ricorda come <per Weber l’economia di piano, postulata dal
socialismo, porta alla caduta della razionalità formale.. che è (invece) generalmente proposta come optimum di
prevedibilità, calcolabilità e quindi razionalità economica.. Evidentemente qui agiscono elementi di giudizio e di
Weltanschauung che trascendono gli argomenti tecnico-economici>.
74
apparati burocratici, e tutto sommato autolesionisticamente delegittimante lo stesso potere
regale che intende esercitare.
Il contributo socio-giuridico di Theodor Geiger per l’analisi della nozione di efficacia del
diritto è più chiaro e lineare di quello weberiano, anche se finora meno approfondito o
discusso nelle sue implicazioni. Esso ha il merito di entrare nello specifico delle
rnetodologie di valutazione empirica della effettività delle singole norme, usando formule
algebriche che presentano una duplice utilità: consentire di progettare le norme in una
prospettiva di efficacia; consentire raffronti e collegamenti tra efficacia delle norme ed
efficienza degli apparati interessati alla loro attuazione. Infatti per Geiger I'efficacia della
norma o validità in senso sociologico, va assunta come grandezza misurabile esprimibile
con la formula v = e/s, ove v = obbligatorietà; e = casi di ottemperanza alla norma + casi di
reazione dell’ordinamento alle violazioni della norma medesima; s numero complessivo
delle fattispecie interessate dalla norma17. Da tale formula generale Geiger ha creato altre
formule tra cui quella della <<quota di effettività (e) e della quota di ineffettività> (i), così
espresse: e:(s+bg)*f(s+cD_+rl i:5-lb*(c-+r)l ove b = casi di obbedienza alla norma; c =
infrazioni della norma; g = comportamenti di un certo tipo, conformi alla norma; -g :
comportamenti di un certo di un certo tipo non conformi alla norma; r = reazione
dell'ordinamento. Si intende ovviamente che le due quote sono complementari e che
quindi s = e + i. Dunque l’efficacia della norma si presenta come sua <<chance>> di
produrre gli effetti previsti, secondo una formulazione che ingloba sia gli aspetti attuativi
che quelli repressivi della norma, ed espressa in termini
quantificatorio-gradualistici,
capaci di indicare cioè non tanto se una norma è efficace o meno quanto in qual misura
essa è efficace. Geiger non manca inoltre di abbozzare una tipologia delle cause della
mancata repressione che possono identificarsi in: 1) mancata scoperta della violazione; 2)
sostituzione di persona interessata al posto del vero responsabile; 3) astuta autosottrazione
alla giustizia da parte del reo; 4) negligenza dell'autorità. Ebbene anche se centrata su un
modello di norma di relazione più che di norma d'azione e d'organizzazione, e se quindi vi
appare centrale la problematica adempimento-inadempimento, la proposta di Geiger
sembra comunque idonea a contenere i pur da lui non considerati casi di inefficacia della
norma dovuti ad inapplicabilità della norma stessa, inapplicabilità collegabile sia a motivi
organizzativi (inapplicabilità organizzativo-amministrativa) sia a motivi tecnico-giuridici a
monte della mediazione degli apparati. Tra I'altro dato che l'efficacia della norma è v = e/s,
17
T. Geiger, Vorstudien zu einer Soziologie des Rechts, Neuwied a. R. und Berlin, 1970.
75
se non si dovessero verificare casi in cui non si ha nè l’applicazione nè la violazione
l'efficacia si ridurrà = 0 (e cioè v = o/s = 0). Inoltre la sua formulazione appare utile, oltre
che su di un piano di valutazione a posteriori della significatività empirica di una norma,
anche su di un piano di progettazione legislativa, indagando opportunamente le probabilità
di configurazione del valore <<e>> (casi di attuazione più casi di violazione repressi) e del
valore <<s> (universo delle fattispecie interessate): ciò che implica ovviamente I'analisi
delle condizioni di fatto della dinamica dell'attuazione e della reazione della norma, per
rendere la prima più probabile e la se-conda più puntuale. Per quest'ultima la già vista
tipologia geigeriana delle cause della mancata reazione dell'ordinamento è da rivedersi; ciò
esaminando in particolare le cause di quella che aprioristicamente Geiger chiama
l'<indolenza> degli apparati, nonché le cause della mancata scoperta delle violazioni della
norma e della autosottrazione dei colpevoli alla giusta sanzione, chiarendo quindi il ruolo
in merito dell'attuale o della progettata efficienza degli apparati. Ma è evidente che il ruolo
degli apparati sarà da considerarsi anche per il primo caso quello del rispetto della norma,
sia per l’ipotesi di norme di cui sia direttamente destinataria la pubblica amministrazione,
sia per l’ipotesi di norme di carattere amministrativo ((interventi amministrativi a fini di
prevenzione della violazione di norme). Seguendo tale ordine di considerazioni a questo
punto si potrebbe profilare senz’altro una proiezione della teoria dell’efficienza degli
apparati in zona teorica dell'efficacia del diritto. Le <<formule di Geiger sono al riguardo
più coerenti e comprensive della aprioristica sfiducia del sociologo tedesco nell’autorità,
ritenuta, tralatiziamente e per definizione <<saùmig>, e cioè inefficiente, e ciò anche se
rimangono chiuse nei problemi del rispetto delle leggi e non si aprono a quello dei loro fini
e dei loro risultati. Infatti unico limite della teoria geigeriana è il fatto che nel suo
formulario non vi è la nozione di efficacia intesa come “raggiungimento dello scopo”.
76
2.5. Il concetto di efficacia nella prospettiva funzional-strutturalistica di N. Luhmann
Rispetto alla prevalente sociologia contemporanea che pone l’individuo al centro del
problema sociologico, Luhman focalizza la sua teoria attorno al sistema sociale.
Luhmann pur ammettendo che i fenomeni sociali vanno studiati in rapporto con la
funzione che essi svolgono per il mantenimento del sistema, critica le teorie funzionaliste,
ed in particolare critica Parsons, perché tali teorie non sono riuscite a distinguere il
concetto di causa da quello di funzione: nell’ambito di un sistema possono esserci diverse
soluzioni per il medesimo problema, per cui il rapporto tra la presenza di una determinata
esigenza ed il suo soddisfacimento non è un rapporto causale. E’ questa una critica in
termini di “equivalenze funzionali”.
Luhman passa poi a chiarire il concetto di sistema che egli considera non tanto con
riferimento alle sue stesse forze interne che ne garantiscono la continuità quanto nella sua
capacità di contrapporsi all’ambiente cui esso appartiene e ne minaccia la stabilità. Ecco
quindi che in Luhman assumono rilevanza anche i concetti di mondo ed ambiente.
Mondo è l’infinita molteplicità e complessità del reale; ambiente è la delimitazione delle
possibilità concretizzabili che si danno in una particolare situazione; sistema è l’effettiva
selezione e realizzazione di determinate possibilità offerte dall’ambiente (se l’individuo è il
sistema, l’ambiente è dato dal suo contesto sociale; se il sistema è la società, l’individuo è
il suo ambiente). Poiché il mondo è infinita complessità è impossibile orientarsi in essa
senza una riduzione di complessità ed è questo il concetto fondamentale della teoria di
Luhman che ci riporta alla idea weberiana di cultura come sezione finita tratta dall’infinità
priva di senso del mondo.
Il problema della riduzione della complessità non è solo un problema teorico ma anche un
problema pratico perché l’uomo è costretto a ridurre la complessità per sopravvivere.
Oltre a quello della riduzione della complessità, c’è il problema della contingenza nel
senso che nel processo di riduzione della complessità c’è sempre una possibilità di scelta
tra le diverse possibilità offerte dal sistema. Inoltre, aggiunge Luhmann, non solo c’è il
rischio che si attuino possibilità diverse dalle proprie aspettative ma, quando le azioni di un
soggetto sono dirette a un altro soggetto, occorre che il primo tenga presente che ha a che
fare non solo con le proprie aspettative ma anche con le aspettative dell’altro (doppia
contingenza). Il rischio di fallimento della propria azione dipende anche dal fatto che alter
scelga a sua volta e può anche scegliere in modo diverso da quello di ego.
77
Luhman afferma che i sistemi biologici hanno dei confini fisici e temporali (nascita e
morte), i sistemi sociali, invece, si definiscono solamente in base al senso e ciò che li
costituisce è l’azione: essi sono complessi di azioni intrecciate che creano una certa
stabilità in seguito all’instaurarsi di reciproche aspettative. Contrariamente a quanto
sostenuto da Weber e da coloro che si rifanno a lui, il senso non trova il suo fondamento
nell’intenzionalità del soggetto ma la stessa individuazione del soggetto implica di per sé il
senso perché noi possiamo parlare di soggetto solo in base ad un precostituito concetto di
senso.
Il concetto di senso è strettamente legato a quello di selezione necessaria per ridurre la
complessità: per costruire il senso è necessario selezionare dalle infinite possibilità offerte
dal mondo alcune specifiche possibilità e attuarle ma l’attuazione non è mai definitiva in
quanto essa implica sempre il porsi di nuove possibilità da cui selezionare.
L’ordine sociale, dunque, secondo Luhmann è possibile mediante il senso cioè mediante la
formazione di sistemi sociali che possano mantenersi per un po’ di tempo entro confini
definiti nei confronti di un ambiente sovracomplesso.
Egli si serve del concetto di riduzione di complessità anche per spiegare l’evoluzione
storico-sociale e i tratti caratteristici delle attuali società, le quali hanno un grado di
complessità superiore alle precedenti: è la società nella sua totalità a diventare, con
l’evoluzione, più complessa (crescono cioè le quantità e le specie dell’agire e dell’esperire
vivente possibili) e proprio questa maggiore complessità implica la formazione di sistemi
differenziati al suo interno (es: nelle società di oggi il diritto, la morale, la religione
costituiscono sistemi autonomi nell’ambito della stessa società mentre nelle società
arcaiche era pressoché impossibile distinguere tra i diversi aspetti della società stessa).
In particolare, Luhamnn afferma che la teoria giusnaturalistica del diritto secondo cui ogni
norma è riportabile a principi etici universali non fa i conti con la complessità del mondo
sociale che deve essere ridotta. E’ il diritto positivo ad avere questo compito di imporre
limitazioni all’infinità delle scelte possibili da parte degli individui in società. Così la
funzione del diritto positivo andrebbe intesa come una riduzione vincolante e sanzionata
della complessità sociale nella sfera delle aspettative interpersonali di comportamento.
Poiché la validità del diritto non dipende da principi etici ma da decisioni e sono esse a
rendere positivo il diritto sembra esserci un nesso tra teoria giuridica e scienza delle
decisioni (che ha un ambito più vasto nel senso che la teoria sistemica mette in luce una
struttura complessa di problemi e di possibili soluzioni di problemi e che la decisione va
presa nell’ambito di tali possibili soluzioni).
78
Quanto al problema della legittimità, Luhman afferma che dato che nelle moderne società
il mondo giuridico si è fatto estremamente complesso, è impensabile che i cittadini si
conformino alle norme in quanto valutano effettivamente i loro contenuti: la legittimità è
garantita dal rispetto di determinate procedure. Così, la democrazia non è realmente basata
sulle capacità di decisione dei cittadini sulle scelte politiche da effettuare ma piuttosto sul
loro rispetto di determinate regole formali quali quelle del sistema elettorale.
La differenziazione, dunque, comporta che all’interno del sistema società si formino alcuni
fondamentali sottosistemi: l’economia, la famiglia, la scienza, la politica, ecc. Ogni
sottosistema ha un suo particolare strumento di comunicazione: quello dell’economia è il
denaro, quello della famiglia è l’amore, quello della scienza è la verità, la politica ha come
mezzo di comunicazione il potere. Quest’ultimo è definito come un rapporto sociale
asimmetrico che riesce a mantenersi in vita senza l’uso della forza: si ha potere quando una
parte seleziona le possibilità a disposizione di un’altra parte in misura superiore a quanto
questa non possa fare nei confronti della prima. Il potere politico trova un suo limite nel
fatto che nelle moderne società si formano altri sistemi di potere ad esso alternativi (es. il
potere economico). La differenziazione comporta non soltanto il formarsi di sottosistemi
nell’ambito del sistema generale ma anche il riflettersi di tali sottosistemi in se stessi: ogni
sottosistema, cioè, diventa oggetto a se stesso (parlare di parole, decidere su decisioni,
ecc.). La scienza, ad esempio, ha il compito di individuare la verità ma non si tratta di una
verità empirica a se stante quanto piuttosto di elaborare criteri per una lettura della realtà
tra le molte possibili. La scienza è autoreferenziale nel senso che essa stessa costituisce
uno dei suoi oggetti.
L’autoreferenzialità è definita come auto-osservazione, ciò che si definisce è in quanto
diverso rispetto a qualche cosa d’altro senza specificare differenze all’interno di questa
diversità. La società moderna è costituita da sistemi differenziati che si rapportano alla
differenza, all’altro da sé, che ne è l’ambiente. La stessa distinzione tra un sistema e il suo
ambiente e la definizione del sistema rispetto all’altro da sé, va inquadrato da Luhamnn
nel problema dell’autoriferimento. Egli distingue:
a) l’autoriferimento di base: che non è il sistema ma un elemento essenziale al sistema, senza
il quale quest’ultimo non potrebbe sussistere (es. la comunicazione non è un sistema
sociale ma senza di essa tale sistema non può darsi);
b) la riflessività: che si ha quando si riflette sulla propria specificità;
c) la riflessione: che si ha quando è posta la differenza tra sistema e ambiente
79
Luhmann afferma poi che i sistemi sociali non sono riducibili ad interazione: la società
mondiale (il più grande tra di essi) ha alla base l’interazione ma la società trascende
l’interazione e diventa qualcosa di autonomo rispetto ad essa e il sistema sociale non è
necessariamente legato al soggetto e le funzioni compiute dal sistema sono funzioni latenti
e, in quanto tali, non hanno bisogno del momento della coscienza. Si ha dunque de
soggettivazione, il che consente a Luhmann di estendere la sua teoria anche ai sistemi
biologici. La razionalità coincide quindi con la funzionalità del sistema e non sarebbe altro
che la riflessione dei sistemi su se stessi. Luhmann così, si preclude ogni possibilità di
porsi criticamente dinanzi alla realtà data. Se nella prima fase del suo pensiero aveva
definito il sistema come capacità di rimanere tale in contrapposizione all’ambiente, in una
seconda fase egli sposta l’accento sulle capacità interne del sistema di auto-crearsi, di
organizzare se stesso in rapporto a esigenze che sorgono al suo interno e, a questo
proposito, Luhmann si serve del concetto di autopoiesi.
La società, ad esempio, è un sistema di comunicazione ma siccome non sussiste al di fuori
della società stessa alcuna comunicazione, la società costituisce un sistema chiuso per
necessità: ciò spiega come la sua organizzazione e il suo stesso rinnovarsi non può che
essere riferito a se stessa. Per i sistemi che invece hanno un ambiente Luhmann non nega
che essi possano anche essere condizionati da forze esterne (quindi dall’ambiente) ma
sottolinea l’importanza che essi vadano spiegati anche in termini di autopoiesi.
Habermas rimprovera a Luhmann il fatto che la sua teoria si risolve in una accettazione
acritica dei sistemi sociali costituiti. Secondo Habermas la verità non consiste
nell’individuare i processi che rendono funzionale un sistema ma piuttosto nelle condizioni
che rendono libera la comunicazione da costrizioni esterne. Luhmann respinge questa
critica affermando che la sua teoria non mira alla conservazione della società costituita
intesa come sistema ma semplicemente riguarda i problemi del funzionamento di qualsiasi
sistema sociale possibile non quelli del funzionamento di sistemi effettivamente esistenti;
Altra critica è legata al problema della riduzione della complessità inteso come riduzione
del pericolo (disorientamento ed inadeguatezza) in cui l’uomo si trova dinanzi alle infinite
possibilità del mondo: in questo modo si mettono in evidenza solo le esigenze legate alla
sicurezza e non anche quelle legate alla creatività, alla spontaneità, all’innovazione.
Altri hanno messo in evidenza come Luhmann pur volendo svolgere un discorso sulla
società nel suo insieme, quando passa a trattare della differenziazione scompone il sistema
in tanti sottosistemi particolari trovandosi quindi in difficoltà dinanzi al problema della
società in generale.
80
Quando Luhman critica lo struttural-funzionalismo di Parsone non si discosta molto, in
definitiva, da ciò che già aveva osservato Merton quando afferma che in un sistema la
stessa funzione poteva essere adempiuta da elementi diversi così come lo stesso elemento
poteva svolgere funzioni diverse.
Luhman afferma che vi è sempre stata incompatibilità tra illuminismo e sociologia in
quanto l’illuminismo (inteso come sforzo di ricostruire le condizioni dell’esistenza umana a
partire dalla ragione e senza alcun legame con la tradizione ed il pregiudizio) ha sempre
fatto riferimento ad una ragione universale comune a tutti gli uomini in quanto tali ed ha
ricercato la possibilità di costruire una condizione sociale universalmente giusta sulla base
di tale ragione; la sociologia (che non fa riferimento a una ragione universale ma piuttosto
all’ordinamento dato) dal canto suo ha la consapevolezza della diversità delle concezioni
del mondo, non riducibili a una ragione universale, una diversità che entra in ogni azione
sociale. Eppure, Luhman è convinto che il vecchio illuminismo1 possa essere superato con
un illuminismo sociologico alla base del quale vi è l’idea secondo cui l’uomo non può
conoscere la spaventosa molteplicità del mondo allora deve venire a patti con la realtà e
delimitare un ambito definito di conoscenze attraverso determinate leggi e muoversi entro
questo ambito definito (= la complessità della totalità non può essere colta per cui è sempre
necessaria una “riduzione della complessità”): il suo compito, pertanto, deve prendere atto
della complessità del mondo e ridurla. Luhman indica quattro aspetti di tale illuminismo:
a) le prospettive incongruenti: si tratta di mettere in luce che il pensiero è spesso condizionato
da impulsi inconsci irrazionali che la ragione non riconosce e che sono incongruenti con
essa, con le motivazioni esplicite dell’azione;
b) funzioni latenti: per orientarsi ed agire nel mondo è necessario celarsi determinati aspetti
della sua realtà. L’illuminismo sociologico smaschera questi aspetti destinati a rimanere
latenti affinché l’azione possa esplicarsi: riconosce la complessità del mondo e la necessità
di ridurla;
c)
il passaggio dalle teorie fattoriali alle teorie sistemiche: le teorie fattoriali sono quelle che
pongono l’accento su singoli fattori o cause per spiegare il resto della realtà cui si fa
riferimento mentre le teorie sistemiche inquadrano i singoli elementi in un insieme in cui
solo possono trovare senso;
d) il metodo funzionalistico: mette in luce le funzioni latenti di un sistema (cioè quelle che
contribuiscono a mantenerlo al di là delle azioni volute e riconosciute con questo intento),
1
N. Luhmann, Illuminismo sociologico, a cura di D.Zolo, Milano, Il saggiatore, 1983
81
le disfunzioni (cioè i fattori che contribuiscono a disintegrare il sistema) e gli equivalenti
funzionali (cioè la sostituibilità degli elementi che possono adempiere alla medesima
funzione).
La complessità del mondo deve essere riportata entro una dimensione che possa essere
vissuta come espressione di un determinato senso. E’ il sistema a compiere questa
riduzione di complessità e a rendere di conseguenza possibile il senso ma esso, deve anche
rapportarsi alla complessità dell’ambiente e venire a patti con esso.
Luhmann si riporta ad Husserl (fenomenologia trascendentale) quando afferma che
l’illuminismo razionalistico aveva fallito perché aveva presupposto una razionalità
universale mentre non si può mai essere sicuri di concordare con altre persone
sull’esperienza vissuta nell’azione. Ciò era stato messo in luce dalla sociologia perché essa
non ignorava la diversità dei punti di vista soggettivi, degli scopi e dei valori delle
prospettive selettive: Husserl vi era arrivato molto vicino anche se non lo aveva esplicitato.
Luhmann afferma che l’Illuminismo aveva rotto i ponti con la storia nel senso che aveva
creduto sufficiente la ragione umana per costruire una società giusta senza riferimenti al
passato e alla tradizione. L’Illuminismo sociologico vede come nella storia ci sia una
sedimentazione di senso, una selezione già compiuta tra una molteplice serie di soluzioni di
problemi così che il presente è possibile solo facendo riferimento ai problemi già risolti in
determinati modi, al senso precedentemente attribuito alla realtà. Non è quindi la ragione
universale ma una selezione tra infinite possibilità di soluzioni dei problemi a permettere
di orientarsi nella realtà. La storia, dunque può essere considerata come un alleggerimento
dal punto di vista della complessità.
82
2.6. Alcuni indicatori di efficacia e di efficienza nelle amministrazioni
Il rapido modificarsi dei bisogni della collettività, parallelamente ad un deterioramento dei
servizi offerti dagli enti pubblici, ha indotto un maggiore interesse per il monitoraggio
dell’offerta di servizi pubblici. Il quadro normativo, per ciò che concerne l’innovazione
gestionale nella P.A. con l'uscita del d.lvo 296/99, appare ormai definitivo. È infatti ormai
iniziato il percorso per gli enti locali dell'attuazione concreta dei sistemi dì controllo di
gestione e del concreto funzionamento dei nuclei di valutazione. Il d.lvo 29/93 imponeva,
alla P.A, di istituire i servizi di controllo di gestione/nucleo di valutazione (art. 20). Il d.lvo
77/95, ordinamento contabile e finanziario degli enti locali, precisa non solo le fasi di
attuazione dei sistemi di controllo di gestione, ma anche i contenuti dello stesso
(art.39,40,41).
Dalla lettura dell'art.40 appare chiaro che I'attività di controllo deve essere riferita a tutta
l’attività dell'ente locale. Infatti, l’ art. 40, modalità del controllo di
statuisce: <La verifica dell'efficacia, dell’efficienza,
gestione così
e dell’economicità dell’azione
amministrativa è svolta rapportando le risorse acquisite e i costi dei servizi ove possibile
per unità di prodotto, ai dati risultanti dal rapporto annuale sui parametri gestionali dei
servizi degli enti...>. Si deve
effettuare la verifica dell’efficienza, dell’effìcacia e
dell’economicità, cioè di tutti .gli elementi quanti/qualitativi che possono servire per
valutare la realizzazione delle finalità dell'ente e il suo “buon andamento”. La verifica si
farà da un lato analizzando le risorse acquisite e dall’altro analizzando il loro utilizzo, i
costi sostenuti, possibilmente in termini unitari (perché confrontabili), e valutando
attraverso parametri gestionali appositi (gli indicatori) l’efficienza e l’'efficacia. Tutto ciò,
anche, in considerazione del fatto che il governo degli enti pubblici, in misura maggiore
rispetto al sistema delle imprese, si fonda sui processi di pianificazione e controllo. Il
motivo principale di ciò è da ricercarsi nella mancanza del mercato e nell'assenza di quella
grandezza alla quale si ricollega: il profitto. In sua assenza si devono analiticamente
individuare indicatori (essenzialmente riconducibili all'efficienza ed all'effìcacia),
riunendoli a sistema (dunque analizzandone le reciproche relazioni). Un servizio qualsiasi,
infatti, deve essere analizzato sia sotto il profilo che evidenzia le quantità prodotte, sia sotto
il profilo della capacità di venire incontro alla domanda espressa dalla collettività, sia sotto
il profilo della qualità percepita dalI'utenza e sia sotto il profilo dei costi sostenuti per la
realizzazione dello stesso. Gli indicatori possono, inoltre, fornire informazioni di
fondamentale ausilio alla concretezza del Peg (Piano esecutivo di gestione). Quest'ultimo,
87
quale strumento di direzione per obiettivi, deve costituire il programma operativo, che
identifica i risultati attesi della gestione (anche attraverso gli indicatori). Gli indicatori
possono, in questo contesto, essere: a) guida nei riguardi della struttura operativa; b)
termine di raffronto a consuntivo, per favorire il <buon andamento> dell'azione
amministrativa; c) strumenti di confronti nel tempo sull'andamento dei servizi di volta in
volta considerati; d) strumenti di confronti con enti tipologicamente omogenei; e) strumenti
per aiutare la sfera che ha la responsabilità politica dell'istituzione e quella che ha la
responsabilità gestionale della stessa a valutare e prendere decisioni.
Gli indicatori, che vengono definiti rapporti tra parametri, dovranno essere tali da
rappresentare i valori in termini percentuali, e devono quantificare, meglio se in termini
percentuali, la dinamica (aumento o diminuzione), attraverso confronti nel tempo. In
coerenza con le riflessioni precedenti e con le finalità conoscitive tali indicatori possono
essere classificati in: 1) indicatori di efficienza; 2) indicatori di efficacia. A loro volta gli
indicatori li possiamo suddividere in indicatori sintetici e in indicatori analitici. Al fine di
rendere applicabile negli enti locali la tecnica del benchmarking competitivo è opportuno
avere una comune metodologia di calcolo degli indicatori. Infatti, in un contesto
caratterizzato dall'assenza di idonei meccanismi concorrenziali e di mercato, quale è quello
in cui agiscono gli enti locali, il benchmarking può diffondersi come valido strumento per
migliorare e per orientare il dirigente pubblico alla performance di economicità, efficienza
ed efficacia. È in questo quadro e per queste ultime considerazioni che è stato proposto sin
dai primi anni '90 la metodologia Ntg (Nuove tecniche gestionali) come sistema gestionale
informatizzato orientato alla pratica realizzazione dei controlli di gestione negli enti. Come
tutti i sistemi anche la Ntg (Nuove tecniche gestionali) si avvale di categorie concettuali
ben definite e in questo senso la sua applicazione consente la realizzazione del
benchmarking competitivo.
Una caratteristica della <produzione> nelle attività amministrative e nei servizi è quella
della sua non concretizzazione in un <bene>; la conseguenza logica è che non è per niente
facile definire, tipizzare, quantificare, verificare. Tale sistema provvede innanzitutto a
verificare I'impraticabilità, nelle attività amministrative e più in generale nei servizi, delle
<categorie concettuali> usate nell'analisi dell'organizzazione di aziende produttrici di beni.
L'attività di ricerca successiva consiste nell’usare i contenitori), come strumento di
quantificazione,
tipizzazione
e
monitoraggio
della
<produzione>
nell'attività
amministrativa e nei servizi, cioè in quelle situazioni dell'attività umana in cui le procedure
relative sono molto complesse e difficilmente tempificabili nelle loro micro componenti.
88
Nell'impossibilità constatata di analisi organizzative e di contabilità analitica basate sui
<cicli produttivi>, tutta I'attenzione si è incentrata nell'individuazione e tipizzazione di tali
contenitori. Sono considerati contenitori, nel sistema Ntg (Nuove tecniche gestionali): 1)
le attività competenze; 2) le attività mansioni; 3) i prodotti istituzionali; 4) i prodotti
vendibili; 5) i prodotti organizzativi; 6) le fasi di procedura; 7) 'ente; 8) i settori; 9) gli
indicatori di efficienza e di efficacia. Tale individuazione, da effettuare sempre nel
concreto, deve essere tipizzata, cioè definita e stabilizzata. È chiaro che l'utilizzo dei
<contenitori> consente una maggiore possibilità di veridicità di quantificazione della
produzione. La maggiore possibilità di típizzazione ed anche una maggiore costanza dei
tempi consente di dare una sufficiente validazione statistica agli scostamenti percentuali
delle variazioni di produzioni e quindi rendere significativo il monitoraggio del <che cosa
si produce>, non nei valori assoluti, ma negli scostamenti. Ai fini di una corretta validità
del monitoraggio, assume ruolo essenziale la tipizzazione dei contenitori, cioè la <non
discutibilità delle definizioni adottate per tipizzare. Da quanto detto, emerge che senza un
sistema metodologico informatizzato appare difficile effettuare sia qualunque tipo di
misurazione, non solo di indicatori gestionali sintetici, sia effettuare qualunque tipo di
misurazione e quindi realizzare qualunque tipo di controllo di gestione e valutazione su
questi ultimi. Infatti, il controllo di gestione lo possiamo definire come quell'insieme di
metodologie che, utilizzando strumentazione informatica, sono finalizzate al controllo della
produttività gestionale.
Il controllo di gestione è quindi finalizzato al controllo per produrre di più; produrre
prima; produrre a minor costo; produrre a qualità migliore Le tecniche gestionali Ntg
sono: a) un sistema completo ed informatizzato di gestione ottimale delle risorse; b) una
metodologia informatizzata di monitoraggio della produttività; c) un esempio concreto ed
organico di informatica decisionale; d) strumenti flessibili, modulari ed informatizzati per
gli interventi organizzativi e
per la programmazione; f) strumenti efficaci per la
valutazione oggettiva dei risultati e per la valorizzazione delle capacità manageriali. Le
linee guida delle tecniche Ntg sono: pragmatismo, come esigenza prioritaria nella messa a
punto; sviluppo ed attuazione di innovazioni gestionali; buon senso, come approccio;
valutazione e risoluzione sistemica di problemi concreti, semplificati e concettualizzati
sulla base dell'esperienza, valorizzazione dell'uomo e delle sue personali capacità di
ottimizzazione gestionale delle risorse di cui dispone; miglioramento della produttività
nella attività amministrative e nei servizi; produttività intesa come mix dinamico di
efficienza (ottimale utilizzo delle risorse per ottenere una determinata quantità di
89
produzione) e di efficacia (ottimale utilizzo delle risorse per ottenere una determinata
qualità della Produzione). Riportiamo a mero titolo di esempio alcuni indicatori sintetici di
efficienza e di efficacia, utilizzati in alcuni comuni in occasione della attività di
valutazione.
Le tecniche di monitoraggio (Check UP) si possono così descrivere:
1. monitoraggio dei carichi di lavoro e della produzione
2. monitoraggio delle procedure
3. valutazione e monitoraggio della qualità della produzione
4. analisi calcolo e monitoraggio dei costi della produzione
5. analisi calcolo e monitoraggio dei costi e dei ricavi
6. indicatori di produttività, efficienza ed efficacia.
Le tecniche dí intervento e programmazione sono individuabili in:
1. analisi ed ottimizzazione delle procedure
2. progetti obiettivo
3. valutazione dei carichi di lavoro e ristrutturazione
4. valutazione e programmazione dei costi
5. valutazione e programmazione dei costi e dei ricavi
6. produttività e decisioni gestionali
7. obiettivi di produttività.
Gli obiettivi delle tecniche di intervento sono: a) monitoraggio informatizzato dei carichi di
lavoro (come insieme dei prodotti organizzativi), della produzione (come insieme dei
prodotti istituzionali o vendibili); b) ricavare dal monitoraggio, distintamente per ente, unità
organizzativa livelli stipendiali e profili professionali: - gli indicatori di variazione dei
carichi di lavoro; - gli indicatori di variazione della produzione. c) monitoraggio
informatizzato dei tempi di esecuzione delle procedure; d) ricavare dal monitoraggio gli
indicatori di tempestività dei prodotti; e) monitoraggio del gradimento dell'utenza (della
clientela) in merito alla qualità dei prodotti usufruiti (acquistati) in termini di: - accuratezza;
- tempestività; - adeguatezza; f) valutare i risultati del monitoraggio per gli eventuali
interventi migliorativi della qualità della produzione; g) analisi, quantificazione e
monitoraggio informatizzato dei costi dei prodotti organizzativi e dei prodotti istituzionali (o
vendibili); h) analisi, quantificazione e monitoraggio informatizzato dei costi dei prodotti
venduti; i) analisi e monitoraggio dell'andamento costi/ricavi. Ed ancora gli obiettivi delle
tecniche di intervento si esplicano nel monitoraggio informatizzato dei seguenti indicatori di
produttività: Efficienza: lavoro e presenza effettiva; indicatore di produzione effettiva
90
istituzionale, come rapporto fra produzione istituzionale (o vendibile) e presenza effettiva;
presenza contrattuale; indicatore di presenza effettiva come rapporto fra ore di presenza
nell'ente (comprese le ore di prestazioni straordinarie) e le ore di presenza contrattuale;
indicatore di presenza come rapporto fra ore di presenza effettiva senza le ore di
straordinario e le ore di presenza contrattuale (indicatore di assenteismo); indicatore di costo
come rapporto fra costi e carico di lavoro.
Efficacia:
-- indicatore di adeguatezza (valutazione interna) rapporto fra produzione realizzata e
produzione richiesta (domanda effettiva); - indicatore di adeguatezza (valutazione esterna)
rapporto fra adeguatezza come è percepita dall'utenza e adeguatezza considerata ottimale
(domanda potenziale); - indicatore di tempestività (valutazione interna), rapporto fra tempi
medi di procedura previsti e tempi medi di procedura realizzati; - indicatore di tempestività
(valutazione esterna) rapporto fra tempestività come è percepita dall'utenza e tempestività
ritenuta ottimale; - indicatore di accuratezza (solo valutazione esterna) rapporto fra
accuratezza come è percepita dall'utenza e accuratezza ritenuta ottimale Come è facile
comprendere da questo esempio di
tecnica gestionale si possono ricavare i possibili
obiettivi di produttività da realizzare e i relativi scostamenti. In generale il termine di
efficienza, come peraltro quasi tutta la terminologia di organizzazione della P.A., è inteso in
diverse accezioni. Una prima accezione è quella più generale e nella quale il termine
efficienza è spesso collegato a <funzionalità>. Si trattasi tuttavia di un'accezione poco
tecnica che comunque sottolinea gli aspetti pubblicistici dell'attività della P.A. con una
scarsa rilevanza della <qualità di tale attività>. Una seconda accezione, molto diffusa nella
pubblicistica di opinione è quella che, riferendosi più in particolare ai servizi resi dalla PA,
viene a coincidere con il concetto di produttività in senso lato, cioè come insieme di
produzione al minimo costo e con il massimo di gradimento dell’utenza. Una terza
accezione più tecnica, nella quale l’efficienza si contrappone all’efficacia.
L'efficienza è, in questo caso <il rapporto fra risultato raggiunto e risorse impiegate per
ottenerlo>. Volendo privilegiare gli aspetti decisionali si può anche affermare che
l’efficienza è costituita dal rapporto fra obiettivo prefissato e risorse impiegate per
raggiungerlo. Mentre la prima definizione sottolinea gli aspetti gestionali, la seconda si
riferisce in modo particolare agli aspetti <istituzionali)). In entrambe le definizioni
comunque, viene evidenziato l'ottimale utilizzo delle risorse: un servizio, un’attività, un
prodotto è tanto più efficiente, quanto più alto è il rapporto fra la quantità di servizio reso, di
91
attività svolta, di prodotto e quantità di risorse. La formula dell'efficienza, valida per
entrambi i casi, risulta essere la seguente: Ei = P/R
In cui: P = prodotto; R = risorse.
Si può rilevare che, dovendo quantificare il numeratore della frazione, è inevitabile il ricorso
al prodotto che costituisce la quantificazione dei servizi resi e dell'attività svolta. Dato lo
stretto collegamento esistente tra responsabilità gestionali e responsabilità politiche>, è utile
illustrare la distinzione dell'efficienza gestionale e dell’efficienza istituzionale.
L'efficienza istituzionale è quella che fa capo a quegli organi che, in una istituzione, hanno
la responsabilità
politica dell’istituzione
stessa. Es: efficienza riferita ad una giunta
comunale, provinciale, per l’istituzione di nuovi servizi (attività istituzionali) ecc. come si
può rilevare, l'efficienza istituzionale è sostanzialmente un’efficienza di obiettivi; è
soprattutto un'efficienza ex ante. La formula generica dell’efficienza riportata in precedenza,
riferita all’efficienza istituzionale può essere meglio espressa con Eist = O/R, in cui i valori
di O (obiettivi) e di R (risorse) sono variabili modificabili, di massima ed entro certi limiti
da parte dei responsabili istituzionali. La quantificazione dell’efficienza istituzionale risulta
oggettivamente difficile, soprattutto nelle istituzioni pubbliche. A ciò si aggiunga che a
livello istituzionale non è facile distinguere l’efficienza dall’efficacia. Comunque aver
concettualmente distinto la efficienza istituzionale da quella gestionale, non solo facilita
una maggiore comprensione ed una più corretta valutazione di quest’ultima, ma costituisce
un ottimo strumento metodologico per la delimitazione delle responsabilità fra politica ed
amministrazione nelle strutture pubbliche. È evidente che la variabilità degli obiettivi e delle
risorse, ai fini del conseguimento dell'efficienza istituzionale, e tanto più elevata, quanto
minori sono i condizionamenti e i vincoli cui l'organo istituzionale responsabile è sottoposto.
L’efficienza istituzionale è quasi sempre il rapporto tra obiettivi da realizzare e risorse
finanziare destinate a realizzarle. La caratteristica principale dell’efficienza istituzionale è
che essa è essenzialmente un’efficienza valutata in termini di costi.
L’efficienza gestionale è costituita dal rapporto fra obiettivo e risorse impiegate. Mentre
l’efficienza istituzionale non può che essere ex ante (di tipo programmatorio), quella
gestionale non può che essere ex post ( a consuntivo). Mentre nel privato il mercato ha in sé
il rimedio per eliminare gli inefficienti, nel pubblico ciò non è possibile , non tanto perché
non è licenziabile il dirigente ma perché non esiste il fallimenti del “proprietario”. Da ciò
però nasce la sfiducia del cittadino verso le istituzioni che pone gravi rischi per la
conservazione democratica delle istituzioni stesse.
Rispetto al privato va data per acquisita una cera inefficienza la cui valutazione non può che
essere politica. da ciò discende che occorre avere metodologie sistemiche che consentono il
92
monitoraggio e la valutazione dell’efficienza al fine di determinare il tasso di tollerabilità
della stessa. La tecnica usata sarà quindi quella finalizzata al monitoraggio di indicatori di
efficienza gestionale, intesi come rapporto tra produzione realizzata o da realizzare
(obiettivo) e risorse umane impiegate.
Gli indicatori di efficienza gestionale possono essere: - indicatore di produzione effettiva,
distintamente per prodotto, per settore, per ente, inteso come rapporto fra produzione e
risorse umane impiegate; - indicatore di produzione contrattuale; indicatore di presenza,
definito dal rapporto fra ore di presenza effettiva ed ore di presenza contrattuale; - indicatore
di costo, inteso come rapporto fra costi sostenuti e produzione realizzata. Negli enti che
producono servizi poiché le singolo strutture in cui è organizzato l’ente non producono, un
unico prodotto, è necessario trovare opportuni pesi che consentono di omogeneizzare (e
consequenzialmente sommare) la produzione organizzativa.
La sommabilità dei prodotti che interessano un dato settore consentono di individuare
indicatori di efficienza e anche corretti indicatori di efficacia. Il presupposto di base della
validità di tale individuazione è dato dalla considerazione che gli indicatori di efficienza e di
efficacia non hanno un valore in sé, ma servono come confronto storico ai fini di valutarne
le variazioni, cioè non hanno significato i valori assoluti, bensì i loro rapporti. La correttezza
si basa, dal punto di vista teorico, sulla minore incidenza statistica degli <errori> nel caso di
rapporti tra grandezze pesate con un tasso di errore che permane in tutti i termini del
rapporto.
In termini rigidamente scientifici, il monitoraggio si caratterizza per i seguenti elementi:
- il fenomeno oggetto di monitoraggio deve essere caratterizzato da ripetitività estesa o che
si ritiene estesa nel tempo; è inutilmente costoso monitorare ciò che dura <1o spazio di
un'estate>;
- il fenomeno deve essere caratterizzato da complessità tale da non poter essere seguito da
<sensazioni > o strumentazioni semplici: è presuntuoso e metodologicamente fuorviante
parlare di monitoraggio nel caso di rilevamento costante, per un certo periodo di degenza,
della temperatura corporea;
- il fenomeno deve variare in maniera probabilistica non facilmente predeterminabile; se
l'andamento del fenomeno è prevedibile con sufficiente esattezza, il monitoraggio è inutile;
- il fenomeno deve essere tipizzabile non solo di per sé, ma anche nei fattori significativi che
lo compongono; senza la tipizzazione è impossibile valutare correttamente gli scostamenti;
- la tempestività, la rapidità di analisi e valutazione che caratterizza il monitoraggio
richiedono I'uso dell'informatica, se i dati sono utilizzati sullo stesso luogo di rilevamento,
93
della telematica (trasmissione dati a distanza) nel caso di utilizzazione dei dati in località
distanti da quelle di rilevamento (come nel caso citato del monitoraggio dei dati
meteorologici);
- quando di un fenomeno si vuole analizzare lo scostamento nel suo complesso, occorre
rendere omogenei, sommabili i fattori in cui esso è <<scomposto>; nel monitoraggio dei
prezzi occorre trovare i coefficienti di omogeneizzazione che rendano sommabili i prezzi
della carne con quelli dei vestiti, dei tabacchi, ecc.;
- la disponibilità dei dati deve essere la più tempestiva possibile; la soluzione ottimale è il
rilevamento in tempo reale; se il monitoraggio è giornaliero, la disponibilità dovrebbe aversi
al termine della giornata; se annuale, al primo giorno dell'anno successivo; la tempestività
della disponibilità distingue il monitoraggio dal rilevamento statistico; il rilevamento dei
dati meteorologici effettuato dalle stazioni meteorologiche è un monitoraggio prima di tutto,
ma è anche, per studi confronti futuri, un rilevamento statistico. Il monitoraggio serve per le
decisioni immediate, il rilevamento statistico per analisi, valutazioni e decisioni protratte
nel tempo'.
Si può anzitutto rilevare che il <fenomeno> costi è oggettivamente
<monitorabile> (sono presenti i primi tre fattori di ripetitività, complessità e probabilità); la tipizzazione e sommabilità dei fattori sono realizzate mediante la metodologia Ntg ; - la Il
monitoraggio, riferito ai costi non è altro che il confronto fra costi a consuntivo in periodo
omogeneo di tempo.
Monitorare i costi significa: valutare le variazioni, per periodi
omogenei (mesi, trimestri, semestri, anno) dei: - costi dei prodotti organizzativi; - costi dei
prodotti istituzionali/vendibili; - costi dei settori; - costi dell’ente. Valutare le variazioni
degli: - indicatori di costo di produzione organizzativa di settore; - indicatori di costo di
produzione organizzativa di ente; - indicatori di costo di produzione istituzionale/vendibile.
I costi dei settori data la relazione univoca fra prodotti organizzativi e settori si ha che il
costo di un settore è quello risultante dalla somma dei costi organizzativi facenti capo al
settore stesso. Il costo dell'ente è quello risultante dalla somma dei costi di tutti i settori di
vertice, oppure dalla somma dei costi di tutti prodotti organizzativi; oppure dalla somma dei
costi di tutti i prodotti vendibili/istituzionali.
In linea generale efficacia sta a significare il raggiungimento di un risultato prefissato.
Spesso con efficacia si intende concretezza; ma anche in questo caso l'enfasi è posta sul
risultato che si vuole raggiungere. Più specificatamente, in termini di lettura aziendalistica,
per efficacia si intende il rapporto fra obiettivo raggiunto ed obiettivo prefissato. Si può
rilevare l'omogeneità fra i due termini del rapporto che se da un lato è metodologicamente
più comprensibile, dall'altro è soggetto ad un elevato grado di soggettività e di variabilità. Si
94
rilevi inoltre che il rapporto può essere inteso nel senso che una certa attività è efficace
quando, dato un certo obiettivo, questo è raggiunto, indipendentemente dal grado di
raggiungimento. Ad esempio, se l'obiettivo prefissato è <acquisire una certa commessa>,
I'attività effettuata risulta efficace solo se la commessa è acquisita; in questo caso l'attività o
è stata inefficace o è stata efficace, senza possibilità di graduazione. Il rapporto può essere
inteso come grado di raggiungimento dell'obiettivo ed è questo il caso più frequente ed
anche più interessante. Si osservi anche che l'efficacia può avere come contenuto
l'efficienza, ad es. nel caso che l'obiettivo prefissato sia quello di ridurre di una certa
percentuale i costi di produzione: il grado di efficacia è dato dal miglioramento
dell'efficienza. Anche per l'efficacia è opportuno distinguere fra efficacia istituzionale ed
efficacia gestionale. Indicando con Efcia l'efficacia coerentemente alla definizione data si
ha:
Efcia = Obra/Obpr - in cui Obpr e Obra sono rispettivamente I'obiettivo prefissato
e I'obiettivo raggiunto. Ad es.: la giunta di un Comune delibera di aprire un certo numero di
asili, di assumere un certo numero di persone, ecc. Nell'esempio fatto l'obiettivo riguarda i
cosiddetti <obiettivi primari>>, costituiscono il fine principale, i fini istituzionali
<dell'istituzione>. Si ha quindi I'efficacia istituzionale allorquando l'obiettivo fissato
riguarda il cosa produrre, il cosa conseguire. Si ha l’efficacia istituzionale allorquando
l'obiettivo riguarda I'istituzione di nuove attività competenze, la produzione di <nuovi
prodotti> oppure una modifica di contenuto di tali attività competenze e di prodotti finali. E
questi obiettivi riguardanti le attività competenze o i prodotti finali possono essere stabiliti
per legge, per regolamenti, per delibere degli organi competenti o anche per decisioni
dell’autorità <politica preposta al settore interessato. Nel caso di efficacia istituzionale
risulta molto difficile la graduazione del raggiungimento dell'obiettivo e la relativa
quantificazione del rapporto obiettivo prefissato/obiettivo raggiunto. Anche in caso di
efficacia istituzionale è sempre opportuno quantificare quanto più è possibile. In realtà nel
valutare I'efficacia istituzionale di una legge, di un regolamento, di una circolare, di un
provvedimento, ecc., non si può non tenere conto di quegli obiettivi generali del governo
della cosa pubblica, come ad esempio prestigio delle istituzioni, fiducia nei responsabili
politici, non appesantire la macchina burocratica con iniziative istituzionali inefficaci negli
specifici obiettivi, motivazione del personale. Anche nell'efficacia istituzionale, come
abbiamo visto nell'efficienza istituzionale, il raggiungimento del rapporto fra obiettivo
prefissato ed obiettivo raggiunto dipende soprattutto da una realistica valutazione di tale
rapporto. E evidente che I'efficacia istituzionale è congiunta a quella gestionale, come
meglio vedremo in seguito, ma la separazione concettuale e metodologica è necessaria per
95
facilitare la delimitazione di responsabilità fra politica e gestione. Quante volte da parte dei
dirigenti e funzionari si è evidenziata la scarsa sensibilità <produttivistico (come mix di
efficienza ed efficacia) degli amministratori a giustificazione della scarsa produttività
gestionale, come per I'efficienza, anche I'efficacia istituzionale, poiché si riferisce ad
obiettivi-fine dell'ente interessato, deve essere preventivamente determinata per una
realistica quantificazione del raggiungibile. Comunque I'efficacia istituzionale in una
struttura pubblica è il rapporto fra l'obiettivo formalmente approvato in conformità
all'ordinamento giuridico di tale struttura e quello realizzato.
Anche per l'efficacia gestionale vale la definizione di <rapporto fra obiettivo previsto e
obiettivo realizzato>>, ma limitatamente alla gestione intesa come concreto operare in vista
dell'ottimale raggiungimento degli obiettivi (risultati) stabiliti in sede istituzionale.
L'efficacia gestionale non concerne quindi il (cosa produrre>>, ma il <come>> produrre il
<cosa>.
Mentre per I'efficacia istituzionale la responsabilità è del responsabile <politico di una certa
istituzione, per quella gestionale la responsabilità è della direzione amministrativa
dell'istituzione. Più in concreto 1'efficacia gestionale può riguardare: a) produrre di più in
rapporto a determinate risorse (umane, tecnologiche, finanziarie); b) produrre a minori costi;
c) produrre prima; d) produrre meglio. Nei casi a) e b) si ha I'efficienza che diventa il
risultato primario, ma in tal modo è preferibile parlare, per evitare equivoci, di efficienza
gestionale. L'efficacia gestionale riguarda essenzialmente il produrre prima e meglio. Il
manager deve essere efficiente (produrre di più e a minori costi) ed essere efficace (produrre
prima e meglio); mixare al meglio efficienza ed efficacia in vista del raggiungimento degli
obiettivi istituzionalmente prefissati, è la scienza-arte del manager. Costruire o meno un
asilo nido, approvarne il relativo progetto spetta alla giunta del Comune, ma le decisioni per
costruirlo bene e nel minor tempo possibile sono (dovrebbero essere) della dirigenza
tecnico-amministrativa.
L'efficacia gestionale è data dal rapporto fra i tempi previsti e quelli effettivamente spesi per
realizzare l'asilo; fra la qualità complessiva (agibilità, luminosità,
materiali impiegati,
assenza di imperfezioni) prevista e quella concretamente ottenuta. Nel sistema gestionale
Ntg è con la tecnica Ntg (indicatori di efficacia) che è possibile monitorare e analizzare
I'efficacia gestionale. Il controllo statistico di qualità diventa così valutazione degli
indicatori di efficacia che viene conseguentemente definito <rapporto fra prodotto atteso
dall'utenza e prodotto reso>. Trattasi di una finalizzazione più specifica dell'efficacia, con un
trasferimento all'utenza della <titolarità: è efficace quel prodotto che viene considerato di
96
gradimento dell'utenza, una tale definizione dell'efficacia, il cui contenuto di <rottura viene
attenuato nella fase finale del progetto, sposta all'esterno la valutazione dell'operato del
management pubblico. Tale <esternalizzazione>> dell'efficacia, a ben riflettere, costituisce
per la PA I'unico rimedio alla mancanza di mercato. Infatti se per il privato, in ultima
analisi, l'efficacia istituzionale è data dal profitto e quella gestionale dalla vendita del
prodotto, nel pubblico I'efficacia istituzionale è il consenso politico sulla totalità della
produzione di un certo ente, quella gestionale è data dalla <vendibilità> potenziale espressa
dal gradimento dell'utenza. D'altronde anche nel privato si sta sempre più enfatizzando il
concetto del produrre meglio in funzione di ciò che l'utenza ritiene migliore..
In generale l’individuazione degli indicatori di efficacia è stata limitata all'efficacia
gestionale per I'efficacia istituzionale, la varietà e la indeterminatezza degli obiettivi
rendono difficile e spesso impossibile una quantificazione del rapporto fra obiettivi
prefissati e obiettivi raggiunti. È certamente possibile indicizzazione dell'efficacia
istituzionale; ad esempio, obiettivo prefissato: costruire 30 chilometri di nuove strade;
obiettivo raggiunto: 20 chilometri; indicatore di efficacia 2/3 (20/30).
L'indicatore di adeguatezza di un dato prodotto in un determinato periodo misura il rapporto
fra la quantità di prodotto realizzata e quantità di prodotto richiesta dall'utenza. Alcuni
esempi sono utili per chiarire meglio il valore di tale indicatore (tempo di riferimento: un
anno): un asilo nido comunale assiste 50 bambini a fronte di una richiesta per 50 bambini;
per il parametro sostitutivo <bambini assistiti> si ha Indicatore Adeguatezza Prodotto =
50/50 = 1. Come si può rilevare, l'adeguatezza di un prodotto non è altro che il rapporto fra
offerta (reale) e domanda (effettiva) di un dato prodotto relativo ad un dato settore, ad un
dato ente. Può darsi il caso che la potenzialità di un asilo comunale sia di 80 bambini al
giorno, ma la produzione effettiva è sempre di 50 al massimo se solo per 50 bambini viene
richiesta I'assistenza in asilo. Nel sistema Ntg la quantità realizzata viene monitorata e
valutata con la tecnica gestionale. Invece, è reale e non può non essere presa in
considerazione la quantità espressa e non soddisfatta nel periodo precedente e quella
espressa e non soddisfatta nel periodo di riferimento. E opportuno però affermare che, ai fini
del calcolo dell’indicatore di adeguatezza, il tempo intercorrente dal momento in cui la
richiesta del prodotto arriva al settore interessato a quello in cui tale richiesta viene
soddisfatta (cioè il tempo che misura la tempestività), non viene comunque considerato ai
fini della valutazione dell' indicatore di adeguatezza.
La tempestività nell'attività e nei servizi pubblici risulta uno dei fattori più importanti
dell'efficacia gestionale. La lamentela principale degli <utenti della PA> riguarda la lentezza
97
degli operatori pubblici. Su tale fattore di efficacia viene ad incidere molta parte della
patologia tipica del pubblico. Migliorare organizzativamente l’indicatore di tempestività
significa migliorare consistentemente l'efficacia gestionale dell'operare pubblico. La criticità
di tale fattore si è sempre più accentuata in relazione alla forte accelerazione dei <tempi di
procedura> dell'economia e del sociale. In un sistema economico - sociale che è sempre più
aperto al mondo, i tempi lunghi del <burocratico> sono oggettivamente un peso intollerabile
per il paese. Le esperienza effettuate hanno confermato che il punto critico dell’operare della
PA è proprio quello della tempestività. La tecnica gestionale (analisi ed ottimizzazione delle
procedure ) è metodologicamente finalizzata all'analisi, all’ottimizzazione e alla riduzione
dei tempi medi di procedura. Si pensi ai vari decreti orientati a stabilire per legge i tempi di
procedura e lo snellimento delle stesse, tutto ciò appare impossibile realizzare se non si
elimina la lentezza procedurale insita nella realizzazione del prodotto. Possiamo definire
I'indicatore di tempestività (ITsp) di un dato prodotto come il rapporto fra il tempo medio di
procedura previsto (Tmpp) per il prodotto da realizzare e quello mediamente e
concretamente verificatosi (Tmvp) in un certo periodo. Con simbolismo matematico si ha:
ITsp = Tmpp/Tmvp.
In generale l'accuratezza di un prodotto come fattore di efficacia non è di facile delimitazione e ancor più di quantificazione. Si è cercato di individuare innanzitutto i sub-fattori che
lo caratterizzano, di quantificarne statisticamente i <valori> e di ricavarne degli indicatori. I
sub fattori presi in esame sono i seguenti: a) errori; b) imperfezioni; c) coerenza con
prodotto atteso. I primi due sub fattori sono di tipo negativo (assenza come fatto positivo), il
terzo è di tipo positivo (assenza come fatto negativo). A differenza dei precedenti fattori di
efficacia (adeguatezza e tempestività), l'accuratezza, soprattutto per la presenza del sub
fattore di tipo c, non può essere valutata da chi <produce>. Come meglio si vedrà in seguito,
anche per 1'adeguatezza e per la tempestività è opportuno spesso <saggiare> come I'utenza
percepisce il grado di tali fattori, ma per I'accuratezza la via del <sentire> gli utenti
costituisce una strada obbligata. Nell'accuratezza si sostanzia essenzialmente la <qualità del
prodotto. L'indicatore di accuratezza si può ricavare correttamente solo mediante indagine
fra I'utenza. Per ricavare quest'indicatore non si può fare altro che ricorrere a questionari
opportunamente studiati ed essenzialmente tesi a identificare tutti gli aspetti dell'
accuratezza. Costituisce errore di un prodotto <la presenza o I'assenza>di componenti che ne
rendono impossibile I'utilizzabilità. Si tratta di errori che emergono dopo che il prodotto è
stato consegnato. Es.: mancanza completa (o errata) di individuazione del titolare in un
provvedimento di concessione edilizia. Le imperfezioni di un prodotto le possiamo definire
98
come <<l’assenza o la presenza di componenti> che pur non comportando una sua
inutilizzabilità rendono il prodotto stesso diverso dallo standard previsto. Es.: pulizia di una
strada comunale non completa o non frequente. Nel campo dell'attività pubblica ed in
particolare nel caso di prodotti che si sostanziano come atti amministrativi, l'imperfezione è
quasi sempre considerata errore. Ed è proprio per evitare le imperfezioni-errori che si fa
ricorso frequente alla modulistica standard. È evidente la difficoltà di delimitazione fra i vari
sub fattori dell'accuratezza; ma questa difficoltà non è un ostacolo insuperabile. D'altra parte
gli errori, le imperfezioni che dovranno essere valutati ai fini di definire l'indicatore di
accuratezza di un prodotto sono quelli che in concreto saranno considerati tali nello
specifico caso sottoposto ad indagine campionaria.
I precedenti due sub fattori di accuratezza (di tipo negativo) sono caratterizzati da un certo
grado di obiettività il sub fattore coerenza con prodotto atteso è tipicamente soggettivo. È
evidente che la valutazione di tale sub fattore risente moltissimo degli altri due; ma
I'opportunità di oggettivizzare la soggettività della <sensazione dell'utente)) per quanto
riguarda la qualità del prodotto nel suo complesso è un elemento essenziale per l’efficacia
della valutazione dell'accuratezza nel suo complesso. Si è già detto che gli indicatori di
efficacia nel sistema Ntg sono tre: - indicatore di adeguatezza _ IAd; - indicatore di
tempestività - ITs; - indicatore di accuratezza _ IAc. Gli indicatori di adeguatezza e di
tempestività possono e debbono essere ricavati, utilizzando i dati statistici dell'ente
interessato; l'indicatore di accuratezza deve essere invece sempre valutato <sentendo>
I'utenza. Ferma restando la valutazione interna come prassi costante, talvolta è consigliabile
verificare come gli utenti <<percepiscono> loro medesimi l’adeguatezza, la tempestività.
Ne consegue che l'opportunità di effettuare indagini volte a ricavare tutti gli indicatori di
efficacia, mediante questionari da somministrare agli utenti, e di confrontare gli indicatori
di adeguatezza e di tempestività così ottenuti con quelli ricavati dai dati statistici dell’ente.
Ai fini della realizzazione del questionario da sottoporre all’utenza occorre in via
preliminare stabilire il punteggio da attribuire ad ognuna delle risposte ottenibili. Tale
punteggio può essere di qualunque entità in quanto l’indicatore sarà sempre determinato
rapportando il punteggio ottenuto a quello massimo ottenibile; il rapporto sarà tendente ad
uno. Il questionario è da considerare vincolante, diversamente non sarebbero possibili
confronti storici e geografici.
La valutazione della produttività si basa essenzialmente non tanto sui valori assoluti dei vari
indicatori, quanto sul loro variare nel tempo (per lo stesso settore, ente, ecc.) Le tecniche
gestionali sono essenzialmente tecniche di monitoraggio informatizzato dello stato di salute
99
di un settore, di un ente. La valutazione delle variazioni degli indicatori, conosciuti dei vari
periodi di tempo richiede semplici elaborazioni matematiche. Così come è necessaria
l’analisi approfondita della variazione degli indicatori dei costi, i quali mettono in evidenza
I'aumento o diminuzione percentuale dei costi di ciascun prodotto, di ciascun settore,
dell'ente in un determinato intervallo di tempo. Questo infatti è 1'obiettivo principale del
monitoraggio dei costi. La conoscenza della variazione dei fattori tipizzati di costo,
relativamente a ciascuno dei prodotti, dei settori e all'intero ente, integra quella della
variazione dei costi totali. Ed è fondamentale poiché fornisce informazioni circa le cause di
peggioramento o miglioramenti dei costi. Ma anche a parità o miglioramento dei costi, la
conoscenza della variazione dei costi consente di <allarmare> su inefficienze relative ad
alcuni fattori, compensate con maggiore efficienza di altri fattori. La conoscenza della
percentuale di <partecipazione> di ciascun-fattore tipizzato al totale dei costi di un prodotto,
di un settore, di un ente, costituisce un’informazione certamente valida in assoluto.
È utile ai fini non solo del controllo dei costi, ma anche delle decisioni direzionali, sapere ad
esempio che il costo del fattore personale incide del 60% sul costo dell'ente, del 30%o sul
costo di un settore e del 45% sul costo di un prodotto vendibile, tale conoscenza si ottiene
indipendentemente dal monitoraggio. Tuttavia senza il monitoraggio non è possibile sapere
evidentemente come sono variate o stanno variando nel tempo tali <partecipazioni>. E non
va sottovalutato il fatto che è sempre sull'andamento degli scostamenti che si prendono le
decisioni più significative per migliorare la produttività di un'azienda.
Gli indicatori di costo nel sistema Ntg, come indicatori di produttività economica, hanno gli
stessi significati degli altri indicatori di produttività, ossia hanno validità come scostamenti
e non come dati assoluti. Un tasso di variazione percentuale positivo sta ad indicare che la
produttività economica del settore sta migliorando (tanto più quanto più elevato è il tasso);
un tasso di variazione negativo indica che la produttività economica sta peggiorando.
100
CAPITOLO 3
Definizioni del concetto di valutazione
3.1. Definire la valutazione
Chi legge di valutazione avrà sicuramente notato la proliferazione terminologica e
concettuale esistente, nonché l’uso confusionario allorché ci si serve di termini
diversi per concetti uguali o termini uguali per concetti diversi; una confusione che
non è solo terminologica ma anche concettuale.
Ciò sembra rendere necessario o quanto meno opportuno interrogarsi sul significato
della valutazione, fra consulenza corrente e ricerca scientifica “applicata”; sulle sue
differenze e/o specificità rispetto alla ricerca pura; sui problemi epistemologici e
sulla multidisciplinarietà, come interagiscono le discipline nella valutazione; ed
ancora sull’approccio metodologico cioè qual è il disegno della ricerca valutativa? È
esso specifico, nel senso che appartiene alla valutazione, o aspecifico, nel senso che
appartiene alle scienze sociali?
Dobbiamo intendere la valutazione semplicemente come valutazione sociale, dove
portare i propri saperi specifici e superare i limiti di questi con un’attività
multidisciplinare, o altro?1
Poiché a noi interessa la valutazione in quanto processo di formulazione di giudizi
basati su un percorso di ricerca sociale, penso sia utile una sintesi dei concetti
fondamentali relativi alla valutazione, ed alle sue tecniche, ma prima ancora una
riflessione sui diversi approcci alla valutazione attraverso una raccolta, che non vuole
certo essere esaustiva, delle citazioni sulla valutazione.
Le definizioni sono raggruppate a seconda che si tratti di:
1
Lo statuto dell’Aiv, art. 2 “Oggetto sociale” così recita: “Riconoscendo che la valutazione è, da una
parte, un’attività rilevante per ogni sfera della pratica nei vari campi delle politiche strutturali,
formative, territoriali, sanitarie, ecc. e, dall’altra, oggetto di attività professionali svolte in ambiti
disciplinari di diverso genere, l’associazione definisce come campo prioritario del proprio interesse
quelle attività di valutazione che:
- comportino l’utilizzo prevalente, ancorché non esclusivo, del bagaglio teorico e metodologico delle
scienze umane e sociali, nel rispetto del pluralismo metodologico che esse consentono;
- analizzino politiche ed interventi pubblici o privati da una pluralità di angolazioni, dal processo di
attuazione di una politica ai suoi risultati ed effetti sulla società, considerandone gli aspetti di
efficienza, efficacia, equità;
- suscitino azioni di partecipazione e di comunicazione da parte dei soggetti direttamente o indirettamente
interessati, ovvero considerino la partecipazione e la comunicazione come possibili oggetti della
valutazione stessa”.
- definizioni che identifichino obiettivi impliciti o espliciti della valutazione, le finalità,
i destinatari, le tecniche utilizzate nella ricerca valutativa.
- definizioni che facciano riferimento a riflessioni metodologiche, metodi, procedure
nella ricerca, nonché ai conseguenti problemi di validità e attendibilità, il rapporto
della ricerca valutativa con la sfera scientifica, l’interazione con le altre scienze.
- definizioni che sottolineino l’aspetto decisionale, il rapporto della ricerca valutativa
con la sfera politica, la programmazione, proponendo o un modello di ricerca
valutativa volta alla trasformazione (i decision makers, le policy); o una valutazione
partecipata, volta all’interesse pubblico.
- definizioni che attengono alla pratica e alla qualità: la valutazione come professione;
la sfera degli operatori, l’organizzazione e gli atteggiamenti verso la valutazione; la
qualità totale e percepita.
Mi pare interessante chiedersi quale sarebbe stata la posizione di un giurista,
cinquanta anni fa, di fronte al problema della valutazione dell’azione amministrativa.
Probabilmente, avrebbe sostenuto che la valutazione viene svolta, di regola, dal
giudice, il quale ha come parametro la legge.
La risposta appare oggi diversa perché, nel frattempo, si sono sviluppati servizi la cui
erogazione è divenuta compito dei pubblici poteri o che hanno assunto dimensioni
diverse dalle funzioni tradizionali. Inoltre, sono mutate le attese degli utenti. Infine,
rispetto a questi servizi, non vi sono più quei metri nei quali si poteva fiduciosamente
contare.
L’attuale maggiore complessità della valutazione rispetto al passato forse è uno dei
motivi del confusionario proliferare di approcci e tentativi di definire un concetto
cosi poliedrico.
Quelle che seguono sono alcune delle definizioni di carattere generale, implicite o
esplicite della valutazione e della ricerca valutativa, o della valutazione di impatto
ambientale; degli obiettivi impliciti o espliciti, delle sue finalità e destinatari.
Ovviamente necessitano di integrazioni e sistemazione prima di ogni riflessione, ma
si può già avere una idea degli innumerevoli approcci al concetto di valutazione:
Una definizione generale
si può considerare la valutazione come un’attività cognitiva rivolta a fornire un
giudizio su di un’azione (o complesso di azioni coordinate) intenzionalmente svolta o
che si intende svolgere, destinata a produrre effetti esterni, che si fonda su un’attività
102
di ricerca delle scienze sociali e che segue procedure rigorose e codificabili (questo
aspetto distingue la valutazione come impresa scientifica dalla corrente attività di
espressione di un giudizio).2
La valutazione è principalmente (ma non esclusivamente) un’attività di ricerca
sociale applicata, realizzata, nell’ambito di un processo decisionale, in maniera
integrata con le fasi di programmazione, progettazione e intervento, avente come
scopo la riduzione della complessità decisionale attraverso l’analisi degli effetti
diretti ed indiretti, attesi e non attesi, voluti o non voluti, dell’azione, compresi quelli
non riconducibili ad aspetti materiali; in questo contesto la valutazione assume il
ruolo peculiare di strumento partecipato di giudizio di azioni socialmente rilevanti,
accettandone necessariamente le conseguenze operative relative al rapporto fra
decisori, operatori e beneficiari dell’azione.
Si può considerare la valutazione come un’attività cognitiva rivolta a fornire un
giudizio su di un’azione (o complesso di azioni coordinate) intenzionalmente svolta o
che si intende svolgere, destinata a produrre effetti esterni, che si fonda su un’attività
di ricerca delle scienze sociali e che segue procedure rigorose e codificabili (questo
aspetto distingue la valutazione come impresa scientifica dalla corrente attività di
espressione di un giudizio).3
La valutazione non può prescindere dalla ricerca affidabile
Con ‘valutazione’ si intende l’insieme delle attività collegate utili per esprimere un
giudizio per un fine, giudizio argomentato tramite procedure di ricerca valutativa che
ne costituisce l’elemento essenziale ed imprescindibile di affidabilità delle procedure
e fedeltà delle informazioni utilizzate per esprimere quel giudizio.
Significato della valutazione in un contesto di interesse collettivo
Valutare significa misurare la portata di un fenomeno, analizzarne i risultati e
l’efficacia attraverso set di indicatori disegnati e costruiti ad hoc, identificare
positività e criticità, ipotizzare tendenze e possibili suggerimenti utili alla
programmazione e gestione4
Valutare significa analizzare se un’azione intrapresa per uno scopo corrispondente ad
un interesse collettivo abbia ottenuto gli effetti desiderati o altri, ed esprimere un
22
Mauro Palumbo, Il processo di valutazione. Decidere, programmare, valutare, Franco Angeli, Milano 2001
4
Aviana Bulgarelli (a cura di), L’integrazione fra sistemi di formazione e istruzione nel primo triennio di
gestione del Fondo Sociale Europeo, Isfol – Struttura di valutazione del FSE, [Roma] 1997, pp. 1-2
103
giudizio sullo scostamento che normalmente si verifica, per proporre eventuali
modifiche che tengano conto delle potenzialità manifestatesi. La valutazione è quindi
un’attività di ricerca sociale al servizio dell’interesse pubblico, in vista di un
processo decisionale consapevole: si valuta per sapere non solo se un’azione è stata
conforme ad un programma esistente, ma anche se il programma è buono. Si tratta di
un procedimento messo in moto da una domanda di valutazione da parte di un
committente pubblico (e/o offerta di valutazione da parte del valutatore). Esso si
articola in un disegno della valutazione (proposto dal valutatore al committente, e
concordato tra di essi) e una ricerca empirica (fatta dal valutatore, a cui possono
partecipare a vario titolo rappresentanti del committente e degli utenti); e infine
sfocia in una discussione dei risultati e una proposta al pubblico.
La valutazione risponde ad un’esigenza di una società democratica che vuole
conoscere le proprie capacità nel fornirsi dei beni e dei servizi di cui ha bisogno, e
che affronta difficoltà e limiti imparando dalla propria esperienza.5
All’origine della affermazione della valutazione possiamo rinvenire due elementi: un
grande sviluppo delle scienze sociali empiriche ed una pratica di governo basata sulla
programmazione per obiettivi.
Finalità della valutazione della ricerca scientifica
La motivazione generale della valutazione è la necessità di garantire che la ricerca
scientifica e tecnologica venga impostata e realizzata secondo una logica di
efficienza ed efficacia e di soddisfacimento dei bisogni culturali, sociali ed
economici della società6
approccio metodologico alla valutazione volta all’analisi degli effetti
la valutazione è un processo di ricerca sociale applicata, orientato alla comprensione
ed all’apprezzamento, in campi d’azione determinati, dei risultati conseguiti, in una
prospettiva analitica che include nel proprio raggio l’intero processo di azione
considerato.
Si tratta di un lavoro di analisi che ha come scopo quello di cogliere, attraverso un
procedimento induttivo di ricerca, le strategie, i comportamenti e l’intreccio delle
relazioni multiple che gli attori implicati nel processo hanno e di identificare il
sistema che contiene tali relazioni, i cui contenuti specifici (risultati delle azioni,
5
Nicoletta Stame, L’esperienza della valutazione, Ed. SEAM, Roma 1998, p. 9
6
Ennio Galante – Cesare Sala – Luca Lanini, Valutazione della ricerca agricola, Franco Angeli, Milano 1998,
p. 11
104
strategie di implementazione, misure e mezzi adottati, finalità generali, obiettivi
parziali, eccetera) costituiscono altrettante poste in gioco intorno alle quali si
svolgono le relazioni tra gli attori.
Ogni azione produce dinamiche non previste che la valutazione deve cercare di
esplorare
Quello che interessa la valutazione è il rapporto che si viene a creare fra i vari
elementi che compongono un’azione programmata (obiettivi, mezzi, risultati),
affinché essa sia efficace (produca gli effetti desiderati) e utile (produca effetti che
possano rispondere a problemi esistenti, in modo equo). La valutazione parte infatti
dal presupposto che nel contesto specifico in cui un programma viene realizzato si
scatenino dinamiche e comportamenti dei diversi attori tali per cui esso ben
raramente si sviluppi come era stato previsto, e che però conflitti e divergenze tra gli
attori possano essere affrontati e risolti osservando il dispiegarsi stesso dei singoli
aspetti, magari confrontandolo con altri aspetti (e con altri programmi).
In conclusione, la valutazione tiene conto dell’azione ma a sua volta interviene per
aiutare a correggere e modificare sia il suo andamento che la progettazione, in un
processo circolare che può giungere a riformulare gli obiettivi, sulla base del
rendimento dei mezzi e della soddisfazione rispetto ai risultati. La scoperta poi di
conseguenze inattese positive che possono aiutare ad affrontare altri problemi chiude
per così dire questo cerchio.7
Contesti della valutazione economica della vita umana
I tipi di decisioni nei quali si può porre un problema della valutazione economica
della vita umana sono molto numerosi. Ci limiteremo a ricordare:
- l’introduzione di politiche nuove:
- la modificazione o la restrizione, o la revoca di politiche già in atto
- le scelte in materia di ricerca scientifica
- le decisioni cliniche assunte dai singoli operatori (in primo luogo, i medici) 8
7
Nicoletta Stame, La valutazione delle politiche e dei servizi, “Tutela. Trimestrale di politiche sociali”, a. XI, n.
1-2, giugno 1996, p. 7
8
Fabio Nuti, Introduzione all’economia sanitaria e alla valutazione delle decisioni sanitarie, G. Giappichelli
Editore, Torino 1998, p. 114
105
Differenze fra valutazione, monitoraggio e audit
Valutare significa giudicare gli effetti di un’azione sugli individui, sulle
organizzazioni e sui contesti socio-economici a livelli idonei (ad esempio:
subregionale, regionale, nazionale, comunitario).
E’ importante non confondere la nozione di valutazione con quelle di audit e di
monitoraggio, concetti che, per quanto ci riguarda, possiamo definire come segue:
− audit: accertamento dei fatti e dei processi di base rispetto al livello di attività, e della
spesa ad essa contrattualmente associata, nel corso dei singoli progetti;
− monitoraggio:
controllo
costante
del
progetto-programma
dall’inizio
(sua
approvazione) alla fine. E’ incentrato su quegli aspetti che rappresentano la chiave
per conoscere l’andamento delle attività e l’efficacia interna al progetto e al
programma.
La valutazione comprende i compiti dell’audit e del monitoraggio, ma si spinge oltre
nella misura in cui essa implica l’interpretazione e il giudizio.9
In cosa consiste il monitoraggio
Il monitoraggio è un’attività che entra nella valutazione senza identificarvisi10
Una funzione del management che, attraverso una raccolta metodica di dati, verifica
se le risorse materiali e finanziarie impiegate in un’iniziativa sono sufficienti, il
personale impiegato è adeguatamente preparato e qualificato, le attività in atto sono
previste nei termini di riferimento e sono stati raggiunti gli obiettivi prefissati nei
piani di lavoro.
La "valutazione in corso d'opera" viene spesso chiamata "monitoraggio". Il
monitoraggio è particolarmente utile nei programmi e progetti di ricerca pluriennale
per ri-orientare, correggere ed eventualmente arrestare l'azione intrapresa.11
Funzioni del monitoraggio e relazioni con la valutazione
La funzione di monitoraggio informa se gli inputs previsti, forniti tempestivamente
ed in misura adeguata, hanno prodotto gli outputs pianificati. Essa verifica anche se
le ipotesi cruciali (condizioni) sulle quali si basa la realizzazione del programma
9
Isfol - Cee, La valutazione nel Fondo Sociale Europeo. Metodologia di valutazione dei programmi operativi,
F. Angeli, Milano 1993, p. 40
10
Nicoletta Stame, La valutazione in Italia: esperienze e prospettive, in Claudio Bezzi – Mauro Palumbo (a cura
di), “Strategie di valutazione. Materiali di lavoro”, Gramma, Perugia 1998, p. 17
11
Paolo Maria Fasella, L'evoluzione della valutazione comunitaria della ricerca, "UR - Università Ricerca", n. 3,
1998, p. 5
106
continuano ad essere soddisfatte. Il monitoraggio si fonde successivamente con la
valutazione in corso di programma, nel senso che quest’ultima esamina criticamente
(ed informa) se gli outputs realizzati producono gli effetti previsti e se da questi
effetti discendono gli impatti previsti sulla popolazione.
differenze fra monitoraggio e valutazione
Per semplificare e ricorrendo ad un'immagine efficace, mentre il monitoraggio si
limita a registrare l'andamento a zig zag di una barca a vela nel perseguire un
percorso contro vento, e così facendo segnala il discostarsi dal tragitto lineare
teorico, la valutazione è in grado non solo di motivare tale modalità di percorso ma
anche di proporre itinerari alternativi dettati dalle condizioni in cui l'esercizio
avviene.12
Se si confonde la valutazione col monitoraggio il risultato è sterile e non utilizzato
Il monitoraggio è un sistema di raccolta di informazioni sugli input e la loro
utilizzazione, sui tempi di esecuzione e sul grado di realizzazione degli output attesi,
per costruire una base dati dalla quale trarre indicatori significativi; esso dovrebbe
permettere un feedback per le attività del controllo di gestione. Le informazioni
raccolte nel monitoraggio di un programma o di un servizio possono essere usate
anche nella valutazione, sia per un confronto comparativo con altre unità di servizio,
sia come base di un giudizio sulla efficacia del programma. Spesso però le due
attività sono confuse, tanto che capita di leggere valutazioni di programmi che sono
progettate come monitoraggi: si seguono le tappe di implementazione dei
programmi, si descrivono le operazioni svolte e gli output prodotti, e ci si ferma lì.
Manca totalmente l’idea che una valutazione debba riferire gli effetti agli obiettivi,
che debba esprimersi su effetti attesi e inattesi, che possa proporre modifiche in base
a ciò che ha visto funzionare meglio. La conseguenza è che tali valutazioni non
vengono mai utilizzate dai loro destinatari, i quali scoprono sempre cose che
sapevano già.
Differenze fra valutazioni di processo e di impatto, e monitoraggio
1) Le valutazioni di processo affrontano di norma l’aspetto procedurale, e mirano ad
analizzare i seguenti aspetti:
a) la congruenza tra gli obiettivi indicati ex ante e quelli perseguiti in fase di attuazione
(rilevante se gli attuatori sono soggetti diversi dai decisori);
12
Alberto Silvani, I metodi, le tecniche e le procedure per la valutazione della ricerca, "UR - Università
Ricerca", n. 3, 1998, pp. 8-9
107
b) il grado di cooperazione tra i vari soggetti coinvolti nella definizione ed attuazione
delle politiche;
c) il modo in cui vengono raggiunti i destinatari delle politiche;
d) le procedure di partecipazione adottate;
e) le risorse impiegate (stanziate ed effettivamente utilizzate) per realizzare l’intervento;
f) gli ostacoli o facilitazioni incontrati nell’implementazione dell’intervento;
g) gli impatti rilevabili dell’intervento.
Questa procedura ha spesso carattere descrittivo, eccezion fatta per il punto g), che
costituisce invece il fuoco principale della tecnica indicata al punto 3.
2) I sistemi di monitoraggio si pongono invece l’obiettivo di misurare gli input e gli
output delle politiche, in termini di risorse e di attività o risultati previsti o ottenuti.
Sotto questo aspetto si configurano come tecniche di valutazione dell’efficacia
interna, in quanto prescindono dalla valutazione dell’impatto sull’ambiente socioeconomico esterno, e concentrano la loro attenzione sul rapporto tra risultati attesi e
conseguiti.
3) Le valutazioni d’impatto hanno invece ad oggetto la valutazione della misura in
cui l’intervento pubblico abbia contribuito a modificare una situazione preesistente
(e, in subordine, se tale intervento sia stato realizzato al minor costo possibile).
Misurano pertanto l’efficacia (e l’efficienza) esterna, avvalendosi di tecniche quali
l’analisi costi benefici.13
Tecniche di monitoraggio.
elementi del monitoraggio come elemento amministrativo:
In questa categoria sono raggruppabili le tecniche che dirigono l’attenzione in
particolare sugli aspetti di carattere amministrativo dell’attività di un servizio. Le
procedure implicano la definizione di responsabilità, che vanno monitorate e
l’elaborazione di un rapporto ottimale fra tempi e movimenti con riferimento a
standards predefiniti.
condizioni perché si possa parlare di monitoraggio
qualsiasi raccolta di informazioni sui soggetti coinvolti in un intervento può essere
definito monitoraggio quando siano soddisfatte queste due condizioni: che i dati
siano organizzati in modo da poter essere trattati analiticamente, e che lo scopo
13
Mauro Palumbo, La valutazione. Definizioni, concetti, obiettivi, in Claudio Bezzi (a cura di), “La valutazione
della formazione professionale”, Irres, Perugia, 1995, pp. 8-9
108
ultimo di tale raccolta e manipolazione di dati sia di informare il processo
decisionale14
teorica distinzione fra produzione di dati e giudizio nella valutazione
Valutare implica il giudicare, mentre realizzare uno studio di valutazione implica il
fornire le informazioni necessarie per consentire di svolgere correttamente il compito
di valutazione-giudizio. Una simile distinzione tra emettere dei giudizi e fornire dei
dati è chiara e utile in teoria, ma di difficile attuazione in pratica.
La valutazione di impatto sociale come anticipatory research
La ricerca coinvolta nella Valutazione di impatto sociale, come del resto quella
implicata nella Valutazione di impatto ambientale, si costituisce nitidissimamente
come Anticipatory research nel senso proprio che essa individua, stima e valuta gli
impatti, prima di tutto negativi ma anche positivi, che un’azione, prevalentemente
socio-tecnica, produce sul sistema sociale di riferimento ma ciò nelle fasi temporali
che precedono l’implementazione vera e propria.15
La Valutazione di impatto ambientale come strumento di miglioramento decisionale
nell’interesse pubblico
La Valutazione di impatto ambientale si legittima in quanto strumento di
miglioramento delle decisioni e delle azioni a rilevanza ambientale, avendo come
criterio, per le scelte, l’interesse pubblico.16
Le prospettive multiple come fattore di miglioramento del Social impact analysis
(valutazione di impatto sociale)
La ricerca di assessment deve essere in grado di porre in evidenza che uno stesso
problema può essere considerato da una serie di differenti punti di vista le cui
domande, richieste di informazioni, obiettivi, logiche e razionalità possono o non
essere convergenti.
L’effetto pratico di questa impostazione è che il problema posto al centro della
valutazione di impatto sociale non è più “quali sono gli impatti di una determinata
14
Alberto Martini – Pietro Garibaldi, L’informazione statistica per il monitoraggio e la valutazione degli
interventi di politica del lavoro, “Economia e Lavoro”, n. 1, gen-mar 1993, p. 4
15
Fulvio Beato, “La valutazione di impatto ambientale. Un approccio integrato”, Franco Angeli, Milano 1991,
16
Giandomenico Amendola, Qualità della vita, bene comune, rischio accettabile: topoi retorici e/ strettoie
concettuali della valutazione d’impatto ambientale, in F. Beato (a cura di), “La valutazione di impatto
ambientale. Un approccio integrato”, Franco Angeli, Milano 1991, p. 24
109
azione” bensì “quali sono gli attori coinvolti in questo tipo di azione, la loro
percezione del problema, i loro obiettivi, le loro aspettative”.
Tutto ciò comporta un mutamento rilevante in quello che può ritenersi il concetto
chiave del Social impact analysis, vale a dire l’individuazione della significatività o
accettabilità dell’impatto.
Il vero cuore di tutta la ricerca è infatti stabilire se un intervento produce una
perturbazione significativa di quelli che sono i trends naturali di sviluppo di un
sistema naturale e sociale.
L’interpretazione prevalente del concetto di significatività, costruito intorno alle
descrizioni statisticamente significative nella misurazione delle variabili prima e
dopo la realizzazione del progetto, appariva congruente con un tipo di approccio dato
implicitamente come scientifico e neutrale che non chiariva il punto di vista
dell’analisi e della valutazione, ma è del tutto inadeguato ad un nuovo tipo di
valutazione di impatto sociale come quello che si configura con l’uso delle
prospettive multiple.
In questo caso ciò che deve emergere è che esiste una pluralità di concetti di
significatività difficilmente riducibili in sintesi.
Ciò, lungi dal costituire un fattore di debolezza, può sul piano pratico consentire sia
una migliore conoscenza, con la costruzione di scenari più realistici riguardo alle
conseguenze dei progetti, sia anche una scelta finale più efficace in quanto sostenuta
da un modello di aiuto alla decisione, di tipo pluralistico e non univocamente
determinato.17
La Social impact analysis come anticipatory research
La valutazione di impatto sociale si definisce scientificamente come Anticipatory
research o come Anticipatory applied social science e tali connotazioni la
distinguono radicalmente dalla più affermata e conosciuta Evaluation research
(soprattutto la valutazione dei programmi) che formula le sue proposizioni analitiche
e valutative soltanto ex post e/o “in corso d’opera”, pur partecipando di un medesimo
movimento di scientificizzazione e controllo delle politiche pubbliche.18
17
Emma Corigliano, Il ruolo del “Social impact analysis” tra vecchi e nuovi paradigmi della valutazione di
impatto ambientale, in F. Beato (a cura di), “La valutazione di impatto ambientale. Un approccio integrato”,
Franco Angeli, Milano 1991, p. 80
18
Fulvio Beato, Il “Wolf’s paradigm” e la differenziazione sociale degli impatti, in Ibidem (a cura di), “La
valutazione di impatto ambientale. Un approccio integrato”, Franco Angeli, Milano 1991, pp. 171-172
110
la valutazione deve considerare anche gli impatti sugli individui
(necessità di studiare gli impatti psicologici sugli individui)
Di conseguenza il quadro globale di riferimento della valutazione deve prendere in
considerazione non solo gli impatti diretti e indiretti dell’azione proposta sulle risorse
della comunità e sull’organizzazione sociale ma anche gli impatti diretti e indiretti
sugli individui.19
La valutazione come determinazione dei risultati ottenuti per raggiungere un
obiettivo
Intendiamo per ricerca valutativa l’uso di metodi e tecniche della ricerca scientifica
allo scopo di esprimere valutazione. Vi è un sostanziale accordo fra gli esperti nel
definire la valutazione come il processo di determinazione dei risultati ottenuti con
una specifica attività, intrapresa per raggiungere un obiettivo avente un valore. Più
in specifico si ritiene che essa consista nello studio delle conseguenze, previste e non
previste, desiderabili e non desiderabili, dei programmi di attività predisposti per
ottenere un cambiamento sociale programmato.20
La valutazione va dunque collocata a tutti gli effetti all’interno di un modello di
pianificazione razionale.
Funzioni della valutazione e suo feedback
Il momento cruciale della valutazione sta in particolare nella identificazione dei
risultati, nella verifica della loro corrispondenza con gli obiettivi prefissati e nella
loro coerenza, di nuovo, con le scelte di valore. Da tale verifica deriveranno (o
dovrebbero derivare) le indicazioni per i successivi programmi, per una ridefinizione
delle scelte di valore e, conseguentemente, degli obiettivi.
La logica sperimentale della valutazione contro la burocratizzazione e le fughe
ideologiche
E’ in questo contesto [di generalizzata sfiducia verso le strutture esistenti] che risulta
indispensabile una disponibilità alla valutazione delle nuove realtà emergenti al fine
di evitare di cadere o in nuovi processi di burocratizzazione, o in fughe ideologiche
che pongono obiettivi, non li realizzano, e coprono questi e quelle con formule
19
Vicki L. Wilde, Il ruolo della psicologia nella valutazione di impatto sociale, in F. Beato (a cura di), “La
valutazione di impatto ambientale. Un approccio integrato”, Franco Angeli, Milano 1991, p. 207
20
Leonardo Altieri, La ricerca valutativa negli interventi sociali, in P. Guidicini (a cura di), “Nuovo manuale
della ricerca sociologica”, Franco Angeli, Milano 1987, p. 657
111
massimalistiche, promuovendo piuttosto la ricerca di una logica critica e
sperimentale idonea a verificare costantemente la rispondenza dei risultati ai fini
perseguiti.21
necessità di pianificazione e controllo delle strategie sociali alla stregua di quelle
economiche
Si è parlato spesso di un pericoloso conflitto tra strategie economiche ed effetti
sociali da quelle prodotti: è comunque certo che esiste una chiara subordinazione dei
bisogni sociali, in particolare individuali, alle scelte di sviluppo economico
complessivo, subordinazione che si rende più o meno evidente in rapporto agli
obiettivi politici che una nazione o che le forze in essa più potenti si propongono.
E’ proprio partendo da questa constatazione che negli ultimi anni è sorto un
movimento di pensiero rivolto a potenziare l’attenzione verso le modalità
dell’intervento sociale, non in quanto momento residuali di carattere riparatorio delle
contraddizioni dello sviluppo economico, ma come momento di precisazione del
quadro degli obiettivi reali dello sviluppo dell’intero sistema sociale.
Pur avvertendo la difficoltà di fornire quantificazioni opportune degli scopi sociali
principali e pur valutando il complesso sistema di vincoli strutturali che si frappone
al perseguimento degli stessi, è questo un tentativo di capovolgere l’ottica corrente,
economicistica, che assegnava fideisticamente ed ideologicamente allo sviluppo
economico una efficacia naturale di sanamento delle contraddizioni sociali: ma i fatti
e le esperienze maturate e la riflessione sulle vere finalità del mondo economico, e
quindi sulla qualità dei suoi obiettivi, hanno sufficientemente evidenziato come
esistano di fatto, in termini qualitativi ma anche quantitativi, percorsi divaricati tra
conseguimento di obiettivi economici legati agli interessi dei gruppi che li
propongono e li controllano, e uguaglianza nel benessere e nella produzione sociale.
L’orientamento emergente riguarda allora la possibilità di usare della pianificazione
sociale per precisare il quadro generale degli obiettivi e delle esigenze sociali da
soddisfare e di individuare di conseguenza le strategie opportune convertendo al loro
interno anche alcune delle caratteristiche tipiche dei processi economici,
21
Lorenzo Bernardi - Tony Tripodi, Metodi di valutazione di programmi sociali, Fondazione Zancan, Padova
1981, p. 11
112
sottoponendoli cioè sia ad una azione costante di controllo sia piegandoli a funzioni
socialmente produttive.22
la valutazione come tecnica gestionale, come raccolta ed elaborazione di
informazioni
La valutazione è una tecnica gestionale per fornire “feedback” di informazioni ai
responsabili dei programmi.
l’approccio valutativo include tutte le azioni finalizzate alla raccolta ed alla
elaborazione delle informazioni critiche per le decisioni di proseguimento, arresto o
modificazione nelle fasi di processo; nonché i criteri operativi per l’utilizzo di dette
informazioni.
La finalità del processo valutativo è in definitiva l’individuazione dei legami
“funzionali” e non meccanici, rigidi, tra i diversi fattori iniziali e le modificazioni
avvenute durante l’iter processuale.23
La valutazione come bilancio degli impatti sui destinatari
In sintesi, la Valutazione è un metodo di ricerca che si chiede se e quando un
intervento pubblico abbia avuto un impatto sui destinatari, a quali costi e se in
definitiva “ne è valsa la pena”.24
La valutazione tecnologica come raccordo fra trend tecnologici, desiderabilità delle
conseguenze e orientamento dei decisori
L’oggetto della valutazione tecnologica deve essere innanzitutto quello di
identificare quali siano i principali settori interessati, di anticipare gli effetti di questi
cambiamenti sulla società e di considerare il più obiettivamente possibile gli interessi
dei vari soggetti sociali.
In tale ottica, si può tentare sulla base di obiettivi previamente stabiliti di prevedere i
probabili trend della tecnologia e di analizzare le loro possibili conseguenze nel
modo più esaustivo al fine di costruire sulla base di strumenti valutativi (Delphi,
consensus conference, ...) un set di scelte praticabili finalizzate ad orientare i
principali decisori.
22
Lorenzo Bernardi - Tony Tripodi, Metodi di valutazione di programmi sociali, Fondazione Zancan, Padova
1981, p. 22
23
Claudio Bucciarelli, Come valutare. La necessità di un approccio sistemico, in Censis, “Speciale
valutazione”, “Note e commenti” n. 1/2, 1991, p. 17
24
Claudio M. Radaelli, Valutare le politiche pubbliche. Metodologia e cultura di un approccio di ricerca, in
Censis, “Speciale valutazione”, “Note e commenti” n. 1/2, 1991, p. 28
113
Piuttosto che uno strumento di analisi, la valutazione tecnologica deve essere
concepita come un processo permanente, che possa offrire le possibilità di studiare in
maniera sistemica le interazioni tra il cambiamento tecnologico e quello sociale al
fine di definire le opzioni tecnologiche socialmente accettabili. Essa dovrebbe anche
determinare i mezzi necessari attraverso i quali la società potrà influenzare ed
orientare le traiettorie dello sviluppo tecnologico.
Trattasi quindi di una condizione necessaria per un migliore “fine tuning” dei
programmi tecnologici e più generalmente una tappa indispensabile per la
formulazione delle politiche della scienza e della tecnologia.25
Valutazione, decisione e meccanismi di feedback
il concetto di valutazione [va inteso] come l’insieme delle attività che regolano il
meccanismo di feedback con cui gestire il processo decisionale.
In questa logica il meccanismo di feedback non riguarda solo il raggiungimento degli
obiettivi, ma tutti gli elementi che possono migliorare la capacità decisionale ed
operativa dei singoli individui.26
La valutazione come sistema di indicatori per il controllo
per attività di valutazione si [intende] quel processo che tenta di definire a posteriori
– tramite l’utilizzo e la messa a punto di appositi indicatori – quale sia stato il
contributo di un particolare fattore (non misurabile esclusivamente in termini
monetari) nel dispiegarsi di un progetto o di una successione di azioni di politica. In
altre parole ci si riferirà al processo di valutazione inteso sotto il particolare punto di
vista del controllo e del monitoraggio di attività e quindi della rispondenza di
obiettivi posti e risultati perseguiti.27
La valutazione ha senso se correlata al momento decisionale
La valutazione si basa soprattutto sul ragionamento e su dati misurabili. Essa non
viene iniziata per provare un determinato punto di vista ma per migliorare una
particolare attività. Se la valutazione viene isolata dal momento decisionale perde
allora ogni significato; ha, pertanto, poco valore intraprendere un processo valutativo
25
Andrea Mairate, Programmi tecnologici. Come valutarne l’impatto. in Censis, “Speciale valutazione”, “Note
e commenti” n. 1/2, 1991, p. 82
26
Giovanni Bertin, Decidere nel pubblico. Tecniche di decisione e valutazione nella gestione dei servizi
pubblici, Etas Libri, Milano 1989, pp. 130-131
27
Bernardo Pizzetti, Valutare e misurare la ricerca: dal dibattito alla prassi operativa, in Marina Gigante,
Bernardo Pizzetti, Sergio Ristuccia, “Cultura della valutazione”, Queste istituzioni / gli opuscoli, Roma 1994.
114
se i risultati che da esso emergono non vengono reintrodotti nel processo
gestionale.28
Ambito della valutazione dell’assistenza sanitaria
La valutazione dell’assistenza sanitaria può essere definita come la determinazione
dell’efficacia, dell’efficienza e dell’accettabilità di un intervento pianificato per
raggiungere determinati obiettivi.
L’efficacia di un intervento è una misura del risultato tecnico in termini medici,
psicologici o sociali. L’efficienza è un concetto economico che fa riferimento ai costi
dell’intervento in relazione all’efficacia. Infine, per accettabilità si fa riferimento al
fatto che l’intervento sia professionalmente e/o socialmente soddisfacente e
adeguato.29
La valutazione di impatto ambientale a sostegno di una decisione razionale
Lo scopo precipuo di una Valutazione di Impatto Ambientale è di determinare i
potenziali effetti ambientali, sociali e di salute pubblica derivanti da una opera
progettata: si tenta tramite la V.I.A. di definire e valutare gli effetti fisici, biologici e
socio-economici in una formula tale da permettere una presa di decisione logica e
razionale.30
La ricerca valutativa come parte integrante dell’intero processo di realizzazione
dell’intervento
Il contributo della ricerca valutativa non può essere confinato alla pura e semplice
valutazione dell’impatto poiché essa è parte integrante di un più ampio insieme di
attività che partecipano all’attivazione e alla realizzazione di un intervento.31
Ottimismo e onnipotenza del valutatore ex ante possibile pessimismo e modestia del
valutatore ex post
Alla pretesa di “onnipotenza” del valutatore ex ante si contrappone, nella valutazione
ex post, un atteggiamento che fa della “modestia” e del senso di realtà un proprio
punto di forza. Al “nodo teorico” della previsione che impegna il valutatore ex ante
28
Walter W. Holland, Concetti e significati della valutazione dell’assistenza sanitaria, in Ibidem (a cura di),
“La valutazione dell’assistenza sanitaria”, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1985, 1^ rist. 1991, p. 22
29
Walter W. Holland, Concetti e significati della valutazione dell’assistenza sanitaria, in Ibidem (a cura di),
“La valutazione dell’assistenza sanitaria”, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1985, 1^ rist. 1991, p. 35
30
Brian D. Clark, Scopi e finalità della valutazione dell’impatto ambientale, in P. Bura - E. Coccia (a cura di),
“Valutazione di impatto ambientale”, Marsilio, Venezia 1984, p. 25
31
Francesca Zajczyk, Metodi e tecniche della valutazione, in Ibidem, “La valutazione delle politiche culturali. I
musei in Lombardia: una realtà complessa”, Franco Angeli, Milano 1994, p. 57
115
si sostituisce qui quello della capacità di “comprendere” o “spiegare” il risultato non
atteso. E se il valutatore ex ante deve guardarsi dall’atteggiamento ottimistico
(“illusione”) che tende a sottostimare le difficoltà di percorso, il problema del
valutatore ex post è quello di non cedere a una pessimistica sopravvalutazione dei
fallimenti e alla sfiducia nelle possibilità di realizzare (“delusione”), per riuscire
invece a far parlare il più possibile le capacità di cambiamento presenti nella realtà.32
la valutazione come ricerca sociale applicata alle attività politiche
la valutazione non è altro che un processo di ricerca sociale che ha per oggetto delle
attività politiche.
La valutazione può essere rigorosa anche se si cala nella realtà concreta
Alcuni non credono ad una applicazione asettica della valutazione, senza tener conto
delle realtà concrete in cui i singoli servizi si trovano ad operare e che vengono a
condizionare le operatività. Ma credono che sia possibile salvaguardare la rigorosità
anche nelle condizioni più difficili di operatività.33
La valutazione scolastica deve fare i conti con l’affettività degli allievi
la valutazione (scolastica) coinvolge fortemente l’affettività degli allievi,
determinando in buona misura la qualità dei loro atteggiamenti nei confronti della
scuola.34
La valutazione dell’efficacia della formazione ha anche una funzione di auditing
Vi è chi preferisce utilizzare il termine valutazione dell’efficacia della formazione in
senso molto generale, includendo nel significato di tale termine tutte le azioni
finalizzate alla raccolta ed alla elaborazione delle informazioni critiche per le
decisioni di proseguimento, arresto o modificazione nelle fasi del processo di
formazione; nonché i criteri operativi per l’utilizzo di dette informazioni. Si tratta di
una definizione che esula dalla tradizionale visione di una valutazione effettuata
esclusivamente a posteriori, e consente di esprimere con chiarezza quella concezione
32
Nicoletta Stame, Valutazione “ex post” e conseguenze inattese, “Sociologia e ricerca sociale”, n. 31, 1990,
pp. 6-7
33
Francesco Scotti, Introduzione alla ricerca, in AA. VV., “Metodologia della valutazione di un servizio
psichiatrico”, “Quaderni di psicoterapia infantile”, n. 15, Borla, Roma 1987, p. 12
34
Benedetto Vertecchi, Manuale della valutazione. Analisi degli apprendimenti, Editori Riuniti, Roma 1984, III
rist. 1992, p. 11
116
di “auditing” della formazione che sembra più adeguata alla natura dei processi
formativi e all’obiettivo fondamentale di ogni azione formativa.35
Approccio sistemico della valutazione formativa
All’interno del paradigma sistemico, la valutazione dei risultati della formazione può
essere vista come un insieme di procedure operative, concepite per raccogliere
sistematicamente e sistemicamente informazioni valide ed affidabili in merito a
quanto un progettato sforzo di cambiamento abbia modificato i processi
organizzativi. La finalità del processo di valutazione è l’individuazione dei legami
funzionali, e non meccanici, tra le modificazioni avvenute e certe categorie di
risultati organizzativi; ed anche la determinazione dell’impatto che programmi della
stessa natura potrebbero egualmente avere su altre parti della stessa organizzazione o
su altre organizzazioni.
La definizione di formazione efficace è però legata alla definizione di organizzazione
efficace: cioè la validità di un intervento formativo nel produrre risultati positivi può
essere giudicata in modo appropriato solo quando sia stato chiarito quali attività,
comportamenti e risultati vengono considerati utili e da perseguire dal punto di vista
dell’organizzazione.
Di conseguenza l’interpretazione dell’efficacia di un intervento formativo diviene
sostanzialmente un problema di criterio scelto per leggere i risultati.
La valutazione come strumento di conoscenza degli attori sociali implicati
La valutazione può essere considerata, innanzitutto, uno strumento funzionale alla
produzione di informazioni sulle dinamiche delle azioni e sugli attori che partecipano
alle stesse, sui loro interessi, obiettivi e modalità di interazione.36
La previsione dei comportamenti sociali al centro della valutazione di impatto
sociale
L’obiettivo fondamentale del V.I.S.E. (Valutazione di Impatto Socio-Economico)
viene individuato nel prevedere il comportamento degli attori individuali e collettivi
rispetto alla presenza di un insediamento e dei problemi ad esso connessi.37
35
Pier Luigi Amietta - Federico Amietta, Valutare la formazione, Ed. Unicopli, Milano 1989, pp. 29-30
36
Piera Magnatti, Alla ricerca di un “metodo” di valutazione, in Nomisma, “Strategie e valutazione nella
politica industriale”, Franco Angeli, Milano 1991, p. 85
37
Francesca Ferrara - Giuseppe Moro, La specificità dell’analisi sociologica nella valutazione di impatto
ambientale, in F. Martinelli (a cura di), “I sociologi e l’ambiente”, Bulzoni, 1989, p. 205
117
La valutazione di un programma come comparazione fra obiettivi e risultati
Valutare un programma o un progetto di sviluppo significa determinare cos’è “che
vale” e qual è il suo “valore” come contributo al progresso sociale. La pietra di
paragone per determinare questo valore è data dalle politiche generali di sviluppo e
dagli obiettivi di sviluppo in base ai quali il programma o il progetto è stato
impostato e dagli obiettivi immediati che avrebbe dovuto realizzare con la sua
attuazione. Tanto più vicini a questi obiettivi, scopi e mete sono i risultati, tanto più
alto è il “valore” del progetto.38
La valutazione non può e non deve criticare
Come ogni altra ricerca, quella della valutazione è un’attività critica.
Ma il fine della valutazione non è quello di criticare.
La valutazione riguarda fattori e condizioni, effetti e impatto che sono al di fuori
della visione e della comprensione del personale del progetto.
scientificità della valutazione dei programmi
si definisce studio valutativo lo studio delle conseguenze, previste e non previste,
desiderabili ed indesiderabili, dei programmi di attività predisposti per ottenere un
cambiamento sociale programmato.
La ricerca valutativa è l’uso specifico del metodo scientifico e delle sue tecniche di
ricerca per condurre uno studio valutativo.39
ruolo dei valori nella definizione dei programmi e conseguentemente nella loro
valutazione
Non vi è dubbio che i valori giocano un ruolo essenziale nella determinazione degli
obiettivi dei programmi di intervento e, di conseguenza, la valutazione dei
programmi, delle loro conseguenze desiderabili ed indesiderabili, deve tenere conto
dei valori sociali, soprattutto di quelli in conflitto tra loro.
Ciò equivale ad affermare la necessità di una definizione quanto più chiara possibile,
in termini di valori espliciti ed impliciti, degli obiettivi del programma oggetto di
valutazione; la necessità cioè di esplicitare gli assunti di valore che stanno alla base
della fissazione degli obiettivi e di verificare la loro congruenza e compatibilità con
gli orientamenti di valore dei diversi sottosistemi sociali, al fine di poter qualificare
in rapporto ad essi il successo o l’insuccesso del programma.
38
Sven Grabe, Manuale di valutazione, ASAL, Roma 1986, p. 19
39
Anna Maria Boileau, Ricerca valutativa, in “Nuovo dizionario di sociologia”, a cura di Franco Demarchi,
Aldo Ellena, Bernardo Cattarinussi, Ed. Paoline, Milano 1987, p. 1766
118
valutazione economica in sanità come comparazione di costi ed effetti
Si può definire l’analisi economica come analisi comparativa, in termini di costi e
conseguenze delle serie di azioni alternative generate da ciascun programma. Il suo
compito primario, anche quando venga applicata al settore dei servizi sanitari,
consiste quindi nell’identificare, misurare nonché valutare e paragonare costi ed
effetti delle azioni alternative considerate.40
Il valutatore deve trattare ogni successo con un senso di venerazione. Non
accontentarsi di dire che qualcosa ha funzionato bene, ma arrischiare una spiegazione
circa il perché ha funzionato. Spiegare che cosa sta accadendo nel progetto sullo
sfondo di ciò che è prevedibile, e di ciò che invece costituisce una sorpresa.41
ciò che distingue la valutazione spontanea dalla valutazione come strumento
scientifico
Come spesso si è affermato la valutazione è una categoria implicita nell’azione
umana, praticata più o meno consapevolmente, a conclusione di ogni atto,
osservazione, intervento singolarmente compiuti o in corrispondenza di più
complessi programmi, piani, attività organiche. Ciò che rende questa categoria
intellettuale, strumento di analisi scientifica riguarda: a) l’oggetto cui si applica, b) il
momento della sua genesi, c) l’assetto metodologico con cui la si articola e
programma.42
La valutazione trae e dà significato nella definizione del programma
non vi è vera valutazione se essa non nasce contestualmente alla definizione del
programma e non predispone le sue regole di comportamento in stretta simbiosi con
ogni fase ed aspetto dello stesso: è questo un elemento decisivo per la sua qualità
politica, che mira ad assicurare il prezioso carattere della effettiva trasparenza della
sua azione proprio perché ammette conflitti, chiarimenti e accordi solo nella fase
istruttoria iniziale, ma pretende che le conclusioni attengano esclusivamente ai
risultati conseguiti in dipendenza delle procedure concordate. Non vi deve essere
40
M.F. Drummond - G.L. Stoddart - G.W. Torrance, Metodi per la valutazione economica dei programmi
sanitari, a cura di V. Ghetti, Franco Angeli, Milano 1993, p. 30
41
Judith Tendler, Progetti ed effetti. Il mestiere di valutatore, a cura di N. Stame, Liguori, Napoli 1992, p. 171
42
Lorenzo Bernardi, Valutazione: significato e metodi, in L. Bernardi - S. Campostrini - F. Neresini - G.
Pozzobon, “Sperimentare valutazione. Idee e materiali per il progetto pilota per la sperimentazione di modelli di
intervento a favore dei giovani e dei minori”, Regione del Veneto - Assessorato ai servizi sociali e al
coordinamento delle politiche giovanili, Istituto Poster, Vicenza xxxx, p. 11
119
cioè spazio per comodi giudizi di valore a posteriori ma analisi della coerenza
effettiva tra lo sviluppo dell’attività programmata e i giudizi ad essa collegati.
Scopi della valutazione sanitaria in ambito ambientale
gli scopi della valutazione sanitaria di impatto ambientale, sono, in primo luogo,
quello di identificare e prevedere gli impatti di un determinato progetto su quei
parametri ambientali che hanno un grande significato dal punto di vista sanitario
(fattori igienico-ambientali); in secondo luogo, quello di tentare di identificarne e
valutarne le possibili influenze sulla salute umana; in questa valutazione è compresa
anche la stima di quanto il progetto determinerà, in termini di aumento
dell’esposizione della popolazione, sia dal punto di vista del numero di esposizioni
che della loro intensità, prestando la dovuta attenzione alla maggiore sensibilità dei
gruppi a rischio. Per ottenere questo si utilizzano le informazioni relative ai fattori
igienico-ambientali, insieme ad altre ricavabili da studi epidemiologici, tossicologici
e di valutazione del rischio.
La procedura di valutazione sanitaria degli impatti ambientali si estende anche agli
incidenti, nel senso che non ci si deve limitare alla previsione degli impatti relativi
alle fasi di esercizio, costruzione e smantellamento, ma anche agli incidenti o disastri
che si possono verificare durante queste.43
Aspetti psico-sociali e rischio percepito nella valutazione sanitaria in ambito
ambientale
l’Organizzazione mondiale della sanità, nella sua costituzione, definisce la salute
come “uno stato di benessere fisico, mentale e sociale e non semplicemente l’assenza
di malattie o infermità”. Questa definizione implica l’ampliamento della valutazione
di impatto ambientale, nel campo della salute umana, agli aspetti psicologici e
sociali, i quali sono tutt’altro che irrilevanti. Rientrano in questo ambito tutti quegli
effetti, che sono la conseguenza diretta o indiretta dei processi di sviluppo, i quali
sono suscettibili di turbare e peggiorare la qualità della vita nelle sue varie
componenti.
Possiamo inizialmente distinguere due categorie fondamentali di questi impatti. In
primo luogo, vi sono tutte quelle azioni e sollecitazioni che, senza causare un danno
fisico immediato e oggettivamente accertabile, creano tuttavia condizioni di stress e
malessere psichico.
120
In secondo luogo, vi è la problematica del “rischio percepito”. Infatti, lo stress e i
conseguenti danni alla salute fisica e al benessere psichico possono derivare non solo
da stimoli reali e oggettivamente rilevabili e misurabili, ma anche da una percezione
della realtà che, pur essendo esasperata o addirittura erronea, è comunque causa di
ansia e sofferenza psichica.44
La valutazione rileva il cambiamento
“L’evaluation” si configura come una metodologia di intervento atta a rilevare fattori
di “cambiamento” in una realtà in cui è in corso un intervento.45
La valutazione come analisi della congruità rispetto agli obiettivi
la valutazione è: l’esame critico di uno o più interventi, al fine di verificarne non solo
l’efficacia dei risultati e l’economia dei costi (efficienza) ma in termini più generali
la congruità rispetto agli obiettivi prefissati.46
La valutazione come produzione di informazioni
La valutazione può essere considerata, innanzitutto, uno strumento funzionale alla
produzione di informazioni sulle dinamiche delle azioni e sugli attori che partecipano
alle stesse, sui loro interessi, obiettivi e modalità d’interazione. Si tratta di un aspetto
particolarmente importante; da un lato, in un ambiente caratterizzato da forte
turbolenza e da mutamenti rapidi, la risorsa ‘informazione’, se resa disponibile in
tempi adeguati, può ricoprire un ruolo molto rilevante all’interno del processo
politico relativo ad un intervento. Dall’altro lato, la produzione di informazioni
qualificate contribuisce ad aumentare la trasparenza in un mercato imperfetto come
quello dell’informazione relativa alle azioni dei soggetti pubblici.47
Fallimento di certa valutazione in ambito educativo
Studi effettuati nell’ambito della Comunità Europea confermano l’ipotesi che i
sistemi tradizionali di valutazione e di certificazione dell’insuccesso (scolastico)
44
Giovanni Alfredo Zapponi - Pasquale Valente - Gabriella Bellante de Martiis, Salute pubblica, in G. Gisotti S. Bruschi, “Valutare l’ambiente. Guida agli studi d’impatto ambientale”, La Nuova Italia Scientifica, Roma
1990, 2^ rist. 1992, p. 434-436
45
Maria Vittoria Sardella, Teoria e tecniche dell’evaluation. Per una cultura dell’efficienza e dell’efficacia nel
sociale, Clup, Milano 1989, p. 23
46
Marta Scettri. Programmazione e valutazione. Breve storia di un matrimonio mancato, in C. Bezzi - M.
Scettri (a cura di), “La valutazione come ricerca e come intervento”, Irres, Perugia 1994, p. 10
47
Piera Magnatti, Esperienze di politica industriale a livello locale. Quali esigenze di valutazione, in C. Bezzi M. Scettri (a cura di), “La valutazione come ricerca e come intervento”, Irres, Perugia 1994, p. 45
121
concorrono pesantemente ad aggravare i problemi che la target population deve
affrontare.
Nei sistemi che privilegiano la formazione sommativa, quella cioè che si limita a
trarre le somme sul lavoro svolto senza innescare strategie di recupero, la valutazione
diventa una semplice registrazione dell’insuccesso.48
Elementi da considerare per la valutazione degli effetti economici di un investimento
(Obiettivi di chi prepara o valuta un progetto) Prevedere gli effetti economici di un
investimento, misurarli tramite procedimenti opportuni di calcolo, esprimere un
parere sulla convenienza del progetto attraverso il raffronto fra effetti stimati e
criteri predeterminati di accettabilità.
Naturalmente tutte le definizioni sono convenzionali. Le giustificazioni a favore di
quella qui proposta sono le seguenti:
a) ci riferiamo solo ad effetti economicamente rilevanti. Peraltro molti effetti noneconomici di un investimento (ad esempio cambiamenti nel livello di inquinamento o
di istruzione) possono essere considerati effetti economici indiretti e come tali
inglobati nell’analisi: ma non è affatto sempre così, e comunque, in prima
approssimazione, può essere conveniente trascurarli.
b) l’analisi che ci serve è di tipo quantitativo. Ciò non toglie che a mo’ di contorno
possano esservi (e spesso siano molto importanti) effetti non misurabili. Ma
l’accento è posto piuttosto sull’impatto misurabile, per quanto approssimative
possano essere le tecniche di stima.
c) i metodi di calcolo devono essere formalizzati, cioè logicamente coerenti e completi,
in modo da rendere quanto più possibile confrontabili i risultati di diversi progetti o
di diversi metodi di calcolo.
d) infine, deve esistere una regola di accettabilità predeterminata commensurabile ai
risultati. Senza di essa non sapremmo dire se un risultato è “buono” o “cattivo”.49
La valutazione come processo sistematico contrapposta alla valutazione implicita e
intuitiva
Per valutazione delle attività formative si intende un insieme sistematico di approcci,
metodologie e tecniche volti a rilevare ex ante, in itinere ed ex post l’esistenza nelle
48
Emma Nardi, Allievi in difficoltà e nuovi approcci valutativi, “Osservatorio Isfol”, n. 3, 1989, pp. 119-120
49
Massimo Florio, I progetti di investimento. Pianificazione e analisi di fattibilità, Ed. Unicopli, Milano 1985,
pp. 16-17
122
iniziative di formazione di precisi requisiti conformi agli obiettivi cui tali iniziative si
orientano.
Esiste certamente una valutazione di tipo intuitivo ed implicito, ed in alcuni casi
questa può essere esatta, ma si tratta di una soluzione che si espone spesso al rischio
della discorsività (valutazione come “racconto” delle impressioni sul corso), della
tautologia (“ogni azione formativa è buona”) ed in definitiva dell’autogiustificazione.
Per questo risulta necessario considerare la valutazione intesa come processo
sistematico che connette in modo esplicito e progettuale approcci, metodologie e
tecniche.50
Legame fra valutazione e programmazione
Valutare gli effetti, i processi, i prodotti e le strutture formative rappresenta, molto di
più che una “moda”, ma diviene anzi una necessità nella misura in cui si è
consapevoli dello stretto legame che esiste tra programmazione e valutazione.51
ruolo strategico della valutazione nella decisione
La necessità di realizzare una valutazione a fini conoscitivi e selettivi rappresenta il
momento iniziale di ogni decisione da parte degli attori, e quindi il più delicato ed
importante.52
la valutazione come coerenza mezzi-fini
Valutazione [della formazione professionale]: verifica del processo formativo dal
punto di vista della coerenza mezzi/obiettivi. L’operazione viene attuata implicando
una griglia di indicatori in grado di rilevare il perseguimento di specifiche funzioniobiettivo definite dal decisore dello stesso processo.53
La valutazione di impatto
Valutazione di impatto (della formazione professionale): analisi delle conseguenze
del progetto di formazione sull’insieme interessato, sia dal punto di vista tecnico che
economico, socio-culturale, istituzionale e ambientale.54
50
Dario Nicoli, Valutazione delle attività formative, in L. Mauri - C. Penati - M. Simonetta, “Pagine aperte. La
formazione e i sistemi informativi: strumenti per le politiche sociali”, F. Angeli, Milano 1993, p. 286
51
Cesos - Fondazione Giacomo Brodolini, Guida operativa alla valutazione degli interventi formativi sotto
forma progettuale - Parte I, “Economia e lavoro”, n. 3, 1992, p. 130
52
Cesos - Fondazione Giacomo Brodolini, Guida operativa alla valutazione degli interventi formativi sotto
forma progettuale - Parte II - lo strumento, “Economia e lavoro”, n. 4, 1992, p. 171
53
-40 Cesos - Fondazione Giacomo Brodolini, Guida operativa alla valutazione degli interventi formativi sotto
forma progettuale - Parte III - bibliografia e glossario, “Economia e lavoro”, n. 1, 1993, p. 144
123
ruolo del destinatario dell’azione valutativa
il destinatario di un’azione valutativa non è irrilevante ai fini della valutazione. Esso
è titolare di interessi specifici rispetto ai quali promuove la valutazione stessa.
Questo è un dato, non un vantaggio o un limite, ma semplicemente un elemento
pregiudiziale da definire.55
La valutazione è sempre finalizzata a un possibile utilizzo. E’ essenziale che questo
sia esplicitato, al fine di porre attenzione ai vincoli che si porranno allo sviluppo
dell’azione (o delle azioni) sottoposte ad analisi.
valutazione come analisi degli effetti
L’oggetto della valutazione è l’analisi degli effetti delle azioni, la loro efficacia e la
loro efficienza, verificate attraverso la ricostruzione dei rispettivi processi e risultati
la previsione come elemento centrale della valutazione d’impatto
l’obiettivo scientifico fondamentale dello studio di impatto resta quello di conoscere
gli eventi prima che essi accadano (di qui una certa “fragilità” degli studi di Sia/Via
ma di qui anche il loro fascino e, soprattutto, la loro utilità sociale) e ciò al fine di
prevederli, valutarli, gestirli o semplicemente evitarli.56
definizione meccanicistica della valutazione
Valutazione: attività complessa connessa al metodo della programmazione,
attraverso la quale si verificano i benefici raggiunti, rispetto alle risorse impiegate e
agli obiettivi posti, nonché l’adeguatezza delle strategie attuate per il raggiungimento
dei risultati stessi. Può fare riferimento a standards, scale qualitative e oggettive ed
usa tecniche e strumenti vari.57
distinzione fra evaluation e assessment
Il concetto di evaluation è forse meno ampio e definito di quello di assessment. Nel
primo caso si fa riferimento alla decisione in merito alla significatività, al valore o
alla qualità di qualcosa, sulla base di un’attenta analisi degli aspetti positivi e
40 Saul Meghnagi, Il rendimento dell’intervento formativo pubblico: criteri per valutare ex ante e ex post la
formazione, in: Confindustria, “La valutazione della formazione. Come misurare efficienza e qualità nella
formazione professionale, Ed. SIPI, Roma 1989, p. 50
56
Fulvio Beato, Rischio e mutamento ambientale globale. Percorsi di sociologia dell’ambiente, F. Angeli,
Milano 1993, pp. 106-107
57
Ministero dell’Interno - Direzione generale dei servizi civili - Comit/Sisna, Dizionario sinottico comparativo
dei servizi socio-assistenziali, Istituto poligrafico e zecca dello stato, Roma 1994, p. 23
124
negativi. L’assessment è una valutazione che comporta un giudizio su cosa è
probabile derivi dalla situazione analizzata.58
due concetti di valutazione: l’analisi a posteriori e quella che interviene per
modificare il processo
La valutazione della tecnologia, intesa come valutazione degli effetti sociali, si è
focalizzata soprattutto sulla valutazione (nonché previsione o anticipazione) degli
impatti futuri. Il modo in cui queste valutazioni avessero un effetto di ritorno sullo
sviluppo tecnologico era qualcosa di trascurato o lasciato alla regolamentazione della
tecnologia. Ciò ha creato il problema del controllo: quando gli effetti sono
sufficientemente visibili perché si possano fare studi di impatto affidabili, lo sviluppo
è ormai così determinato che si può fare davvero poco al riguardo, se non
paradossalmente abolire del tutto quella tecnologia. Il modello semi-evolutivo, al
contrario, enfatizza come lo sviluppo tecnologico decolli proprio con la valutazione,
che viene quindi a configurarsi non come tentativo di controllo “a posteriori”, bensì
come coinvolgimento in sviluppi in corso, allo scopo di modularli.59
scopi informativi e di miglioramento della qualità nella valutazione dei programmi
In generale, nei programmi nazionali e comunitari la valutazione è diretta a fornire
una base informativa e motivazionale per proseguire il finanziamento ed espandere il
settore di spesa pubblica competente. Nondimeno, è possibile riscontrare nello stesso
tempo una finalità meno strumentale, consistente nell’obiettivo di migliorare i
processi gestionali e decisionali.60
la valutazione come ponte fra obiettivi ed effetti
Valutare un’attività vuol dire cercare di tracciarne gli effetti alla luce di alcuni
obiettivi pre-determinati61.
Una valutazione deve anche indicare correttivi.
58
Leonardo Cannavò, Dentro la tecnologia. Per una metodologia integrata di valutazione sociale delle
tecnologie, in: L. Cannavò (a cura di), “Studi sociali della tecnologia. Metodologie integrate di valutazione”,
Euroma, Roma 1991, p. 20
59
Arie Rip, Tra innovazione e valutazione. La sociologia applicata alla politica ed alla valutazione della
tecnologia, in L. Cannavò (a cura di), “Studi sociali della tecnologia. Metodologie integrate di valutazione”,
Euroma, Roma 1991, p. 86
60
Katharine Barker - Luke Georghiou, La valutazione dell’impatto socio-economico della R&D finanziata con
fondi pubblici, in L. Cannavò (a cura di), “Studi sociali della tecnologia. Metodologie integrate di valutazione”,
Euroma, Roma 1991, p. 118
61
Giuseppe Pennisi, Tecniche di valutazione degli investimenti pubblici, scritti di G. Pennisi e P.L. Scandizzo,
Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, seconda edizione aggiornata, Roma 1991, p.5
125
in cosa consiste l’analisi costi benefici
Analisi costi benefici. Procedimento di valutazione di un progetto attraverso il
confronto tra i costi ed i benefici del progetto stesso. I risultati possono essere
espressi in diversi modi, tra cui il Saggio di Rendimento Interno (SRI), il Valore
Attuale Netto (VAN) ed il Rapporto Benefici Costi Attualizzato (RBCA). Sebbene il
calcolo della convenienza finanziaria sia una forma di analisi costi benefici, esso non
fornisce una misura soddisfacente del rendimento netto di un progetto per l’economia
quando il prezzo di mercato non riflette il reale valore economico degli inputs ed
outputs in termini di scarsità relative (o costi-opportunita) od in termini di obiettivi di
politica economica. In tali casi si ricorre ai prezzi di obiettivi di politica economica
contabili o prezzi ombra ed a parametri nazionali per effettuare l’analisi dei costi e
benefici economici.
in cosa consiste l’analisi costi benefici sociali
Analisi costi benefici sociali. Un’analisi costi-benefici dal punto di vista dell’intera
economia, con l’inclusione di considerazioni sulla distribuzione del reddito.
l’analisi della minimizzazione dei costi rispetto all’analisi costi benefici
Analisi della minimizzazione dei costi. Metodo generalmente impiegato per
comparare progetti alternativi a tecniche alternative di un progetto qualora i valori
dei benefici non possono essere misurati adeguatamente; ad esempio progetti relativi
a istruzione e sanità.
in cosa consiste l’audit nella valutazione dello sviluppo
Audit. Procedura attraverso la quale si determina se ed in quale modo le misure, i
processi, le direttive e le procedure organizzative del donatore e le sue missioni nel
Terzo Mondo, siano conformi ai criteri predisposti in precedenza.62
in cosa consiste la valutazione a medio termine
Valutazione a medio termine. Il termine identifica la valutazione effettuata durante la
fase di attuazione dell’iniziativa. L’obiettivo principale di questa valutazione è quello
di produrre conclusioni per un buon completamento del progetto. Spesso la dizione
“a medio termine” viene riferita alla valutazione “on going”. In Francia non si usa il
termine “èvaluation concomitante”, né “intérmediaire”, né “en cours d’exécution”
ma “suivi” o “supervision”.
62
Giuseppe Pennisi, Tecniche di valutazione degli investimenti pubblici, scritti di G. Pennisi e P.L. Scandizzo,
Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, seconda edizione aggiornata, Roma 1991, p. 410
126
in cosa consiste la valutazione ex ante nella cooperazione
Valutazione ex-ante. Esame critico dell’iniziativa di cooperazione così com’è
descritta in genere in un rapporto di identificazione iniziale. La valutazione ex-ante
seleziona e classifica le varie soluzioni dal punto di vista della rilevanza; della
fattibilità tecnica, finanziaria e istituzionale; della redditività socio-economica; della
vitalità.
La valutazione ex-ante precede immediatamente la base di approvazione, da parte
delle autorità, dell’iniziativa proposta.
scopi della valutazione ex post rispetto agli obiettivi
Valutazione ex-post. Valutazione di un intervento dopo che questo è stato
completato. L’obiettivo della valutazione ex-post è quello di studiare se e come il
progetto abbia raggiunto gli obiettivi prefissati (purpose) nonché immaginare
soluzioni adeguate per interventi simili in futuro.
in cosa consiste la valutazione incorporata
Valutazione incorporata. Un approccio alla fase di attuazione che comporta una
continua auto-valutazione di tutti i principali agenti e partecipazioni all’iniziativa di
sviluppo, secondo dei criteri prestabiliti legati agli obiettivi previsti (purpose e
goals). Di solito, questo tipo di valutazione è inclusa nel “project plan” durante la
fase di progettazione ed è finanziata come parte del progetto.
il solo termine ‘valutazione’ è impreciso se non connotato
Il termine italiano “valutazione” si riferisce sia ad un esame critico preventivo
(valutazione ex ante) che ad un esame retrospettivo (fatta durante o dopo
l’esecuzione) dell’iniziativa di cooperazione e deve quindi essere associato ad un
attributo che ne qualifichi il momento.63
ruolo centrale dell’esplicitazione degli obiettivi
L’esplicitazione chiara e pertinente degli obiettivi è fondamentale tanto per la
valutazione ex ante (nella misura in cui deve determinare la compatibilità obiettivi-
63
Daniele Fanciullacci - Massimo Micarelli - Giuseppe Pennisi, Introduzione al tema, in D. Fanciullacci - C.
Guelfi - G. Pennisi, “Valutare lo sviluppo. Volume primo. Metodologia e tecnica della valutazione retrospettiva
dei progetti”, Franco Angeli, Milano 1991, p. 15
127
mezzi) quanto per la valutazione ex post che deve soprattutto analizzare se ed in
quale misura gli obiettivi sono stati raggiunti.64
la valutazione di efficacia riguarda il raggiungimento degli obiettivi
Per valutazione di efficacia, intendiamo la valutazione del grado di conseguimento
degli obiettivi di un progetto.65
in cosa consiste la valutazione di efficienza
Con la valutazione di efficienza si mettono in relazione i risultati conseguiti
attraverso un determinato intervento con le risorse utilizzate per la sua realizzazione.
In fase di valutazione ex ante, la verifica di efficienza ha soprattutto lo scopo di
stabilire la coerenza risorse/obiettivi, nonché la loro onerosità rispetto ad altre
alternative possibili.
In fase di valutazione ex post, la verifica di efficienza dovrebbe invece permettere di
reperire gli eventuali elementi di scarsa efficienza del progetto determinati da:
- l’inadeguatezza delle risorse;
- lo scostamento tra risorse preventivate e risorse effettivamente acquisite.
la valutazione ha comunque sempre un obiettivo di apprendimento e miglioramento
La valutazione proposta di un progetto/programma di cooperazione in ambito
sanitario è al tempo stesso uno strumento di apprendimento e di guida gestionale,
essendo volto a determinare quanto più sistematicamente ed obiettivamente possibile
l’importanza, l’efficacia, l’impatto e la vitalità di attività di progetti, alla luce dei loro
obiettivi. La finalità di una valutazione può essere molteplice, ma i risultati da essa
derivati possono essere sempre ricondotti ad una semplice funzione: un
miglioramento della situazione esistente e una fonte di lezioni per pianificazioni
future.66
la valutazione come ponte fra realtà e pianificazione
La valutazione è il legame tra la pianificazione e la realtà oggettiva
64
Marinella Giovine, Guida per la valutazione ex post dei progetti nel settore della formazione, in D.
Fanciullacci - C. Guelfi - G. Pennisi, “Valutare lo sviluppo. Volume primo. Metodologia e tecnica della
valutazione retrospettiva dei progetti”, Franco Angeli, Milano 1991, p. 196
66
Antonio Volpi, Guida per la valutazione ex post dei programmi/progetti nel settore sanitario, in D.
Fanciullacci - C. Guelfi - G. Pennisi, “Valutare lo sviluppo. Volume primo. Metodologia e tecnica della
valutazione retrospettiva dei progetti”, Franco Angeli, Milano 1991, p. 356
128
Un importante obiettivo della valutazione ex post è quello di esaminare l’incidenza
delle variabili di genere per il raggiungimento degli obiettivi.67
la retroazione, sua necessità e importanza, nelle diverse fasi della valutazione dello
sviluppo
La valutazione ex ante dei progetti e programmi di cooperazione allo sviluppo ha lo
scopo di fornire ai responsabili dei paesi donatori e dei paesi beneficiari criteri di
scelta tra programmi o progetti alternativi in presenza di risorse scarse.
Le successive fasi del ciclo della valutazione, e cioè il monitoraggio e la valutazione
in corso d’opera, la valutazione a completamento, la valutazione ex post (d’impatto),
sono dirette a confrontare realizzazioni e risultati previsti con realizzazioni e risultati
effettivi. L’utilità di queste valutazioni è connessa alla possibilità di intraprendere
azioni correttive nel corso della esecuzione del progetto o dell’esplicarsi dei suoi
effetti o ancora di trarre insegnamenti dall’esperienza fatta per migliorare in tutte le
sue fasi la successiva attività di cooperazione.
La retroazione rappresenta quindi il fine specifico di ciascuna di queste valutazioni,
fine che ne giustifica l’effettuazione ed i costi relativi.
Anche se è sempre utile sottolineare che il punto di partenza di una buona
retroazione sta nel concepire fin dall’inizio valutazioni ben mirate al loro uso finale,
il problema della retroazione, come momento separato da quello della valutazione
propriamente detta, deriva tuttavia dalla considerazione che l’aver effettuato una
buona valutazione non implica automaticamente che i suoi risultati vengano portati a
conoscenza di coloro che li debbono utilizzare, o che costoro li utilizzino
effettivamente.
Di qui la necessità di prevedere un meccanismo di retroazione specifico per ogni tipo
di valutazione di un progetto o programma. Su questo punto l’esperienza dei paesi
donatori porta ad un giudizio unanime.68
efficienza
Sul versante della valutazione di efficienza si possono adottare approcci molto
diversi tra loro, ma ambedue molto significativi:
67
Bianca Maria Pomeranzi, Guida per la valutazione ex post delle iniziative di cooperazione in termini di donne
e sviluppo, in D. Fanciullacci - C. Guelfi - G. Pennisi, “Valutare lo sviluppo. Volume primo. Metodologia e
tecnica della valutazione retrospettiva dei progetti”, Franco Angeli, Milano 1991, p. 390
68
Massimo Bagarani - Michele Bagella - Giovanni Tria, Analisi delle strutture organizzative e della
retroazione, in D. Fanciullacci - C. Guelfi - G. Pennisi, “Valutare lo sviluppo. Volume secondo. Il processo
decisionale”, F. Angeli, Milano 1991, pp. 208-209
129
- “efficienza di attuazione” consistente nella valutazione del rapporto tra preventivato
ed effettuato sia in termini di risultati (attesi e conseguiti) che in termini di risorse
(preventivate ed effettivamente utilizzate);
- “efficienza in senso stretto” relativa al rapporto tra risorse e risultati69.
ruolo razionalizzatore della valutazione nell’intervento pubblico
Le disfunzioni sempre più evidenti di ampi segmenti dell’intervento pubblico fanno
sì che improrogabili necessità di razionalizzazione facciano emergere, insieme
all’esigenza di maggior impegno progettuale ed organizzativo, anche l’esigenza di
azioni valutative volte a identificare gli snodi cruciali su cui intervenire con le
necessarie riforme.70
ragioni dell’analisi costi benefici sociale
La ragione principale per effettuare, nella scelta dei progetti, l’analisi costi-benefici
sociale, è di subordinare questa scelta ad un insieme coerente di obiettivi generali di
politica nazionale. La scelta di un progetto, piuttosto che di un altro, deve essere
considerata nel contesto dell’impatto sociale complessivo e questo impatto va
valutato in base ad un insieme appropriato e coerente di obiettivi.71
valore della valutazione ex ante nella programmazione per progetti
[Nella programmazione per progetti] La valutazione assume una posizione centrale,
ma essa viene intesa non come fase finale, di verifica, di una programmazione che si
sviluppa in un processo circolare, ma come momento fondante lo sforzo progettuale
che descrive e produce informazioni sull’impatto prevedibile del progetto, ne
individua la coerenza interna, la sua capacità di perseguire gli obiettivi, la sua
compatibilità con altri progetti.
Ad una valutazione ex post che è volta a scoprire i risultati effettivamente ottenuti, se
gli obiettivi prefissati sono stati raggiunti e la misura dello scostamento, si sostituisce
una valutazione ex-ante, che cerca la coerenza fra mezzi e obiettivi, che ha lo scopo
di trovare una soluzione ottimale, di poter controllare in anticipo l’evoluzione
69
Marinella Giovine, Modelli di valutazione della formazione: sperimentazione della analisi multicriteri come
supporto alle decisioni, “Osservatorio Isfol”, n. 2, 1992, p. 19
70
Aviana Bulgarelli - Marinella Giovine, Introduzione a A. Bulgarelli - M. Giovine - G. Pennisi, “Valutare
l’investimento formazione”, F. Angeli, Milano 1990, pp. 7-8
71
Partha Dasgupta - Amartya Sen - Stephen Marglin, Guida per la valutazione dei progetti. Manuale Unido,
Formez, Napoli 1985, p. 13
130
successiva del progetto: fra gli innumerevoli forme di previsione degli impatti dei
progetti si valorizza l’analisi costi e benefici.72
la valutazione funzione di una decisionalità libera da pregiudizi
La valutazione è un processo che accompagna lo sviluppo delle decisioni
consentendo al decisore di esprimere un giudizio possibilmente libero da stereotipi e
pre-giudizi.73
scientificità della valutazione
La valutazione è arte di governo e logica scientifica74
la valutazione come mero processo informativo
La valutazione, così come viene emblematizzata dalla letteratura sui programmi
sociali sembra mostrare una prevalente natura di intelligence e di verifica
decisamente informativa che ispira retroazioni ma che non le attua.75
la valutazione risponde ad un mandato sociale
l’esigenza cardinale della valutazione sembra quella di dare risposta ad una sorta di
social committment.
la valutazione come ricerca, interessata alle conseguenze non previste
In generale, con studio valutativo, si intende l’analisi delle conseguenze, previste e
non previste, desiderabili e non desiderabili, di programmi di attività predisposti per
ottenere un cambiamento programmato.
Di questa definizione vanno osservate, in particolare, le seguenti parti:
a) la valutazione è uno studio, ovvero un’azione cognitiva, di ricerca, di analisi, volta
alla comprensione; non è quindi un mero atto amministrativo, non è una routine né
un semplice monitoraggio, e deve essere pertanto affrontata con rigore scientifico e,
assieme, con flessibilità ed apertura verso ciò che si osserva;
b) la valutazione riguarda “programmi di attività”, ovvero insiemi integrati ed
organici di progetti, ed in particolare quelli “predisposti per ottenere un cambiamento
programmato”; all’origine dell’analisi valutativa c’è sempre, quindi, l’azione politica
72
Remo Siza, La programmazione e le relazioni sociali. I limiti e le opportunità delle attuali strategie in una
prospettiva sociologica, F. Angeli, Milano 1994, p. 116
73
Giovanni Bertin, Valutazione e processo decisionale, in Idem (a cura di), Metodi e tecniche di gestione dei
processi decisionali”, F. Angeli, Milano 1995, pp. 39-40
74
Lorenzo Bernardi, Misurazione e valutazione: le difficoltà di una coppia alle prime esperienze in comune, in
G. Bertin (a cura di), Metodi e tecniche di gestione dei processi decisionali F. Angeli, Milano 1995, p. 75
75
Mauro Niero, Valutazione, sistemi informativi e informatica, in G. Bertin (a cura di), Metodi e tecniche di
gestione dei processi decisionali”, F. Angeli, Milano 1995, p. 148
131
della programmazione; non c’è seria valutazione di azioni casuali e non intenzionali,
non c’è valutazione se non del cambiamento (anche a fronte di un eventuale
fallimento del programma, e quindi della mancanza - comunque improbabile - di
qualunque cambiamento);
c) la valutazione è fortemente interessata anche alle conseguenze non previste dal
programma e/o dai progetti, che anzi divengono spesso elementi di forza; la
valutazione è comunque interessata alle conseguenze indesiderabili; sono proprio
questi elementi inattesi ed indesiderabili, logiche conseguenze di programmi che non
possono pianificare al 100% le azioni sociali, a rendere indispensabile un’azione
valutativa obiettiva ed indipendente (e quindi utile ed efficace).76
le finalità dell’investitore condizionano le dimensioni dell’analisi costi benefici
Ogni investimento consiste in un impegno di risorse monetarie da parte di un
soggetto economico con lo scopo di produrre beni e servizi vendibili durante la vita
economica stessa dell’investimento. Il presupposto è una valutazione ex ante che
prospetti e quantifichi un valore dei futuri ricavi netti superiore alle risorse monetarie
inizialmente impiegate. Ne deriva che le finalità che si propone il soggetto
economico che intraprende un investimento condiziona la determinazione dei costi e
dei benefici attesi.77
Il termine valutazione implica arbitrarietà e soggettività
Il termine stesso di “valutazione” implica un certo grado di arbitrarietà, di
soggettività.78
L’analisi costi benefici strumento per eccellenza dell’economia del benessere
L’analisi costi benefici è lo strumento per eccellenza dell’economia applicata del
benessere.79
76
Claudio Bezzi - Livia Bovina - Eva Jannotti - Marta Scettri, La valutazione della comunicazione pubblica,
Irres - Regione dell’Umbria, Perugia 1995, p. 29
77
Antonio Pierri, La valutazione delle strutture aziendali zootecniche, Irres - Regione dell’Umbria, Perugia
1995, p.27
78
Michela Grana, La valutazione dei progetti formativi: un confronto fra Liguria e Umbria, in Claudio Bezzi (a
cura di), “La valutazione della formazione professionale”, Irres, Perugia, 1995, p. 48
79
Manuela Crescini, Lo schema di valutazione proposto, in Claudio Bezzi (a cura di), “La valutazione della
formazione professionale”, Irres, Perugia, 1995, p. 73
132
obiettivi dell’analisi finanziaria nella valutazione dei servizi alle imprese
L’analisi finanziaria, nel caso della valutazione di iniziative volte all’offerta di
servizi per le imprese, deve sostanzialmente mirare ad appurare la possibilità della
struttura agevolata di operare con efficienza e redditività per un periodo congruo di
anni e anche in condizioni di assenza di aiuto pubblico.80
obiettivi della valutazione di impatto ambientale
In prima approssimazione si può definire la VIA come un processo conoscitivo che
ha come obiettivo quello di evidenziare gli effetti di un’attività umana sull’ambiente
e di individuare le misure atte a prevenire, cioè eliminare o rendere minimi gli
impatti negativi sull’ambiente, prima che questi si verifichino effettivamente81.
differenze fra efficacia interna ed esterna
La valutazione di efficacia delle politiche pubbliche viene usualmente distinta in due
categorie fondamentali:
- efficacia interna (o gestionale), intesa come la capacità di raggiungere gli obiettivi
o i risultati attesi fissati a priori dall’Ente pubblico;
- efficacia esterna (o sociale), intesa come la capacità del prodotto/servizio offerto
dall’Ente di soddisfare i bisogni degli utenti.
parallelo fra i diversi tempi della valutazione e i diversi poteri dell’ente pubblico
Una più raffinata distinzione può essere operata ponendo mente al momento in cui la
valutazione viene effettuata. In letteratura se ne distinguono quattro tipi:
- ex ante, ossia prima dell’avvio di un programma o di un intervento;
- on going o in itinere, in corso di realizzazione;
- conclusiva, al termine dell’attuazione di un programma o intervento;
- ex post, quando l’intervento o il programma hanno iniziato a dare i loro frutti.
Le quattro modalità temporali di valutazione coincidono peraltro con l’esercizio di
poteri diversi dell’Ente pubblico: decisione (ex ante), potere ispettivo (in itinere) e di
controllo (conclusiva ed ex post).
80
Antonio Strazzullo, La valutazione dei servizi reali per le piccole e medie imprese, Irres - Regione
dell’Umbria, Perugia 1995, p. 35
81
Ministero della Pubblica Istruzione, Direzione Generale dell’Istruzione Professionale - Isfol, Manuale di
autoaggiornamento sulla Valutazione di Impatto Ambientale e l’Educazione Ambientale, a cura di Rita
Ammassari - Maria Teresa Palleschi, Isfol, Roma 1993, p. 27
133
il termine valutazione implica arbitrarietà e soggettività
Il termine stesso di “valutazione” implica un certo grado di arbitrarietà, di
soggettività.82
L’analisi costi benefici strumento per eccellenza dell’economia del benessere
L’analisi costi benefici è lo strumento per eccellenza dell’economia applicata del
benessere83.
dubbi sulla capacità della costi benefici di guidare decisioni allocative
L’analisi costi-benefici ha come suo primario obiettivo quello di aiutare i decisori
pubblici a prendere scelte che assicurino l’ottima allocazione delle risorse.
Si pone la domanda se a questo livello [di sistema policentrico di decisioni] l’analisi
costi-benefici sia strumento appropriato per guidare le scelte allocative. Anche gli
studiosi che sostengono la versione “sociale” di questa tecnica, fondata
sull’assunzione di una funzione del benessere della collettività, rispondono in senso
negativo.84
utilizzo e limiti della costi benefici
l’analisi costi-benefici è un insieme di regole e prescrizioni dettate per aiutare
l’operatore pubblico a fare le sue scelte. Lo studio dei suoi contenuti e delle sue
possibilità di concreta applicazione nelle diverse circostanze che si presentano nel
mondo reale e sotto i vincoli istituzionali esistenti, ha lo scopo di verificare le
soluzioni o i modelli alternativi che meglio si prestano a prendere decisioni circa i
possibili interventi pubblici.85
il termine valutazione è fortemente connotato
Il termine “valutazione” possiede, non sembri un gioco di parole, una forte
connotazione valutativa, e per questo infiamma le passioni.86
82
Michela Grana, La valutazione dei progetti formativi: un confronto fra Liguria e Umbria, in Claudio Bezzi (a
cura di), “La valutazione della formazione professionale”, Irres, Perugia, 1995, p. 48
83
Manuela Crescini, Lo schema di valutazione proposto, in Claudio Bezzi (a cura di), “La valutazione della
formazione professionale”, Irres, Perugia, 1995, p. 73
84
Emilio Giardina, L’analisi costi-benefici e il processo decisionale pubblico, in Aa.Vv., “Calcolo economico e
decisioni pubbliche. Prime proposte per un approccio di settore”, Formez, Napoli 1994, p. 25-26
85
Emilio Giardina, L’analisi costi-benefici e il processo decisionale pubblico, in Aa.Vv., “Calcolo economico e
decisioni pubbliche. Prime proposte per un approccio di settore”, Formez, Napoli 1994, p. 37
86
Giancarlo Gasperoni, Cultura della valutazione e scuola italiana, “Il Mulino”, n. 362 (n.6), 1995, p. 989
134
sostanziale impossibilità della valutazione ex post degli interventi preventivi
Valutare gli interventi di prevenzione del disadattamento minorile e giovanile è senza
dubbio un’impresa difficile, se non impossibile.
In particolare se per valutazione si intende il controllo ex post dei risultati di un
intervento, c’è da chiedersi come sia possibile verificare i risultati di un’azione
finalizzata a evitare che un dato comportamento si verifichi. I risultati della
prevenzione infatti, quasi per definizione, non si vedono, in quanto la prevenzione è
intervento che agisce a monte. Il risultato ultimo della prevenzione è pertanto dato da
qualcosa che non è accaduto.
Perciò valutare gli interventi di prevenzione significa, in qualche modo, verificare in
che misura non è accaduto ciò che ci si attende, attraverso determinati interventi, che
non accada.
E’ perciò possibile assumere un’accezione diversa di valutazione, intesa non solo
come controllo ex post ma come processo di ricerca che accompagna gli interventi,
essendo finalizzato a “costruire correggendo”. Si tratta di un processo che, prendendo
in considerazione gli obiettivi positivi e verificabili di un intervento preventivo, ne
osserva e misura alcuni risultati parziali, cercando anche quanto non era prevedibile
a priori, considerandolo un possibile plusvalore dell’intervento.87
la valutazione è un giudizio motivato basato su una logica precisa e su informazioni
“Valutare” significa individuare, quantizzare, misurare ed esprimere un giudizio
motivato su effetti ed impatti di un’attività. Per effettuare la valutazione di un
intervento di politica pubblica, quale, ad esempio, una misura di politica sociale,
occorre uno schema di riferimento, una specificazione degli obiettivi che si
intendono raggiungere (e degli strumenti che si intendono utilizzare) e dati per
misurarne effetti ed impatti.88
ampia articolazione degli obiettivi della valutazione delle politiche
Gli aspetti principali della valutazione delle politiche sono i seguenti: a) quello della
coerenza di tali politiche con gli obiettivi ed i vincoli di politica economica tanto a
livello nazionale quanto a livello delle autonomie locali; b) quello dell’incidenza
delle politiche rispetto ad obiettivi e vincoli specifici ai settori, ai comparti e/o agli
enti incaricati della loro realizzazione; c) quello dello loro efficacia; d) quello dei
87
Ugo De Ambrogio, Valutare gli interventi di prevenzione, “Prospettive sociali e sanitarie”, n. 2, 1996, p. 2
88
Giuseppe Pennisi, La valutazione del rendimento delle politiche sociali, “Rassegna Italiana di Valutazione”,
n. 2, 1996
135
loro risultati attesi e/o effettivamente conseguiti. La valutazione, inoltre, può
riguardare a) le politiche in senso ampio; b) le strategie per realizzarle; c) i
programmi per dar corpo alle strategie; d) le misure puntuali di cui si compongono i
programmi. La valutazione, infine, può avere come proprio campo di analisi a) la
definizione e l’allestimento di politiche, strategie, programmi e misure; b) i processi
decisionali tramite i quali si è giunti ad esse; c) il ruolo ed i comportamenti dei vari
attori in esse coinvolti nei distinti stadi del ciclo del progetto (identificazione,
formulazione, decisione di finanziamento e di realizzazione, attuazione, valutazione
a completamento ed ex-post); d) uno o più aspetti delle politiche, delle strategie, dei
programmi e delle misure (aspetti tecnici, istituzionali, amministrativi, finanziari,
economici, sociali). Il terreno, in breve, è molto vasto e diversificato
la valutazione si concentra sugli effetti per risalire al processo
[L’azione valutativa è] un processo di ricerca sociale tendente a ricostruire
induttivamente — a partire dagli effetti (o risultati) dell’intervento — il sistema di
relazioni che gli attori implicati hanno generato89
valorialità del giudizio valutativo
il valutare è un atto (che implica, nei casi di maggiore complessità, raccolta di
informazioni, analisi e riflessione) tendente alla formulazione di giudizi di valore su
un oggetto, su una situazione o su un evento.
la valutazione come momento di autoriflessività organizzativa
si può considerare la valutazione come momento di riflessività dell’organizzazione su
se stessa90.
la valutazione come attribuzione del valore
Un’attività di valutazione consiste, essenzialmente, in un insieme di procedure che
hanno come obiettivo la determinazione del valore di un dato oggetto o di una data
attività o prestazione.91
audit legale
L’audit legale raffronta delle situazioni reali con il modello cui devono conformarsi
per legge, per regolamento, per contratto, per statuto dell’ordine professionale e per
89
Domenico Lipari, Progettazione e valutazione nei processi formativi, Edizioni Lavoro, Roma 1995, p. 45
90
Giorgio Gosetti, Valutazione e qualità del lavoro, “Tutela. Trimestrale di politiche sociali”, a. XI, n. 1-2,
giugno 1996, p. 62
91
Maria Stella Agnoli - Antonio Fasanella, La scommessa sociologica. Prove tecniche di valutazione.
“Sociologia e ricerca sociale”, n. 51, 1996, p. 115
136
ogni altra norma rilevante al caso. Pertanto, l’audit mira a verificare (a) il rispetto di
condizioni formalmente stabilite per la legittimità e per il corretto uso del potere e,
più in generale, (b) la corrispondenza di un atto alla norma che lo riguarda.
Quintessenziale all’audit è che le regole rispetto alle quali esso si esercita siano
inequivocabili e di osservanza obbligatoria92
audit finanziario
L’audit finanziario è rivolto all’accertamento della veridicità e completezza dei conti,
ivi compresi quelli previsionali. Usualmente l’audit riguarda l’osservanza delle
regole dell’arte per la tenuta della contabilità in atto, come presupposto della
correttezza e completezza dei conti, requisito per la certificazione di bilancio
audit tecnico
l’audit tecnico verifica l’osservanza dell’insieme di indirizzi generali, di direttive, di
procedure, e di raccomandazioni, complessivamente denominabili “regole dell’arte”.
Il modello di riferimento dell’audit tecnico è tanto ampio e sfumato che l’audit sfocia
spesso in un “giudizio di esperto”
valutazione delle mansioni
con l’espressione valutazione delle mansioni o job evaluation si intende
comunemente un processo sistematico mediante il quale sia possibile pervenire a dei
giudizi sulle singole mansioni (jobs) considerate, tendenti a mettere in evidenza la
maggiore o minore importanza (relativa) di ciascuna di esse nel contesto
organizzativo considerato.93
valutazione dei meriti
La valutazione dei meriti appare come un processo continuo che segue l’individuo
per
tutto
il
periodo
di
appartenenza
ad
una
data
organizzazione
e
contemporaneamente come un processo mediante il quale l’organizzazione esprime i
propri valori e norme di comportamento e, sulla base di questi, confronta la capacità
dei propri membri, esprimendo la propria élite dirigente.94
92
Vittorio Masoni, M&V. Monitoraggio e valutazione dei progetti nelle organizzazioni pubbliche e private,
Franco Angeli, Milano 1997, p.68
93
Maurizio Cornaro, La valutazione del lavoro, in Maurizio Cornaro - Bianca Rovida, “La valutazione del
lavoro e dei meriti”, Etas libri, Milano 1976, p. 23
94
Maurizio Cornaro - Bianca Rovida, La valutazione dei meriti, in Maurizio Cornaro - Bianca Rovida, “La
valutazione del lavoro e dei meriti”, Etas libri, Milano 1976, p. 88
137
il monitoraggio come strumento di rilevazione di discrepanze
Il monitoraggio consiste nell’accertamento e nella descrizione puntuale e metodica
dell’avanzamento di un progetto e nella segnalazione tempestiva (spesso in tempo
reale) di manifeste discrepanze rispetto a quanto prestabilito95
valutazione come analisi del beneficio netto
Valutare un intervento significa studiarne il contributo netto alla modifica di una
situazione preesistente nel senso desiderato.96
impatto come modifica nella valutazione delle tecnologie dell’informazione
Valutare un impatto significa stabilire in che modo un certo oggetto, toccandolo o
urtandolo, ne modifica un altro. Nel caso delle N.T.I.C. [Nuove Tecnologie
Informatiche per la Comunicazione] si tratta di vedere in generale, in che modo le
N.T.I.C. modificano, tra l’altro, l’organicità del lavoro, le professioni. le modalità
secondo cui gli individui interagiscono, e perfino la definizione delle politiche
internazionali, le transazioni monetarie, il trasferimento di modelli culturali.97
la valutazione ex ante legata al modello razionalistico
non vi è dubbio che la valutazione ex ante finisca per riproporre a livello prescrittivo
quella
razionalità
assoluta
che
proprio
lo
spostamento
di
enfasi
dalla
programmazione alla valutazione aveva messo in discussione come paradigma
analitico98
diversi livelli degli evaluandi
Oggetto di valutazione potrebbero dunque essere:
- politiche generali, quali derivano dai compiti istituzionali o dalle macro scelte
politiche (es., diminuzione della disoccupazione)
- strategie, ossia insieme coerente di obiettivi e azioni (es., aumentare le occasioni di
lavoro)
95
Luisella Pavan Woolfe, Premessa, in Isfol, “Rapporto nazionale di valutazione del Fondo sociale europeo
1994-1995 (a cura di Aviana Bulgarelli e Marinella Giovine), F. Angeli, Milano 1997, p. 28
96
Manuela Samek Lodovici, La valutazione delle politiche attive del lavoro: l’esperienza internazionale ed il
caso italiano, “Economia e lavoro”, a. XXIX, n. 1, gennaio-marzo 1995, p. 63
97
Barbara Bruschi, La valutazione dell’impatto socioculturale delle tecnologie telematiche. Un modello
generale e un’applicazione all’Italia, “Sociologia e Ricerca Sociale”, n. 52, 1997, pp.166-167
98
Mauro Palumbo, Elementi di una teoria generale della valutazione, in Claudio Bezzi – Mauro Palumbo (a
cura di), “Strategie di valutazione. Materiali di lavoro”, Gramma, Perugia 1998, p. 35
138
- politiche specifiche, ossia sub obiettivi delle strategie, ovvero finalità specifiche delle
strategie più generali (es., sviluppare l’occupazione dipendente nella PMI (Piccola
Media Impresa); sostenere l’autoimprenditorialità)
- singoli obiettivi, definiti in termini di risultati attesi, ossia esiti concreti di una politica
(es., creare un certo numero di nuovi posti di lavoro dipendente, ovvero un certo
numero di nuove imprese).
A questi quattro livelli se ne può aggiungere un quinto, quello dei singoli progetti,
che si presenta quando i risultati attesi sono definiti da un soggetto cui non compete
la realizzazione effettiva dell’intervento (come accade nelle politiche redistributive,
in cui sono concessi contributi a privati sulla base di progetti presentati per il
finanziamento).
cosa possono produrre le discipline empiriche nella valutazione
“nel settore delle valutazioni pratico-politiche (particolarmente anche di politica
economica e sociale), da cui devono essere tratte direttive per un agire fornito di
valore, le sole cose che una disciplina empirica può porre in luce con i suoi mezzi
sono le seguenti:
1) i mezzi indispensabili
2) le inevitabili conseguenze;
3) la concorrenza reciproca, in tale maniera condizionata, di più valutazioni possibili,
considerate nelle loro conseguenze pratiche”99
la previsione non è deterministica
la previsione non intende mettere in evidenza dove si deve andare, tanto meno
intende fissare gli imprescindibili obiettivi futuri da perseguire. La previsione
normativa e condizionale si adopera per contribuire ad una scelta politica che possa
attingere dalla razionalità scientifica alcuni elementi utili per la valutazione delle
diverse possibilità da attuare nel presente in vista di obiettivi chiari, molteplici e
alternativi.100
la valutazione come processo dinamico in evoluzione
La valutazione non è un metodo stabilito una volta per sempre, ma un processo
dinamico. Non è nemmeno un obiettivo, ma uno strumento, investito da compiti e da
99
Max Weber, Il significato dell’avalutatività nelle scienze sociologiche e economiche, citato in Alberto Lo
Presti, “Previsioni sociologiche e futures studies: un tentativo di ricomposizione logica e concettuale”,
“Sociologia e ricerca sociale”, n. 55, 1998, p. 134
100
Alberto Lo Presti, Previsioni sociologiche e futures studies: un tentativo di ricomposizione logica e
concettuale, “Sociologia e ricerca sociale”, n. 55, 1998, p. 134
139
aspettative sempre crescenti. Come tutti gli strumenti della scienza e della tecnologia,
è in continua evoluzione e affinamento e si trova ad affrontare ambiti e problemi
sempre nuovi, tanto che oggi si parla sempre più spesso di "valutazione della
valutazione" o "metavalutazione"101
valutazione come apparato tecnico a supporto delle decisioni
L'evoluzione della valutazione può essere pertanto definita come la necessità di
rendere operativa, in forma semplificata e diffusa, una strumentazione analitica in
grado di sistematizzare misurazioni quantitative sufficientemente comparabili e
compatibili con gli aspetti qualitativi, rendendo così trasparente il processo
discrezionale quale quello della formazione delle decisioni.102
la valutazione è il fondamento conoscitivo della certificazione
La ricerca valutativa dunque costituisce il necessario retroterra analitico ed il
fondamento conoscitivo che orienta l'atto ufficiale della certificazione103
coinvolgimento degli stakeholder
gli approcci valutativi che puntano sul coinvolgimento degli stakeholders anche nella
eventuale ridefinizione degli obiettivi, aprono la strada ad un approfondimento a giro
doppio. Vi è differenza nelle domande che ci si pone nel corso di una valutazione,
queste non devono limitarsi a sapere se il programma ha dato i risultati voluti, ma
anche se è buono quello che è successo in conseguenza del programma o va
modificato.
oggetto di studio della valutazione di impatto sociale
Il Social Impact Analysis (valutazione di impatto sociale) si occupa di valutare le
conseguenze sociali dello sviluppo di progetti, piani e politiche. Essa ha come
oggetto
delle
sue
previsioni
l’"ambiente
sociale"
piuttosto
che
quello
specificatamente "naturale" (bio-fisico), e nel fare ciò utilizza strumenti teorici e
metodologici propri delle scienze sociali. 104
101
Giuseppe Tognon, La valutazione, strumento decisivo delle politiche della ricerca, "UR - Università
Ricerca", n. 3, 1998, p. 2
102
Alberto Silvani, I metodi, le tecniche e le procedure per la valutazione della ricerca, "UR - Università
Ricerca", n. 3, 1998, p. 7
103
Domenico Lipari, Note preliminari sulla certificazione delle azioni formative nelle amministrazioni
pubbliche, "Rassegna Italiana di Valutazione" n. 4, 1996
104
Alessandro Bellinzoni, La Valutazione degli impatti socio-ambientali. L’esperienza estera del Social Impact
Assessment: quali prospettive per l’Italia ? "Rassegna Italiana di Valutazione", n. 7, 1997
140
la valutazione come processo di apprendimento
L'idea che la valutazione sia un "processo di apprendimento" è oggi addirittura
considerata una specie di assioma che non fa problema.
la valutazione migliora le performance del programma
uno strumento che è sicuramente in grado di favorire il maggiore e migliore utilizzo
delle risorse previste dai Fondi strutturali è rappresentato dallo svolgimento
dell’attività di valutazione nelle sue diverse modalità e, cioè, ex ante, in itinere ed ex
post così come raccomandato dai regolamenti comunitari.
l’applicazione delle procedure di valutazione aumenta, in presenza di determinate
condizioni, le possibilità di successo del programma in termini sia di capacità di
spesa dell’ente attuatore sia di risultati di impatto conseguiti dal programma.
L’attività di valutazione permette infatti:
• l’evidenziazione, in tempi utili, dell’eventuale mancato svolgimento di alcune delle
fasi previste e la sollecitazione della loro esecuzione;
• la predisposizione delle operazioni necessarie alla loro effettuazione e la verifica della
corretta esecuzione delle modalità di realizzazione;
• la promozione del grado di integrazione delle fasi e dei soggetti coinvolti
nell’attuazione dei programmi.105
valutazione come rigore, analisi causale, misurazione
la valutazione persegue lo scopo di stabilire in modo rigoroso quanto l’andamento
del risultato è effettivamente causato dall’intervento106
attributi della valutazione che ne definiscono il mandato
Una definizione generale di valutazione nei processi di pianificazione richiede la
considerazione di alcune questioni rilevanti; fra tutte, la “posizione” dell’azione
valutativa, il suo oggetto, la costruzione del problema e la sua mappatura sullo spazio
delle soluzioni.
Ognuna delle questioni citate costituisce un attributo della valutazione.
La posizione indica se si sta costruendo un processo decisionale (se si è all’interno),
oppure se ci si trova all’esterno, dando per scontato che il processo non possa
comunque essere modificato. Occorre, così, individuare la posizione degli attori,
105
Manuela Crescini, Valutazione e utilizzo dei Fondi strutturali: l’esperienza della regione Toscana, in
“Economia pubblica”, n. 5, 1999, p. 92
106
Area extradipartimentale Verifica della programmazione, Guida alla pratica della valutazione degli
interventi regionali, Regione Toscana, Giunta regionale, Ufficio programmazione e controlli, Firenze 1999, p. 8
141
compresa quella del valutatore (se è un attore indipendente), per delineare il frame
entro cui si colloca la valutazione.
In sintesi, la consapevolezza della posizione, del “dove si è”, aiuta a rispondere
all’interrogativo sul “perché si valuta”.
Un secondo attributo della valutazione è l’oggetto. Si cerca, in questo caso, di
rispondere alla domanda: “Da che prospettiva si sta valutando?”.
Il problema non esiste in sé, né possiede i requisiti impliciti per essere risolto se non
in relazione a strutture e capacità degli attori coinvolti. Le realtà organizzative, che
da strutture e capacità sono determinate, interagendo con l’oggetto ne mettono in
evidenza le componenti problematiche. La costruzione del problema consente di
rispondere alla domanda su “che cosa si valuta”.
Il cosiddetto spazio delle soluzioni è delimitato dal modo in cui si definiscono i
problemi. Non esistono soluzioni date; ogni soluzione è un esito contingente di
giochi voluti o imposti. La costruzione dello ‘spazio delle soluzioni’ cerca di
rispondere alla domanda: “E’ mutata la posizione iniziale? E se sì, dove siamo?”.107
valutazione come soluzione di problemi non coperti da norme e standard
Si può dire che la valutazione è necessaria quando non sono sufficienti le norme, i
parametri, gli standard (verifica di conformità) o le formule deterministiche di
calcolo.
Il processo di piano comprende sempre una serie di valutazioni, molte delle quali,
però, non vengono esplicitate come tali, poiché le decisioni si rifanno spesso a criteri
aprioristici; talvolta la valutazione viene intesa come un dilatarsi delle responsabilità
ed una esplicitazione delle probabilità di errore.
Occorre quindi ricondurre con chiarezza la valutazione al suo obiettivo intrinseco,
che mi sembra essere la risoluzione di problemi complessi, non previsti, del sistema
normativo (o comunque dal sistema codificato), e l’esplicitazione delle modalità di
decisione di fronte alla complessità e alla conflittualità.108
componenti dell’efficacia nella valutazione della pianificazione
107
Domenico Patassini, La valutazione delle politiche territoriali: le dimensioni di un concetto pervasivo, in
Stefano Stanghellini (a cura di), “Valutazione e processo di piano”, Alinea editrice – Daest, Firenze 1996, pp.
23-24
108
Vittoria Toschi, Ambiente e urbanistica in recenti esperienze di pianificazione a Bologna. La valutazione nel
processo di piano, in Stefano Stanghellini (a cura di), “Valutazione e processo di piano”, Alinea editrice – Daest,
Firenze 1996, p. 149
142
L’efficacia è una delle principali regole decisionali: si riferisce alla capacità di una
certa azione di ottenere un certo risultato. In essa si esprime al massimo la razionalità
tecnica e si misura in unità di prodotti e servizi.
L’efficienza si riferisce invece all’entità dello sforzo necessario per ottenere un certo
livello di efficacia.
A queste e ad altre regole decisionali ci si riferisce quando si parla di efficacia della
pianificazione: l’equità (ad esempio quella distributiva), oppure l’adeguatezza
(estensione con cui un certo livello di efficienza soddisfa i bisogni o i valori connessi
ad un certo problema) oppure ancora la rispondenza ad interessi.
Ma nel caso specifico dei parchi la accezione vera con cui si usa il termine efficacia è
quello della appropriatezza, ovvero della rispondenza ad una molteplicità di criteri
presi in esame insieme per affrontare e risolvere un problema.
Essa risponde ad una razionalità sostantiva, multipla (ambientale, sociale,
economica, etc.).
La valutazione del piano è la applicazione sistematica di questi criteri agli strumenti
di pianificazione. 109
il controllo strategico fra analisi dei problemi collettivi e controllo democratico
dell’amministrazione
Il punto di partenza per definire i contenuti di questa funzione [di valutazione e
controllo strategico] (e i compiti degli organismi ad essa dedicati) è quello di
sviluppare la tesi secondo cui la valutazione e il controllo strategico costituiscono
una risorsa a supporto del vertice politico per:
• realizzare i compiti riguardanti l’individuazione e il trattamento dei problemi
collettivi; detto in modo sintetico, ciò significa costruire le modalità attraverso cui le
domande e i bisogni vengono recepiti e tradotti in politiche, mobilitare consenso
sulle soluzioni praticabili, agire a sostegno delle attività di produzione legislativa,
strutturare i processi di governo che accompagnano l’attuazione degli interventi e le
relazioni con gli altri attori ecc.;
• assicurare il controllo democratico sugli apparati amministrativi, e cioè rendere
coerente l’attività amministrativa con le missioni delle istituzioni e i risultati attesi
dalle politiche.110
109
Rino Rosini, L’efficacia della pianificazione dei parchi, in Rino Rosini, Sandra Vecchietti (a cura di) “La
pianificazione dei parchi regionali”, Alinea ed., Firenze 1994, p. 47
143
performance e conformance
L’obiettivo della valutazione è la misura della performance e non della conformance
la valutazione come alternativa al giudizio impressionistico
il problema della valutazione nasce come controllo dell’affidabilità dei processi
basati esclusivamente sulla percezione111
la valutazione della qualità nei servizi socio-sanitari
La valutazione è un processo dinamico attraverso il quale un soggetto (CHI) esprime
dei giudizi di valore, qualitativi e/o quantitativi, nei confronti di un oggetto (COSA)
in base a criteri determinati, facendo riferimento a degli standard e utilizzando
strumenti appropriati (COME).
specificità valutative nei servizi alla persona come il nido
Il risultato che ci si propone di valutare in servizi a forte valenza relazionale riguarda
il farsi stesso della esperienza educativa, nella consapevolezza che ciò che conta è la
qualità di quello che si esperisce nella relazione e la percezione che se ne ha,
piuttosto che una improbabile definizione e misurazione dei cambiamenti intervenuti
sull’utente112
indispensabilità del rigore analitico
Le valutazioni sono utili per giudicare in quale misura un programma migliori il
benessere economico nelle regioni assistite e in che modo possa farlo con maggiore
efficacia. Per essere autorevoli, le valutazioni devono comunque essere supportate da
un rigore analitico ed essere sufficientemente operative da poter essere utilizzate
appieno per scopi politici113
la valutazione come ricerca
110
Bruno Dente – Giancarlo Vecchi, La valutazione e il controllo strategico, in Giovanni Azzone – Bruno Dente
(a cura di), “Valutare per governare. Il nuovo sistema dei controlli nelle Pubbliche amministrazioni”, Etas,
Milano 1999, p. 7
111
Giovanni Bertin – Paolo Bortolussi, Metodi e strategie di valutazione della prevenzione, in Paolo Ugolini –
Franco C. Giannotti (a cura di), “Valutazione e prevenzione delle tossicodipendenze. Teoria, metodi e strumenti
valutativi”, Franco Angeli, Milano 1998, p. 43
112
Laura Cipollone, Il percorso di analisi della qualità, in L. Cipollone (a cura di) “Strumenti e indicatori per
valutare il nido”, ed. Junior, Milano 1999, p. 22
113
Andrea Mairate, La valutazione quale mezzo di apprendimento istituzionale. Insegnamenti tratti
dall’esperienza dei fondi strutturali, in Mauro Palumbo (a cura di), “Valutazione 2000. Esperienze e riflessioni”,
Franco Angeli, Milano 2000, p. 25
144
La valutazione consiste nel fornire risposte il più possibile precise ed empiricamente
fondate a quesiti a loro volta precisi e traducibili in operazioni di ricerca114
la valutazione della formazione professionale come processo razionale di analisi
con il termine “valutazione” si [intende] un’attività deliberata e socialmente
organizzata che si qualifica per essere:
• orientata alla ricostruzione ed alla comprensione critica degli elementi (di processo e
di prodotto, di risultato e di impatto) caratterizzanti – in questo caso – un’azione
formativa;
• finalizzata ad individuare i punti di forza e di debolezza, le specificità e le
ambivalenze, il “valore” (con riferimento a determinati criteri e ad espliciti standard)
di una determinata azione formativa;
• orientata a supportare, in forma più o meno diretta e conseguente, una presa di
decisione;
• realizzata attraverso il metodo della ricerca sociale strutturata e formalizzata.115
differenze fra valutazione come accountability e valutazione come learnin
Le informazioni prodotte per l’accountability saranno
quindi periodiche,
semplificate, descrittive, ma allo stesso tempo potenziali portatrici di conflitti,
almeno allo stato latente, in quanto sviluppate all’interno di un rapporto in cui una
parte si aspetta qualcosa da un’altra. In questo senso la parentela con la logica del
controllo (inteso sia come verifica sia come tenuta sotto controllo) è ancora evidente.
Gli strumenti tipici della valutazione come apprendimento sono invece quelli prestati
dalle scienze sociali e codificati in approcci analitici, quali l’analisi di impatto (che
utilizza vari metodi quantitativi a seconda dei dati a disposizione e del problema da
analizzare) e l’analisi del processo (che utilizza invece metodi prevalentemente
qualitativi). Quale che sia l’approccio o il metodo, qui siamo nel pieno della “ricerca
valutativa”, intesa come traduzione dell’inglese evaluation research116
114
Mauro Palumbo, La valutazione delle politiche del lavoro, in Mauro Palumbo (a cura di), “Valutazione 2000.
Esperienze e riflessioni”, Franco Angeli, Milano 2000, p. 75
115
Alberto Vergani, Un intervento di valutazione ex-post di alcuni percorsi di formazione in ingresso:
indicazioni e riscontri per la programmazione, la pianificazione e la progettazione delle politiche e degli
interventi di formazione, in Mauro Palumbo (a cura di), “Valutazione 2000. Esperienze e riflessioni”, Franco
Angeli, Milano 2000, pp. 143-144
116
Alberto Martini – Giuseppe Cais, Controllo (di gestione) e valutazione (delle politiche): un (ennesimo ma non
ultimo) tentativo di sistemazione concettuale, in Mauro Palumbo (a cura di), “Valutazione 2000. Esperienze e
riflessioni”, Franco Angeli, Milano 2000, p. 413
145
rischi e imprevedibilità della valutazione della ricerca scientifica
L’ampia definizione di valutazione della ricerca scientifica racchiude molteplici
contenuti e sottintende un insieme di complessi fenomeni che, da un lato, riflettono
l’estensione delle problematiche connesse ad un mondo variegato e segmentato come
quello della scienza – dai suoi riferimenti concettuali ai suoi modi operativi – mentre,
dall’altro, si confrontano – con una rilevante componente di imprevedibilità e rischio
sia nello svolgimento dei processi che nella misurabilità di merito – risultati e
impatti117
crucialità dell’identificazione degli obiettivi del programma
Nella ricerca valutativa l’identificazione degli obiettivi delle attività che si intendono
esaminare è una delle prime azioni da svolgere, e si tratta di una fase non solo molto
delicata ma anche cruciale118
la valutazione educativa come processo di attribuzione di senso
Valutare in senso educativo significa fare riferimento ad un campo di conoscenza, ad
un campo disciplinare specifico, estremamente variegato e in continuo divenire, che
non si esaurisce certamente in una pratica di misurazione, tanto meno di condotte
individuali, quanto piuttosto si esplica in un processo di attribuzione di senso ad
operatività complesse che chiamano in causa differenti attori sociali119
la valutazione modifica l’oggetto valutato
Se è vero che nel caso di un intervento valutativo l’ambito della ricerca è predefinito,
è vero anche che la prima finalità di questo tipo di indagine è in ogni caso la
ridefinizione del contesto sulla base dei risultati e, di conseguenza, la riapertura
dell’ambito stesso di indagine, lo spostamento dei suoi contorni.120
necessaria analisi controfattuale per la valutazione degli esiti occupazionali
117
Alberto Silvani, La valutazione della ricerca in Italia: scienza, burocrazia, arte o mestiere?, in Mauro
Palumbo (a cura di), “Valutazione 2000. Esperienze e riflessioni”, Franco Angeli, Milano 2000, p. 302
118
Marta Scettri, La valutazione tassonomica, in Mauro Palumbo (a cura di), “Valutazione 2000. Esperienze e
riflessioni”, Franco Angeli, Milano 2000, p. 430
119
Anna Bondioli – Monica Ferrari, Introduzione (a cura di), “Manuale di valutazione del contesto educativo:
teorie, modelli, studi per la rilevazione della qualità nella scuola”, Franco Angeli, Milano 2000, pp. 10-11
120
Anna Bondioli – Monica Ferrari, Valutazione formativa e restituzione, (a cura di), “Manuale di valutazione
del contesto educativo: teorie, modelli, studi per la rilevazione della qualità nella scuola”, Franco Angeli, Milano
2000, p. 103
146
la valutazione degli esiti occupazionali mira a verificare attraverso il giudizio
controfattuale se, e in che misura, la formazione professionale intesa come strumento
di politica attiva del lavoro, ha prodotto degli effetti sui destinatari.
Come si noterà, questa definizione contiene in sé quelle scelte di campo che
necessariamente portano all’adozione di alcuni approcci teorici e metodologici a
discapito di altri:
il ricorso ad un’analisi che tenga conto non solo della situazione osservata (che si
verifica con la realizzazione di un intervento) ma anche di una situazione definita
come controfattuale (che si verifica in assenza dello stesso intervento).121
efficacia ed efficienza
La valutazione ha la finalità di innescare, attraverso strategie di incentivazione basate
sui risultati della valutazione stessa, un sistema di azioni e retroazioni teso al
miglioramento dell’efficienza e dell’efficacia (qualità) delle azioni pubbliche122
la formazione priva di significato senza valutazione
un processo di formazione non è completo fino a quando – e a meno che – non sia
stata effettuata una valutazione, poiché è proprio la valutazione a fornire l’indirizzo e
a conferire significato alla formazione123
decisione e valutazione
Tutto ciò che è decidibile è valutabile. C’è valutazione ogni qual volta qualcuno
chiede (a se stesso o a un esterno) di giudicare un’azione intenzionale (progettata, in
corso di realizzazione o realizzata) a fronte di qualche criterio e sulla base di
informazioni pertinenti; dunque i requisiti di base della valutazione sono la
produzione di un giudizio fondato sull’intenzionalità dell’azione da valutare (o sulla
ricostruibilità della razionalità, strumentale o valoriale, di tale azione o insieme
d’azioni) e la disponibilità di criteri di giudizio, nonché il fatto che l’azione realizzata
permetta la raccolta di riscontri empirici utili a supportare il giudizio stesso.124
Marco Centra, Roberto De Vincenzi, Claudia Villante, Formazione professionale e occupabilità. La valutazione
dell’impatto degli interventi formativi sugli esiti occupazionali, Struttura ISFOL di Assistenza tecnica – Fondo
Sociale Europeo, Roma 2000
122
Enrico Gori e Giorgio Vittadini, La valutazione dell’efficienza ed efficacia dei servizi alla persona.
Impostazione e metodi, in Enrico Gori e Giorgio Vittadini (a cura di), “Qualità e valutazione nei servizi di
pubblica utilità”, Etas, Milano 1999, p. 122
123
Ronald R. Sims, Valutazione dei programmi di formazione nel settore pubblico, “Problemi di
Amministrazione Pubblica”, XIX, n. 4, 1994, p. 523
124
Mauro Palumbo, Il processo di valutazione. Decidere, programmare, valutare, Franco Angeli, Milano 2001,
p. 48
147
valutazione come comparazione fondata sulla ricerca
La logica della valutazione è quella della comparazione, le informazioni di cui si
nutre sono quelle della ricerca. La bontà della valutazione riposa sul rigore con il
quale la comparazione viene impostata e sviluppata e sulla bontà della ricerca che
fornisce il materiale empirico su cui i giudizi comparativi si fondano.
oneri morali della valutazione
Se saper scegliere significa sempre saper rinunciare, allora valutare significa
assumersi gli oneri morali di una decisione che impone altrui rinunce.
definizione realista
Per valutazione [ex ante delle politiche di sviluppo locale] intenderò la formulazione
di una previsione e di un giudizio su benefici e costi presumibili di una politica, cioè
dei suoi effetti netti rispetto a una o più variabili obiettivo, su un’adeguata scala
temporale e per una data popolazione bersaglio.125
la ricerca-valutazione
la valutazione è anche ricerca, ma non è solo e semplicemente ricerca, cioè
predisposizione di una procedura di identificazione, raccolta e interpretazione di
informazioni e dati. Essa è anche espressione di giudizi, orientati da valori e da
criteri pratici (standard professionali o economici). In tal senso sembra opportuna
l’insistenza di C. Cipolla126 nel proporre in italiano il doppio sostantivo “ricercavalutazione” anziché il termine più abituale di “ricerca valutativa”.
Non si tratta semplicemente di una traduzione più letterale dell’inglese evaluationresearch, ma dell’espressione puntuale della doppia natura dell’azione di
valutazione: a) l’affermazione di una ricerca sociale specifica; b) l’emissione di
giudizi sulla base (anche, ma non solo) dei responsi dell’indagine.
ruolo dei valori
la valutazione è un tipo di ricerca che si occupa di valori127
125
Massimo Florio, La valutazione delle politiche di sviluppo locale, in Raffaele Brancati (a cura di), “Analisi
e metodologie per la valutazione delle politiche industriali”, Franco Angeli, Milano 2001, p. 227
126
Leonardo Altieri – Daniela Migliozzi, Una ricerca di qualità. La spendibilità della ricerca-valutazione nei
programmi sociali, in Costantino Cipolla (a cura di), “Il ciclo metodologico della ricerca sociale”, Franco
Angeli, Milano 1998 (II^ ed. 1999), p. 542
127
Leonardo Altieri – Daniela Migliozzi, Una ricerca di qualità. La spendibilità della ricerca-valutazione nei
programmi sociali, in Costantino Cipolla (a cura di), “Il ciclo metodologico della ricerca sociale”, Franco
Angeli, Milano 1998 (II^ ed. 1999), p. 573
148
valutazione come incremento di valore d’uso della conoscenza
la valutazione attribuisce un giudizio di valore – etico e/o economico –, ma
attraverso l’incremento di valore d’uso alla conoscenza umana; quest’ultima è la
specificità della valutazione128
valutazione riflessiva
Per poter capire quando e in che misura ha appreso qualcosa, il soggetto deve essere
in grado di percepire il cammino percorso, di misurare la distanza tra uno stadio
iniziale e uno stadio finale e di comprendere i modi con i quali si è arrivati al
raggiungimento dello stadio desiderato. L’insieme di queste azioni è definibile come
“valutazione” sia della quantità/qualità di ciò che si è appreso sia delle modalità con
cui si è appreso, nello stesso tempo è anche apprendere ad osservarsi come soggetto
agente costruttore della propria conoscenza.
In questo senso mi sembra più appropriato proporre di sostituire al termine
“autovalutazione” quelli di “valutazione riflessiva”, intendendo così sottolineare il
fatto che il soggetto mentre valuta, cioè misura il proprio apprendimento ed esplicita
i processi mentali che ha adottato per conoscere, riflette su se stesso come soggetto
produttore di conoscenza.129
valutazione come giudizio in vista di una decisione
si è inteso intendere con il termine valutazione un’attività deliberata e socialmente
organizzata che porta alla produzione di un giudizio di valore – di norma articolato –
in vista di una, più o meno strettamente conseguente, presa di decisione ad esso
riconducibile130
la valutazione come formazione
La valutazione può essere oggi letta più propriamente – analogamente alla
progettazione – come azione cardine del processo formativo. In tal senso valutare è
anche formare, non solo a specifiche competenze valutative ma – più in generale – al
128
Carlo Bisio, Valutologia: un’economia di significati, in Carlo Bisio (a cura di), “Valutare in formazione.
Azioni, significati e valori”, Franco Angeli, Milano 2002, p. 33 (corsivo nel testo)
129
Elena Righetti, La valutazione riflessiva: autovalutazione e apprendimento, in Carlo Bisio (a cura di),
“Valutare in formazione. Azioni, significati e valori”, Franco Angeli, Milano 2002, p. 86
130
Alberto Vergani, Dentro e fuori dal processo formativo. Una sperimentazione di utilizzo della valutazione
a sostegno dell’accompagnamento di interventi formativi per occupati, in Carlo Bisio (a cura di), “Valutare in
formazione. Azioni, significati e valori”, Franco Angeli, Milano 2002, pp. 195-196.
149
cambiamento personale e organizzativo. Una delle azioni più rilevanti del complesso
dispositivo formativo è costituito dalla valutazione, in quanto attribuzione di
significati di valore sugli eventi formativi.131
la valutazione come impresa scientifica interessata agli esiti
per valutazione si può intendere “un insieme integrato di scelte di valore, di
assunzioni teoriche e metodologiche, di metodi e tecniche di carattere scientifico il
cui fine è quello di determinare gli esiti di un certo corso di azione intrapreso per
conseguire determinati obiettivi”.132
la valutazione come valore
la valutazione è di per sé un valore
la valutazione come giudizio relativo agli obiettivi
La valutazione sviluppa un giudizio sull’azione possibile o già agita; è il processo
attraverso cui ci si esprime in merito alla capacità di una scelta o di una politica di
conseguire un certo obiettivo133
valutazione delle politiche e problema controfattuale
normalmente l’attività di valutazione si sostanzia in un’attività di comparazione, che
mette in relazione gli esiti di una politica con uno dei tre elementi sotto elencati:
a) con i bisogni, problemi, questioni cui l’intervento deve dare risposta;
b) con gli obiettivi che si pone il decisore o l’attuatore;
c) con gli standard di qualità predominanti nello specifico campo della politica.
Soprattutto nei primi due casi si pone poi il problema di misurare il contributo
realmente fornito dalla politica alla soluzione del problema o al conseguimento degli
obiettivi. Per isolare gli effetti realmente imputabili alla politica entra in scena un
quarto termine di riferimento, che rimane nello sfondo: il controfattuale, costituito
dalla situazione che avremmo dinanzi se la politica non fosse stata attivata.134
131
Piergiorgio Reggio, La valutazione qualitativa della formazione, in Carlo Bisio (a cura di), “Valutare in
formazione. Azioni, significati e valori”, Franco Angeli, Milano 2002, p. 222
132
Angelo Saporiti, La ricerca valutativa. Riflessioni per una cultura della valutazione, Rubbettino, Soveria
Mannelli 2001, p. 40.
133
Ilaria Merati, Il mercato della valutazione attivato dalle politiche strutturali dell’Unione Europea, in
Nicoletta Stame (a cura di), “Valutazione 2001. Lo sviluppo della valutazione in Italia”, Franco Angeli, Milano
2001, p.
134
Mauro Palumbo, Valutazione di processo e d’impatto: l’uso degli indicatori tra meccanismi ed effetti, in
Nicoletta Stame (a cura di), “Valutazione 2001. Lo sviluppo della valutazione in Italia”, Franco Angeli, Milano
2001, pp. 330-331
150
la valutazione come analisi obiettivi-risultati
La principale finalità conoscitiva attribuita alla valutazione è quella di verificare se la
politica messa in atto abbia modificato nel senso voluto il fenomeno cui si riferisce.
In molte circostanze è altrettanto importante stabilire se la politica abbia prodotto
anche risultati non previsti e sovente non voluti. Il termine di paragone non è uno
stato prestabilito in cui il fenomeno si deve presentare dopo, ma il confronto con ciò
che sarebbe accaduto se l’intervento non fosse stato realizzato.135
la valutazione come ricostruzione del sistema di azione dell’intervento formativo
la valutazione [è] un processo di ricerca sociale applicata, orientato alla
comprensione e all’apprezzamento, in campi d’azione determinati, dei risultati
conseguiti, in una prospettiva analitica che include nel proprio raggio l’intero
processo di azione considerato.
Si tratta di un lavoro di analisi che ha come scopo quello di cogliere, attraverso un
procedimento induttivo di ricerca, le strategie, i comportamenti e l’intreccio delle
relazioni multiple tra gli attori implicati nel processo e di identificare il sistema che
contiene tali relazioni, i cui contenuti specifici (risultati delle azioni, strategie di
implementazione, misure e mezzi adottati, finalità generali, obiettivi parziali, ecc.)
costituiscono altrettante poste in gioco intorno alle quali si svolgono le relazioni tra
gli attori.
Se concepita nei termini che si è cercato schematicamente di delineare, la valutazione
costituisce un formidabile strumento di apprendimento e di cambiamento.136
valutazione e ricerca pura
Gli studi valutativi si distinguono dalla ricerca pura e applicata soprattutto perché
loro obiettivo prioritario è esprimere un giudizio di valore su di una situazione o
evento. La valutazione appare cioè orientata soprattutto a finalità pratica, quando non
direttamente al miglioramento delle decisioni, ed è forte il suo legame con le
politiche sociali.137
135
Maura Franchi, Dalla valutazione delle politiche alle politiche della valutazione: spunti di riflessione sulla
base di un caso regionale, in Maura Franchi e Mauro Palumbo (a cura di), La valutazione delle politiche del
lavoro e della formazione, “Sociologia del lavoro” n. 77, Franco Angeli, Milano 2000, p. 150
136
Domenico Lipari, Logiche di azione formativa nelle organizzazioni, Guerini e Associati, Milano 2002, pp.
142-143
137
Giuseppe Moro, La formazione nelle società post-industriali. Modelli e criteri di valutazione, Carocci
editore, Roma 1998, p. 157
151
valutazione come strumento di governo e controllo
Nell’articolazione delle funzioni pubbliche di governo e controllo la valutazione
viene ad essere considerata una delle azioni fondamentali di cui la produzione dei
servizi necessita e che si colloca ai vari livelli istituzionali e operativi interessati al
funzionamento del sistema.
La valutazione della qualità, poiché produce indicatori di qualità e strumenti per
verificarli, offre i saperi e i metodi indispensabili alla definizione di standard e le
risorse professionali e strumentali per la verifica e il controllo.138
valutazione come ricerca di significati culturali
la valutazione si rende pratica di documentazione e conoscenza, in modo da far
uscire dall’ovvio i significati culturali, spesso impliciti, depositati nelle modalità di
organizzazione, di funzionamento e di relazione del servizio139
valutazione come costruzione di senso
La valutazione è l’atto di riconoscimento di un valore, di un significato; potremmo
quasi dire che la valutazione è l’atto che consente ad un progetto di assumere un
“senso”. Infatti un progetto assume significato formativo proprio perché si definisce
continuamente, trovando nella valutazione gli elementi per modificarsi e adattarsi
costantemente alla situazione.140
valutazione delle politiche pubbliche
si potrebbe definire la valutazione delle politiche pubbliche come un’attività di
ricerca sociale che ha il compito di produrre giudizi sui risultati di una politica e/o sui
relativi processi di elaborazione e di attuazione, attraverso comparazione con criteri
espliciti o impliciti; il suo obiettivo è di contribuire al miglioramento delle modalità
di intervento pubbliche.141
138
Laura Cipollone, Un sistema di qualità dei servizi per l’infanzia e l’adolescenza, in Laura Cipollone (a cura
di), “Il monitoraggio della qualità dei servizi per l’infanzia e l’adolescenza”, edizioni Junior, Bergamo 2001, p.
13
139
Paola Falteri, Multidimensionalità dell’esperienza infantile e approcci valutativi, in Laura Cipollone (a cura
di), “Il monitoraggio della qualità dei servizi per l’infanzia e l’adolescenza”, edizioni Junior, Bergamo 2001, p.
31
140
Floriana Falcinelli, La valutazione nell’educazione extrascolastica, in Laura Cipollone (a cura di), “Il
monitoraggio della qualità dei servizi per l’infanzia e l’adolescenza”, edizioni Junior, Bergamo 2001, p. 35
141
Ivana Fellini, Daniela Oliva, Flavia Pesce e Manuela Samek Lodovici, Un sistema di monitoraggio e
valutazione in un’ottica di genere. Un manuale per l’uso, Provincia Autonoma di Bolzano-Alto Adige –
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – IRS Istituto per la Ricerca Sociale, Bologna 2002
152
valutazione ex ante come ricerca previsionale
[La valutazione ex ante] si caratterizza, in buona parte, per essere una attività di
ricerca previsionale, iscrivibile al filone dei future studies e, come tale, presenta
alcuni
problemi
metodologici
relativi,
principalmente
alla
complessità
e
multidimensionalità del giudizio valutativo che deve essere esplicato.142
obiettivi della valutazione realista
la questione della sfera e dei confini di una spiegazione è assolutamente cruciale per
la metodologia della valutazione. Nel passato, la ricerca valutativa è passata da un
eccesso di ottimismo (e dalla ricerca di un toccasana universale) alla disperazione (e
al lamento “nulla funziona”). L’obiettivo realista si trova nel mezzo. I programmi
funzionano in circostanze limitate e, per il realista, il compito principale della
revisione e della sintesi è scoprire queste circostanze.143
valutazione come sistema di controllo
La valutazione si inserisce in un processo complesso come elemento interno e
strutturale di controllo funzionale, qualitativo e di efficacia delle azioni intraprese, al
fine di garantirsi un governo costante del processo che ottimizzi le fasi decisorie,
l’impiego delle risorse e il raggiungimento degli obiettivi prefissati secondo una
logica che circolarmente e funzionalmente immette nel sistema continui adattamenti
e autocorrezioni.144
valutazione come ricerca sugli effetti nelle organizzazioni
La valutazione è un processo di ricerca finalizzato all’emissione di un giudizio sugli
effetti di un’azione il più delle volte complessa: essa è un’attività conoscitiva
generalmente
concepita
come
supporto
alla
progettazione,
revisione
o
programmazione delle attività realizzate da un attore organizzativo istituzionale o
aziendale.145
142
Ivana Fellini, Daniela Oliva, Flavia Pesce e Manuela Samek Lodovici, Un sistema di monitoraggio e
valutazione in un’ottica di genere. Un manuale per l’uso, Provincia Autonoma di Bolzano-Alto Adige –
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – IRS Istituto per la Ricerca Sociale, Bologna 2002
143
Ray Pawson, Una prospettiva realista. Politiche basate sull’evidenza empirica, in Realismo e valutazione,
a cura di Antonio Fasanella e Nicoletta Stame, “Sociologia e ricerca sociale”, n. 68/69, 2002, p. 31
144
Luigi Frudà, Presentazione, in Folco Cimagalli, “Valutazione e ricerca sociale. Orientamenti di base per gli
operatori sociali”, Franco Angeli, Milano 2003, p. 9
145
Folco Cimagalli, Valutazione e ricerca sociale. Orientamenti di base per gli operatori sociali, Franco
Angeli, Milano 2003, p. 12
153
3.2. Metodologia della valutazione
Le seguenti sono definizioni che si basano su riflessioni metodologiche, quindi su
tecniche, metodi, procedure, standard nella ricerca valutativa; o che tengono conto
del rapporto della ricerca valutativa con la sfera scientifica, quindi la scientificità
della ricerca valutativa e la sua oggettività, i problemi di validità e attendibilità, i
rapporti con le altre scienze.
cosa non è la valutazione
Ciò che la valutazione deve evitare di essere:
− non deve ridursi a un processo di descrizione delle azioni;
− non deve essere normativa o confondersi con metodi di controllo in senso stretto;
− deve essere distinta dai metodi di certificazione delle conoscenze;
− non può essere considerata esclusivamente come un bilancio finalizzato a misurare il
buon esito delle azioni tramite indicatori quali le percentuali di conseguimento degli
obiettivi, infine, la valutazione deve essere scissa da un processo di controllo
amministrativo diretto a verificare la conformità delle azioni a direttive o a norme
predeterminate.1
valutazione come giudizio razionale fondato sulla conoscenza
Valutare significa giudicare ed il giudizio può essere realizzato attraverso il pregiudizio, vale a dire utilizzando le credenze e le conoscenze che la storia individuale
e organizzativa ha consentito di sedimentare nel tempo. Oppure si può sostituire
questa impostazione con una raccolta sistematica di informazioni che consentono di
aumentare la capacità di giudizio. Per far questo è necessario riconoscere che ogni
giudizio è prodotto dall'interazione di alcune assunzioni di valore, messe in relazione
con informazioni e conoscenze relative al fenomeno che si intende valutare. In questa
logica valutare significa aumentare la capacità di giudizio supportandola con la
definizione degli elementi valoriali che lo compongono e con l'attivazione di
tecniche di ricerca capaci di aumentare la conoscenza sul fenomeno che deve essere
giudicato.
Questa impostazione assume le caratteristiche del processo decisionale teso alla
ricerca di una razionalità limitata, che rinuncia al controllo di tutte le variabili capaci
1
Isfol - Cee, La valutazione nel Fondo Sociale Europeo. Metodologia di valutazione dei programmi operativi,
F. Angeli, Milano 1993, p. 43
154
di influenzare i fenomeni considerati ed alla costruzione di modelli esplicativi di tipo
comprensivo.2
la valutazione come ricerca sociale applicata
La valutazione è lo studio degli effetti di un’azione programmata per determinati
obiettivi, per vedere se tale azione ha ottenuto i risultati attesi o altri, e per giudicare
dell’eventuale scostamento in vista di un miglioramento dell’azione pubblica.
Si tratta dunque di una ricerca, anche se di una ricerca particolare, perché tende ad un
giudizio in vista di un miglioramento.
La valutazione è una ricerca sociale applicata, in quanto: a) riceve l’oggetto della sua
analisi dal committente (il decisore di una politica o di un programma, l’attuatore, il
beneficiario) e non dal ricercatore stesso; b) deve essere utile alle parti interessate,
perché deve consentire di apportare un miglioramento dove le cose erano andate
male, o di riconoscere una situazione positiva anche se non era stata prevista; c)
viene svolta da specialisti e non (specialisti di valutazione ma anche operatori interni
e destinatari di politiche e servizi).3
differenze e problemi fra monitoraggio e valutazione
Per monitoraggio si intende la raccolta sistematica e continuativa delle informazioni
necessarie per misurare costi e risultati lordi degli interventi (ad esempio nel caso dei
sussidi all’occupazione, il numero di assunzioni effettuate con i sussidi) e le modalità
di attuazione dell’intervento. La valutazione considera invece i risultati netti
dell’intervento: quelli dovuti solo e proprio all’operare dell’intervento (nel nostro
esempio il numero di persone assunte col sussidio che non sarebbero state assunte in
assenza del sussidio). Il tipo di informazioni necessarie e l’approccio metodologico
sono piuttosto diversi: mentre infatti il monitoraggio richiede un approccio di tipo
essenzialmente descrittivo, la valutazione di impatto utilizza metodologie di tipo
statistico complesse e comporta i problemi maggiori dal punto di vista metodologico,
perché è necessario stabilire cosa sarebbe successo in assenza dell’intervento e
valutare come si modificano i comportamenti dei soggetti coinvolti. E’ quindi
2
Giovanni Bertin, La valut-azione come strategia di gestione dei servizi sociali e sanitari, “Rassegna Italiana di
Valutazione”, n. 3,
3
Nicoletta Stame, La valutazione delle politiche e dei servizi, “Tutela. Trimestrale di politiche sociali”, a. XI, n.
1-2, giugno 1996, pp. 6-7
155
necessario avere una situazione controfattuale o un gruppo di controllo rispetto a cui
confrontare l’effetto dell’intervento.4
valutazione formativa valutazione sociale sommativa
L’esistenza o meno di un processo di feedback efficace porta a distinguere una
valutazione formativa da una valutazione sommativa.
Nel primo caso le informazioni scaturite dalla valutazione sono riportate ai decisori
in modo tale che questi possano agire sulla base delle nuove conoscenze adattando
gli interventi per raggiungere gli obiettivi stabiliti o rivedendo gli obiettivi stessi. La
valutazione contribuisce in questo caso ad una logica di apprendimento, il cui
apporto principale è da ricercare nella possibilità di migliorare le azioni future.
Nel secondo caso si tratta di un’analisi generale del grado di successo o insuccesso ottenuto dal
programma: lo scopo non è quello di correggere eventualmente il tiro bensì di dare un giudizio
positivo o negativo sulla validità degli obiettivi e dei risultati dell’intervento
la valutazione di politiche e programmi come risposta di trasparenza nella gestione
pubblica
Il periodo che stiamo attraversando è caratterizzato da una richiesta di trasparenza e
di accountability nella gestione degli affari pubblici e da un desiderio di apprendere a
gestire gli strumenti di intervento che sono a disposizione della società. Ciò pone in
primo piano l’esigenza di valutare l’efficacia ed i risultati delle politiche e dei
programmi, a cui non corrisponde però ancora un’adeguata conoscenza dei metodi e
una soddisfacente creatività negli approcci.
sostanziale impossibilità della valutazione ex post degli interventi preventivi
Valutare gli interventi di prevenzione del disadattamento minorile e giovanile è senza
dubbio un’impresa difficile, se non impossibile.
In particolare se per valutazione si intende il controllo ex post dei risultati di un
intervento, c’è da chiedersi come sia possibile verificare i risultati di un’azione
finalizzata a evitare che un dato comportamento si verifichi. I risultati della
prevenzione infatti, quasi per definizione, non si vedono, in quanto la prevenzione è
intervento che agisce a monte. Il risultato ultimo della prevenzione è pertanto dato
da qualcosa che non è accaduto.
4
Manuela Samek Lodovici, La valutazione delle politiche attive del lavoro: l’esperienza internazionale ed il
caso italiano, “Economia e lavoro”, a. XXIX, n. 1, gennaio-marzo 1995, p. 64
156
Perciò valutare gli interventi di prevenzione significa, in qualche modo, verificare in
che misura non è accaduto ciò che ci si attende, attraverso determinati interventi, che
non accada.
E’ perciò possibile assumere un’accezione diversa di valutazione, intesa non solo
come controllo ex post ma come processo di ricerca che accompagna gli interventi,
essendo finalizzato a “costruire correggendo”.
Si tratta di un processo che, prendendo in considerazione gli obiettivi positivi e
verificabili di un intervento preventivo, ne osserva e misura alcuni risultati parziali,
cercando anche quanto non era prevedibile a priori, considerandolo un possibile
plusvalore dell’intervento.5
variabilità degli approcci valutativi
Attualmente si assiste ad un “inflazionamento” della nozione di valutazione in una
gamma che va dalla semplice descrizione discorsiva delle azioni formative, al
tentativo di imbrigliare le stesse in complicati (per la massa di informazioni che
richiedono) modelli. Indubbiamente i metodi di valutazione sono innumerevoli,
l’importante è che la strada scelta abbia un suo rigore logico ed una sua coerenza
formale e sostanziale rispetto agli scopi del processo valutativo.
elementi controversi nell’analisi costi benefici
L’A. c./b. [analisi costi-benefici] è una tecnica per scegliere la migliore fra diverse
alternative (in genere di investimento), confrontandole fra loro sulla base dei costi e
dei benefici riferiti all’intera collettività nazionale.
L’A. c./b. tiene conto di tutti i benefici e i costi implicati da un progetto, compresi
quelli intangibili come la salvaguardia della vita umana o la tutela dell’ambiente, e
quindi deve sommare fra loro elementi molto disomogenei e che si producono in
tempi diversi.
L’eterogeneità dei fenomeni considerati e la loro distribuzione nel tempo
costituiscono i punti più controversi del metodo e chiamano in causa due concetti:
quello dei prezzi ombra (che consentono di attribuire un valore a tutti i costi e ai
benefici) e quello del tasso sociale di sconto (che consente di comparare fra loro
valori di epoche diverse).6
5
Ugo De Ambrogio, Valutare gli interventi di prevenzione, “Prospettive sociali e sanitarie”, n. 2, 1996, p. 2
6
Maurizio Maggi, Analisi costi/benefici, in G. Gamba - G. Martignetti (a cura di), “Dizionario dell’ambiente”,
Isedi, Torino 1995, p. 48
157
multicriterialità della valutazione di impatto ambientale
[La valutazione di impatto ambientale] E’ un metodo di analisi degli effetti
prevedibili sulle risorse ambientali della realizzazione di una proposta di intervento.
Scopo della Valutazione di Impatto Ambientale è fornire a soggetti pubblici e privati
informazioni utili per decidere, dal punto di vista dell’interesse collettivo e non solo
da quello del proponente o dell’investitore, su progetti con conseguenze ambientali
rilevanti.
Diversamente che nell’Analisi costi/benefici, nella V.I.A. gli effetti non vengono
misurati tutti col metro del valore monetario attuale, né si utilizza quest’ultimo come
criterio esclusivo per la scelta. La V.I.A. è un’analisi multicriteri: le motivazioni
della scelta sono varie e possono essere in conflitto fra loro. Essa ha pieno significato
come strumento per confrontare alternative piuttosto che per valutare un singolo
progetto.7
la valutazione è un costo e non bisogna abusarne
Non si può valutare soltanto: da un lato, ogni operazione di valutazione comporta un
costo e, dall’altro, le esigenze di funzionamento dell’impresa non permettono di
valutare tutto, continuamente e impiegando metodi molto sofisticati.
Costruire “grandi impianti” di valutazione può essere gratificante dal punto di vista
intellettuale ma si tratterebbe di iniziative senza futuro che andrebbero ad arricchire
la “giungla metodologica” che caratterizza la storia della formazione.8
elementi controversi nell’analisi costi benefici
L’A. c./b. [analisi costi-benefici] è una tecnica per scegliere la migliore fra diverse
alternative (in genere di investimento), confrontandole fra loro sulla base dei costi e
dei benefici riferiti all’intera collettività nazionale.
L’A. c./b. tiene conto di tutti i benefici e i costi implicati da un progetto, compresi
quelli intangibili come la salvaguardia della vita umana o la tutela dell’ambiente, e
quindi deve sommare fra loro elementi molto disomogenei e che si producono in
tempi diversi.
L’eterogeneità dei fenomeni considerati e la loro distribuzione nel tempo
costituiscono i punti più controversi del metodo e chiamano in causa due concetti:
7
Alberico Zeppetella, Valutazione d’impatto ambientale (VIA), in G. Gamba - G. Martignetti (a cura di),
“Dizionario dell’ambiente”, Isedi, Torino 1995, p. 662
8
G. Le Boterf, La valutazione degli interventi di formazione, “Problemi di gestione”, Formez, vol. XVIII, n. 6,
1990, p. 116
158
quello dei prezzi ombra (che consentono di attribuire un valore a tutti i costi e ai
benefici) e quello del tasso sociale di sconto (che consente di comparare fra loro
valori di epoche diverse).9
ragioni della “disponibilità a pagare” nella costi benefici
Nella valutazione dei benefici di un investimento, soprattutto nell’ipotesi in cui non
si disponga di un riferimento certo nei prezzi di mercato o quando il mercato non ne
esprima correttamente il valore, viene utilizzato il criterio della “disponibilità a
pagare” che consente di valutare l’utilità sociale di un bene a partire dalle preferenze
direttamente espresse dai reali, oppure potenziali, consumatori o dedotte dal loro
comportamento.10
il “valore di rinuncia” nella costi benefici
Nell’analisi economica (e talvolta anche in quella finanziaria) i costi di mercato
possono essere sostituiti, ove non rappresentino effettivamente il costo legato
all’impiego delle risorse, con i costi collegati alla rinuncia all’impiego del fattore
analizzato in un processo produttivo alternativo.
elementi oggettivi della valutazione
a. ogni valutazione avviene confrontando la realtà con un parametro di riferimento;
b. questo parametro può essere soggettivo, personale, interiorizzato (la coscienza
professionale; l’esperienza accumulata, ecc.), oppure oggettivo, preordinato, reso
palese;
c. nel caso di un “processo”, il parametro oggettivo è il suo paradigma: la esplicitazione
di un processo “tipo” nelle sue fasi, tempi, organizzazioni, responsabilità;
d. nel caso di un risultato, il parametro oggettivo è dato dalla prefigurazione di ciò che
si vuole ottenere;
g. l’oggettività della valutazione sta nello strutturare una rilevazione dei fenomeni
indicatori del cambiamento che consenta la loro misurazione11
la valutazione misura il grado del cambiamento
9
Maurizio Maggi, Analisi costi/benefici, in G. Gamba - G. Martignetti (a cura di), “Dizionario dell’ambiente”,
Isedi, Torino 1995, p. 48
10
Davide Pettenella, La valutazione degli investimenti forestali, Irres - Regione dell’Umbria, Perugia 1995, p.
56
11
Fosco Foglietta, La valutazione di esito, “Servizi sociali” (monografico su “La qualità nei servizi sociali e
sanitari”), Fondazione E. Zancan, n. 3, 1995, pp. 32-33
159
La ricerca valutativa ha, naturalmente, delle affinità con la ricerca in generale; si
differenzia, però, da questa per le finalità che si propone e per la metodologia che
utilizza. La prima finalità è quella di “misurare” la distanza che intercorre tra il
“prima” e il “dopo” un progetto di intervento, cioè se e quali modificazioni sono state
indotte in seguito ad un’azione specifica a livello di istituzione o di organizzazione,
quali e quanti apprendimenti ci sono stati nei soggetti che hanno partecipato ad un
corso di formazione etc..
Seconda, ma non meno importante, è “misurare” il grado di raggiungimento degli
obiettivi di un progetto, soprattutto in itinere.
Terza, collegata con la seconda, è sapere da parte di tutte le componenti del progetto
come sta funzionando, se il metodo è congruente con gli obiettivi, quanto tutti si
stanno impegnando nella realizzazione del progetto, qual è il grado di soddisfazione;
per modificare, eventualmente, ciò che non funziona nell’intervento in atto.
Infine rendere un’organizzazione cosciente dei propri problemi, delle proprie risorse,
capacità, potenzialità in modo da individuare, nel modo più preciso possibile, quali
sono le “cose” che non funzionano, da chi dipende il cattivo funzionamento per
predisporre un piano d’azione verosimile.
la valutazione come procedura non simulata di verifica delle conseguenze
dell’azione
la ricerca-valutazione può essere intesa come quel tipo di lavoro investigativo che
cerca di verificare le conseguenze o i mutamenti introdotti da un determinato stimolo
in un contesto sociale definito. Essa, in altri termini, cerca di cogliere l’efficacia di
un certo programma (servizio sociale, campagna di informazione, incentivi allo
sviluppo ecc.) secondo una procedura sperimentale non simulata, ma reale e colta
concretamente nelle sue conseguenze.12
distinzione fra ‘valutazione’ e ‘ricerca valutativa’
Se con il termine “valutazione” si intende il processo generale di formulazione di un
giudizio di valore su un’attività senza considerare il metodo impiegato, è necessario
riservare il termine “ricerca valutativa” alla sistematica applicazione delle procedure
della ricerca sociale ai programmi di intervento sociale e culturale allo scopo di
controllarne la realizzazione e verificarne i risultati.
12
Costantino Cipolla, Teoria della metodologia sociologica. Una metodologia integrata per la ricerca sociale,
F. Angeli, Milano 1988, p. 163
160
diversità degli obiettivi per ricerca di base e ricerca valutativa
La ricerca valutativa si occupa della verifica dell’applicazione di conoscenze
acquisite piuttosto che della scoperta di nuove conoscenze, campo, quest’ultimo, di
pertinenza della “ricerca di base”. Se la ricerca di base, infatti, persegue l’obiettivo di
un accrescimento di conoscenze espresse sotto forma di generalizzazioni teoriche o
previsioni astratte, indipendentemente dalla loro utilità, per produrre un cambiamento
sociale, la ricerca valutativa ha come obiettivo la raccolta di informazioni utili per la
progettazione, il monitoraggio, l’implementazione e l’impatto di un programma di
intervento sociale, e produce conoscenze contestualizzate e orientate all’azione in
stretta connessione con la situazione concreta a cui lo studio si riferisce.
la natura previsiva della valutazione di impatto sociale come elemento di
democratizzazione
Se il compito fondamentale della evaluation research, soprattutto nella versione della
valutazione dei programmi, è quello della verifica scientifica del grado di
realizzazione
degli
obiettivi,
compito
quindi
orientato
alla
verifica
del
successo/fallimento, la Social impact analysis (valutazione di impatto sociale) ha per
finalità precipua quella di prevedere gli impatti negativi che un’azione sociale data,
determina sui sistemi sociali allo scopo di controllarli. Essa si pone allora come
strumento di scientificizzazione e democratizzazione delle decisioni da prendere,
mentre la valutazione delle politiche pubbliche è volta alla conoscenza di come il
contenuto della decisione già presa si realizza nel processo concreto di messa in
opera.13
la Valutazione di impatto ambientale come mix di tecniche scientifiche e valutazioni
soggettive
La valutazione di impatto ambientale si configura come un insieme eterogeneo di
dati, metodologie tecnico-scientifiche, criteri partecipativi e decisionali in cui
debbono coesistere il rigore scientifico, in riferimento agli aspetti di indagine
conoscitiva sulle componenti chimico-fisiche, biologiche e socio-economiche
dell’ambiente e l’opinabilità propria di valutazioni soggettive e scale di valori,
espresse dalle componenti sociali, nonché conoscenze pratiche, esperienze ed intuito
13
Fulvio Beato, La progettazione di istituzioni per la salvaguardia dell’ambiente: il dilemma tra efficacia e
partecipazione pubblica, in: L. Pellizzoni - D. Ungaro, “Decidere l’ambiente. Opzioni tecnologiche e gestione
delle risorse ambientali”, F. Angeli, Milano 1994, p. 162
161
che costituiscono il bagaglio individuale ed il saper dare dei singoli attori del
processo.14
il timore della valutazione ne mette in ombra il suo valore scientifico
La valutazione è per propria ineliminabile natura, bifronte: ha il volto dell’obbligo e i
tratti della minaccia.
Essa si impone come categoria di osservazione necessaria per ogni comportamento,
pubblico o privato, individuale o collettivo, ma porta con sé i sospetti per un uso
malizioso e di parte e, conseguentemente, i timori per le decisioni che da essa
possono derivare.
Questa doppia valenza, in particolare per la sua seconda dimensione, ha frenato
frequentemente l’utilizzazione del metodo della valutazione nella convinzione che
ogni forma di giudizio non possa che fondare su presupposti soggettivi non
generalizzabili e comunque non validabili attraverso un approccio rigoroso e
partecipativo. Le paure per i rischi successivi hanno spesso prevalso sugli intenti di
avvalersene: il principio che tutti possono giudicare, ma che nessuno possiede il
crisma dell’attendibilità, è stato argomento per rigettare anche un tormentato e critico
itinerario di investigazione e messa sotto verifica delle potenzialità di un metodo che
fondasse nel rigore, nella trasparenza, nella chiarezza delle finalità, la sua
irrinunciabile prassi e il suo scientifico valore.15
la Valutazione di impatto ambientale come strumento scientifico di riduzione della
complessità; contraddizione fra realtà di una scienza fondata sul dubbio e
atteggiamento popolare fideistico verso di essa
La Valutazione di impatto ambientale - tra le altre funzioni - ha quella di migliorare
la decisione ed introdurre la scienza (la verità nel lessico parsoniano/luhmanniano)
come mezzo per fare interagire i diversi soggetti del processo decisionale e costituire,
quindi, le premesse di una comunità razionale fondata dialogicamente.
14
Renzo Marini, Gestione delle conoscenze e processi politico-decisionali: il caso della valutazione di impatto
ambientale, in F. Beato (a cura di), “La valutazione di impatto ambientale. Un approccio integrato”, Franco
Angeli, Milano 1991, p. 217
15
Lorenzo Bernardi, Introduzione, in L. Bernardi - S. Campostrini - F. Neresini - G. Pozzobon, “Sperimentare
valutazione. Idee e materiali per il progetto pilota per la sperimentazione di modelli di intervento a favore dei
giovani e dei minori”, Regione del Veneto - Assessorato ai servizi sociali e al coordinamento delle politiche
giovanili, Istituto Poster, Vicenza xxxx, pp. 9-10
162
Il problema è che questi obiettivi entrano in frizione con un quadro nel quale le
tradizionali certezze sono in discussione.
Il ricorso alla conoscenza scientifica come mezzo per alleggerire i conflitti e ridurre
la complessità nella società contemporanea ha luogo in un momento in cui sta
avvenendo - per usare l’espressione di Vleck - il passaggio dal razionalismo
scientifico al relativismo democratico.
La contraddizione tra la domanda di certezza e di razionalità, scientificamente
fondata, ed il crescente relativismo che invece si incontra anche nelle aree
tradizionalmente considerate a bassa incertezza valoriale, non è di per sé un dato
negativo o di crisi (come si amava dire qualche anno fa). La contraddizione non è
paralizzante, essa può rappresentare, se elevata a coscienza come momento di
riflessione critica, occasione e fattore di miglioramento della strumento V.i.a.
La Valutazione deve fare i conti con la cultura tipica del metodo scientifico moderno:
la cultura dell’incertezza.
Dubbio, criticità, esplorazione sono atteggiamenti costanti nella comunità scientifica.
Cautela e probabilismo sono, perciò, alla base delle risposte che la scienza è oggi in
grado di dare. Queste risposte non corrispondono, però, alla domanda diffusa che alla
scienza viene rivolta in quanto i valori e gli atteggiamenti della comunità della
ricerca non sono propri né dell’opinione pubblica né dei decisori.
Paradossalmente, uno dei motivi per cui la gente si rivolge, oggi, alla scienza è
l’esigenza di certezza, di verità non opinabile o influenzabile da giudizi-pregiudizi
politici o ideologici. Si tratta della domanda diffusa parson-luhmanniana di riduzione
della complessità tramite “la verità”.
Amministratori e decisori, da parte loro, ripropongono i tratti della cultura di massa
dominante non avendo praticamente nulla della propria esperienza che li possa aver
condotti ad un nuovo approccio problematico.
Essi sono, in larga parte, saltati da un modello e da una cultura umbertina e
prefettizia dell’amministrazione ad uno tutto orientato alla costruzione del consenso
e perciò omogeneizzato alla cultura ed agli atteggiamenti dei constituents. E’
mancata loro, inoltre, l’esperienza del piano e della fase sperimentale del social
planning che è invece stata esperita negli anni ‘60 e ‘70 dalla gran parte dei paesi
industrialmente avanzati dell’occidente.
Non pochi sono i problemi, come vedremo più avanti, che scaturiscono proprio dal
conflitto
tra
capacità/volontà
di
risposta
della
comunità
scientifica
e
163
domande/aspettative, tanto della cultura politico-amministrativa, che di quella che
possiamo definire cultura generalizzata del quotidiano.
Il problema sta nel fatto che la scienza non è oggi ciò che la gente crede che sia o che
possa essere.
La frizione tra due culture e lo scarto tra domanda e risposte diventano tanto più
visibili quanto maggiore è il conflitto per la cui gestione o ricomposizione viene
richiesto l’intervento degli “esperti”.16
rapporto valutazione-scienza; presenza di caratteristiche non ‘scientifiche’ nella
valutazione
Un aspetto della ricerca
valutativa che va adeguatamente sottolineato riguarda
l’enfasi che usualmente è posta sul suo carattere “scientifico”. La ricerca valutativa,
scrivono P.H. Rossi e colleghi, deve essere oggettiva quanto più possibile e tale che
“le prove portate a favore dei risultati” di un intervento sociale possano essere
sottoposte a controllo per stabilire se quegli stessi risultati si sarebbero avuti anche
senza l’intervento”.
Non è difficile intuire che questi autori, come molti altri, si riferiscono alla
attendibilità e alla validità, ovvero a due dei concetti che distinguono il metodo
scientifico; né che questa caratterizzazione mira a evitare che nella r.v. vengano
compresi tutti quei processi e quelle attività valutative fondate su impressioni
individuali, sul buon senso o anche sull’uso di standard professionali, ma che non
hanno quel carattere di rigorosità e di sistematicità che è proprio dell’investigazione
scientifica. Per quanto non priva di fondate giustificazioni, questa caratterizzazione
porta tuttavia a escludere diversi approcci della r.v. che attualmente stanno
guadagnando il favore di molti studiosi e che, almeno secondo certi criteri, non si
possono strettamente definire come “scientifici” .
D’altra parte è chiaro che anche per la r.v. si ripropongono le stesse questioni che da
sempre investono lo status scientifico delle discipline sociologiche. Evidentemente
non è questa la sede per affrontare adeguatamente tale questione.17
16
Giandomenico Amendola, Qualità della vita, bene comune, rischio accettabile: topoi retorici e/ strettoie
concettuali della valutazione d’impatto ambientale, in F. Beato (a cura di), “La valutazione di impatto
ambientale. Un approccio integrato”, Franco Angeli, Milano 1991, pp. 20-21
17
Angelo Saporiti, La ricerca valutativa: un’introduzione alla valutazione dei programmi socio-sanitari, in P.
Donati (a cura di), “Manuale di sociologia sanitaria”, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1987, p. 204
164
metodo sperimentale come paradigma predominante della ricerca valutativa
Per quanto importanti, le precedenti fasi della ricerca valutativa sono soltanto
propedeutiche a quello che è il suo fine deputato: stabilire l’efficacia di un
programma sociale, ovvero stabilire se l’intervento effettuato ha prodotto gli effetti
previsti.
Questa fase della r.v., variamente definita come impact, outcome o effectiveness
analysis, è quella che maggiormente si presta a essere formalizzata secondo i canoni
tradizionali del “metodo scientifico”. Stabilire infatti se un programma sociale è
efficace significa stabilire se, posto uno stato di cose che si vuol modificare, un
determinato corso di azione intrapreso nel tempo t1 ha prodotto al tempo t2 i
mutamenti desiderati nel pre-esistente stato di cose. Una volta posto il problema in
questi termini, non è difficile individuare nel metodo sperimentale il “naturale”
quadro di riferimento teorico e metodologico di questa fase della r.v. Da questo
punto di vista il richiamo alla scientificità della r.v. è soprattutto un richiamo alla
tradizione e all’autorità di una concezione consolidata della ricerca scientifica; ma è
anche, al tempo stesso, un richiamo che settori non marginali delle scienze sociali
hanno sempre criticato e respinto. Comunque sia, sebbene altri approcci alternativi
stiano guadagnando terreno, resta il fatto che il paradigma predominante della r.v. è
tuttora quello sperimentale e che mutamenti radicali non paiono imminenti.
Nelle sue linee essenziali, l’analisi sperimentale classica prescrive che si
costituiscano due gruppi di unità di analisi e che solo uno dei due, il gruppo
sperimentale E, sia esposto al trattamento previsto dal programma. Il trattamento
rappresenta la variabile indipendente X, ovvero quella variabile che si suppone sia in
grado di produrre variazioni nella variabile dipendente Y, vale a dire l’obiettivo del
programma. Successivamente, al termine del trattamento, si misura Y in E e si
confronta tale misurazione con l’analoga misura effettuata però sul gruppo che non è
stato esposto al trattamento, il gruppo di controllo C. Se la differenza tra i valori di Y
in E e in C è “statisticamente” significativa, allora il trattamento è efficace e il
programma ha raggiunto il suo obiettivo. Una variante molto frequente di questo
modello, che non ne modifica affatto la logica, prevede che i due gruppi E e C siano
esposti a trattamenti diversi oppure a intensità diverse dello stesso trattamento, in
modo da poterne stabilire l’efficacia comparativa.18
18
Angelo Saporiti, Manuale di Sociologia sanitaria, Roma 1987
165
sviluppo tecnico e scientifico del Social impact analysis per migliorare la predizione
e carenza nei risultati
Il problema del Social impact analysis ( valutazione di impatto sociale) che si
presenta agli occhi degli stessi sociologi è quello di aumentare la propria
“credibilità”, e la strada prescelta è quella di affinare, perfezionare e ampliare le
metodologie e le tecniche a disposizione, accettando così di fatto la sfida di
dimostrare che anche l’imponderabile e l’intangibile possono essere quantificati e
previsti.
La sfida della quantificazione e della predizione dei fenomeni sociali viene condotta
non solo adattando le tecniche disponibili nell’ambito della sociologia alle nuove
circostanze ma, soprattutto, prendendo a prestito da altri campi di ricerca strumenti e
tecniche che sembrano rendere possibile portare nel processo decisionale la
dimensione della soggettività resa referente, oggettivizzato e quantificato per la
costruzione di nuovi standards.
Così i sociologi cominciano a familiarizzarsi all’uso di sofisticati strumenti come i
modelli di simulazione computerizzati, finalizzati alla quantificazione e predizione
delle variabili sociali che sembrano offrire le migliori garanzie per una conoscenza
che abbia le caratteristiche di certezza e di neutralità richieste.
Nonostante i passi avanti compiuti dal S.i.a. in questa direzione, la cautela
nell’assunzione dei risultati non diminuisce in quanto non solo questo non sembra
ancora dare sufficienti garanzie di validità ed attendibilità ma lo sforzo verso una
maggiore quantificazione ed “oggettivizzazione” dell’analisi pare aver portato il Sia
sulla strada di evidenti contraddizioni ed ambiguità. Ad esso sostanzialmente si
rimprovera:
1. la sua sostanziale incertezza conoscitiva, legata all’assunzione di indicatori
quantitativi “indiretti”, il più delle volte rivelatisi inappropriati ed inadeguati a
rappresentare e misurare i complessi processi sottostanti. Le ricerche di impatto
sociale vengono perciò per la maggior parte dei casi giudicate incomplete
nell’informazione e nell’analisi degli effetti.
2. la presenza di implicite assunzioni di valore alla base dei coefficienti, dei
parametri e delle curve di trasformazione utilizzate. Segni evidenti di queste
166
contraddizioni sono l’uso di concetti come “coefficienti di importanza relativa” che
nulla sembrano avere a che vedere con metodi scientifici ed obiettivi di analisi.19
multidimensionalità e multidisciplinarietà nell’analisi di impatto sociale
l’analisi [di impatto sociale] appare difficilmente riducibile a singole discipline
scientifiche.
E’
evidente,
piuttosto,
l’esigenza
metodologica
della
multidimensionalità e della multidisciplinarietà. Nelle analisi di impatto, infatti, il
tema del carattere unitario dell’oggetto, pur nelle possibili articolazioni in
componenti e subsistemi, ed il conseguente problema dell’integrazione delle scienze
sociali, da più parti richiamati in sede teorico-epistemologica, si pongono come forti
esigenze pratico-operative.20
previsione sociale
Deve essere prima di tutto chiarito che la previsione sociale non si presenta come una
operazione che si distingue dal “normale” agire scientifico. Come nota Carley, la
Valutazione di impatto sociale non deve essere pensata come strumento capace di
garantire livelli avanzati di previsione sociale scientifica poiché la previsione, come
l’elaborazione di modelli, nelle scienze sociali è ancora nella fase genetica. La S.i.a.
deve essere considerata una metodologia atta ad assistere e ad illuminare la scelta
politica e non a prevedere il futuro o, parafrasando Popper, ad elaborare profezie
globali sul futuro. La previsione sociale si costituisce come operazione scientifica,
basata su metodi quantitativi ma anche qualitativi, che indaga sulle future condizioni
di un sistema sociale sulla base di formulazioni di ipotesi relative a ciò che, come
dice Livi, è “più probabile” che accada.21
problematicità della Valutazione di impatto sociale dovuta alla complessità
dell’oggetto di studio e alla carenza metodologica
Lo sviluppo della problematica della V.i.a si presenta non privo di difficoltà,
concernenti per lo più la natura stessa delle conoscenze scientifiche necessarie, sia in
riferimento al livello di complessità dei sistemi ambientali coinvolti che possono
19
Emma Corigliano, Il ruolo del “Sia” tra vecchi e nuovi paradigmi della valutazione di impatto ambientale, in
F. Beato (a cura di), “La valutazione di impatto ambientale. Un approccio integrato”, Franco Angeli, Milano
1991, p. 75
20
Manlio Maggi, Le dimensioni sociali negli studi di impatto ambientale dei grandi impianti energetici, in F.
Beato (a cura di), “La valutazione di impatto ambientale. Un approccio integrato”, Franco Angeli, Milano 1991,
p. 109
21
Fulvio Beato, Il “Wolf’s paradigm” e la differenziazione sociale degli impatti, in Ibidem (a cura di), “La
valutazione di impatto ambientale. Un approccio integrato”, Franco Angeli, Milano 1991, p. 188
167
essere affrontati solo in una visione sistemica e, conseguentemente, su nuove basi
metodologiche, che alla nuova situazione di produzione/uso delle conoscenze che si
determina e che in larga misura deve ancora essere correttamente definita a livello
teorico.
A tutto ciò si aggiunge la diffusa consapevolezza dei ricercatori di dover operare in questo campo,
come d’altronde in tutto il settore degli studi di previsione che implicano l’esplorazione del complesso
rapporto fra tecnologie e società, in condizioni di incertezza sui contenuti e di carenza metodologica,
in quanto l’ampia casistica, l’eterogeneità delle variabili in gioco e le conseguenti difficoltà di
riduzione e modellizzazione dei sistemi in esame non consentono codificazioni e generalizzazioni
proprie di una vera e propria disciplina scientifica.
22
conoscenza scientifica disciplinare, conoscenze pratiche contestualizzate
E’ chiaro che ci troviamo di fronte a due tipi di conoscenza. Mentre la ricerca
scientifica disciplinare produce conoscenze decontestualizzate, convenzionali,
universali, sistematiche e oggettive, in cui il soggetto conoscente viene espulso o
neutralizzato, le conoscenze pratiche sono contestualizzate (connesse a situazioni, a
problemi) e costituite da un insieme di “saper fare”, fondato su uno spettro di
possibilità, a sua volta condizionato da un insieme di valori, in cui la convalida è
ricercata in relazione alla conformità con gli scopi perseguiti, piuttosto che
all’aderenza alle basi disciplinari convenzionali.
In tale nuova prospettiva non possono più esistere contenuti di conoscenza isolati,
presi in se stessi, indipendentemente dagli insiemi di competenze in cui si iscrivono e
dalle funzioni sociali e politiche a cui sono legati.
Quando le conoscenze disciplinari vengono tradotte in conoscenze pratiche secondo
le modalità descritte, perdono chiaramente alcune loro caratteristiche peculiari. Si
verificano infatti processi di livellamento, di semplificazione problematica, di
ridefinizione di obiettivi a livelli sub-ottimali, di limitazione dell’incertezza, dei
rischi e delle accidentalità.
limiti e non utilità di misurazione e quantificazione
L’abitudine dei ricercatori a misurare e quantificare, preferendo gli aspetti
quantitativi e numerici a quelli qualitativi, conduce ad ignorare spesso i limiti della
quantificazione. Gli abusi più ricorrenti della fiducia eccessiva nella quantificazione
si fondano sulla erronea credenza che la quantificazione aumenti l’obiettività dei
22
Renzo Marini, Gestione delle conoscenze e processi politico-decisionali: il caso della valutazione di impatto
ambientale, in F. Beato (a cura di), “La valutazione di impatto ambientale. Un approccio integrato”, Franco
Angeli, Milano 1991, p. 222
168
dati, consenta una descrizione della realtà più accurata e sia essenziale a decisioni
razionali. Molti recenti studi si sono adoperati a mettere in luce la pericolosità di
queste convinzioni; ma la quantificazione non solo non è essenziale al fine di
prendere decisioni razionali in campo ambientale, ma può essere addirittura dannosa
in molti casi. A tal fine si ricorda che decisioni razionali non possono prescindere
dall’operare selezioni e scelte fra alternative basate su valori e desideri di quanti sono
coinvolti nelle decisioni stesse.
la valutazione della condizione economica legata alla percezione di stato
La valutazione della condizione economica di un soggetto è legata ad una percezione
di stato. Come tale essa riflette l’impatto sia di una grandezza di stock che di flusso,
ovvero sia di patrimonio che di reddito23.
analisi costi-benefici: varietà di approcci e tecniche
L’analisi costi benefici è essenzialmente un esercizio di economia del benessere
applicata. Essendo questa disciplina basata su una teoria normativa dell’economia
pubblica, non è sorprendente che esista un insieme, abbastanza variegato, di
approcci, che in parte riflette visioni diverse del ruolo dell’intervento pubblico in
economia. Non ha significato una tecnica standard indipendente dalla formulazione
di una precisa funzione-obiettivo della autorità responsabile della decisione di spesa,
il che implica:
a) obiettivi misurabili;
b) legami funzionali ben definiti fra funzione-obiettivo e singoli obiettivi;
c) esplicitazione dei vincoli quantitativi che restringono il campo di variazione degli
strumenti.24
la valutazione come approccio scientifico ai problemi sociali
la necessità di affrontare i vari livelli dell’attività sociale muniti di un approccio
valutativo, nasce dalla convinzione: 1) che la scienza può e deve essere usata per
favorire un avvicinamento alla soluzione dei problemi sociali; 2) che un uso corretto
della stessa non può prescindere dal contributo di un robusto e verificabile apparato
23
Gianfranco Cerea, La tutela dei soggetti “privi di mezzi”. Criteri e procedure per la valutazione della
condizione economica, “Pubblico bene”, n.0, 1994, p. 16
24
Massimo Florio, La programmazione per progetti nelle regioni, in Idem (a cura di), “Valutazione degli
investimenti pubblici e programmazione regionale”, F. Angeli, Milano 1990, p. 11
169
metodologico né dalla esplicita volontà di voler precedere gli interventi sul reale con
una organica e consistente attività di ricerca.25
i ricercatori valutano misurando scientificamente i risultati
La volontà di compiere valutazione introduce un’ulteriore figura nei processi [di
programmazione, oltre ai responsabili di gestione del processo, alla popolazione
oggetto del programma e agli operatori]: la figura cioè di ricercatori che,
sostanzialmente e forse pericolosamente al di fuori della decisione di attivazione e
realizzazione dei programmi, si propongono di misurare con ottica scientifica la
“bontà”, cioè la corrispondenza dei risultati raggiunti.
ricerca, programmazione e valutazione come circolo organico
ricerca sociale, programmazione, valutazione, non solo [rappresentano] un circuito
necessario e insostituibile per l’intervento sociale, ma nel loro realizzarsi esse si
sovrappongono negli approcci generali dei metodi, nei problemi da affrontare, nelle
soluzioni da scoprire: l’una senza le altre è un corpo monco e inadeguato, l’una si
alimenta e si costruisce solo con riferimento alle altre.
problemi di misurabilità di alcune categorie di impatti
Ad una analisi attenta degli impatti ambientali dei trasporti appare subito evidente
come essi siano molteplici e disomogenei tra di loro, caratterizzati da diverse
dimensioni temporali e spaziali e con relazioni dose-risposta più o meno difficili da
individuare. Tutto questo pone svariate difficoltà per la stima del valore economico
di questi impatti.
Innanzitutto, mentre esiste una unità di misura immediatamente identificabile per
alcuni impatti (consumo del suolo, numero di persone coinvolte in incidenti, rumore,
vibrazioni, ecc.), per altri manca una unità di misura aggregata (inquinamento
dell’aria, dell’acqua e del suolo) e per altri ancora manca una unità di misura
naturale, ovvero l’unità di misura è soggettiva (impatto visivo, separazione delle
comunità) e dipende da abitudini, gusti, preferenze, ecc. Ovviamente, la precisa
definizione della quantità di bene ambientale danneggiato è una condizione
necessaria per l’identificazione della curva di domanda del bene.26
25
Lorenzo Bernardi - Tony Tripodi, Metodi di valutazione di programmi sociali, Fondazione Zancan, Padova
1981, p. 11
26
Romeo Danielis, La valutazione del costo sociale dei trasporti: metodi e risultati, “Economia pubblica”, n. 2,
1995, pp. 85-86
170
la valutazione come validazione o falsificazione di ipotesi di impatto
Il cuore dell’evaluation è dunque la validazione o la falsificazione di un’ipotesi di
impatto di una variabile indipendente (una politica pubblica ad esempio) su una
variabile dipendente (il comportamento dei destinatari della politica), all’interno di
un modello di relazioni causali.27
gli indicatori di impatto elemento insufficiente alla valutazione di una politica
quando si considerano come “risultati” di una politica pubblica gli indicatori di un
output non si fa valutazione in senso stretto.
pluralità di metodi valutativi
non esiste “il” metodo della valutazione, ma una pluralità di metodi che consentono
di “ritagliare” la valutazione sul singolo caso, all’interno di una “teoria contingente”.
centralità della qualità dei dati nella valutazione delle politiche del lavoro
[Nella valutazione delle politiche del lavoro] Il problema dei dati statistici che
possano descrivere l’impatto della normativa sull’obiettivo prefissato, è centrale. È
evidente che un tale problema può essere risolto solo se la normativa (o l’eventuale
circolare esplicativa) ed il modello di rilevazione dei dati che ne devono misurare
l’impatto sull’obiettivo, vengono realizzati nello stesso tempo.28
inopportunità di approcci valutativi sofisticati e troppo formalizzati
Lo sviluppo dell’approccio programmatorio razional-comprensivo ha visto il fiorire
di esperienze valutative pregnate da modelli formalizzati, caratterizzati dall’uso di
strutture complesse che necessitano l’uso di strategie di ricerca sofisticate. Ma le
condizioni in cui tali modelli possono essere usati risultano spesso difficili da
trovare, con il risultato di disincentivare anche coloro che hanno cercato di
intraprendere questa strada. La messa in crisi dei modelli razional-comprensivi e la
rinuncia alla ricerca di una razionalità assoluta nella gestione del processo
decisionale ha prodotto una differenziazione di modelli e strumenti anche nel campo
della valutazione.29
27
Claudio M. Radaelli, Valutare le politiche pubbliche. Metodologia e cultura di un approccio di ricerca, in
Censis, “Speciale valutazione”, “Note e commenti” n. 1/2, 1991, p. 28
28
Antonio Pacinelli, Alcune considerazioni sulla qualità dei dati per la valutazione delle politiche del lavoro,
“Economia e lavoro”, n. 4, 1990, p. 123
29
Giovanni Bertin, Decidere nel pubblico. Tecniche di decisione e valutazione nella gestione dei servizi
pubblici, Etas Libri, Milano 1989, pp. 130
171
la valutazione di impatto come valutazione degli effetti netti
Spesso la valutazione di un intervento sociale è stata intesa come analisi di
performance, cioè come misurazione del cambiamento avvenuto nella popolazione
dopo l’erogazione dell’intervento. Le valutazioni condotte in questo senso soffrono
peraltro di un limite evidente: esse misurano non solo l’effetto specificatamente
attribuibile all’intervento, ma anche l’effetto di concomitanti cambiamenti naturali
avvenuti nella popolazione a prescindere dagli interventi.
Incomincia così a svilupparsi l’attenzione per la valutazione intesa come analisi di
impatto, per la quale l’obiettivo è misurare il cambiamento netto ottenuto a seguito di
un intervento, stabilendo se la situazione creata con l’attuazione dell’intervento sia
diversa (e in quale misura lo sia) da quella che si sarebbe osservata in assenza dello
stesso o in presenza di interventi alternativi.
Con il termine analisi di impatto si intende quell’insieme di metodi usati per stabilire
in che misura e in quale direzione un intervento contribuisce a modificare la
situazione preesistente. L’analisi di impatto, a differenza dell’analisi di performance,
si propone di valutare il contributo netto di un intervento. A questo scopo, si rende
necessario il confronto tra la situazione osservata, cioè quella che si presenta dopo
l’attuazione di un intervento, e una ipotetica situazione base, cioè quella che si
sarebbe osservata se non si fosse attuato alcun intervento.30
la valutazione come approccio scientifico statistico-quantitativo
Nel passato, la valutazione di solito si basava sull’intuizione e sulle valutazioni
personali circa la validità o meno di un programma. Si dava per scontato che gli
operatori sanitari fossero in grado di riconoscere se essi stavano raggiungendo gli
obiettivi predisposti. La maggior parte delle discipline mediche, tuttavia, ha visto
sempre di più l’ingresso di una metodologia scientifica; è chiaro infatti che la
valutazione statistica e quantitativa dà più affidamento di quanto non faccia l’intuito
cosicché questo tipo di approccio viene sempre più utilizzato nella valutazione
dell’assistenza sanitaria.31
30
Angela Me, La valutazione dell’impatto di politiche sociali, “Economia e lavoro”, 3-4, 1994, p. 104
31
Walter W. Holland, Introduzione, in Ibidem (a cura di), “La valutazione dell’assistenza sanitaria”, La Nuova
Italia Scientifica, Roma 1985, 1^ rist. 1991, p. 20
172
valutazione come misurazione, ma non può prescindere dal quadro valoriale del
valutatore
Ai fini della valutazione è importante poi che un obiettivo del programma venga ben
definito e che il suo successivo raggiungimento possa essere misurato con dati certi.
Un tale approccio permette una maggiore validità in quanto si basa su dati scientifici
e obiettivi.
Nessuna valutazione, tuttavia, è libera da giudizi di tipo soggettivo. L’oggettività è
definita all’interno della priorità definita dal valutatore, e dalla percezione
dell’oggettività che lo stesso può avere. Le decisioni riguardanti il tipo di
informazione che deve essere raccolta, la scelta dei campioni, i criteri di selezione, il
peso relativo da dare a ciascuna voce e i metodi di trattamento statistico e di
presentazione dei risultati, sono tutti elementi che coinvolgono dei giudizi di valore.
Perché la valutazione abbia successo, allora, questi giudizi devono essere resi in
maniera esplicita. La selezione dei criteri deve essere il più possibile effettuata su
base razionale e i dati devono essere raccolti dalle fonti disponibili più appropriate.
inadeguatezza metodologica per la natura multidimensionale della salute
la metodologia di cui si dispone attualmente non è sempre adatta per misurare la
natura multidimensionale della salute.
necessaria qualità dei dati per una valutazione scientifica
Le ricerche sulla valutazione si fondano sui metodi delle scienze sociali.
Le scienze sociali, come altre scienze, utilizzano il metodo scientifico, che è costituito da un
complesso interscambio di teoria ed osservazione, in cui le modalità di comunicazione sono
rappresentate dalla misurazione. Patrick ed Elinson propongono che il metodo della misurazione sia
costituito da una procedura che fornisca gli strumenti per mettere in collegamento un concetto, o dei
concetti, a un insieme di osservazioni controllate, in modo che si possa raggiungere una conoscenza
ordinata dei concetti stessi. Questo metodo giunge alla teoria attraverso l’accumulazione di prove
empiriche; è essenziale, quindi, che i dati forniti dal processo di misurazione siano validi e
riproducibili.
la misurabilità come funzione del sistema valutativo
una vera e propria valutazione dell’efficacia della formazione è possibile soltanto se,
nella fase progettuale degli interventi, gli obiettivi concordati possono essere
rapportati a dei parametri qualitativi valutabili e quantitativi misurabili. La
misurabilità è dunque una funzione della struttura del sistema di valutazione, il quale
viene progettato in parallelo alla struttura del corso.32
32
Pier Luigi Amietta - Federico Amietta, Valutare la formazione, Ed. Unicopli, Milano 1989, p. 12
173
condizioni per ipotesi di impatto attendibili
In teoria, solo in presenza di un rapporto di causalità certo si possono effettuare delle
ipotesi di impatto attendibili. E questo si verifica solo nel caso in cui:
a. la causa precede l’effetto nel tempo;
b. gli effetti covariano con l’evento;
c. non vi sono altre spiegazioni plausibili.33
il contributo scientifico ai processi decisionali dovuto al processo di strutturazione
cognitiva
[Vista l’inadeguatezza di schemi interpretativi di “razionalità classica” in contesti
mutevoli, e comunque la necessità di utilizzare strumenti rigorosi, occorre] avere
ben chiaro che strumenti e criteri scientifici e tecnici possono contribuire a
migliorare i processi decisionali ed attuativi, non tanto per la particolarità dei criteri
adottati, quanto piuttosto per il fatto che la loro applicazione richiede un processo di
strutturazione conoscitiva e informativa che altrimenti non avrebbe luogo.
contro l’‘oggettività’ della valutazione
L’oggettività che è stata attribuita allo strumento valutativo, ossia la sua capacità
d’arrivare a giudizi “tecnici” circa la bontà di un progetto, si è dimostrata in realtà
molto scarsa. Anche le metodologie di valutazione più strutturate si sono rivelate
facilmente manipolabili a seconda degli interessi in gioco.
un approccio partecipativo alla valutazione per l’emergenza delle molteplici
interpretazioni
Il modello [“emergente”] di utilizzazione della ricerca è quello interattivoincrementale, l’unico possibile all’interno del presupposto di origine filosofica che la
realtà è aperta a molte e diverse interpretazioni. Il processo che in questo caso
conduce dalla ricerca alla decisione non è quindi di tipo lineare come nel precedente
ma avviene attraverso una complessa rete di interconnessioni che vanno senza ordine
tra tutte le fonti di informazioni presenti nella situazione (tra cui il ricercatore).
Sul piano del metodo tutti gli sforzi vengono quindi indirizzati ad attivare un tipo di
partecipazione che sia strategica (focalizzata cioè non su singoli aspetti ma su
questioni fondamentali del progetto del tipo: si o no alla scelta del nucleare) diffusa
33
Piera Magnatti, Alla ricerca di un “metodo” di valutazione, in Nomisma, “Strategie e valutazione nella
politica industriale”, Franco Angeli, Milano 1991, p. 77
174
(presente in tutte le fasi del progetto inclusa la fase successiva alla realizzazione per
la monitorizzazione degli effetti), basata su tecniche interattive prevalentemente face
to face capaci cioè di uscire dalla “standardizzata routine quantitativa” che lascia i
soggetti in un ruolo passivo (come la stessa survey tradizionale). Il risultato finale
deve infatti riuscire in questa ottica ad incorporare tutti gli aspetti qualitativi legati ai
sentimenti, alle emozioni, al grado di consapevolezza dei soggetti coinvolti. Ciò
all’interno di un quadro unitario di sfondo sui trends generali della società che
incorpora la situazione analizzata e dà conto delle circostanze in cui si formano le
credenze ed i valori degli individui.
Il ruolo neutrale del ricercatore diventa in questa prospettiva non solo teoricamente
impossibile ma praticamente inappropriato. A lui sono richieste non solo e non tanto
capacità tecniche analitiche ma capacità comunicative. Il suo compito è infatti quello
di essere un “coordinatore”, un “facilitatore” della partecipazione che mira a fare
sviluppare processi di consapevolezza ed autocontrollo.
essenziale componente teorica della valutazione di impatto sociale
la Social impact analysis non è una semplice tecnica analitica theory free come da
più parti si vuol fare credere ma dietro alle ricerche di impatto sociale si agitano
questioni che hanno una portata tale da investire l’intero campo delle scienze
sociali.34
ruolo della sociologia nella capacità di previsione richiesta dalla valutazione di
impatto ambientale
Il sapere sociologico utile e disponibile [per il Sia] sembra vasto. Ciononostante, la
sensazione diffusa è di uno scarto tra ciò che le scienze sociali potrebbero dare e ciò
che invece esse danno agli studi di impatto.
Il nodo di fondo concerne la capacità della sociologia di rispondere alla domanda di
previsione, espressa dalla valutazione di impatto ambientale/valutazione di impatto
sociale. Il nodo è la previsione. E, quindi, la capacità della sociologia di prevedere.35
l’uso di casi simili nella previsione
Il metodo, sino a questo momento tra i più utilizzati [per il SIA] insieme a quelli di
ricostruzione del trend, sembra quello del caso somigliante. Appartenente alla classe,
34
Emma Corigliano, Analisi di impatto ambientale da tecnica analitica a stile di planning: l’esperienza Nord
Americana, in F. Martinelli (a cura di), “I sociologi e l’ambiente”, Bulzoni, Roma 1989, p. 200
35
Giandomenico Amendola, Prevedere per valutare. Gli spazi della sociologia nella valutazione di impatto
ambientale, in F. Martinelli (a cura di), “I sociologi e l’ambiente”, Bulzoni, Roma 1989, pp. 180-182
175
ricca di buon senso, della regola del pollice, questo metodo consiste nell’estrarre
previsioni sul futuro da esperienze uguali o, quantomeno, fortemente simili.36
gli attori sociali nell’approccio sociologico alla valutazione di impatto ambientale
Spostare l’attenzione sul campo decisionale e sul comportamento degli attori
modifica l’impianto tradizionale della V.I.A. sotto molti aspetti. Per quanto riguarda
le metodologie utilizzate la rende più vicina ai case studies e agli studi di comunità.
Il fulcro dell’indagine sociologica diviene la definizione del campo decisionale,
l’identificazione dei soggetti significativi coinvolti, la simulazione del loro
comportamento e la prefigurazione di scenari. .37
la comunità dei valutatori come elemento di regolazione degli standard valutativi
Se invece la valutazione viene fatta da esperti esterni e questi operano sulla base di
standard professionali, allora è necessario che i criteri sulla base dei quali, tali
standard sono stati costruiti, siano “socialmente condivisi”, cioè che vi sia su di essi
un consenso maggioritario fra gli operatori del settore.38
razionalizzazione dei problemi sociali tramite la valutazione
In ultima analisi, il ricorso alla ricerca valutativa rappresenta un’applicazione pratica
della convinzione che i problemi sociali possono essere affrontati più razionalmente
attraverso una linea di azione programmata, basata sulle conoscenze scientifiche
disponibili ed aggiornata con il progresso di tali conoscenze, acquisito anche
attraverso la stessa ricerca valutativa. Essa può rappresentare una verifica sul campo
delle ipotesi formulate dalla scienza e dalla ricerca di base e fornire nuove ipotesi
teoriche, in base al principio: “applicare ciò che si conosce ed imparare da ciò che si
applica”.
la valutazione come ricerca applicata
La ricerca valutativa è una forma specifica di ricerca applicata, il cui scopo
principale non è tanto la scoperta di nuove conoscenze, quanto piuttosto una verifica
dell’applicazione delle conoscenze. Essa può essere confrontata con la ricerca teorica
di base in alcuni punti fondamentali.
37
Francesca Ferrara - Giuseppe Moro, La specificità dell’analisi sociologica nella valutazione di impatto
ambientale, in F. Martinelli (a cura di), “I sociologi e l’ambiente”, Bulzoni, 1989, p. 204
38
Leonardo Altieri, Valutazione: percorso accessorio o percorso necessario?, dattiloscritto, s.i.
176
la metodologia valutativa corrisponde a quella scientifica generale
Dal punto di vista metodologico, la ricerca valutativa non ha una sua specifica
metodologia, ma segue la logica fondamentale e le regole del metodo scientifico.
misurazione del risultato in termini di cambiamento, problema cruciale della ricerca
valutativa
Punto cruciale del problema di ricerca [valutativa] è la misurazione del livello di
risultato raggiunto, tramite lo svolgimento di specifiche attività, in rapporto ad uno
scopo prefissato, risultato che è espresso in termini di cambiamento rispetto ad una
situazione precedente l’inizio delle attività. 39
problemi aperti della valutazione economica sanitaria
Non sembra esserci ancora accordo tra gli addetti ai lavori su alcuni aspetti non
secondari [della valutazione economica sanitaria], tra i quali i più significativi paiono
essere la rilevanza da attribuire ai costi e benefici indiretti e la misura della utilità.40
necessaria flessibilità non rituale dell’approccio valutativo
è opinione diffusa che le teorie e metodologie dell’analisi ex ante, del monitoraggio e
della valutazione ex post delle politiche pubbliche debbano uscire da una fase di
tecnicismo e di ritualità istituzionale per poter essere all’altezza della soluzione di
problemi che si ripresentano in modo sempre diverso chiedendo soluzioni specifiche
e flessibili.41
controllare direttamente le realizzazioni del programma, senza accontentarsi dei soli
dati
Non bisogna fare un grande assegnamento sui dati relativi agli input e agli output del
progetto come sulla fonte principale, per comprendere che cosa il progetto ha
realizzato. Se, per esempio, il progetto ha organizzato una serie di corsi di
formazione, occorre presenziare ai corsi, parlare con i partecipanti, recarsi nelle loro
case. Se il progetto ha promosso degli orti, occorre andare a vederli, e parlare con i
loro proprietari.42
39
Anna Maria Boileau, Ricerca valutativa, in “Nuovo dizionario di sociologia”, a cura di Franco Demarchi,
Aldo Ellena, Bernardo Cattarinussi, Ed. Paoline, Milano 1987, p. 1771
40
Carlo Lucioni, Presentazione, in M.F. Drummond - G.L. Stoddart - G.W. Torrance, “Metodi per la
valutazione economica dei programmi sanitari”, a cura di V. Ghetti, Franco Angeli, Milano 1993, p. 9
41
Nicoletta Stame, Valutazione e sviluppo, in J. Tendler, “Progetti ed effetti. Il mestiere di valutatore”, a cura di
N. Stame, Liguori, Napoli 1992, p. 12
42
Nicoletta Stame, Valutazione e sviluppo, in J. Tendler, “Progetti ed effetti. Il mestiere di valutatore”, a cura di
N. Stame, Liguori, Napoli 1992, p. 14
177
limiti della costi-benefici nella valutazione dello sviluppo
A tutt’oggi, l’analisi costi-benefici perfezionata non è in grado di colmare una parte
significativa della distorsione causata dalla disponibilità di assistenza allo sviluppo
per progetti di grandi dimensioni con ingenti componenti di valuta estera.43
realismo operativo della valutazione
la teorizzazione [in ambito valutativo], in cui la natura della realtà operativa è
preoccupazione necessariamente prevalente rispetto a qualsiasi altra considerazione,
ha condotto a impostazioni più attente a principi di flessibilità, realismo, capacità di
adattamento all’ambito tematico e all’ambiente sociale in cui la valutazione intende
operare.44
la qualità metodologica della valutazione dipende largamente dalla natura
dell’evaluanda
La debolezza metodologica della valutazione è in larga parte dipendente dalla
indeterminatezza o labilità - soprattutto temporale più che definitoria - dell’oggetto
su cui svolge la propria attività d’analisi; quanto più esso è incerto o mutevole, tanto
più complesso e difficile risulterà stabilire gli elementi da osservare e i criteri di
registrazione.
la valutazione aggrava i problemi metodologici tipici della ricerca sociale
La valutazione, essendo un metodo di ricerca, mantiene tutte le preoccupazioni
tipiche della metodologia classica della ricerca sociale, probabilmente esasperandole
ed aggravandole45.
la responsabilità del conseguente intervento impone alla valutazione attenzione a
validità e attendibilità
Fra gli aspetti metodologici più importanti della ricerca valutativa occorre segnalare i
controlli della validità e dell’attendibilità delle misure comunque fornite, troppo
spesso trascurati nella ricerca sociale classica ed imprescindibili nel contesto della
43
Judith Tendler, Progetti ed effetti. Il mestiere di valutatore, a cura di N. Stame, Liguori, Napoli 1992, p. 82
44
Lorenzo Bernardi, Valutazione: significato e metodi, in L. Bernardi - S. Campostrini - F. Neresini - G.
Pozzobon, “Sperimentare valutazione. Idee e materiali per il progetto pilota per la sperimentazione di modelli di
intervento a favore dei giovani e dei minori”, Regione del Veneto - Assessorato ai servizi sociali e al
coordinamento delle politiche giovanili, Istituto Poster, Vicenza xxxx, p. 13
45
Lorenzo Bernardi - Fausta Ongaro Bertol, Azione sociale e valutazione. Analisi e proposta di un modello
operativo, Ministero dell’interno - Direzione generale dei servizi civili, Roma 1984, p. 19
178
valutazione, in cui oltre alla responsabilità pur grave della conoscenza, è presente la
ancor più impegnativa responsabilità dell’azione che mira a trasformare e a
governare l’esistenza degli individui. Il rischio di misurare oggetti diversi da quelli
previsti o di attribuire significati eccessivi deve trovare adeguata protezione
accentuandone gli aspetti di accuratezza e verifica che si richiedono alla valutazione
la valutazione è scientifica anche se su temi ‘immateriali’ non può essere oggettiva
Il tema della evaluation dei processi formativi, come dei servizi e delle
organizzazioni sociali, è reso assai ostico da una questione centrale, che riguarda la
epistemologia. La questione è quella del rapporto fra soggettività ed oggettività.
Molti operatori e ricercatori sociali sono frenati nella riflessione sulla valutazione a
causa dell’idea che nel settore “immateriale” della cultura, della salute, della psiche
l’oggettività sia irraggiungibile. Da questa constatazione si fa discendere
l’impossibilità di una evaluation scientifica. Questa equazione di scienza e
oggettività è veramente ingenua.
Diciamo dunque che, se l’evaluation è ancora per larga parte un processo soggettivo,
non per questo è meno scientifica, non per questo non va utilizzata e raffinata.46
bisogna misurare l’efficacia e l’efficienza
E’ l’ora di uscire dai lamenti generici per misurare gli eventi a partire da dati reali,
per intervenire sulle situazioni provando a modificarle collettivamente e su dati di
fatto. La pratica sociale ha bisogno di un sistema informativo e valutativo
dell’efficacia e dell’efficienza dei suoi servizi che consenta di uscire da generiche
enunciazioni di principio che, senza misurazioni adeguate, sono destinate a rimanere
tali.47
audit, rispetto ad altri concetti
Nella maggior parte dei casi il termine audit è utilizzato per studi decisi da
un’autorità responsabile (gerarchica o di tutela) che desideri disporre di un quadro
analitico della situazione. In questo caso, le persone che effettuano l’audit non
appartengono al sistema indagato ma sono consulenti esterni incaricati di svolgere
un’azione puntuale e che rispondono direttamente all’autorità committente. Altri
46
Guido Contessa, Presentazione, in M. V. Sardella, “Teoria e tecniche dell’evaluation. Per una cultura
dell’efficienza e dell’efficacia nel sociale”, Clup, Milano 1989, pp. 13-14
47
Maria Vittoria Sardella, Teoria e tecniche dell’evaluation. Per una cultura dell’efficienza e dell’efficacia nel
sociale, Clup, Milano 1989, p. 20
179
termini hanno valenze concettuali simili a quello di audit pur presentando alcuni
inconvenienti o diversità:
- valutazione, che ha l’inconveniente di non comprendere la nozione di
proposta correttiva e di non riferirsi necessariamente ad uno “standard” esistente
(rispetto al quale verificare gli effetti, l’efficacia, ecc.);
- controllo o ispezione, che hanno lo stesso inconveniente;
- revisione che, viceversa, non comporta la nozione di analisi critica.48
limiti dell’analisi costi-benefici
Si riconoscono i principali limiti dell’analisi costi/benefici, che risultano essere la sua
scarsa efficacia, quando si passa da una valutazione di scelte pubbliche, tra ipotesi
alternative di intervento (come possono essere progetti di investimento ben
identificati e definiti, anche dal punto di vista ingegneristico e finanziario), alla
valutazione di piani e programmi di area costituiti da un ‘pacchetto’ di interventi
integrati, per i quali è necessario verificare anche la strategia ed il comportamento
dei soggetti istituzionali coinvolti nel processo di decisione, attuazione e gestione.49
gli elementi ambientali della valutazione non sono fattori inquinanti ma dati
necessari
la ricerca valutativa è certo diversa per molti punti di vista da quella tradizionale: è
certamente ‘inquinata’, sia da parti coinvolte sia da portatori di interessi normativoprocedurali, ma tale permeabilità non è un effetto perverso ma un dato, un elemento
di fondo irrinunciabile per una adeguata analisi valutativa. Le parti coinvolte,
l’efficacia dell’azione, la qualità del prodotto, ecc. altro non sono che l’obiettivo
generale da tener presente, lo scopo generale del processo decisionale che chiede
supporto all’analisi valutativa; l’apparato normativo-procedurale, l’orientamento del
decision maker e ogni elemento del contesto reale in cui si opera sono i dati di cui
tener conto, gli elementi di sistema che incidono nel processo.
diverso rapporto della ricerca ‘pura’ e di quella valutativa con la sfera decisionale
il legame tra ricerca valutativa e sfera delle policy è addirittura fondante della ricerca
valutativa, e si potrebbe discutere se e quanto la ricerca ‘pura’ si coniughi con
altrettanta pregnanza con la programmazione, con la progettazione, con la sfera
48
A. Bulgarelli - M. Giovine - Guy Le Boterf, Metodologie di tipo audit per l’analisi e la valutazione degli
interventi di formazione, “Osservatorio Isfol”, n.4, 1991, pp. 22-23
49
Marta Scettri. Programmazione e valutazione. Breve storia di un matrimonio mancato, in C. Bezzi - M.
Scettri (a cura di), “La valutazione come ricerca e come intervento”, Irres, Perugia 1994, p. 14
180
decisionale. La ricerca ‘pura’, in realtà, non è necessitata di un rapporto organico con
questa sfera; la ricerca ‘pura’ è senz’altro utile ed interessante come e quanto la
ricerca valutativa, e probabilmente su tempi lunghi mostra di essere più utile di
questa, ma non nasce sull’onda del problema cui occorre dare soluzione urgente50
il significato ultimo dell’approccio valutativo non è in una eventuale sua razionalità
metodologica, ma nel suo attivare processo informativi altrimenti non sviluppati
Accade di frequente che coloro che hanno responsabilità decisionali e gestionali si
rivolgano all’ambiente tecnico e scientifico al fine d’impossessarsi di strumenti e
regole che consentano di decidere al meglio. Ad aumentare la frequenza di questo
tipo di richieste ha contribuito, nell’ambito scientifico, una particolare categoria di
discipline che sviluppano e utilizzano schemi interpretativi i quali possono definirsi
di razionalità classica. Questi schemi si basano sulla convinzione che esista una
soluzione ottima per ogni problema, individuabile attraverso l’applicazione di
modelli valutativi molto formalizzati, spesso di derivazione matematica.
Questi schemi trovano adeguata applicazione e, di conseguenza, risultati migliori, in
contesti semplici (o resi semplici da una predittività quasi meccanica dello svolgersi
d’eventi futuri), con scelte che sono prevalentemente di routine e che si collocano in
un ambiente relativamente statico e invariante.
Nel momento in cui il contesto muta, le pur ampie potenzialità di questi approcci
razionali non sono però più in grado di produrre i loro benefici in termini
d’ottimizzazione delle scelte e delle decisioni. A fronte della complessità di piani
decisionali, dell’incertezza, della molteplicità d’obiettivi e aspirazioni, della pluralità
di soggetti interagenti, la possibilità di definire ex ante corsi d’azione obiettivamente
migliori cade.
Ciò non significa tuttavia riportare totalmente al pragmatismo non regolato
metodologicamente (in altri termini, buon senso) dei singoli la possibilità di
strutturare la qualità di una performance. Significa invece avere ben chiaro che
strumenti e criteri scientifici e tecnici possono contribuire a migliorare i processi
decisionali ed attuativi, non tanto per la particolarità dei criteri adottati, quanto
50
Claudio Bezzi, Valutazione sociale. Un approccio problematico al tema, in C. Bezzi - M. Scettri (a cura di),
“La valutazione come ricerca e come intervento”, Irres, Perugia 1994, p. 35
181
piuttosto per il fatto che la loro applicazione richiede un processo di strutturazione
conoscitiva e informativa che altrimenti non avrebbe luogo.51
l’approccio valutativo è legato al contesto
la definizione di un metodo di valutazione operativo è legata al contesto specifico
d’applicazione, all’oggetto e alle finalità della valutazione stessa.
L’efficacia della valutazione, ovvero la possibilità di contribuire fattivamente al
miglioramento di determinate decisioni e azioni, è
funzionale, da un lato, alla
reciproca coerenza dei tratti caratteristici dei tre aspetti (contesto, oggetto, finalità) e,
dall’altro, all’armonia riscontrabile tra gli stessi e il metodo prescelto.
la complessità sociale pone dei limiti alla valutazione
La valutazione, in qualunque campo applicativo sociale (valutazione di servizi,
valutazione economica, valutazione di impatto ambientale, ...) deve fare i conti con la
complessità sociale, la difficile determinazione delle proprietà individuali
significative per ogni singolo evento, la circolarità ermeneutica del processo
conoscitivo, e chi più ne ha più ne metta nell’accumulare necessità di cautela (ad un
livello minimo) o vere e proprie insormontabili barriere conoscitive (ad un livello
massimo). E attenzione: qui non si tratta di inadeguatezze attuali del bagaglio tecnico
delle scienze sociali ma di problemi connessi all’impianto epistemologico
scientifico.52
la valutazione è misurazione, ma la misurazione deve essere valida e attendibile
La valutazione, per essere uniforme, obiettiva e comunicabile dovrebbe sempre
implicare delle misurazioni (quantitative o qualitative). Bisogna però disporre di
strumenti di misura che possiedano le caratteristiche della validità, dell’attendibilità,
dell’oggettività e della pertinenza.53
nella formazione può essere meglio un approccio valutativo basato sugli esperti
alcuni autori ritengono che sia giunto il momento di superare gli approcci “censuari”
da cui troppo spesso sono tentati i ricercatori che si occupano di settori quali quello
della formazione; quando la valutazione si muove in ambiti connotati da livelli
51
Piera Magnatti, Esperienze di politica industriale a livello locale. Quali esigenze di valutazione, in C. Bezzi M. Scettri (a cura di), “La valutazione come ricerca e come intervento”, Irres, Perugia 1994, p. 41
52
Sandro Piacentini, L’insostenibile leggerezza della valutazione dei servizi, in C. Bezzi - M. Scettri (a cura di),
“La valutazione come ricerca e come intervento”, Irres, Perugia 1994, p. 56
53
Fiorenza Scotti, Valutazione formativa libera e Computer Based Education, “Osservatorio Isfol”, n. 1, 1990,
p. 102
182
minimi di trasparenza informativa più che le “misurazioni” interessano le percezioni
dei segnali (o meglio dei segni: + o - che identificano il posizionamento di un
intervento, corso, progetto, ecc.) rispetto agli altri o rispetto a standard “normali” di
efficienza.
La valutazione, oltre che ad indicatori numerici “classici” può, anche nel caso della
formazione, far ricorso a metodi di analisi basate sulle opinioni di testimoni ed
oservatori a condizione di trattare le informazioni così raccolte con tecniche (peraltro
ormai correnti) di elaborazione in grado di depurare i giudizi da eventuali distorsioni
dovute a parzialità dei punti di vista degli osservatori interpellati.54
stretto legame fra valutazione di progetti e analisi multicriteri
L’Analisi Multicriteri, che costituisce un corpo vastissimo e molto eterogeneo di
tecniche e di strumenti di analisi dei dati, ha come proprio specifico campo
d’interesse la messa a punto di processi di decisione interattiva per la soluzione di
problemi multidimensionali, non riconducibili ad un unico decisore e ad un unico
criterio di scelta.
Valutazione dei progetti e Analisi Multicriteri si rapportano tra loro in modo
strettissimo, fino al punto in cui la seconda appare come l’unico strumento tecnico di
analisi di un problema e di valutazione che rende possibile la prima.55
primato dell’approccio economico-quantitativo, anche nella valutazione della
formazione
Dal punto di vista degli strumenti possibili, l’approccio economico-quantitativo [alla
valutazione], è certamente il più ricco, almeno teoricamente, anche se esso mostra
talvolta la corda quando viene applicato a processi fortemente contestualizzati e
complessi quali quelli formativi che insistono su una variabile - quella umana spesso sfuggente e difficilmente riconducibile a standard predefiniti. Tuttavia è vero
che, quando hanno potuto contare su una base informativa adeguata, metodi quali
l’analisi costi-benefici, l’analisi costi-efficacia, [ecc.], hanno consentito di ottenere
54
Marinella Giovine, Valutazione della formazione: si può “ricominciare da tre”. Stato dell’arte e prospettive
di ricerca sul tema, “Osservatorio Isfol”, n. 1, 1991, p. 88
55
Rino Rosini, Una metodologia di valutazione di impatto nella pianificazione territoriale. Applicazioni ed
esperienze in Emilia Romagna, in: Aisre, “XII Conferenza italiana di scienze regionali - Messina-Taormina 2124 ottobre 1991”, volume 1, Palermo 1991, p. 475
183
utili indicazioni, soprattutto in chiave comparativa, relativamente alla preferibilità (o
alla bontà) di determinate azioni o strutture formative.56
metodologie consensuali per la valutazione soggettiva dell’utilità sociale
I beni di proprietà pubblica devono essere valutati nella sostanza in base a due criteri
distinti: uno economico e un altro di utilità sociale.
La difficoltà maggiore che si incontra nel corso della formalizzazione di processi
decisionali [che tengano conto di questi due aspetti] riguarda gli aspetti relativi alla
misurazione dell’utilità sociale e all’integrazione di questa con i caratteri economici.
La misura che si propone si fonda su valutazioni soggettive formulate dai
rappresentanti della collettività. Nel caso in cui non sussista un’univocità di vedute
nelle valutazioni soggettive, possono essere implementate metodologie volte alla
ricerca del consenso.57
ragioni dello sviluppo dell’analisi multicriteri
Uno degli approcci che negli ultimi quindici-venti anni ha avuto più sviluppo, sia dal
punto di vista metodologico che applicativo, è la cosiddetta Analisi MultiCriteriale
(AMC). Tale classe di metodi si è sviluppata espressamente con la finalità di
affrontare e rappresentare in modo esplicito e trasparente i conflitti originatisi
dall’uso delle risorse. Infatti, non a caso, il più famoso ambito applicativo dell’AMC
nella pianificazione territoriale è rappresentato dalla Valutazione Impatto
Ambientale, cioè un ambito di intervento pubblico tipicamente caratterizzato da forti
contrasti.58
limiti e pregi dell’analisi multicriteri
la quantità di informazioni ottenibili rappresenta contemporaneamente il maggior
pregio ed il maggior difetto dell’analisi multicriteriale. Infatti l’adozione di un
procedimento così complesso sembra appropriata in casi specifici, quali la
valutazione di interventi pubblici che coinvolgano una porzione consistente delle
risorse naturali di un dato territorio.
56
Isfol - Iard, Modello di valutazione della formazione professionale, “Osservatorio Isfol”, n.2, 1992, pp. 113114
57
Francesco Carlucci - Stefano Pisani, Un criterio di valutazione economica e sociale di un bene pubblico,
“Economia pubblica”, n. 4-5, 1993, p. 193
58
Iacopo Bernetti, L’impiego dell’analisi multicriteriale nella gestione delle risorse forestali, “Rivista di
economia agraria”, n. 3, 1993, p. 436
184
Nel caso invece di interventi pubblici puntuali, finalizzati al miglioramento
produttivo o ambientale di risorse destinate, o per vocazione o istituzionalmente, ad
un determinato impiego, appare più appropriato il metodo dell’Analisi Costi
Benefici; con questo approccio infatti è possibile ottenere un indicatore monetario
più univoco e più largamente comprensibile da parte delle componenti sociali e
politiche interessate.
difficoltà dell’analisi costi benefici
Il problema principale legato all’utilizzo dell’analisi costi-benefici nel campo della
formazione è costituito tuttavia, dalla difficoltà a pervenire in ogni caso ad una
precisa quantificazione di tutte le voci coinvolte. E’ soprattutto l’area dei benefici a
presentare le maggiori difficoltà, dato che molti di essi possono essere immateriali o
comunque non riconducibili ad un dato monetario o quantitativo. A queste difficoltà
si aggiungono una serie di problemi metodologici legati, ad esempio, al ruolo giocato
dalle esternalità negli investimenti in formazione: la loro presenza rende imprecise e
opinabili una serie di misurazioni dato che, in genere, solo gli aspetti fiscali e
finanziari in senso stretto sono totalmente quantificabili.
Per rispondere, in parte, a queste difficoltà è venuto diffondendosi l’utilizzo
dell’analisi costi-efficacia che si limita ad individuare la strategia di costo migliore
per conseguire un obiettivo fissato a priori.59
le informazioni nella valutazione intermedia
Un prerequisito fondamentale per effettuare la valutazione della spesa pubblica è
rappresentato dal processo di controllo o monitoraggio della stessa. Se si introducono
procedure di valutazione intermedia (o in itinere) l’acquisizione di informazioni
tempestive e affidabili su quanto si spende, chi sono i soggetti utilizzatori della spesa
e in che modo questi ultimi impiegano le risorse pubbliche rappresenta, più che un
requisito, il principale output della stessa valutazione intermedia.60
l’approccio valutativo è determinato dall’oggetto da valutare
59
Cesos - Fondazione Giacomo Brodolini, Guida operativa alla valutazione degli interventi formativi sotto
forma progettuale - Parte I, “Economia e lavoro”, n. 3, 1992, p. 133
60
Alessandro Sterlacchini, La spesa per la ricerca universitaria in Italia: analisi quantitativa e proposte di
valutazione, “Economia pubblica”, n. 11, 1994, p. 517
185
non esistono modalità, procedimenti, metodi validi in assoluto. E’ per questo
indispensabile definire metodi e conseguentemente strumenti in relazione a ciò che si
vuole valutare: l’oggetto determina la scelta della forma della valutazione.61
coesistenza delle varie fasi della valutazione
nonostante la tradizionale tripartizione tra ex ante, in itinere ed ex post, ogni fase
della programmazione non può esistere senza le altre e, soprattutto, senza una
cornice programmatoria.62
la valutazione deve essere contestualizzata alla luce degli obiettivi del programma
la valutazione delle azioni dei programmi operativi della Cee deve essere legata
anche alla necessaria contestualizzazione dei rispettivi obiettivi operativi e al
contesto socio-economico e istituzionale entro il quale esse si sviluppano.63
gli indicatori nella valutazione ex post
Qualsiasi valutazione ex post richiede una definizione preliminare degli aspetti che si
intendono misurare e degli indicatori con i quali saranno misurati
attori diversi che possono intervenire nella valutazione
La riflessione su chi debba incaricarsi della valutazione deve essere affrontata da un
triplice punto di vista:
a. tecnico. Realizzazione ad opera di un organismo esterno all’Amministrazione. I
valutatori devono disporre di una totale autonomia rispetto all’amministrazione;
b. politico. Esso implica il giudizio e la presa di decisioni da parte dei responsabili
politici, partendo dalla valutazione tecnica. Tutte le istanze che detengono una
responsabilità politica devono essere coinvolte;
c. partecipativo. Oltre all’amministrazione, devono intervenire in proposito anche gli
attori coinvolti e le forze sociali.
necessità di un orizzonte teorico per la valutazione d’impatto sociale
L’esigenza scientifica di collocare la metodologia della valutazione di impatto
sociale - che ha trovato il suo più rilevante veicolo nella valutazione di impatto
ambientale - in un quadro di riferimento teorico viene oggi avvertita da molti
61
Saul Meghnagi, Il rendimento dell’intervento formativo pubblico: criteri per valutare ex ante e ex post la
formazione, in: Confindustria, “La valutazione della formazione. Come misurare efficienza e qualità nella
formazione professionale, Ed. SIPI, Roma 1989, p. 51
62
Aviana Bulgarelli, Presentazione, in Isfol - Cee, “La valutazione nel Fondo Sociale Europeo. Metodologia di
valutazione dei programmi operativi”, F. Angeli, Milano 1993, p. 10
63
Isfol - Cee, La valutazione nel Fondo Sociale Europeo. Metodologia di valutazione dei programmi operativi,
F. Angeli, Milano 1993, p. 37
186
scienziati sociali, dai decisori pubblici e dagli stessi esperti del settore. Ma tale
esigenza è soprattutto percepita da quanti si avvicinano per la prima volta a tale
metodologia di valutazione e cercano di identificarla attraverso un lieu della teoria e
di conseguenza della prassi scientifica. Per un sociologo la soluzione di tale
problema è resa di ancor più difficile operatività poiché la sua disciplina è
attraversata e, per così dire, resa inquieta dal suo stesso statuto epistemologico che è
segnato da quel pluralismo teorico che Merton ha così lucidamente indicato ed
analizzato.64
la valutazione della ricerca scientifica centrata su approcci qualitativi
Nel passato, il criterio base per la valutazione della ricerca si identificava
sostanzialmente nella sua qualità; più di recente, tuttavia, allo scopo di integrare le
tradizionali procedure di valutazione da parte della comunità scientifica, sono state
sviluppate diverse tecniche di tipo quantitativo, ivi inclusa la bibliometria. Quello
della qualità continua ancora ad essere il criterio più idoneo ed utile per la
valutazione della ricerca di base.65
limiti dell’analisi costi benefici, in particolare per la stima degli elementi di natura
sociale
Per quanto riguarda l’analisi costi-benefici, la sua stessa definizione indica le due
principali
difficoltà
che
si
incontrano
nell’applicarla.
Queste
consistono
nell’identificazione e nella stima di tutti i costi e benefici e nella necessità di
ricondurre i due termini ad un comune denominatore. In realtà, molti benefici di
natura sociale non sono esprimibili in termini monetari, visto che sono più che altro
relativi all’idea che si intrattiene su cosa determini la qualità della vita e sui suoi
possibili indicatori.
trasversalità della Social Impact Analysis rispetto a processo politico e scienze
sociali
In quanto campo ibrido, ove scienza e processo politico necessariamente si integrano,
la SIA ripercorre e taglia trasversalmente le varie scienze sociali, sì da render conto
non di un impatto univoco, ma di una pluralità di impatti. La qual cosa apre la via ad
64
Fulvio Beato, Rischio e mutamento ambientale globale. Percorsi di sociologia dell’ambiente, F. Angeli,
Milano 1993, p. 100
65
Katharine Barker - Luke Georghiou, La valutazione dell’impatto socio-economico della R&D finanziata con
fondi pubblici, in L. Cannavò (a cura di), “Studi sociali della tecnologia. Metodologie integrate di valutazione”,
Euroma, Roma 1991, p. 108
187
più incisivo ruolo delle scienze sociali, nonostante una crisi latente nella comunità
degli specialisti di SIA.66
la valutazione include necessariamente i fattori soggettivi
Quel che si vuole affermare è l’impraticabilità di una valutazione in cui i fattori
“soggettivi” siano considerati esclusivamente residuali e quindi marginali, e
comunque radicalmente separati dai fattori oggettivi. La qual cosa gli studiosi di
qualità della vita, sufficientemente attenti alla sfera psicosociale e socioculturale,
hanno affermato ben prima degli specialisti di assessment
fragilità valutativa degli indicatori carenti sul piano concettuale
Come area di ricerca, la ricerca valutativa sull’impatto sociale della tecnologia soffre
- al pari di altri settori nati dalla ricerca applicata su basi prevalentemente tecnicoeconomiche - di una sostanziale fragilità proprio sul piano tecnico, ove pure è stata
svolta la maggior parte del lavoro, e cioè sul piano degli indicatori. La raccolta
indiscriminata di indicatori economici e socio-economici in assenza di una precisa
analisi dimensionale dei concetti non può che portare ad una pratica euristica
sostanzialmente confusa, certo limitatamente esplicativa ed altrettanto limitatamente
predittiva proprio dei fenomeni che si vuole investigare. Il difetto, in altri termini, è
nella carenza di riduzione della complessità, dalla situazione problematica
all’individuazione dei problemi, alla specificazione di aree problematiche, concetti e
dimensioni, infine al piano misurativo degli indicatori.67
i parametri valutativi dell’analisi costi benefici si danno solo in un contesto di
programmazione con obiettivi espliciti
lo strumento dell’analisi costi benefici può venir applicato soltanto in un contesto di
programmazione in quanto se non sono chiari ed espliciti gli obiettivi ed i vincoli
della politica economica (se non c’è, dunque, programmazione) non si può definire il
sistema di valori da utilizzare nell’analisi (i cosiddetti prezzi ombra). E non si
possono, pertanto, neanche individuare in modo rigoroso e trasparente i parametri di
valutazione quali il saggio di rendimento interno, il valore attuale netto, ed il
rapporto benefici costi attualizzato.68
66
Leonardo Cannavò, Le dimensioni non strutturali nella valutazione dell’impatto sociale della tecnologia, in
L. Cannavò (a cura di), “Studi sociali della tecnologia. Metodologie integrate di valutazione”, Euroma, Roma
1991, p. 174
67
Leonardo Cannavò, Le dimensioni non strutturali nella valutazione dell’impatto sociale della tecnologia
68
Giuseppe Pennisi, Tecniche di valutazione degli investimenti pubblici, scritti di G. Pennisi e P.L. Scandizzo,
Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, seconda edizione aggiornata, Roma 1991, pp. 5-6
188
pregi e limiti dell’analisi costi benefici
L’analisi costi benefici può essere considerata un metodo efficace di valutazione
degli investimenti pubblici perché ha tanto i vantaggi della disciplina e del rigore
scientifico quanto quelli della semplicità di applicazione in un sistema decisionale
decentrato. Come tecnica analoga a quella applicata dalle aziende private per il
calcolo dei flussi di cassa nel conto profitto e perdite, essa ha inoltre il vantaggio di
poter essere interpretata come una generalizzazione ed un’estensione di pratiche
contabili correnti ed è, pertanto, di facile apprendimento e diffusione.
E’ però necessario sottolineare che accanto a questi vantaggi, l’analisi costi benefici
presenta limiti di teoria e di applicabilità e che tali limiti devono essere tenuti ben
presenti per guidare l’applicazione ai casi concreti.
particolari difficoltà valutative nella formazione a causa del fattore umano
Nel settore della formazione, i problemi teorici e pratici della valutazione sono
considerati di non facile soluzione a causa del fattore umano (allievi, docenti)
implicito nel processo formativo, con tutte le sue imprevedibilità: la variabilità della
capacità e delle motivazioni ad apprendere e ad utilizzare quanto appreso.69
varietà degli indicatori possibili nella cooperazione
La gamma degli indicatori di efficienza può essere molto vasta, tenuto conto della
quantità delle variabili di un progetto e della possibilità di elaborare, oltre che
indicatori semplici , anche indicatori complessi.
La natura e i metodi di costruzione e di calcolo di tali indicatori devono essere tarati
in funzione non solo degli obiettivi di valutazione, ma anche dei risultati che
potrebbero essere ottenuti da un’analisi sufficientemente approfondita dei valori e
modalità che assumono le variabili descrittive nel concreto dei progetti di formazione
della cooperazione bilaterale italiana.
difficile la valutazione dei programmi sanitari
Da un punto di vista metodologico, è difficile valutare l’impatto di programmi
sanitari, poiché vi è un enorme numero di variabili che possono modificare lo stato di
69
Marinella Giovine, Guida per la valutazione ex post dei progetti nel settore della formazione, in D.
Fanciullacci - C. Guelfi - G. Pennisi, “Valutare lo sviluppo. Volume primo. Metodologia e tecnica della
valutazione retrospettiva dei progetti”, Franco Angeli, Milano 1991, p. 193
189
salute delle popolazioni in senso migliorativo o peggiorativo, al di fuori delle attività
specifiche nel settore.70
la valutazione è una comparazione che necessita di strumenti di misurazione
La valutazione implica una descrizione e comparazione di oggetti, di eventi e di
processi relativi a fenomeni sociali. A tal fine è necessaria la scelta di caratteri
descrittivi ed un sistema per “misurarli” ovvero quantificarli.71
necessità di strumenti per la valutazione
Per poter valutare un’attività, quale che sia il suo campo e quali che siano i suoi
contenuti, occorre disporre di uno strumento per descriverne gli effetti sul settore, sul
territorio, sulla popolazione, sul paese a cui si riferisce e per poter esaminare gli
effetti così descritti alla luce di un sistema di obiettivi.72
pregi e limiti dell’analisi costi benefici
In quanto sistema organico di documentazione, l’analisi costi e benefici consente di
sintetizzare ed incapsulare anche gli altri aspetti dell’analisi progettuale (tecnologici,
istituzionali, sociologici, ecc.). Ciò non toglie che il metodo, le tecniche e le
procedure specifiche dell’analisi costi e benefici, in quanto strumento di analisi dei
risultati attesi, possano venire impiegati in tutti gli aspetti relativi al progetto.
− L’analisi costi e benefici presenta, per altro, notevoli limiti se utilizzata per giungere
ad una scelta tra progetti:
− richiede una specificazione dettagliata della funzione-obiettivo tanto del paese
finanziatore quanto del paese ricevente (cosa raramente fattibile) per giungere alla
determinazione dei valori (prezzi) da utilizzare;
− non consente di ordinare progetti sulla base della loro importanza e del loro valore,
ma solo di giungere ad un giudizio di accettazione o rigetto;
− si può applicare soltanto a progetti “piccoli” e tali, dunque, da non comportare
modifiche strutturali e, quindi, da non incidere sui valori (prezzi relativi) di beni e
servizi.
70
Antonio Volpi, Guida per la valutazione ex post dei programmi/progetti nel settore sanitario, in D.
Fanciullacci - C. Guelfi - G. Pennisi, “Valutare lo sviluppo. Volume primo. Metodologia e tecnica della
valutazione retrospettiva dei progetti”, Franco Angeli, Milano 1991, p. 357
71
Daniele Fanciullacci, Sistemi di misurazione e indicatori per la valutazione, in D. Fanciullacci - C. Guelfi - G.
Pennisi, “Valutare lo sviluppo. Volume primo. Metodologia e tecnica della valutazione retrospettiva dei
progetti”, Franco Angeli, Milano 1991, p. 421
72
Giuseppe Pennisi - Giancarlo Tammi, Aspetti pratici della valutazione economico-finanziaria ex ante, in D.
Fanciullacci - C. Guelfi - G. Pennisi, “Valutare lo sviluppo. Volume secondo. Il processo decisionale”, F.
Angeli, Milano 1991, p. 22
190
la valutazione, rispetto alla ricerca, attribuisce un ruolo inverso alle ipotesi
In ogni caso, va posto in luce il fatto che se il programma, come i suoi obiettivi,
condiziona la struttura delle ipotesi di lavoro nella ricerca-valutazione, queste non
possono essere “chiuse” al suo interno, né da esso completamente determinate,
perché in questi casi, in assenza quasi sempre di riferimenti teorici sicuri o
argomentati, lo spazio che separa la congettura dal concreto evolversi delle cose è
quasi sempre piuttosto elevato. Le “scoperte”, in altre parole, sono all’ordine del
giorno, cosi come gli effetti “perversi” o, comunque, “inattesi” di determinati atti di
politica sociale. Se l’apertura delle ipotesi è un consiglio che va tenuto presente,
l’inversione del ruolo delle normali variabili utilizzate nella ricerca sociologica è ciò
che in ultima istanza caratterizza la ricerca-valutazione. In essa, infatti, l’aspetto
teorico-metodologico che correntemente viene assunto come dipendente (l’utenza di
una biblioteca, ad esempio, “spiegata” dalla classe di appartenenza) si trasforma e
diviene indipendente (l’apertura di un nuovo servizio bibliotecario analizzata, ad
esempio, per la sua capacità di incidenza nel tempo sulle disuguaglianze socioculturali fra bambini). Il concetto di valutazione si trasferisce o deriva dalla
procedura tecnica dell’inversione delle variabili (fenomeni) in grado di influenzare
altre variabili in un gioco metodologico gravido di conseguenze operative e, quindi,
di spendibilità pratica. In tal senso, la ricerca-valutazione non valuta, non differisce
dalla ricerca sociologica puramente conoscitiva, si associa ad un evento sperimentale
reale (non artificiale) e favorisce conoscenza intrinsecamente spendibile, perché già
collegata per ipotesi all’azione.73
limiti intrinseci di tutte le tecniche
In generale, il nostro giudizio sull’analisi costi-benefici è positivo, ma non sarebbe
corretto vantare i meriti delle tecniche di valutazione dei progetti evitando di
denunciarne i limiti. L’analisi costi-benefici risente in particolare modo della scarsa
accuratezza, della superficialità o della malafede. Tutte le tecniche sono
potenzialmente pericolose nella misura in cui sono avvolte da un’aura di precisione
ed obiettività. Dal punto di vista logico, le tecniche non possono essere più precise
73
Costantino Cipolla, Teoria della metodologia sociologica. Una metodologia integrata per la ricerca sociale,
F. Angeli, Milano 1988, p. 164
191
delle ipotesi su cui si fondano e, talvolta, se gli errori si sommano, sono persino
meno precise.74
limite fondamentale dell’analisi costi benefici
Una delle caratteristiche più deboli dell’analisi costi-benefici è che non esistono
meccanismi che indichino se le ipotesi di partenza sono errate.75
quando utilizzare l’analisi costi efficacia anziché la costi benefici
Una versione ridotta dell’analisi costi-benefici è conosciuta come analisi costiefficacia. Essa è caratterizzata dalla possibilità di valutare costi e benefici utilizzando
diverse unità di misura senza che sia necessario ridurlo alla stessa unità. Per dirla in
breve, l’analisi costi-efficacia è applicabile quando (a) i costi dei progetti alternativi
sono identici, e quindi vanno confrontati solo i benefici; il che solleva l’analista
dall’onere di convertire i benefici in moneta, oppure (b) quando i benefici sono
identici e solo i costi devono essere confrontati.
due approcci alla valutazione della produttività negli enti locali
- il controllo di gestione è il processo con cui la direzione di un’organizzazione si
assicura che essa operi in modo efficace ed efficiente nel perseguimento dei suoi fini,
ovvero è l’insieme delle procedure e delle condizioni che permettono ai dirigenti di
un’organizzazione
di
controllare
nel
modo
migliore
il
funzionamento
dell’organizzazione stessa;
- la valutazione delle politiche è l’analisi dei determinanti, delle caratteristiche e dei
programmi propri di un’organizzazione, e in particolare delle relazioni tra contenuto
di politiche e programmi e conseguenze sostanziali che esse determinano.76
rilevanza della qualità dell’output
per le attività di progettazione, programmazione e altre ancora, assai più della
quantità è rilevante la qualità dell’output nonché la sua efficacia nel conseguire i
risultati prefissati all’operare pubblico, non è opportuno riferirsi al costo per unità di
prodotto calcolato come costo medio di ciascuna unità di output
74
Edith Stokey - Richard Zeckhauser, Introduzione all’analisi delle decisioni pubbliche, Formez, Napoli 1988,
p. 190
75
Edith Stokey - Richard Zeckhauser, Introduzione all’analisi delle decisioni pubbliche, Formez, Napoli 1988,
p. 206
76
Piervincenzo Bondonio - Francesco Scacciati, Efficienza e produttività negli enti locali. L’introduzione degli
incentivi nel pubblico impiego, La nuova Italia scientifica, Roma 1990, p. 43
192
primato dell’approccio economico-quantitativo, anche nella valutazione della
formazione
Dal punto di vista degli strumenti possibili, l’approccio economico-quantitativo [alla
valutazione], è certamente il più ricco, almeno teoricamente, anche se esso mostra
talvolta la corda quando viene applicato a processi fortemente contestualizzati e
complessi quali quelli formativi che insistono su una variabile - quella umana spesso sfuggente e difficilmente riconducibile a standard predefiniti. Tuttavia è vero
che, quando hanno potuto contare su una base informativa adeguata, metodi quali
l’analisi costi-benefici, l’analisi costi-efficacia, ecc., hanno consentito di ottenere
utili indicazioni, soprattutto in chiave comparativa, relativamente alla preferibilità (o
alla bontà) di determinate azioni o strutture formative.77
metodologie consensuali per la valutazione soggettiva dell’utilità sociale
i beni di proprietà pubblica devono essere valutati nella sostanza in base a due criteri
distinti: uno economico e un altro di utilità sociale.
La difficoltà maggiore che si incontra nel corso della formalizzazione di processi
decisionali [che tengano conto di questi due aspetti] riguarda gli aspetti relativi alla
misurazione dell’utilità sociale e all’integrazione di questa con i caratteri economici.
La misura che si propone si fonda su valutazioni soggettive formulate dai
rappresentanti della collettività. Nel caso in cui non sussista un’univocità di vedute
nelle valutazioni soggettive, possono essere implementate metodologie volte alla
ricerca del consenso.78
rilevanza della qualità dell’output
per le attività di progettazione, programmazione e altre ancora, assai più della
quantità è rilevante la qualità dell’output nonché la sua efficacia nel conseguire i
risultati prefissati all’operare pubblico, non è opportuno riferirsi al costo per unità di
prodotto calcolato come costo medio di ciascuna unità di output79
77
Isfol - Iard, Modello di valutazione della formazione professionale, “Osservatorio Isfol”, n.2, 1992, pp. 113114
78
Francesco Carlucci - Stefano Pisani, Un criterio di valutazione economica e sociale di un bene pubblico,
“Economia pubblica”, n. 4-5, 1993, p. 193
79
Piervincenzo Bondonio - Francesco Scacciati, Efficienza e produttività negli enti locali. L’introduzione degli
incentivi nel pubblico impiego, La nuova Italia scientifica, Roma 1990, p. 55
193
l’analisi costi benefici come strumento per eccellenza dell’economia del benessere
Il termine analisi benefici-costi ( ABC) si riferisce, nel suo significato più generale,
al tentativo di misurare i guadagni e le perdite associate ad ogni azione. Ogni
individuo che si vuole comportare razionalmente dovrebbe, prima di prendere una
decisione, compiere un’ABC. Se vogliamo esprimerci in termini economici, ma
ancora generali, possiamo dire che l’ABC consiste nella misurazione dei benefici e
dei costi associati a ogni modificazione nell’allocazione delle risorse esistenti.
Nell’analisi economica e finanziaria corrente l’ABC ha un significato più preciso:
essa si riferisce infatti al calcolo dei benefici sociali netti conseguenti a una
decisione pubblica che modifica l’allocazione delle risorse.
Si tratta dello strumento per eccellenza dell’economia del benessere applicata.
L’ABC deve permettere infatti di valutare se una modificazione nell’allocazione
delle risorse è efficiente, se produce, cioè, detto in termini più generali, un aumento
del benessere sociale.80
l’analisi costi benefici come strumento di scelta delle preferenze sociali
L’analisi costi benefici (ACB) è essenzialmente un metodo per decidere della validità
di un progetto che comporta una spesa pubblica, attraverso una ricerca empirica
tendente a soppesarne i vantaggi e gli svantaggi. Il suo campo di applicazione è
generalmente ristretto ai progetti pubblici perché i vantaggi e gli svantaggi sono
definiti in termini sociali. L’ACB vuole quindi essere un modo per stabilire che cosa
la società preferisce; laddove si può scegliere una sola opzione tra molte possibili,
l’analisi dovrebbe indicare a chi prende la decisione qual è l’opzione che più
risponde alle preferenze sociali, mentre se è una graduatoria di progetti di cui
l’autorità decisionale necessita, l’analisi dovrebbe stabilire i criteri per formulare tale
graduatoria.81
soggettività e non rigidità metodologica nella valutazione del paesaggio
La valutazione del paesaggio, come ogni altra attribuzione di un valore, è un
procedimento soggettivo, legato alla cultura dell’uomo, poiché nessun oggetto
possiede un valore in sé, ma solo in rapporto ad un criterio ed a una gerarchia che
l’uomo stabilisce per convenzione.
80
Giorgio Brosio, Economia e finanza pubblica, La nuova Italia scientifica, Roma 1986, 1^ ristampa 1988, p.
233
81
Alessandro Petretto, Manuale di economia pubblica, Il Mulino, Bologna 1987, p.
194
Ciò fa sì che non si possa tanto parlare di “metodi di valutazione”, alla stregua di
sequenze operative assolute, e cioè di sistemi per comprendere o stabilire quale sia il
valore intrinseco di un paesaggio, quanto invece di orientamenti, indirizzi,
approssimazioni culturali, principi d’impostazione, ecc., da cui derivare degli
itinerari valutativi certamente variabili da caso a caso, e strettamente correlati al
paesaggio che si sta esaminando, nonché ai fini della valutazione stessa.82
coesistenza di soggettività e aspetti formalizzati nella valutazione
L’analisi della qualità dell’ambiente e della compatibilità degli interventi ha, si è
visto, ampi ed intrinseci margini di soggettività.
Nello stesso tempo vi sono alcuni principi ormai accettati a livello generale (almeno
all’interno della cultura occidentale) che possono essere assunti come riferimento
generale ai fini di tali analisi e valutazioni.
E’ importante, in sede scientifica e amministrativa, arrivare ad una formalizzazione
di tali principi. Essi possono costituire assunti di base per la definizione di criteri e
scale per le valutazioni successive.83
multicriteri come superamento di approcci meccanicistici ai problemi decisionali
in generale, è impossibile dire che una decisione è buona o cattiva riferendosi
solamente ad un modello matematico: anche gli aspetti organizzativi, psicologici e
culturali dell’intero processo di decisione contribuiscono alla sua qualità e successo;
conseguentemente, l’analisi MCDA [Multiple Criteria Decision Aid] costituisce
l’evoluzione del ruolo dello scienziato sui problemi decisionali: i problemi non sono
più risolti sostituendo il decisore con un modello matematico, ma aiutando il decisore
a costruire la sua soluzione.84
audit delle risorse umane
L’audit delle risorse umane, o “audit sociale”, non effettua (o non solo) controlli di
conformità sugli atti aziendali, ma compie diagnosi sulle cause dei problemi e
formula raccomandazioni (ai responsabili delle diverse aree funzionali) sui correttivi
da attivare. In altre parole l’audit si pone come supporto al management al fine di
indicargli i mezzi per essere più efficace.
82
Valerio Romani, Il Paesaggio. Teoria e pianificazione, F. Angeli, Milano 1994, pp. 128-129
83
Sergio Malcevschi, Qualità ed impatto ambientale. Teoria e strumenti della valutazione di impatto, Etaslibri,
Milano 1991, p. 33
84
Marinella Giovine, Modelli di valutazione della formazione: sperimentazione della analisi multicriteri come
supporto alle decisioni, “Osservatorio Isfol”, n. 2, 1992, p. 25
195
L’”audit sociale” in particolare, si basa sul presupposto che anche la “funzione
personale”, pur con le sue caratteristiche particolari, non possa sottrarsi ad una
valutazione della sua efficacia e del suo apporto al raggiungimento degli obiettivi di
impresa.
In quanto affonda le sue radici nelle metodologie tipiche del controllo di gestione
l’audit si basa, per quanto possibile, su indicatori oggettivi che permettano di
individuare gli scarti tra risultati raggiunti ed obiettivi perseguiti, a gerarchizzarli in
termini di gravità e di rischio, ad individuarne le cause, al fine di proporre specifiche
raccomandazioni di riassetto.85
obiettivi dell’audit
l’audit quando riferito alla formazione cerca di situarsi nello spazio definito dai
quattro poli seguenti: controllo, valutazione, ricerca, supporto alla decisione.
Dalle attività propriamente di controllo l’audit tende a mutuare il reperimento di
termini di paragone ai quali riferire i risultati e le procedure delle azioni indagate. In
altre parole si tende, nei limiti del possibile, a reperire (o ricostruire) norme prassi,
indicatori di soglia rispetto ai quali rivalutare l’azione formativa. Dalla tradizione
della valutazione della formazione l’audit mutua soprattutto tutto ciò che riguarda
l’analisi della efficienza interna delle azioni formative. Ambizione dell’audit (ma che
è tutto sommato ambizione di qualsiasi eccezione di valutazione di efficacia oltre che
di efficienza) è analizzare la congruenza della formazione rispetto ad obiettivi anche
esterni e soprattutto valutare non tanto l’azione specifica di formazione quanto il
sistema di produzione della formazione in se stesso e nelle sue interrelazioni con i
sistemi circostanti. Deve essere inoltre evidenziato il ruolo specifico dell’audit come
dispositivo di supporto alla presa di decisione da parte del management, fatto questo
che impone una gerarchizzazione dei problemi rilevanti nonché l’elaborazione di
scelte e pratiche alternative.
qualità della costi benefici
L’analisi benefici costi è un metodo semplice e trasparente per valutare i risultati
attesi di un’attività economica, e, quindi, anche di un progetto considerato come
strumento di politica economica86
85
Marinella Giovine, La valutazione della formazione come investimento non materiale delle imprese, in A.
Bulgarelli - M- Giovine - G. Pennisi, “Valutare l’investimento formazione”, F. Angeli, Milano 1990, pp. 34-35
86
Giuseppe Pennisi, Analisi benefici costi della formazione professionale, in A. Bulgarelli - M- Giovine - G.
Pennisi, “Valutare l’investimento formazione”, F. Angeli, Milano 1990, p. 69
196
superiorità della costi efficacia sulla costi benefici nella valutazione della
formazione professionale
Quali che siano le difficoltà dell’analisi costi-efficacia, tuttavia, esse sono minori di
quelle inerenti all’applicazione dell’analisi costi benefici della formazione
professionale in quanto, una volta individuato il prodotto da fornire, non è necessario
quantizzarne il “valore” per la collettività. Quindi, l’analisi costi efficacia mantiene i
vantaggi di rigore scientifico dell’analisi costi benefici in un sistema di
programmazione decentrato dell’intervento pubblico ma è relativamente di più
semplice applicazione di quanto non sia quest’ultima.
problemi metodologici della costi benefici
A differenza dell’analisi finanziaria tradizionale, l’analisi costi-benefici tiene conto
sia dei costi e dei benefici che figurano nel bilancio dell’ente o impresa che realizza
il progetto, sia dei costi e dei benefici che ricadono su soggetti diversi. Per usare
un’espressione più tecnica, l’analisi costi-benefici considera - monetizzandole anche le esternalità positive e negative connesse alla realizzazione del progetto.
Questo tipo di analisi comporta numerosi problemi teorici e pratici, che vanno
dall’accurata definizione dei costi e dei benefici (soprattutto allo scopo di evitare
doppi conteggi), alla determinazione di prezzi ombra o prezzi di conto in base ai
quali valutare i costi ed i benefici; dalla definizione del tasso sociale di sconto,
all’apprestamento di criteri per valutare i cosiddetti benefici intangibili che in molti
casi rappresentano il principale risultato dell’investimento, ecc.87
razionalità dell’approccio costi benefici sociale
l’analisi costi-benefici sociale non è una tecnica, ma un approccio. Essa fornisce un
contesto razionale alla scelta dei progetti utilizzando obiettivi e valori nazionali.88
necessaria multidimensionalità della valutazione di efficacia
L’estensione dei mutamenti che intervengono a livello operativo comporta
l’adozione di una prospettiva multidimensionale nella valutazione dell’efficacia
dell’automazione della produzione. Nel contempo è necessario interrogarsi sui livelli
di ottimizzazione e di gestione e, quindi, di informazione.89
87
Piero Giarda, Introduzione all’edizione italiana, in P. Dasgupta - A. Sen - S. Marglin, “Guida per la
valutazione dei progetti. Manuale Unido”, Formez, Napoli 1985, pp. XI-XII
88
Partha Dasgupta - Amartya Sen - Stephen Marglin, Guida per la valutazione dei progetti. Manuale Unido,
Formez, Napoli 1985, p. 17
89
C. Mahieu, La valutazione dei progetti di produzione flessibile, “Problemi di gestione”, Formez, vol. XVIII,
7/8, 1990, p. 84
197
la valutazione fra idea di sanzione e capacità di mobilitazione
Il concetto di valutazione evoca, il più delle volte, l’idea di sanzione dell’efficacia e
di giustificazione delle scelte operate. La valutazione può, però, essere anche un
momento di riflessione sull’azione svolta e di mobilitazione degli attori.
indispensabile un approccio sociologico globale nella programmazione
Valutazioni sulla impianificabilità di una società complessa, sulla necessità di
individuare obiettivi per dare un senso e una direzione alle trasformazioni in atto,
vengono compiute senza un’analisi adeguata della struttura della società considerata
nella sua globalità e nelle relazioni fra le sue parti, delle dinamiche e dei soggetti
sociali che di volta in volta ed interattivamente la caratterizzano e la determinano.
Senza un apporto specifico di conoscenze sociologiche i programmatori compiono
valutazioni della situazione di partenza, formulano obiettivi e rilevano il grado di
consenso che essi ricevono, individuano i soggetti sociali ai quali affidare la
realizzazione del mutamento, le relazioni e i nessi intercorrenti fra uno o più azioni
attivate e il complesso delle relazioni sociali, il significato sociale che essi assumono,
la previsione del conflitto ed i percorsi di una sua possibile risoluzione.
Nell’individuare un insieme di obiettivi ritenuti desiderabili e di risorse realmente
mobilitabili, raramente vengono utilizzati metodi, strumenti, apporti conoscitivi di
carattere sociologico.90
la costi benefici appartiene al paradigma di razionalità assoluta
Il paradigma della razionalità limitata permea chiaramente questo modello di
programmazione per progetti, sebbene la tecnica di valutazione privilegiata (l’analisi
costi e benefici) rappresenti un recupero sostanziale di significativi elementi propri
della razionalità assoluta
la costi benefici trascura l’ambiente organizzativo e conduce a scelte sbagliate
La valutazione dei progetti secondo l’analisi costi e benefici tende a far sì che si
privilegino grandi opere, inutilmente grandi, la cui tecnologia è spesso troppo
sofisticata per poter essere assorbita dalle istituzioni dei paesi in via di sviluppo.
L’attenzione è rivolta a ciò che è quantitativamente valutabile trascurando l’ambiente
organizzativo.
enormi problemi nella valutazione economica di aspetti ambientali
90
Remo Siza, La programmazione e le relazioni sociali. I limiti e le opportunità delle attuali strategie in una
prospettiva sociologica, F. Angeli, Milano 1994, p. 34
198
Il tentativo di effettuare una valutazione economica degli aspetti di natura ambientale
pone generalmente molti problemi: si tratta di un’operazione spesso veramente
impossibile quando è assente una misurazione quantitativa o qualitativa di base, o
comunque sempre molto ardita tanto che talvolta è preferibile rinunciare ad
eseguirla.
problemi metodologici di base nella valutazione ex ante
I problemi metodologici che si incontrano nella valutazione ex-ante sono
riconducibili:
- all’incertezza e quindi alla necessità di rinunciare all’idea di futuro come mera
proiezione del passato e di utilizzare tecniche di ricerca capaci di descrivere i
“futuri possibili”. La letteratura sull’incertezza previsionale segnala la necessità di
utilizzare la capacità previsionale degli esperti che osservano e studiano i segmenti
del sistema in relazione con il progetto considerato, e di ricostruire le dinamiche fra
gli attori coinvolti nel processo decisionale;
- alla multidimensionalità del giudizio valutativo. Difficilmente, infatti è possibile
considerare un unico criterio di valutazione con il quale confrontare le possibili
soluzioni di un problema o gli effetti di una decisione presa. Questo elemento di
complessità richiama la necessità di ricorrere a modelli di valutazione che
consentono di confrontare fra di loro osservazioni, stime ed indicatori diversi per
rilevanza e per strumenti di classificazione o misurazione;
- alla complessità del sistema che vede l’interazione di attori diversi dotati di propri
sistemi di preferenza, non sempre fra loro coerenti.
La possibilità di supportare un processo decisionale ex ante in una logica a
razionalità
limitata
è
legata
alla
capacità
di
tenere
in
considerazione
contemporaneamente tutti questi fattori di complessità metodologica.91
relazione fra risorse umane impiegate e qualità della valutazione
maggiore è il grado di attendibilità del processo di valutazione e maggiore è la
quantità di risorse necessarie per la raccolta delle informazioni.
importanza degli attori e loro relazioni nella valutazione
gli attori, le loro relazioni, i loro punti di vista sono fondamentali in qualsiasi
processo di valutazione.92
91
Giovanni Bertin, Valutazione e processo decisionale, in Idem (a cura di), “Valutazione e sapere sociologico.
Metodi e tecniche di gestione dei processi decisionali”, F. Angeli, Milano 1995, p. 23
199
la valutazione di servizi e processi intangibili deve mettere in campo approcci
diversificati
Come nella valutazione di beni e servizi materiali si adottano indicatori diversificati
per meglio circoscrivere l’ambito valutato, così a maggior ragione nei servizi e
processi intangibili come la comunicazione, e nei riguardi in generale delle
dinamiche sociali, l’approccio valutativo deve avvenire su più piani distinti, con
diversi approcci, e possibilmente tecniche diversificate.
la costi benefici si pone obiettivi sociali, diversamente dall’analisi finanziaria o
economica
L’obiettivo dell’ACB è di massimizzare il benessere sociale. Nel momento di
valutare i benefici e i costi occorre, pertanto, tener conto di quanto il progetto
contribuisce o sottrae al benessere collettivo e cioè al raggiungimento degli obiettivi
della società.
Ciò che differenzia l’ACB dalla valutazione dei progetti di impresa è l’obiettivo da
massimizzare, che non è rappresentato dal reddito del soggetto che realizza e gestisce
l’intervento (imprenditore o ente) ma dal benessere collettivo. Discendono da ciò
tutta una serie di differenze fra l’analisi finanziaria dei progetti e quella economica o
“costi-benefici”: la prima valuta la redditività dal punto di vista privato, la seconda
dal punto di vista sociale.93
scarsa utilizzabilità della costi benefici nella valutazione dei servizi alle imprese
Ai fini del problema dell’allocazione delle risorse tra progetti concorrenti, un tipico
problema di valutazione ex ante, appare gioco forza avere come riferimento quale
tecnica di valutazione, l’Analisi Costi-Benefici (ACB), sia perché essa è un tipico
strumento di valutazione microeconomico, naturalmente deputato a svolgere azioni
di supporto alle scelte allocative del decisore pubblico; sia perché essa costituisce il
riferimento istituzionale italiano da oltre un quindicennio.
Ci sono tuttavia diverse ragioni per le quali l’ACB potrebbe risultare poco
applicabile al problema della valutazione della politica per la diffusione di servizi
alle imprese.
92
Italo De Sandre, Una matrice sociologica per la valutazione: processi riflessivi e
riproduzione dell’azione sociale.
93
Rossella Pampanini, La valutazione della viabilità rurale, Irres - Regione dell’Umbria, Perugia 1995, p. 34
200
Le ragioni riguardano: la distribuzione dei tempi di svolgimento del ciclo economico
del servizio; l’entità limitata degli esborsi; la difficile rilevazione di effetti di servizi
troppo generali.
Da questa analisi appare che, data la natura degli interventi in oggetto, la valutazione
economica secondo le tecniche tradizionali, quali l’ACB, difficilmente può risultare
un efficace strumento di valutazione economica ex ante ai fini dell’allocazione delle
risorse nell’ambito di un programma di intervento globale.94
elementi determinanti dell’analisi costi benefici
Gli elementi determinanti di una ACB possono essere sinteticamente riepilogati nei
seguenti quattro:
1) costi di investimento (economici e finanziari);
2) costi di esercizio (economici e finanziari);
3) ricavi finanziari;
4) benefici economici.95
imprescindibilità della valutazione in chiava privata nei settori profit oriented
In un contesto di settore che presenta una spiccata caratterizzazione profit oriented la
valutazione in chiave privata di un progetto di investimento rappresenta uno
strumento imprescindibile di analisi e selezione. Per “analisi in chiave privata” si
intende il processo di valutazione della redditività di un investimento, ovvero, in
estrema sintesi:
1) di confronto tra flussi di segno negativo (esborsi) nella fase di realizzazione o fase di
investimento e flussi di segno positivo (differenza tra ricavi e costi o margine
operativo) nella fase di gestione;
2) di confronto tra i capitali investiti per la realizzazione dell’investimento e l’avvio
operativo dell’attività e il reddito netto generato dal progetto dopo aver ricostituito il
capitale, pagato interessi su eventuali mutui accesi e pagato le imposte sul risultato di
gestione.96
elementi determinanti dell’analisi costi benefici
I passi per la costruzione di un’ACB sono pertanto i seguenti:
94
Antonio Strazzullo, La valutazione dei servizi reali per le piccole e medie imprese, Irres - Regione
dell’Umbria, Perugia 1995, p. 33-35 (prima parte della citazione: p. 33; ultima parte: p. 35)
95
Massimo Bagarani, La valutazione degli acquedotti rurali, Irres - Regione dell’Umbria, Perugia 1995, p. 16
96
Fabio Pasquali, La valutazione della ricettività alberghiera, Irres - Regione dell’Umbria, Perugia 1995, p. 23;
anche Idem, La valutazione della ricettività rurale, Irres - Regione dell’Umbria, Perugia 1995, p. 35
201
1) calcolo dei costi di investimento (economici e finanziari);
2) calcolo dei costi di esercizio (economici e finanziari):
3) calcolo dei costi esterni (o “esternalità negative”);
4) calcolo dei ricavi economici e finanziari;
5) calcolo dei benefici esterni (o “esternalità positive”).
natura deduttiva della valutazione delle risorse in campo zootecnico
[Nella profilassi zootecnica] Una quantificazione precisa della perdita di risorse è
estremamente difficile, soprattutto in considerazione del fatto che non è facile porre
in relazione diretta le variazioni delle produzioni aziendali con le manifestazioni di
malattie infettive o l’andamento delle parassitosi.
Le valutazioni espresse devono essere considerate pertanto di natura deduttiva e
frutto dell’elaborazione delle indagini di campo svolte e finalizzate alla rilevazione
con un apposito questionario, sia delle caratteristiche strutturali e produttive degli
allevamenti che del livello di efficienza zootecnica e sanitaria degli allevamenti. Le
indicazioni economiche che ne derivano consentono una quantificazione dei soli
costi privati che le malattie infettive e parassitarie determinano nel settore ovino e
caprino.97
limiti della costi benefici nella valutazione di programmi
L’Analisi Costi-Benefici Viene utilizzata prevalentemente per la valutazione
economico-finanziaria di singoli progetti di investimento ed estesa alla valutazione di
programmi (composti da progetti distinti). In questo secondo caso, tuttavia, si riesce
a cogliere solo parzialmente le interazioni e le sinergie tra i progetti che compongono
un programma; infatti, nel passaggio dalla valutazione di progetti a quella di
programmi, per giungere al calcolo di indicatori sintetici di convenienza per la
collettività, vengono intrapresi percorsi semplificati, non rigorosi sul piano
strettamente metodologico.98
ragioni del metodo degli effetti
Il metodo degli effetti - Viene utilizzato sia per l’analisi di progetti interconnessi in
un programma che per singoli interventi. Il processo di valutazione consente di
cogliere le relazioni di tipo fisico e tecnologico fra i diversi progetti; è basato su un
97
Antonio Pierri - Carlo Valente, La valutazione della profilassi ovina e caprina, Irres - regione dell’Umbria,
Perugia 1995, p. 35
98
Silvia Ciampi - Oriana Cuccu, La valutazione degli interventi in aree parco, Irres - Regione dell’Umbria,
Perugia 1995, p. 28
202
approccio alla valutazione di tipo macroeconomico che tiene conto dei vincoli
esistenti al raggiungimento del sistema di obiettivi definito in sede programmatica.
Può essere considerato uno strumento in larga misura complementare. Mentre con
quest’ultimo si tende a valutare la convenienza economico-sociale di singoli progetti
tramite il calcolo di indicatori sintetici di convenienza economico-finanziaria,
attraverso il metodo degli effetti si descrivono (sempre mediante indicatori sintetici)
gli effetti sul sistema di un insieme di progetti individuati in un contesto di
programmazione degli interventi pubblici.
carenza dei sistemi di contabilità nazionale nella modellistica economica
La modellistica di equilibrio economico generale - Prevede la simulazione degli
effetti e/o degli impatti di programmi utilizzando modelli di equilibrio economico
generale e matrici di contabilità sociale. Presuppone, nel caso di programmi di tutela
e valorizzazione di risorse ambientali, la disponibilità o la costruzione di sistemi di
contabilità nazionale o regionale che tengano conto del flusso di servizi che le risorse
ambientali offrono nel corso del tempo. Nell’ambito di tale metodologia, che ha
notevole potenzialità di sviluppo, non sono state ancora messe a punto tecniche e
procedure operative applicabili con semplicità alla valutazione di programmi: ciò in
quanto, in Italia, come del resto in gran parte dei paesi industrializzati a economia di
mercato, non sono ancora disponibili stime della contabilità nazionale e delle
relazioni input-output intersettoriali che incorporino adeguatamente gli aspetti
ambientali.
punti di forza e debolezza della costi benefici, costi efficacia e multicriteri
In linea di massima, le tecniche di ACE (Analisi Costi-Efficacia) analizzando i soli
costi necessari a raggiungere finalità predefinite dal decisore, hanno natura speditiva
e costi contenuti; all’opposto i metodi di AMC (Analisi Multi-Criteriale)
contemplando la valutazione di input e output dell’investimento in forma monetaria
o, dove ciò non è possibile, in forma quanti-qualitativa, comportano costi di raccolta
della documentazione e di elaborazione relativamente elevati. In posizione
generalmente intermedia si pone l’ACB, salvo nei casi in cui l’attribuzione di valori
monetari a fattori, prodotti e servizi “senza prezzo” comporti l’applicazione di
tecniche di valutazione particolarmente complesse.99
ragioni dell’analisi costi efficacia
99
Davide Pettenella, La valutazione degli investimenti forestali, Irres - Regione dell’Umbria, Perugia 1995, p.
29
203
Diverse ragioni possono motivare la necessità di valutare, nell’analisi di un
investimento, le sole voci di costo:
1) i ricavi (o benefici) non sono valutabili in termini monetari, dal momento che i
prodotti e servizi derivanti dall’investimento sono beni pubblici;
2) i costi della stima dei ricavi (o benefici) possono essere eccessivamente elevati;
3) l’obiettivo del progetto viene predefinito nel campo di decisioni politicoamministrative esterne al processo di valutazione dell’investimento.
In questi casi l’intervento può essere analizzato semplicemente tramite l’ACE
calcolando i costi di investimento e ponendoli in relazione ad un parametro-obiettivo
o a un complesso di obiettivi tecnico-economici predefiniti.
contesti d’uso dell’analisi costi efficacia
L’ACE viene tradizionalmente impiegata per la valutazione di investimenti relativi a
servizi pubblici (nel campo, ad esempio, della difesa militare, dell’educazione e dei
servizi sanitari) per i quali si definisce a priori un determinato parametro come
obiettivo dell’investimento. I risultati dell’analisi consentono non solo la valutazione
del singolo investimento, ma anche la comparazione delle diverse ipotesi alternative.
differenza fra la costi benefici e altre tecniche di valutazione della convenienza degli
investimenti
L’Analisi Costi-Benefici è una procedura volta a stimare in termini monetari i costi e
benefici (o ricavi) connessi alla realizzazione di investimenti realizzati da operatori
pubblici o da privati (con o senza interventi di sostegno pubblico). L’ACB differisce
dalle ordinarie tecniche di valutazione della convenienza di investimenti privati in
quanto vengono presi in considerazione non soltanto i costi e benefici “diretti”, cioè
quegli effetti che interessano il singolo investitore, ma anche quelli “indiretti”, cioè
quei costi o benefici che incidono sulla collettività o su parte di essa.
L’”internalizzazione” è il processo che consente di includere nell’ACB gli effetti
indiretti.
differenze fra la costi benefici, la costi efficacia e la multicriteri
L’assunzione dell’unicità dell’obiettivo costituisce una semplificazione notevole del
processo decisionale: nella realtà le scelte del decisore sono spesso motivate da una
funzione di utilità nella quale la massimizzazione di un obiettivo economico o
tecnico rappresenta soltanto una delle molte componenti, spesso conflittuali o
addirittura mutualmente esclusive. Di questo si occupano le diverse tecniche di AMC
(Analisi Multi-Criteriale)
204
Mentre l’ACB si concentra sui problemi di valutazione degli impatti economici di un
singolo intervento, lasciando in secondo piano i problemi del confronto tra diverse
ipotesi progettuali, l’AMC, come l’ACE, viene utilizzata principalmente allo scopo
di selezionare le alternative progettuali più efficienti, che massimizzano i valori
assunti da una serie di funzioni, ognuna delle quali costituisce un determinato
obiettivo o criterio (qualità del paesaggio, protezione idrogeologica, ecc.). Gli
obiettivi sono rappresentati attraverso indicatori, espressi in unità specifiche, non
necessariamente monetarie.
il sistema informativo della valutazione
Il sistema informativo di valutazione si costruisce in rapporto non già alla
conoscenza del bisogno dichiarato, bensì agli eventi spia prescelti per descrivere quei
comportamenti il cui verificarsi certamente influisce in modo positivo su di un tale
bisogno.100
la costi benefici è un prodotto culturale, e per ciò non obiettivo e neutrale
l’analisi costi-benefici, come ogni altro strumento (o tecnica) elaborato dall’uomo,
risente dello spirito dei tempi, e non può attingere a quel grado di obiettività o di
neutralità a cui, con una certa ingenuità, aspirano quegli studiosi che pretendono di
conferire all’economia lo status proprio delle scienze naturali.101
scarsa definizione della costi benefici
l’analisi costi-benefici, nonostante la sua longevità, è tuttora una tecnica non
sufficientemente definita in tutti i suoi aspetti, anche per le sue forti connessioni con
l’economia del benessere, da cui fondamentalmente deriva, e con certe tecniche assai
diffuse come la programmazione di bilancio102
arretratezza delle tecniche di valutazione economica
molto resta ancora da fare per rendere le tecniche di valutazione economica uno
strumento più incisivo nel processo che conduce dalla individuazione degli obiettivi
100
Fosco Foglietta, La valutazione di esito, “Servizi sociali” (monografico su “La qualità nei servizi sociali e
sanitari”), Fondazione E. Zancan, n. 3, 1995, p. 34
101
Emilio Giardina, L’analisi costi-benefici e il processo decisionale pubblico, in Aa.Vv., “Calcolo economico
e decisioni pubbliche. Prime proposte per un approccio di settore”, Formez, Napoli 1994, p. 24
102
Nicola Parmentola - Simona De Luca, Il progetto FAES: approccio e obiettivi, in Aa.Vv., “Calcolo
economico e decisioni pubbliche. Prime proposte per un approccio di settore”, Formez, Napoli 1994, pp. 40-41
205
alla decisione di investimento, dunque alla scelta del progetto più efficace ed
economicamente conveniente.103
condizioni per rendere efficace la valutazione nel processo di programmazione
perché le tecniche di valutazione possano effettivamente svolgere una funzione di
ausilio alla programmazione e all’attuazione di programmi ed interventi, devono
essere soddisfatte una serie di condizioni che è opportuno ribadire e sottolineare:
 in primo luogo, le amministrazioni competenti della programmazione e
finanziamento di tali interventi, ai vari livelli territoriali e settoriali, devono, per
quanto possibile, agire per programmi in cui siano chiaramente esplicitati gli
obiettivi, individuate le strategie, indicati gli strumenti, anche finanziari, disponibili;
 in secondo luogo, i progetti di intervento devono essere ad un livello di definizione
tecnico-economica tale da consentire un’analisi sufficientemente approfondita; in
altre parole, se il progetto è generico e privo delle informazioni tecnico-economiche
essenziali, l’applicazione della più raffinata tecnica di valutazione non potrà che
fornire comunque risultati inattendibili o largamente approssimativi e quindi di
scarsa utilità;
 infine, le tecniche di valutazione da utilizzare devono essere non generiche ma
specifiche: devono cioè attagliarsi alle caratteristiche peculiari del settore cui si
applicano, analizzandone quindi con taglio specialistico contenuti progettuali ed
effetti socio-economici.
sostanziale inapplicabilità della costi benefici nella valutazione della ricerca e
sviluppo
l’analisi costi-benefici che, nelle sue differenti versioni, è la tecnica solitamente
applicata per la valutazione di [opere pubbliche], [nel caso di R&S] è sicuramente di
applicazione assai complessa e discutibile quando non del tutto impossibile. c’è
infatti ormai sostanziale accordo fra i tecnici e gli studiosi nel ritenere che per quanto
riguarda gli investimenti in R&S (ricerca e sviluppo) la valutazione in assoluto più
significativa, anche perché più realisticamente fattibile, è quella che si verifica ex
post (mentre l’analisi costi-benefici è, come è noto, una tecnica di valutazione ex
103
Maurizio Di Palma, La valutazione degli impieghi di spesa pubblica nella sanità, nella ricerca scientifica e
nel turismo. Problemi di settore, in Aa.Vv., “Calcolo economico e decisioni pubbliche. Prime proposte per un
approccio di settore”, Formez, Napoli 1994, p. 49
206
ante), riferita, inoltre, ad un piano-programma di interventi (quando invece l’analisi
costi-benefici fornisce indicazioni maggiormente significative a livello di singolo
progetto di investimento).
in campo sanitario l’analisi costi efficacia è più giustificata della costi benefici
la valutazione economica assume nel settore sanitario un carattere prevalentemente
decisionale-allocativo, quale strumento tecnico-informativo volto al miglioramento
del livello di efficienza nella ripartizione delle risorse scarse tra i possibili impieghi
alternativi.
In effetti, l’analisi costi-benefici perde molte delle sue capacità esplicative e
giustifica il ricorso, per la verità abbastanza diffuso per quanto riguarda il settore
sanitario, all’analisi costi-efficacia, nella quale vengono espressi monetariamente
solo alcuni dei costi e dei benefici del progetto, mentre si utilizzano specifici
indicatori per esprimerne l’efficacia e l’impatto sul settore.
insoddisfacente utilizzo della costi benefici nel settore turistico
L’analisi costi-benefici, pur presentando numerosi aspetti positivi anche per i progetti
di investimento nel settore turistico, non sembra in grado, se utilizzata da sola, di
dare risposte soddisfacenti ed esaurienti sul piano della valutazione e del confronto
fra ipotesi diverse o diverse alternative di finanziamento,
debolezza strutturale della costi benefici, approccio economico applicato a problemi
politici
Come l’eroe di una tragedia greca, l’analisi costi-benefici portava in sé fin dai suoi
inizi il germe della propria distruzione e questo germe ha prodotto i suoi effetti un
quindici-venti anni fa.
Sinteticamente: l’analisi costi-benefici ha sofferto del fatto di essere un approccio di
carattere economico ad un problema di carattere politico.104
il focus group tecnica di valutazione qualitativa
I Focus Group sono una tecnica di ricerca applicabile in un approccio valutativo soft,
di tipo qualitativo; quando si ritiene opportuno ricorrere a valutazioni, giudizi,
opinioni, espressi da professionisti, esperti, o utenti/clienti, per raccoglierne i diversi
punti di vista su un argomento, un processo, un risultato, un prodotto inteso in senso
lato.105
104
Robert Dorfmann, Quarant’anni di analisi costi-benefici, in Aa.Vv, “L’analisi costi-benefici. II. Esperimenti
e applicazioni”, Formez, Napoli 1979, p. 23
105
Livia Bovina, I focus group. Storia, applicabilità, tecnica, “Rassegna Italiana di Valutazione”, n. 1, 1996
207
i programmi pilota e la loro valutazione
I programmi, dunque, possono essere di due tipi: a) dimostrativi, ovvero ancora in
fase sperimentale; b) operativi, ovvero a regime.
a) I programmi dimostrativi, a loro volta, si distinguono a seconda del grado di
conoscenze acquisite sui loro obiettivi e il modo di ottenerli (risultati), e quindi in
base al loro stadio di avanzamento: la distinzione comporta dunque anche un ordine
temporale. Essi sono così classificati:
a1) programmi pilota: si svolgono in un periodo iniziale di trial-and-error, in cui
vengono esplorati nuovi approcci e procedure (intorno a obiettivi e fattori strategici
per l’amministrazione che li realizza) che vengono riviste rapidamente in modo
flessibile. Si impara dall’esperienza e dai problemi che sorgono.
Qui ci vuole una valutazione rapida, con grande enfasi sui feedback. Non è possibile
basarsi su un disegno sperimentale di valutazione, e ci si affida piuttosto a case
studies, osservazioni ecc.
a2) programmi modello: è il risultato finale di una serie di progetti pilota che siano
stati considerati positivi, quando però non si è ancora sicuri dei passi da prendere. Si
sa che il successo è possibile (validità interna), ma non si è ancora certi di voler/poter
diffondere il programma su vasta scala. Per farlo, si vuole avere una maggiore
certezza sulle condizioni di applicabilità in luoghi e contesti diversi (validità esterna).
Qui si prevede un disegno di valutazione di tipo sperimentale, in cui si confronti un
gruppo sperimentale cui si somministra il programma con uno di controllo cui il
programma non viene somministrato. Comunque — avverte Suchman — occorre
ancora cautela: anche se l’esperimento è stato positivo non è detto che il programma
possa essere messo in pratica su vasta scala.
a3) prototipi: è lo stadio in cui il programma è stato testato ampiamente e può essere
reso operativo su vasta scala.
Qui il disegno della valutazione deve cercare di avvicinarsi al modello sperimentale
(attraverso i quasi-esperimenti), tenendo la situazione attuale del programma come
gruppo sperimentale e quella dei programmi precedenti come gruppo di controllo.
b) programmi operativi. Una volta che il programma sia a regime non è più
necessario valutarlo tramite un disegno sperimentale, perché si cerca piuttosto di
capire come si può migliorare il programma esistente: lo si farà con un sistema di
208
monitoraggio, e con analisi di processo, con valutazioni continue del personale,
ecc.106
la valutazione deve essere un processo globale che include utenti, operatori e
struttura
La valutazione deve dunque essere intesa in senso “globale”; vale a dire che occorre
valutare dalla parte degli utenti, dalla parte degli operatori e a partire dalla struttura
di riferimento. Avviare uno solo di questi processi significherebbe ridursi ad una
visione parziale della situazione, che d’altra parte non sarebbe nemmeno in grado di
definire gli elementi sui quali intervenire. Partire dagli utenti-cittadini significa
valutare la “proprietà” e la “qualità” dei servizi, non solo in termini quantitativi ma
includendo anche il “rapporto” tra operatore e utente. Partire dagli operatori,
significa valutare il lavoro professionale dei medesimi perché solo un’elevata
“qualità del lavoro”, ossia un lavoro altamente professionalizzante, può garantire
un’elevata qualità del servizio. Partire dalla struttura, infine, significa sia valutare la
sua efficienza (il miglior utilizzo delle risorse rispetto alle scopo definito; ed è a
questo livello che il servizio pubblico si avvicina di più alle organizzazioni di
mercato), sia verificare la congruità dell’agire delle strutture rispetto ai
programmi.107
la valutazione come organizzazione informativa
la programmazione della valutazione equivale sostanzialmente alla progettazione di
una estesa e attendibile base di informazioni. Queste informazioni riguardano
proprio tutti gli aspetti che, alla luce delle tre categorie di analisi [input, throughput,
output], acquisiscono rilevanza oltre che dal punto di vista della valutazione anche
dal punto di vista della definizione dell’attività valutata conseguente allo stesso
processo di valutazione.108
argomenti contrari alla valutazione, e controargomentazioni
Sembrerebbe che non ci dovessero essere che argomenti a favore della valutazione,
ma così non è. Vi è addirittura una piccola letteratura contraria alla valutazione, non
in sé stessa beninteso, ma per le difficoltà che essa presenta.
106
Nicoletta Stame, Note sui progetti pilota e la valutazione, “Rassegna Italiana di Valutazione”, n. 2, 1996
107
Michele La Rosa, Riflessioni sulla valutazione, “Tutela. Trimestrale di politiche sociali”, a. XI, n. 1-2,
giugno 1996, p. 20
108
Maria Stella Agnoli - Antonio Fasanella, La scommessa sociologica. Prove tecniche di valutazione.
“Sociologia e ricerca sociale”, n. 51, 1996, p. 116
209
La prima argomentazione - in realtà molto debole - è che gli obiettivi delle politiche
sono normalmente plurimi: riduzione della disoccupazione in certe fasce della
popolazione; riduzione della stessa attraverso la creazione di particolari imprese
come le cooperative sociali, o organizzazioni non-profit, ecc. Coloro che effettuano
le valutazioni possono interpretare in modo diverso, quando non addirittura scorretto,
gli obiettivi e le relazioni di priorità fra gli stessi. Addirittura è possibile che le
valutazioni scelgano gli obiettivi da verificare semplicemente sulla base della
accessibilità e dei costi della verifica e quindi possano giungere a valutazioni di tipo
negativo, che derivano semplicemente dalla procedura seguita. Ovviamente, la
risposta è che basta specificare, nella enunciazione delle politiche, obiettivi e ordine
di priorità degli stessi.
La seconda argomentazione contro la valutazione, utilizzata in realtà quasi
esclusivamente nei confronti delle politiche volte alla creazione di posti di lavoro, è
che il problema è così acuto e urgente da richiedere di rivolgere alla sua soluzione
tutte le risposte disponibili, anche indipendentemente dai costi. Anzi la valutazione
ex post potrebbe distogliere preziose risorse intellettuali e finanziarie dagli obiettivi
finali.
La terza argomentazione contro la valutazione è legata ai tempi lunghi di
realizzazione degli obiettivi. E’ abbastanza vero che nella maggior parte delle
politiche i risultati possono essere apprezzati solo nel lungo periodo, quando la
situazione si è stabilizzata. Ma è anche vero che più il tempo si allunga, più si
allontana la condizione di coeteris paribus che è essenziale per la correttezza della
valutazione.
Una soluzione possibile a questo problema consiste nella creazione di un panel di
imprese beneficiarie della sovvenzione, la cui condotta e i cui risultati vengono
“monitorati” per un periodo di tempo sufficientemente lungo.109
diffidenza verso la valutazione degli operatori delle comunità terapeutiche
Un'altra motivazione, circa la scarsa penetrazione della valutazione [nelle tematiche
della tossicodipendenza], deriva da una certa diffidenza assunta da parte degli
operatori stessi delle C.T. [Comunità Terapeutiche], i quali hanno interpretato
erroneamente gli obiettivi della ricerca valutativa, vedendone una sorta di esame
109
Giorgio Brosio, Problemi di metodologia nella valutazione delle politiche di sviluppo locale, in AA.VV.,
“Assi e misure. La valutazione dei fondi strutturali comunitari: l’Obiettivo 2 in Piemonte”, Ires - Regione
Piemonte, Torino 1996, pp. 10-11
210
censorio sull'operato dell'organizzazione e un giudizio sulla loro persona piuttosto
che un'occasione per crescere professionalmente ed affinare le proprie modalità di
intervento alla luce anche del confronto con altre esperienze.110
la valutazione si basa su standard
Ogni sistema di valutazione, sia che si riferisca all’efficienza che all’efficacia, si
realizza nella definizione di un insieme di standard di valutazione. Lo standard non è
altro che una misura di riferimento convenzionale rispetto cui confrontare le
prestazioni effettive, realizzate.111
la valutazione come paragone fra una realtà attuale e una virtuale
Con la valutazione si paragonano due realtà: una attuale e l’altra virtuale. Si
confronta il progetto, com’è concretamente, con almeno uno dei quattro modelli
consistenti essenzialmente in quello che:
1. si voleva fosse all’inizio;
2. poteva (o che potrebbe) essere se le regole dell’arte ed i dettami dell’esperienza
fossero stati (o venissero) osservati;
3. è stato realizzato da altri, operando nella stessa situazione e con gli stessi obiettivi;
4. sarebbe stato (o sarebbe) razionale se si fosse tenuto (tenesse) conto anche
dell’obiettivo strategico del progetto e non solo di quello immediato del progetto.112
la valutazione dei progetti di investimento è sempre una costi benefici, sia pure
semplificata
Comunque la si definisca, alla base della valutazione del progetto d’investimento c’è
un paragone fra costi e benefici. Tecniche di valutazione rapida, semplificazioni,
concessioni alla negoziazione politica (analisi multi-criterio) sono delle applicazioni
dell’analisi costi-benefici, seppure adattate a realtà poco quantificabili od a progetti
con obiettivi complessi, non riconducibili a denominatore comune.
assonanze fra policies e concetti
le assonanze tra policies e concetti, rilevanti per la loro traduzione in indicatori, sono
molto profonde. Chi decide infatti gli obiettivi delle politiche o la legittima
110
Piero Selle - Paolo Stocco, Potenzialità e problemi metodologici nella valutazione della qualità delle
Comunità Terapeutiche, “Rassegna Italiana di Valutazione”, n. 3, 1996 <http://www.valutazione.it/riv> [rivista
ipertestuale, senza numerazione di pagina]
111
Daniele Fabbri - Roberto Fazioli - Massimo Filippini, L’intervento pubblico e l’efficienza possibile, Il
Mulino, Bologna 1996, p. 14
112
Vittorio Masoni, M&V. Monitoraggio e valutazione dei progetti nelle organizzazioni pubbliche e private,
Franco Angeli, Milano 1997, p.24
211
traduzione in indicatori dei concetti? Nel primo caso le istituzioni democratiche, nel
secondo la comunità scientifica. Nel caso delle policies, tuttavia, la valutazione del
cittadino è sempre più determinante per la credibilità e la legittimazione delle
istituzioni stesse; in quello della scienza, la corrispondenza delle elaborazioni
concettuali proposte dai ricercatori con i “mondi vitali” dell’uomo comune è in
ultima analisi l’unica garanzia di chiusura del circolo ermeneutico e della capacità
esplicativa della sociologia. Proprio in accordo con Giddens si può anzi riproporre il
tema della riflessività, delle scienze sociali come della politica, come un terreno di
convergenza tra questi due mondi che può trovare nelle analisi di valutazione un
interessante momento d’incontro.113
difficoltà nella definizione degli obiettivi
La valutazione della congruenza tra obiettivi e strumenti di intervento presenta
alcuni problemi legati alla difficoltà di leggere i veri obiettivi di ciascun intervento e,
nel caso di obiettivi multipli, di definire chiaramente l’importanza che viene data a
ciascuno di essi.114
interdisciplinarietà della valutazione
La valutazione è interdisciplinare, perché ogni ricerca valutativa oltre ad attingere a
uno o più dei suoi saperi fondanti [sociologia, economia, statistica, psicologia], dovrà
entrare in contatto con le discipline che si occupano delle attività o delle questioni da
valutare: la medicina nella valutazione in campo sanitario; la geologia, le altre
scienze naturali per la valutazione di impatto ambientale; architettura e ingegneria
per la valutazione dei progetti urbanistici, ecc.115
scarsa autonomia paradigmatica della valutazione
su un piano epistemologico generale la valutazione non sembra possedere
quell’autonomia paradigmatica propria di ogni disciplina; sul piano teorico ed ancor
più su quello metodologico è poi assolutamente debitrice di altre discipline,
113
Mauro Palumbo, Indicatori e valutazione di efficacia delle policies, “Sociologia e ricerca sociale”, n. 47-48,
1995, p. 337
114
Manuela Samek Lodovici, La valutazione delle politiche attive del lavoro: l’esperienza internazionale ed il
caso italiano, “Economia e lavoro”, a. XXIX, n. 1, gennaio-marzo 1995, p. 64
115
Nicoletta Stame, La valutazione in Italia: esperienze e prospettive, in Claudio Bezzi – Mauro Palumbo (a
cura di), “Strategie di valutazione. Materiali di lavoro”, Gramma, Perugia 1998, pp. 18-19
212
principalmente l’economia e la sociologia, assumendone, anzi, per intero, i loro
debiti concettuali116
la varietà degli strumenti non è sufficiente nella valutazione del processo scientifico
la notevole varietà e gradualità di strumenti a disposizione per la valutazione delle
attività/azioni/progetti scientifici non è ancora in grado di coprire, con chiarezza ed
univocità, i singoli problemi e le diverse esigenze che si manifestano caso per caso.
Ciò è particolarmente importante quando l’oggetto dell’interesse riguarda più la
black box, ovvero il processo che non gli ingressi nel e le uscite dal sistema
scientifico117
necessità concettuale della valutazione
la valutazione viene percepita anche dall’esterno come un campo di ricerca in cui
non si tratta solo di applicare delle tecniche, ma anche di elaborare un proprio
apparato concettuale.118
scarsa integrazione delle tecniche valutative
mentre ormai si registra una certa diffusione, e un crescente impiego delle singole
modalità valutative, da quelle quantitative alle più qualitative, permane comunque
una scarsa integrazione e complementarietà tra le diverse tecniche, che ne riducono
la capacità di applicazione nei diversi ambiti di intervento.119
eccessivo uso di approcci statistici e matematici
L'impiego generalizzato e sovente acritico di tecniche di analisi quantitativa, derivato
essenzialmente dalle cosiddette 'scienze esatte' (matematica, fisica, meccanica ed, in
non sporadici casi, teoria statistica con approccio di tipo probabilistico), sembra il
sottoprodotto del dilagare nella teoria economica (ed, in alcuni recenti sviluppi,
anche in quella sociologica) dell'uso di una strumentazione matematica
apparentemente sempre più evoluta. 120
inevitabile componente interpretativa della valutazione
116
Claudio Bezzi, La valutazione sociale. Una mappa concettuale, in Claudio Bezzi – Mauro Palumbo (a cura
di), “Strategie di valutazione. Materiali di lavoro”, Gramma, Perugia 1998, p. 87
117
Alberto Silvani, Selezionare le proposte di ricerca. Un difficile esercizio di valutazione ex-ante, in Claudio
Bezzi – Mauro Palumbo (a cura di), “Strategie di valutazione. Materiali di lavoro”, Gramma, Perugia 1998, 158
118
Nicoletta Stame, L’esperienza della valutazione, Ed. SEAM, Roma 1998, p. 25
119
Alberto Silvani, I metodi, le tecniche e le procedure per la valutazione della ricerca, "UR - Università
Ricerca", n. 3, 1998, p. 7
120
Carlo Del Monte, L'impiego di modelli econometrici per la valutazione di politiche economiche alternative,
"Rassegna Italiana di Valutazione", n. 5, 1997
213
La ricerca empirica potenzia la capacità di valutazione degli operatori, purché sia
chiaro che i dati accorpati e quantitativi, proprio come i dati sui singoli casi e
qualitativi, non sfuggono a un problema di interpretazione. Sarebbe ingenuo credere
che ‘il dato che parla da solo’ e – i numeri – sono più ‘veri’ rispetto alle percezioni
soggettive. Un oggettivismo ingenuo non fa che allontanare gli operatori da una
pratica valutativa basata sui numeri e sulle statistiche. È opportuno, invece, mettere
subito in chiaro che nella valutazione c’è sempre una componente interpretativa: in
qualunque modo cerchiamo di descrivere la realtà, la lettura dei dati (siano essi
qualitativi o quantitativi) è carica di valenze soggettive
la valutazione potrebbe diventare ulteriore elemento di complessità
Un pericolo sempre incombente quando si progettano sistemi di valutazione è che
essi, piuttosto che accrescere il livello di riflessività dei sistemi formativi (e dei loro
attori), divengano solo un ulteriore elemento di complessità senza un ritorno in
termini di "intelligenza politica" in grado di problematizzare i valori e gli obiettivi
delle azioni formative e di porre attenzione alla riforma dei sistemi di formazione.121
fra valutazione esterna e autovalutazione
Un modello di valutazione delle strutture che ha garantito un discreto equilibrio tra
valutazione esterna ed autovalutazione è quello del Peer review.122
la valutazione non può essere ridotta a misurazione
Valutare è troppo spesso considerato come sinonimo di misurare. Troppa poca
attenzione viene posta all’interpretazione di ciò che si misura e all’utilizzabilità delle
misurazioni effettuate. La riduzione della valutazione a prevalente attività di
misurazione rappresenta a nostro parere l’anello più debole dell’esperienza della
valutazione in Italia123
programma minimo per la valutazione
per essere utilizzabile, la valutazione deve essere:
• focalizzata su domande semplici e chiare;
• orientata alle esigenze degli utilizzatori;
• rigorosa nella scelta dei metodi di analisi;
• realistica nel definire tempi e risorse;
121
Giuseppe Moro, Valutazione e riforma delle politiche formative, "Scuola democratica", n. 2/3, 1997, p. 194
122
Giorgio Allulli, La valutazione dei sistemi educativi, "Scuola democratica", n. 2/3, 1997, p. 220
123
Alberto Martini, Michela Vecchia, Marco Sisti, Giuseppe Cais, Il “Progetto Valutazione”: per una
valutazione utilizzabile da chi decide, “InformaIres” n. 21, a. X, n. 2, dicembre 1998, p. 14
214
• attenta alle migliori esperienze straniere.124
pragmatismo e creatività metodologica
Il pragmatismo e la creatività metodologica sono una caratteristica fondamentale di
una valutazione di successo
necessaria flessibilità nella valutazione delle risorse culturali
Le risorse culturali contengono valori ed effetti "intangibili", ed esprimono quindi un
"valore sociale complesso"
Le procedure di valutazione devono perciò essere
costruite tenendo conto di una ricca varietà di elementi: non possono essere fondate
sulla definizione di una curva individuale di domanda o sulla percezione di utilità dei
singoli agenti economici125
limiti metodologici della valutazione della Ricerca Scientifica Tecnologica
In particolare nel campo della Ricerca Scientifica Tecnologica non si può dire che
esistano metodologie consolidate che soddisfino completamente alle varie esigenze
dei decisori e dei manager scientifici e che riscuotano un generale consenso dei
ricercatori126
mix metodologico come migliore soluzione
Generalmente, la migliore valutazione si ottiene mediante un’equilibrata mescolanza
di analisi quantitative e qualitative, proprio perché entrambe manifestano vantaggi e
limiti e sono quindi più complementari che sostituibili.127
peculiare duttilità degli indicatori
La possibilità di inventare indicatori è, per così dire, illimitata in quanto dipende
soltanto dalla disponibilità di dati sulle situazioni che si desidera monitorare e,
ovviamente, dalle domande che ci si pone in merito ai sistemi scientifici ed ai loro
legami con altri settori e problemi della società128
elementi essenziali nel disegno della ricerca valutativa
124
Alberto Martini, Michela Vecchia, Marco Sisti, Giuseppe Cais, Il “Progetto Valutazione”: per una
valutazione utilizzabile da chi decide, “InformaIres” n. 21, a. X, n. 2, dicembre 1998, p. 16
125
Antonio Floridia, I beni culturali, tra valutazione economica e decisione politica: una rassegna critica,
"Interventi, note e rassegne" n. 11, Irpet, Firenze 1999, p. 26
126
Ennio Galante – Cesare Sala – Luca Lanini, Valutazione della ricerca agricola, Franco Angeli, Milano 1998,
p. 12
127
Ennio Galante – Cesare Sala – Luca Lanini, Valutazione della ricerca agricola, Franco Angeli, Milano 1998,
p.44
128
Ennio Galante – Cesare Sala – Luca Lanini, Valutazione della ricerca agricola, Franco Angeli, Milano 1998,
p. 65
215
la scelta dei metodi di misura dipende essenzialmente da:
• lo scopo della valutazione;
• la disponibilità e validità dei dati inerenti ai vari fatti che si vuole monitorare e
analizzare;
• il tempo ed i costi dedicati alla valutazione.
superiorità dei metodi qualitativi nella valutazione come conoscenza del particolare
Gli orientamenti qualitativi, con la volontà che esprimono di conoscere il particolare,
di coglierne la specificità, trovano una applicazione ideale in campo valutativo,
essendo la valutazione per definizione orientata alla conoscenza del particolare.
L’osservazione partecipante, l’intervista in profondità, danno risultati preziosi, ai fini
valutativi. Non c’è altro modo di fare valutazione di processo, o di accedere a
risultati non previsti, o di fare emergere il contesto, se non usando i metodi
qualitativi di raccolta ed elaborazione delle informazioni.129
il punto di vista dei partecipanti all’evaluanda per cogliere le categorie
interpretative
La strategia qualitativa della valutazione richiede che, se si vuole comprendere una
situazione, ad esempio un progetto formativo nel suo svolgimento, si faccia emergere
il punto di vista dei partecipanti, si cerchi di capite come la situazione è vissuta, quali
significati ha per loro. Bisogna far esprimere la gente con le proprie categorie, senza
imporgli le proprie; per avere accesso ai significati che i soggetti attribuiscono alle
varie attività, bisogna ‘imparare le loro categorie’
valutatore come negoziatore
Il valutatore deve essere un “negoziatore” che cerca di far approvare (dai suoi
committenti) il miglior design di ricerca che sia possibile nelle condizioni date, in un
mondo di contrastanti interessi e anche di pregiudizi metodologici.
importanza dei dati nella valutazione
senza la disponibilità di informazioni aggiornate e conformi agli scopi valutativi,
l’attività di valutazione (intesa come supporto all’attuazione e all’analisi di impatto)
perde gran parte della sua significatività in quanto si trasforma in un’attività di
129
Maurizio Lichtner, La qualità delle azioni formative. Criteri di valutazione tra esigenze di funzionalità e
costruzione del significato, Franco Angeli, Milano 1999, p. 146
216
monitoraggio o non può fornire alcun sostegno, data la mancanza di dati realistici
circa gli avanzamenti finanziari, procedurali e fisici dei vari interventi.130
valutazione e monitoraggio devono essere concordate assieme
è opportuno richiamare l’attenzione sull’importanza che le attività di monitoraggio e
di valutazione vengano congiuntamente concordate al fine sia di reperire le
informazioni utili per i diversi ambiti sia di evitare inutili duplicazioni.
complessità semantica dell’atto valutativo, comunque sempre presente
Si valuta sempre, implicitamente o esplicitamente. Alcuni ritengono utile isolare
l’atto valutativo, dare ad esso un senso particolare. Altri lo ritengono un inutile
sforzo, perché occorrerebbe, in questo caso, costruire volta per volta quadri
concettuali pertinenti e riuscire a classificare i metodi o le semplici tecniche secondo
chiari criteri semantici. Uno sforzo, questo, eccessivo per molte azioni pratiche.131
specificità e difficoltà degli indicatori nel sociale
Un altro problema politico e insieme tecnico è la scelta dei metodi e degli strumenti
per valutare. Il problema è tecnico in quanto non è facile inventare indicatori che
siano sensibili agli aspetti specifici che fanno la qualità nella relazione d’aiuto e al
tempo stesso siano facili da utilizzare; ma è anche politico perché sono molti i
soggetti che vogliono e debbono legittimamente esprimere un giudizio sui servizi.
Nel sociale a mio avviso è indispensabile adottare un approccio pluralista, che dia
voce a tutti e che offra un metodo per negoziare le differenze. 132
best pratices, benchmarking e confronto di casi, migliori approcci dell’utilizzo di
standard
l’obiettivo del confronto con altre amministrazioni non dovrebbe essere tanto quello
di andare alla ricerca di standard – che soffrono dell’effetto perverso di appiattire le
prestazioni sulla media, indebolendo la tensione verso le best practices –, quanto
130
Manuela Crescini, Valutazione e utilizzo dei Fondi strutturali: l’esperienza della regione Toscana, in
“Economia pubblica”, n. 5, 1999, p. 110
131
Domenico Patassini, La valutazione delle politiche territoriali: le dimensioni di un concetto pervasivo, in
Stefano Stanghellini (a cura di), “Valutazione e processo di piano”, Alinea editrice – Daest, Firenze 1996, p. 34
132
Paola Piva, Governare la produzione e l’acquisto di servizi sociali, in Paolo Elia – Enzo Salvagno (a cura di),
“Fare qualità oggi. I Sistemi di Qualità nella gestione dei Servizi Socio-Assistenziali”, Conedis, Milano s.d. (ma:
1999), p. 30
217
quello di ottenere punti di riferimento per riflettere sull’adeguatezza di ciò che si sta
facendo133
differenza fra valutazione impressionistica e valutazione empirica
La distanza fra valutazione impressionistica e valutazione empirica è tanto più
rilevante quanto più l’oggetto valutato risulta sfocato, di difficile descrizione e
rispetto al quale non sono definiti in modo puntuale i risultati attesi, le evidenze
empiriche sulle quali centrare il processo di osservazione, i tempi nei quali ci si
aspetta di realizzare tali risultati.
Passare dalla valutazione impressionistica alla valutazione empirica richiede al
professionista di rendere trasparenti e intelligibili la logica, i concetti e le aspettative
di risultato poste alla base del processo di valutazione. Questo processo di
chiarificazione dei concetti e dei risultati attesi risulta fondamentale nella definizione
del disegno di valutazione da realizzare perché obiettivi valutativi diversi sottendono
obiettivi informativi diversi e, conseguentemente disegni di valutazione diversi.134
la qualità come standard e gli standard come indicatori
Dopo aver definito il chi, il perché e il cosa si valuta non ci resta che parlare del
come. Innanzitutto si devono stabilire i criteri e gli standard intendendo
rispettivamente per criterio di valutazione, l’attributo della qualità di un oggetto o di
un’attività che è sottoposta a valutazione; e per standard, il livello presentato
dall’attributo che risulta discriminante per il giudizio di valore.
Devono essere quindi definiti l’indicatore, cioè la misura del criterio, ed il valore
standard, cioè il valore atteso dell’indicatore corrispondente allo standard del
criterio.135
rendere scientifica la valutazione dei servizi con approcci di ricerca strutturati
Innanzitutto la necessità di assicurare “scientificità” ai risultati, di rendere possibile
la loro comunicazione anche all’esterno del gruppo degli operatori coinvolti, la
necessità di confrontare i risultati con altre esperienza, l’attenzione alla
generalizzabilità impone di non poter limitarsi alla valutazione come autoriflessività
degli operatori, ma di dover orientarsi a modelli di valutazione più strutturati e
133
Bruno Dente – Giancarlo Vecchi, La valutazione e il controllo strategico, in Giovanni Azzone – Bruno Dente
(a cura di), “Valutare per governare. Il nuovo sistema dei controlli nelle Pubbliche amministrazioni”, Etas,
Milano 1999, p. 8
134
Giovanni Bertin – Paolo Bortolussi, Metodi e strategie di valutazione della prevenzione, in Paolo Ugolini –
Franco C. Giannotti (a cura di), “Valutazione e prevenzione delle tossicodipendenze. Teoria, metodi e strumenti
valutativi”, Franco Angeli, Milano 1998, p. 43
218
soprattutto di ricorrere a strumenti più sofisticati per quanto concerne la misurazione
dei cambiamenti degli utenti. Si apre così il campo di ricerca della costruzione e
validazione di scale di misurazione di atteggiamenti, conoscenze, comportamenti non
basate sul giudizio dell’operatore, ma quanto più possibile ancorate alla rilevazione
di elementi osservabili.136
contro il tecnicismo economicistico
Il secondo “fuoco” tra cui si dibatte l’istituzionalizzazione della valutazione nella
pubblica amministrazione è il tecnicismo economicistico, secondo cui si ritiene che
per valutare l’intervento pubblico esista una gerarchia di conoscenze tecniche:
l’equazione con cui si misura l’efficacia pubblica dell’intervento diventerebbe lo
strumento principe di valutazione137
la valutazione non deve essere predefinita, ma proporre disegni adeguati ai diversi
contesti
Se si prende, ad esempio, il dibattito americano, a cui amiamo tanto ispirarci, si
noterà subito un paradosso: mentre in quel sistema, più favorevole alla valutazione,
si è sviluppato un grande dibattito teorico e metodologico che non teme confronti e
non auspica soluzioni definitive, nel nostro sistema, così chiuso alla valutazione, si
pensa che per farla entrare si debba già codificare in partenza come andrà fatta: volta
a volta sarà l'’analisi costi benefici, la sperimentazione, i giudizi di esperti o altro.
Questo dunque è un ulteriore punto di discussione: affinché la valutazione serva,
quali possono essere i disegni di valutazione più adeguati, che tengano conto della
situazione da valutare e della specificità delle competenze e delle aspirazioni del
mondo della programmazione italiana, con tutti i soggetti che vi entrano
legittimamente a far parte, dai programmatori, ai valutatori, ai beneficiari?
incertezza su cosa sia ‘valutazione’
Non va quindi sottovalutata la carenza di una minima base di principi comuni su
cosa è la valutazione, a che serve, come deve essere svolta e che risultati deve
produrre138
136
Piero Selle, Valutazione degli interventi con operatori di strada: problemi metodologici ed opportunità, in
Paolo Ugolini – Franco C. Giannotti (a cura di), “Valutazione e prevenzione delle tossicodipendenze. Teoria,
metodi e strumenti valutativi”, Franco Angeli, Milano 1998, p. 100
137
Nicoletta Stame, La valutazione nella P.A., in Mauro Palumbo (a cura di), “Valutazione 2000. Esperienze e
riflessioni”, Franco Angeli, Milano 2000, p. 18
138
Giuseppe Mele, La valutazione e la riforma della Pubblica Amministrazione. Gli spazi e le prospettive
applicative nell’analisi dell’azione amministrativa, in Mauro Palumbo (a cura di), “Valutazione 2000.
Esperienze e riflessioni”, Franco Angeli, Milano 2000, p. 36, nota 8
219
ambiguità nella valutazione della formazione professionale
Valutazione della formazione è quindi un concetto ambiguo che può includere le più
diverse unità d’analisi139
inevitabilità degli effetti inattesi dovuti all’imprevedibilità dei cambiamenti sociali
Concezioni più problematiche del cambiamento sociale e della relazione tra idee e
comportamenti inducono a ritenere che qualunque input inteso a ottenere un esito
venga sistematicamente ‘traslato’ dagli attori. La concezione del cambiamento come
traslazione in una rete eterogenea di componenti umane e tecnologiche, e la
consapevolezza della imprevedibilità, arbitrarietà, casualità, irrazionalità, dei
processi di traslazione, induce il valutatore a prestare agli effetti inattesi almeno
altrettanta attenzione che agli effetti attesi.140
imprevedibilità ed effetti simbolici nella valutazione della formazione professionale
tutti i casi dimostrano che nell’impatto di ogni evento formativo si intrecciano effetti
sostanziali e simbolici, ogni evento formativo, per quanto modesti siano gli scopi e
limitati i contenuti, innesca una catena di effetti, di manipolazioni e trasformazioni,
propagandosi in direzioni spesso impreviste e imprevedibili
metodi ‘caldi’ (giudizio esperti) e ‘freddi’ (indicatori) nella valutazione della ricerca
scientifica
La valutazione della qualità scientifica si avvale sia dei cosiddetti metodi “caldi”,
basati sostanzialmente sul giudizio di esperti qualificati nei particolari campi e
tematiche (peer review), sia dei metodi “freddi” fondati su indicatori il più possibile
aggettivi, espressi in forma quantitativa o semi-quantitativa141
rigidità del quadro logico
il Quadro logico ha ingabbiato la valutazione in approcci piuttosto sterili in quanto ad
‘immaginazione valutativa’, concedendo con troppa facilità ai valutatori di
accontentarsi dei pochi dati fisici e finanziari disponibili nelle amministrazioni
regionali che gestivano i programmi, impedendo una visione di assieme, di sistema,
indispensabile in un’efficace valutazione di programma (che deve includere la
139
Aviana Bulgarelli, Valutazione di programma: riflessioni dalla ricerca, in Mauro Palumbo (a cura di),
“Valutazione 2000. Esperienze e riflessioni”, Franco Angeli, Milano 2000, p. 107
140
Antonietta De Sanctis – Cristina Lion, Valutare l’impatto della formazione continua. Questioni
metodologiche e risultati operativi, in Mauro Palumbo (a cura di), “Valutazione 2000. Esperienze e riflessioni”,
Franco Angeli, Milano 2000, pp. 180-181
141
Ennio Galante – Cesare Sala, Metodi per valutare la qualità scientifica della ricerca, in Mauro Palumbo (a
cura di), “Valutazione 2000. Esperienze e riflessioni”, Franco Angeli, Milano 2000, p. 320
220
ricerca e l’analisi degli effetti e degli impatti sociali ed economici, oltre che
finanziari ed infrastrutturali, che soli giustificano appieno una valutazione ex post),
specie se affiancata ad una valutazione di processo usualmente ignorata142
portare gli stakeholder dentro la valutazione per capire il contesto valutativo
le logiche, di quello che genericamente viene chiamato, ‘processo decisionale’
devono essere comprese dal valutatore; la comprensione però può avvenire solo
mediante un confronto, una osmosi, una contaminazione. ‘Comprendere’, in un
contesto valutativo, significa utilizzare i diversi ‘dati’, sulla base dei significati che
gli stakeholder danno loro. Questo significa portare gli stakeholder dentro la
valutazione (ciò che l’autore ha chiamato ‘partecipazione negoziale’); riflettere sui
dati alla luce di una loro realtà non solo formale rispondendo a domande tipo: “Qual
è il vero obiettivo del processo che ha portato a questo dato?”143
natura dei dati valutativi prodotti dagli attori sociali
il valutatore deve arrivare alla comprensione delle logiche, delle ragioni ultime, che
gli attori della decisione hanno messo in atto; questa comprensione ha a che fare con
le informazioni fornite dagli stakeholder, ma più ancora con le modalità di
produzione di quegli stessi dati, perché è in queste, e non nelle informazioni brute
(sempre opinabili, cammuffabili, oppure estranee agli stessi stakeholder che le hanno
prodotte), che si cela la possibilità di ricostruire gli obiettivi reali dei programmi e
processi sottoposti a valutazione144
il coinvolgimento degli attori nei servizi alla persona
Nei servizi alla persona non si può prescindere, per valutare, dal sapere professionale
delle diverse figure coinvolte, prima fra tutte quella dell’operatore, dalla ‘storia’ e dal
contesto specifici di quel servizio, in una parola dalla ‘cultura del servizio’ che lì è
data145
142
Claudio Bezzi, La valutazione è una fanciulla coi tacchi alti della mamma che si guarda allo specchio per
vedersi cresciuta. Ovvero: dobbiamo fare i conti con teoria e metodologia, in Mauro Palumbo (a cura di),
“Valutazione 2000. Esperienze e riflessioni”, Franco Angeli, Milano 2000, p. 399
143
Claudio Bezzi, Aspetti metodologici del coinvolgimento degli attori sociali nella cosiddetta ‘valutazione
partecipativa’, in Mauro Palumbo (a cura di), “Valutazione 2000. Esperienze e riflessioni”, Franco Angeli,
Milano 2000, p. 425
144
Claudio Bezzi, Aspetti metodologici del coinvolgimento degli attori sociali nella cosiddetta ‘valutazione
partecipativa’, in Mauro Palumbo (a cura di), “Valutazione 2000. Esperienze e riflessioni”, Franco Angeli,
Milano 2000, p. 428
145
Claudio Bezzi, La valutazione dei servizi alla persona, Giada, Perugia 2000, p. 16
221
partecipazione essenziale per favorire l’efficacia valutativa
Se con ‘partecipazione’ si intende evitare la rigida separazione fra momento tecnico
e metodologico (proprio del professionista) dal momento operativo dell’evaluando
(proprio di coloro che stanno nel problema, gli operatori e i beneficiari innanzitutto),
al fine di favorire una migliore efficacia del processo valutativo, allora la
partecipazione deve essere intesa come una caratteristica fondamentale della
valutazione
il significato delle informazioni può essere fornito solo dagli informatori stessi
Questa informazione posseduta dagli attori del processo non è semplicemente una
‘narrazione’ descrittiva di procedure, ma molto di più: è la chiave interpretativa per
dare un senso non astratto anche ai dati fisici, clinici, finanziari, ecc. che si hanno a
disposizione.
Non è possibile avere una completa informazione senza una piena adesione degli
informatori al progetto valutativo; ancor più: il significato più profondo di quelle
stesse informazioni non è possibile ricostruirlo senza l’intervento diretto di quegli
informatori (via via: decisori, operatori, beneficiari) che hanno contribuito a
determinare l’informazione stessa
le tecniche sono nulla senza il valore aggiunto della riflessione critica
Le tecniche sono scatole vuote, di per sé incapaci di fornire quel valore aggiunto,
proprio della valutazione, rappresentato dalla riflessione, dall’analisi, dal giudizio
ponderato, elementi che solo il valutatore può dare.
Le tecniche sono strumenti, che aiutano il valutatore a raccogliere i dati in maniera
opportuna per la successiva analisi; da sole, le tecniche non sono in grado di fare
l’analisi; così come i dati ‘non parlano da soli’, ma vanno interpretati, e questa
interpretazione è il frutto di un processo cognitivo complesso.
Bisogna anche considerare che le tecniche non sono neutrali; scegliere una tecnica
anziché un’altra significa indirizzare la raccolta delle informazioni in un modo
piuttosto che in un altro, e quindi, alla fine, ottenere un certo giudizio anziché un
altro
mettere in discussione gli strumenti di analisi valutativa
gli strumenti di analisi [valutativa] devono essere scientificamente rigorosi; questo
implica che devono essere stati validati, tarati sul campo e che devono essere
affidabili, ma non esclude che se ne debba discutere la filosofia di fondo e
222
l’articolazione e che siano stati progettati e costruiti sulla base di giudizi di valore
che innescano essi stessi il processo valutativo146
gli approcci e gli strumenti dipendono dal problema valutato
Come la scelta delle metodologie e degli approcci nell’ambito della ricerca
dipendono strettamente dal tipo di problemi indagati, allo stesso modo è possibile
affermare che, una volta accettato che scopo di ogni forma di valutazione sia
l’espressione di un giudizio motivato sulla base e di una ricognizione attenta
dell’oggetto di apprezzamento e di criteri di valore esplicitamente dichiarati, la scelta
degli approcci, delle metodologie e delle procedure sia una questione attinente alla
natura dei problemi cui il valutatore tenta di dare una risposta.
approcci qualitativi
Accanto alle varie forme di evaluation i cui risultati si esprimono in termini
metrologici e a latere di una serie di studi dove la valutazione assume
progressivamente un carattere di sperimentazione, si vengono profilando da una
ventina di anni a questa parte approcci nuovi, per cui l’attività di apprezzamento di
contesti, progetti, programmi si costruisce e esprime in via qualitativa. Il quadro in
cui tale punto di vista si dichiara è sui generis, variegato e non monolitico, diverso
ma non incompatibile nelle sue posizioni – almeno nelle dichiarazioni dei suoi
sostenitori – rispetto a quello che si ispira a modelli scientisti; una filosofia non
realistica, un punto di vista costruttivista e interpretazionista, uno sguardo attento
all’antropologia ed a posizioni ermeneutiche nonché a ideologie di stampo
femminista. Lo caratterizzano un privilegiamento della naturalistic inquiry, fuori dai
laboratori e setting standardizzati, una cura realizzata e richiesta per la forma in cui
l’evaluation si esprime, che è soprattutto narrazione ricca di metafore e analogie ma
ospita e promuove anche modalità filmiche e fotografiche di report; non ultima,
l’immersione del valutatore nel setting che egli studia e il suo negoziare con coloro
che fanno parte di tale situazione; e, infine, una diffusa preoccupazione etica147
differenze contestuali di diversi oggetti valutativi nella valutazione della scienza
146
Anna Bondioli – Monica Ferrari, Introduzione a Idem (a cura di), “Manuale di valutazione del contesto
educativo: teorie, modelli, studi per la rilevazione della qualità nella scuola”, Franco Angeli, Milano 2000, pp.
11-12
147
Egle Becchi, Lo sguardo illuminato: una proposta di valutazione qualitativa, in Anna Bondioli – Monica
Ferari (a cura di), “Manuale di valutazione del contesto educativo: teorie, modelli, studi per la rilevazione della
qualità nella scuola”, Franco Angeli, Milano 2000, pp. 42-43
Angeli, Milano 2000, p. 121
223
Il problema dell’oggetto della valutazione potrebbe sembrare in qualche modo
accademico, ma è bene ricordare che ciascun possibile oggetto di valutazione
disegna un contesto teorico ed operativo differente, in ragione del quale certi passi
hanno senso ed altri no, sicché la “valutazione” farà in realtà riferimento a concetti e
pratiche di diverso ordine148
inadeguatezza metodologica della valutazione nella formazione professionale
accanto agli importanti traguardi raggiunti [dalla valutazione] nel corso degli ultimi
anni resta ancora molto da fare sul piano della strumentazione adatta per affrontare il
futuro. Così ad esempio se da un lato è evidente e forte la necessità del sistema di
dotarsi di adeguati supporti per la valutazione degli interventi, dall’altro se ne
riconosce la debolezza e la difficoltà che lo stesso sistema incontra nella loro
implementazione. Se, ancora, risulta chiara l’esigenza di assicurare elevati livelli di
qualità nell’erogazione della formazione, dall’altro non si dispone ancora della
strumentazione adatta a valutarla e certificarla.149
limiti degli indicatori nella formazione professionale e necessità di rilevare gli effetti
netti
Spesso ci si riduce a fare valutazione (o meglio a parlare di valutazione) elaborando
lunghi elenchi di cose da misurare, lunghi elenchi di indicatori. Questo però non è
sufficiente, è soltanto il primo passo, non bisogna fermarsi lì. Gli indicatori infatti, di
per sé, non rivelano se la formazione ha degli effetti: questo è un grosso equivoco in
cui spesso si cade.
Non basta misurare l’avvenuto cambiamento, bisogna trovare un modo per
confrontare quello che si osserva dopo la formazione con quello che sarebbe
avvenuto in assenza di formazione. Solo questa differenza rivela se davvero la
formazione ha avuto un effetto.150
valutazione e ricerca valutativa
148
Leonardo Cannavò, Valutazione della scienza, valutazione nella scienza. Contesti, approcci e dimensioni
per una valutazione sociale della ricerca scientifico-tecnologica, “Quaderni di sociologia”, n. 20, 1999, p. 29
149
Claudia Villante, La valutazione della qualità dell’intervento formativo, in Paolo Elia (a cura di), “Valutare
la qualità dell’intervento formativo”, Conedis, Torino 2000, p. 16
150
Alberto Martini, Quali tipologie di valutazione per la Formazione Professionale, in Paolo Elia (a cura di),
“Valutare la qualità dell’intervento formativo”, Conedis, Torino 2000, p. 29
224
alcuni autori ritengono che la relazione esistente tra valutazione e attività di ricerca
non è di identificazione, né di semplice strumentalità (la valutazione richiede attività
di ricerca), anche se questa esiste, bensì di omogeneità strutturale.151
sono le domande valutative a definire oggetti e metodi
il “cosa” si valuta non è l’oggetto, ma il set di domande cui il valutatore deve
rispondere. Ancora una volta in piena analogia con il procedimento scientifico, sono
gli interrogativi che l’attore (lo scienziato, il valutatore) si pone che definiscono gli
oggetti, i metodi e le finalità del suo lavoro e non viceversa152
limiti del ruolo degli stakeholder nella valutazione partecipata
E’ bene comunque evitare facili entusiasmi; l’enfasi assegnata alla partecipazione
risponde certamente ad imperativi epistemologici (impossibilità di effettuara analisi
“neutrali”, scarsa efficacia delle previsioni “tradizionali”), etici (partecipazione come
strumento di democrazia), pratici (maggiore probabilità di effettuare scelte che
saranno poi attuate). Gli stakeholder non possono peraltro essere mitizzati,
rappresentano una parte soltanto del mondo in cui si va a intervenire e non si può
pretendere che lo colgano per intero (anche perché altrimenti non ci sarebbe la
necessità di un livello politico, basterebbe mettere insieme le esigenze e le risposte
degli stakeholder, ai quali manca invece la visione strategica complessiva),
assegnando inoltre un ruolo maieutico-demiurgico al valutatore ex ante, in grado così
di recuperare quella piacevole sensazione di onniscienza-onnipotenza della quale
l’eclisse del positivismo l’aveva privato.
la valutazione come momento di sintesi della ricerca sociale
Normalmente si distinguono gli approcci [alla valutazione] in base all’epistemologia
sottostante (oggettivisti vs. costruttivisti), oppure in base alle finalità (accountability
vs. learning), o ai metodi di ricerca (quantitativi vs. qualitativi). Il contributo che la
valutazione porta alla ricerca è di consentire il superamento di questi dualismi,
lavorando sui punti di incontro di questi aspetti, e offrendo soluzioni differenti.153
151
Mauro Palumbo, La valutazione tra scienza e professione, “Rassegna Italiana di Valutazione”, nn. 17/18,
gen-giu 1999, pp. 27-28
152
Mauro Palumbo, Il processo di valutazione. Decidere, programmare, valutare, Franco Angeli, Milano
2001, pp. 160-161
153
Nicoletta Stame, Approcci e problemi nella valutazione di politiche e di programmi nella realtà del nuovo
millennio, in Società Italiana di Statistica, “Convegno intermedio. Processi e metodi statistici di valutazione”,
Facoltà di Economia, Università di Roma “Tor Vergata”, pp. 55-56
225
multidisciplinarietà della valutazione
La valutazione è necessariamente multidisciplinare, sempre, anche quando si
interessa di problemi specifici e settoriali che possono sembrare ben descrivibili
dentro una specifica e circoscritta branca del sapere.
valori valutativi e scelte metodologiche
Nessuna proprietà è di per sé più importante delle altre, ma acquista maggiore o
minore importanza solo entro convenzioni sociali che possono riferirsi a norme, a
opportunità, a decisioni negoziate, a punti di vista imprescindibili (ecc., in relazione
a contesti diversi in cui si sviluppa la valutazione).
Ma stabilire delle priorità fra proprietà significa esplicitare l’orizzonte valoriale
(antropologico, etico, sociale, politico) di chi lo fa; e poiché ciò determina
solitamente delle conseguenze operative (valore e peso degli indicatori, tipo di
analiosi dei dati, determinazione di prezzi ombra nella costi benefici, ecc.) che
indirizzano i risultati valutativi, l’esercizio non riguarda semplicemente delle scelte
tecniche ma delle scelte di valore generali.
abuso del ruolo tecnico per il valutatore
Credo che possa capitare che il valutatore abbia buon gioco nello sfruttare il suo
ruolo tecnico per garantirsi una sorta di impunità metodologica, pilastro
immarcescibile dell’inutilizzo della valutazione (se non è capita non può essere
utilizzata), e ponte verso il dogmatismo metodologico154
non indispensabilità di una preesistente base di dati
sebbene le informazioni siano il combustibile che consente alla macchina valutativa
di procedere, è errato ritenere che ‘senza una preesistente base di dati non si possa
valutare’.
dati fanno parte dell’oggetto di analisi
i dati che necessitano al valutatore sono conseguenze di un processo decisionale
giocato fra attori che hanno interessi in campo, e il valutatore non è un astratto
scienziato sociale che descrive esperimenti di laboratrorio ma un professionista che si
cala in quell’arena, per comprenderla e – appunto – valutarla; le pratiche con le quali
i dati vengono prodotti ed eventualmente distorti (consapevolmente oppure no) fanno
interamente parte, oltre che del suo rischio, proprio del suo oggetto di analisi.
inutilizzabilità delle interviste nella valutazione degli incentivi alle imprese
154
Claudio Bezzi, Il disegno della ricerca valutativa, Franco Angeli, Milano 2001, p. 253
226
le uniche soluzioni per la misurazione degli effetti aggiuntivi degli incentivi alle
imprese sono legate a stime indirette con modelli di corretta specificazione. Al
contrario l’autore ritiene del tutto inattendibile il ricorso a interviste dirette presso i
beneficiari (anche ammesso che si abbia una corretta percezione, esiste un incentivo
indiretto a sopravvalutare o sottovalutare il ruolo delle politiche; peraltro le
convenienze indotte dalle politiche sono inglobate nei calcoli economici e non
facilmente estrapolabili dagli operatori piccoli e piccolissimi). Le metodologie quasisperimentali, del resto, sono particolarmente complesse in realtà caratterizzate da
sostegni diffusi e per politiche mirate a specifici target.155
limiti degli approcci quantitativi nella valutazione della ricerca scientifica
Una valutazione quantitativa non può essere una risposta ottima, né automatica ai
problemi di gestione dei finanziamenti pubblici alla scienza156
pericoli dell’intrusione della dimensione autopercettiva nella valutazione della
qualità della vita
Ancorare la valutazione del sistema [delle politiche sociali] alla dimensione
autopercettiva della qualità della vita significa ancorarla alle aspettative dei singoli
individui, e, quindi al processo di evoluzione secondo il quale si tende a spostare
continuamente il limite delle aspettative. Questa scelta rischia di innescare
meccanismi di incremento delle disuguaglianhze sociali contrastando, quindi con le
finalità dei sistemi di Welfare State. L’orientamento è quello di pensare a sistemi di
valutazione delle qualità della vita basati sulla verifica dell’esistenza di alcuni
elementi minimi che rendono possibile sperimentare la propria relazione con
l’ambiente esterno, dal quale rapporto definire la soddisfazione della vita.
modalità linguistiche diverse in relazione ai modelli culturali dei soggetti
L’autopercezione di un evento è sicuramente legato ai modelli culturali, alle
aspettative ed ai valori presenti in un determinato sistema sociale. Questo significa
che i diversi contesti utilizzeranno modalità linguistiche differenziate per esprimere
gli stessi universi semantici e, di conseguenza, richiederanno anche strumenti di
155
Raffaele Brancati, Introduzione, in Raffaele Brancati (a cura di), “Analisi e metodologie per la valutazione
delle politiche industriali”, Franco Angeli, Milano 2001, pp. 29-30
156
Fabrizio Cesaroni e Alfonso Gambardella, Metodologie di Valutazione dei Programmi Pubblici di Ricerca.
I casi del Consiglio Nazionale delle Ricerche e della National Science Fundation, in Raffaele Brancati (a cura
di), “Analisi e metodologie per la valutazione delle politiche industriali”, Franco Angeli, Milano 2001, p. 165
227
rilevazione specifici, capaci di confrontare universi semantici uguali, ma che
utilizzano codici linguistici diversi.157
la valutazione come reciprocità
Valutare è operazione inquietante. Ogni valutazione è un atto di reciprocità, e questo
sollecita la prima domanda: chi valuta chi?158
valutazione come sostegno alle scelte di ristrutturazione della rete di significati
La conoscenza procede per continue ristrutturazioni della rete di significati al fine di
rendere quest’ultima più utile per l’azione e quindi per l’adattamento.
Le ristrutturazioni della rete di significati non sono dettati dalle circostanze
ambientali, sono una scelta; molto spesso sarebbe possibile non ristrutturare la rete di
significati oppure farlo in modo diverso. La funzione valutativa della conoscenza
entra in gioco proprio a questo proposito, intervenendo per supportare la scelta su
quale tipo di ristrutturazione conduca ad un maggior valore della rete di
significati.159
valutazione tollerata
non tutte le azioni valutative possibili sono tollerate in un contesto sociale160
valutazione del gradimento come ricatto morale
La valutazione di gradimento è spesso vissuta dai formatori come una sorta di
“ricatto morale”, svincolato dall’effettiva utilità formativa ma legato – piuttosto – al
benessere “relazionale” percepito161
limiti degli approcci centrati sulla soddisfazione del cliente in formazione
la soddisfazione del cliente, anche per la sua incredibile volatilità, non può essere
assunta come l’unico criterio [di valutazione]; a parte la pluralità di voci che
dovrebbero caratterizzare il sistema-cliente, è evidente che deve giocare un ruolo la
157
Giovanni Bertin, Alcuni problemi metodologici nell’uso del concetto di qualità della vita per il confronto e
la valutazione dei diversi sistemi di Welfare State, in Leonardo Altieri – Lucio Luison (a cura di), “Qualità
della vita e strumenti sociologici. Tecniche di rilevazione e percorsi di analisi”, Franco Angeli, Milano 1997, p.
48
158
Dante Bellamio, Presentazione, in Carlo Bisio (a cura di), “Valutare in formazione. Azioni, significati e
valori”, Franco Angeli, Milano 2002, p. 7
159
Carlo Bisio, Valutologia: un’economia di significati, in Carlo Bisio (a cura di), “Valutare in formazione.
Azioni, significati e valori”, Franco Angeli, Milano 2002, pp. 34-35 (corsivo nel testo, con grassetto)
160
Carlo Bisio, Alcune tematiche aperte nella valutologia della formazione, in Carlo Bisio (a cura di),
“Valutare in formazione. Azioni, significati e valori”, Franco Angeli, Milano 2002, p. 45
161
Stefano Gheno, Valutare l’empowerment nella formazione, in Carlo Bisio (a cura di), “Valutare in
formazione. Azioni, significati e valori”, Franco Angeli, Milano 2002, p. 63
228
valutazione degli esperti della formazione – se si vuole fare una riflessione
approfondita sull’andamento delle cose e sulla qualità di un corso.162
l’autovalutazione in formazione non può essere una delega
Il ricorso alle autovalutazione è importante, ma deve entrare in una logica, e
comunque non può mai rappresentare una delega, dovrà esserci un rapporto tra
valutazione espressa dai corsisti e valutazione da parte del formatore.
l’autovalutazione di gruppo come parte del problema
le autovalutazioni che il gruppo esprime circa le proprie dinamiche sono esse stesse
un elemento delle dinamiche in atto più che una effettiva elaborazione delle
medesime: più che una soluzione, sono parte del problema.163
complessità dell’organizzazione, complessità della valutazione
La valutazione deve avere un approccio complesso perché riflette la complessità e le
dinamiche intersoggettive che sono tipiche dei fenomeni organizzativi.164
valutazione come giudizio condiviso
compito fondamentale della valutazione: formulare un giudizio di valore su di un
fenomeno, con il massimo di condivisione possibile.
integrazione degli approcci come reciproco riconoscimento
L’integrazione [degli approcci valutativi] intesa come “negoziazione” fa pensare che
vi sia stata una sorta di “derubricazione” del discorso epistemologico: non si cerca
tanto di trovare una sintesi a livello di enunciati di base e di principi che stanno a
monte dei metodi di indagine valutativa, i quali resterebbero distinti nei due
approcci, ma di riconoscere diritto di cittadinanza nella pratica formativa a metodi e
strumenti appartenenti ai due approcci.165
valutazione e logica sperimentale
162
Maurizio Lichtner, Valutare gli apprendimenti, in Carlo Bisio (a cura di), “Valutare in formazione. Azioni,
significati e valori”, Franco Angeli, Milano 2002, pp. 95-96
163
Massimo Bellotto, Valutare la dinamica del gruppo di formazione, in Carlo Bisio (a cura di), “Valutare in
formazione. Azioni, significati e valori”, Franco Angeli, Milano 2002, p. 145
164
Federico Amietta, Valutare i processi formativi: il valore aggiunto per l’organizzazione, in Carlo Bisio (a
cura di), “Valutare in formazione. Azioni, significati e valori”, Franco Angeli, Milano 2002, p. 176
165
Leonardo Verdi Vighetti, Integrazione tra approcci qualitativi e quantitativi nella valutazione, in Carlo
Bisio (a cura di), “Valutare in formazione. Azioni, significati e valori”, Franco Angeli, Milano 2002, p. 266
229
la logica di fondo della valutazione rimanda al rapporto tra azione e risultati
dell’azione: rimanda, in altri termini, alla logica e alla pratica sperimentale.166
natura stipulativa degli indicatori d’impatto
La progettazione degli indicatori finisce per costituire, se opportunamente gestita,
una fase di ulteriore precisazione e affinamento degli obiettivi, a partire proprio dalla
ratio per cui tali obiettivi sono formulati. [Nella prospettiva di costruire gli indicatori
assieme a chi definisce l’impatto atteso della politica], cambia anche il ruolo del
valutatore, che assume una funzione di maieuta, oltre che, ovviamente, di garante
metodologico rispetto al sistema degli indicatori proposto. In questa veste deve
assicurare, innanzi tutto, la coerenza del sistema e la copertura di tutti gli aspetti
rilevanti (anche se tale rilevanza non può più essere presupposta, ma deve essere
confermata dai partner); in subordine, la loro effettiva costruibilità e il rispetto dei
requisiti sopra richiamati (validità, affidabilità, adeguatezza, tempestività, ecc.). In
breve, occorre accettare il fatto che proprio il nesso degli indicatori con gli obiettivi
degli interventi e con l’oggetto della valutazione impedisce di affidare la loro
definizione ai soli tecnici, che potranno invece rivelarsi preziosi nella definizione
delle modalità di costruzione, rilevazione, elaborazione ed analisi degli indicatori
stessi.167
natura stipulativa degli indicatori d’impatto
La progettazione degli indicatori finisce per costituire, se opportunamente gestita,
una fase di ulteriore precisazione e affinamento degli obiettivi, a partire proprio dalla
ratio per cui tali obiettivi sono formulati. [Nella prospettiva di costruire gli indicatori
assieme a chi definisce l’impatto atteso della politica], cambia anche il ruolo del
valutatore, che assume una funzione di maieuta, oltre che, ovviamente, di garante
metodologico rispetto al sistema degli indicatori proposto. In questa veste deve
assicurare, innanzi tutto, la coerenza del sistema e la copertura di tutti gli aspetti
rilevanti (anche se tale rilevanza non può più essere presupposta, ma deve essere
confermata dai partner); in subordine, la loro effettiva costruibilità e il rispetto dei
requisiti sopra richiamati (validità, affidabilità, adeguatezza, tempestività, ecc.). In
breve, occorre accettare il fatto che proprio il nesso degli indicatori con gli obiettivi
166
Angelo Saporiti, La ricerca valutativa. Riflessioni per una cultura della valutazione, Rubbettino, Soveria
Mannelli 2001, p. 37 (corsivi nel testo)
167
Mauro Palumbo, Valutazione di processo e d’impatto: l’uso degli indicatori tra meccanismi ed effetti, in
Nicoletta Stame (a cura di), “Valutazione 2001. Lo sviluppo della valutazione in Italia”, Franco Angeli, Milano
2001, pp. 354-355
230
degli interventi e con l’oggetto della valutazione impedisce di affidare la loro
definizione ai soli tecnici, che potranno invece rivelarsi preziosi nella definizione
delle modalità di costruzione, rilevazione, elaborazione ed analisi degli indicatori
stessi.
rischi della valutazione ‘burocratica’
una programmazione rigida rispetto al contesto e una gerarchia di obiettivi legata
alle competenze del Fondo Sociale piuttosto che alle cause delle disuguaglianze che
vuole contrastare, rischiano di produrre valutazioni “burocratiche”, ossia rispettose
delle articolazioni formali del programma, piuttosto che attente agli esiti sostanziali
dello stesso; centrate più sul riscontro obiettivi-risultati che sulla produzione di
meccanismi causali che spiegano gli impatti; più sugli impatti attesi che sulle
conseguenze inattese; in definitiva, utili modelli di rendicontazione piuttosto che di
apprendimento.168
indeterminatezza concettuale della valutazione
Pochi termini si prestano ad una molteplicità di significati e usi quanto il termine
valutazione, il quale, con la fortuna e la diffusione della sua applicazione, sconta
però insieme una certa indeterminatezza e imprecisione di significato e di
concettualizzazione.169
indispensabilità delle informazioni
La stessa possibilità di svolgere valutazioni è messa spesso in discussione per la
mancanza delle informazioni minime necessarie170
il monitoraggio come sistema di indicatori
Attualmente si va affermando un consenso sempre più ampio sul fatto che il
monitoraggio debba avere come obiettivo finale la costruzione di indicatori in grado
di descrivere in maniera puntuale l’evoluzione dei programmi realizzati171
168
Maura Franchi e Mauro Palumbo, La valutazione delle politiche del lavoro: questioni aperte, riflessioni,
esperienze, in Maura Franchi e Mauro Palumbo (a cura di), La valutazione delle politiche del lavoro e della
formazione, “Sociologia del lavoro” n. 77, Franco Angeli, Milano 2000, p. 13
169
Eugenio Zucchetti, Le politiche del lavoro a livello regionale e locale: il quadro in cambiamento e le
esigenze di valutazione, in Maura Franchi e Mauro Palumbo (a cura di), La valutazione delle politiche del
lavoro e della formazione, “Sociologia del lavoro” n. 77, Franco Angeli, Milano 2000, p. 83
170
Maura Franchi, Dalla valutazione delle politiche alle politiche della valutazione: spunti di riflessione sulla
base di un caso regionale, in Maura Franchi e Mauro Palumbo (a cura di), La valutazione delle politiche del
lavoro e della formazione, “Sociologia del lavoro” n. 77, Franco Angeli, Milano 2000, p. 160
171
Gabriele Marzano, Il monitoraggio e la valutazione delle politiche del lavoro: nodi metodologici e necessità
operative, in Maura Franchi e Mauro Palumbo (a cura di), La valutazione delle politiche del lavoro e della
formazione, “Sociologia del lavoro” n. 77, Franco Angeli, Milano 2000, p. 169
231
ossessione informativa in valutazione, e sua inutilità
Emerge spesso, in molte attività di valutazione, una “ossessione informativa” che
pretende di descrivere tutto ciò che è successo dentro e fuori il programma analizzato
e che però, d’altra parte, non risponde quasi mai a quesiti fondamentali.172
contro l’analisi dei bisogni
l’analisi dei bisogni [formativi] rischia di ridursi alla mera registrazione di esigenze
predeterminate dato che la sua capacità di cogliere le dimensioni qualitative dei tratti
peculiari assunti dai ruoli professionali nelle organizzazioni viene meno con
l’accentuarsi delle caratteristiche di variabilità dei contesti organizzativi; esse infatti
rendono del tutto inutili le “registrazioni fotografiche” di ruoli, attori, azioni e
contesti soggetti a rapido cambiamento. In assenza di capacità e sensibilità a
comprendere le configurazioni dei contesti organizzativi nel loro evolversi, le
pratiche di routine rischiano di cristallizzarsi o in operazioni che registrano (e fanno
valere) le scelte a-priori del committente (cioè dei vertici dell’organizzazione), o in
“miti” metodologici che danno ai formatori l’illusione di aver seguito criteri
scientifici rigorosi.
Ecco perché questo modo di praticare l’analisi dei bisogni è molto simile a un “letto
di Procuste” grazie al quale è possibile adattare dati analitici e informazioni a ogni
sorta di decisione (per lo più assunta a-priori) sulle azioni formative da realizzare.
Da questo punto di vista è possibile sostenere che le analisi dei bisogni, nelle pratiche
più
consolidate
configurandosi
(quale
come
che
sia
autentiche
l’interpretazione
forzature
imposte
caratteristiche marcatamente astratte e manipolatorie.
metodologica
adottata),
alla
assumono
realtà,
173
contro la customer satisfaction in sanità (1)
Il sondaggio sugli utenti va considerato come un tassello di un mosaico ben più
ampio174.
contro la customer satisfaction in sanità (2)
172
Gabriele Marzano, Il monitoraggio e la valutazione delle politiche del lavoro: nodi metodologici e necessità
operative, in Maura Franchi e Mauro Palumbo (a cura di), La valutazione delle politiche del lavoro e della
formazione, “Sociologia del lavoro” n. 77, Franco Angeli, Milano 2000, p. 181
174
Leonardo Altieri, Verso una valutazione come negoziazione in un pluralismo di valori/interessi, in
Costantino Cipolla, Guido Giarelli e Leonardo Altieri (a cura di), “Valutare la qualità in sanità. Approcci,
metodologie e strumenti”, Franco Angeli, Milano 2002, p. 126
232
ciò che definiamo “soddisfazione” [è] il risultato di una costruzione sociale
culturalmente determinata la cui natura complessa ha probabilmente poco a che
vedere con una reale valutazione dei servizi sanitari dal punto di vista del soggetto.175
contro la customer satisfaction in sanità (3)
per cogliere davvero la prospettiva del cittadino-utente/paziente, il concetto di
soddisfazione è del tutto inadeguato sia sul piano teorico che su quello applicativo.
necessità di approcci valutativi integrati in sanità
ciò che sembra ancora in gran parte mancare è la possibilità di una autentica
valutazione integrata della qualità, nella quale la pluralità di punti di vista trovi una
qualche forma di interconnessione e di confronto.
uso distorto degli indicatori
La letteratura si è a lungo soffermata sul [limite] che deriva dallo stravolgimento
dello strumento indicatore che possono fare gli amministratori nell’implementazione
di un programma. Può succedere che invece di usare l’indicatore per misurare
qualcosa, si faccia qualcosa (che non si sarebbe fatto) per far sì che l’indicatore sia
positivo176
la scelta delle tecniche dipende dai modelli di riferimento
La scelta se adottare questionari, oppure interviste, gruppi-focus o altre tecniche,
rappresenta la conseguenza di opzioni metodologiche derivanti, in primo luogo, dal
riferimento a uno o più modelli di valutazione che si sono – in precedenza –
considerati.
importanza del contesto sociale e economico e culturale nella valutazione delle
politiche pubbliche
gli studi di monitoraggio e di valutazione delle politiche pubbliche sono strettamente
legati non solo alla specifica unità di analisi che si prende in considerazione, ma al
contesto sociale, economico e culturale nell’ambito del quale queste politiche sono
realizzate177
175
Guido Giarelli, Oltre la “customer satisfaction”: il problema di cogliere la complessità di un punto di vista,
in Costantino Cipolla, Guido Giarelli e Leonardo Altieri (a cura di), “Valutare la qualità in sanità. Approcci,
metodologie e strumenti”, Franco Angeli, Milano 2002, p. 137
176
Nicoletta Stame, Indicatori e valutazione (con un’applicazione all’inclusione sociale), in Liliana Leone (a
cura di), “Valutare le politiche per l’inclusione sociale”, Vides, Roma 2001, p. 59
177
Ivana Fellini, Daniela Oliva, Flavia Pesce e Manuela Samek Lodovici, Un sistema di monitoraggio e
valutazione in un’ottica di genere. Un manuale per l’uso, Provincia Autonoma di Bolzano-Alto Adige –
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – IRS Istituto per la Ricerca Sociale, Bologna s.i.d. [ma: 2002],
p. 9
233
gli indicatori e il ragionamento
l’indicatore non [è] semplicemente un dato, ma il frutto di un ragionamento.178
teorie dei programmi come costruzione sociale
Le teorie [dei programmi] non sono solo descrizioni di realtà socialmente costruite;
sono anche parti integranti della stessa costruzione sociale179
gli indicatori di performance svincolati dagli obiettivi dell’amministrazione
la costruzione degli indicatori non solo non ha bisogno di partire dagli obiettivi
dell’amministrazione, ma anzi ha il compito di farli emergere180
valutazione costruttivista nel lavoro di comunità
Il paradigma sottostante la teoria dello sviluppo di comunità non sostiene l’adozione
di una prospettiva positivista né di immaginare una valutazione nella quale il dato si
impone in virtù della sua “oggettività” o “scientificità”. Pertanto, si assume che i dati
non vadano semplicemente “raccolti”, dato che non si trovano pronti ad accoglierci
nella realtà, ma si costruiscano soprattutto attraverso gli strumenti che utilizziamo
per indagare la realtà e le assunzioni che facciamo su di essa. Inoltre, dal momento
che non esistono valutazioni “esatte”, “certe”, “oggettive” o “vere”, e soprattutto
univoche, è fondamentale l’argomentazione del percorso di ricerca valutativa
seguito.181
QUALITA’ E PRATICA:
La valutazione come professione, la sfera degli operatori e dell’organizzazione attorno
178
Ivana Fellini, Daniela Oliva, Flavia Pesce e Manuela Samek Lodovici, Un sistema di monitoraggio e
valutazione in un’ottica di genere. Un manuale per l’uso, Provincia Autonoma di Bolzano-Alto Adige –
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – IRS Istituto per la Ricerca Sociale, Bologna s.i.d. [ma: 2002],
p. 171
179
Peter Dahler-Larsen, La costruzione sociale delle teorie del programma, in Realismo e valutazione, a cura
di Antonio Fasanella e Nicoletta Stame, “Sociologia e ricerca sociale”, n. 68/69, 2002, p. 177
180
Giancarlo Vecchi, La misurazione delle performance dei servizi: i controlli interni, in Ugo De Ambrogio (a
cura di), “Valutare gli interventi e le politiche sociali”, Carocci, Roma 2003, p. 125
181
Elvio Raffaello Martini e Alessio Torti, Fare lavoro di comunità. Riferimenti teorici e strumenti operativi,
Carocci ed., Roma 2003, p. 152
234
alla valutazione, nonché gli atteggiamenti verso la valutazione; la qualità della
valutazione, come qualità totale e qualità percepita:
l’analisi partecipata della qualità come processo partecipato di analisi
l’Analisi Partecipata della Qualità è una procedura di valutazione di servizi pubblici
e sociali in generale la quale si interessa a tre grandi aree della qualità: la qualità
tecnica (con esclusione di ciò che attiene alle risorse economiche e all’adeguatezza
dell’assistenza rispetto ai protocolli diagnostici e terapeutici), la dimensione
interpersonale e il comfort.
L’Analisi Partecipata della Qualità è un’analisi di tipo partecipativo, la quale,
peraltro, comporta il coinvolgimento di più soggetti: le amministrazioni, lo staff
tecnico (direzione dell’indagine), gli operatori (sanitari, amministrativi, ecc.) dei
servizi e i cittadini, a doppio titolo: come membri dello staff tecnico e come soggetti
di informazione.182
il concetto di qualità ha a che fare con la valutazione
Per esprimere compiutamente il concetto di qualità occorre sempre correlarlo con la
valutazione.183
la valutazione dei servizi ha a che fare con la loro qualità
I concetti di progettazione e valutazione delle attività relative all’erogazione dei
servizi hanno un nesso stretto con quello di qualità, inteso come l’orientamento
culturale di tutte le funzioni organizzative verso l’erogazione di prestazioni in linea,
da un punto di vista tecnico e relazionale, con le reali esigenze dell’utenza del
servizio.184
la valutazione dei servizi deve tenere conto della qualità percepita dagli utenti
Nel settore dei servizi l’attività di controllo non può limitarsi a fissare standard, ma
deve considerare una serie di ulteriori esigenze, legate all’interazione tra utente ed
erogatore.
182
Luciano d’Andrea - Giancarlo Quaranta - Gabriele Quinti, Manuale tecnico dell’Analisi Partecipata della
Qualità, Laboratorio di Scienze della Cittadinanza, Roma 1996, pp. 29-30
183
Fortunato Rao, La promozione della qualità nella legislazione, “Servizi sociali” (monografico su “La qualità
nei servizi sociali e sanitari”), Fondazione E. Zancan, n. 3, 1995, p. 58
184
Luisa Lomazzi, Progettazione e valutazione dei servizi pubblici, in L. Mauri - C. Penati - M. Simonetta,
“Pagine aperte. La formazione e i sistemi informativi: strumenti per le politiche sociali”, F. Angeli, Milano 1993,
p. 172
235
Affrontare questo tema significa affiancare a un sistema di misurazione e valutazione
delle prestazioni erogate e dei processi, sistemi di monitoraggio della qualità
percepita dagli utenti esterni e interni, addentrandosi negli aspetti di analisi della
complessità del servizio, individuando le funzioni critiche che entrano in gioco e
definendo i criteri di valutazione da adottare per ciascuna di esse.
Le aspettative dell’utente e i parametri in base ai quali egli valuta le prestazioni sono
spesso difficili da identificare. Inoltre anche quando vengono identificati, non solo
dipendono dalle effettiva prestazioni tecniche svolte, ma anche da problemi specifici,
cultura, valori, persino dall’umore del momento e da mille altri condizionamenti
ambientali, spesso contingenti. Questi elementi, uniti alle esperienze vissute in
precedenza ed al “sentito dire” (esperienze vissute da altri), compongono
quell’eccezionale indicatore di qualità che è il “giudizio” dell’utente.
La qualità percepita deriva dalla comparazione tra le aspettative e le prestazioni
effettivamente ottenute e riflette quindi il grado di soddisfazione dell’utenza. Di
conseguenza, fornire un servizio di qualità significa soddisfare l’utente, conoscerne
le aspettative individuando le esigenze prevalenti, monitorandole nel tempo, facendo
in modo di rispondervi.
non tutti gli obiettivi riguardano la qualità
La valutazione (così concepita, come modalità costante di riscontro di congruità fra
l'attività svolta e gli obiettivi cui questa è sottesa) non sempre è orientata alla qualità
per il semplice motivo che non tutti gli obiettivi sono necessariamente di qualità.185
obiettivi della verifica e revisione della qualità
Verifica e revisione di qualità. E’ questa una metodica che si sostanzia in un
processo dinamico mediante il quale la qualità degli interventi forniti viene
sottoposta a valutazione e, se occorre, migliorata.186
il livello micro della valutazione della qualità
Non è messo in discussione da alcuno che nel valutare la qualità ci si debba muovere
a livello micro, cioè di monitoraggio delle performance, all'interno delle condizioni
strutturali date. A questo livello due sarebbero i momenti fondamentali:
185
Fosco Foglietta, Sulla valutazione della qualità dei servizi socio-sanitari, “Rassegna Italiana di Valutazione”,
n. 4, 1996
186
Fosco Foglietta, La promozione della qualità: il quadro giuridico istituzionale, “Servizi sociali”
(monografico su “La qualità nei servizi sociali e sanitari”), Fondazione E. Zancan, n. 3, 1995, p. 87
236
1) l'autovalutazione fra pari (peer review), con le grandi potenzialità di tale approccio
(confermate dalle esperienze più avanzate, per es. in Canada) ed anche i rischi di
autoreferenzialità (gli altri attori relegati al ruolo di "rumori d'ambiente");
2) la rilevazione della soddisfazione dei pazienti (customer satisfaction), tramite
appositi sondaggi, sempre più diffusi, ma spesso superficiali, affrettati,
insoddisfacenti.
Già inizia a sorgere qualche dubbio sul fatto che la valutazione di qualità debba
imbarcarsi anche nel livello macro, cioè se debba occuparsi del system design, di
quell'insieme costituito da strutture, legislazione, risorse complessive, sistema di
formazione, etc. Non occuparsi di questo livello equivarrebbe ad accettare le
condizioni date come immodificabili, o modificabili solo per iniziativa di altri attori,
diversi da quelli che valutano o promuovono la valutazione della qualità.187
valutazione come comunicazione
Valutare la qualità significa essere in grado di comunicare all’interno e all’esterno
dell’organizzazione il livello di qualità raggiunto.188
la valutazione partecipata della qualità nei nidi
Valutare vuol dire indagare sullo stato del servizio, attuando un processo graduale di
evidenziazione della sua fisionomia .
La valutazione della qualità non ha finalità puramente descrittive né esiti prescrittivi,
ma ha obiettivi di miglioramento del servizio. Essa comporta un rapporto tra chi
promuove l’indagine, chi la fa, gli operatori e i genitori, che serve ad integrare nel
percorso di valutazione i problemi, gli obiettivi, i bisogni espressi dal servizio e dai
suoi utenti, cosicché sia possibile un’analisi più puntuale ed una finalizzazione più
produttiva degli esiti della valutazione189.
gli indicatori della percezione soggettiva della qualità della vita indispensabili nella
VIA
La differenza tra impatto ambientale e impatto sociale sta nella differenza tra
l’ambiente così com’è e l’ambiente come viene percepito e vissuto. In questo senso,
stimare quali effetti una certa operazione eserciterà sull’ambiente è cosa ben diversa
187
Leonardo Altieri, La valutazione in sanità dopo il DL 502/92, “Rassegna Italiana di Valutazione”, n. 3, 1996
188
Giovanni Bertin - Piero Selle, La valutazione e il controllo di qualità nei servizi per anziani, “Prospettive
sociali e sanitarie”, n. 4, 1996, p. 3
189
Laura Cipollone, Introduzione, in L. Cipollone (a cura di) “Strumenti e indicatori per valutare il nido”, ed.
Junior, Milano 1999, pp. 7-8
237
dallo stimare quali alterazioni tali effetti eserciteranno sulla qualità della vita della
comunità, la quale dipende dalla distanza esistente tra realtà attesa e realtà vissuta: in
generale, infatti, più la prima, che può essere definita uno scenario latente, è distante
dalla seconda,
che
possiamo
chiamare scenario
vissuto,
più
elevata è
l’insoddisfazione di un soggetto e più bassa la qualità della vita.
La relazione tra scenario latente, che dipende dalle attese degli individui (e quindi dai
valori e dai bisogni da essi più o meno chiaramente avvertiti, anche in base ai sistemi
di esigenze, di valori espressi, di obiettivi perseguiti a livello di società), e scenario
vissuto, che consiste nella definizione della realtà concreta quale essa viene
percepita, si arricchisce, nel contesto della Via, di un ulteriore legame: nell’esprimere
la propria soddisfazione l’individuo confronta infatti, in questo caso, non solo la
realtà vissuta con quella attesa, ma entrambe con quella che potremmo chiamare la
realtà proiettata, ossia la realtà quale viene prefigurata in base alle conoscenze
relative a un progetto o un piano di sviluppo territoriale. Se lo scenario proiettato
appare più prossimo allo scenario latente di quanto non lo sia quello vissuto, allora il
soggetto avvertirà un potenziale miglioramento della qualità della vita ed esprimerà
una valutazione favorevole al progetto; se accade il contrario, se cioè il soggetto,
proiettando il proprio vissuto attuale nello scenario proposto, vede accrescere la
contraddizione rispetto alle proprie attese, allora l’insoddisfazione aumenta, la
qualità della vita peggiora e l’opposizione al progetto si irrigidisce. Questo spiega,
appunto, perché quello che un bilancio d’impatto ambientale definisce come una
accettabilissima modificazione dell’ambiente ai fini della realizzazione di un’opera
importante può suscitare una “irragionevole” opposizione da parte di comunità locali,
ambientalisti, opinione pubblica generale, opposizione che esprime in effetti un
impatto sociale ben superiore a quello che è l’impatto ambientale in senso stretto. Il
che significa, poi, che non è sufficiente affidarsi ad indicatori sociali di tipo oggettivo
(salute, inquinamento, lavoro, ecc.) ma occorre avvalersi di indicatori relativi alla
percezione soggettiva della qualità della vita in rapporto all’ambiente.190
molteplicità degli elementi che compongono il concetto di qualità
Un elemento di complessità della valutazione della qualità è riconducibile alla natura
diversa delle dimensioni che compongono il concetto di qualità. Tale concetto è,
190
Luigi Pellizzoni, Partecipazione e valutazione di impatto ambientale, in: A. Gasparini - G. Marzano,
“Tecnologia e società nella valutazione di impatto ambientale”, F. Angeli, Milano 1991, pp. 59-60
238
infatti, inevitabilmente caratterizzato da elementi di tipo oggettivo e di tipo
soggettivo, che devono essere presi in considerazione contemporaneamente.
il valutatore fra competenza tecnica e sensibilità verso il contesto
gran parte della professionalità del valutatore si espleta nel coniugare capacità e
conoscenze tecniche con una particolare sensibilità verso il contesto applicativo.191
intangibilità e negozialità nella valutazione della comunicazione pubblica
Nel caso della valutazione della qualità (efficacia) di un servizio le cose sono
comunque complicate da alcuni fattori. A differenza della valutazione di beni
concreti (p.es. adeguamento a standard stabiliti di alcune produzioni) o di
organizzazioni (p.es. analisi organizzativi), i servizi presentano un’alta componente
di intangibilità, ovvero una prestazione non facilmente “misurabile”; la
comunicazione, p.es., può essere più o meno corretta, più o meno efficace, ma questi
concetti (“correttezza”, “efficacia”) non possono essere determinati in modo certo
con parametri rigidi, e questo sostanzialmente per due motivi fondamentali:
1) i concetti di riferimento (p.es. “efficacia”) sono descrivibili come orizzonti
generali, se ne possono dare definizioni operative concordate, si possono
contestualizzare in relazioni ai problemi contingenti, ma non sono parametrabili una
volta per tutte;
2) la differenziazione sociale comporta che ogni individuo interpreti comunque tali
concetti, anche se in qualche modo standardizzati, sulla base della propria esperienza
individuale, delle proprie capacità interpretative, delle proprie sensibilità ed esigenze,
e questo in modo comunque mutevole nel tempo.
Il secondo concetto che merita attenzione è quello di negoziabilità; esso fa
riferimento alla possibilità, per l’erogatore di un bene o servizio e per il suo fruitore,
di realizzare la transazione con un margine di flessibilità; l’erogatore con flessibilità
rispetto a quanto programmato, ed il fruitore con flessibilità rispetto alle aspettative
ed ai bisogni che intende soddisfare.192
differenze fra verificare e valutare
La valutazione della qualità usualmente si situa in un arco di tempo che ha
dimensioni fra loro complementari: una dimensione preliminare, una di processo e
191
Stefano Campostrini, Disegni sperimentali, quasi-sperimentali e non-sperimentali per la valutazione nelle
politiche sociali, in “Valutazione e sapere sociologico. Metodi e tecniche di gestione dei processi decisionali”, F.
Angeli, Milano 1995, p. 296
192
Claudio Bezzi - Livia Bovina - Eva Jannotti - Marta Scettri, La valutazione della comunicazione pubblica,
Irres - Regione dell’Umbria, Perugia 1995, p. 34
239
una di esito. In questo arco la funzione di verifica rappresenta una condizione
necessaria e pregiudiziale a quella vera e propria della valutazione.
Verificare significa infatti assumere uno o più valori di verità, tali per cui è possibile
attuare controllo che entra nel merito dei risultati. Il valore di verità usualmente può
avere forma diversificata e rappresenta in ogni caso un criterio di misura del
risultato.
I valori di verità utilizzati, in quanto misurabili, possono assumere la forma di scale
di misurazione quantitative (a intervalli o di rapporti) o qualitative (nominali e
ordinali).
Valutare significa esprimere un giudizio sul risultato o su parti di esso, mettendo in
campo l’esperienza, l’affettività, la soggettività...
A differenza della verifica, nel caso della valutazione si stabiliscono rapporti
produttivi di giudizio fra attese, esperienze del processo e dei suoi esiti, che
garantiscono significati aggiuntivi, di ordine qualitativo, a quanto viene prima
verificato e poi valutato.193
la valutazione necessita della pluralità degli attori e dei metodi
Misurare la qualità dei servizi e delle prestazioni offerte da un servizio socioassistenziale è in sé un’impresa che richiede l’impegno comune di molteplici attori,
l’esame di ogni “oggetto” e delle relazioni tra oggetti, la confluenza della valutazione
di struttura, di processo e di esito e la sinergia di metodi, tecniche e strumenti. In
altre parole, è necessario applicare appieno un processo valutativo complesso e
policentrico Anche se nulla vieta di tendere alla valutazione ideale, è praticamente
impossibile controllare in tutte le sue variabili un simile modello valutativo, tanto che
la selezione di un percorso semplificato di valutazione è, nei fatti, necessaria per
ottenere risultati empirici accettabili.194
la valutazione come mediazione fra molteplici soggetti
Valutare la qualità non può essere concepito come qualcosa di statico o di astratto.
La valutazione reale è un processo, in cui convergono molteplici attori, con
molteplici punti di vista. L'obbiettivo è, certo mettere in comunicazione e quindi far
193
Tiziano Vecchiato, La valutazione: livelli e condizioni, “Servizi sociali” (monografico su “La qualità nei
servizi sociali e sanitari”), Fondazione E. Zancan, n. 3, 1995, pp. 20-21
194
Luigi Benedetti, Misurare la qualità: i servizi per l’handicap, “Tutela. Trimestrale di politiche sociali”, a.
XI, n. 1-2, giugno 1996, p. 25
240
convergere i diversi punti di vista. Ma i punti di partenza del processo restano vari e
probabilmente differenziati.
Valutare, in un contesto di crescente complessità significa infatti non solo essere dei
tecnici, dei misuratori, ma soprattutto essere dei mediatori non nel senso
semplicistico di esperti della ricerca del compromesso, ma nel senso di essere capaci,
prima, di identificare i molteplici soggetti che interagiscono, i rispettivi interessi e
valori, per riuscire, poi, a mettere in comunicazione i diversi punti di vista.195
il valutatore è vincolato al mandato pattuito con lo sponsor
E’ bene considerare che il valutatore di norma agisce secondo un mandato
conferitogli dallo sponsor della valutazione, che spesso coincide con il decisore. In
questa sede, da un lato, il valutatore può negoziare il mandato, tenendo in debito
conto le implicazioni che esso può comportare; dall’altro lato, tuttavia, in questa
stessa sede il valutatore assume (liberamente) degli obblighi contrattuali che poi lo
vincolano a fornire, quantomeno, le risposte che il decisore gli chiede.
ruolo e limiti dell’Unione Europea nella valutazione
La spinta europea ha influenzato il modo di fare le domande di valutazione, ha creato
un mercato particolare, e ha imposto un modo di fare valutazione che rischia di
scalzarne altri.196
valutazione ‘buona’ e valutazione ‘cattiva’
[Nel mercato italiano della valutazione] Si sono venuti imponendo modelli di
valutazione che hanno spiazzato i tentativi più originali degli operatori più piccoli, o
comunque di quei soggetti che sono esclusi dal mercato della valutazione come si è
venuto a costituire in quegli anni. Si verifica, su queste premesse, una tendenza a
distinguere in modo arbitrario fra approcci, metodi e tecniche “scientifici” (spesso
identificati con alcuni metodi quantitativi) e approcci, metodi e tecniche “qualitativi”
(dove l’aggettivo “qualitativo” non viene utilizzato nella sua corretta accezione ma
come sinonimo di “scadente, non scientifico”).197
unicità della valutazione
195
Leonardo Altieri, La valutazione in sanità dopo il DL 502/92, “Rassegna Italiana di Valutazione”, n. 3, 1996
196
Nicoletta Stame, Introduzione, in Nicoletta Stame (a cura di), “Valutazione 2001. Lo sviluppo della
valutazione in Italia”, Franco Angeli, Milano 2001, p. 9
197
Paola Casavola e Laura Tagle, Per una valutazione migliore: innovazioni nella Pubblica Amministrazione,
in Nicoletta Stame (a cura di), “Valutazione 2001. Lo sviluppo della valutazione in Italia”, Franco Angeli,
Milano 2001, p. 71
241
per quanto sappiamo che ciascuno fa valutazione in un ambito separato e con
approcci diversi, pure riteniamo che vi sia un terreno comune che riguarda il
significato della valutazione in generale, al quale tutti dovrebbero ispirarsi e a cui
tutti potrebbero contribuire.198
leadership tecnica del valutatore
E’ generalmente riconosciuto che il valutatore dovrebbe mantenere un ruolo di
leadership nel corso della valutazione e che la natura di tale leadership debba essere
tecnica, per assicurare un’accurata raccolta e interpretazione dei dati, che garantisca a
tutti quelli coinvolti nel processo di valutazione di poter esprimere la propria
opinione e che, una volta giunti alle conclusioni e alla formulazione di
raccomandazioni, assicuri che il valutatore ne assuma la responsabilità.199
scarso valore della valutazione ridotta a controllo di gestione
La scarsa portata euristica del “controllo di gestione” – inteso nell’accezione
procedurale e contabile – continua a segnare l’esperienza italiana di valutazione,
imbrigliando uno sforzo di ricerca sulla qualità dell’azione pubblica in una fitta rete
di controlli formali, standard e check list di controllo.200
qualità e valutazione
qualità e valutazione, nate in contesti profondamente diversi, si sono però sviluppate
in un modo tale da risultare convergenti.201
la valutazione nella politica
la valutazione – come dice Weiss – non può essere separata dalla politica, anzi ne
deve tener conto. Quindi deve pensarsi utile non nel senso di far bene il proprio
lavoro, e poi aspettarsi che la politica prosegua, ma nel senso di essere pienamente
consapevole di lavorare in un contesto politico, con problemi difficili, interessi
divergenti, scarsa razionalità.202
198
La nuova RIV. Un programma di lavoro per la comunità dei valutatori, redazionale, “Rassegna Italiana di
Valutazione”, a. VII, n. 25, 2003, p. 9
199
Marta Foresti, La partecipazione in ambito valutativo: mito o realtà? Teoria e pratica degli approcci
partecipati in valutazione, “Rassegna Italiana di Valutazione, a. VII, n. 25, 2003, p. 66
200
Folco Cimagalli, Valutazione e ricerca sociale. Orientamenti di base per gli operatori sociali, Franco
Angeli, Milano 2003, p. 126
201
Luca Lo Schiavo, Qualità e valutazione: confini e valichi di transito, in Nicoletta Stame (a cura di),
“Valutazione 2001. Lo sviluppo della valutazione in Italia”, Franco Angeli, Milano 2001, p. 71
202
Nicoletta Stame, Come facilitare l’uso delle valutazioni, in Nicoletta Stame (a cura di), “Valutazione 2001.
Lo sviluppo della valutazione in Italia”, Franco Angeli, Milano 2001, pp. 319-320
242
la valutazione come sociologia utile
La valutazione rappresenta la più accreditata versione attuale dell’antica e pervicace
ambizione della sociologia di servire a qualcosa203
problemi correnti della valutazione delle politiche
E’ curioso che la prima verità lapalissiana a proposito della sincronizzazione della
ricerca rispetto alle politiche non corrisponda alla sequenza seguita nella maggior
parte delle ricerche valutative Una seconda ferrea legge dei tempi di ricerca è che si
tende a chiedere ai ricercatori di riferire sull’impatto del programma prima che esso
sia terminato. Per questo motivo, la portata delle valutazioni è piuttosto limitata.
riguardo alla parte più problematica della valutazione “alla carlona”, si deve
osservare che la ricerca svolta sotto costrizioni politiche (e finanziarie) permette di
rado il distacco necessario a un’indagine oggettiva204.
la buona conoscenza delle tecniche non basta a sostenere un intervento valutativo
Va infine ricordato che un esteso e disinvolto uso delle tecniche disponibili non può
supplire alla mancanza di una reale progettazione dell'intervento valutativo che
richiede professionalità specifiche, e una reale disponibilità al confronto e una certa
flessibilità operativa, oltre, naturalmente, ad una buona competenza circa l'oggetto
d'analisi205
la soggettività dei diversi attori implicati complica la valutazione dei servizi
Si deve sempre ricordare che ogni processo valutativo è fondamentalmente segnato
dalla soggettività e che quanto più numerosi sono i soggetti valutanti (con le loro
diverse e a volte contrastanti finalità) più sarà difficile formulare un giudizio di
qualità unico e condiviso da tutti: Qualora si intenda pervenire a questo si dovrà
promuovere un confronto tra i soggetti e la integrazione e armonizzazione dei diversi
criteri, indicatori e standard.206
203
Enzo Campelli, Presentazione, in Realismo e valutazione, a cura di Antonio Fasanella e Nicoletta Stame,
“Sociologia e ricerca sociale”, n. 68/69, 2002, p. 9
204
Ray Pawson, Una prospettiva realista. Politiche basate sull’evidenza empirica, in Realismo e valutazione,
a cura di Antonio Fasanella e Nicoletta Stame, “Sociologia e ricerca sociale”, n. 68/69, 2002, pp. 13-14
205
Alberto Silvani, I metodi, le tecniche e le procedure per la valutazione della ricerca, "UR - Università
Ricerca", n. 3, 1998, p. 14
206
Mauro Palazzi – Paolo Ugolini, La valutazione della qualità negli interventi di prevenzione dei servizi sociosanitari, in Paolo Ugolini – Franco C. Giannotti (a cura di), “Valutazione e prevenzione delle tossicodipendenze.
Teoria, metodi e strumenti valutativi”, Franco Angeli, Milano 1998, p. 73
243
il confronto fra approcci qualitativi e quantitativi frutto di separazioni disciplinari
ideologiche
L’incomunicabilità tra gli approcci più tecnici e “quantitativi” rispetto a quelli più
squisitamente “qualitativi” non è tanto nella sostanza delle analisi (dalla condivisione
delle premesse alla lettura dei risultati), ma risiede il più delle volte non solo nel
diverso linguaggio adottato, che a sua volte risente di antiche e arrugginite rivalità tra
economisti e sociologi, tra econometrici e psicologi sociali, e così via, ma anche
nella separazione tra le varie discipline ovvero nella specializzazione all’interno di
una disciplina e nel rifiuto dell’altra.207
debolezza nell’offerta di professionisti della valutazione
La scarsa domanda di valutazione nelle procedure decisionali standard, ha generato
una parallela debolezza nell'offerta di tecnici e professionisti in tale campo; il
mancato sviluppo di un "mercato della valutazione" è stato tale che, a fronte della
richiesta di moduli, studi e rapporti, come, per esempio, nel caso dei Fondi strutturali
Europei, si è fatto ricorso all'universo indifferenziato dei consulenti, con ben poche
competenze specifiche nel campo della R&S.208
la certificazione fra valutazione e idea di qualità
In tutti i casi, la certificazione rinvia a due dimensioni di fondo:
- in primo luogo agli atti valutativi che la precedono (in questo senso essa è la
risultante di analisi orientate alla formulazione di giudizi di valore);
- in secondo luogo, all'idea di qualità.
E' possibile cioè stabilire, avendo come punto di riferimento un insieme di criteri, di
preferenze, di interessi,
- se un oggetto sia dotato di caratteristiche corrispondenti ad una data soglia di
requisiti "tangibili",
- oppure (ed è il caso di un servizio) se una prestazione risulti adeguata ai livelli di
aspettative di chi ne è destinatario,
- oppure ancora (ed è il caso di una prova d'esame) se la performance abbia raggiunto
uno standard predefinito.
207
Marta Scettri, La valutazione delle politiche di sviluppo economico locale, in Mauro Palumbo (a cura di),
“Valutazione 2000. Esperienze e riflessioni”, Franco Angeli, Milano 2000, pp. 221-222
208
Alberto Silvani - Giorgio Sirilli, Lo stato dell'arte della valutazione della ricerca in Italia: un difficile
equilibrio tra domanda ed offerta, "UR - Università Ricerca", n. 3, 1998, p. 19
244
Se è dunque vero che la dimensione valutativa e quella della qualità costituiscono i
referenti cruciali della certificazione, è necessario mettere in evidenza come l'una e
l'altra assumano caratteristiche del tutto particolari nei casi in cui la certificazione ha
come oggetto una prestazione immateriale.
In primo luogo, perché i criteri che definiscono la qualità di una prestazione non
materiale hanno un carattere irriducibilmente locale proprio perché determinati dal
particolare tipo di relazione che, in un momento dato, si stabilisce tra l'erogatore e il
fruitore.
In secondo luogo (e per conseguenza), perché tali criteri sono cangianti in ragione
delle preferenze del fruitore/cliente, delle disposizioni dell'erogatore e, dunque, in
ultima analisi, del contesto e del processo di "costruzione" dell'evento.
In terzo luogo, perché la stessa "produzione"-fruizione, può essere apprezzata (cioè
valutata, dunque connotata qualitativamente e quindi certificata) solo nel momento
stesso della sua erogazione - ed evidentemente, in forme più articolate ed
argomentate, in un momento successivo. 209
la valutazione come negoziazione
I parametri e i criteri in base ai quali giudicare della bontà di programmi, progetti,
interventi, innovazioni, prodotti educativi non possono essere frutto che di una
“negoziazione”; sono validi nella misura in cui risultano consensuali, sono attendibili
se riflettono aspirazioni e intenzioni condivise. Ciò nulla toglie al rigore
metodologico con il quale le procedure valutative vanno impostate e condotte; la
questione di fondo – relativa a chi competa definire parametri, criteri e livelli di
qualità, alle modalità di elaborazione di tali parametri e a chi spetti garantirne il
rispetto nei procedimenti valutativi – non incide sulla pratica della valutazione la
quale, fondandosi sull’accertamento dello scarto tra essere e dovere essere, implica
un procedimento tecnico da condursi nella maniera più corretta possibile. Voglio dire
che la difficoltà insita in ogni tentativo di definire la “qualità” di un servizio o di una
agenzia educativa non può e non deve escludere per principio la possibilità di una
loro valutazione. Il tipo di valutazione che si intraprenderà dipenderà strettamente da
questa operazione preliminare di definizione negoziata e condivisa di qualità. Se le
idee circa la “qualità” risultassero inesprimibili anche la valutazione risulterebbe
impraticabile. Per converso, ogni sforzo nell’esplicitare le idee di qualità condurrà a
209
Domenico Lipari, Note preliminari sulla certificazione delle azioni formative nelle amministrazioni
pubbliche, "Rassegna Italiana di Valutazione" n. 4, 1996
245
scegliere, tra le diverse forme e i diversi modelli di valutazione, quelli che, di volta in
volta, appariranno più produttivi ed efficaci210
non neutralità delle tecniche
Gli strumenti non sono neutri in quanto la formulazione del giudizio viene compiuta
riferendosi a modelli, più o meno espliciti, che dichiarano ciò che fa l’identità e la
qualità di un servizio come il nido. Tale “non neutralità” è intrinseca al procedimento
valutativo la cui correttezza si gioca essenzialmente in termini di dichiarazione
esplicita degli scopi e delle funzioni dell’istituzione che si intende giudicare e, su
questa base, di un’altrettanto esplicita definizione dei fattori, delle dimensioni, degli
aspetti che fanno la qualità, della loro gerarchia e dei loro intrecci
indicatore di successo della valutazione
la misura del successo della valutazione può essere rappresentata dall’ampiezza dei
cambiamenti intervenuti nel comportamento degli attori, della politica e/o del
programma211
successo della valutazione in un contesto turbolento
la probabilità di successo della valutazione è più alta in un ambiente turbolento. Il
momento più favorevole ai valutatori è quando l’ambiente cambia rapidamente e in
maniera imprevedibile, come attualmente. Perché? Perché in un contesto più stabile o
più prevedibile esiste un modello alternativo di presa di decisione, la pianificazione.
Quando non si riesce a prevedere, gli sguardi si rivolgono al passato. Poiché non si
può preveder il futuro, la valutazione acquista un ruolo più importante. Il che
equivale a dire che ben difficilmente la valutazione potrà avere come orizzonte e
paradigma unicamente gli obiettivi iniziali. In un ambiente in mutamento
imprevedibile, infatti, è abbastanza normale che non si siano raggiunti gli obiettivi; è
a questo punto che diviene interessante svolgere una valutazione ed è più probabile
che essa abbia successo.
costi della mancata valutazione
Tra i “costi” della mancanza di valutazione va considerato non soltanto il venir
meno dello strumento che dovrebbe consentire il feed-back tra ciascuna esperienza
condotta e il ciclo di programmazione successivo. La scarsità di informazioni e la
210
Anna Bondioli, Indicatori operativi e apprezzamento della qualità: modi e ragioni del valutatore, in L.
Cipollone (a cura di) “Strumenti e indicatori per valutare il nido”, ed. Junior, Milano 1999, pp. 35-36
211
Bruno Dente, La politica di valutazione nelle politiche pubbliche, “Rassegna Italiana di Valutazione”, n. 19,
luglio-settembre 2000, p. 12
246
quasi completa mancanza di valutazioni relative ai molteplici interventi realizzati
impediscono che tale patrimonio di esperienze generi quell’accumulazione di
conoscenze che consentirebbe di selezionare, imitare, adattare ai diversi contesti le
pratiche migliori.212
arroganza della valutazione
E’ possibile anche che il fastidio provato nei confronti della valutazione trovi
alimento in una più sottile percezione di arroganza della valutazione stessa. Questa
talvolta viene presentata o può essere percepita come un esercizio consistente nella
mera applicazione di una qualche tecnica statistica, il cui esito consisterebbe in un
verdetto pressoché indiscutibile di condanna o assoluzione nei confronti di un dato
programma. Così concepita, la valutazione presenterebbe una sorta di vizio
positivistico in quanto assolutamente fiduciosa della capacità degli strumenti di
indagine utilizzati di cogliere appieno e di dire l’ultima parola sulle molte dimensioni
economiche e sociali dei processi innescati da un intervento pubblico.
Al contrario, la valutazione così come è intesa dagli studiosi più avvertiti e più
autorevoli costituisce un passaggio dentro un più ampio circuito di analisi,
discussione e decisione relative alle politiche pubbliche che coinvolge diversi
soggetti.213
uso eccessivo ma confuso del termine ‘qualità della vita’
L’uso spesso spregiudicato ed indiscriminato di questa parola [qualità della vita],
dotata di un appeal particolare, deriva probabilmente dalla sua capacità di evocare e
riassumere la complessità dei problemi che caratterizzano l’esistenza dell’uomo
moderno in senso non esclusivamente materiale. Alla diffusione del termine non ha
peraltro corrisposto una precisa definizione del concetto.214
tenere conto dell’autovalutazione dei soggetti
la critica fondamentale che possiamo muovere alle ricerche [sulla qualità della vita]
che si basano su valutazioni standard e non tengono conto dei processi di
212
Giuseppe Croce, Limiti e prospettive della valutazione delle politiche di creazione di impresa in Italia, in
Raffaele Brancati (a cura di), “Analisi e metodologie per la valutazione delle politiche industriali”, Franco
Angeli, Milano 2001, p. 209
213
Giuseppe Croce, Limiti e prospettive della valutazione delle politiche di creazione di impresa in Italia, in
Raffaele Brancati (a cura di), “Analisi e metodologie per la valutazione delle politiche industriali”, Franco
Angeli, Milano 2001, p. 211
214
Giampaolo Nuvolati – Francesca Zajczyk, L’origine del concetto di qualità della vita e l’articolazione dei
filoni di studio nella prospettiva europea, in Leonardo Altieri – Lucio Luison (a cura di), “Qualità della vita e
strumenti sociologici. Tecniche di rilevazione e percorsi di analisi”, Franco Angeli, Milano 1997, p. 11
247
autovalutazione da parte dei soggetti riguarda l’arbitrarietà nella selezione e
ponderazione degli items da parte dei ricercatori.
relatività del concetto
[il concetto di qualità della vita] è un concetto relativo, soggetto ad evolversi
parallelamente al cambiamento del sistema sociale, al ruolo ed agli obiettivi
perseguiti dal sistema di Welfare. Questa affermazione complica sicuramente il
problema della definizione del concetto di qualità della vita, ed ancor più la
possibilità di fruire di tali misurazioni per lo sviluppo di ricerche di comparazione a
livello internazionale.215
la valutazione come arte
Nell’ambito della valutazione, come in campo psicologico, educativo e sociologico,
vi è una diffusa consapevolezza da parte degli operatori circa il fatto che le pratiche
proprie a tali ambiti richiedono un’arte fondata sulla scienza e non una semplice
forma di scienza applicata come la costruzione di ponti o la previsione del ritorno
della cometa Hale Bopp216
la valutazione definisce il concetto di qualità
Si può definire la qualità valutandola. Si tratta di un percorso a ritroso, che, sulla
base degli esiti di una verifica, consente di riflettere sul modello che orienta
l’investimento sulla qualità.217
valutatori come mediatori
Valutare, in un contesto di crescente complessità significa infatti non solo essere dei
tecnici, dei misuratori, ma soprattutto essere dei mediatori non nel senso
semplicistico di esperti della ricerca del compromesso, ma nel senso di essere capaci,
215
Giovanni Bertin, Alcuni problemi metodologici nell’uso del concetto di qualità della vita per il confronto e
la valutazione dei diversi sistemi di Welfare State, in Leonardo Altieri – Lucio Luison (a cura di), “Qualità
della vita e strumenti sociologici. Tecniche di rilevazione e percorsi di analisi”, Franco Angeli, Milano 1997, p.
40
216
Michael Scriven, La valutazione: una nuova scienza, in Anna Bondioli – Monica Ferari (a cura di),
“Manuale di valutazione del contesto educativo: teorie, modelli, studi per la rilevazione della qualità nella
scuola”, Franco Angeli, Milano 2000, p. 27
217
Paola Livraghi, Valutare la qualità dell’asilo nido, in Anna Bondioli – Monica Ferari (a cura di), “Manuale
di valutazione del contesto educativo: teorie, modelli, studi per la rilevazione della qualità nella scuola”, Franco
Angeli, Milano 2000, p. 215
248
prima, di identificare i molteplici soggetti che interagiscono, i rispettivi interessi e
valori, per riuscire, poi, a mettere in comunicazione i diversi punti di vista.218
Non usare il solo punto di vista degli utenti
dobbiamo dire no all’eccessiva enfasi sui sondaggi relativi alla soddisfazione degli
utenti, tanto più se, illusoriamente, si ritenesse che tali sondaggi siano esaustivi della
valutazione di qualità dal lato utenti. L’apprezzamento dell’utente è senza dubbio un
sintomo rilevante, ma non è la rappresentazione oggettiva della qualità del servizio,
non si pone cioè l’identificazione: soddisfazione uguale a buona qualità.
qualità come processo
la definizione della qualità è piuttosto un processo che ha valore in sé, un processo
continuo.219
contro gli standard
Lo standard non esprime l’eccellenza, una capacità raffinata di valutare i fenomeni in
termini numerici, ma una semplificazione che si utilizza nelle condizioni nelle quali
la conoscenza dei fenomeni stessi è ridotta, non si ha una teoria convincente
dell’attore sociale.
Il ricorso allo standard riduce notevolmente i fabbisogni conoscitivi di carattere
relazionale: è sufficiente rilevare lo stato dell’offerta, raffrontarlo allo stato assunto
come ideale, per individuare i bisogni umani che rimangono da soddisfare,
prescindendo dalla conoscenza degli individui ai quali i servizi sono offerti.220
ritardi metodologici e dimensione del potere nella valutazione dell’educazione degli
adulti
Colpisce, nel panorama degli interventi di carattere socio-educativo con gli adulti,
ma non solo, la discrepanza tra know-how metodologico sulla valutazione e
diffusione delle pratiche valutative, spesso assai semplificate, riduttive, quando non,
di fatto, assenti. A cosa è addebitabile tale discrepanza, che sembra riproporre,
ancora una volta, la distanza tra ricerca e azione, tra teoria ed esperienza? Se vari
218
Leonardo Altieri, Valutazione della qualità / qualità della valutazione. Problemi metodologici della ricerca
valutativa in sanità, in Leonardo Altieri – Lucio Luison (a cura di), “Qualità della vita e strumenti sociologici.
Tecniche di rilevazione e percorsi di analisi”, Franco Angeli, Milano 1997, pp. 93-94
219
Laura Cipollone, Un sistema di qualità dei servizi per l’infanzia e l’adolescenza, in Laura Cipollone (a cura
di), “Il monitoraggio della qualità dei servizi per l’infanzia e l’adolescenza”, edizioni Junior, Bergamo 2001, p.
16
220
Remo Siza, La progettazione autoreferenziale e la progettazione comunicativa: due prospettive di analisi e
d’intervento, “Sociologia e professione”, settembre 1999, n. 35, p. 32
249
fattori, d’ordine culturale e sociale, sono individuabili, un ruolo particolarmente
rilevante tra questi è svolto, a mio giudizio, dalla questione del “potere” in
valutazione. Da più parti riconosciuta come una delle dimensioni costitutive
dell’agire valutativo, il potere è connesso alla possibilità, attraverso la valutazione, di
esprimere il proprio punto di vista, i propri apprezzamenti e giudizi, influenzare
l’andamento delle azioni.
La questione del “potere” in valutazione è cruciale; essa non può essere elusa e
richiede risposte non tanto sul piano dell’affinamento delle metodologie e degli
strumenti di valutazione, quanto su quello dello sviluppo di culture valutative
mature.221
la valutazione da dovere normativo a processo utilizzato a supporto delle decisioni
La scelta di rafforzare la funzione e i contenuti della valutazione e l’opzione verso
approcci dinamici, di feedback fra programmatore e valutatore, contenuta nel
principale documento programmatorio del Fondo sociale europeo in Italia – il
Quadro comunitario di sostegno – così come nelle linee guida per la valutazione,
rappresentano il segnale del superamento di una logica normativa, in cui la
valutazione è intesa come dovere/vincolo dato dalle regole dei Fondi strutturali, nella
direzione di un suo utilizzo a supporto delle decisioni di policy.222
autoreferenzialità del valutatore
“che cosa” valutare (l’oggetto) è connesso a “perché” valutare (la finalità e la
motivazione), e ciò è a sua volta connesso a “per chi” valutare (il committentecliente).
Ancora troppo spesso la progettazione di sistemi di valutazione elude il necessario
principio di coerenza interna tra queste tre dimensioni (per chi, perché, che cosa), e
tra queste tre e la quarta (come): tale elusione è all’origine di sistemi-modelli o di
interventi sostanzialmente autoreferenti, centrati sugli interessi del ricercatore (che
invece di individuare il committente e analizzarne la domanda statuisce la propria
221
Piergiorgio Reggio, L’esperienza che educa. Strategie d’intervento con gli adulti nel sociale, Ed. Unicopli,
Milano 2003, pp. 181 e 182
222
Aviana Bulgarelli, Introduzione, in Isfol – Struttura nazionale di valutazione del Fondo sociale europeo,
“Formazione e lavoro. Effetti del Fondo sociale europeo sull’occupabilità in Italia”, Franco Angeli, Milano
2001, pp. 25-26
250
come cogente), oppure sulla disponibilità di una determinata metodologia (che come
tale in parte determina che cosa e come è indagabile e quindi valutabile).223
banalizzazione della valutazione in formazione tramite l’analisi del gradimento dei
partecipanti
si assiste a un fenomeno generalizzato di elusione dei problemi reali della
valutazione che si manifesta in due modi. Da un lato si conferma la persistenza degli
schemi tradizionali basati sulla logica del controllo. Dall’altro lato
si vengono
affermando (e con un rilievo crescente – fino a diventare perfino sostitutive della
valutazione degli apprendimenti) le valutazioni di gradimento realizzate attraverso
l’immancabile “questionario di fine corso” (che rappresenta uno dei riti più
consolidati tra quelli che si celebrano nella pratica formativa) al quale si attribuisce
un valore sovradimensionato nella misura in cui non si tiene conto del fatto che le
percezioni e il giudizio dei partecipanti – pure necessari – sono del tutto parziali,
soprattutto in assenza di altre e più articolate valutazioni. Si giunge in tal modo a
un’autentica banalizzazione della pratica valutativa.224
223
Giovanni Bresciani, I problemi di valutazione degli interventi di orientamento, in Maura Franchi e Mauro
Palumbo (a cura di), La valutazione delle politiche del lavoro e della formazione, “Sociologia del lavoro” n.
77, Franco Angeli, Milano 2000, p. 215
224
Domenico Lipari, Logiche di azione formativa nelle organizzazioni, Guerini e Associati, Milano 2002, pp.
81-82
251
Definizioni che sottolineano la relazione tra ricerca valutativa e sfera politica, la
valutazione come decisione:
Valutazione come DECISIONE e PARTECIPAZIONE
la valutazione deve essere programmata inizialmente assieme al progetto
Teoricamente la valutazione dovrebbe essere pianificata e sviluppata parallelamente
alla pianificazione e allo sviluppo delle attività del progetto. Molti dei dati necessari
per la valutazione devono essere messi a punto prima di varare il progetto e prima
che cominci il previsto processo di trasformazione. Anche la procedura di
definizione degli obiettivi per le attività del progetto deve essere parallela alla
definizione dei parametri di valutazione di cui ci si serve per accertare risultati,
efficacia e impatto delle attività del progetto che verranno svolte in seguito.1
valenza ‘politica’ della valutazione come atto consapevole di ricerca dell’efficacia
La ricerca valutativa potrebbe essere paragonata ad una scelta politica, perché
accoglie il principio della irrinunciabilità del vaglio critico sull’azione intrapresa, per
evitare di lasciarsi sopraffare dalla logica di evoluzione propria delle istituzioni, più
pronte a svilupparsi in termini burocratici e di vertice che in termini di reale
trasformazione come effetto di un costante autocontrollo.
E’ ancora un fatto politico perché investe di responsabilità oggettiva amministratori e
operatori resi capaci oltre che di valutarsi, anche di assumere il coraggio di verificare
e accettare l’insuccesso e quindi di modificare la propria presenza operativa.
E’ infine un fatto politico perché presuppone la sistematicità conoscitiva quale
premessa all’operare, rifiutando l’atteggiamento dell’intervento spicciolo, del vivere
alla giornata senza un inquadramento generale nell’arco dei più ampi obiettivi che
l’istituzione si pone e soprattutto perché rifiuta la pericolosa illusione che “il fare”
nuovo e diverso sia “a priori” migliore del tradizionale modo di fare, senza averne
misurata l’effettiva utilità, né la qualità dei cambiamenti sociali che ne derivano.2
di fronte alla complessità sociale lo Stato moderno deve essere ‘modesto’
Lo Stato moderno - [secondo Michel Crozier] - è evoluto da corpo ristretto di
funzionari che si occupano esclusivamente di ordine pubblico e difesa a stato del
benessere che fornisce servizi pubblici ai cittadini in modo eguale e massificato. Ma
lo Stato moderno si trova di fronte una società complessa che esprime bisogni
1
Sven Grabe, Manuale di valutazione, ASAL 1986, p. 291
2
Lorenzo Bernardi - Tony Tripodi, Metodi di valutazione di programmi sociali, Fondazione Zancan, Padova
1981, p. 12
252
diversificati e di qualità, tali da non poter essere tutti assolti dalle politiche statali.
Così, se esso si attardasse sul vecchio modello di soddisfazione dei bisogni non
potrebbe che essere autoritario ed arrogante, oltre che irrazionale nel modo di
allocare le proprie risorse. Di qui - secondo Crozier - l’esigenza che lo Stato impari
ad essere modesto. Il che significa: scegliere bene i settori nei quali intervenire,
valorizzare le risorse umane presenti tra i funzionari e rivolgerle al servizio degli
utenti, sollecitare la partecipazione degli utenti e la responsabilizzazione degli
impiegati al fine di un uso del pubblico denaro senza sperperi. Ma uno Stato che si
ponga questi obiettivi deve essere in grado di conoscere e mettere a confronto i
risultati di diverse politiche, e la pratica costante della valutazione è un suo requisito
fondamentale.3
impossibile separazione, nella Valutazione di impatto ambientale, fra sfera
scientifica e sfera sociale e politica
Non è pensabile che la strutturazione procedurale della valutazione di impatto
ambientale possa avvenire operando una rigida separazione fra quanto attiene la
sfera della ricerca scientifica e quanto quella sociale e politica perché in tal caso si
ricadrebbe nella tradizionale e critica situazione in cui la prima produce conoscenze
che la seconda sistematicamente trascura e, viceversa, le aspettative sociali,
economiche e gestionali non vengono fatte proprie dai programmi di ricerca,
perdendo in tal modo gran parte della valenza innovativa della V.i.a.4
la valutazione fra desiderio di complessità metodologica e realtà di risorse
disponibili scarse
Accade spesso che i tempi a disposizione dell’organizzazione per prendere una
decisione o le risorse che intende investire per aumentare la propria capacità di
giudizio sugli effetti di un progetto o di una politica risultino difficilmente
compatibili con la costruzione di modelli di monitoraggio e valutazione dei risultati
perseguiti attraverso disegni di ricerca e strumenti di analisi complessi.
La valutazione sembra eternamente sospesa fra una tensione alla scientificità
assoluta che richiama l’uso di strumenti complessi caratterizzata dalla necessità di
pensare ad investimenti rilevanti ed a tempi di lavoro medio-lunghi, e l’incalzare di
3
Nicoletta Stame Meldolesi, La valutazione delle politiche pubbliche in Francia, “Rivista trimestrale di scienza
dell’amministrazione”, n. 1, 1994, p. 24
4
Renzo Marini, Gestione delle conoscenze e processi politico-decisionali: il caso della valutazione di impatto
ambientale, in F. Beato (a cura di), “La valutazione di impatto ambientale. Un approccio integrato”, Franco
Angeli, Milano 1991, p. 218
253
un processo decisionale che non lascia al decisore il tempo necessario alla riflessione
costringendolo a ripiegare sul suo intuito e sulla sua percezione.5
la valutazione rafforza la centralità della pubblica amministrazione
La adozione sistematica di tecniche di valutazione dei progetti (valutazione di
impatto ambientale, analisi finanziaria, analisi economica, valutazione delle
tecnologie, valutazione del rischio, etc.) nel corpo dei procedimenti amministrativi di
pianificazione e di controllo delle trasformazioni territoriali comporta un vero e
proprio capovolgimento di senso e di ruolo della pubblica amministrazione,
rafforzandone la centralità.6
ineludibilità degli aspetti soggettivi nella valutazione di impatto ambientale
Malgrado sia generale l’accordo sul fatto che ignorare la presenza di atteggiamenti e
motivazioni può essere fonte di seri guai per il decisore, nessun tentativo
apprezzabile è stato finora sviluppato per introdurre questi fattori nella valutazione
ambientale. La dimensione sociale è stata infatti recepita soltanto in termini di
preoccupazione per la salute, per l’economia e per l’occupazione o, altrimenti, in
termini di disponibilità e accesso ad infrastrutture e servizi. Si è giustamente dato
valore ai bisogni primari, senza affinare la valutazione attraverso l’introduzione di
criteri per misurare la qualità della vita e per recepire le differenti “viste” dei vari
soggetti.
Questa carenza si riflette anche sulla procedura amministrativa, che risulta
schematica, povera e, per certi versi, sia aperta all’arbitrio dell’ente investito delle
scelte, sia esposta all’ostruzionismo di chi decide di opporsi. I fattori motivazionali e
soggettivi, che proprio attraverso la Valutazione di impatto ambientale avrebbero
dovuto essere superati, tornano in effetti in gioco.7
ruoli distinti per valutazione e processo decisionale, che decide le priorità
I processi valutativi non possono operare senza riferimenti socio-politici. In
particolare, è la collettività che deve decidere il valore ed il grado di priorità da
attribuire alle variabili che la valutazione tenta di misurare. La valutazione serve per
5
Giovanni Bertin, Un modello di valutazione basato sul giudizio degli esperti, in C. Bezzi - M. Scettri (a cura
di), “La valutazione come ricerca e come intervento”, Irres, Perugia 1994, pp. 59-60
6
Rino Rosini, Una metodologia di valutazione di impatto nella pianificazione territoriale. Applicazioni ed
esperienze in Emilia Romagna, in: Aisre, “XII Conferenza italiana di scienze regionali - Messina-Taormina 2124 ottobre 1991”, volume 1, Palermo 1991, p. 469
7
Alberto Gasparini - Gilberto Marzano - Luigi Pellizzoni, Un approccio collaborativo alla Via, in: A. Gasparini
- G. Marzano, “Tecnologia e società nella valutazione di impatto ambientale”, F. Angeli, Milano 1991, p. 33
254
mantenere il sistema attivo e capace di apprendere, ma non può sostituirsi ai processi
decisionali che i politici attuano su mandato della società.8
matrimonio complicato fra valutazione e politica
[la valutazione] è soprattutto una logica scientifica applicata ad un contesto politico:
vanno quindi tenute presenti tutte le contraddizioni che nascono da questo strano
matrimonio tra categorie la cui esistenza si realizza su piani diversi, la comunicazioni
fra le quali inoltre è complicata dall’uso di codici linguistici e comportamentali di
difficile integrazione.9
ragioni dell’impermeabilità del sistema sociosanitaria alla valutazione
Incompatibilità tra logica valutativa e impostazione burocratica dell’organizzazione
sociosanitaria, resistenze manifestate dal corpo politico, tecnico e professionale,
scarsa maneggevolezza di metodi e tecniche di valutazione ancora troppo rigidi e
formalizzati hanno prodotto una situazione di perdurante estraneità della valutazione
rispetto all’azione ordinaria del sistema sociosanitario.10
necessaria utilizzabilità della valutazione
una valutazione per essere efficace deve generare informazioni che siano utilizzabili
o nel disegno di un intervento pubblico o nella sua implementazione
Valutazioni efficaci sono quelle che generano un’informazione che risponde alle
reali necessità conoscitive dei policymaker e di chi disegna gli interventi, di chi li
attua e di chi ne usufruisce come utente.11
i destinatari della valutazione sono i decisori
La valutazione acquisisce un chiaro connotato di supporto alle decisioni, senza più il
rischio di un utilizzo strumentale di tipo meramente politico, in quanto i destinatari
della valutazione sono gli stessi organi politici e tecnici che devono decidere nel
merito e che hanno necessità di conoscere:
• l’impatto sul territorio e/o su settori economici
8
Katharine Barker - Luke Georghiou, La valutazione dell’impatto socio-economico della R&D finanziata con
fondi pubblici, in L. Cannavò (a cura di), “Studi sociali della tecnologia. Metodologie integrate di valutazione”,
Euroma, Roma 1991, pp. 134-135
9
Lorenzo Bernardi - Fausta Ongaro Bertol, Azione sociale e valutazione. Analisi e proposta di un modello
operativo, Ministero dell’interno - Direzione generale dei servizi civili, Roma 1984, p. 12
10
Patrizia Grazioli, Qualità ed equità nel sistema socio-sanitario: il ruolo della valutazione, “Tutela.
Trimestrale di politiche sociali”, a. XI, n. 1-2, giugno 1996, p. 19
11
Rebecca A. Maynard, Sociologi, economisti, psicologi... o semplicemente buoni valutatori? Lezioni
dall’esperienza statunitense, “Rassegna Italiana di Valutazione”, nn. 17/18, gen-giu 1999, pp. 47 e 48
255
• l’efficacia rispetto agli obiettivi fissati (politici e/o tecnici)
• l’efficienza soprattutto con riferimento alla spesa e all’utilizzo di risorse scarse12
utilizzabilità e reale utilizzo della valutazione
Lo scopo ultimo della valutazione delle politiche è quello di produrre conoscenze
utilizzabili sia per il legislatore che per la pubblica amministrazione. Questo aspetto
è molto importante. Lo sviluppo delle attività di misurazione e controllo può
produrre l’effetto perverso di sommergere le amministrazioni con un’impressionante
mole di dati scarsamente leggibili, di interpretazione difficile o ambigua e quindi di
scarsa efficacia operativa. Già qualche amministrazione italiana che si è lanciata in
complessi sistemi di monitoraggio e controllo comincia a trovarsi in questa
situazione: troppi dati, troppo poche informazioni.
I decisori, siano essi politici o burocrati, hanno invece bisogno di poter disporre di
proposizioni valutative sobrie e pertinenti. Non è detto naturalmente che le
conoscenze utilizzabili saranno effettivamente utilizzate. Nelle condizioni complesse
e spesso caotiche in cui si svolgono i processi di decisione politica le idee scaturite
dagli studi di valutazione sono solo uno tra i molti input. E’ però importante che
questi input ci siano.13
la valutazione offre trasparenza, ma non si sostituisce al processo decisionale
La questione, in definitiva, rimanda allo spazio discrezionale che, com'è inevitabile e
com'è giusto, è prerogativa della politica e dei decisori pubblici: i modelli di
valutazione non possono sostituirsi ad un tale spazio, anche se talora la "cattiva
coscienza" della politica si illude di poter evitare, con il richiamo alle valutazioni
"tecniche", una piena assunzione delle proprie responsabilità. I modelli di
valutazione, questo sì, possono e debbono offrire maggiore trasparenza al processo
decisionale, possono e debbono offrire un terreno più solido alla selezione delle
priorità. E quest'ultima, per altro verso, non può che derivare da un processo
democratico e da un percorso decisionale in cui interagiscano obiettivi politici e
competenze scientifiche, "preferenze comunitarie" e valutazioni tecniche.14
12
Nella Bianco, Valutazione e programmazione regionale: l’esperienza della Regione Piemonte, “InformaIres”
n. 21, a. X, n. 2, dicembre 1998, p. 28
13
Luigi Bobbio, La valutazione delle politiche pubbliche, “InformaIres” n. 21, a. X, n. 2, dicembre 1998, pp. 40-
41
14
Antonio Floridia, I beni culturali, tra valutazione economica e decisione politica: una rassegna critica,
"Interventi, note e rassegne" n. 11, Irpet, Firenze 1999, p. 42
256
ruolo minore e di scarsa incidenza delle valutazioni implicite ed esplicite nella
pianificazione
Le valutazioni che si compiono nel processo di pianificazione sono numerosissime,
ma vengono effettuate per lo più in forma implicita e, pertanto, il contributo che esse
recano al processo decisionale non è chiaramente identificabile. D’altro canto, le
valutazioni che nella prassi corrente vengono compiute in modo esplicito si
riferiscono di solito a piani e progetti già definiti nei loro tratti essenziali. Pertanto
tali valutazioni si limitano ad assolvere una funzione giustificativa o, al massimo,
correttiva nei loro confronti.
Un rilievo diverso assumerebbe invece la valutazione se fosse impiegata per
razionalizzare il processo decisionale della pianificazione. In tal caso concorrerebbe
infatti a realizzare alcuni attributi essenziali del piano, quali l’efficienza dell’uso
delle risorse, l’equità sociale, la realizzabilità degli obiettivi, la trasparenza delle
decisioni pubbliche.15
ruolo trasversale della ricerca valutativa, anche rispetto allo sviluppo locale
La ricerca valutativa è di supporto fondamentale per la diffusione della logica della
nuova programmazione, che si basa sulla concertazione e sulla negoziazione e quindi
presuppone che tutti i soggetti coinvolti abbiano accesso alle informazioni relative al
progetto (o al programma, o alla politica) in modo trasparente, completo e
sistematico. Infatti, se da una parte la stessa ricerca valutativa è costretta ad
“integrarsi” nelle diverse discipline a causa dell’oggetto – lo sviluppo locale – che
richiede un
approccio
interdisciplinare,
dall’altra c’è la questione della
concertazione, di cosa essa significhi, se sia da considerare una risorsa in sé – e
quindi un obiettivo da raggiungere, o uno strumento da utilizzare nei processi
decisionali o, infine, una modalità di azione nella messa in opera degli interventi.
Diventa quindi quasi ovvio che i presupposti fondamentali a tutto ciò sono la
trasparenza e la diffusione dell’informazione. E se per informazione si intendono gli
obiettivi da raggiungere e i relativi tempi del conseguimento, i mezzi messi a
disposizione, gli esiti previsti e l’impatto ipotizzato sul sistema locale esaminato, ne
consegue quasi direttamente che lo sviluppo locale proprio per le sue caratteristiche
15
Stefano Stanghellini, Introduzione, in Stefano Stanghellini (a cura di), “Valutazione e processo di piano”,
Alinea editrice – Daest, Firenze 1996, p. 7
257
intrinseche impone una valutazione a più livelli e con l’apporto di più
professionalità16
valutazione e complessità
L’evaluando ingloba, in maniera inestricabile e spesso non facilmente riconoscibile,
la complessità sociale di cui è frutto
limiti nel pragmatismo dei valutatori costruttivisti
la visione dominante nella comunità dei valutatori è di sentirsi utile, pragmatica e
strumentale. Vogliamo che i politici facciano meglio il loro lavoro. E tuttavia la
prevalenza tra i valutatori di differenti versioni di costruttivismo e la tendenza verso
analisi e interpretazioni molteplici rende difficile ai politici sapere cosa fare dei
risultati che ricevono. Si capisce allora perché i politici spesso si appoggiano su
valutazioni limitate.17
ruolo preminente del contesto politico sulla ricerca valutativa
La r. v. opera sempre in un contesto politico che, nel rapporto che instaura con la
comunità scientifica, si colloca in una posizione di forza.18
mutamenti strategici nel corso della programmazione-valutazione
Gli organi centrali in un processo di programmazione che si configuri altamente
interattivo oltreché valutare la compatibilità dei progetti alle scelte assunte
modificano la loro strategia iniziale in rapporto ai progetti approvati.19
la praticabilità della valutazione dipende dalla disponibilità dei soggetti istituzionali
La praticabilità della valutazione dipende non tanto, come spesso si sostiene,
dall’inadeguatezza delle informazioni e dalla mancanza di metodologie adeguate,
quanto piuttosto dalla disponibilità e motivazione dei soggetti istituzionali.20
solo le relazioni fra gli attori implicati nella decisione illuminano la valutazione
ogni giudizio valutativo è interpretabile solo alla luce delle dinamiche che regolano il
rapporto fra gli attori che occupano il campo decisionale.
16
Marta Scettri, La valutazione delle politiche di sviluppo economico locale, in Mauro Palumbo (a cura di),
“Valutazione 2000. Esperienze e riflessioni”, Franco Angeli, Milano 2000, p. 222
17
Elliot Stern, Cosa è il pluralismo in valutazione, e perché lo vogliamo, “Rassegna Italiana di Valutazione”, nn.
17/18, gen-giu 1999, p. 41
18
Angelo Saporiti, La ricerca valutativa: un’introduzione alla valutazione dei programmi socio-sanitari, in P.
Donati (a cura di), “Manuale di sociologia sanitaria”, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1987, p. 202
19
Remo Siza, La programmazione e le relazioni sociali. I limiti e le opportunità delle attuali strategie in una
prospettiva sociologica, F. Angeli, Milano 1994, p. 102
20
Aviana Bulgarelli - Marinella Giovine, Introduzione a A. Bulgarelli - M- Giovine - G. Pennisi, “Valutare”
258
la valutazione deve essere inserita nel ciclo del progetto
Da un punto di vista generale il processo di valutazione, qualunque sia lo strumento
metodologico adottato, deve essere inserito nel più ampio contesto del ciclo del
progetto.21
la valutazione come parte integrante del progetto
Un principio cardine della valutazione è che essa è parte integrante del progetto; ciò
significa non solo che i suoi costi sono preventivamente inseriti nel progetto, ma che
il progetto stesso è concepito in modo integrato e funzionale al processo valutativo22
scarsa diffusione della costi benefici come mancanza di democrazia
la difficile diffusione dell’analisi costi-benefici a livello politico (è) rapportabile ad
una mancanza di democrazia23
la valutazione non può guardare solo agli effetti, ma necessariamente all’intero
processo
la valutazione [delle azioni pubbliche], pur avendo come oggetto principale gli esiti e
gli effetti dell’azione pubblica, non può arrestarsi ad una meccanica registrazione e al
semplice trattamento analitico dei risultati considerati in relazione agli obiettivi (più
o meno espliciti) delle politiche, ma deve riferirsi all’intero processo che tali risultati
ha generato [ovvero alla formulazione delle decisioni ed alla implementation]. Le
ragioni che rendono necessario un simile ampliamento del raggio d’azione della
valutazione sono essenzialmente legate alla specifica caratterizzazione di processo
aperto ed assolutamente non predeterminabile delle azioni pubbliche24
distanza fra la salvificità attribuita alla valutazione e la sua realtà
All’interno della Pubblica Amministrazione spesso si sente invocare l’attività di
valutazione come una sorta di panacea per sciogliere in modo “semiautomatico” ed
economicamente efficace i nodi decisionali che si presentano a coloro i quali sono
21
Massimo Bagarani, La valutazione degli acquedotti rurali, Irres - Regione dell’Umbria, Perugia 1995, p. 11
22
Claudio Bezzi - Livia Bovina - Eva Jannotti - Marta Scettri, La valutazione della comunicazione pubblica,
Irres - Regione dell’Umbria, Perugia 1995, p. 41
23
Gianluigi Galeotti, Spesa pubblica e democrazia: servono le regole economiche di
razionalizzazione?, in Aa.Vv., “Calcolo economico e decisioni pubbliche. Prime proposte per un
approccio di settore”, Formez, Napoli 1994, p. 11
24
Domenico Lipari, La valutazione delle azioni pubbliche, “Il progetto”, n. 49, 1989, p. 55
259
responsabili, a diversi livelli, dell’elaborazione e dell’attuazione di politiche di
intervento pubblico.
Sembra, purtroppo, che alla salvificità del termine si accompagni nella pratica una
certa confusione sul suo reale significato.25
il termine valutazione è fortemente connotato
Il termine “valutazione” possiede, non sembri un gioco di parole, una forte
connotazione valutativa, e per questo infiamma le passioni.26
valutazione significa attenzione ai processi organizzativi
Affrontare in maniera ampia il problema della valutazione oggi vuol dire, come
immagine, entrare nell’intreccio dei processi riflessivi di un’organizzazione
la valutazione è un fatto politico
La valutazione diviene prima di ogni altra cosa un fatto politico.
Un fatto politico non già però perché affidato ai “vertici” politici ancorché degli Enti
locali e territoriali; un fatto politico non già inoltre perché “l’elemento tecnico” vada
in qualche modo misconosciuto o rifiutato come privo di valore.
Quando affermiamo che la valutazione deve essere un fatto politico, intendiamo
qualificarla in quanto attuata da tutte le componenti interessate (politici, tecnici,
operatori, utenti) in cui gli utenti, i diretti fruitori dei servizi stessi, vengano a
rappresentare la componente determinante. Intendiamo qualificarla rivalutando il
momento decisionale come momento “globale” in cui oltre a coniugarsi
con
valutazioni di elementi non qualificabili (e in questo campo ne troviamo più che in
ogni altro), deve poter privilegiare il momento appunto della gestione sociale come
espressione questa volta di democrazia “diretta” e quindi volontà di tutta la
popolazione e di tutti gli organismi coinvolti. In ciò anche il momento tecnico
riacquisisce da un lato tutta la sua essenzialità, dall’altro il suo “posto” in processi
decisionali di questo tipo. Essenziale infatti diviene a questo punto che “chi decide”
lo possa fare con conoscenza di causa e che cioè anche gli elementi “tecnici”, come
vedremo, siano “socializzati” nella loro determinazione e utilizzazione.27
25
Carlo Cipiciani - Edoardo Pompo, Valutare per selezionare. Alcune riflessioni sulla valutazione dei progetti
attuativi dei programmi di spesa all’interno della pubblica amministrazione, “Rassegna Italiana di Valutazione”,
n. 1, 1996.
26
Giancarlo Gasperoni, Cultura della valutazione e scuola italiana, “Il Mulino”, n. 362 (n.6), 1995, p. 989
Michele La Rosa, La valutazione dell’intervento nei settori socio-sanitari di base. Brevi note introduttive, in
Giovanna Rossi (a cura di), “Sull’organizzazione dei servizi sociali”, Vita e pensiero, Milano 1980, pp. 244-245
27
260
rapporto non lineare fra programmazione e valutazione
la soluzione ai problemi di valutazione deriva dal modello di programmazione che
viene adottato e, viceversa, non tutti i tipi di valutazione recano lo stesso contributo
alla programmazione.28
Prendendo ad esempio i programmi dell’Unione Europea: non ho mai sentito parlare
di programmi che sono andati male. Al massimo non si sono utilizzati i fondi, il che
vuol dire che si era sbagliato il target o la linea d’intervento o il dimensionamento dei
progetti; ma, una volta spesi i soldi, il programma, come minimo, ha prodotto “buone
prassi” e, se è stato previsto un budget per il monitoraggio, risultati di cui nessuno
riesce a capire l’importanza e la validità.
La cattiva pratica delle “buone prassi” salva la coscienza a tutti, lasciando in genere
il dubbio che quel che si è realizzato possa dipendere da condizioni che vengono date
per scontate e quindi non evidenziate. Il ricorso ed il confronto con le “buone prassi”
indica spesso scorciatoie per gli interventi che si dimostrano fallimentari rispetto a
situazioni locali ed ambientali diverse.29
la valutazione dei progetti formativi come strumento di miglioramento dell’intero
sistema
è intorno alla valutazione dei contenuti dei progetti, dei loro elementi essenziali,
delle loro caratteristiche fondamentali che può essere fatto ruotare l’intero sistema
formativo. Nella valutazione risiede infatti la verifica della rispondenza degli
interventi progettati agli obiettivi di sviluppo locale definiti dagli indirizzi della
programmazione regionale e locale nonché ai vincoli di impiego – dove sono
presenti – delle risorse europee e nazionali30
valutazione e controllo strategico come processo di apprendimento istituzionale
la natura della funzione [di valutazione e controllo strategico] è quella di supportare
il vertice politico nella valutazione delle politiche e nello sviluppo di meccanismi e
strumenti per l’attuazione di una politica amministrativa. In altre parole, nella
28
Maura Franchi e Mauro Palumbo, La valutazione delle politiche del lavoro: questioni aperte, riflessioni,
esperienze, in Maura Franchi e Mauro Palumbo (a cura di), La valutazione delle politiche del lavoro e della
formazione, “Sociologia del lavoro” n. 77, Franco Angeli, Milano 2000, p. 13
29
Tommaso Marino, Valutazione dell’inclusione sociale: quale rapporto con le politiche per lo sviluppo e i
Patti Territoriali?, Liliana Leone (a cura di), “Valutare le politiche per l’inclusione sociale”, Vides, Roma
2001, p. 88
30
Claudio Bezzi – Giuseppe Pozzana, Valutazione e qualità della formazione professionale in provincia di Pisa.
Una riflessione metodologica, “Osservatorio ISFOL”, a. XX, n. 4, luglio-agosto 1999, pp. 63-64
261
costruzione di processi di apprendimento istituzionale in grado di favorire il
trattamento dei problemi collettivi e il pilotaggio degli apparati nella gestione delle
politiche.31
la valutazione generatrice di consenso
La valutazione consente di giustificare di fronte all’opinione pubblica (si legga
elettorato) sia i costi che le scelte di razionalizzazione (spesso dolorose), facilita
l’allocazione delle risorse tra i diversi cicli di istruzione e nei diversi contesti
territoriali, sostenendo, con standard e sistemi di informazione e monitoraggio, un
processo decisionale sempre più complesso e per questo sempre più a rischio in
termini di consenso32
valutazione come informazioni per il management al fine della successiva decisione
In termini essenziali, un qualunque modello di valutazione consiste in una sequenza
di attività finalizzate alla raccolta di informazioni: una volta disponibili, le
informazioni entrano a far parte di un modello diagnostico che collega tali
informazioni con la definizione di ulteriori azioni di sviluppo. In altre parole, in
un’organizzazione gli esiti della valutazione di un fenomeno si dovrebbero sempre
tradurre in ulteriori programmi di attività.
Vale la pena di ricordare che nel management – arte più che scienza – la base per le
decisioni è sempre un insieme limitato di informazioni: le decisioni vengono prese
quando si ritiene sufficiente la quantità di informazioni disponibili in funzione della
propensione al rischio del singolo decisore. Nella vita reale delle imprese questo
fenomeno è continuo e rappresenta la normale modalità di gestione dei processi
decisionali. Anche per le decisioni relative all’organizzazione, quindi, ci si basa su
un insieme limitato di informazioni che vengono elaborate per determinare le azioni
ed i programmi successivi.33
31
Bruno Dente – Giancarlo Vecchi, La valutazione e il controllo strategico, in Giovanni Azzone – Bruno Dente
(a cura di), “Valutare per governare. Il nuovo sistema dei controlli nelle Pubbliche amministrazioni”, Etas,
Milano 1999, p. 1
32
Maurizio Sorcioni, La valutazione dei sistemi educativi, in Anna Bondioli – Monica Ferari (a cura di),
“Manuale di valutazione del contesto educativo: teorie, modelli, studi per la rilevazione della qualità nella
scuola”, Franco A. Milano 1999
33
Federico Amietta, Valutare i processi formativi: il valore aggiunto per l’organizzazione, in Carlo Bisio (a
cura di), “Valutare in formazione. Azioni, significati e valori”, Franco Angeli, Milano 2002, p. 177
262
la valutazione ricerca una razionalità nella ricostruzione dell’insieme delle azioni di
processo
E’ proprio con le complessità generate dall’intenso processo di interazioni e relazioni
di influenza reciproca tra decisione politica, implementation ed ambiente, che deve
confrontarsi la valutazione delle azioni pubbliche, il cui focus è essenzialmente
costituito dall’apprezzamento dei risultati attraverso la ricostruzione analitica
dell’insieme delle azioni che caratterizzano la politica in esame e la scoperta della
“razionalità di processo” che tale insieme sottende34
relazioni fra valutazione e progettazione
la valutazione , in quanto indagine sugli stati iniziali del campo d’azione ed al tempo
stesso ricerca orientata da idee sulle scelte decisionali da adottare, rappresenta molto
di più del semplice supporto alla progettazione di cui scandisce tutti i “passaggi”
temporali; si potrebbe dire che tende ad identificarsi con essa nella misura in cui gran
parte dei contenuti emergenti delle azioni valutative (ed in particolare da quelle
iniziali ed intermedie) rappresenta la “struttura” costitutiva dei contenuti decisionali
ed operazionali su cui si fonda la progettazione.
Secondo questa prospettiva metodologica, scopo della valutazione è la scoperta dei
molteplici esiti ed effetti di una politica attraverso la ricostruzione del sistema
d’azione che li comprende.35
relazioni fra valutazione e decisione
Valutazione e decisione formano un binomio inscindibile. Infatti, per valutazione si
intende in senso proprio la ponderazione degli aspetti positivi e negativi di uno o più
corsi d’azione che si prefiggono di raggiungere uno scopo (ovvero un risultato
previsto dell’azione stessa a cui si attribuisce un valore) in modo tale da rendere più
esplicita e meno aleatoria la scelta di una determinata linea di azione (decisione).36
coincidenza di valutazione e pianificazione
La valutazione può essere considerata come l’insieme delle attività volte a ordinare
le informazioni in modo tale che i vari soggetti partecipi al processo decisionale
siano in grado di operare le scelte migliori. Così concepita la valutazione può
34
35
Domenico Lipari, La valutazione delle azioni pubbliche, “Il progetto”, n. 49, 1989, p. 57
Domenico Lipari, Progettazione e valutazione nei processi formativi, Edizioni Lavoro, Roma 1995, p. 135
36
Patrizia Grazioli, Qualità ed equità nel sistema socio-sanitario: il ruolo della valutazione, “Tutela.
Trimestrale di politiche sociali”, a. XI, n. 1-2, giugno 1996, p. 19
263
pervadere l’intero processo di pianificazione fino al punto di contribuire alla sua
strutturazione. Di conseguenza la stessa distinzione tra pianificazione e valutazione,
in taluni casi, non risulta univocamente individuabile37.
la valutazione rende possibile assumere le macro decisioni in un contesto
organizzativo complesso
La valutazione è una componente esenziale della vita di una organizzazione
complessa. Essa è lo strumento attraverso il quale si rende possibile la pianificazione,
ovvero la continua decisione sulle decisioni che dovranno essere assunte in futuro.
Specialmente la pubblica amministrazione è spesso affetta da preoccupazioni e
difficoltà circa la fattibilità o la desiderabilità di certe azioni da intraprendere.
Diventa sempre più necessario e di uso frequente valutare le scelte politiche
alternative mediante reti decisionali integrate e multidisciplinari. Ciò è sicuramente il
portato di una progressiva complessificazione della società, nella quale si
manifestano conflitti di interesse ed effetti crescenti di esternalità delle decisioni
pubbliche e private.38
la valutazione prende in carico finalità e obiettivi del decisore
Una compiuta attività di valutazione non può infatti prescindere dalla ricostruzione e
presa in carico di finalità e obiettivi del decisore, anche se un più generale
monitoraggio degli esiti di una politica (a prescindere dalle sue finalità e obiettivi) è
comunque possibile39
la valutazione ricerca una razionalità nella ricostruzione dell’insieme delle azioni di
processo
E’ proprio con le complessità generate dall’intenso processo di interazioni e relazioni
di influenza reciproca tra decisione politica, implementation ed ambiente, che deve
confrontarsi la valutazione delle azioni pubbliche, il cui focus è essenzialmente
costituito dall’apprezzamento dei risultati attraverso la ricostruzione analitica
37
Stefano Stanghellini, Valutazioni per la pianificazione, in Stefano Stanghellini (a cura di), “Valutazione e
processo di piano”, Alinea editrice – Daest, Firenze 1996, p.59
38
Rino Rosini, Cave e ambiente: i bilanci ambientali nei piani provinciali delle attività estrattive, in Stefano
Stanghellini (a cura di), “Valutazione e processo di piano”, Alinea editrice – Daest, Firenze 1996, p. 214
39
Mauro Palumbo, Elementi di una teoria generale della valutazione, in Claudio Bezzi – Mauro Palumbo (a
cura di), “Strategie di valutazione. Materiali di lavoro”, Gramma, Perugia 1998, p. 37
264
dell’insieme delle azioni che caratterizzano la politica in esame e la scoperta della
“razionalità di processo” che tale insieme sottende40
valutazione ‘pertinente’, ovvero in grado di intervenire
Gli approcci alla valutazione variano a seconda delle effettive esigenze e capacità dei
molteplici soggetti che, nell’ambito dei sistemi di formazione, sono chiamati a
decidere, a programmare, ad allocare risorse, ecc. le esigenze di conoscenzainformazione e valutazione sono alquanto diversificate in funzione anche dei “livelli”
organizzativi e decisionali della formazione.
Rintracciare il livello di “pertinenza” delle diverse attività di valutazione è
fondamentale se si desidera che queste risultino effettivamente funzionali al
miglioramento del sistema. E per livello “pertinente” si deve intendere non tanto
quello a cui vi è “interesse a conoscere” (processi, risultati, ecc.) quanto quello a cui
corrisponde un decisore in grado di attivare, in seguito alla valutazione, gli opportuni
correttivi, anch’essi variabili per natura e portata, a seconda dei vari livelli
decisionali.41
il consenso nel progetto genera consenso nella valutazione
Il momento “catartico” della valutazione, quello cioè che può indurre valutatori e
valutandi ad un atteggiamento di reciproca collaborazione è comunemente
individuato nell’azione progettuale. Ovvero, se vi è consenso comune sul progetto di
intervento e, soprattutto, se il progetto non contiene zone d’ombra su obiettivi e
mezzi, probabilmente anche il momento valutativo potrà diventare un momento solo
moderatamente conflittuale.42
necessità di distinguere fra esito e impatto di una politica
Per quel che concerne le politiche, intese come un complesso di interventi, coerenti
con uno o più obiettivi o finalità, realizzate o coordinate da un operatore pubblico in
risposta ad esigenze o bisogni della collettività, si richiama una prima distinzione,
che corre tra esito (output) e impatto di una politica. Con il primo termine ci si
riferisce ai risultati ottenuti da questa in rapporto agli obiettivi che si era prefissa; con
40
Domenico Lipari, La valutazione delle azioni pubbliche, “Il progetto”, n. 49, 1989, p. 57
41
Marinella Giovine, Modelli di valutazione della formazione: sperimentazione della analisi multicriteri come
supporto alle decisioni, “Osservatorio Isfol”, n. 2, 1992, pp. 15-16
42
Aviana Bulgarelli - Marinella Giovine, Introduzione a A. Bulgarelli - M- Giovine - G. Pennisi, “Valutare
l’investimento formazione”, F. Angeli, Milano 1990, p. 8
265
il secondo al reale effetto che ha provocato sull’ambito socio-economico o
territoriale cui era destinata.
È agevole notare che nel primo caso (analisi degli esiti) ai fini della valutazione, i
risultati di una politica verranno confrontati con gli obiettivi che questa si è proposta;
nel secondo (analisi dell’impatto) verrà invece analizzato il mutamento prodotto da
questa politica nella realtà di riferimento nella quale è stata attuata. 43
partecipazione dei soggetti coinvolti e utilizzo programmato delle informazioni
A livello metodologico l’evaluation non può prescindere dalle due seguenti
condizioni:
- la partecipazione diretta di tutti i soggetti coinvolti nel progetto o
nell’organizzazione che si vuole valutare
- l’utilizzazione programmata delle informazioni che si sono raccolte.44
la valutazione mette in luce l’azione di chi ha realizzato l’intervento
il processo di valutazione [delle attività formative] presenta un carattere di
reciprocità: se da un lato sembra riferirsi unicamente all’utenza ed ai fenomeni di
impatto (soggettivo, economico, sociale), in realtà esso pone in luce l’azione di chi
ha realizzato l’intervento e lo confronta con criteri di adeguatezza, conformità e
coerenza.45
la valutazione in itinere come strumento manageriale
Non si tratta di approvare o di convalidare le decisioni prese o le azioni effettuate, né,
tanto meno, di esercitare una funzione di controllo o di verifica amministrativa o
finanziaria.
Le operazioni di valutazione on going devono fornire ai responsabili elementi di
riflessione e proposte concrete, in funzione della problematica operativa, che
permettano di migliorare o di riorientare, se necessario, la messa in opera dei quadri
e dei programmi utilizzando le possibilità di modifica e di riorientamento delle azioni
previste dai [quadri comunitari di sostegno] e dai [programmi operativi].46
43
Mauro Palumbo, La valutazione. Definizioni, concetti, obiettivi, in Claudio Bezzi (a cura di), “La valutazione
della formazione professionale”, Irres, Perugia, 1995, p. 6
44
Maria Vittoria Sardella, Teoria e tecniche dell’evaluation. Per una cultura dell’efficienza e dell’efficacia nel
sociale, Clup, Milano 1989, p. 31
45
Dario Nicoli, Valutazione delle attività formative, in L. Mauri - C. Penati - M. Simonetta, “Pagine aperte. La
formazione e i sistemi informativi: strumenti per le politiche sociali”, F. Angeli, Milano 1993, p. 287
46
Josep Molsosa, Introduzione, in Isfol - Cee, “La valutazione nel Fondo Sociale Europeo. Metodologia di
valutazione dei programmi operativi”, F. Angeli, Milano 1993, p. 20
266
obiettivi ultimi della valutazione, il miglioramento delle politiche pubbliche
La valutazione ex post ha come finalità immediata l’analisi di efficacia ed efficienza
dei programmi operativi; ma l’obiettivo ultimo consiste nel migliorare le politiche
pubbliche creando nel contempo una cultura della valutazione intesa come processo
di apprendimento distinto dal controllo amministrativo dei programmi.47
la valutazione di impatto sociale strumento di decisione e di democraticizzazione
la Social impact analysis, come è noto, non è soltanto una metodologia della scienza
sociale applicata ma anche una componente del policy-making process. Un’ulteriore
caratterizzazione che deve essere sottolineata - e che non pare molto richiamata nella
letteratura corrente – è quella che vede nella S.i.a. uno strumento di espansione del
controllo democratico delle decisioni relative soprattutto alla formulazione ed alla
implementazione di politiche pubbliche48
la valutazione serve alla decisione, e quindi identifica unità di analisi facilmente
identificabili
le metodologie di valutazione, ed al loro interno le metodologie di impact
assessment, presuppongono assai semplicemente che gli impatti (dell’innovazione,
della tecnologia, e così via) siano anzitutto identificabili; e d’altronde, tutte le
metodologie di valutazione hanno come ratio quella di fornire strumenti operativi
alla decisione politica, che è sempre selettiva, e quindi presuppone che fattori e
variabili della situazione siano sufficientemente individuabili, ai livelli macro, meso
e micro.49
la valutazione come tecnica previsionale
Come procedimento analitico, la VT [Valutazione della Tecnologia] si configura
come tecnica previsionale, finalizzata cioè esplicitamente a fornire ai politici le
informazioni sulle prospettive offerte dalle nuove tecnologie, sui vantaggi e gli
47
Isfol - Cee, La valutazione nel Fondo Sociale Europeo. Metodologia di valutazione dei programmi operativi,
F. Angeli, Milano 1993, p. 40
48
Fulvio Beato, Rischio e mutamento ambientale globale. Percorsi di sociologia dell’ambiente, F. Angeli,
Milano 1993, p. 101
49
Leonardo Cannavò, Dentro la tecnologia. Per una metodologia integrata di valutazione sociale delle
tecnologie, in: L. Cannavò (a cura di), “Studi sociali della tecnologia. Metodologie integrate di valutazione”,
Euroma, Roma 1991, p. 19
267
svantaggi delle opzioni alternative, in una situazione in cui i costi impongono delle
scelte, e in cui gli elettori si fanno sempre più diffidenti e attenti.50
la valutazione deve essere semplice, e resistere ai condizionamenti esterni
coloro che partecipano ad una valutazione devono rifuggire dalla tentazione di
condurre indagini i cui obiettivi siano eccessivamente ambizioni, poiché il loro
compito fondamentale è quello di fornire ai responsabili che dovranno prendere
decisioni su progetti/programmi, documenti contenenti informazioni rigorose,
espresse in modo analitico e sistematico. Ovviamente, tali informazioni devono
essere quanto più obiettive possibile ed estranee a condizionamenti di alcun tipo. Per
varie ragioni, quest’ultima condizione è purtroppo tra le più difficili da ottenersi.
Molto spesso, infatti, notevoli pressioni gravano sul valutatore, soprattutto per
l’errato significato che talvolta viene attribuito al processo di valutazione.51
la valutazione ex ante strumento decisionale
Lo scopo della valutazione ex ante è quello di fornire agli agenti interessati al
processo di sviluppo uno strumento per decidere se e come eseguire un intervento.52
necessità di incrementare approcci partecipativi e ricerche sociali nella gestione dei
rischi ambientali
In conclusione, l’aver puntato tutto o troppo sulla conoscenza scientifico-tecnica e
sulla scienza economica ha finito per creare un “pensiero debole” nella
Amministrazione pubblica per quanto riguarda le politiche di gestione dei rischi
ambientali e tecnologici. Un irrobustimento è pensabile mediante la strutturazione di
linee di ricerca nel campo della innovazione politico-istituzionale in relazione ai
processi partecipativi, informativi, di accettabilità e consenso della gente; di ricerche
sociali nel campo della percezione dei rischi tecnologici; di ricerche psico-sociali sui
mutamenti valoriali e culturali inerenti il rapporto uomo-ambiente; il potenziamento
delle capacità di monitoraggio e lettura delle situazioni delle dinamiche sociali, sia a
livello macro che micro-territoriale/sociale; di come si formano, cambiano e si
50
Camille Limoges - Alberto Cambrosio, La valutazione sociale delle tecnologie: punti di riferimento e
prospettive di ricerca, in L. Cannavò (a cura di), “Studi sociali della tecnologia. Metodologie integrate di
valutazione”, Euroma, Roma 1991, pp. 146-147
51
Antonio Volpi, Guida per la valutazione ex post dei programmi/progetti nel settore sanitario, in D.
Fanciullacci - C. Guelfi - G. Pennisi, “Valutare lo sviluppo. Volume primo. Metodologia e tecnica della
valutazione retrospettiva dei progetti”, Franco Angeli, Milano 1991, p. 358
52
Mario Martelli, Criteri generali di decisione, in D. Fanciullacci - C. Guelfi - G. Pennisi, “Valutare lo
sviluppo. Volume secondo. Il processo decisionale”, F. Angeli, Milano 1991, p. 11
268
qualificano le preferenze (verso la politica, lo sviluppo, l’innovazione tecnologica, i
processi decisionali, i rischi, ecc.), nonché l’individuazione di nuovi concetti e modi
stessi di fare politica.53
le conoscenze prodotte dalla Valutazione di impatto sociale correlate al contesto
decisionale
l’esigenza (alla quale deve rispondere la Via) è produrre conoscenze utilizzabili in un
contesto, cioè conoscenze strutturate in una forma che tiene conto degli inputs e
delle esigenze proprie del contesto, che è un contesto decisionale.54
gli obiettivi del programma assunti come orientamento della valutazione
La ricerca valutativa deve rispondere alla domanda “quanto efficace è il programma
nel raggiungere i suoi obiettivi? In questo modo essa accetta la desiderabilità del
raggiungimento di tali obiettivi.
Nel verificare l’efficacia del programma, essa non solo accetta la giustezza degli
obiettivi, essa tende anche ad accettare le premesse sottostanti al programma”.
Tutto ciò significa che esiste un assunto implicito riguardante il particolare tipo di
strategia di programma, considerata un modo ragionevole di affrontare il problema,
dotato di possibilità di pervenire a soluzioni dello stesso.55
attraverso l’analisi dei risultati la valutazione studia il comportamento dei decisori
La ricerca valutativa [può essere definita] come quel tipo di ricerca che studia il
comportamento degli attori pubblici impegnati nella messa a punto di programmi di
intervento o di attività e iniziative specifiche, attraverso la misurazione dei risultati
ottenuti da un determinato programma in funzione degli obiettivi che lo hanno
diretto, dei costi sostenuti e degli obiettivi perseguiti.56
differenze fra valutare per decidere e valutare per selezionare
Anche restringendo il campo alla sola valutazione ex-ante, le attività non sembrano
riconducibili all’interno di una definizione univoca.
53
Sergio Sartori, La percezione del rischio nella “Via”, in F. Beato (a cura di), “La valutazione di impatto
ambientale. Un approccio integrato”, Franco Angeli, Milano 1991, p. 141
54
Renzo Marini, Gestione delle conoscenze e processi politico-decisionali: il caso della valutazione di impatto
ambientale, in F. Beato (a cura di), “La valutazione di impatto ambientale. Un approccio integrato”, Franco
Angeli, Milano 1991, p. 219
55
Lorenzo Bernardi - Tony Tripodi, Metodi di valutazione di programmi sociali, Fondazione Zancan, Padova
1981, p. 28
56
Francesca Zajczyk, Premessa, in Ibidem, “La valutazione delle politiche culturali. I musei in Lombardia: una
realtà complessa”, Franco Angeli, Milano 1994, p. 9
269
Una distinzione, che pare particolarmente significativa è: quella tra “valutare per
decidere” e quella tra “valutare per selezionare”.
La prima si configura come un’attività di natura politico-economica; l’altra sembra
definibile come un’attività di tipo tecnico-amministrativa con risvolti sulle procedure
e sull’organizzazione del lavoro.
Nel primo caso, il decisore pubblico si pone in una logica di tipo “imprenditoriale”: il
grado di autonomia è maggiore e la scelta politico-tecnica si basa sulla osservazione
ed interpretazione degli interessi e della scala di preferenze della collettività. La
bontà delle scelte troverà una conferma - positiva o negativa - nei risultati conseguiti,
misurabili a livello macro, nell’arco di un determinato periodo, e sarà altresì
verificata in termini di consenso pubblico.
Nel secondo caso l’autonomia è molto minore. Una volta determinate - più o meno
arbitrariamente - le preferenze della collettività, si deve operare per massimizzare il
contributo che i fondi pubblici apportano agli obiettivi definiti a priori; l’esigenza
principale della collettività non è, quindi, quella di vedere correttamente interpretate
le proprie preferenze, ma quella di essere garantita sulla trasparenza e sull’oggettività
del processo di selezione delle iniziative da finanziare, in relazione alla
massimizzazione dei risultati che si attendono da una determinata politica di
intervento pubblico.57
approccio debole della valutazione e sua accettabilità
Da molti anni la letteratura si è indirizzata verso un approccio “debole” al problema
valutativo (aiuto alle decisioni), in grado di presentare concetti, strumenti e
procedure che, in presenza di ambiguità e incertezze, tendono a rafforzare la
conformità e la coerenza tra l’evoluzione del processo di decision making e i sistemi
di valori e di obiettivi di coloro che sono coinvolti in questo processo. […].
Si noti, in particolare, che il passaggio dal decision making al decision aid comporta
il progressivo abbandono del paradigma dell’ottimalità a favore della ricerca
multicriteri del compromesso ottimale o soddisfacente, rendendo possibile in questo
modo il superamento della separazione tra processi decisionali e valutazione. Gli
argomenti
sostenuti
in
passato
per
giustificare
l’intrinseca
debolezza
e
contraddittorietà di valutazioni che tentano di ricondurre il processo decisionale
57
Carlo Cipiciani - Edoardo Pompo, Valutare per selezionare. Alcune riflessioni sulla valutazione dei progetti
attuativi dei programmi di spesa all’interno della pubblica amministrazione, “Rassegna Italiana di Valutazione”,
n. 1, 1996
270
verso un sentiero di razionalità assoluta risultano a questo punto non più
applicabili.58
valutazione e complessità
L’evaluando ingloba, in maniera inestricabile e spesso non facilmente riconoscibile,
la complessità sociale di cui è frutto
la costi benefici permette di adottare il macro obiettivo del benessere della
collettività
il motivo per cui viene spesso proposto l’utilizzo di tecniche di tipo ACB [nella
selezione dei progetti] forse si deve al fatto che essa non richiede la definizione
esplicita di obiettivi nel processo di valutazione e selezione, in quanto fa riferimento
ad un obiettivo che sovrasta tutti gli altri possibili: massimizzare il benessere della
collettività.
elementi importanti del disegno valutativo
la valutazione deve essere considerata un processo che assume un carattere sempre
originale, capace di definire disegni di raccolta delle informazioni sempre congruenti
con le caratteristiche del processo decisionale che intende supportare. La definizione
di tali disegni deve essere orientati da alcuni principi guida che attengono:
i) alla consapevolezza che la valutazione deve consentire un giudizio. Un giudizio si
basa sempre su aspetti valoriali ed informativi e le strategie informative rispondono a
proprie regole di verifica della validità, ma la capacità informativa di un dato è
fortemente ancorata al valore posto alla base del processo decisionale;
ii) al controllo della qualità dei processi di valutazione. La qualità di un processi di
valutazione è dato dalla sua capacità di influenzare concretamente i processi
decisionali, di essere compatibile con i progetti di intervento e di produrre
informazioni valide e attendibili;
iii)alla combinazione dell'attendibilità con il costo della raccolta delle informazioni. Al
crescere della attendibilità cercata cresce inevitabilmente il costo e la complessità del
disegno di ricerca. Il ricercatore deve imparare a combinare due esigenze che
spingono in direzione opposta, vale a dire la ricerca della massima affidabilità e la
necessità di occupare poche risorse.59
58
Claudio Virno, Note sulla nuova programmazione degli investimenti pubblici e sull’utilizzo di tecniche
valutative, “Rassegna Italiana di Valutazione, a. VII, n. 25, 2003, pp. 24-25
59
Giovanni Bertin, La valut-azione come strategia di gestione dei servizi sociali e sanitari, “Rassegna Italiana
di Valutazione”, n. 3, 1996
271
centralità dell’efficacia della politica pubblica nella valutazione strategica
Sotto il profilo metodologico acquisiscono centralità il concetto di “politica
pubblica”, quale unità di analisi attraverso cui interpretare l’azione amministrativa; e
di efficacia, quale dimensione principale per l’elaborazione di giudizi sull’andamento
delle politiche.
Una politica pubblica è messa in opera per cambiare lo stato naturale o l’evoluzione
di una realtà economica, sociale o fisica; in questo senso, essa contiene
un’interpretazione dei problemi rilevati e un’ipotesi che lega attività e prodotti, da un
lato, e gli impatti auspicati dall’altro. In altre parole, la definizione di politica
pubblica introduce il concetto di “efficacia” quale dimensione essenziale della
valutazione: il giudizio relativo al successo o all’insuccesso di una politica ha a che
fare, cioè, con la sua capacità di trasformare nella direzione voluta lo stato della
situazione-problema; solo a partire dall’analisi dell’efficacia possono trovare poi
significato le indagini sull’efficienza e l’economicità. Sotto il profilo dell’analisi,
inoltre, ciò comporta che i fenomeni da sottoporre a valutazione siano quelli per i
quali è possibile argomentare che il loro mutamento sia effettivamente condizionato
dalle azioni attuate.60
la valutazione di programma deve tenere conto del contesto che, mutando, interviene
sul processo
Un approccio alla valutazione di programma che insista sull’analisi e
l’interpretazione del cambiamento implica un’attenzione particolare al processo
attraverso il quale esso viene a definirsi; un processo dove informazioni e
conoscenze portano a nuove soluzioni, in termini di attività e organizzazione. Di qui
l’interesse ad analizzare quali fattori condizionino lo svolgimento del processo, ossia
lo favoriscano o lo ostacolino e lo orientino verso alcune opportunità e forme
piuttosto che verso altre.
Sono proprio tali caratteristiche che impediscono di condurre un’analisi d’impatto
del programma di tipo canonico, in cui l’impatto netto è calcolato come differenza
fra l’impatto lordo, ossia la differenza fra “prima e dopo”, e l’evoluzione tendenziale
dell’ambiente di riferimento. L’osservazione a livello di sistema è stata dunque
60
Bruno Dente – Giancarlo Vecchi, La valutazione e il controllo strategico, in Giovanni Azzone – Bruno Dente
(a cura di), “Valutare per governare. Il nuovo sistema dei controlli nelle Pubbliche amministrazioni”, Etas,
Milano 1999, pp. 13-14
272
condotta tenendo ben presente la molteplicità di interrelazioni fra l’ambiente, con la
propria dinamica, e il sistema costituito dal processo di attuazione del programma
PARTECIPAZIONE
democrazia e valutazione partecipata
Quando si tratta di istituzioni democratiche elettive, o quando il campo d’azione
considerato è popolato da molti attori e relativi interessi, l’esigenza che la
valutazione sia trasparente, esplicita, anche partecipata è più forte61
imprescindibilità della partecipazione nella valutazione in campo sociale
L’azione di valutazione in campo sociale non può prescindere dal coinvolgimento
degli attori, poiché infatti siamo in un settore nel quale “si producono” benessere,
autonomie, soddisfazioni, relazioni significative fra persone; questi elementi non
sono valutabili esclusivamente attraverso indicatori oggettivi ma attraverso la messa
in comune di diverse soggettività, confrontate con riscontri oggettivi.62
partecipazione priva di connotazioni ideologiche
la scelta a favore della partecipazione non è in sé legata a motivazioni ideologiche o
ideali: la vera spinta è la ricerca della maggiore efficacia dell’intervento
nell’interesse di tutti gli attori in campo63.
la partecipazione in valutazione ha ragioni pragmatiche, non etiche
le ragioni della partecipazione non sono di tipo etico (o non principalmente di tipo
etico), ma di tipo pragmatico: solo il coinvolgimento di una pluralità di attori
assicura che le scelte effettuate saranno non solo corrette (cioè coerenti con i loro
bisogni), ma anche praticabili (cioè coerenti con le loro disponibilità all’azione).64
circolo virtuoso della valutazione partecipata che costruisce processi veri perché
costituiti su premesse condivise
All’interno delle “strategie della fiducia” che spesso si innescano nei processi di
valutazione partecipata, le dimensioni cognitive e pragmatiche finiscono per
61
Emanuele Ranci Ortigosa, Introduzione, in Ugo De Ambrogio (a cura di), “Valutare gli interventi e le
politiche sociali”, Carocci, Roma 2003, p. 13
62
Ugo De Ambrogio, Valutazione e forme di coinvolgimento e partecipazione, in Ugo De Ambrogio (a cura
di), “Valutare gli interventi e le politiche sociali”, Carocci, Roma 2003, p. 47
63
Ugo De Ambrogio, Valutazione e forme di coinvolgimento e partecipazione, in Ugo De Ambrogio (a cura
di), “Valutare gli interventi e le politiche sociali”, Carocci, Roma 2003, p. 51
64
Mauro Palumbo, La valutazione partecipata e i suoi esiti, “Rassegna Italiana di Valutazione, a. VII, n. 25,
2003, p.72
273
rafforzarsi a vicenda, dal momento che la conoscenza è vera se viene riconosciuta
come tale dagli attori e quindi usata, divenendo vera perché usata. Una sorta di
inversione del teorema della profezia che si autoadempie (il cosiddetto Teorema di
Thomas), per cui se sono reali le conseguenze di una certa interpretazione della
situazione, allora questa interpretazione è vera (e in cui la realtà delle conseguenze
deriva dalla fiducia nelle premesse pragmatiche dell’azione, premesse alla cui
produzione hanno attivamente cooperato gli attori).65
la verifica e revisione della qualità è una valutazione delle prestazioni senza finalità
sanzionatorie
La Verifica e revisione della qualità si presenta come un mezzo di concreta
valutazione della qualità delle prestazioni per migliorarle nell’interesse dei medici e
dei cittadini, lontano da ogni aspetto fiscale, disciplinare o comunque sanzionatorio
dell’attività dei medici66.
la valutazione come strumento di protezione dei più deboli
[Nei servizi sociali e sanitari] Difficilmente la valutazione viene vista nella sua
funzione fondamentale di protezione e di tutela dei diritti dei cittadini, soprattutto di
quelli più deboli.67
la valutazione serve all’utilizzatore primario
Per sottolineare come questi compiti [di valutazione strategica] costituiscano uno
strumento di supporto per il governo delle politiche e delle istituzioni, gli uffici e i
soggetti preposti a tali compiti debbono riferire in via riservata agli organi di vertice
politico. In altre parole i risultati delle attività non sono realizzati a fini di
pubblicizzazione o di accounting verso terzi esterni, bensì allo scopo di produrre
risorse informative e conoscitive per attività di direzione politico-amministrativa68
interesse pubblico e dimensione etica della valutazione
l’interesse pubblico dovrebbe costituire il criterio rispetto a cui viene espresso il
giudizio del valutatore sull’azione.
66
Sandro Spinsanti, La qualità nei servizi sociali e sanitari: tra management ed etica, “Servizi sociali”
(monografico su “La qualità nei servizi sociali e sanitari”), Fondazione E. Zancan, n. 3, 1995, p. 10
67
Tiziano Vecchiato, La valutazione: livelli e condizioni, “Servizi sociali” (monografico su “La qualità nei
servizi sociali e sanitari”), Fondazione E. Zancan, n. 3, 1995, p. 18
68
Bruno Dente – Giancarlo Vecchi, La valutazione e il controllo strategico, in Giovanni Azzone – Bruno Dente
(a cura di), “Valutare per governare. Il nuovo sistema dei controlli nelle Pubbliche amministrazioni”, Etas,
Milano 1999, p. 23
274
Ci si chiede se oltre a scegliere come muoversi tra scopi descrittivi (cosa è
successo), esplicativi (perché è successo) o interpretativi (cosa significa quello che è
successo), il ricercatore possa aggiungere alla sua ricerca valutativa – giusta la sua
etimologia – una dimensione etico-normativa (ha valore, è buono, è giusto quello che
è successo).
a causa della presenza di diversi attori con interessi in conflitto, è necessario mediare
e negoziare tra di essi, ma per farlo occorre far intervenire dei principi di interesse
generale.69
differenze fra uso interno (miglioramento) ed esterno (trasparenza) della valutazione
L’informazione ottenuta attraverso la valutazione può essere destinata all’interno (a
chi, cioè, promuove e attua l’intervento) o all’esterno (ovvero a chi, pur non essendo
il promotore o l’attuatore, è ugualmente interessato all’azione).
Nel caso di valutazione ad uso interno, la volontà di comprendere le meccaniche
delle azioni può essere, in primo luogo, funzionale al miglioramento del processo
decisionale ed attuativo al fine di rendere l’azione sempre più efficace.
In secondo luogo la valutazione ad uso interno, e quindi la comprensione dell’azione,
risulta funzionale alla possibilità di riconoscere gli ingredienti efficaci della politica
in questione, ovvero gli aspetti cruciali su cui focalizzare particolare attenzione e
risorse al fine di avvicinarsi il più possibile ai risultati desiderati, sia su varianti della
stessa politica, sia in altri contesti.
L’uso esterno della valutazione è solitamente collegato alla volontà di capire il
funzionamento dell’azione e all’idea di favorirne la trasparenza.
La valutazione diventa allora procedura di interazione con le rappresentanze di
interessi e con l’utenza potenziale e si trasforma così in strumento di mediazione e di
contrattazione molto rilevante nel momento in cui si pongono problemi di
accettazione e di consenso70
specificità della costi benefici sociale
La differenza tra il processo di decisione a livello di impresa commerciale e la
pianificazione dei progetti pubblici a favore della collettività è dunque semplice, ma
importante. La seconda è generalmente più complessa della prima e non può servirsi
69
Nicoletta Stame, L’esperienza della valutazione, Ed. SEAM, Roma 1998, pp. 17-18
70
Piera Magnatti, Politiche comunitarie e opzioni di valutazione: metodi, strumenti, applicazioni operative per
un programma integrato mediterraneo, in Claudio Bezzi – Mauro Palumbo (a cura di), “Strategie di valutazione.
Materiali di lavoro”, Gramma, Perugia 1998, pp. 164-165
275
degli stessi metodi. L’approccio dell’analisi costi-benefici sociale tende per
l’appunto a sistematizzare i complessi problemi della pianificazione dei progetti dal
punto di vista della società o della nazione.71
la valutazione di impatto ambientale come processo di trasparenza modificabile
La Valutazione di Impatto Ambientale non solo può garantire la centralità delle
previsioni delle conseguenze ambientali come supporto alle decisioni, ma trasforma
il meccanismo di elaborazione ed autorizzazione degli interventi in un processo
chiaro, trasparente, reversibile e modificabile.
Occorre, chiaramente, tenere sempre presente che si tratta di una procedura tecnicoamministrativa e che come tale risente di tutti i limiti insiti in uno strumento di
questo tipo, soprattutto in termini di semplificazione e di modellizzazione di realtà
molto più complesse e di complicata e difficile investigazione.
La carica di innovazione di questa procedura può essere meglio compresa se la si
confronta con le procedure similari che ha il compito di sostituire od integrare.
Bisogna, infatti, porre attenzione soprattutto alla sua complessità di compimento, alla
molteplicità dei soggetti attori nei diversi passaggi, alla necessità di ricomposizione
delle relazioni tra momenti conoscitivi, partecipativi, valutativi ed informativi.72
la valutazione di impatto ambientale come elemento di democrazia
la procedura di Valutazione di impatto ambientale può essere riportata al problema
della “democrazia amministrativa”73
valutazione come giudizio di valore e ruolo della popolazione target
Valutare significa esprimere dei giudizi di valore in merito alla maggiore o minore
rilevanza di ciascuno degli elementi che entrano a far parte del giudizio, in merito
alla selezione stessa di tali elementi e in generale in merito alla definizione delle
componenti che vanno a determinare la qualità della vita delle comunità. A questo
proposito è bene ricordare che, se esiste un generale interesse ad un corretto
inserimento nell’ambiente di manufatti e attività, più immediati e spesso pressanti
sono gli interessi di coloro (comunità locali, operatori economici, singoli individui)
71
Partha Dasgupta - Amartya Sen - Stephen Marglin, Guida per la valutazione dei progetti. Manuale Unido,
Formez, Napoli 1985, p. 15
72
Ministero della Pubblica Istruzione, Direzione Generale dell’Istruzione Professionale - Isfol, Manuale di
autoaggiornamento sulla Valutazione di Impatto Ambientale e l’Educazione Ambientale, a cura di Rita
Ammassari - Maria Teresa Palleschi, Isfol, Roma 1993, p. 28
73
Nicola Greco, L’incerto cammino della Via: Lo stato dell’arte in Europa e in Italia, “Economia pubblica”, n.
4-5, 1994, p. 187
276
che subiscono in prima persona le conseguenze negative di una determinata attività o
di un impatto, senza necessariamente goderne i maggiori benefici e soprattutto senza
potere solitamente effettuare (per carenza informativa), esprimere (per carenza di
mezzi comunicativi) e far pesare (per carenza di mezzi giuridici) un proprio
personale bilancio dei costi e dei benefici dell’operazione.74
la valutazione come strumento di miglioramento dei programmi
La valutazione è uno strumento atto a migliorare la conoscenza dei programmi da
parte degli interessati. Così i responsabili dei programmi formativi imparano a
gestirli, ad adeguarli ai propri obiettivi, alle necessità del momento e al contesto che
muta costantemente.75
ruolo della ricerca valutativa nella riduzione dello svantaggio sociale e
nell’innovazione
La ricerca valutativa si è affermata come disciplina autonoma occupandosi dei
programmi di intervento sociale intesi in un’accezione ristretta, ovvero di quegli
interventi che mirano a modificare le condizioni di svantaggio di segmenti più o
meno ampi di popolazione, oppure di quelli che si propongono come innovazioni nel
governo della società.76
la V.i.a. come strumento di democrazia diretta
La valutazione dell’impatto ambientale [è] soprattutto uno strumento, una procedura
di democrazia diretta.77
compresenza di componenti conoscitive, partecipative e decisionali diverse nella
Valutazione di impatto ambientale; ruolo della partecipazione dei cittadini
Pur nella grande varietà delle soluzioni adottate e delle differenti “culture” in
materia, è possibile, individuare importanti elementi comuni di caratterizzazione dei
processi di V.i.a., in particolare la compresenza di componenti conoscitive,
partecipative e amministrativo-decisionali, con il coinvolgimento di diverse figure
74
Alberto Gasparini - Gilberto Marzano - Luigi Pellizzoni, Un approccio collaborativo alla Via, in: A.
Gasparini - G. Marzano, “Tecnologia e società nella valutazione di impatto ambientale”, F. Angeli, Milano 1991,
pp. 42-43
75
Isfol - Cee, La valutazione nel Fondo Sociale Europeo. Metodologia di valutazione dei programmi operativi,
F. Angeli, Milano 1993, p. 42
76
Angelo Saporiti, La ricerca valutativa: un’introduzione alla valutazione dei programmi socio-sanitari, in P.
Donati (a cura di), “Manuale di sociologia sanitaria”, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1987, p. 203
77
Giuseppe Fiengo, La Via come strumento di estensione della democrazia partecipativa, in F. Beato (a cura
di), “La valutazione di impatto ambientale. Un approccio integrato”, Franco Angeli, Milano 1991, p. 69
277
tecnico-scientifiche e istituzionali e molteplici soggetti sociali, nella direzione di un
tendenziale riequilibrio delle istanze di sviluppo e delle istanze di salvaguardia dei
beni ambientali, attuabile attraverso il confronto tra tematiche tecnico-scientifiche,
interessi delle parti coinvolte e “razionalità” normativo-procedurale. Tra gli aspetti
più interessanti e innovativi merita di essere sottolineata la partecipazione dei
cittadini al processo valutativo. Alcuni autori, infatti, ne sottolineano giustamente
l’importanza “non tanto come mezzo per verificare e/o conquistare il consenso,
quanto come strumento di vera e propria programmazione partecipativa”78.
la valutazione di impatto sociale come previsione e pianificazione
La valutazione di impatto sociale si presenta come una metodologia di previsione e
di pianificazione degli impatti specificatamente sociali di programmi, progetti e
politiche che si inserisce in un processo decisionale democratico il quale si pone
nell’ottica specifica segnata dagli obiettivi-scopi di massimizzare gli impatti positivi
e di mitigare/lateralizzare gli impatti negativi.79
qualità nel sistema prodotta da una valutazione centrata sull’informazione
obiettivo maggiormente positivo [della valutazione] è quello di accrescere
un’autocoscienza impegnata, basata sull’informazione diligentemente raccolta e sul
controllo dinamico delle azioni del progetto/programma.80
la valutazione di impatto ambientale come strumento di controllo democratico
La V.I.A., sin dall’inizio, si configura sia come strumento di controllo democratico
sulle azioni sull’ambiente che come mezzo per ottimizzare le stesse azioni.81
valutazione della qualità socio-sanitaria micro e macro
E’ fuori dubbio che nel valutare la qualità [nei servizi socio-sanitari] ci si debba
muovere a livello micro, cioè di monitoraggio delle performance, all’interno delle
condizioni strutturali date. A questo livello due sarebbero i momenti fondamentali:
78
Manlio Maggi, Le dimensioni sociali negli studi di impatto ambientale dei grandi impianti energetici, in F.
Beato (a cura di), “La valutazione di impatto ambientale. Un approccio integrato”, Franco Angeli, Milano 1991,
p. 104
79
Fulvio Beato, Il “Wolf’s paradigm” e la differenziazione sociale degli impatti, in Ibidem (a cura di), “La
valutazione di impatto ambientale. Un approccio integrato”, Franco Angeli, Milano 1991, p. 170
80
Claudio Bucciarelli, Come valutare. La necessità di un approccio sistemico, in Censis, “Speciale
valutazione”, “Note e commenti” n. 1/2, 1991, p. 18
81
Giandomenico Amendola, Prevedere per valutare. Gli spazi della sociologia nella valutazione di impatto
ambientale, in F. Martinelli (a cura di), “I sociologi e l’ambiente”, Bulzoni, Roma 1989, p. 174
278
1) l’autovalutazione fra pari (peer review), con le grandi potenzialità di tale approccio ed
anche i rischi di autoreferenzialità (gli altri attori relegati al ruolo di “rumori
d’ambiente”);
2) la rilevazione della soddisfazione dei pazienti (customer satisfatcion), tramite appositi
sondaggi, sempre più diffusi, ma spesso superficiali, affrettati, insoddisfacenti.
Già inizia a sorgere qualche dubbio sul fatto che la valutazione della qualità debba
imbarcarsi anche nel livello macro, cioè se debba occuparsi del system design, di
quell’insieme costituito da strutture, legislazione, risorse complessive, sistema di
formazione, ecc. Non occuparsi di questo livello equivarrebbe ad accettare le
condizioni date come immodificabili, o modificabili solo per iniziativa di altri attori,
diversi da quelli che valutano o promuovono la valutazione della qualità
valutazione partecipata senza ideologismi
Alla valutazione partecipata va attribuito un elemento di innovazione che la
caratterizza anche rispetto a esperienze partecipative del passato (in particolare ci
riferiamo alla partecipazione spontaneistica tipica degli anni settanta); tale elemento
è il fatto che la scelta a favore della partecipazione non è in sé legata a motivazioni
ideologiche o ideali, né tantomeno all’esigenza di arginare potenziali conflitti: la vera
nuova spinta è la ricerca della maggiore efficacia dell’intervento nell’interesse di tutti
gli attori in campo.82
rigore metodologico per la valutazione partecipata
un’efficace valutazione partecipata deve essere affrontata con molta attenzione
metodologica83
costruzione partecipata delle domande valutative
l’oggetto della valutazione non è qualcosa di già dato, ma lo si deve costruire tra i
vari attori, in un processo che parte dalla stessa domanda di valutazione. In ogni
valutazione, infatti, committente, valutatore (esterno ed interno) e altri stakeholders
decidono quali sono gli aspetti critici da sottoporre a valutazione, e quali domande
formulare di conseguenza84.
82
Ugo De Ambrogio, La valutazione partecipata nei servizi sociali. La descrizione di un approccio attraverso
alcuni esempi concreti, “Rassegna Italiana di Valutazione”, nn. 17/18, gen-giu 1999, p. 59
83
Ugo De Ambrogio, La valutazione partecipata nei servizi sociali. La descrizione di un approccio attraverso
alcuni esempi concreti, “Rassegna Italiana di Valutazione”, nn. 17/18, gen-giu 1999, p. 60
84
Nicoletta Stame, Tre approcci principali alla valutazione: distinguere e combinare, in Mauro Palumbo, “Il
processo di valutazione. Decidere, programmare, valutare”, Franco Angeli, Milano 2001, p. 45
279
La definizione dei bisogni deve essere co-prodotta da diversi attori sociali
hanno una certa rilevanza le modalità di misurazione dei bisogni cui un intervento o
una politica intende rispondere. Si tratta di un problema epistemologico,
metodologico e politico, prima ancora che tecnico. Infatti, una definizione
"oggettiva" di bisogni da cui trarre spunto per la loro misurazione è inattingibile non
solo per ragioni epistemologiche (ci si riferisce all'improponibilità di un "punto
centrale di osservazione" su cui poter fondare l'oggettività della scienza, com'è ormai
convinzione corrente nell'epistemologia contemporanea; cfr. Giddens 1976), ma
anche per ragioni politiche, in quanto sarebbe comunque partigiano proporre un
"punto di vista del cittadino" contrapposto a quello delle istituzioni. Questa posizione
comporterebbe poi, come ulteriore aggravante, il rischio di una posizione
"fondamentalista" da parte di un valutatore che pretenda di erigersi a unico interprete
autorizzato dei "veri" bisogni della popolazione (cfr. sul tema Palumbo 1993). I
bisogni andrebbero più correttamente visti come risultato di una coproduzione dei
decisori e dei destinatari delle politiche, mediata dal comune sistema socio culturale
di appartenenza e dalle procedure operative grazie alle quali la definizione di bisogni
prende corpo85
la valutazione è per sua natura partecipativa
La valutazione, per sua natura, rappresenta un bene da partecipare. Può essere
condiviso a diversi livelli: in sede di singolo intervento con i suoi destinatari; a
livello di servizio con le parti in gioco interne ed esterne; a livello istituzionale, con i
suoi referenti gestionali, professionali e sociali.
il coinvolgimento attivo dei cittadini (people raising) nell’analisi partecipata della
qualità
Attraverso il people raising, si intende conseguire l’obiettivo di reclutare un
determinato numero di persone, dotate di caratteristiche tali da realizzare l’attività di
APQ (Analisi Partecipata della Qualità) prevista per l’analisi di qualità sul campo,
disponibili a sottoporsi ad un addestramento e a produrre un determinato numero di
ore-uomo di lavoro. Il people raising non serve come escamotage per trovare forzalavoro a costo zero, ma si fonda sulla valorizzazione dei ruolo dei cittadini in quanto
tali, osservando e mettendo a fuoco, a partire dal loro punto di vista, aspetti della
85
Mauro Palumbo - Michela Vecchia, La valutazione: teoria ed esperienze, "Rassegna Italiana di Valutazione",
n. 4, 1996
280
realtà sanitaria connessi all’analisi della qualità e che altrimenti potrebbero
sfuggire86.
centralità dei cittadini e utenti nella valutazione dei servizi, e ruolo degli operatori
Se, per molto tempo, gli operatori sono stati più attivi degli altri due soggetti nel
produrre una riflessione critica e sistematica sul modo in cui si lavora nel servizio,
sulle priorità e i bisogni del territorio, sui risultati ottenuti e che si potrebbero
ottenere, bisogna riconoscere che, di recente, anche cittadini e utenti hanno
cominciato a organizzarsi, a fare inchieste, a interloquire con gli operatori, a
esprimere valutazioni in merito alla qualità dei servizi. Siamo di fronte a un
protagonismo nuovo che può rompere il dialogo autoreferenziale che si svolge nel
chiuso delle riunioni d’équipe. Esso può e deve essere incoraggiato, individuando
quali sono i terreni e gli strumenti più appropriati per consentire il dialogo con gli
addetti ai lavori.
I cittadini e gli utenti, infatti, poiché sono i destinatari ultimi di tutto l’intervento,
vanno messi al vertice della valutazione, nel senso che il loro punto di vista dovrebbe
rappresentare il criterio orientativo prioritario al quale dovrebbe subordinarsi quello
dei professionisti e degli amministratori. Tuttavia, questo principio è difficile da
mettere in pratica. Nella realtà, l’utenza si presenta con interessi contraddittori e
sfaccettati, si esprime in modo incompleto e parziale e, anche quando si esprime in
modo diretto, il suo giudizio richiede un’opera di interpretazione.
Basti pensare al modo diverso di valutare la qualità di un intervento in comunità da
parte del tossicodipendente e dei suoi familiari, o la qualità dell’inserimento a scuola
di un disabile da parte degli insegnanti, dei compagni di classe, dei suoi genitori e
degli altri genitori.
Si è già visto come spetti all’operatore far evolvere la domanda del cliente e
rielaborarla mediante una relazione costruttiva con l’interessato. In alcuni servizi ciò
è più evidente quando il problema sociale si configura come un’incapacità del
soggetto a interpretare i propri bisogni e a perseguire salute e benessere. Tuttavia,
l’intervento sociale non può prescindere dal protagonismo dei soggetto a cui si
rivolge e deve impegnarsi costantemente per accrescerne la contrattualità. L’efficacia
stessa dell’intervento, infatti, ne verrebbe compromessa; di qui l’interesse congiunto
degli utenti e degli operatori a sviluppare la capacità degli utenti di valutare la qualità
86
Luciano d’Andrea - Giancarlo Quaranta - Gabriele Quinti, Manuale tecnico dell’Analisi Partecipata della
Qualità, Laboratorio di Scienze della Cittadinanza, Roma 1996, p. 143
281
del servizio a cui si rivolgono. In questo senso la valutazione va vista come un
processo che attiva gli interlocutori, li educa al dialogo e li fa crescere nel confronto.
Ciò vale anche per gli amministratori che operano le scelte strategiche e
distribuiscono le risorse ai servizi87
valutazione della qualità dei servizi attraverso metodi pluralisti e ‘leggeri’
Quando gli interessi del soggetto non coincidono con quelli dei familiari o conviventi
(accade quasi sempre e non solo nei nuclei problematici, bambini maltrattati, malati
di mente, ecc.) e il servizio prende in carico sia i bisogni del soggetto che quelli del
suo intorno sociale, in sede di valutazione della qualità è necessario tener conto della
trasformazione dei bisogni di tutti, in chiave sistemica; una misurazione isolata e
puntuale della soddisfazione di questo o quel soggetto potrebbe condurre a
conclusioni fuorvianti. La qualità del servizio, in alcuni casi, consiste proprio nella
sua capacità generativa, di procurare benessere all’assistito principale, sostenendo la
sua rete di aiuti.
Dunque per misurare la qualità realmente prodotta dai servizi (pubblici, privati,
convenzionati) servono metodi trasparenti, capaci di dare visibilità e concretezza al
“plusvalore” aggiunto: metodi leggeri, economici, che sostengano il lavoro degli
operatori anziché penalizzarli con adempimenti burocratici inutili; infine, metodi
pluralisti, che tengano conto dei diversi punti di vista, secondo un approccio
sistemico.88
coinvolgimento degli attori e trasparenza informativa nella valutazione della qualità
sanitaria
la valutazione tende a coinvolgere gli stessi attori in un processo di innovazione e
qualificazione del servizio, che necessita di un punto di riferimento, di confronto, che
può essere offerto dalle performances dello stesso servizio in tempi precedenti, o di
quelle di servizi analoghi.
La valutazione implica infatti una finalità di miglioramento basato sulla trasparenza
delle informazioni, la responsabilizzazione degli attori, la collaborazione fra di loro89
coinvolgimento degli attori rilevanti come esercizio di significazione
87
Paola Piva, La valutazione dei servizi sociali territoriali, "Rassegna Italiana di Valutazione", n. 6, 1997
89
Emanuele Ranci Ortigosa, La qualità nei servizi sanitari, in Emanuele Ranci Ortigosa (a cura di), “La
valutazione di qualità nei servizi sanitari”, Franco Angeli, Milano, 2000, pp. 21-22
282
La negozialità della valutazione è riflessione sul processo decisionale, è un esercizio
di significazione, di attribuzione di senso alle componenti del processo decisionale e
realizzativo (stakeholder e loro azioni), e questa riflessione porta a definizioni
operative specifiche che devono certamente comprendere il coinvolgimento di gruppi
di attori sociali rilevanti.
natura delle informazioni valutative e sue conseguenze
questa comprensione [delle logiche degli attori sociali rilevanti] ha a che fare con le
informazioni fornite dagli stakeholder, ma più ancora con le modalità di produzione
di quegli stessi dati, perché è in queste, e non nelle informazioni brute (sempre
opinabili, camuffabili, oppure estranee agli stessi stakeholder che le hanno prodotte),
che si cela la possibilità di ricostruire gli obiettivi reali dei programmi e interventi
sottoposti a valutazione; ma poiché le informazioni e la loro produzione sono parte di
un processo di significazione, la negoziazione fra stakeholder e la conseguente
comprensione valutativa avviene sul terreno dei segni e dei significati, ovvero su un
campo semantico
Mettere in grado l’utente di valutare
L’utente va dunque messo nella condizione di porsi come soggetto di valutazione,
fornendogli sia informazioni sia un minimo di competenze tecniche che lo pongano
in grado di giudicare correttamente almeno alcuni aspetti di base, sia fornendogli
formalmente i canali istituzionali in cui esprimersi, in cui partecipare.90
90
Leonardo Altieri, Verso una valutazione come negoziazione in un pluralismo di valori/interessi, in
Costantino Cipolla, Guido Girelli e Leonardio Altieri, “Valutare la qualità in sanità”, Franco Angeli, Milano
2002, p. 107
283
3.3. Valutazione e sapere sociologico
La crisi dei modelli burocratici ha reso pressante la necessità di centrare il
funzionamento delle organizzazioni sul controllo dei risultati prodotti.
L’incertezza che caratterizza i processi decisionali ha reso indispensabile
l’attivazione e l’uso di meccanismi informativi capaci di valutare gli effetti realmente
prodotti dall’azione organizzativa. La valutazione è diventata così elemento
imprescindibile del processo decisionale, perseguito attraverso la costruzione di
disegni di ricerca compatibili con le dinamiche che regolano il funzionamento di una
organizzazione.
Per una corretta definizione di una teoria della valutazione si dovrebbero
opportunamente assemblare le riflessioni teoriche di chi svolge l’analisi
organizzativa con i problemi metodologici di chi si occupa di ricerca sociale.
L’obiettivo è allora quello di trovare un terreno comune di riflessione fra teoria
sociologica e metodologia della ricerca sociale, fra riflessione teorica e gestione
concreta dei processi decisionali.
Vi sono tante valutazioni ed altrettanti sforzi di formulare definizioni esaurienti, la
difficoltà poi di trovare un paradigma unico in un settore come quello valutativo in
cui vi sono piani e livelli diversi, linguaggi e contributi disparati, porta spesso gli
autori a definire preliminarmente il proprio contesto, ognuno il suo!
Tuttavia l’uso di una definizione preliminare appare molto utile poiché fornisce
indicazioni ed aiuta nella riflessione e nello sviluppo del ragionamento.
La valutazione nasce in un contesto decisionale che giustifica e motiva la necessità di
un processo cognitivo finalizzato ad individuare criteri di scelta, a ridurre la
complessità, a riflettere sulla qualità delle azioni sociali organizzate. Il contesto
decisionale non solo giustifica la necessità di una valutazione, ma ne orienta anche
l’organizzazione, questo perché diversamente dalla ricerca pura, lo scopo della
valutazione è di trovare una risposta a problemi concreti, operativi, ed anche se non
esplicitamente rientra sempre in un contesto di decisione.
Ma cosa è la valutazione? secondo Carol Weiss e similmente per Patton M.Q: la
valutazione è l’analisi sistematica del processo e/o del risultato di un programma o
politica, comparato ad un set di standard impliciti o espliciti, allo scopo di
284
contribuire al miglioramento del programma o politica, per formulare giudizi,
migliorarne l’efficacia e indirizzare decisioni sulla futura programmazione.1
Una definizione più completa è quella fornita da Michael Scriven: il significato
principale del termine ‘valutazione’ si riferisce al processo di determinazione della
qualità, valore materiale e valore simbolico di qualche cosa, o al prodotto di tale
processo. Il processo valutativo comprende normalmente l’identificazione di
standard apprezzabili di qualità; qualche indagine sulle performance degli
evaluandi rispetto a tali standard e ulteriori integrazioni o sintesi dei risultati per
ottenere una valutazione globale.2
Per Rossi, Freeman e Lipsey, la valutazione è: essenzialmente uno sforzo di raccolta
e interpretazione di informazioni che cerca di rispondere ad una determinata serie di
domande sul comportamento e sull’efficacia di un programma.3
In queste definizioni si nota una accentuazione del concetto di ricerca come raccolta
e analisi di informazioni, si potrebbe parlare di definizioni “metodologiche”.
Nelle definizioni degli autori italiani si sottolinea invece l’accentuazione alla
scientificità
della
valutazione,
quasi
per
accreditarne
l’affidabilità,
e
la
imprescindibilità dalla presenza dei valori.
Cosi Lipari afferma che il valutare è: un atto che implica, nei casi di maggiore
complessità, raccolta di informazioni, analisi e riflessione, tendente alla
formulazione di giudizi di valore su un oggetto, su una situazione o su un evento.4
Altieri L. e Bernardi L. intendono per ricerca valutativa l’uso di metodi e tecniche
della ricerca scientifica allo scopo di esprimere valutazione. Valutazione come
processo di determinazione dei risultati ottenuti con una specifica attività, intrapresa
per raggiungere un obiettivo avente un valore.
Più specificamente ritengono che essa consista nello studio delle conseguenze
previste e non previste, desiderabili e non desiderabili, dei programmi di attività
predisposti per ottenere un cambiamento sociale programmato.5
1
Weiss H.Carol, Evaluation, Prentice Hall, Upper Saddle River, N.J. 1998
Patton Michael Quinn, Utilization-focused Evaluation, Sage, Beverly Hills, CA, 1988.
2
Scriven Michael, Types of Evaluation and Ttypes of Evaluator, Evaluation Practice, n.17, 1997
Rossi Peter, Freeman Howard E. Lipsey Mark W., Evaluation. A systematic approach, Sage, Thousand
Oaks, CA, 1999.
4
Lipari Domenico, Progettazione e valutazione nei processi formativi, Edizioni Lavoro, Roma, 1995
5
Altieri Leonardo, La ricerca valutativa negli interventi sociali, in “Nuovo manuale della ricerca
sociologica”, a cura di Paolo Guidicini, F.Angeli, Milano, 1987.
Bernardi Lorenzo, Metodi di valutazione di programmi sociali, Fondazione Zancan, Padova, 1981
3
285
Più ampia e articolata è la definizione di Stame N.: valutare significa analizzare se
un’azione intrapresa per uno scopo corrispondente ad un interesse collettivo abbia
ottenuto gli effetti desiderati o altri, ed esprimere un giudizio sullo scostamento che
normalmente si verifica, per proporre eventuali modifiche che tengano conto delle
potenzialità manifestatesi.
La valutazione è quindi una attività di ricerca sociale al servizio dell’interesse
pubblico, in vista di un processo decisionale consapevole: si valuta per sapere non
solo se un’azione è stata conforme ad un programma esistente, ma anche se il
programma è buono.
Si tratta di un procedimento messo in moto da una domanda di valutazione da parte
di un committente pubblico. Esso si articola in un disegno della valutazione e una
ricerca empirica; e infine sfocia in una discussione dei risultati e una proposta al
pubblico.6
Benché più complessa tale definizione risulta tuttavia incompleta in quanto si
riferisce solo alla valutazione dei programmi pubblici.
Secondo Bertin G. la valutazione è un processo che accompagna lo sviluppo delle
decisioni consentendo al decisore di esprimere un giudizio possibilmente libero da
stereotipi e pre-giudizi.7
E ancora, facendo una sintesi, un puzzle, delle definizioni più accreditate, Bezzi C.
ha così formulato: la valutazione è principalmente un’attività di ricerca sociale
applicata, realizzata, nell’ambito di un processo decisionale, in maniera integrata
con le fasi di programmazione, progettazione e intervento, avente come scopo la
riduzione della complessità decisionale attraverso l’analisi degli effetti diretti ed
indiretti, attesi e non attesi, voluti o non voluti, dell’azione; in questo contesto la
valutazione assume il ruolo peculiare di strumento partecipato di giudizio di azioni
socialmente rilevanti, accettandone
necessariamente le conseguenze operative
relative al rapporto fra decisori, operatori e beneficiari dell’azione.
La valutazione è dunque una ricerca, ma la ricerca è una attività scientifica per cui la
valutazione sarebbe una disciplina scientifica con un proprio potere, un proprio
spazio, ma approcciare scientificamente la valutazione significa far venire meno il
suo carattere sociale, politico e valoriale, d’altronde essa manca ancora di
quell’autonomia propria di ogni disciplina, inoltre sia sul piano teorico che
6
Stame Nicoletta, L’esperienza della valutazione, Ed. Seam, Roma, 1998.
Bertin Giovanni, Un modello di valutazione basato sul giudizio degli esperti, in La valutazione come
ricerca e conme intervento, a cura di Claudio Bezzi e Marta Scettri, Irres, Perugina,1994
7
286
metodologico si serve di altre discipline quali la economia, la sociologia, le scienze
politiche e le scienze della comunicazione.
Dare un riconoscimento scientifico alla valutazione significherebbe creare una sorta
di cilindro dalle risposte magiche illimitate, inoltre visto che la valutazione è uno
strumento al servizio del processo decisionale potrebbe essere pericoloso parlare di
oggettività di quanto valutato, di capacità di formulare giudizi “tecnici” indiscutibili,
poiché in realtà anche le metodologie di valutazione più strutturate si sono rivelate
facilmente manipolabili a seconda degli interessi in gioco.
In questo quadro la ricerca valutativa8 non è qualcosa di diverso dalle altre
conoscenze, con un diverso grado di scientificità, ma è un modo possibile di
affrontare i problemi decisionali utilizzando il meglio della conoscenza scientifica.
La valutazione è dunque un processo che sottende allo sviluppo delle decisioni
permettendo al decisore di esprimere giudizi, ma questo processo si diversifica negli
strumenti e nelle forme adottate in funzione del tipo di giudizio da produrre e
dell’obiettivo da raggiungere, e ciò comporta l’impossibilità di definire un unico
modello di valutazione utilizzabile in diversi contesti, dove il decisore esprime
giudizi, e comporta altresì l’acquisizione di un insieme di strumenti metodologici
utili per migliorare la capacità di giudizio.
Nella scelta degli strumenti valutativi, più adatti al problema affrontato, si tenta una
combinazione dei diversi obiettivi perseguibili dalla valutazione al fine di ridurre il
rischio decisionale. Ma vedere il problema della valutazione da una prospettiva
decisionale, basata su un concetto di riduzione del rischio decisionale, vuol dire
pensare ad un insieme di strumenti e tecniche di ricerca utili per supportare lo
sviluppo del processo decisionale di una organizzazione. In questa logica,
valutazione non significa esclusivamente misurazione ma significa parlare di un
processo nel quale intervenire per aiutare gli attori a definire criteri di giudizio,
significa individuare strumenti, tecniche, informazioni utili che possono supportare
lo sviluppo concreto dei processi decisionali.
8
I termini valutazione e ricerca valutativa a volte usati come sinonimi in realtà vanno distinti; per
valutazione si intende l’insieme di attività necessarie per giungere ad esprimere un giudizio ‘argomentato’
(in senso scientifico e professionale) per un fine; l’argomentazione è la rigorosa raccolta di dati ed
informazioni e la loro analisi, cioè un processo di ricerca, appunto la ricerca valutativa, che costituisce il
fulcro, il centro della valutazione, è l’elemento essenziale ed imprescindibile di affidabilità delle
procedure e attendibilità delle informazioni utilizzate per la formulazione del giudizio finale; la ricerca
valutativa è l’argomentazione resa esplicita, verificabile, compiuta con procedure controllabili e
replicabili, conosciute dall’ambiente scientifico professionale. Dunque la valutazione si fonda sulla
ricerca valutativa, altrimenti non avrebbe valore scientifico professionale; la ricerca valutativa è inserita
in un processo di valutazione, altrimenti sarebbe semplice ricerca sociale.
Suchman E. Evaluation Research, Russel Sage Foundation, New York, 1967.
287
Lo sviluppo di questo processo necessita poi di competenze in grado di spiegare
anche il comportamento strategico degli attori sociali e l’utilizzo di strumenti di
ricerca diversificati di tipo qualitativo e quantitativo.
In tal modo la valutazione non viene più vista come un insieme di attività di ricerca
legate alla capacità di raccogliere informazioni attendibili, ma come capacità di
trasformazione delle informazioni in giudizi, come processo che trasforma le
conoscenze in decisioni.
In tal senso il sapere sociologico può portare un notevole contributo allo sviluppo
delle pratiche valutative e all’aumento della capacità di giudizio.
Sociologicamente è auspicabile una idea ampia di valutazione basata su una teoria
dell’azione sociale, alla luce della quale ri-vedere l’obiettivo di analizzare e
controllare il riprodursi dell’azione, basata su quei processi riflessivi che permettono
all’attore di controllare in itinere la propria strategia e di riprodurre i modelli delle
proprie azioni. Vale a dire, partendo dal concetto di azione, la valutazione ha sempre
per oggetto la riproduzione dello schema di azione, cioè si vuole valutare una certa
azione per garantire che le condizioni positive di quell’azione e la connessa strategia
che l’ha costruita nel tempo siano confermate, o che siano ridotte e/o eliminate le
condizioni negative.
Se accettiamo l’assunto che in ogni singola azione sia intrinseco un processo,
consapevole o inconsapevole, di strutturazione dell’azione sociale, possiamo ritenere
che la valutazione abbia a che fare sempre con la riproduzione dell’azione, ossia con
un aspetto fondamentale dell’agire che è la riproduzione dell’agire stesso e non solo
con l’analisi degli effetti che essa produce.9
Ciò comporta che il linguaggio e la conoscenza sociologica abbiano un ruolo
fondamentale nell’impostazione conoscitiva della valutazione, in quanto possono
offrire strumenti per costruire una matrice significativa di progettazione della
valutazione.
La sociologia, le tecniche di comunicazione, devono produrre progetti di crescita
della comunicazione tra esperti e non esperti per creare codici di scambio e di
affidabilità e credibilità reciproca.
9
Nelle strutture preposte alla fornitura di servizi, normalmente la valutazione è finalizzata ad individuare
ciò che viene ‘tecnicamente fatto’, in un dato intervento, da certi operatori e talvolta anche gli effetti di
impatto delle prestazioni tecniche sugli utenti. Bertin G., Decidere nel pubblico. Tecniche di decisione e
valutazione nella gestione dei servizi pubblici, Etas Libri Ed. Milano 1989
288
L’affidabilità è un problema metodologico che dovrebbe interessare la sociologia e
tutti, studiosi, professionisti, esperti e non. Nel costruire la matrice della valutazione
occorre studiare il problema della comunicazione; cioè se si critica giustamente il
fatto che ognuno nel proprio ambiente dichiara come unico e vero il suo modello di
valutazione, (ed ovviamente anche i sociologi potrebbero commettere tale errore),
allora sarebbe opportuno orientarsi all’azione per capirne i risultati, e porsi
l’obiettivo di produrre connessioni, comunicazione, confronto.
Un’idea dunque di valutazione multidisciplinare, cioè una valutazione che sia sintesi
di tutte le discipline, che coniughi teorie, approcci, strumenti, trasformati da altri
saperi; accade invece che vi è una ampia settorialità, ognuno si trincera dietro
affermazioni del tipo: è un caso di valutazione sociologica perché si tratta di
problemi sociali; è una valutazione esclusivamente economica perché
tratta di
problemi industriali.
Ma la valutazione deve essere multidisciplinare, per potere comprendere appieno la
complessità di ogni oggetto di valutazione, anche quando riguarda
problemi
settoriali o specifici che sembrano ben descritti in una specifica e circoscritta branca
del sapere.
Molti valutatori considerano la loro competenza sulle tecniche, come una
competenza valutativa tout court, e spesso non si capisce perché e per quale percorso
concettuale è stata usata una certa tecnica; in realtà le tecniche non sono la
valutazione, è infatti la metodologia la cornice in cui inserire la ricerca valutativa.
La metodologia è un insieme, un agglomerato, di teorie, di principi, di concetti, di
modalità operative argomentate con le quali il valutatore raccoglie e analizza in
maniera efficace, servendosi di strumenti affidabili, informazioni necessarie per
produrre riflessioni attendibili.
Indispensabile poi è che il valutatore sappia comunicare; la capacità di comunicare si
dà infatti per scontata e le si attribuisce scarso rilievo, ma il saper comunicare
dovrebbe essere al primo posto tra le competenze/abilità/saperi di chi fa valutazione,
non è infrequente vedere stesure di rapporti infarcite di formule incomprensibili,
spiegate in maniera gergale che finiscono per essere del tutto inutili per l’utilizzatore.
Un buon comunicatore deve quindi sapere interpretare e saper argomentare i bisogni
valutativi del committente, entrare in empatia per interagire ed indirizzare; la
comunicazione cioè deve essere particolarmente collegata alla comprensione da parte
dell’utilizzatore e quindi al successo dell’azione valutativa.
289
La valutazione infatti non finisce con il rapporto di valutazione, ma con il suo
utilizzo.
Una attività così poliedrica ha ovviamente molti scopi, il che riflette non solo le
diverse scuole di pensiero ma anche i tanti contesti di ricerca.
In letteratura vi sono diverse descrizioni dei tanti obiettivi valutativi, una delle più
note è quella delle quattro “generazioni” valutative proposte da Guba e Lincoln 10,
legate alle tappe storiche fondamentali dello sviluppo della valutazione:
1.
prima generazione: -misurazione- anni ‘30-’40, in questo periodo i termini
misurazione e valutazione erano interscambiabili, il valutatore era un tecnico;
2.
seconda generazione: -descrizione- nasce negli anni ’40 per analizzare e valutare
programmi, il valutatore è sempre un tecnico;
3.
terza generazione: -giudizio- la valutazione diventa un giudizio, il valutatore utilizza
standard;
4.
quarta generazione: quella che considera la realtà come una costruzione sociale, per
cui il valutatore diviene uno strumento di negoziazione, di empowerment
Una proposta più semplice è quella di Nicoletta Stame, la quale indica tre approcci
diversi alla valutazione:
1) l’approccio positivista-sperimentale, servendosi di rigorose ricerche si propone di
verificare il raggiungimento degli obiettivi prestabiliti dal decisore; enfatizza
soprattutto la validità e affidabilità della ricerca.
La ricerca valutativa deve rispondere alla domanda “quanto efficace è il programma
nel raggiungere i suoi obiettivi? Nel verificare l’efficacia del programma, essa non
solo accetta la giustezza degli obiettivi, essa tende anche ad accettare le premesse
sottostanti al programma”.11
2) l’approccio pragmatista – della qualità, qui l’attenzione al giudizio prevale
sull’evaluando, è un approccio più ampio che include tutte le procedure di
definizione degli standard di qualità (efficienza, di efficacia). Valutare la qualità vuol
dire capacità di comunicare, all’interno e all’esterno dell’organizzazione, il livello di
qualità raggiunto.
“I concetti di progettazione e valutazione delle attività relative all’erogazione dei
servizi hanno un nesso stretto con quello di qualità, inteso come l’orientamento
culturale di tutte le funzioni organizzative verso l’erogazione di prestazioni in linea,
10
11
Guba E. e Lincoln Y. Effective evaluation, Jossey-Bass, San Francisco, 1985
Bernardi L. Tripodi T. Metodi di valutazione di programmi sociali, Fondazione Zancan Padova, 1981
290
da un punto di vista tecnico e relazionale, con le reali esigenze dell’utenza del
servizio”.12
Il concetto di standard in questo approccio sembra essere l’elemento fondamentale;
gli standard vengono definiti dal contesto, dagli obiettivi specifici, sono utili
riferimenti spesso dimenticando che tuttavia gli standard non costituiscono il meglio.
3) l’approccio costruttivista – del processo sociale, si parte dal confronto tra
programma e contesto e si cerca di comprendere cosa avviene, cioè l’obiettivo non è
verificare l’efficacia o il raggiungimento dei standard, ma analizzare il significato
delle esperienze e degli interventi realizzati, cioè la ricerca valutativa non si limita
alla semplice valutazione dell’impatto, ma è parte integrante di un insieme di attività
sottese alla attivazione e realizzazione di un intervento.
“Valutare un programma o un progetto di sviluppo significa determinare cos’è che
vale e qual è il suo valore come contributo al progresso sociale. La pietra di paragone
per determinare questo valore è data dalle politiche generali di sviluppo in base ai
quali il programma o il progetto è stato impostato e dagli obiettivi immediati che
avrebbe dovuto realizzare con la sua attuazione. Tanto più vicini a questi obiettivi,
scopi e mete, sono i risultati, tanto più alto è il valore del progetto”.13
Da questi diversi approcci emergono tre ‘competenze valutative’: il valutatore come
metodologo e scienziato che non interviene e non interferisce nello svolgimento del
programma; il valutatore che svolge la sua analisi
per accrescere ed apportare
miglioramenti all’attività del suo committente; il valutatore come mediatore fra le
parti, che suggerisce i vari modi per trattare i problemi, usando le risorse a
disposizione e lasciando esprimere gli attori.
È certamente vero che in letteratura, come nei dibattiti scientifici si tende spesso a
prendere posizioni, a difendere una interpretazione piuttosto che un’altra, ma non si
dovrebbe dimenticare che non vi è una supremazia dell’una sull’altra poiché non può
esservi una valutazione migliore o ottimale, ciascun approccio o interpretazione ha
sempre i suoi ambiti problematici, i suoi
punti di forza e punti di debolezza.
Occorrerebbe poi rivedere tutto, contestualmente ad una riflessione sull’evaluando e
capirne gli obiettivi.
12
Lomazzi L. Progettazione e valutazione dei servizi pubblici, in L. Mauri, C.Penati, M.Simonetta,
“Pagine aperte. La fornazione e i sistemi infornativi: strumenti per le politiche sociali”, F. Angeli, Milano
1993
13
Grabe S., Manuale di valutazione, “Quale Sviluppo”, n.2, Asal – Associazione studi America Latina,
1986
291
Quest’ultimi sinteticamente si possono raggruppare in obiettivi operativi, diretti cioè
a migliorare l’efficienza e l’efficacia interna di una organizzazione, generalmente è
la stessa organizzazione che dà il mandato con finalità di controllo, per cui il
valutatore esegue procedure tendenti a certificare degli standard (rientrano in questa
categoria tutti gli obiettivi di gestione e audit, nonché la valutazione realizzata come
adempimento normativo, cioè priva di effetti sull’azione amministrativa, se non
quello di adempiere ad una formalità).
Obiettivi gestionali, cioè la valutazione serve
per decidere, quindi analisi
dell’efficacia interna ed esterna per realizzare un progetto efficace, analisi della
qualità e soddisfazione del cliente per un progetto di sviluppo, insomma lo scopo,
attraverso un controllo complessivo sul sistema, è quello di orientare il decisore sul
cosa fare o non fare.
Obiettivi emancipativi, riguardano attività di informazione e analisi per i fruitori,
attività di valutazione dirette a determinare e/o migliorare il contesto decisionale.
Obiettivi cognitivi ed informativi, cioè si valuta per conoscere e non per intervenire,
l’informazione interna ed esterna per fare bilanci, per imputare responsabilità sulle
attività svolte, per fare confronti.
Obiettivi formativi, ovvero la valutazione come processo per imparare dai successi e
dai fallimenti, qui il destinatario non è un gruppo o un soggetto, bensì l’intero
sistema che governa l’evaluando (ad es. nella formazione professionale: le istituzioni
che erogano i fondi, i funzionari dirigenti, poi gli enti formativi, il sistema scolastico
e universitario). Tale sintesi non ha alcuna pretesa di completezza poiché la
complessità valutativa, la operatività su diversi piani rende poco adeguata qualunque
tipologia.
Tra le diverse definizioni della valutazione si è detto che essa è una attività di ricerca
sociale avente come scopo la riduzione della complessità decisionale, la complessità
deriva dalla molteplicità di attori diversi, portatori di ruoli differenziati che incidono
sul processo decisionale, dalla molteplicità delle istanze diverse; e più il processo
decisionale è ‘animato’, più la decisione sarà frutto di una complessa negoziazione.
Chiaramente per porre in essere una valutazione efficace saranno necessarie alcune
condizioni che garantiscano al valutatore la possibilità di lavorare libero da
condizionamenti; al committente un risultato utile ed usufruibile; alla collettività uno
strumento di miglioramento effettivo delle politiche sociali, economiche.
292
Alcune delle condizioni indispensabili per il valutatore, sono ad esempio: una certa
autorevolezza dello stesso valutatore, la legittimità ed il riconoscimento del suo ruolo
per potersi muovere nel contesto dell’evaluando, nonché una precisa competenza
teorica e metodologica; un mandato chiaro e ben definito (cosa valutare, perché e per
chi); l’indicazione delle risorse economiche e temporali entro cui muoversi.
Per il committente saranno necessarie: delle informazioni preliminari riguardo a
tecniche utilizzabili, tempi e costi della valutazione, possibili conflitti che questa
potrebbe generare; riflessione sui possibili risultati non gradevoli, sui rischi stessi
della valutazione, la definizione del tipo di risultati valutativi, giudizi e
raccomandazioni.
Gli eventuali attori coinvolti necessiteranno di informazioni sul committente, sul
perché e sugli utilizzi che si vogliono fare della valutazione; sul tipo di riscontro che,
il committente pensa, debba avere la valutazione sugli altri attori stessi.
In definitiva la valutazione non è solo un supporto alla decisione ma deve individuare
e confrontarsi con i bisogni ai quali gli interventi o i programmi devono rispondere,
la valutazione dei bisogni infatti pone ordine ed aiuta il decisore a stabilire priorità,
inoltre la valutazione dei bisogni o meglio del contesto che deve accogliere il
programma diventa un elemento di rilevanza strategica per l’avvio di qualunque
intervento.
Riguardo al momento in cui fare la valutazione possiamo dire che si fa o si potrebbe
fare in ogni
fase dell’intero processo: decisione – programmazione -
implementazione; a seconda del momento valutativo si distinguono in letteratura una
valutazione ex ante, una valutazione in itinere e/o intermedia, ed una valutazione ex
post.
- La valutazione ex ante è una attività di ricerca previsionale cioè ha una
connotazione di analisi probabilistica, sebbene venga accettata nell’alveo valutativo
ed è suffragata da analisi empiriche dobbiamo accontentarci solo di descrivere
probabilisticamente alcuni elementi possibili di sviluppo futuro14 tenendo sempre
ben presente che si basa su ipotesi per cui i dati su cui si fonda tale valutazione sono
limitati, presuntivi e possono essere smentiti.
Va precisato che nella valutazione ex ante si differenziano: una valutazione ex ante
degli effetti, quando cioè la valutazione viene svolta prima di prendere una decisione
14
Amendola Giandomenico, Prevedere per valutare. Gli spazi della sociologia nella valutazione di
impatto ambientale, in “I sociologi e l’ambiente”, a cura di Franco Martinelli, Bulzoni, Roma.
293
definitiva, anche se vi è già una strategia ben delineata, al fine di calcolare gli effetti
del progetto operativo.
Una valutazione ex ante dell’impatto, ossia, la valutazione viene svolta prima di
prendere qualsiasi decisione in tal caso essa ha la connotazione di ricerca
previsionale, nel senso che costruisce scenari generali illustrando al decisore pregi e
difetti delle alternative possibili, aiutandolo così nella decisione. Ed una valutazione
ex ante dell’implementazione, dopo aver già preso una decisione sulle strategie,
prima di avviare la fase operativa, tale valutazione verifica le modalità concrete
dell’implementazione,
trasmettendo
anche
agli
operatori
una
conoscenza
dell’oggetto.
- La valutazione in itinere, è una attività che affianca il programma o intervento nel
corso del suo svolgimento dando continuamente informazioni sugli obiettivi, sugli
standard, sugli eventi inattesi.
- La valutazione intermedia, interviene in un momento specifico mentre è ancora in
corso il programma o intervento, per fare il punto della situazione, intervenire dove
vi sono effetti non voluti, ritoccare le procedure, ed altro.
Questi due tipi di valutazione si basano quindi su dati parziali, inoltre i fenomeni
valutabili sono incompleti e limitati perché ancora in divenire, ma è indubbia la loro
utilità nel sostenere il decisore nella conduzione corretta dell’intervento, del
programma o altro.
La valutazione ex post ha in teoria a disposizione tutti i dati possibili, ma proprio
questa disponibilità rende più complesso il lavoro di raccolta selezione e soprattutto
di interpretazione, anche qui possiamo distinguere tre momenti fondamentali:
valutazione ex post degli effetti e valutazione dell’impatto, queste intervengono dopo
un po’ di tempo dalla conclusione del programma, del progetto, per verificare che il
risultato risponda agli obiettivi ed ai bisogni formulati inizialmente dalla domanda
del programma o intervento o progetto, in sostanza si analizza l’efficacia esterna; la
valutazione dell’impatto più specificamente analizza le ricadute generali nel contesto
anche quelle relative a bisogni non esplicitati o non previsti.
Abbiamo poi una valutazione ex post delle realizzazioni, la quale si effettua sempre
dopo la conclusione del programma/progetto o intervento, per valutare la correttezza
dei procedimenti realizzati, la rispondenza dei risultati agli obiettivi, quindi
sostanzialmente una valutazione dell’efficienza e dell’efficacia interna.
294
I concetti di efficacia ed efficienza usati ed abusati in ogni contesto, considerati come
criteri di valutazione della qualità, meritano qualche precisazione.
Una delle questioni importanti nel contesto valutativo è la dimensione rispetto alla
quale valutare. Con “dimensione rispetto alla quale valutare”15 ci si chiede se la
valutazione riguarda l’efficienza, l’efficacia o altre dimensioni (equità, accessibilità,
appropriatezza) dell’evaluando, nelle relazioni tra obiettivi, risorse, bisogni, risultati,
che costituiscono le problematiche orientative della valutazione.
Tali concetti si inseriscono all’interno di quello che viene chiamato ciclo di
decisione-valutazione, cioè: il contesto socioeconomico (che esprime dei bisogni) ed
il contesto politico-istituzionale (che esprime delle finalità) negoziano delle risposte
supportate da risorse e condizionate da vincoli normativi, ambientali, finanziari ed a
conclusione della negoziazione definiscono gli obiettivi che si ritengono
raggiungibili, questo in sintesi il processo decisionale.
All’interno di questo processo il concetto di efficacia viene suddiviso in efficacia
interna ed efficacia esterna.
L’efficacia interna è il confronto tra gli obiettivi stabiliti ed i risultati ottenuti, gli
obiettivi sono il risultato di una negoziazione che cerca di coniugare le richieste del
contesto socioeconomico con le finalità istituzionali, per cui tali obiettivi potrebbero
essere considerati un dato di realtà rispetto al quale valutare i risultati.
La valutazione si baserà allora sulla efficacia interna quando si vorranno analizzare
gli effetti, gli impatti, la realizzazione, facendo risalire i risultati anche a questioni
gestionali ed organizzative poiché i successi o i fallimenti dipendono anche da come
è stata organizzata l’implementazione delle azioni previste (procedure, strumenti,
attori).
La valutazione si baserà sull’efficacia interna anche quando le richieste di
valutazione
sono
espresse
dall’organizzazione,
ovvero
da
chi
dirige
il
programma/intervento, e sono finalizzate al miglioramento delle prestazioni
manageriali. Ed ancora quando il disegno valutativo è orientato anche al
coinvolgimento degli operatori; l’analisi dell’efficacia in tal caso rappresenta la
misura della loro professionalità, conoscenza, competenza rispetto al programma.
L’efficacia esterna consiste nel confrontare i risultati ottenuti con i bisogni del
contesto socioeconomico, o meglio con la domanda iniziale rispetto alla quale sono
15
Bezzi Claudio, Strategie di valutazione. Materiali di lavoro,Gramma, Perugina,1998; La valutazione
dei servizi alla persona, Giada, Perugina, 2000.
295
stati concepiti quel programma o intervento o altro, occorrerà quindi identificare in
modo corretto e completo i bisogni.
La valutazione effettuerà domande sull’efficacia esterna quando, ad esempio, si è
ancora in fase di programmazione, per aiutare i decisori ad impostare le ipotesi di
programma, si farà allora una ricerca specifica per individuare la presenza di reali
bisogni, di risposte efficaci.
Oppure quando il programma è in divenire ma è necessario verificare la sua attualità,
perché ad esempio i bisogni sono cambiati o vi sono stati cambiamenti organizzativi
(nuove leggi, regolamenti, ecc.) e poiché tali cambiamenti influiscono su tutto il
ciclo, una attenta strategia richiede controlli periodici.
Ed ancora la valutazione si effettuerà sull’efficacia esterna quando i decisori o altri
attori richiedano una verifica, una riflessione sulla opportunità di modificare o
continuare il programma, o verificarne l’adeguatezza con le concrete necessità dei
beneficiari.
Efficienza questo concetto a differenza della efficacia non viene suddiviso, ha un
significato generico che si adatta alle diverse circostanze. L’efficienza consente di
stabilire un rapporto tra le attività erogate e le risorse utilizzate in tale attività. Bezzi
parla di efficienza manageriale cioè un confronto tra gli elementi relativi ai risultati
ed i vincoli e soprattutto con le risorse destinate inizialmente; in sostanza indagando
sull’efficienza ci si chiede se le risorse messe a disposizione sono sufficienti per
realizzare i risultati previsti, se con le stesse risorse si potrebbero conseguire risultati
migliori. E di efficienza istituzionale, che consiste nel confrontare i risultati con le
finalità del sistema politico-istituzionale; la valutazione si effettuerà sulla efficienza
istituzionale soprattutto quando il sistema e gli attori hanno un ruolo rilevante, non di
semplice committente, per la riuscita del programma; si effettuerà quando i decisori o
comunque coloro che utilizzeranno la valutazione vorranno verificare la rispondenza
dei risultati ottenuti con le proprie finalità con il proprio programma.
Oltre alla efficacia ed efficienza altre dimensioni valutative sono l’equità,
l’appropriatezza, l’accessibilità: riguardo l’equità16, la letteratura sui servizi socioassistenziali ha ampiamente mostrato come il sistema di Welfare State non sia
automaticamente uno strumento di regolazione degli squilibri sociali, sono in molti a
segnalare un problema di equità nella gestione di questi sistemi.
16
Robertson A., Il concetto di qualità nella valutazione delle politiche sociali. Sois, Cagliari, 1995
296
Il problema dell’equità riguarda l’accesso ai servizi e la loro capacità di evitare che
vi siano discriminazioni tra i costi di accesso e le modalità di erogazione.
L’appropriatezza, è la capacità di un intervento di essere centrato rispetto al bisogno
che si intende soddisfare. Varie professioni hanno definito attività e procedure in
riferimento alla congruenza dell’operatività con le manifestazioni del problema da
risolvere, l’appropriatezza esprime proprio il rapporto tra queste linee di condotta e
l’operatività concretamente sviluppata. In sostanza serve per verificare la congruenza
delle risorse disponibili (materiali, professionali) con la domanda,e poi valutare la
fase di processo.
L’accessibilità è un elemento di giudizio che attiene all’analisi della compatibilità tra
il tipo di distribuzione delle risorse e gli obiettivi che si intendono perseguire.
L’accessibilità, l’equità, secondo alcuni autori, sono semplicemente delle proprietà
riconducibili all’efficacia, mentre altre dimensioni importanti sarebbero la rilevanza,
ovvero il confronto tra obiettivi posti al centro di un programma ed i bisogni espressi
dal contesto socioeconomico; gli obiettivi in tal caso devono essere cioè rilevanti nel
senso di essere in grado di modificare il problema originario. O la coerenza, cioè il
confronto tra gli obiettivi dati e le risorse messe a disposizione per raggiungere tali
obiettivi, quindi risorse coerenti, appropriate, sufficienti.
Una prima riflessione sul rapporto tra produzione degli interventi e criteri di giudizio
della qualità, porta a rilevare che nessun criterio da solo può rappresentare in maniera
completa la complessità del concetto.
Il valutatore allora dovrà porsi le domande utili per orientare la sua ricerca,
certamente non si limiterà alla efficacia ed efficienza, ma queste entreranno sempre
nella valutazione anche se con connotazioni diverse.17
Tutte queste problematiche sono naturalmente finalizzare alla realizzazione di una
buona valutazione, e allora se malgrado le procedure suggerite gli obiettivi non
fossero identificabili, o emergessero presupposti e orientamenti contrastanti, come
valutare l’evaluando.
Alcuni autori parlano della possibilità di valutare la valutabilità. In particolare
Wholey Josef che per prima parlò della valutazione della valutabilità, scrisse:
17
Efficacia ed efficienza non sono applicabili sempre allo stesso modo, basti ricordare ad esempio la
distinzione tra beni e servizi osservabili, quelli che l’utente ha la possibilità di giudicare prima di
comprare, e beni e servizi sperimentabili, cioè quelli che l’utente potrà conoscere solo dopo averli
acquisiti (un servizio formativo). Gori E. e Cittadini G. La valutazione dell’efficienza ed efficacia dei
servizi alla persona. Impostazione e metodi, in “Qualità e valutazione nei servizi di pubblica utilità”, a
cura di Enrico Gori e Giorgio Cittadini, Etas, Milano,1999.
297
Questi problemi che caratterizzano molti programmi pubblici e privati possono
essere contenuti e spesso superati da un processo qualitativo di valutazione, la
valutazione della valutabilità, che […] aiuta i programmi e in conseguenza il lavoro
di valutazione a incontrare i seguenti criteri:
-
obiettivi generali e intermedi, effetti collaterali rilevanti e informazioni principali
devono essere ben definiti.
-
Obiettivi generali e intermedi devono essere plausibili.
-
Informazioni sulle principali performance del programma possono essere ottenute.
-
I previsti utilizzatori della valutazione sono d’accordo sull’uso delle informazioni
valutative.
La valutazione della valutabilità è un processo per chiarire la struttura del
programma, esplorarne la realtà e se necessario aiutare a ridisegnarlo per
assicurare che raggiunga questi quattro criteri. La valutazione della valutabilità non
mostra solo se un programma può essere significativamente valutato (qualunque
programma può essere valutato) ma anche se la valutazione contribuirà a migliorare
la sua performance complessiva.18
Questa valutazione della valutabilità alla luce di quanto definito sopra non è altro che
una
riflessione
su
cosa
si
vuole
ottenere
effettivamente
con
questo
programma/intervento/progetto; molto spesso infatti si danno per scontati gli
obiettivi facendo coincidere le finalità della organizzazione (a cui si appartiene) con
qualunque progetto proposto o servizio da implementare, creando di conseguenza
degli equivoci. Se però il valutatore non è superficiale e compie una riflessione sulla
qualità,
sugli
obiettivi
generali,
impliciti,
ed
espliciti,
sulle
finalità
dell’organizzazione rispetto a tali obiettivi, sulle distorsioni ecc. oltre alla
valutazione, garantisce un aiuto ai decisori, ai manager, e operatori per correggere e
migliorare l’intervento, il programma o altro.
18
Wholey Josef S., Professional Evaluation, Sage, Newbury Park, CA.1994
298
3.5. L’approccio “sistematico” alla valutazione
Un approccio sistematico alla valutazione delle politiche pubbliche (program evaluation)
è stato proposto dagli autori Rossi, Freeman e Lipsey, tale approccio si struttura
essenzialmente su alcune domande alle quali il valutatore non può sottrarsi:
•
quali sono i propositi della valutazione in questione?
•
qual è la struttura e il contesto in cui si trova il programma analizzato?
•
come deve essere impostata la relazione con gli stakeholders?
•
quali sono le domande valutative (evaluation questions) cui è necessario dare risposta?
•
quali sono i metodi applicabili per dare risposte solide alle domande poste?
Le domande valutative individuate dagli autori sono 5 e costituiscono altrettanti stadi del
processo di valutazione di una politica pubblica, ossia: 1) valutazione dei bisogni sociali
a cui vuole rispondere il programma; 2) valutazione della teoria sottesa al programma;
3) valutazione del processo/implementazione; 4) valutazione dell’impatto/degli effetti; 5)
valutazione di efficienza.
Questi 5 tipi di valutazione sono tra loro in un rapporto gerarchico, il livello
fondamentale della gerarchia è costituito dalla valutazione del problema sociale cui il
programma è indirizzato. Omettere uno dei passaggi indicati, comporta il rischio di una
valutazione “sbagliata”, in quanto, generalmente, una valutazione di un livello di
gerarchia elevato presuppone la conoscenza e l’analisi di aspetti della policy riferiti ai
livelli più bassi della gerarchia valutativa.
Così ad esempio, se i risultati di una
valutazione di impatto di una politica X sono negativi, bisognerà riflettere su quali
conclusioni trarre, chiedersi dove è stato il fallimento: non si sono compresi a fondo i
problemi sociali? La teoria della politica era costruita su una catena causale di azionieffetti sbagliata (theory failuire)? E’ fallito qualcosa nella fase di implementazione
(implementation failure)? È evidente che non considerando il ciclo della policy nella sua
interezza né il valutatore né il decisore potranno capire le cause del fallimento ed agire di
conseguenza. Lo stesso ragionamento varrebbe ovviamente di fronte a risultati positivi:
non considerando alcune fasi della policy è impossibile interpretare i risultati/effetti
stimati con la valutazione di impatto.
Con lo studio della valutazione dei bisogni cui è indirizzato il programma (needs
assessment) si cerca di rispondere alla domanda “qual è il problema?”. Attorno a questa
semplice domanda sorgono una serie di quesiti e questioni epistemologiche che in questa
sede non ha senso trattare ma che il ricercatore, tuttavia, non può trascurare. Lo scopo di
299
questo tipo di valutazione (che può essere svolta sia preventivamente che a posteriori)
cerca di definire il problema nelle sue dimensioni, trends e peculiarità, facendo uso sia di
tecniche e dati quantitativi che di metodi di indagine qualitativa che permettono di
descrivere il problema e tener conto delle differenti percezioni dello stesso da parte dei
diversi stakeholders. Necessario è anche giungere a definire chi sono i soggetti target:
individuali o collettivi? Diretti e indiretti, etc.
La teoria del programma può essere definita come l’insieme delle assunzioni circa i
risultati che il programma in esame prevede di produrre e sulle strategie e le tattiche che
il programma intende adottare per raggiungere i suoi obiettivi. La teoria viene scomposta
dagli autori in due componenti:
•
la prima è la teoria dell’impatto (impact theory) e si riferisce al cambiamento atteso in
seguito al programma secondo una catena di eventi e nessi causali (per cui
dall’azione A ci si aspetta un risultato B);
•
la seconda è la teoria di processo (process theory) che descrive i passaggi, le attività da
compiere nell’organizzazione e nell’implementazione degli interventi.
La teoria di una politica può essere esplicita o implicita, il valutatore che ha il compito di
definirla può sfruttare diverse fonti informative, per fare ciò, quali ad esempio: la
documentazione amministrativa; le interviste a decisori e stakeholders; l’osservazione
diretta delle funzioni del programma; la letteratura delle scienze sociali. In questo modo
è possibile raccogliere 3 tipi di informazione: 1) gli obiettivi della politica; 2) le funzioni
componenti e le attività del programma; 3) la logica sequenziale che lega funzioni,
attività e prodotti.
Una buona analisi della teoria sottesa ad una politica permette di: a) capire quali sono gli
obiettivi; b) individuare le funzioni e le attività programmate; c) contribuire all’eventuale
ridisegno di una politica. Se la teoria sottesa ad una politica viene considerata ben
definita e giustificata, allora è possibile proseguire con la valutazione, in caso contrario,
non avrebbe senso continuare perché ogni risultato che si otterrebbe sarebbe impossibile
da interpretare in relazione alla politica. Ad esempio se – in seguito ad un’analisi di
impatto condotta rigorosamente – gli effetti della politica in esame, sulla popolazione
target, sono stimati essere positivi, come è possibile imputare i “meriti” ai decisori senza
avere prima analizzato la teoria della politica, ovvero come la politica è stata disegnata?
Nel caso in cui la politica fosse stata mal disegnata, si potrebbe concludere che o i
risultati ottenuti sono dovuti al caso o in fase di implementazione gli attori non hanno
300
rispettato i programmi ed hanno agito “indipendentemente” (in questo caso
un’implementation failure determinerebbe il successo della politica).
Lo scopo della valutazione del processo di implementazione (process evaluation) è
quello di conoscere “cos’è realmente il programma” e se i servizi, gli interventi
raggiungono concretamente oppure no la popolazione target. Essa può essere effettuata a
posteriori (program process evaluation), necessaria per la valutazione di impatto, o in
itinere (continuous program monitoring), necessaria prevalentemente per i manager del
programma in quanto fornisce un feedback regolare sull’implementazione degli
interventi. La valutazione del processo attuativo di una policy assume una certa rilevanza
anche in una prospettiva di accountability, in quanto rende conto a tutti i possibili
stakeholders di “cosa l’organizzazione sta facendo”. Alcuni aspetti oggetto di analisi
sono: il livello di partecipazione/coinvolgimento della popolazione target; il livello di
“distorsione” nell’erogazione di un servizio (es. un sottogruppo partecipa più di altri…);
il livello di dropouts. Confrontando i risultati di questa analisi con la teoria del
cambiamento sottesa alla politica è possibile sapere se la politica viene implementata
come era stato programmato o no (implementation failure). Un fallimento
dell’implementazione può essere dovuto ad esempio: alla non effettuazione
dell’intervento, e/o ad una sua parziale effettuazione; all’erogazione di un servizio
sbagliato o secondo criteri distanti da quelli prescritti; ad un’erogazione diversificata tra
la popolazione target; a differenti modalità di implementazione tra diverse unità
territoriali incaricate (es. centri per l’impiego). Conoscere questi scostamenti dal
programma è essenziale per effettuare un’analisi degli effetti.
Gli outcomes (effetti) di un programma possono essere stimati e interpretati in diversi
modi. Il valutatore deve capire e definire qual è l’effetto su cui la politica vuole influire.
L’individuazione e la misurazione del nesso causale tra la variabile trattamento (il
prodotto o output) e questa variabile dipendente (outcome variable) costituisce la sfida di
questo tipo di valutazione. La variabile outcome può essere considerata sotto diversi
punti di vista:
•
outcome level: è il livello, lo stato, della caratteristica della popolazione target o della
condizione sociale su cui la policy intende agire, misurato in un preciso istante nel
tempo (es. il tasso di criminalità in un quartiere misurato nel tempo t);
•
outcome change: è la differenza tra due misurazioni della stessa variabile outcome in
tempi diversi (es. la differenza tra il tasso di criminalità nel tempo t e nel tempo t+1,
ovvero dopo un intervento di riqualificazione urbana);
301
•
program effect (impact): è la porzione di outcome change che può essere attribuita al
programma (la porzione di scostamento tra le due misurazioni del tasso di criminalità
attribuibile esclusivamente all’intervento di riqualificazione urbana).
L’identificazione degli outcomes rilevanti, la loro misurazione, la scelta e l’applicazione
delle tecniche di misurazione e di stima costituiscono altrettanti argomenti che non
possono essere affrontati in questo lavoro e che comunque poco si prestano a
ragionamenti metodologici generali in quanto fortemente connessi alle specifiche
situazioni.
Gli autori sottolineano l’importanza della distinzione tra: 1) il monitoraggio e la
misurazione degli effetti; 2) la valutazione di impatto (secondo metodi sperimentali e non
sperimentali)
Il monitoraggio è definibile come la raccolta sistematica di aspetti della performance di
un programma che indicano se il programma sta funzionando come era inteso
inizialmente o in accordo con determinati standard previamente fissati. L’oggetto del
monitoraggio è la performance del programma, che può riguardare sia i prodotti, che gli
effetti, che il processo di implementazione. Il monitoraggio, anche se basato
sull’osservazione di indicatori relativi agli outcomes, non è definibile come “valutazione
degli effetti”, per la quale è necessario individuare l’effetto netto della politica
utilizzando tecniche più sofisticate. Il monitoraggio può, tuttavia, costituire una buona
base di partenza per avviare successive valutazioni di impatto. La definizione degli
standard, degli indicatori, loro misurazione ed interpretazione necessitano di particolari
attenzioni e cautele.
La valutazione di impatto può essere effettuata solo dopo aver proceduto alle valutazioni
collocate negli stadi inferiori della “gerarchia”. Si tratta fondamentalmente di un’analisi
comparativa: gruppo di trattati a confronto con il gruppo di controllo; oppure valore
fattuale contro valore controfattuale (stima del valore che la variabile risultato avrebbe
avuto se il gruppo dei trattati non fosse stato sottoposto al trattamento). È possibile
individuare due filoni della valutazione d’impatto:
1.L’approccio sperimentale: questo pur con tutte le limitazioni cui è sottoposto (costi,
considerazioni etiche, tempi, etc.), è considerato da molti il metodo valutativo per
eccellenza. In estrema sintesi tale metodo si basa sull’assegnazione casuale delle unità
osservate, al gruppo che verrà sottoposto al trattamento o a quello che non lo sarà. La
casualità assicura che i due gruppi siano mediamente uguali. La stima dell’effetto della
politica avviene confrontando i valori delle variabili outcomes dei due gruppi dopo la
302
somministrazione del trattamento (il valore del gruppo dei trattati rappresenta il fattuale,
mentre quello del gruppo di controllo il controfattuale). L’effetto della politica è dato dal
valore fattuale – il valore contro-fattuale.
2.L’approccio non-sperimentale (o quasi-sperimentale): i due gruppi vengono formati expost e non con il metodo della assegnazione causale, il problema in questo caso è il
contenimento delle distorsioni dovute al fatto che i due gruppi non sono equivalenti. Si
possono individuare due tipi di distorsione:
a) distorsione da selezione: i due gruppi non sono uguali; b) distorsione da “dinamica
spontanea”: la variabile risultato varia indipendentemente dall’intervento pubblico.
Alcune tecniche statistiche utilizzate per arginare tali problemi di distorsione e formulare
delle stime valide sono: lo statistical matching, la multiple regression analysis, il
regression discontinuity design, il difference in difference, l’interrupted-time-series
analysis.
La valutazione di efficienza (efficiency analysis), può essere svolta ex-ante (per scelte
allocative in presenza di risorse scarse – efficienza allocativa) o ex-post (come estensione
della valutazione di impatto). Gli autori individuano due sotto-categorie:
•
l’analisi costi-benefici (gli effetti del programma vengono espressi in termini
monetari)
•
l’analisi costi-efficacia (gli effetti del programma non vengono trasformati in termini
monetari)
Se invece si cambia prospettiva, ovvero vengono considerati i bisogni, le esigenze
cognitive, la “valutazione” può assumere cinque “forme diverse”:
1. “Policy and program design”: la valutazione come strumento per allocare risorse agli
usi più meritevoli.
2. “Management control”: la valutazione come strumento di controllo della performance
nell’ambito delle organizzazioni.
3. “Accountability”: la valutazione come veicolo per rendere conto delle realizzazioni
effettuate in un certo ambito di azione pubblica.
4. “Implementation”: la valutazione come strumento di analisi critica dei processi di
attuazione di una politica.
5. “Learning”: la valutazione come stima degli effetti prodotti da una politica.
303
1.La “valutazione” come strumento per allocare risorse agli usi più meritevoli.
In questo caso la “valutazione” consiste in un giudizio comparativo su diversi
soggetti/oggetti al fine di individuare i migliori o più meritevoli, si tratta
fondamentalmente di quella che comunemente viene definita valutazione ex-ante,
nonostante non vi sia accordo nell’accettarla come valutazione in senso stretto. Le
procedure consistono in tre passaggi essenziali: a) determinazione dei criteri
(punteggi e pesi); b) esame dei N soggetti/oggetti; c) aggregazione dei giudizi
secondo tecniche diverse (individuazione dei migliori, esclusione dei peggiori,
formulazione graduatorie). A questa logica di valutazione appartengono: - la
selezione dei progetti (bandi di gara) - la valutazione della dirigenza - la valutazione
della ricerca scientifica - le analisi costi-benefici di alternative - l’analisi multicriteri
2.La valutazione come strumento di controllo della performance nell’ambito delle
organizzazioni.
Questa analisi risponde all’esigenza di sapere se ed in che misura un’organizzazione
(o meglio: una singola unità organizzativa) funziona bene (come dovrebbe). Si tratta
di un’analisi della performance che ha per oggetto i costi, la qualità delle prestazioni,
i volumi di attività. Si tratta di una misurazione degli scostamenti tra i valori
osservati e i valori “ottimali”. Le informazioni prodotte hanno rilevanza gestionale
interna. Le fasi di questo tipo di analisi sono cinque:
•
individuazione delle dimensioni da sottoporre a controllo
•
definizione degli indicatori che rappresentano le dimensioni o parti di esse
•
individuazione degli standard appropriati per ciascun indicatore
•
raccolta dei dati
•
interpretazione delle deviazioni dei dati osservati dagli standards.
Si rifanno a questa logica (pur non costituendo propriamente dei metodi di
valutazione): - il controllo di gestione - la certificazione di qualità - l’accreditamento
di organizzazioni - le indagini di customer satisfaction
3.La valutazione come veicolo per rendere conto delle realizzazioni effettuate in un
certo ambito di azione pubblica.
Dato un complesso di interventi che usano risorse pubbliche, del cui utilizzo si vuole
(o si deve) rendere conto, la valutazione è quel processo di misurazione e
comunicazione sistematiche delle realizzazioni effettuate (e dei “risultati” ottenuti).
Ha una valenza prevalentemente descrittiva, pone una certa enfasi su grandezze
304
aggregate,
che
offrono
un’immagine
d’insieme
dello
sforzo
perpetrato
dall’organizzazione. Come strumento di rendicontazione la valutazione si adatta
particolarmente a organizzazioni complesse e multifunzionali, oppure a grandi
programmi di intervento pubblico. La ricaduta decisionale di questo tipo di
valutazione
non
è
immediata
ed
assume
prevalentemente
una
valenza
“comunicativa”. I termini chiave sono: trasparenza, responsabilità e legittimazione. I
destinatari di questa valutazione possono essere i cosiddetti stakeholders, organi o
organizzazioni sovraordinate, oppure, più generalmente, tutti i cittadini.
Alla base di un rapporto di accountability sta fondamentalmente un impegno a fare
qualcosa per qualcun altro. Questo impegno può essere imposto dal soggetto esterno,
concordato o contrattato tra le parti, od offerto volontariamente dal soggetto delegato
in cambio dell’attribuzione di responsabilità. L’informazione raccolta ed elaborata a
supporto di questa funzione quindi deve essenzialmente controllare che “le cose
promesse siano state fatte, fatte in tempo e fatte bene”.
Gli autori sottolineano l’ambiguità del termine obiettivo che può assumere due
valenze:
•
Obiettivo come perseguimento di un target stabilito e quantificato (o
quantificabile) a priori. Il target può essere un certo volume di produzione, il
completamento di un progetto, il raggiungimento di livelli qualitativi di un
servizio. Verificare se l’obiettivo è stato raggiunto significa in questo caso
essenzialmente “confrontare il target prestabilito con ciò che è stato
ottenuto/fatto/prodotto”, e questa è l’essenza dell’informazione prodotta a
supporto dell’accountability.
•
Obiettivo come modifica di una situazione ritenuta non desiderabile mediante
l’uso di strumenti di intervento pubblico (ad esempio, la riduzione delle
tossicodipendenze, l’aumento della concorrenza nei mercati, la riduzione
dell’inquinamento, etc.). In questo caso “verificare se gli obiettivi sono stati
raggiunti” significa molto di più rispetto ad una verifica delle “cose fatte”, al
raggiungimento di un target prestabilito. Qui sorge essenzialmente un problema
di attribuzione di causalità, e in seconda battuta di identificazione delle ragioni
(organizzative, di contesto) per cui il cambiamento si è o non si è verificato. Qui
non ci si trova più di fronte ad un’esigenza di accountability, ma di learning.
La raccolta e l’interpretazione dell’informazione per sostenere la funzione di
accountability è tutt’altro che banale, pur esulando dal problema di attribuzione di
305
causalità. Raccogliere ed interpretare le informazioni necessarie affinché qualcuno
realmente arrivi a rendere conto delle proprie azioni non è cosa facile. La maggior
sfida viene nel momento finale, quello che consiste nell’emettere un giudizio sulla
performance del soggetto che deve rendere conto delle proprie azioni. Diversamente
dall’attribuzione di causalità, che può essere fatta con strumenti relativamente
formalizzati e rigorosi delle scienze sociali, qui si tratta di fare una più informale
attribuzione di responsabilità.
4.La valutazione come strumento di analisi critica dei processi di attuazione di una
politica.
L’oggetto dell’analisi in questo caso non è né giudicare la performance né rendere
conto delle realizzazioni. L’oggetto della valutazione è in questo caso la c.d. black
box, ovvero la fase del processo di una policy in cui le idee e i programmi vengono
trasformati in azioni e pratiche amministrative. In altre parole, attraverso strumenti
prevalentemente di tipo qualitativo, vengono studiati i processi attuativi della politica
pubblica (implementation research) .
Alcune pratiche riferibili a questo filone: - descrizione di ciò che è stato fatto
(monitoraggio) - confronto tra ciò che è stato realizzato e il disegno originario esame sistematico dei punti di forza e di debolezza.
5.La valutazione come stima degli effetti prodotti da una politica.
È la valutazione in senso stretto. Rappresenta uno strumento che aiuta a capire se un
intervento pubblico produce gli effetti desiderati. Pur trattandosi di una valutazione
ex-post, essa è una valutazione prospettica, nella misura in cui aiuta i decisori a
riorientare il disegno delle politiche sulla base delle stime prodotte. Si tratta di una
valutazione da tenere nettamente distinta dalla rendicontazione valutativa. I due tipi
di valutazione, come già detto, rispondono ad esigenze cognitive differenti e
utilizzano, quindi, propri metodi e strumenti di raccolta dati, analisi e comunicazione.
La valutazione, intesa come learning, rientra appieno nel filone della evaluation
research /program evaluation americana (Rossi, Freeman e Lipsey). E’ mirata ad un
intervento preciso, mentre l’accountability è generale; le informazioni prodotte dalla
valutazione intesa come learning sono approfondite e circoscritte mentre quelle
prodotte dall’accountability sono periodiche, descrittive e semplificate; ancora,
questo tipo di valutazione utilizza metodi quantitativi e qualitativi delle scienze
sociali (basati sull’approccio controfattuale), mentre l’accountability mantiene
prevalentemente un’impostazione tipica della logica di controllo.
306
CAPITOLO 4
LA VALUTAZIONE DELLE NORME TRA POLITICHE E CONTROLLI
4.1. La valutazione della normazione
L’esigenza di individuare strumenti conoscitivi e tecniche adeguate per sviluppare processi
di valutazione dell’efficacia delle decisioni di carattere normativo, è legata a due fattori
generali presenti in tutti gli ordinamenti giuridici, la crescente tecnicizzazione delle scelte
politiche da un lato e l’alto tasso inflativo della normazione dall’altro. Dopo un periodo di
incertezza, ritenuto superato il cosiddetto metodo giuridico, l’attività di valutazione delle
decisioni normative si è orientata verso un approccio metodologico interdisciplinare,
comune a gran parte delle scienze applicate. In tal senso gli studi legislativi e l’analisi delle
politiche pubbliche si sono orientate verso studi economici sociali, statistici.1 Le funzioni
di valutazione di programmi, progetti e riforma delle normazione si sono affermati con
certo vigore, potendo contare anche su capacità metodologiche accresciute e
strumentazioni sempre più affinate.
Le ragioni della aumentata attenzione per gli strumenti e i metodi valutativi sono collegati
alla necessità di misurare in termini di economia e produttività generale del sistema, una
azione pubblica di cambiamento e innovazione normativa. Nonché dalla necessità di
aiutare i decisori nell’acquisizione delle informazioni su un determinato problema esistente
nella realtà su cui sono chiamati ad operare, per rispondere ai bisogni concreti manifestati
da cittadini, imprese, attori economici in generale.
L’attenzione per il ruolo della valutazione incentrato sul momento preliminare della
decisone politica sollecita i soggetti coinvolti nelle scelte, ad essere più consapevoli e
responsabili dei costi che le azioni pubbliche comportano, più attenti alla rendicontazione,
alla necessità di controllare l’ingerenza degli interventi pubblici.
1
Gli studi legislativi e analisi politiche si sono orientate e poi collegate a quel filone di ricerca, nato
dalla teoria delle decisioni , affermatasi a partire dagli anni ’70 soprattutto negli Stati Uniti, poi
diffusosi in tutti i paesi industrializzati, noto come Evaluation Research. Storicamente il fenomeno
sembra collegato al fallimento delle grandi politiche sociali del periodo Kennediano, in seguito al
quale emerse la necessità di trovare tecniche affidabili sulla cui base rinnovare gli schemi dell’agire
pubblico, e condurre le scelte politiche all’interno di schemi e procedure in grado di misurare i
risultati concretamente ottenibili e in fase successiva gli effetti prodotti, al di là di quelli promessi
dalla leadership al potere. AA.VV., la crisi della legislazione Studiosi e politici a confronto, Cedam,
Padova, 1997
307
Il decisore pubblico può essere obbligato normativamente o può trovare conveniente
avvalersi di schemi di valutazione che lo aiutino a giudicare della efficacia, tra i diversi
interventi ipotizzabili, di un programma di modificazione normativa che intende
intraprendere per risolvere un determinato problema, sulla base di soddisfacimento delle
aspettative, raggiungimento dell’obiettivo, criteri di proporzionalità tra costi e vantaggi.
La necessità di rendere coerente e adeguata agli scopi la produzione di regole giuridiche
sembra collegarsi al problema più generale, tipico di società complesse, della iperregolazione, dell’inflazione legislativa, del sovraccarico e saturazione normativa.
La produzione di regole settoriali e particolari che si intrecciano l’una all’altra in modo
spesso caotico e frammentario, delineando una situazione giuridica spezzettata e
frammentaria, caratterizzata da una eccessiva tecnicità, finisce per creare un groviglio
normativo di scarsa intelligibilità e conoscibilità anche per gli esperti.
I decisori pubblici al momento della redazione dei testi normativi si preoccupano di
delimitare, circoscrivere l’ambito sociale nel quale intervengono per rendere i testi
normativi il più possibile aderenti alla molteplicità delle situazioni reali, ma
paradossalmente proprio questo bisogno di aderire al reale, rende i testi repentinamente
inadatti, costringendo a nuovi interventi legislativi, che quasi mai è omogeneo con il
precedente. Pertanto si crea una sovrapposizione normativa che costringe l’interprete a
ricostruire il quadro normativo alla ricerca di una ratio legis, laddove non vi siano
connessioni logiche nelle scelte normative effettuate, né coerenze nelle definizioni, ma
ambiguità.
Nasce quindi l’esigenza di mettere ordine, di trovare metodi di razionalizzazione della
produzione regolativa che siano in grado di contenere gli effetti inflattivi, derivanti da una
ulteriore produzione di regole e norme, servendosi di parametri di opportunità, di utilità, di
efficacia delle norme.
In questa iper produzione normativa, il decisore dovrà dunque valutare e verificare gli
impatti che una eventuale nuova normativa provocherà, i costi o benefici che produrrà sul
sistema, sui vari livelli istituzionali, sui cittadini.
Se le norme non hanno più un valore generale ma ne hanno solo nella misura in cui
consentono di raggiungere determinati specifici obiettivi, allora
il vero requisito di
“legittimità” della norma diventa, in un certo senso, la sua capacità di rispondere alle
esigenze reali presenti nella società. In questa prospettiva qualunque azione di riforma della
legislazione risulta improduttiva se le sue ipotesi non sopravvivono alla prova
308
sperimentale; di qui la necessità di frapporre al momento della decisione normativa una
procedura in grado di verificare la congruità e l’efficacia della legislazione, per constatare
la validità del suo contenuto rispetto ai risultati attesi. Successivamente il giudizio verterà
sul grado di efficienza raggiunto nella sua attuazione. Al decisore, al soggetto politico, non
si chiede più solo di conoscere il diritto, ma di conoscere altrettanto approfonditamente
economia, statistica, scienza dell’informazione, in tal occorre predisporre un lavoro di
raccolta ed elaborazione non solo dei dati normativi e ordinamentali sui quali la scelta
regolativa produrrà effetti, ma anche dei dati e informazioni sui quali si intende intervenire,
supportati da studi preventivi destinati a delimitare il campo decisionale.
L’applicazione della valutazione alla produzione normativa consente di acquisire le
conoscenze necessarie sul problema e di verificare e controllare la fattibilità
dell’intervento. In un certo senso la legge viene concepita come la fase di un processo,
legata ad un insieme di atti e decisioni precedenti e successive ed inserita all’interno di un
programma politico che ne giustifica la coerenza e ne delimita il quadro di riferimento.
Il problema più rilevante nella ricerca valutativa applicabile alla produzione normativa
appare quello di delimitare il campo di indagine, sia per l’indeterminatezza o la generalità
degli obiettivi politici desumibili dai documenti di programmazione, sia per la difficoltà di
misurare le esternalità e gli effetti connessi all’attuazione delle norme che si vogliono
emanare.
Si dovranno allora affiancare i criteri di analisi giuridica ai metodi propri delle discipline
economiche, statistiche, sociologiche; le informazioni così raccolte saranno codificate dal
decisore in funzione di una logica complessiva. Una logica che si può ancora definire
politica ma in una prospettiva nuova, più avanzata rispetto alla precedente. Ciò da ragione
a coloro i quali affermano che la politica sta diventando sempre più attività tecnicoeconomica, che richiede particolari capacità comunicative, ma tuttavia ancora risponde ad
esigenze proprie della logica di preservazione del consenso di categorie differenziate e
disomogenee di elettori, che inevitabilmente riconducono la sfera decisionale nell’ambito
degli stili propri, caratteristici di ciascun paese.
In pratica gli elementi di analisi, legati al quadro politico di ciascun paese, introdotti nella
valutazione rendono questa più complessa, per cui ai fattori di giudizio in termini di
efficacia tecnico-economica, sociologica, di un certo provvedimento si dovrà affiancare e
poi elaborare una analisi degli effetti ai fini del mantenimento degli equilibri politici, della
preservazione del consenso e della rispondenza a quelle esigenze di produzione di
soluzioni ai problemi dei cittadini, in grado di appagare il bisogno collettivo di protezione e
309
sicurezza. Ciò comporta che la valutazione dell’efficacia politica di un intervento
normativo può spingere verso scelte che contraddicono i giudizi formulati in sede di analisi
tecnica.
Nelle elaborazioni e nelle analisi teoriche di valutazione degli effetti della normativa
pubblica, gli aspetti relativi al consenso politico tendono ad essere inseriti, in un preciso
contesto del procedimento di valutazione, tra gli aspetti relativi alla migliore
comunicazione verso i destinatari, alla trasparenza del contenuto normativo, alla possibilità
per i gruppi e le associazioni di partecipare alla migliore formulazione dei testi ed esporre il
loro punto di vista. La capacità politica in questa prospettiva si giustifica come capacità di
attivare procedure in grado di far emergere le ragioni che conducono poi alla scelta
normativa adottata.
Il problema però è che nel processo di analisi decisionale dell’atto normativo non si può
applicare la teoria della scelta politica razionale, poiché la contrattazione con le parti
sociali coinvolte nell’elaborazione dell’atto normativo, metterebbe in discussione proprio
quei presupposti sui quali basare la valutazione di efficacia. Per cui la valutazione di
efficacia dipenderà anche da quanto si è disposti a sacrificare alla contrattazione o alle
richieste di lobby o gruppi di pressione sociale, per il raggiungimento degli obiettivi.
Tuttavia nel porsi in questa prospettiva non si individuano poi soluzioni concrete per
intervenire nelle decisioni normative con meccanismi di deterrenza e di controllo
generalizzato sul livello qualitativo della normazione. Cioè se le scelte
e le logiche
valutative dell’efficacia delle normazioni non possono essere rese pubbliche e trasparenti,
dovendo rimanere nella zona d’ombra della negoziazione condotta riservatamente, perché
oggetto di scambio tra obiettivi disomogenei, contraddittori o di mero tornaconto
personale, allora non vi sono né controlli né soluzioni ipotizzabili. Inutile parlare di
valutazione di efficacia normativa in una tale prospettiva, occorre allora trovare modelli di
valutazione dell’efficacia che siano idonei se non a far emergere completamente le ragioni
politiche sottese alla proposta normativa, per lo meno adatti a contenere, entro limiti
accettabili, le contraddittorietà delle azioni pubbliche, trovando schemi che possano
rendere obbligatorio l’uso di check-list di controllo preventivo delle decisioni regolative.
Il rischio comunque nella elaborazione di check-list è che una eccessiva complessità
comporti una difficoltà di applicazione, la necessità di semplificare vale anche per gli
strumenti di verifica dell’efficacia e della qualità della normazione.
310
L’OCSE nel 1995 ha indicato una metodologia possibile per applicare i metodi di
valutazione della normazione pubblica, uno schema procedurale che si articola in nove
punti:
1.
in primo luogo occorre prospettare il problema presente nella società, con l’uso
anche di analisi comparate, evidenziandone la sua rilevanza in rapporto agli obiettivi
generali di programmazione politica ed economica, utilizzando i metodi descrittivi più
attendibili e validati;
2.
individuare poi le variabili relative alla dimensione del problema, descrivendo il
processo causale e i meccanismi che conducono agli effetti constatati;
3.
individuare delle iniziative normative più efficaci per ottenere i cambiamenti
desiderati, occorre cioè stabilire l’obiettivo valutandone la coerenza con gli obiettivi
generali posti in fase di programmazione. In questa fase occorre chiarire anche la necessità
o meno dell’intervento normativo ipotizzato, tenendo presente che l’obiettivo potrebbe
essere realizzato facendo ricorso a fonti diverse dalla normazione pubblica, ad esempio
ricorrendo alla capacità di autoregolazione dei soggetti coinvolti;
4.
si devono poi raccogliere tutte le informazioni sullo stato della legislazione,
nazionale e possibilmente straniera, presa a riferimento per la comparazione,
evidenziandone le lacune, le incongruenze, da un lato, la conformità, la coerenza del
progetto con i principi generali dell’ordinamento, dall’altro;
5.
occorre poi individuare i mezzi strumentali, procedimentali, finanziari, idonei a
raggiungere lo scopo e stimare gli oneri dell’intervento, valutando la fattibilità del progetto
normativo ed i costi amministrativi;
6.
procedere ancora a stimare i costi per cittadini, imprese e soggetti comunque
coinvolti direttamente o indirettamente dall’intervento normativo e valutare i benefici
conseguenti;
7.
ulteriore fase attiene alla valutazione del rapporto ottenuto tra i costi sostenuti e i
benefici diretti e indiretti conseguibili per i soggetti coinvolti, acquisendo informazioni,
proposte e suggerimenti dalle parti interessate;
8.
infine occorre comparare la convenienza della scelta normativa ipotizzabile con le
soluzioni normative alternative proposte;
9.
in ultimo occorre formulare il testo normativo definitivo tenendo conto delle capacità
dei vari livelli istituzionali di garantirne il rispetto individuando quale sistema di
311
cooperazione tra i diversi livelli di governo sia il più efficace per soddisfare gli obblighi e
compiti previsti.2
Le metodologie da utilizzare nelle varie fasi sono diverse: una metodologia di valutazione
dell’impatto del provvedimento, che non può prescindere da una analisi di tipo giuridico e
sociologica del problema; una analisi tecnica di fattibilità, individuando come l’obiettivo
possa essere conseguito, con quali processi operativi, quali tecnologie, quali risorse umane
e conoscenze professionali; una analisi dei costi amministrativi fatta secondo metodi del
controllo di gestione; una analisi costi/benefici che segue un approccio macro-gestionale e
strategico. Secondo alcuni studiosi se dal punto di vista metodologico l’analisi giuridica ha
perso il carattere di preminenza che aveva in passato, dovendosi confrontare e arricchirsi
dell’apporto di altre scienze sociali, dal punto di vista dell’assetto organizzativo da dare
alle procedure di valutazione dell’efficacia della normazione, il diritto riprende il suo ruolo
fondamentale. Infatti i metodi di valutazione diventano efficaci in quanto acquisiscono la
forza propria dei precetti giuridici, si trasformano in precisi vincoli normativi per il
decisore, cioè schede di fattibilità, procedure di verifica della efficacia della normazione,
elaborate in sede accademica, godono dell’autorità che si annette agli enunciati giuridici e
si trasformano in procedure generalizzate e obbligatorie, si impone autoritativamente un
metodo che altrimenti i decisori applicherebbero a loro discrezione. Questo non costituisce
certo il modo più indicato per risolvere i problemi di inflazione e scadimento della qualità
della normazione, né tanto meno garantisce una sia pur minima efficace valutazione.
Le analisi di congruenza e di fattibilità giuridica tenderanno a stabilire se vi è davvero
necessità di un intervento normativo; a quale livello di normazione intervenire; quali norme
introdurre nel sistema per risolvere il problema delineato, quale metodo appare più congruo
per innestare la norma delineata nel sistema giuridico esistente.
Occorre prima di tutto verificare se il problema possa essere affrontato adeguatamente con
strumenti diversi da quelli della normativa della regolamentazione pubblica. Le difficoltà
infatti potrebbero derivare proprio dall’eccesso di normazione e l’intervento normativo che
si intende proporre non risolverebbe ma complicherebbe ulteriormente la situazione, con
l’effetto non solo di non eliminare ma di perpetuare gli effetti negativi che si sono
constatati.
2
Commissione delle Comunità Europee, Legiferare meglio, Bruxelles, 1997; Ministero dell’Interno,
Formazione delle leggi e tecnica normativa, Ist. Pol. e Zecca dello Stato, Roma, 1995
312
Oltre ad problema di legislazione esiste una questione preliminare di giuridificazione o
meno delle situazioni reali, che implicano anche una scelta, cioè di rendere rilevanti per il
diritto situazioni che si presentano al momento rilevanti solo come fenomeno sociale.
Vi sono infatti aree economiche che registrano significativi vuoti normativi e che si
preferisce lasciare nell’indeterminatezza giuridica sia per le spinte contrastanti in uci si
muovono i soggetti coinvolti da una eventuale normazione, sia perché gli equilibri
economici e sociali già formatisi, basati su scelte di convenienza dei diversi attori sociali
interessati, si rivelano paradossalmente più efficaci se non supportati da norme prescrittive
e non irrigiditi in una disciplina giuridica codificata.
Vi sono poi aree che possono essere disciplinate facendo ricorso a strumenti diversi da
quelli della normazione pubblica, seppure sottoposte a normazione in tal caso si tratta di
valutare l’efficacia
di norme di autoregolazione, che presentano vantaggi quanto a
semplicità e certezza normativa, anche rilevanti inconvenienti dovuti alla rigidità, ai costi,
alle difficoltà applicative.3
Si deve precisare che con il termine di autoregolazione si intendono due tipi di normazione,
una
di
tipo
volontario
dei
soggetti
economici
interessati,
l’altra
delegata
dall’amministrazione a terzi e sottoposta al controllo di organismi pubblici per la verifica
della congruità degli standard adottati ed il rispetto delle regole indicate.
In questo caso l’autoregolamentazione implica che questo potere delegato sia soggetto a
controlli assolutamente efficienti da parte dell’amministrazione pubblica.
L’OCSE cerca di incoraggiare tale tipo di normazione, ma non sono da sottovalutarne i
limiti che, come evidenzia la letteratura statunitense, possono dar luogo ad una sorta di
“accaparramento del soggetto regolatore” da parte delle industrie e dei soggetti economici
da regolare, con il rischio che si ledano principi di concorrenza del mercato o altro.
I vantaggi invece di tale sistema consistono soprattutto nella sua flessibilità, nella
economicità, nella professionalità degli attori che intervengono
per l’applicazione e
attuazione della normativa.
Dopo aver deciso che il problema va risolto facendo ricorso alla normazione pubblica,
occorre valutare a quale livello si intende far ricorso, ossia se occorre intervenire a livello
comunitario oppure a livello nazionale, con norme primarie o regolamentari. L’intervento
3
La tecnica di autoregolazione o self-regulation è usata con sempre maggiore frequenza negli Stati
Uniti, mentre meno utilizzata negli ordinamenti europei e specialmente in Italia, dove ancora si rileva
una certa confusione concettuale sul problema. AA.VV. La crisi della legislazione. Studiosi e politici
a confronto, in Claudio Mignone (a cura), Cedam, Padova, 1997.
313
legislativo in tal senso, se non si tratta di legislazione di principio, dovrebbe ricorrere a
fonti secondarie, che garantiscono la flessibilità e la rapidità di adeguamento alla realtà su
cui si intende intervenire.
Quanto ai livelli di governo cui imputare la funzione normativa, occorre applicare, come
principio acquisito nell’ordinamento, il principio di sussidiarietà, considerando prioritaria
la scelta del livello più vicino alla realtà territoriale dei cittadini.
Occorre poi valutare quali norme siano efficaci per risolvere il problema individuato; la
struttura dell’atto normativo deve indicare in ogni caso: i soggetti destinatari, l’oggetto
dell’intervento regolativi pubblico, l’ambito di applicazione, le norme procedurali, le
strutture di riferimento, i mezzi finanziari con cui far fronte ai costi stimati, le eventuali
norme transitorie, ed anche le abrogazioni espresse di norme preesistenti. Questa fase è
strettamente connessa a quella dell’innesto normativo con le fonti preesistenti, poiché
l’ambito di intervento della norma può risultare ampliato o ristretto a seconda della
necessità di inserire le nuove disposizioni in un contesto più generale o specifico.
Nel momento del coordinamento con le norme preesistenti, l’attività di valutazione
dell’efficacia delle normative esaminate dal decisore, si amplia e diventa attività di
razionalizzazione. Contestualmente alla introduzione di nuove norme nell’ordinamento, si
dovrà effettuare una rivisitazione coordinata, globale, della materia per correggere
contraddizioni,
disomogeneità
nella
normazione
preesistente.
Tale
attività
di
razionalizzazione del sistema normativo appare indispensabile per correggere le distorsioni
di una legislazione per frammenti come quella attuale.
La contraddizione più frequente che si registra in questo contesto è la sovrapposizione dei
regolamenti alle fonti già esistenti che solo in parte vengono abrogate e sostituite dalle
nuove.
La razionalizzazione normativa richiede uno sforzo di omogeneizzazione e unificazione
delle disposizioni analoghe, attraverso la regolamentazione semplificata del procedimento
principale, a cui possono essere ricondotte anche le disposizioni preesistenti. Questo
criterio fa parte della valutazione dell’efficacia della normativa proposta, poiché la
omogeneizzazione del sistema intorno a principi di contenuto generale, rafforza la coerenza
ed organicità delle norme stesse.
314
Valutazione: obiettivi delle Politiche Pubbliche
Nei Paesi con maggiore esperienza nel campo delle politiche pubbliche, la legislazione che
accompagna gli interventi impone sempre più spesso di destinare risorse alla valutazione
degli stessi. Nel panorama italiano sono pochi i casi in cui è stata recepita l'importanza di
accompagnare gli interventi con una loro valutazione: il campo forse più ricco di
esperienza è quello delle politiche del lavoro (gli esempi più noti sono la legge n. 44/1986 e
l'attività dell'Agenzia per l'Impiego di Trento). Negli anni recenti si riscontra un maggior
interesse verso questi temi, anche perché la nuova struttura organizzativa prevista dalle
leggi n. 56/1987 e n. 223/1991 per l'intervento sul mercato del lavoro prevede
esplicitamente attività di monitoraggio e valutazione degli interventi attraverso gli
Osservatori del Mercato del Lavoro (OML) e le Agenzie per l'Impiego. Altro campo di
intervento caratterizzato da iniziative di valutazione è quello della formazione
professionale.
L'interesse maggiore nei confronti di monitoraggio e valutazione si rivela da parte dei
governi locali: è a questo livello, infatti, che si registrano le esperienze più significative; si
tratta, nella maggior parte dei casi, di interventi di monitoraggio delle politiche adottate,
più che di una vera e propria valutazione dell'impatto.
L'esperienza degli altri Paesi, ed il confronto con il caso italiano, consentono di trarre
alcune prime indicazioni circa le precondizioni necessarie perché si diffonda, anche nel
nostro Paese, una seria attitudine verso il monitoraggio e la valutazione degli interventi a
livello locale e nazionale.
Tra i Paesi guida si può collocare, a livello europeo, la Francia, che da diversi anni opera
efficacemente in questo senso, sottoponendo a studi di valutazione le politiche più
significative attivate sul territorio nazionale.
In Francia sono state adottate, infatti, diverse iniziative istituzionali a partire dal governo
Rocard (fine anni '80), caratterizzate da due obiettivi prioritari:
315
- modernizzare la gestione pubblica;
- nutrire il dibattito democratico fornendo informazioni obiettive sull'efficacia e l'impatto
sociale delle politiche pubbliche.
In realtà, questi due obiettivi possono essere considerati da un punto di vista più generale
come ricerca di nuove forme di razionalizzazione e di legittimazione dell'intervento
pubblico.
In questo senso, e come viene spiegato molto chiaramente da Patrick Viveret in un rapporto
al Primo Ministro (1989) e nel Primo Rapporto del Consiglio della Valutazione,
quest'ultima è un elemento di risposta alla crisi finanziaria dello Stato e alla crisi della sfera
politica. Il ragionamento è il seguente: se i Paesi occidentali hanno deciso, nella
maggioranza, di frenare la crescita dei prelievi obbligatori non è perché i bisogni sociali
sono meno pressanti oggi rispetto a ieri, ma fondamentalmente perché le modalità
tradizionali del processo decisionale, di gestione e controllo in materia di spesa pubblica
non rispondono più alle esigenze (minime) di trasparenza e razionalità. Si tratta dunque,
attraverso la valutazione, di far pesare sulle attività della pubblica amministrazione gli
stessi obblighi ai quali è sottoposto il mercato e, soprattutto, di renderne socialmente
visibili la razionalità e l'utilità.
Tutte le azioni pubbliche che sono caratterizzate da un'interazione di logiche eterogenee
dovranno essere regolate da un'interrogazione critica sul loro "valore", accompagnata da
uno sforzo di conoscenza del loro impatto sulla società. Ad un'organizzazione socioeconomica fondata sulla specializzazione delle razionalità e sul primato pratico delle regole
sul valore, dovrebbe succedere un funzionamento che unisca in modo stretto etica della
responsabilità e razionalità strumentale.
La complessità degli effetti degli interventi sulla società e l'incertezza sul valore sociale di
ciò che viene prodotto dal servizio pubblico diventano preoccupazioni permanenti che
devono essere integrate nell'azione e nel processo decisionale. Una volta concluso il
processo di valutazione, ed essendo in grado di stilare un bilancio esaustivo dell'intervento
pubblico messo in atto, si potrà decidere quale cammino intraprendere: sostituire le misure
che hanno registrato un impatto mediocre, cercare nuove soluzioni (magari più innovative)
sulla base di quanto fatto fino a quel momento, apportare semplici correttivi ai dispositivi
già adottati per ottimizzarne i risultati.
2. La valutazione: quadro di riferimento
316
Di norma intendiamo con il termine politiche (policies) interventi pubblici o comunque
programmati che rispondono ad esigenze o bisogni collettivi, complessi sia sotto il profilo
del processo decisionale che di quello d'implementazione, che mirano ad incidere su
popolazioni di riferimento più o meno vaste, ma comunque "altre" rispetto ai decisori.
Una breve discussione dei termini impiegati nella definizione proposta evidenzia l'ambito
d'azione della valutazione.
a) Politiche pubbliche o interventi comunque programmati: si tratta di due caratteristiche
che non si escludono a vicenda, dal momento che quasi tutte le politiche pubbliche sono,
almeno nelle intenzioni o nelle enunciazioni dei decisori, programmate.
Il carattere pubblico di una politica ne rende possibile, quantomeno in linea teorica, la
riconducibilità a competenze istituzionali da cui discendono le finalità dell'intervento e, in
una certa misura, percorsi o vincoli nell'azione. "Comunque programmati" sta a significare
che, se da un lato per l'ente pubblico dovrebbe essere sempre ricostruibile la razionalità
strumentale che ne governa l'azione, a prescindere dal fatto che questa sia esplicitata in un
documento di valenza programmatoria, d'altro lato la maggior parte delle organizzazioni
complesse tende ad agire, per sua natura, secondo logiche di razionalità strumentale. La
riconducibilità a tali principi è infatti connaturata al concetto stesso di organizzazione,
anche se è noto che molti filoni d'analisi sottolineano i limiti di tale razionalità, giungendo
in casi estremi a negarla.
b) La complessità sta a sottolineare che, di norma, le decisioni degli enti pubblici (come
quelle delle organizzazioni private di maggior consistenza) sono frutto della convergenza,
formale o sostanziale che sia, di più soggetti e, soprattutto, che quasi mai chi compie una
scelta è poi lo stesso soggetto che la attua, anche se può mantenerne per intero la
responsabilità formale. E' del resto noto che la valutazione di processo (vedi oltre) si rivela
spesso indispensabile per comprendere le ragioni della parziale o totale inefficacia delle
scelte, i cui esiti dipendono dalle modalità di implementazione delle politiche in misura
spesso maggiore che dalle modalità della loro definizione.
c) Il riferimento a esigenze e bisogni di una collettività costituisce a sua volta un elemento
importante per la valutazione, dal momento che presiede alla traduzione delle finalità in
obiettivi e fornisce al tempo stesso un criterio di congruenza (ex ante) dell'articolazione di
una politica in specifiche linee d'intervento.
Questo punto fa sorgere tuttavia due interrogativi, tra loro connessi.
317
Il primo riguarda il grado in cui i bisogni sociali cui le politiche intendono rispondere siano
in qualche modo strutturati, o al limite "deformati", dalla "definizione" che ne viene data
leggendoli secondo la specifica chiave di lettura costituita dalle finalità generali delle
politiche stesse. E' infatti evidente che i "bisogni" costituiscono comunque un'astrazione
rispetto al continuo fluire delle esigenze (espresse o meno) dei membri di una collettività;
un'astrazione che necessariamente si configura anche come una loro "segmentazione" e
"specificazione", alla luce appunto dei presupposti delle politiche stesse, riconducibili a
loro volta alla natura e alle competenze istituzionali dell'attore pubblico. In questo senso è
attraverso la definizione delle politiche che si "forma" (e talvolta si deforma) una
"domanda sociale" che non può configurarsi come tale in assenza di una gamma di
"risposte possibili" ascrivibili ad un soggetto pubblico.
In altre parole, la domanda di posti di lavoro cui le politiche occupazionali tentano di dare
risposta nasce come risposta ad un insieme più ampio e indifferenziato di "bisogni" (di
reddito, di autonomia economica, di autorealizzazione personale, d'inserimento sociale,
ecc.) di cui sono portatori i membri di una società, nella cornice di una specifica cultura. E'
infatti ovvio che il modo in cui si manifesta il bisogno di un'occupazione è condizionato
dai modelli culturali di una società, in particolare dal modo in cui viene concepito il
"lavoro" (come diritto/dovere di ogni adulto, come assunzione di responsabilità e ruolo
sociale, come attività retribuita esercitata in particolari condizioni, ecc.
Il secondo punto concerne le modalità di misurazione dei bisogni cui un intervento o una
politica intende rispondere. Si tratta di un problema epistemologico, metodologico e
politico, prima ancora che tecnico. Infatti, una definizione "oggettiva" di bisogni da cui
trarre spunto per la loro misurazione è inattingibile non solo per ragioni epistemologiche
(ci si riferisce all'improponibilità di un "punto centrale di osservazione" su cui poter
fondare l'oggettività della scienza, com'è ormai convinzione corrente nell'epistemologia
contemporanea; cfr. Giddens 1976), ma anche per ragioni politiche, in quanto sarebbe
comunque partigiano proporre un "punto di vista del cittadino" contrapposto a quello delle
istituzioni. Questa posizione comporterebbe poi, come ulteriore aggravante, il rischio di
una posizione "fondamentalista" da parte di un valutatore che pretenda di erigersi a unico
interprete autorizzato dei "veri" bisogni della popolazione (cfr. sul tema Palumbo 1993). I
bisogni andrebbero più correttamente visti come risultato di una coproduzione dei decisori
e dei destinatari delle politiche, mediata dal comune sistema socio culturale di
appartenenza e dalle procedure operative grazie alle quali la definizione di bisogni prende
corpo.
318
Queste riflessioni non comportano tuttavia che la definizione dei bisogni proposta (in modo
esplicito o implicito) dai decisori debba essere assunta in modo acritico dal valutatore.
Questo ha infatti a disposizione diversi strumenti di controllo della "definizione della
situazione" proposta dai primi. Innanzi tutto le concezioni correnti nel modo scientifico e
nella cultura corrente; in secondo luogo quelle proposte da altri operatori, pubblici e
privati, che intervengono sullo stesso problema, ivi incluse le eventuali associazioni di
tutela o auto tutela dei cittadini; in terzo luogo da contesti analoghi propri di altre realtà
nazionali o locali; da ultimo, gli stessi riferimenti assunti dalle norme e dalle deliberazioni
assunte dai decisori. Sotto quest'ultimo aspetto, saper declinare i concetti di bisogno
espressi dai decisori nei diversi documenti normativi e programmatici consente di coglierne
per intero il significato loro attribuito, al di là del modo in cui tali bisogni vengono "colti" o
accolti dagli interventi predisposti. In altre parole, la semantica dei bisogni espressa dal
decisore è spesso molto più ampia della sintassi degli stessi desumibile dagli interventi
messi in atto; mettere in luce le discrasie tra le due può già di per sé costituire
un'operazione utile e innovativa; un esempio banale è costituito dalle politiche sanitarie, al
cui interno, com'è noto, le enunciazioni di principio definiscono una gamma di bisogni
assai più ampia di quella che risulta poi considerata dal complesso degli interventi che
queste si prefiggono di realizzare.
Quanto detto lascia impregiudicato l'aspetto "tecnico" relativo alla misurazione dei bisogni,
che costituisce un punto di riferimento imprescindibile sia per la definizione delle politiche
che per la loro valutazione. A questo proposito si osserva che la necessità di dare realmente
voce alle esigenze di cittadini che spesso vengono considerati solo quando riescono ad
assumere il ruolo di "utenti" costituisce un'operazione spesso tecnicamente complessa e
sempre impegnativa sotto il profilo etico e deontologico. In analogia con quanto osservato
dalle più avvertite analisi sulla qualità della vita (cfr Vergati 1995; 1989), la dimensione
soggettiva richiede di essere tenuta in considerazione almeno quanto quella "oggettiva"
(ossia fornita da soggetti terzi rispetto ai diretti interessati).
Gli aspetti tecnici sono comunque indissolubilmente legati a quelli metodologici e
d'impostazione complessiva della valutazione. Basti pensare al fatto che un'ulteriore
distinzione, su cui non ci si sofferma in questa sede, corre tra approcci top-down, che si
prefiggono di misurare gli esiti a partire dai risultati attesi dalle politiche (cfr. Van Meter e
Van Horn 1975), ed approcci bottom-up, che partono invece dagli impatti (si vedano i
lavori della Tendler) per risalire alle politiche, occupandosi quindi principalmente l'uno
dell'efficacia interna, l'altro di quella esterna. E' evidente che l'attenzione ai destinatari
319
delle politiche sarà diversa nei due casi e diverse saranno le modalità di rilevazione degli
esiti.
Importante soffermarsi sulla distinzione tra esito (output) e impatto di una politica. Con il
primo termine si fa riferimento ai risultati ottenuti da questa in rapporto agli obiettivi
prefissati; con il secondo al reale effetto ottenuto sull'ambito socio economico o territoriale
cui era destinata. Secondo alcuni autori, l'output
è costituito dall'esito "diretto" di
un'azione, mentre l'impatto comprende l'insieme delle modifiche del mondo reale che
l'azione produce. Un valore intermedio di significato viene assegnato al termine outcome
(risultato) dell'azione, inteso come "la modifica del comportamento dei soggetti destinatari
della politica" (Nomisma; 1991: 93). In questo senso, l'outcome misura anche gli effetti
non previsti o non predeterminati dell'azione, limitando l'analisi unicamente ai destinatari
della stessa (Palumbo 1995).
Altri autori (cfr. al riguardo Agnoli e Fasanella) leggono invece il percorso di una politica
dalla fase di predisposizione a quella in cui ha dispiegato per intero i propri effetti
attraverso le tre categorie analitiche dell'input , che "riguarda le risorse umane e materiali
impiegate nello svolgimento dell'attività da valutare", il throughput, che si riferisce "agli
aspetti relativi al percorso/processo attraverso il quale, poste determinate condizioni di
partenza (input) si perviene ad un certo risultato (output)" e output, che "dà conto del
risultato finale ottenuto nello svolgimento della stessa attività".
Secondo una consolidata letteratura, si usa poi distinguere tra valutazione di efficienza, che
concerne l'impiego ottimale delle risorse disponibili (non solo finanziarie, ma anche di
tempo e professionalità) per il conseguimento degli obiettivi prefissati e di efficacia, che si
riferisce al grado di conseguimento degli obiettivi, attraverso il raffronto tra risultati
ottenuti e risultati attesi o bisogni che si intendeva soddisfare. E' evidente come i due
concetti siano legati, ma la valutazione di efficienza acquisisce significato solo se
accompagnata a quella di efficacia: quando si valuta l'impiego di risorse pubbliche il primo
aspetto da considerare è il criterio della massimizzazione del risultato (grado di
conseguimento degli obiettivi). Essendo, però, le risorse sempre scarse e suscettibili di
impieghi plurimi, un ulteriore criterio di valutazione è costituito, a parità di risultati,
dall'ottimizzazione dell'impiego delle risorse e dalla massimizzazione dell'efficienza.
La valutazione di efficacia delle politiche pubbliche viene generalmente distinta (cfr.
Resmini 1993) in due categorie fondamentali:
320
- efficacia interna (o gestionale), intesa come capacità di raggiungere gli obiettivi o i
risultati attesi fissati a priori dai decisori;
- efficacia esterna (o sociale), intesa come capacità del prodotto/servizio offerto dal
decisore di soddisfare i bisogni degli utenti.
Nel primo tipo di valutazione ci si preoccupa, quindi, di confrontare i risultati attesi con
quelli ottenuti senza necessariamente chiedersi se i primi sono coerenti con i bisogni della
collettività; nel secondo, ci si chiede se i risultati ottenuti, al di là della loro coerenza con
quelli programmati, hanno davvero assolto, e in quale misura, ai bisogni sociali che
rendono necessario l'intervento.
Infine, prendendo a riferimento il momento nel quale viene effettuata la valutazione, si
distingue tra:
1) ex ante, ossia prima dell'avvio di un programma o di un intervento;
2) on going o in itinere, in corso di realizzazione;
3) conclusiva, al termine dell'attuazione di un programma o intervento;
4) ex post, quando l'intervento o il programma hanno iniziato a dare i loro frutti.
In molti casi non si opera una distinzione tra valutazione conclusiva ed ex post, utilizzando
quest'ultimo termine per designare entrambe. Al contrario, è nostra convinzione che sia
particolarmente opportuno mantenerla, in quanto alcuni effetti delle politiche possono
essere rilevati solo al termine delle stesse (ad es., il grado di soddisfazione degli allievi di
un corso di formazione, o la preparazione acquisita), mentre altri richiedono per il loro
dispiegarsi un certo tempo (ad es., l'occupazione degli allievi formati, ovvero eventuali
aumenti retributivi o avanzamenti di carriera degli occupati formati).
Nelle esperienze più diffuse di valutazione la distinzione principale viene riferita alle due
modalità maggiormente usate: efficacia ex ante ed efficacia ex post. La prima riguarda la
coerenza tra bisogni ed obiettivi (efficacia esterna ex ante) o quella tra obiettivi e risultati
attesi (efficacia interna ex ante); la seconda, invece, la coerenza tra i risultati conseguiti e
bisogni (efficacia esterna ex post, o valutazione d'impatto) o tra risultati conseguiti e
risultati attesi (efficacia interna ex post o valutazione degli esisti).
Si può distinguere inoltre tra valutazione di processo, che tiene conto dell'intero percorso di
adozione/attuazione delle politiche; valutazione d'impatto, che si concentra maggiormente
sui loro esiti (ivi inclusi quelli inintenzionali, e sistemi di monitoraggio (Stame 1990 e
Tendler 1992).
321
Rispetto alle distinzioni sopra considerate, si può affermare che nell'ambito delle politiche
attive del lavoro assumono rilevanza in primo luogo la valutazione di efficacia (in
particolare ex ante ed ex post) e solo in subordine quella di efficienza; in secondo luogo
prima la valutazione d'impatto e poi quella di processo; da ultimo, per quanto attiene la
misurazione, gli standard di tipo fisico, economico e quelli d'impatto.
Si deve precisare inoltre che, di norma, esistono diversi "livelli" ai quali può essere
effettuata una valutazione, in accordo con corrispondenti livelli di generalità di una
politica. Oggetto di valutazione potrebbero dunque essere:
obiettivi generali, quali derivano dai compiti istituzionali o dalle macro scelte politiche (es.,
diminuzione della disoccupazione)
strategie, ossia insieme coerente di obiettivi e azioni (es., aumentare le occasioni di lavoro)
obiettivi specifici, ossia sub obiettivi delle strategie, ovvero finalità specifiche delle
strategie più generali (es., sviluppare l'occupazione dipendente nella PMI; sostenere
l'autoimprenditorialità)
risultati attesi, ossia esiti concreti di una politica, ovvero traduzione operativa di un
obiettivo (es., creare un certo numero di nuovi posti di lavoro dipendenti, ovvero un certo
numero di nuove imprese).
Volendo riferire queste distinzioni alla terminologia in uso nella programmazione
comunitaria, si potrebbe tracciare un'analogia con:
politiche (ad es., politica del lavoro)
strategie (ad es., politiche formative)
programmi (ad es., Ob. 3)
misure (ad es., formazione per una singola fascia d'utenza).
Ma esistono anche tipi diversi di valutazione, in relazione agli aspetti che si ritengono
rilevanti.
Il Ministero del lavoro (1992), nella valutazione della formazione professionale, individua
aspetti quali la sicurezza (concernente l'affidabilità delle strutture), la pertinenza (coerenza
delle singole azioni proposte con i requisiti del Programma), la rispondenza (capacità del
prodotto formativo di rispondere alle esigenze degli utenti), la rilevanza (di una singola
azione formativa rispetto alla classe cui appartiene), l'effetto moltiplicatore (capacità di
innescare circuiti positivi e grado di riproducibilità dell'azione). Tali indicatori sono poi
strutturati su quattro aree valutative: finanziaria, economica, didattica, organizzativa.
322
4. La valutazione delle politiche attive del lavoro
A seguito della sempre più frequente non corrispondenza dei risultati delle manovre
tradizionali volte a migliorare il mercato del lavoro dovuta, soprattutto, a rapide
modificazioni strutturali ed al sorgere di nuovi bisogni, le politiche neoclassiche
prekeynesiane hanno lasciato sempre maggiore spazio alle politiche attive del lavoro che si
caratterizzano essenzialmente per voler incidere direttamente sulla struttura del mercato del
lavoro attraverso l'adeguamento delle caratteristiche di coloro che aspirano ad
un'occupazione alle esigenze della domanda, incidendo sulla organizzazione stessa del
mercato del lavoro e creando nuove possibilità occupazionali. Le politiche attive del lavoro
sono quindi volte a migliorare il funzionamento e a facilitare l'accesso dei lavoratori sul
mercato del lavoro.
La valutazione delle politiche, in generale, e delle politiche attive del lavoro, in particolare,
costituisce parte essenziale del processo di realizzazione di interventi che siano socialmente
ottimali. Un primo elemento di complessità che caratterizza questo tipo di politiche è la
molteplicità degli obiettivi che si possono raggiungere attraverso un dato intervento, la
possibilità che questo vada ad incidere su obiettivi non primari della politica (cosiddette
"esternalità" di un intervento) o che lo stesso obiettivo possa essere raggiunto con differenti
interventi (in questo caso l'analisi deve essere realizzata in modo comparato, soprattutto
rispetto ai diversi risultati che possono essere raggiunti).
Gli studi di valutazione hanno lo scopo, come già sottolineato, di valutare costi e benefici
degli interventi di politica economica e sociale e si inseriscono nell'ampia tipologia delle
analisi rivolte a verificare la bontà di interventi effettivi o potenziali. Tra queste analisi si
possono distinguere:
a) valutazioni di processo;
b) sistemi di monitoraggio di interventi specifici;
c) valutazioni d'impatto.
I primi due tipi di analisi si trovano di fronte alla difficoltà di tener conto di tutti i possibili
effetti diretti e indiretti di un intervento di politica del lavoro: in presenza di interventi con
obiettivi multipli è invece necessario valutare gli effetti globali (sia a livello micro che a
livello macro) che possono esplicitarsi sia nel breve che nel lungo periodo, il che induce a
preferire le valutazioni d'impatto, che di norma risultano tuttavia più costose e difficili.
Le valutazioni di impatto possono essere suddivise in diverse tipologie, con riferimento al
modo della valutazione o al momento della valutazione.
323
Sotto il primo punto di vista, si possono distinguere:
1) "valutazioni sperimentali" che, nel valutare l'impatto dell'intervento, utilizzano il metodo
proprio della ricerca sperimentale (si crea un campione casuale di soggetti che sono stati
oggetto dell'azione e si confrontano con ciò che si verifica nel gruppo di controllo costituito
da soggetti che non hanno beneficiato dell'intervento in esame);
2) "valutazioni non sperimentali" nelle quali viene effettuata una valutazione comparata
degli effetti (in termini di costi e benefici) dell'intervento realizzato o in via di
realizzazione. Questa valutazione comparata viene condotta ricostruendo la situazione di
confronto o attraverso metodi di stima econometrica, o attraverso indagini sul campo nei
confronti di campioni non costruiti secondo le normali tecniche sperimentali casuali.
Se ci si riferisce, invece, al tipo di inserimento della valutazione nel processo decisionale, si
possono distinguere:
a) "valutazioni dimostrative", cioè analisi pilota condotte su particolari campioni allo scopo
di verificare preliminarmente i presunti costi/benefici dell'intervento rispetto alla situazione
base e/o rispetto a interventi alternativi. Dai risultati di questa indagine preliminare
dipende, generalmente, la realizzazione dell'intervento;
b) "valutazioni effettive", cioè analisi condotte nei confronti di interventi realizzati nella
loro dimensione a regime (al termine o nel corso dell'intervento). I risultati ottenuti da una
valutazione di questo tipo vengono utilizzati quali valutazioni dimostrative per successive
decisioni a livello politico (cfr. Ciravegna 1994).
La caratteristica fondamentale delle analisi d'impatto resta, comunque, quella della
formulazione di un giudizio di tipo controfattuale. Questo si rende necessario quando da un
interesse semplicemente descrittivo ("sistemi di monitoraggio") si passa ad un interesse
strettamente valutativo. Nel primo caso, infatti, abbiamo analisi destinate a registrare
l'output di un determinato intervento (la sua performance) attribuendo direttamente ed
arbitrariamente le variazioni della variabile-risultato all'intervento. Nel caso dell'analisi
controfattuale, invece, lo scopo è quello di stabilire in modo rigoroso la misura in cui
l'andamento della variabile-risultato è effettivamente causato dall'intervento (si cerca di
valutare l'impatto netto della messa in atto della misura).
Nel calcolare l'effetto netto occorre tener conto, e quindi cercare di valutare, per sottrarli
dal risultato lordo, cinque effetti di dispersione che l'intervento può attivare:
1) l'effetto inerziale (o "deadweight") che si registra quando il risultato si sarebbe ottenuto
anche in assenza dell'intervento;
324
2) l'effetto difensivo (o "domino") che si ha quando l'intervento coinvolge alcuni destinatari
che si sono assoggettati ad esso unicamente per adeguarsi al comportamento di altri
soggetti;
3) l'effetto di anticipazione che si verifica quando il risultato dell'intervento anticipa ciò che
sarebbe comunque accaduto;
4) l'effetto di sostituzione che si registra quando i fruitori della misura godono di un
risultato positivo a danno di altri soggetti non fruitori dell'intervento (è il caso in cui non si
modifica il numero di lavoratori in un certo settore ma unicamente la loro composizione);
5) l'effetto spiazzamento, simile al precedente, che si ha quando i soggetti spiazzati non
sono soggetti che competono a livello micro, ma altri che vengono coinvolti a livello
globale (ad esempio i lavoratori che vengono occupati da imprese oggetto dell'intervento
che vengono ad assumere un peso maggiore rispetto ad aziende che non hanno fruito della
stessa politica).
Essenziale, per la valutazione d'impatto, la costruzione di uno scenario (o più di uno)
controfattuale. Il metodo più accurato è quello di assegnare casualmente gli individui
idonei e selezionati per beneficiare della misura a due gruppi distinti di cui uno è
classificato come gruppo di controllo (i soggetti che appartengono a questo insieme non
beneficiano della politica implementata) e l'altro come gruppo sperimentale (le persone che
appartengono a questo secondo gruppo beneficiano normalmente della misura).
L'assegnazione casuale degli individui ad uno dei due gruppi garantisce che questi
presentino mediamente le stesse caratteristiche e questo fatto darà un quadro corretto
dell'impatto reale del programma sui partecipanti all'intervento.
In alternativa alla metodologia appena descritta, si può ricorrere (per la costruzione dello
scenario controfattuale) alla creazione di un campione composto da un gruppo di
partecipanti al programma e da un gruppo (di comparazione) che non è oggetto della
misura ma che faccia registrare una certa similitudine con il primo insieme.
Ultima alternativa, non ricorrere ad un gruppo di controllo, ma basare la valutazione
dell'intervento sull'apprezzamento soggettivo dell'impatto da parte degli individui oggetto
dell'azione attraverso interviste volte a determinare se il loro comportamento o la loro
condizione sarebbe stata la stessa in assenza di intervento.
325
326
4.2. La valutazione delle politiche pubbliche
“Valutare gli effetti delle politiche pubbliche: metodi e applicazioni al caso italiano”
è l’ultima indagine realizzata dal Formez nell’ambito del Progetto Governance sulle
nuove modalità di azione e strumenti coerenti con il nuovo paradigma della buona
governance
pubblica.
Ma qual è il legame tra la valutazione degli effetti delle politiche, oggetto della
pubblicazione, e le innovazioni negli assetti istituzionali e gestionali delle PA,
riconducibili agli approcci della good public governance? Per spiegarlo occorre
richiamare le indicazioni dettate dalla Commissione Europea nel suo Libro Bianco,
secondo cui le azioni delle PA devono essere improntate a principi di apertura,
trasparenza, partecipazione, responsabilità, efficacia e coerenza. Ossia, detta in modo
colorito ed un po’ retorico, devono abbassare i propri ponti levatoi per aprirsi al
confronto, al dialogo, alla partecipazione degli stakeholders e dell’intera comunità,
sin dalla fase dell’individuazione, alla gestione e alla valutazione delle public policy.
La governance, infatti, delinea il passaggio da un modello di autorità, basato sul
principio di legalità che definisce una ripartizione rigida e gerarchica dei poteri e
delle competenze, ad un modello basato sul principio di sussidiarietà, in cui, più che
la ripartizione formale, diviene centrale il risultato finale delle azioni pubbliche e le
modalità
e
le
forme
più
adeguate
per
il
suo
raggiungimento.
La forte flessibilità del modello non riguarda soltanto i rapporti tra le PA, ma anche
tra queste ed il privato; non solo attraverso l’esternalizzazione di funzioni e servizi
pubblici, ma anche e soprattutto attraverso l’arricchimento del processo decisionale
mediante la partecipazione dei soggetti destinatari delle politiche pubbliche.
Si delinea quindi un sistema multilivello estremamente complesso di competenze
formali ed informali in cui i pubblici poteri non possono più invocare esclusivamente
una legittimazione “formale” derivante dalla legge, ma sono chiamati a
conquistarne una “legittimazione sostanziale” che viene a dipendere in larga parte
dalla capacità di fissare obbiettivi condivisi di politiche pubbliche, di assicurarne
l’implementazione amministrativa, di mediare, in vista della concreta decisione, tra
una vasta gamma di interessi pubblici e privati, di adempiere i nuovi compiti con
competenza tecnica e con cognizioni scientifiche appropriate. In tale scenario alle PA
è richiesta una profonda riconfigurazione di ruolo e una reinterpretazione intelligente
della propria ragion d’essere. Una PA che non fa più tutto autonomamente, ma
327
delega, esternalizza e fa partecipi altri soggetti delle proprie funzioni ed attività deve
necessariamente riuscire a sviluppare un ruolo di regia sapiente, di indirizzo e
coordinamento di network, che presuppone una capacità di valutare gli effetti delle
proprie azioni e di apprendere dall’esperienza dei risultati; ciò al fine di acquisire una
maggiore autorevolezza ed una più ampia legittimazione “sostanziale” verso i propri
stakeholders e verso l’intera comunità amministrata.
La complessità diviene quindi per le PA un presupposto necessario per
l’affermazione delle pratiche valutative e della valutazione intesa come
apprendimento, per una maggiore consapevolezza delle proprie azioni e dei possibili
risultati ed una più forte legittimazione nell’ambito di processi decisionali inclusivi e
disarticolati. In estrema sintesi, la legittimazione dipende dunque dall’efficacia
dell’azione
amministrativa.
Tuttavia, sebbene, tutti siano concordi sulla necessità di valutare l’efficacia, si
registra ancora, in pratica ed in letteratura, una forte confusione metodologica sul
concetto stesso e sulle modalità più adeguate per la sua misurazione. Molto spesso,
infatti, si dà all’efficacia un significato notevolmente restrittivo, qualificandola cioè,
come la semplice capacità di realizzazione degli obiettivi, per la cui misurazione
sono sufficienti generici indicatori che quantificano la percentuale degli obiettivi
realizzati rispetto a quelli programmati. Per tale via un’amministrazione può
qualificarsi efficace se realizza in tutto o in buona parte quanto promesso. Tuttavia,
seppur utile e necessaria un tale tipo di valutazione, più che al principio di efficacia,
risponde più propriamente ad altri due principi della riforma amministrativa e della
buona governance pubblica: quello di responsabilità e quello relativo di
accountability. Entrambi si basano sul rapporto di delega e quindi di attribuzioni di
poteri da parte del delegante, a cui fa da contrappeso l’assunzione di responsabilità
ed il dovere di rendere conto dei risultati raggiunti da parte del delegato. Tali rapporti
sono alla base delle democrazie rappresentative e delle nuove logiche di gestione
delle PA ed investono le relazioni tra cittadini/elettori e politici/eletti, tra legislativo
ed esecutivo, tra esecutivo e dirigenza.
Occorre allora fare riferimento ad un significato diverso del concetto di efficacia che
richiami necessariamente quello di politica pubblica, giacché un’amministrazione
efficace non è quella che realizza semplicemente programmi e progetti, ma quella
che tramite politiche pubbliche, intese come terapie, dà risposta a problemi e
328
bisogni collettivi. In tal senso un’amministrazione efficace è quella che riesce ad
elaborare, prescrivere una cura, una terapia, ossia una politica pubblica, in grado di
risolvere o quantomeno dare sollievo ad una patologia generale, intesa come
problema o bisogno collettivo su cui si decide di intervenire. Su tale presupposto la
valutazione dell’efficacia richiede una misurazione degli effetti netti della politica
pubblica che rifugga dalla pratica superficiale di coloro che tendono ad accettare
l’assunto del post hoc ergo propter hoc, determinando quale effetto della politica la
semplice differenza tra le osservazioni post e pre-intervento.
La metodologia di valutazione degli effetti, auspicabile, dovrà quindi basarsi
sull’approccio controfattuale che “complica”, ma rende più rigorosa la stima degli
effetti, tentando di stabilire relazioni causali tra fenomeni complessi. Tale tipo di
valutazione pur essendo eminentemente ex-post, è orientata al futuro in termini di
utilizzo. Nonostante la sua natura retrospettiva è fondamentalmente prospettica
nell’utilizzo, nel senso che la sua ambizione di fondo è quella di riorientare il disegno
delle future politiche verso quelle forme di intervento che siano risultate più efficaci
in passato. In questo senso, se realizzata in modo sistematico e rigoroso, la
valutazione degli effetti delle politiche può essere un importante strumento per una
buona governance pubblica. Sulla base di tali considerazioni il tentativo è quello di
provare a fare innanzitutto chiarezza metodologica su ciò che si intende per
valutazione nella PA, analizzando in dettaglio, ma in modo sempre chiaro e
comprensibile i metodi per la valutazione degli effetti delle politiche pubbliche,
proponendo sia esemplificazioni, che analisi di casi di pratiche valutative.
Analizziamo ad esempio il Decreto Legislativo 1999 n.286, relativo al Riordino e
potenziamento dei meccanismi e strumenti di monitoraggio e valutazione dei costi,
dei rendimenti e dei risultati dell’attività svolta dalle amministrazioni pubbliche.
Principi generali del controllo interno
Le pubbliche amministrazioni, nell'ambito della rispettiva autonomia, si dotano di
strumenti adeguati a:
•
garantire la legittimità, regolarità e correttezza dell'azione amministrativa
(controllo di regolarità amministrativa e contabile);
329
•
verificare l'efficacia, efficienza ed economicità dell'azione amministrativa al fine di
ottimizzare, anche mediante tempestivi interventi di correzione, il rapporto tra costi e
risultati (controllo di gestione);
•
valutare le prestazioni del personale con qualifica dirigenziale (valutazione della
dirigenza);
•
valutare l'adeguatezza delle scelte compiute in sede di attuazione dei piani,
programmi ed altri strumenti di determinazione dell'indirizzo politico, in termini di
congruenza tra risultati conseguiti e obiettivi predefiniti (valutazione e controllo
strategico).
1. La progettazione d'insieme dei controlli interni rispetta i seguenti principi generali,
obbligatori per i Ministeri, applicabili dalle regioni nell'ambito della propria
autonomia organizzativa e legislativa e derogabili da parte di altre amministrazioni
pubbliche.
a)
l'attività di valutazione e controllo strategico supporta l'attività di
programmazione strategica e di indirizzo politico-amministrativo. Essa è pertanto
svolta da strutture che rispondono direttamente agli organi di indirizzo politicoamministrativo. Le strutture stesse svolgono, di norma, anche l'attività di valutazione
dei dirigenti direttamente destinatari delle direttive emanate dagli organi di indirizzo
politico-amministrativo, in particolare dai Ministri;
b)
il controllo di gestione e l'attività di valutazione dei dirigenti, fermo restando
quanto previsto alla lettera a), sono svolte da strutture e soggetti che rispondono ai
dirigenti posti al vertice dell'unità organizzativa interessata;
c)
l'attività di valutazione dei dirigenti utilizza anche i risultati del controllo di
gestione, ma è svolta da strutture o soggetti diverse da quelle cui è demandato il
controllo di gestione medesimo;
d)
è fatto divieto di affidare verifiche di regolarità amministrativa e contabile a
strutture addette al controllo di gestione, alla valutazione dei dirigenti, al controllo
strategico.
Gli addetti alle strutture che effettuano il controllo di gestione, la valutazione dei
dirigenti e il controllo strategico riferiscono sui risultati dell'attività svolta,
esclusivamente agli organi di vertice dell'amministrazione, ai soggetti, agli organi di
330
indirizzo politico- amministrativo al fine di ottimizzazione della funzione
amministrativa.
Ai controlli di regolarità amministrativa e contabile provvedono gli organi
appositamente previsti dalle disposizioni vigenti nei diversi comparti della pubblica
amministrazione, e, in particolare, gli organi di revisione, ovvero gli uffici di
ragioneria, nonché i servizi ispettivi, e, nell'ambito delle competenze stabilite dalla
vigente legislazione, i servizi ispettivi di finanza della Ragioneria generale dello
Stato e quelli con competenze di carattere generale. Le verifiche di regolarità
amministrativa e contabile devono rispettare, in quanto applicabili alla pubblica
amministrazione, i principi generali della revisione aziendale asseverati dagli ordini e
collegi professionali operanti nel settore. Il controllo di regolarità amministrativa e
contabile non comprende verifiche da effettuarsi in via preventiva se non nei casi
espressamente previsti dalla legge e fatto salvo, in ogni caso, il principio secondo cui
le definitive determinazioni in ordine all'efficacia dell'atto sono adottate dall'organo
amministrativo responsabile.
Controllo di gestione
Ai fini del controllo di gestione, ciascuna amministrazione pubblica definisce:
a)
l'unità o le unità responsabili della progettazione e della gestione del controllo
di gestione; b) le unità organizzative a livello delle quali si intende misurare
l'efficacia, efficienza ed economicità dell'azione amministrativa; c) le procedure di
determinazione degli obiettivi gestionali e dei soggetti responsabili; d) l'insieme dei
prodotti e delle finalità dell'azione amministrativa, con riferimento all'intera
amministrazione o a singole unità organizzative; e) le modalità di rilevazione e
ripartizione dei costi tra le unità organizzative e di individuazione degli obiettivi per
cui i costi sono sostenuti; f) gli indicatori specifici per misurare efficacia, efficienza
ed economicità; g) la frequenza di rilevazione delle informazioni.
Nelle amministrazioni dello Stato, il sistema dei controlli di gestione supporta la
funzione dirigenziale. Le amministrazioni medesime stabiliscono le modalità
operative per l'attuazione del controllo di gestione entro tre mesi dall'entrata in vigore
del decreto, dandone comunicazione alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Il
Presidente del Consiglio dei Ministri, con propria direttiva, periodicamente
331
aggiornabile, stabilisce in maniera tendenzialmente omogenea i requisiti minimi cui
deve ottemperare il sistema dei controlli di gestione.
Nelle amministrazioni regionali, la legge quadro di contabilità contribuisce a
delineare l'insieme degli strumenti operativi per le attività di pianificazione e
controllo.
La valutazione del personale con incarico dirigenziale
Le pubbliche amministrazioni, sulla base anche dei risultati del controllo di gestione,
valutano, in coerenza a quanto stabilito al riguardo dai contratti collettivi nazionali di
lavoro, le prestazioni dei propri dirigenti, nonché i comportamenti relativi allo
sviluppo delle risorse professionali, umane e organizzative ad essi assegnate
(competenze organizzative).
La valutazione delle prestazioni e delle competenze organizzative dei dirigenti tiene
particolarmente conto dei risultati dell'attività amministrativa e della gestione. La
valutazione ha periodicità annuale. Il procedimento per la valutazione è ispirato ai
principi della diretta conoscenza dell'attività del valutato da parte dell'organo
proponente o valutatore di prima istanza, della approvazione o verifica della
valutazione da parte dell'organo competente o valutatore di seconda istanza, della
partecipazione al procedimento del valutato.
Per le amministrazioni dello Stato, la valutazione è adottata dal responsabile
dell'ufficio dirigenziale generale interessato, su proposta del dirigente, eventualmente
diverso, preposto all'ufficio cui è assegnato il dirigente valutato. Per i dirigenti
preposti ad uffici di livello dirigenziale generale, la valutazione è adottata dal capo
del dipartimento o altro dirigente generale sovraordinato. Per i dirigenti preposti ai
centri di responsabilità delle rispettive amministrazioni la valutazione è effettuata dal
Ministro, sulla base degli elementi forniti dall'organo di valutazione e controllo
strategico.
La procedura di valutazione costituisce presupposto per l'applicazione delle misure in
materia di responsabilità dirigenziale. In particolare, le misure sanzionatorie si
applicano allorché i risultati negativi dell'attività amministrativa e della gestione o il
mancato raggiungimento degli obiettivi emergono dalle ordinarie ed annuali
332
procedure di valutazione. Tuttavia, quando il rischio grave di un risultato negativo si
verifica prima della scadenza annuale, il procedimento di valutazione può essere
anticipatamente concluso.
La valutazione e il controllo strategico
L'attività di valutazione e controllo strategico mira a verificare, in funzione
dell'esercizio dei poteri di indirizzo da parte dei competenti organi, l'effettiva
attuazione delle scelte contenute nelle direttive ed altri atti di indirizzo politico.
L'attività stessa consiste nell'analisi, preventiva e successiva, della congruenza e/o
degli eventuali scostamenti tra le missioni affidate dalle norme, gli obiettivi operativi
prescelti, le scelte operative effettuate e le risorse umane, finanziarie e materiali
assegnate, nonché nella identificazione degli eventuali fattori ostativi, delle eventuali
responsabilità per la mancata o parziale attuazione, dei possibili rimedi.
Gli uffici ed i soggetti preposti all'attività di valutazione e controllo strategico
riferiscono in via riservata agli organi di indirizzo politico, sulle risultanze delle
analisi effettuate. Essi di norma supportano l'organo di indirizzo politico anche per la
valutazione dei dirigenti che rispondono direttamente all'organo medesimo per il
conseguimento degli obiettivi da questo assegnatigli.
Nelle amministrazioni dello Stato, i compiti valutativi sono affidati ad apposito
ufficio, denominato servizio di controllo interno e dotato di adeguata autonomia
operativa. La direzione dell'ufficio può essere dal Ministro affidata anche ad un
organo collegiale, ferma restando la possibilità di ricorrere, anche per la direzione
stessa, ad esperti estranei alla pubblica amministrazione.
I servizi di controllo interno operano in collegamento con gli uffici di statistica
istituiti ai sensi del decreto legislativo 6 settembre 1989, n. 322. Essi redigono
almeno annualmente una relazione sui risultati delle analisi effettuate, con proposte
di miglioramento della funzionalità delle amministrazioni. Possono svolgere, anche
su
richiesta
del
Ministro,
analisi
su
politiche
e
programmi
specifici
dell'amministrazione di appartenenza e fornire indicazioni e proposte sulla
sistematica generale dei controlli interni nell'amministrazione.
Compiti della Presidenza del Consiglio dei Ministri
333
Presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri è costituita una banca dati, accessibile
in via telematica e pienamente integrata nella rete unitaria della pubblica
amministrazione, alimentata dalle amministrazioni dello Stato, alla quale affluiscono,
in ogni caso, le direttive annuali dei Ministri e gli indicatori di efficacia, efficienza,
economicità relativi ai centri di responsabilità e alle funzioni obiettivo del bilancio
dello Stato.
Per il coordinamento in materia di valutazione e controllo strategico nelle
amministrazioni dello Stato, la Presidenza del Consiglio dei Ministri si avvale di un
apposito comitato tecnico scientifico e dell'osservatorio. Il comitato è composto da
non più di sei membri, scelti tra esperti di chiara fama, anche stranieri, uno in materia
di metodologia della ricerca valutativa, gli altri nelle discipline economiche,
giuridiche, politologiche, sociologiche e statistiche. Si applica, ai membri del
comitato, l'articolo 31 della legge 23 agosto 1988, n. 400, e ciascun membro non può
durare complessivamente in carica per più di sei anni. Il comitato formula, anche a
richiesta del Presidente del Consiglio dei Ministri, valutazioni specifiche di politiche
pubbliche o programmi operativi plurisettoriali.
L'osservatorio è istituito nell'ambito della Presidenza del Consiglio dei Ministri ed è
organizzato con decreto del Presidente del Consiglio. L'osservatorio, tenuto anche
conto delle esperienze in materia maturate presso Stati esteri e presso organi
costituzionali, ivi compreso il CNEL, fornisce indicazioni e suggerimenti per
l'aggiornamento e la standardizzazione dei sistemi di controllo interno, con
riferimento anche, ove da queste richiesto, alle amministrazioni pubbliche non statali.
Direttiva annuale del Ministro
La direttiva annuale del Ministro costituisce il documento base per la
programmazione e la definizione degli obiettivi delle unità dirigenziali di primo
livello. In coerenza ad eventuali indirizzi del Presidente del Consiglio dei Ministri, e
nel quadro degli obiettivi generali di parità e pari opportunità previsti dalla legge, la
direttiva identifica i principali risultati da realizzare, in relazione anche agli indicatori
stabiliti dalla documentazione di bilancio per centri di responsabilità e per funzioniobiettivo, e determina, in relazione alle risorse assegnate, gli obiettivi di
miglioramento, eventualmente indicando progetti speciali e scadenze intermedie. La
334
direttiva, avvalendosi del supporto dei servizi di controllo interno definisce altresì i
meccanismi e gli strumenti di monitoraggio e valutazione dell'attuazione.
Il personale che svolge incarichi dirigenziali eventualmente costituito in conferenza
permanente, fornisce elementi per l'elaborazione della direttiva annuale.
Sistemi informativi
1. Ai sensi dell'articolo 17, comma 1, lettera a), della legge 15 marzo 1997, n. 59, il
sistema di controllo di gestione e il sistema di valutazione e controllo strategico delle
amministrazioni statali si avvalgono di un sistema informativo-statistico unitario,
idoneo alla rilevazione di grandezze quantitative a carattere economico- finanziario.
La struttura del sistema informativo statistico basata su una banca dati delle
informazioni rilevanti ai fini del controllo, e sulla predisposizione periodica di una
serie di prospetti numerici e grafici (sintesi statistiche) di corredo alle analisi
periodiche elaborate dalle singole amministrazioni. Il sistema informativo-statistico è
organizzato in modo da costituire una struttura di servizio per tutte le articolazioni
organizzative del Ministero.
I sistemi automatizzati e le procedure manuali rilevanti ai fini del sistema di
controllo, qualora disponibili, sono i seguenti: a) sistemi e procedure relativi alla
rendicontazione contabile della singola amministrazione; b) sistemi e procedure
relativi alla gestione del personale (di tipo economico, finanziario e di attività presenze, assenze, attribuzione a centro di disponibilità); c) sistemi e procedure
relativi al fabbisogno ed al dimensionamento del personale; d) sistemi e procedure
relativi alla rilevazione delle attività svolte per la realizzazione degli scopi
istituzionali (erogazione prodotti/servizi, sviluppo procedure amministrative) e dei
relativi effetti; e) sistemi e procedure relativi alla analisi delle spese di
funzionamento (personale, beni e servizi) dell'amministrazione; f) sistemi e
procedure di contabilità analitica.
Abrogazione di norme e disposizioni transitorie
1. Entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo le amministrazioni
statali, nell'ambito delle risorse disponibili, adeguano i loro ordinamenti a quanto in
esso previsto. In particolare, gli organi di indirizzo politico provvedono alla
335
costituzione degli uffici, e vigilano sugli adempimenti organizzativi e operativi che
fanno carico agli uffici dirigenziali di livello generale per l'esercizio delle altre
funzioni di valutazione e controllo.
Si intendono attribuiti alle strutture designate i compiti attribuiti ad uffici di
controllo interno in materia di verifiche sulla legittimità, regolarità e correttezza
dell'azione amministrativa, controllo sulla gestione interno e controllo in materia di
valutazione del personale. Più amministrazioni omogenee o affini possono istituire,
mediante convenzione, che ne regoli le modalità di costituzione e di funzionamento,
uffici unici per l'attuazione di quanto previsto dal decreto ed apposite strutture di
consulenza e supporto, integrati con esperti nelle materie di pertinenza.
I servizi pubblici nazionali e locali sono erogati con modalità che promuovono il
miglioramento della qualità e assicurano la tutela dei cittadini e degli utenti e la loro
partecipazione, nelle forme, anche associative, riconosciute dalla legge, alle inerenti
procedure di valutazione e definizione degli standard qualitativi.
Le modalità di definizione, adozione e pubblicizzazione degli standard di qualità, i
casi e le modalità di adozione delle carte dei servizi, i criteri di misurazione della
qualità dei servizi, le condizioni di tutela degli utenti, nonché i casi e le modalità di
indennizzo automatico e forfettario all'utenza per mancato rispetto degli standard di
qualità sono stabilite con direttive, aggiornabili annualmente, del Presidente del
Consiglio dei Ministri. Per quanto riguarda i servizi erogati direttamente o
indirettamente dalle regioni e dagli enti locali, si provvede con atti di indirizzo e
coordinamento adottati d'intesa con la conferenza unificata di cui al decreto
legislativo 28 agosto 1997, n. 281.
Le iniziative di coordinamento, supporto operativo alle amministrazioni interessate e
monitoraggio sull'attuazione del presente articolo sono adottate dal Presidente del
Consiglio dei Ministri, supportato da apposita struttura della Presidenza del
Consiglio dei Ministri. è ammesso il ricorso a un soggetto privato, da scegliersi con
gara europea di assistenza tecnica, sulla base di criteri oggettivi e trasparenti.
336
NOTE
L'art. 76 della Costituzione disciplina la delega al Governo dell'esercizio della
funzione legislativa e stabilisce che essa non può avvenire se non con determinazione
di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per soggetti definiti.
Il Governo è delegato (secondo quanto stabilito dall'art. 11 della legge n. 59 del 1997,
come modificato dall'art. 9 della legge 8 marzo 1999, n. 50), ad emanare, entro il 31
gennaio 1999, uno o più decreti legislativi diretti a: 1) razionalizzare l'ordinamento
della Presidenza del Consiglio dei Ministri e dei Ministeri, anche attraverso il
riordino, la soppressione e la fusione di Ministeri, nonché di amministrazioni centrali
anche ad ordinamento autonomo; 2) riordinare gli enti pubblici nazionali operanti in
settori diversi dalla assistenza e previdenza, le istituzioni di diritto privato e le società
per azioni, controllate direttamente o indirettamente dallo Stato, che operano, anche
all'estero, nella promozione e nel sostegno pubblico al sistema produttivo nazionale;
3) riordinare e potenziare i meccanismi e gli strumenti di monitoraggio e di
valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati dell'attività svolta dalle
amministrazioni pubbliche;
4) riordinare e razionalizzare gli interventi diretti a
promuovere e sostenere il settore della ricerca scientifica e tecnologica nonché gli
organismi operanti nel settore stesso..
1. Nell'attuazione della delega di cui alla lettera c) del comma 1 dell'art. 11 il Governo si
atterrà, oltreché ai principi generali desumibili dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, e
successive modificazioni, ai seguenti principi e criteri direttivi:
•
prevedere che ciascuna amministrazione organizzi un sistema informativo-statistico di
supporto al controllo interno di gestione, alimentato da rilevazioni periodiche, al
massimo annuali, dei costi, delle attività e dei prodotti;
•
prevedere e istituire sistemi per la valutazione, sulla base di parametri oggettivi, dei
risultati dell'attività amministrativa e dei servizi pubblici favorendo ulteriormente
l'adozione di carte dei servizi e assicurando in ogni caso sanzioni per la loro
violazione, e di altri strumenti per la tutela dei diritti dell'utente e per la sua
partecipazione, anche in forme associate, alla definizione delle carte dei servizi ed
alla valutazione dei risultati;
337
•
prevedere che ciascuna amministrazione provveda periodicamente e comunque
annualmente alla elaborazione di specifici indicatori di efficacia, efficienza ed
economicità ed alla valutazione comparativa dei costi, rendimenti e risultati;
•
collegare l'esito dell'attività di valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati alla
allocazione annuale delle risorse;
•
costituire presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri una banca dati sull'attività di
valutazione, collegata con tutte le amministrazioni attraverso i sistemi di cui alla
lettera a) ed il sistema informatico del Ministero del tesoro - Ragioneria generale
dello Stato e accessibile al pubblico.
Indirizzo politico-amministrativo. Funzioni e responsabilità
Gli organi di Governo esercitano le funzioni di indirizzo politico-amministrativo,
definendo gli obiettivi ed i programmi da attuare ed adottando gli altri atti rientranti
nello svolgimento di tali funzioni, e verificano la rispondenza dei risultati dell'attività
amministrativa e della gestione agli indirizzi impartiti. Ad essi spettano, in
particolare:
a)
le decisioni in materia di atti normativi e l'adozione dei relativi atti di
indirizzo interpretativo ed applicativo;
b)
la definizione di obiettivi, priorità, piani, programmi e direttive generali
per l'azione amministrativa e per la gestione;
c)
la individuazione delle risorse umane, materiali ed economico-finanziarie
da destinare alle diverse finalità e la loro ripartizione tra gli uffici di livello
dirigenziale generale;
d)
la definizione dei criteri generali in materia di ausili finanziari a terzi e di
determinazione di tariffe, canoni e analoghi oneri a carico di terzi;
e)
le nomine, designazioni ed atti analoghi ad essi attribuiti da specifiche
disposizioni;
f)
le richieste di pareri alle autorità amministrative indipendenti ed al
Consiglio di Stato.
(Rilevazione dei costi).
1.
Le amministrazioni pubbliche individuano i singoli programmi di attività e
trasmettono alla Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione
338
pubblica, al Ministero del tesoro e al Ministero del bilancio e della programmazione
economica tutti gli elementi necessari alla rilevazione ed al controllo dei costi .Per
l'immediata attivazione del sistema di controllo della spesa del personale, il
Ministero del tesoro, d'intesa con la Presidenza del Consiglio dei Ministri Dipartimento della funzione pubblica, avvia un processo di integrazione dei sistemi
informativi delle amministrazioni pubbliche che rilevano i trattamenti economici e le
spese del personale. Ferme restando le attuali procedure di evidenziazione della
spesa ed i relativi sistemi di controllo, il Ministero del tesoro, al fine di rappresentare
i profili economici della spesa, previe intese con la Presidenza del Consiglio dei
Ministri - Dipartimento della funzione pubblica, definisce procedure interne e
tecniche di rilevazione e provvede, in coerenza con le funzioni di spesa riconducibili
alle unità amministrative cui compete la gestione dei programmi, ad un'articolazione
dei bilanci pubblici a carattere sperimentale.
(Verifica dei risultati - Responsabilità dirigenziali).
I dirigenti generali ed i dirigenti sono responsabili del risultato dell'attività svolta
dagli uffici ai quali sono preposti, della realizzazione dei programmi e dei progetti
loro affidati in relazione agli obiettivi dei rendimenti e dei risultati della gestione
finanziaria, tecnica ed amministrativa, incluse le decisioni organizzative e di gestione
del personale. All'inizio di ogni anno, i dirigenti presentano al direttore generale, e
questi al Ministro, una relazione sull'attività svolta nell'anno precedente. I risultati
negativi dell'attività amministrativa e della gestione o il mancato raggiungimento
degli obiettivi, valutati con i sistemi e le garanzie determinati con i decreti legislativi,
comportano per il dirigente interessato la revoca dell'incarico.
Nelle amministrazioni pubbliche, ove già non esistano, sono istituiti servizi di
controllo interno, o nuclei di valutazione, con il compito di verificare, mediante
valutazioni comparative dei costi e dei rendimenti, la realizzazione degli obiettivi, la
corretta ed economica gestione delle risorse pubbliche, l'imparzialità ed il buon
andamento dell'azione amministrativa. I servizi o nuclei determinano almeno
annualmente, anche su indicazione degli organi di vertice, i parametri di riferimento
del controllo. Gli uffici operano in posizione di autonomia e rispondono
esclusivamente agli organi di direzione politica. Ad essi e attribuito, nell'ambito delle
dotazioni organiche vigenti, un apposito contingente di personale. Per motivate
339
esigenze, le amministrazioni pubbliche possono altresì avvalersi di consulenti esterni,
esperti in tecniche di valutazione e nel controllo di gestione.
I nuclei di valutazione, ove istituiti, sono composti da dirigenti generali e da esperti
anche esterni alle amministrazioni. In casi di particolare complessità, il Presidente
del Consiglio può stipulare, anche cumulativamente per più amministrazioni,
convenzioni apposite con soggetti pubblici o privati particolarmente qualificati.
I servizi e nuclei hanno accesso ai documenti amministrativi e possono richiedere,
oralmente
o
per
iscritto,
informazioni
agli
uffici
pubblici.
Riferiscono
trimestralmente sui risultati della loro attività agli organi generali di direzione. Gli
uffici di controllo interno delle amministrazioni territoriali e periferiche riferiscono
altresì ai comitati.
(Servizio di controllo interno).
1. Per le amministrazioni che non hanno adottato il regolamento per l'istituzione del
servizio di controllo interno o del nucleo di valutazione di cui all'art. 20, comma 7,
del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, vigono, fino all'emanazione del citato
regolamento, le seguenti disposizioni: 1) il servizio di controllo interno è posto alle
dirette dipendenze del Ministro in posizione di autonomia; 2) alla direzione del
servizio è preposto un collegio di tre membri costituito da due dirigenti generali,
appartenenti ai ruoli del Ministero cui appartiene il servizio di controllo interno, e da
un membro scelto tra i magistrati delle giurisdizioni superiori amministrative, gli
avvocati dello Stato, i professori universitari ordinari. Con unico decreto il Ministro
competente provvede alla nomina del collegio e all'attribuzione delle funzioni di
presidente del collegio stesso. Al servizio di controllo interno è assegnato un nucleo
di sei dirigenti del ruolo del Ministero cui appartiene il servizio o che si trovino in
posizione di comando presso lo stesso Ministero. Le funzioni di segreteria del
collegio sono svolte da un contingente non superiore alle diciotto unità, appartenenti
alle diverse qualifiche funzionali.
2. Il servizio di controllo interno ha il compito di verificare, mediante valutazioni
comparative dei costi e dei rendimenti, la realizzazione degli obiettivi, la corretta ed
economica gestione delle risorse attribuite ed introitate, nonché l'imparzialità ed il
buon andamento dell'azione amministrativa. In particolare esso:
340
•
accerta la rispondenza di risultati dell'attività amministrativa alle prescrizioni ed
agli obiettivi stabiliti in disposizioni normative e nelle direttive emanate dal Ministro
e ne verifica l'efficienza, l'efficacia e l'economicità nonché la trasparenza,
l'imparzialità ed il buon andamento anche per quanto concerne la rispondenza
dell'erogazione dei trattamenti economici accessori alla normativa di settore ed alle
direttive del Ministro;
•
svolge il controllo di gestione sull'attività amministrativa dei dipartimenti, dei
servizi e delle altre unità organizzative e riferisce al Ministro sull'andamento della
gestione, evidenziando le cause dell'eventuale mancato raggiungimento dei risultati
con la segnalazione delle irregolarità eventualmente riscontrate e dei possibili rimedi;
•
stabilisce annualmente, anche su indicazione del Ministro e d'intesa, ove possibile,
con i responsabili dei dipartimenti, dei servizi e delle altre unità organizzative, i
parametri e gli indici di riferimento del controllo sull'attività amministrativa.
3.
Il servizio di controllo interno ha accesso ai documenti amministrativi e può
richiedere ai dipartimenti, ai servizi ed alle altre unità organizzative, oralmente o per
iscritto, qualsiasi atto o notizia e può effettuare e disporre ispezioni ed accertamenti
diretti.
4. I risultati dell'attività del servizio sono riferiti trimestralmente al dirigente generale
competente ed al Ministro".
Nelle amministrazioni pubbliche il servizio di controllo interno è l'organismo di
riferimento per le rilevazioni e le analisi dei costi e dei risultati della gestione.
Ai fini del miglioramento dell'efficienza delle pubbliche amministrazioni, i servizi di
controllo interno dei Ministeri, e i servizi ispettivi compiono annualmente rilevazioni
sul numero complessivo dei procedimenti non conclusi entro il termine determinato.
L'inosservanza di tale termine comporta accertamenti ai fini dell'applicazione delle
sanzioni previste a carico dei dirigenti generali, dei dirigenti e degli altri dipendenti
incaricati.
I servizi di controllo interno compiono accertamenti sugli effetti prodotti dalle norme
contenute nei regolamenti di semplificazione e di accelerazione dei procedimenti
amministrativi e possono formulare osservazioni e proporre suggerimenti per la
modifica delle norme stesse e per il miglioramento dell'azione amministrativa.
341
La Corte dei conti, anche nelle sue articolazioni regionali di controllo, verifica
periodicamente gli andamenti della spesa per il personale delle pubbliche
amministrazioni, utilizzando, per ciascun comparto, insiemi significativi di
amministrazioni. A tal fine, la Corte dei conti può avvalersi, oltre che dei servizi di
controllo interno o nuclei di valutazione, di esperti designati a sua richiesta da
amministrazioni ed enti pubblici.
5. Nell'ambito dell'amministrazione scolastica periferica è istituita la qualifica
dirigenziale per i capi di istituto preposti alle istituzioni scolastiche ed educative alle
quali è stata attribuita personalità giuridica ed autonomia. I dirigenti scolastici sono
inquadrati in ruoli di dimensione regionale e rispondono, in ordine ai risultati, che
sono valutati tenuto conto della specificità delle funzioni e sulla base delle verifiche
effettuate da un nucleo di valutazione istituito presso l'amministrazione scolastica
regionale, presieduto da un dirigente e composto da esperti anche non appartenenti
all'amministrazione stessa.
342
4.3. Valutazione della efficienza ed efficacia - La Pubblica Amministrazione
come “sistema” (alcune considerazioni sul decreto legislativo 27 ottobre 2009, n.
150)
La riforma della Pubblica Amministrazione, intrapresa dal governo Berlusconi con la
presentazione delle Linee programmatiche nel maggio 20081, è giunta ad una prima
conclusione, almeno sotto il profilo normativo, con la pubblicazione del decreto
legislativo 27 ottobre 2009, n.1502 che affronta il tema dell’ammodernamento e
razionalizzazione dell’amministrazione attraverso un ampio ventaglio di disposizioni
riguardanti la misurazione e valutazione della performance, la trasparenza, la
valorizzazione del merito dei dipendenti pubblici, il connesso sistema premiante,
l’ordinamento del lavoro pubblico più in generale. Si tratta di un insieme complesso e
articolato di disposizioni indirizzate, negli intendimenti del legislatore, ad assicurare
un miglior rendimento del lavoro pubblico, un incremento dell’efficienza delle
organizzazioni pubbliche e un innalzamento degli standard qualitativi ed economici
delle funzioni e dei servizi.
È interessante analizzare, in particolare, alcuni dei principali temi trattati nel Titolo II
del decreto 150/2009 (“Misurazione, valutazione e trasparenza della performance”)
che tratta di materie già oggetto in passato di numerose iniziative legislative:
sostanzialmente l’efficienza, la qualità dei servizi e la trasparenza amministrativa.
Mi sono soffermata ad analizzare soprattutto quegli aspetti del decreto che, a mio
avviso, risultano determinanti, sotto un profilo metodologico e operativo, per il
concreto avvio, presso le amministrazioni, del “ciclo di gestione della performance”
e, di conseguenza, anche per la effettiva adozione di sistemi premianti e di
incentivazione a favore del personale.
Sono stati dunque analizzati alcuni degli aspetti connessi alla individuazione dei
processi produttivi dei servizi oggetto della valutazione, le determinanti della
performance organizzativa, i correlati rapporti tra performance organizzativa e
1
Cfr. Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministro per la Pubblica Amministrazione e l’innovazione, Linee
programmatiche sulla riforma della Pubblica Amministrazione - Piano industriale, Roma, 28 maggio 2008,
pubblicato sul sito web del Ministero della Pubblica Amministrazione ed Innovazione
(www.innovazione.gov.it).
2 Decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, Attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di
ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche
amministrazioni, GU 31-10-2009
343
individuale, nonché i possibili modi attraverso cui esprimere nel concreto la
performance, anche in relazione, ad esempio, alla possibilità di definire graduatorie
di performance delle organizzazioni e dei singoli dipendenti.
Il sistema di misurazione e valutazione della performance definito dal decreto
150/2009 è stato anche, sinteticamente, posto in relazione con quanto prescritto dal
ddl “Legge di contabilità e finanza pubblica”3, in relazione alla formazione del
bilancio di previsione dello Stato, per analizzare, come le risultanze del ciclo di
valutazione della performance contribuiscano a determinare la stima del fabbisogno
finanziario ai fini della definizione del bilancio di previsione.
Alcune considerazioni si possono fare su di un insieme di elementi del decreto che,
potrebbero rendere problematica una effettiva trasposizione delle previste
disposizioni nell’organizzazione e nelle prassi gestionali delle amministrazioni.
Appare sostanzialmente insufficiente la disposizione secondo cui la misurazione e
valutazione della performance viene riferita “all’amministrazione nel suo complesso,
alle unità organizzative o aree di responsabilità” (art. 3, comma 2), invece che ai
processi produttivi reali delle amministrazioni; risulta indeterminata la modalità di
espressione della performance organizzativa - che deve comunque rappresentare uno
standard per tutte le amministrazioni - da cui deriva l’impossibilità di redigere
graduatorie di performance per le amministrazioni stesse; rimane indeterminato il
rapporto tra performance organizzativa e individuale, tenuta anche presente la
necessità di “tipizzarne” l’aspetto giuridico-formale per le sue evidenti conseguenze
soggettive, da cui deriva la sostanziale impossibilità di redigere anche graduatorie
individuali. Inoltre, dal confronto tra il decreto 150/2009 e il citato ddl sulla
contabilità e finanza pubblica, emergono significativi elementi che testimoniano una
perdurante disorganicità del ciclo gestionale-finanziario delle amministrazioni
centrali dello Stato, laddove appare che il legislatore dia per scontato che il sistema
della valutazione della performance sia basato su di un sistema di indicatori e
parametri diverso da quello su cui poggiano le valutazioni del fabbisogno finanziario
delle amministrazioni ai fini della formazione del bilancio di previsione, tanto che il
legislatore ripetutamente richiama la necessità di procedure di conciliazione,
modalità di raccordo e collegamento tra i due sistemi.
3
Senato della Repubblica, ddl. “Legge di contabilità e finanza pubblica”, n. 1397-B, 13 novembre
2009.
344
Il decreto 150/2009 tratta il tema della produttività del lavoro e dell’efficienza al
duplice livello dei singoli lavoratori (dipendenti e dirigenti) e delle “organizzazioni”,
come si evince,innanzitutto, dalle disposizioni relative al “ciclo di gestione della
performance” ove espressamente si associa la “misurazione e valutazione delle
performance, organizzativa ed individuale” (art. 1, comma 1; art. 2; art. 3; art. 4,
comma 2, lettera d). Tali valutazioni di performance, “organizzativa” e individuale,
dovrebbero risultare tra loro strettamente correlate, oltre che metodologicamente,
soprattutto funzionalmente; pertanto, i caratteri della “performance organizzativa” e
della sua “misurazione” e “valutazione” dovranno essere più precisamente
configurati, dato che una loro generica enunciazione può dare origine, presso le
diverse amministrazioni, ad interpretazioni ed attuazioni difformi che, peraltro,
renderebbero tali “misurazioni” e “valutazioni” difficilmente confrontabili, al
contrario di quanto, invece, esplicitamente dispone il decreto4.
L’espressione “performance organizzativa”, seppur intuitivamente comprensibile
come“capacità di resa” di un’organizzazione, può aver senso, nell’ambito del decreto
150, solo se esplicitamente fondata sulla “produttività” dei singoli processi produttivi
dei servizi, la cui prestazione è “attribuita” all’organizzazione medesima e, in
particolare, sulla possibilità di valutarli,sia in termini economici (efficienza), sia in
termini di capacità di tutelare l’interesse pubblico (efficacia), sia in termini del
rispetto dei fondamentali principi e norme a base dell’azione amministrativa
(principio di legalità); da ciò deriverebbe anche la possibilità di valutare la
performance dei singoli lavoratori (dirigenti e dipendenti) in relazione al loro diretto
contributo alla performance organizzativa.
Pertanto, se la “performance organizzativa” riguarda la “capacità di resa” di una
amministrazione intesa come risultante dei diversi livelli valutativi dei processi
produttivi dei servizi, la sua valutazione rispetto al sistema amministrativo implica la
definizione dei processi di lavoro oggetto della misurazione e della valutazione, dalla
cui “combinazione” potrà derivare la “performance organizzativa”. Tali processi di
4
Che dispone confronti tra amministrazioni anche a livello internazionale (art. 5, comma 2, lett. e, art.
13, comma 5, lett. c) e dispone, inoltre, che la Commissione per la valutazione rediga una “graduatoria
di performance” (art. 13, comma 6, lett. i).
345
lavoro costituiscono gli ambiti produttivi entro cui valutare anche la performance
individuale5
Al riguardo, è appena il caso di rilevare che il complesso delle amministrazioni
pubbliche, sebbene organizzate in insiemi omogenei di strutture in termini di
competenze amministrative (Ministeri, Regioni, Comuni, etc.), risultano essere, e non
potrebbe essere diversamente, un “sistema” unico, dato che, in generale, i “prodotti”
di singole amministrazioni (servizi pubblici e servizi burocratici) si legano a
“prodotti” di altre amministrazioni, secondo un reticolo complessivo di rapporti che
costituiscono un “sistema” amministrativo organico. Si pensi, ad esempio, ai servizi
anagrafici ed elettorali di ogni Comune che, necessariamente, implicano il servirsi di
“prodotti” del Ministero dell’Interno; in alcuni casi i “prodotti” potranno essere
“servizi”, ad esempio di iscrizione, in altri casi i “prodotti” potranno essere “beni”,
come avviene per i dispositivi di carta d’identità elettronica. Ancora, guardando alle
amministrazioni centrali, ad esempio, l’Agenzia delle entrate lega lo svolgimento
della propria attività a quella di altri enti quali Comuni e Camere di commercio.
Tanto premesso, non sembra che il legislatore abbia sufficientemente tenuto conto
della più generale caratteristica della PA che si configura come un “unico” sistema
produttore di servizi, i cui processi produttivi dipendono, in generale, dal contributo
di più amministrazioni. Tale insufficienza appare più esplicita laddove la norma
precisa che le pubbliche amministrazioni “provvedono annualmente ad individuare i
servizi erogati, agli utenti sia finali che intermedi” (art. 11, comma 4). Ne deriva,
infatti, che in tutti i casi in cui i processi produttivi si svolgono e si concludono con
l’erogazione del servizio all’interno di una stessa amministrazione, la valutazione
della performance organizzativa coincide con la valutazione dei processi produttivi
che danno effettivamente luogo ai servizi erogati agli utenti. Mentre, in tutti i casi in
cui i processi di produzione dei servizi coinvolgono più amministrazioni, le singole
valutazioni di performance non potranno restituire indicazioni sul processo
produttivo nel suo complesso; questo non riguarda solo i casi in cui le
amministrazioni erogano “servizi intermedi” (cioè servizi la cui prestazione è
5
In tal senso il decreto 150/2009 risulta particolarmente ambiguo e carente dato che invece di fondare esplicitamente la
valutazione della performance sui processi produttivi delle amministrazioni, si riferisce, oltre che all’amministrazione
nel suo complesso, alle “unità organizzative o aree di responsabilità in cui si articola” (art. 3, comma 2). Un più
esplicito, anche se ancora indiretto, riferimento ai processi produttivi è contenuto all’art. 11, comma 4, in cui si
richiama, in relazione alla trasparenza del ciclo di gestione della performance, la contabilizzazione dei costi effettivi dei
servizi erogati.
346
necessaria perché un’altra amministrazione eroghi il servizio finale), ma ovviamente
anche i casi in cui l’erogazione di un “servizio finale” da parte di un’amministrazione
implica l’erogazione di servizi intermedi da parte di altre. Si pensi, ad esempio, al
caso citato di un servizio comunale di certificazione anagrafica o di un servizio di
attribuzione di carta d’identità elettronica. Il Comune per erogare il servizio finale al
privato dovrà ottenere servizi intermedi da parte del Ministero dell’Interno; ne deriva
che, singolarmente considerate, le misurazioni e valutazioni di performance effettuate
sui due enti non possono esprimere, perché parziali, una valutazione del processo
produttivo nel suo complesso, soprattutto in termini di efficienza.
Il fatto che la PA si configuri come un sistema di servizi alla cui produzione
concorrono una pluralità di amministrazioni diverse è tanto evidente che il legislatore
si è preoccupato di definire appositi istituti, come la conferenza dei servizi, o
strutture permanenti di raccordo istituzionale, quali la Conferenza Stato-Regioni, la
Conferenza Stato- città ed autonomie locali, la Conferenza unificata, per favorire il
coordinamento delle amministrazioni nei tanti procedimenti in cui si prevede la
partecipazione di molti enti ed organi; oltre ad essere intervenuto in più occasioni
attraverso misure di semplificazione e prevedendo anche l’adozione di specifiche
forme di innovazione tecnologica (la cosiddetta “cooperazione applicativa”) per
risolvere non solo il problema della complessità delle procedure, ma anche quello
della collaborazione di diverse amministrazioni all’interno dei singoli processi
produttivi6. Più in generale, la materia è retta dal principio costituzionale della “leale
collaborazione” tra enti (art. 120, comma 2, Costituzione).
6
Senza considerare che il sistema amministrativo è, in realtà, molto più articolato e complesso, dato
che oltre agli enti pubblici e agli enti pubblici economici e non, vi sono moltissimi casi di “enti privati
di rilevanza pubblica”, ossia deputati all’esercizio di attività amministrative. Ciò non avviene più
soltanto attraverso le forme tradizionali della concessione e dell’autorizzazione, né soltanto nei casi
dell’esercizio privato di pubbliche funzioni, ma, più in generale, si tende ad attribuire importanti
ambiti dell’azione amministrativa a soggetti che, tecnicamente, sono disciplinati dal diritto privato.
Questo fenomeno riguarda soprattutto materie tecniche e specialistiche. Si pensi, ad esempio, al fatto
che la più grande centrale di acquisto delle pubbliche amministrazioni, la CONSIP, sia una SPA,
sebbene la totalità delle azioni sia del Ministero del Tesoro; si pensi, ancora, al complesso delle
società ed aziende partecipate dal pubblico, nonché a tutti quei casi in cui la stessa legge attribuisce a
soggetti privati funzioni pubbliche, come nel caso della funzione di certificazione delle firme
elettroniche (attribuite alle società private di certificazione), ovvero alle certificazioni in materia
edilizia rilasciate dagli Organismi Società di Attestazione-SOA. In presenza d i un “settore pubblico
allargato” in cui diversi soggetti privati contribuiscono alla produzione di servizi finali, è evidente che
le valutazioni di performance, laddove limitate ai soli segmenti dei processi produttivi di competenza
delle amministrazioni pubbliche, possono risultare inadeguate per migliorare l’efficienza e l’efficacia
dell’azione pubblica nel suo complesso. Ancora una volta, la questione sembra riconducibile al fatto
che la misurazione e valutazione delle performance non andrebbe riferita a singoli enti o aree di
responsabilità, ma collegata ai processi produttivi complessivi.
347
Pertanto, pare del tutto evidente che la misurazione e la valutazione della
performance organizzativa volta “al miglioramento della qualità dei servizi offerti
dalle amministrazioni pubbliche” (art. 3, comma 1, decreto 150/2009), dovrebbe
essere fondata sulla valutazione dei processi produttivi “reali”, considerati nella loro
completezza e perciò includendo i contributi di tutte le amministrazioni diverse
dall’amministrazione “procedente” che a tali processi produttivi a qualsiasi titolo
cooperano. Da tutto ciò deriva la necessità di effettuare una “mappatura” generale dei
processi produttivi delle amministrazioni su cui saldare la misurazione e valutazione
della performance organizzativa. Un aspetto, questo, del tutto trascurato non solo dal
recente decreto, ma che anche in passato non ha trovato compiuta sistematizzazione
normativa7
Trattandosi di attività amministrative, la “misurazione” e la “valutazione” della
performance (sia organizzativa, sia individuale) dovrebbero manifestarsi in atti
amministrativi tipici prodotti dai soggetti individuati dalla legge. In particolare, la
“misurazione” è il presupposto logico della “valutazione” la quale, legittimando
l’attribuzione di “premi e meriti” (Titolo III del decreto 150), incide su posizioni
giuridiche soggettive. Pertanto, dal punto di vista degli atti amministrativi,
dovremmo distinguere provvedimenti dichiarativi di giudizio (la valutazione delle
performance) preceduti da atti interni di accertamento (la misurazione delle
performance). Tali atti e provvedimenti dovranno avere un contenuto tipico (stabilito
dalla norma) a cui si ricollegano effetti reali. Gli effetti della misurazione e
valutazione sono specificati rispetto al livello individuale. La norma, infatti, precisa
che in ogni amministrazione il soggetto incaricato dalla legge “compila una
graduatoria delle valutazioni individuali del personale dirigenziale…e del personale
non dirigenziale” (art. 19, comma 1), “…in modo che: a) il venticinque per cento è
collocato nella fascia di merito alta, alla quale corrisponde l’attribuzione del
cinquanta per cento delle risorse destinate al trattamento accessorio collegato alla
performance individuale; b) il cinquanta per cento è collocato nella fascia intermedia,
alla quale corrisponde l’attribuzione del cinquanta per cento delle risorse destinate al
7
Più in generale, la necessità di mappare procedure e procedimenti amministrativi (ossia i processi di
lavoro delle amministrazioni) deriva anche dalla riforma della parte II, titolo V, della Costituzione che
nel 2001 ha ridisegnato la mappa delle competenze dello Stato, delle Regioni e degli Enti locali e che,
pertanto, implica la necessità di ripensare e ridisegnare i procedimenti tipici di uno Stato non federale
secondo la nuova logica federale e in base al principio costituzionale della “leale collaborazione” tra
enti.
348
trattamento accessorio…; c) il restante venticinque per cento è collocato nella fascia
di merito bassa, alla quale non corrisponde l’attribuzione di alcun trattamento
accessorio” (art. 19, comma 2); inoltre, “per i dirigenti si applicano i criteri di
compilazione della graduatoria e di attribuzione del trattamento accessorio di cui al
comma 2, con riferimento alla retribuzione di risultato” (art. 19, comma 3)8.
Rispetto alle performance individuale, pertanto,sembra chiaro che gli atti di
misurazione e i provvedimenti di valutazione avranno ricadute tipiche sulle posizioni
soggettive del personale. D’altro canto, rispetto alla “misurazione” e “valutazione”
della performance organizzativa, che dovrebbe essere collegata alle valutazioni dei
singoli lavoratori, permangono, oltre alle perplessità derivanti dalla mancanza di
disposizioni sulla ricostruzione dei processi produttivi nella loro completezza, anche
perplessità relative alla “tipizzazione” della valutazione che, ovviamente, non
riguarda solo l’aspetto giuridico-formale, ma anche le metriche stesse attraverso cui
tale valutazione viene espressa. Il decreto 150/2009, infatti, non chiarisce come
esattamente debba essere espressa la performance; se si tratterà, in altre parole, di una
valutazione più che altro qualitativa e comunque non funzionalmente ancorata a
parametri quantitativi ben definiti e misurabili, o se, al contrario, essa verrà espressa
per mezzo di un (o più) indicatore numerico (indice) aggregato che, basato su alcuni
indicatori di natura gestionale - a cui peraltro sembrerebbe implicitamente fare
riferimento il decreto (art. 9, comma 1, lett. a; art. 11, comma 1; art. 13, comma 6,
lett. h) - possa consentire confronti quantitativi non solo tra diversi processi di
servizio e amministrazioni, ma anche nel corso del tempo. L’adozione di una
modalità “qualitativa” o “quantitativa” di misurazione della performance
organizzativa comporterà ricadute diverse sulle valutazioni di merito individuale e
sulla stessa possibilità di stilare graduatorie9.
8
Sebbene lo stesso art. 19, al comma 4, precisi che “La contrattazione collettiva integrativa può
prevedere deroghe alla percentuale del venticinque per cento di cui alla lettera a) del comma 2 in
misura non superiore a cinque punti percentuali in aumento o in diminuzione, con corrispondente
variazione compensativa delle percentuali di cui alle lettere b) o c). La contrattazione può altresì
prevedere deroghe alla composizione percentuale delle fasce di cui alle lettere b) e c) e alla
distribuzione tra le medesime fasce delle risorse destinate ai trattamenti accessori collegati alla
performance individuale”. Si precisa, inoltre, che le disposizioni citate nel testo “non si applicano al
personale dipendente se il numero dei dipendenti in servizio nell’amministrazione non è superiore a 8
e ai dirigenti se il numero dei dirigenti in servizio nell’amministrazione non è superiore a 5” (art. 19,
comma 6).
9
Più volte richiamate nel decreto, sia al livello di amministrazione, sia individuale (art. 13, comma 6,
lett. i, e art. 19, comma 1).
349
La differenza tra i due metodi di valutazione della performance non è da poco anche
sotto il profilo metodologico, dato che, come è noto, la costruzione di indici
quantitativi di performance implica l’adozione di standard, cioè di regole comuni a
cui tutte le amministrazioni interessate dovranno attenersi. Tali standard non possono
che riguardare, innanzitutto, i criteri di definizione dei servizi e delle fasi di lavoro
dei processi di servizio nella loro completezza e organicità, nonché i criteri di
valorizzazione dei costi dei fattori e degli stessi servizi.
Il legislatore sembrerebbe - ma non è del tutto chiaro - aver assegnato alla
Commissione per la valutazione, di cui all’art. 13 (in collaborazione con il Ministero
dell’economia e delle finanze - Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato),
il compito di definire tali standard; rimane peraltro del tutto evidente che i criteri
economico-contabili alla base della valorizzazione dei costi nell’ambito del “Sistema
di misurazione e valutazione della performance” dovranno essere necessariamente gli
stessi impiegati per la definizione del fabbisogno finanziario nell’ambito delle
procedure di formazione del bilancio di previsione10.
I soggetti del processo di misurazione e valutazione della performance.
I soggetti a cui sono attribuite le funzioni di misurazione e valutazione delle
performance, in base all’art. 12 del decreto 150, sono quattro: un organismo centrale
denominato “Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle
amministrazioni pubbliche”, gli Organismi indipendenti di valutazione della
performance,
l’organo
di
indirizzo
politico-amministrativo
di
ciascuna
amministrazione e i dirigenti di ciascuna amministrazione. E’ appena il caso di
rilevare, tuttavia che, diversamente dall’art. 12, l’art. 6 del decreto 150 si riferisce ai
soli “organi di indirizzo politico amministrativo, con il supporto dei dirigenti”;
mentre l’art. 7 definisce i soggetti che svolgono le funzioni di misurazione e
10
Alla Commissione per la valutazione il legislatore ha assegnato, tra l’altro, il compito di promuovere
“sistemi e metodologie finalizzati al miglioramento della performance delle amministrazioni
pubbliche” (art. 13, comma 5, lett. a), fornire “supporto tecnico e metodologico all'attuazione delle
varie fasi del ciclo di gestione della performance” e definire “i parametri e i modelli di riferimento del
Sistema di misurazione e valutazione della performance di cui all'articolo 7 in termini di efficienza e
produttività” (art. 13, comma 6, lettere a e d); ma non è chiaro se tutto ciò ricomprenda anche i criteri
di contabilità economica necessari alla valorizzazione dei costi dei servizi e, in tal caso, perché tali
criteri dovrebbero essere diversi da quelli impiegati nella definizione del bilancio di previsione.
350
valutazione delle performance in modo difforme, sia dall’art.12, sia dall’art. 6, in
particolare non contenendo alcun riferimento agli organi di indirizzo politico
amministrativo (art. 7, comma 2). Peraltro, presso l’Organismo indipendente di
valutazione, opera “una struttura tecnica permanente per la misurazione della
performance” (art. 14, comma 9). Si pone, inoltre, un’altra questione che attiene al
rapporto tra il sistema di valutazione della performance delineato dal decreto
150/2009 e il sistema dei controlli interni di cui al d.lgs. 30 luglio 1999, n. 286. Il
decreto 286/1999 definiva quattro tipologie di controllo interno: il controllo di
regolarità amministrativa e contabile, il controllo di gestione (in capo ai dirigenti), la
valutazione
dei
dirigenti,
il
controllo
strategico
(funzionale
all’esercizio
dell’indirizzo politico). Sulla base dell’art. 30 del decreto 150/2009 sono
espressamente abrogate (a far data dal 30 aprile 2010) la valutazione dei dirigenti e la
specifica disciplina del controllo strategico in ragione della nuova disciplina adottata
dallo stesso decreto. Tuttavia, restano escluse dall’elencazione delle disposizioni
abrogate del decreto 286/1999, sia il controllo di regolarità amministrativa e
contabile (decreto 286/1999, art. 2), sia il controllo di gestione (art. 4). Una lettura
che sembra confermata specificamente per il controllo di gestione poiché il decreto
150/2009 stabilisce che “gli organi di indirizzo politico amministrativo si avvalgono
delle risultanze dei sistemi di controllo di gestione presenti nell’amministrazione”
(art. 6, comma 2). Tuttavia, il dubbio interpretativo deriva dalla lettura dell’art. 14,
comma 2, del decreto150/2009, in base al quale l’Organismo indipendente di
valutazione della performance, che ogni amministrazione istituisce singolarmente o
in forma associata, “sostituisce i servizi di controllo interno, comunque denominati,
di cui al decreto legislativo…286”, per di più avvalendosi della già citata “struttura
tecnica permanente per la misurazione della performance” (art. 14, comma 9).
E’chiaro che i “tipi di controllo” non si identificano con i “servizi di controllo”,
poiché i “servizi” costituiscono la struttura responsabile dell’attività di controllo.
Tuttavia, rispetto ai controlli di regolarità e soprattutto ai controlli di gestione, ci si
chiede quali siano i “servizi” deputati a svolgerli posto che, sulla base dell’art. 30 del
decreto 150/2009, tali controlli dovrebbero comunque sussistere11
11
Al riguardo è anche opportuno ricordare che il ddl sulla contabilità e finanza pubblica prevedeva la
delega al governo per adottare “uno o più decreti legislativi per il potenziamento dell’attività di analisi
e valutazione della spesa e per la riforma del controllo di regolarità amministrativa e contabile di cui
all’articolo 1, comma 1, lettera a), e all’articolo 2 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 286”: cfr.
Senato della Repubblica, ddl. “Legge di contabilità e finanza pubblica”, cit., art. 49, comma 1.
351
Efficienza, efficacia e performance amministrativa.
Già con le Linee programmatiche, il governo ha posto una forte enfasi sull’efficienza
dell’amministrazione, da perseguire attraverso il contenimento del costo dei servizi, il
recupero di produttività del lavoro e l’adeguamento dei processi produttivi dei servizi
alle “migliori pratiche” (modelli di eccellenza e standard internazionali e nazionali),
allo stesso tempo richiamando il ruolo strategico “dei beni e servizi pubblici offerti,
in
termini
di
quantità
disponibili,
qualità,
costo,
non
meno
che
di
coerenza/adeguatezza con la domanda”. Se con le Linee programmatiche è stata
nuovamente ribadita la necessità di promuovere metodi gestionali improntati al
perseguimento dell’efficienza12, sembra che la pur impellente necessità di assicurare
la massima efficacia all’azione amministrativa sia rimasta, invece, al margine
dell’interesse del governo (che, peraltro, neppure compare nell’intitolazione del
decreto 150). L’efficacia è menzionata nel decreto 150 solo attraverso il richiamo alla
“coerenza/adeguatezza con la domanda” (cioè alla necessità di allineare
effettivamente i servizi erogati ai bisogni e alle aspettative della collettività, così
come espressi dall’interesse pubblico), ma senza fornire ulteriori elementi per la sua
misurazione e miglioramento; salvo affrontare questo tema, molto indirettamente,
con i ripetuti richiami alla qualità dei servizi. Con la legge 4 marzo 2009 n. 15 e il
successivo decreto attuativo 150/2009, il legislatore ha sostanzialmente riproposto
l’impostazione delle Linee programmatiche, fortemente incentrata sul recupero di
efficienza, prevedendo, tra l’altro, interventi indirizzati a perseguire, oltre ad una
migliore organizzazione e una più elevata produttività del lavoro, anche più “elevati
standard qualitativi ed economici delle funzioni e dei servizi” (decreto 150/2009, art.
1, comma 2). Tanto premesso, l’elemento centrale che emerge dal decreto 150/2009
riguarda il nodo del controllo interno, incentrato sulla questione dell’efficienza, che il
legislatore ridefinisce attraverso la valutazione della performance, esplicitamente
ancorata
ai
diversi
versanti
che
caratterizzano
l’attività
gestionale
di
un’amministrazione. Il legislatore, infatti, stabilisce che ogni amministrazione
pubblica è tenuta a misurare e valutare annualmente la performance organizzativa e
individuale basandosi su di un “Sistema di misurazione e valutazione della
performance” (art. 7, comma 1).
12
Basterà qui richiamare l’art. 2 della legge 23 ottobre 1992 n. 421, gli artt. 18, 20, 64, 65 e 66 del d.
l.vo 3 febbraio 1993 n. 29 e gli artt. 11 e 17 della legge 15 marzo 1997 n. 59.
352
Schematizzando, tale “Sistema” riguarda (art. 8): sul versante dell’efficienza, “la
modernizzazione e il miglioramento qualitativo dell'organizzazione” e “l'efficienza
nell'impiego delle risorse, con particolare riferimento al contenimento ed alla
riduzione dei costi, nonché all'ottimizzazione dei tempi dei procedimenti
amministrativi”; sul versante delle capacità operative dell’amministrazione,
“l'attuazione di piani e programmi, ovvero la misurazione dell'effettivo grado di
attuazione dei medesimi, nel rispetto delle fasi e dei tempi previsti, degli standard
qualitativi e quantitativi definiti, del livello previsto di assorbimento delle risorse”;
sul versante della qualità dei servizi e delle relazioni con la collettività, “la qualità e
la quantità delle prestazioni e dei servizi erogati”, “lo sviluppo qualitativo e
quantitativo delle relazioni con i cittadini, i soggetti interessati, gli utenti e i
destinatari dei servizi”, “la rilevazione del grado di soddisfazione dei destinatari delle
attività e dei servizi”, oltre che “il raggiungimento degli obiettivi di promozione delle
pari opportunità”. La definizione degli elementi di riferimento del sistema di
misurazione e valutazione della performance contenuta nell’art. 8 assume una
rilevanza fondamentale per la concreta attuazione della riforma, dato che attraverso
di essi diviene possibile definire gli obiettivi di miglioramento e, quindi, i correlati
strumenti di intervento a disposizione dell’amministrazione. Per contro, gli ambiti di
riferimento della valutazione della performance di cui all’art. 8, definiscono anche,
per esclusione, gli elementi che la valutazione non prende esplicitamente in
considerazione, ossia l’efficacia in quanto determinante della performance di
un’amministrazione13. A questo proposito è opportuno fare riferimento ad una
precedente versione del decreto14 che, invece, faceva dipendere esplicitamente la
valutazione della performance anche da valutazioni di efficacia (e non solo di
efficienza) e stabiliva chiaramente che la valutazione della performance doveva
13
L’unico esplicito riferimento all’efficacia dell’azione amministrativa contenuto nel decreto
150/2009 sembra essere quello dell’art. 3, comma 4, laddove il legislatore dispone che le
amministrazioni pubbliche adottino metodi e strumenti idonei a valutare la performance “secondo
criteri strettamente connessi al soddisfacimento dell'interesse del destinatario dei servizi e degli
interventi”. Sul rapporto tra efficacia dell’azione pubblica e soddisfazione delle preferenze individuali
Morciano M., L’efficacia dell’azione pubblica: preferenze individuali, interesse pubblico e servizi, in
Amministrazione in cammino, Rivista elettronica di diritto pubblico, di diritto dell’economia e di
scienza dell’amministrazione - Sezione Semplificazione e Innovazione - Note e Commenti, 16 giugno
2009.
14 Schema di decreto legislativo di attuazione della legge 4 marzo 2009 n. 15 in materia di ottimizzazione
della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni”, REV 25,
19 maggio 2009.
353
concernere “l’impatto delle politiche attivate sulla soddisfazione finale dei bisogni
della collettività”. Il legislatore, quindi, poneva esplicitamente in relazione la
performance dell’amministrazione con i risultati da essa conseguiti nella società;
mentre la valutazione della performance, nella stesura finale del decreto pubblicata
sulla G.U., fa riferimento (stesso art. 8, comma 1, lettera a) non all’impatto, bensì
alla “attuazione delle politiche attivate sulla soddisfazione finale dei bisogni della
collettività”. Una formulazione che non sembra avere alcun significato coerente
rispetto all’efficacia delle politiche o, in una più benevola interpretazione, fa
semplicemente riferimento al grado di attuazione delle politiche, peraltro richiamato
al successivo punto b) dello stesso art. 8. Non sappiamo se si tratti di un semplice
refuso sfuggito in fase di limatura finale del decreto, ma sembra che l’impostazione
generale adottata dal legislatore sia principalmente indirizzata al perseguimento di
una
maggiore
efficienza
dell’apparato
amministrativo,
senza
soverchie
preoccupazioni per la sua efficacia. Tutto ciò implicherebbe, in termini di valutazione
della performance, la irrilevanza, o quasi, dell’effettiva “utilità” dell’azione
amministrativa15.
Il legislatore, d’altro canto, ha fin dall’inizio posto una grande enfasi sulla qualità dei
servizi, tanto da far sorgere il legittimo dubbio che si sia scambiata la qualità dei
servizi con l’efficacia dell’azione pubblica nel perseguire nella società - attraverso
l’erogazione dei servizi – i risultati voluti. In proposito, sembra sia utile ricordare che
mentre la qualità di un servizio può anche costituire una delle determinanti
dell’efficacia, quest’ultima attiene comunque alla relazione di causalità che, nella
società, raccorda gli obiettivi predefiniti delle politiche (espressi anche in termini di
soddisfazione delle preferenze dei soggetti della società, così come definite
nell’interesse pubblico) ai risultati ottenuti attraverso l’azione pubblica.
Un aspetto positivo del decreto 150/2009 riguarda la disposizione che impone
esplicitamente alle amministrazioni di individuare (annualmente) i servizi erogati agli
utenti, sia finali, sia intermedi, nonché di provvedere alla contabilizzazione dei costi
e al monitoraggio del loro andamento nel tempo; il tutto “ai fini della riduzione dei
costi dei servizi, dell’utilizzo delle tecnologie dell’informazione e della
15
Paradossalmente, è il Ministero dell’economia e delle finanze che, invece, sembra esplicitamente
porsi il problema della valutazione dell’efficacia dell’azione amministrativa, laddove prevede la sua
collaborazione con le amministrazioni centrali dello Stato “per la verifica dei risultati raggiunti
rispetto agli obiettivi…per il monitoraggio dell’efficacia delle misure rivolte al loro conseguimento”,
cfr. Senato della Repubblica, ddl “Legge di contabilità e finanza pubblica”, cit., art. 39, comma 1.
354
comunicazione, nonché del conseguente risparmio sul costo del lavoro” (art. 11,
comma 4). Questa disposizione è importante perché la rilevazione della struttura e
della dinamica dei costi di produzione dei servizi è alla base di qualsiasi valutazione
di efficienza e di efficacia (quindi di performance) dell’amministrazione, nonché a
base della stima del fabbisogno finanziario per la definizione del bilancio di
previsione dell’amministrazione e, naturalmente, di un sistema premiante di gestione
per obiettivi. Ciò che risulta singolare è che questa esplicita disposizione che riguarda
i costi dei servizi, e che è quindi riferibile ai processi di produzione degli stessi, sia
stata inserita nell’art. 11, che riguarda la trasparenza, invece di essere posta a base
delle valutazioni della performance, soprattutto in relazione all’efficienza
nell’impiego delle risorse (art. 8, comma 1, lett. f). Inoltre, come già rilevato in
precedenza, il decreto 150 nulla dice sui criteri su cui basare la mappatura dei
processi di produzione dei servizi, né sui criteri economici da adottare per la
valorizzazione dei costi.
I sistemi di misurazione della performance
La valutazione della performance organizzativa si basa su di un Sistema di
misurazione e valutazione della performance attraverso cui dovranno essere definite,
tra l’altro, “le procedure di conciliazione relative all’applicazione del sistema di
misurazione e valutazione della performance” (art. 7, comma 3, lett. b), nonché “le
modalità di raccordo e di integrazione con i sistemi di controllo esistenti” (lett. c) e
“le modalità di raccordo e integrazione con i documenti di programmazione
finanziaria e di bilancio” (lett. d).
Sorge qualche dubbio interpretativo sulle “procedure di conciliazione”, che
sembrerebbero indicare che il legislatore consideri un sistema di valutazione della
performance come qualcosa di diverso dai sistemi gestionali e di controllo, come
pure sembrerebbe non essere del tutto convinto della rigorosa dipendenza funzionale
che dovrebbe esistere tra le metriche di valutazione della performance e le modalità
di valutazione (ex-ante) del fabbisogno finanziario, tanto che anche in questo caso si
preoccupa che siano definite le relative “modalità di raccordo e integrazione” tra i
due sistemi, evidentemente considerati diversi e separati. Dovrebbe risultare del tutto
evidente il legame funzionale, oltreché metodologico, tra il processo di valutazione
della performance e le procedure di formazione del bilancio di previsione e, a tale
proposito, il decreto 150/2009 dispone che la valutazione della performance debba
essere effettuata “in maniera coerente con i contenuti e con il ciclo della
355
programmazione finanziaria e del bilancio” (art. 4, comma 1); disposizione ripresa
anche in seguito con il richiamo alla “fase” di “collegamento tra gli obiettivi e
l'allocazione delle risorse” (art. 4, comma 2, lettera b).
Al riguardo sembra opportuno un breve richiamo al disegno di legge sulla
“Contabilità e finanza pubblica”, che contiene anch’esso alcune precise disposizioni
sul tema della valutazione della performance in relazione alla formazione del bilancio
di previsione dello stato. Rispetto a quest’ultimo, il citato ddl stabilisce che “il
bilancio di previsione…è costituito…dagli stati di previsione della spesa…” di
ciascun Ministero (art. 21, comma 10) e che ciascuno stato di previsione concerne,
tra l’altro, “il piano degli obiettivi correlati a ciascun programma ed i relativi
indicatori di risultato…e indica gli obiettivi riferiti a ciascun programma di spesa,
che le amministrazioni intendono conseguire in termini di livello dei servizi e di
interventi. A tal fine il documento indica le risorse destinate alla realizzazione dei
predetti obiettivi e riporta gli indicatori di realizzazione ad essi riferiti, nonché i
criteri e i parametri utilizzati per la loro quantificazione, evidenziando il
collegamento tra i predetti indicatori e parametri e il sistema di indicatori e obiettivi
adottati da ciascuna amministrazione per le valutazioni previste dalla legge 4 marzo
2009, n. 15, e dai successivi decreti attuativi” (art. 21, comma 11, lett. a), n. 1).
Da questa disposizione del ddl sembra doversi ricavare che il “sistema di indicatori e
obiettivi” utilizzato da ciascuna amministrazione per la valutazione della propria
performance costituisca un sistema di indicatori diverso e separato rispetto al sistema
di criteri, parametri e indicatori impiegati dalla stessa amministrazione per la
definizione del suo fabbisogno finanziario nell’ambito della formulazione del
bilancio di previsione; il legislatore si preoccupa, infatti, che vanga esplicitamente
evidenziato il “collegamento” tra i vari sistemi di criteri, parametri e indicatori.
D’altro canto, mentre il Piano della performance definito dal decreto 150/2009 (che
contiene la direttiva annuale del Ministro, in base all’art. 10, comma 1, lettera a), e
comma
4)
è
un
documento
programmatico
predisposto
successivamente
all’attribuzione dei fondi per l’esercizio, è evidente che gli stati di previsione della
spesa dei ministeri costituiscono, invece, un documento preliminare (rispetto alla
formulazione del bilancio) che contribuisce a definire l’allocazione dei fondi per
l’esercizio successivo.
356
Pare chiaro, quindi, che la natura delle analisi su cui si basano i tre documenti
(direttiva annuale del Ministro, Piano della performance e stati di previsione
costituenti il bilancio di previsione) debba necessariamente essere la stessa e (si
spera) che siano esattamente gli stessi i criteri alla base di tali analisi e le conclusioni
a cui si perviene attraverso la redazione dei vari documenti (ovviamente a parità di
condizioni intercorse). Ma ciò che colpisce dalla lettura comparata delle due
disposizioni è la loro evidente differenziazione, cioè una esplicita sovrapposizione di
strumenti, più che la loro naturale unicità ed integrazione nell’ambito delle diverse
fasi di un unico ciclo gestionale-finanziario; tant’è che il legislatore si preoccupa di
definire i collegamenti tra i vari sistemi, evidentemente al fine di una loro
“conciliazione”. Un sospetto, questo, che viene rafforzato leggendo l’art. 23, comma
2, del citato ddl che riguarda la formazione del bilancio e che stabilisce, tra l’altro,
che “Il Ministro dell’economia e delle finanze valuta successivamente la congruità e
la coerenza tra gli obiettivi perseguiti da ciascun Ministero e le risorse richieste per la
loro realizzazione, tenendo anche conto dello stato di attuazione dei programmi in
corso e dei risultati conseguiti negli anni precedenti in termini di efficacia e di
efficienza della spesa”. In altre parole, oltre alla valutazione della performance
effettuata da ciascun ministero, il Ministro dell’economia e delle finanze sembra
essere incaricato di un’ulteriore autonoma valutazione della “congruità e coerenza tra
gli obiettivi perseguiti da ciascun Ministero e le risorse richieste per la loro
realizzazione” che implica valutazioni di natura gestionale prima ancora che
finanziarie. Una disposizione solo apparentemente mitigata dal successivo art. 39,
comma 1, del ddl, in base al quale “Il Ministero dell’economia e delle finanze
collabora con le amministrazioni centrali dello Stato, al fine di garantire il supporto
per la verifica dei risultati raggiunti rispetto agli obiettivi…per il monitoraggio
dell’efficacia delle misure rivolte al loro conseguimento e di quelle disposte per
incrementare il livello di efficienza delle amministrazioni stesse”; tale collaborazione
è previsto che avvenga nell’ambito di “appositi nuclei di analisi e valutazione della
spesa” ai quali partecipa anche “un rappresentante della Presidenza del Consiglio dei
ministri - Dipartimento della funzione pubblica”. Questa concezione, che
evidentemente prevede due distinti e separati sistemi di parametri e indicatori a base
della valutazione della performance e della formulazione del fabbisogno finanziario
rischia, ancora una volta, di frenare l’adozione presso le amministrazioni di sistemi di
357
valutazione della performance che, evidentemente privati di qualsiasi legame con il
processo di formulazione del bilancio di previsione, e quindi con il governo delle
risorse, rischiano di essere degradate a meri supporti dei sistemi premianti16.
Conclusioni.
Con il decreto 150/2009 è giunto a conclusione l’iter parlamentare della riforma della
Pubblica Amministrazione avviata dal governo con la pubblicazione delle Linee
programmatiche. Se da un lato sono stati meglio definiti i contorni di taluni degli
aspetti economico-gestionali alla base delle politiche per l’efficienza delle
amministrazioni (valutazione della performance), dall’altra, continuano a rimanere
evidenti tutti i limiti di un approccio sostanzialmente “settoriale”, che prevede
disposizioni separate - e diverse nel merito - riguardo ai diversi, ma tra di loro
organici “sottosistemi” su cui si articola il complesso processo economico, gestionale
e finanziario di una amministrazione. Come è bene evidenziato dal decreto 150/2009
e dal ddl di riforma della contabilità e finanza pubblica all’esame del Senato, i
sottosistemi riferibili al monitoraggio della performance, alla contabilità finanziaria
ed economica e alla formulazione dei bilanci di previsione, rimangono ben separati,
tanto che il legislatore continua a prevedere apposite procedure di conciliazione e
raccordi anche organizzativi. In assenza di una qualsiasi valutazione delle precedenti
iniziative di riforma, ad esempio sui controlli interni, sia nel merito, sia rispetto ai
motivi alla base della loro mancata attuazione, il governo ripropone interventi
sostanzialmente articolati in due sfere di competenze che non si integrano, ad
esempio, né al livello dei criteri alla base della valorizzazione dei costi dei processi di
servizio, né al livello del processo di formulazione del bilancio di previsione in
relazione alle valutazioni della performance; inoltre, né l’uno né l’altro elemento
sono esplicitamente basati sulla identificazione e valorizzazione dei processi
produttivi sottostanti. Permangono dunque, alcune perplessità sull’organicità,
completezza e conseguente effettiva applicabilità dei processi valutativi della
performance, data la carenza di organicità nei fondamentali sistemi di valorizzazione
economica dei processi produttivi delle amministrazioni, in particolare, rispetto alla
16
A questo proposito cfr. Morciano M., Le riforme perdute della P.A.: strategie e meccanismi di
attuazione, Amministrazione in cammino, Rivista elettronica di diritto pubblico, di diritto
dell’economia e di scienza dell’amministrazione - Sezione Semplificazione e Innovazione - Note e
commenti, 25 luglio 2008.
358
tutt’ora irrisolta “conciliazione” tra contabilità “economica” e “finanziaria”
nell’ambito dei processi valutativi alla base anche della formazione del bilancio di
previsione dello Stato. D’altro canto, l’insieme dei soggetti a vario titolo coinvolti nei
diversi aspetti della valutazione della performance pare indicativo di un eccesso di
frammentazione delle competenze in materia. Infatti, di valutazione della
performance si occupano: l’Organismo indipendente di valutazione della
performance (art. 14, comma 1); la struttura tecnica permanente per la misurazione
della performance (art. 14, comma 9); la Commissione per la valutazione, la
trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche (art. 13); forse gli uffici di
controllo di gestione (art. 4 del decreto 286/1999 e art. 6, comma 2 del decreto
150/2009); il Comitato tecnico scientifico presso la Presidenza del Consiglio dei
Ministri per il coordinamento in materia di valutazione e controllo strategico nelle
amministrazioni dello Stato (art. 7, comma 2 del decreto 286/1999); l’Osservatorio a
suo tempo previsto dall’art. 7, commi 2 e 3 del decreto 286/1999, che dovrebbe
operare presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri per il coordinamento in
materia di valutazione e controllo strategico nelle amministrazioni dello Stato, e che
non risulta esplicitamente abrogato dal decreto 150/2009; i nuclei di analisi e
valutazione della spesa, istituiti presso le amministrazioni centrali dello Stato e
disciplinati dal Ministero dell’economia e delle finanze, (ddl Senato n. 1397-B, 13
novembre 2009, art. 39, comma 1); la Ragioneria Generale dello Stato (ddl Senato n.
1397-B, cit., art. 41) e, naturalmente, gli organi di controllo esterno.
Ne deriva, sul piano della documentazione che dovrebbe consentirci di monitorare
l’evoluzione delle performances delle amministrazioni, che avremo a disposizione: il
Sistema di misurazione e valutazione della performance (artt. 7 e 11); la Direttiva
annuale del Ministro (art. 8 del decreto 286/1999); il Piano della performance, che
ricomprende anche la suddetta Direttiva (art.10, commi 1 e 4); la Relazione sulla
performance (art. 10, comma 1, lett. b); la relazione annuale sulla performance (art.
13, comma 6, lett. n); il Programma triennale per la trasparenza e l’integrità (art. 11,
comma 2); il portale della trasparenza (art. 13, comma 6, lett. p); le direttive generali
e le linee guida del Comitato tecnico scientifico presso la PCM; gli stati di previsione
della spesa dei ministeri; il Rapporto (triennale) sulla spesa delle amministrazioni
dello Stato - con le proposte sugli indicatori di performance, etc., oltre alla
documentazione e relazioni che verranno prodotte dagli organi di controllo esterno.
359
Peraltro, è stato più volte ribadito dal legislatore che quello che è stato definito un
“programma di risanamento, ristrutturazione e rilancio della macchina pubblica
italiana” verrà attuato senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Inoltre,
riguardo alla strategia progettuale di attuazione, essa sembra essere stata demandata
alla Commissione per la valutazione. Infatti, tra i compiti della Commissione, essa
stessa una “sfida” in termini di efficienza, considerando il rapporto tra obiettivi e
risorse definito dal legislatore17, vi è anche quello di definire “un programma di
sostegno a progetti innovativi e sperimentali, concernenti il miglioramento della
performance…” (art. 13, comma 6, lett. m).
Sembra tuttavia evidente che in assenza di un impegno progettuale attraverso cui
definire prima di tutto i meccanismi di valorizzazione economica dei processi di
servizio e il conseguente sviluppo dei sistemi informativi automatizzati di supporto,
ben difficilmente le disposizioni contenute nel decreto 150/2009 potranno trovare
sistemica applicazione presso le amministrazioni, anche solo quelle dello Stato, come
si può evincere anche dall’insufficiente livello di attuazione del precedente decreto
286/1999. Riguardo all’attuazione del decreto 150/2009 nel sistema amministrativo,
anche guardando il solo contesto degli enti pubblici tradizionali e, in particolare, dei
più rilevanti tra questi, ossia gli enti territoriali, una perplessità generale riguarda le
prospettive di reale applicazione della norma ai livelli regionali e locali. Infatti, il
decreto 150/2009 stabilisce che nelle Regioni (anche per quanto concerne i propri
enti e le amministrazioni del Servizio sanitario nazionale) e negli Enti locali trovano
diretta applicazione le disposizioni generali dettate in materia di valutazione delle
performance (Titolo II) e di merito e premi attribuiti (Titolo III). Tuttavia, perché
questa “diretta applicazione” si possa realmente manifestare, il decreto stabilisce che
“le regioni e gli enti locali adeguano i propri ordinamenti ai principi [del decreto]”
(art. 16, comma 2, e art. 31, comma 1). L’adeguamento dovrà aver luogo entro il 31
dicembre 2010 (art. 16, comma 3, e art. 31, comma 4) e, decorso tale termine, si
applicano le disposizioni del decreto (ancora art. 16, comma 3, e art. 31, comma 4).
In definitiva, sembra plausibile sostenere che, di fatto, il decreto 150/2009 è norma
“cogente” per i soli enti dell’amministrazione centrale dello Stato e che, rispetto agli
17
Il legislatore, infatti, assegna alla Commissione, come si evince dai commi 5, 6 e 7 dell’art. 13, ben
20 diversi compiti, pur con alcune aree di sovrapposizione, a fronte di 40 unità di personale
complessive, che dovranno occuparsi anche del suo funzionamento e della Sezione per l’integrità nelle
amministrazioni pubbliche (comma 8).
360
enti regionali e locali, si pone, invece, come norma “programmatica”; inoltre, rispetto
ai soggetti del settore pubblico allargato, la norma pare non abbia alcuna possibilità
di applicazione. Da questo deriva che, pur ammettendo che il decreto riesca ad
incidere sull’amministrazione centrale, ciò non implicherà necessariamente il
miglioramento dell’efficacia dell’azione amministrativa e della qualità dei servizi
erogati, sia perché il complesso delle amministrazioni che hanno parte nei processi
produttivi di servizi pubblici sono molto più che le sole amministrazioni centrali, sia
perché le amministrazioni centrali sono di fatto le meno onerate (rispetto a quelle
regionali e locali) dell’erogazione di servizi finali ai cittadini, sia perché, più in
generale, l’attenzione è posta sulle strutture organizzative invece che sui processi
produttivi che, in una grande quantità di casi, coinvolgono trasversalmente più
amministrazioni 18(ed eventualmente soggetti del settore pubblico allargato).
18
Per una valutazione delle iniziative anche progettuali necessarie alla concreta attuazione degli
obiettivi contenuti nelle Linee programmatiche, cfr. Morciano M., Le “Linee programmatiche sulla
riforma della Pubblica Amministrazione - Piano industriale”: obiettivi e strumenti, Astrid Rassegna,
n. 78, settembre 2008.
361
4.4. Un esempio di controllo sull’attuazione delle leggi e la valutazione delle politiche:
La carta di Matera
Da tempo tutte le Amministrazioni sono concordi sul fatto che fare delle leggi efficaci non
si riduce alla mera discussione e approvazione delle stesse, ma implichi un lavoro assai più
articolato, non è sufficiente infatti che una legge sia in vigore, ma è necessario che la stessa
sia in primo luogo attuata e in secondo luogo efficace, ossia adeguata al fine che si era
posta (coerenza teleologica). Proprio in virtù di tale assioma, dodici consigli regionali –
Abruzzo, Basilicata, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia,
Marche, Molise, Puglia, Trentino Alto Adige e Veneto, in data 25 giugno 2007, hanno
approvato La Carta di Matera, un documento1 nato dallo sviluppo del progetto CAPIRe
(Controllo delle assemblee sulle politiche e gli interventi regionali), con la quale le
assemblee legislative firmatarie si sono ufficialmente impegnate nel promuovere l’uso di
strumenti dedicati al controllo sulle leggi e alla valutazione degli effetti delle politiche o
per meglio dire all’effetto efficacia delle leggi.
La Carta indica una sorta di decalogo che impegna i sottoscrittori a migliorare il
funzionamento della pubblica amministrazione attuando un monitoraggio dell’impatto che
le leggi emanate dalle assemblee legislative hanno sulla vita quotidiana dei cittadini.
Sono dieci i punti che le Assemblee firmatarie si impegnano a rispettare: 1) dare una
risposta concreta all’esigenza di responsabilità democratica; 2) generare conoscenza
condivisa sul funzionamento e i risultati delle politiche adottate, perseguendo una logica
non partisan; 3) promuovere meccanismi legislativi e strumenti di lavoro che consentano
di porre domande incisive sull’attuazione delle leggi e gli effetti delle politiche; 4)
destinare tempo e risorse certe alle attività di controllo e valutazione; 5) garantire
l’esistenza e potenziare il ruolo di strutture tecniche altamente specializzate nel fornire
assistenza al controllo e alla valutazione; 6) investire nella formazione di una nuova figura
professionale che abbia competenze adeguate nell’analisi e nella valutazione delle politiche
pubbliche; 7) gestire i processi informativi e mantenere alta l’attenzione sui loro esiti; 8)
migliorare le capacità di interlocuzione e di dialogo con l’esecutivo; 9) divulgare gli esiti
del controllo e della valutazione, sia all’interno che all’esterno dell’Assemblea; 10)
allargare i processi decisionali e creare occasioni di partecipazione. Queste attività – recita
la Carta di Matera – rappresentano la naturale estensione della funzione legislativa.
1
Documento proposto dalla Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative delle Regioni e delle
Province Autonome in collaborazione con il Consiglio regionale della Basilicata..
362
L’espressione impiegata nel titolo della Carta di Matera – Il controllo sull’attuazione delle
leggi e la valutazione degli effetti delle politiche – esprime una duplice finalità.
Il controllo sull’attuazione delle leggi si riferisce alla necessità di comprendere le reali
modalità di applicazione delle norme e di individuare i motivi di eventuali difformità
rispetto al disegno originario. Tale necessità è dettata dalla consapevolezza che qualsiasi
legge, per quanto ben scritta, può incontrare, durante la sua vigenza, deviazioni,
rallentamenti e intoppi, causati da eventi imprevisti. Prepararsi a cogliere per tempo tali
situazioni significa avere la possibilità di intervenire per operare le correzioni e gli
aggiustamenti più opportuni.
Per valutazione delle politiche pubbliche si intende invece l’efficacia reale del
provvedimento legislativo, cioè la capacità della politica pubblica di incidere positivamente
su un determinato fenomeno sociale. Verranno analizzati di seguito i dieci punti che le
Assemblee firmatarie si sono impegnate a rispettare con la sottoscrizione del documento.
1. Dare una risposta concreta all’esigenza di accountability democratica.
Il compito di “chieder conto de risultati ottenuti” (o dare conto dei risultati ottenuti),
spesso viene richiamato solo formalmente nei documenti e negli atti ufficiali, ma non
sempre vi sono gli spazi e le risorse, le strutture o gli incentivi necessari a svolgerlo
compiutamente. Con questa Carta le Assemblee esprimono la volontà di dotarsi di concreti
strumenti che consentano loro di essere gli effettivi interpreti dell’istanza di una maggiore
accontability proveniente dalla società.
2. Generare conoscenza condivisa, in una logica non partisan.
L’assenza di un sistema di garanzie istituzionali, tese ad assicurare l’imparzialità delle
informazioni prodotte, comporta un forte rischio di delegittimazione per l’intero processo
conoscitivo. È infatti indispensabile svincolare tali attività dallo scontro tra le diverse forze
politiche. Tale principio – secondo la Carta – potrebbe tradursi nella costituzione di
commissioni o comitati paritetici, al fine di facilitare la produzione di informazioni utili al
formarsi di opinioni fondate empiricamente sul funzionamento di leggi e politiche.
3. Porre domande incisive sull’attuazione degli effetti.
Uno dei principali meccanismi per porre domande incisive è la clausola valutativa, ovvero
una norma che assegna all’esecutivo il compito di produrre, elaborare e comunicare
all’organo legislativo informazioni su tempi, modalità di implementazione e risultati sulle
politiche attuate. Al di là della clausola valutativa le Assemblee legislative possono
assumere iniziative finalizzate al controllo e alla valutazione deliberando lo svolgimento di
363
missioni valutative su leggi già in vigore.
4. Destinare tempo e finanziamenti certi alle attività di controllo e valutazione.
Risulta necessario, a tal fine, aumentare le risorse a ciò destinate, rispetto a quelle sino ad
ora impiegate. Occorre mettere in pratica quanto è già previsto da alcuni Statuti regionali: il
bilancio regionale, in particolare quello dell’Assemblea legislativa, deve garantire, ai fini
dell’espletamento delle attività di controllo e valutazione, la disponibilità di risorse
adeguate. Ciò non dovrebbe comportare un aggravio di spese nei bilanci, in quanto
l’impegno consisterebbe nell’indirizzare parte delle risorse già disponibili verso l’impiego
di strumenti di valutazione.
5. Potenziare il ruolo di strutture tecniche dedicate.
Queste strutture devono svolgere il proprio compito di supporto agli organismi politici
preposti ad attività di controllo e valutazione. Devono quindi disporre di risorse
professionali idonee e devono essere in grado di interagire, con autorevolezza e credibilità,
con i soggetti che partecipano al processo di controllo e valutazione. Per questo motivo è
importante che venga loro garantita, da parte dei soggetti politici la legittimazione
necessaria ad operar e, allo stesso tempo, sia riconosciuta un’elevata autonomia
professionale nella conduzione delle attività di analisi.
6. Investire nella formazione di una nuova figura professionale.
Le competenze professionali specifiche richieste dall’esercizio delle attività di valutazione
e controllo fanno emergere l’esigenza di un soggetto professionale, riassumibile nella
figura dell’analista delle politiche. A questo scopo è necessario adottare modalità di
reclutamento e formazione mirata.
7. Gestire i processi informativi e mantenere l’attenzione sui loro esiti.
È necessario, perché l’inserimento di clausole valutative nei testi di legge non rischi di
essere un’operazione priva di conseguenze, che vi sia una verifica della corretta
applicazione dei mandati informativi contenuti nelle clausole stesse. Anche nello
svolgimento delle missioni valutative occorre che siano rispettate alcune condizioni
fondamentali affinché non risultino prive di efficacia sostanziale.
8. Migliorare la capacità di interlocuzione e di dialogo con l’esecutivo.
La “chiamata a render conto dei risultati ottenuti” da parte dell’Assemblea non esser
considerato uno strumento per ingerire nelle attività dell’esecutivo, e nemmeno come il
pretesto per individuare le colpe di eventuali carenze, quanto piuttosto come una modalità
per stimolare un miglioramento dell’azione pubblica, nel suo complesso. Il programma dei
364
lavori consiliari deve, in questa ottica, prevedere incontri, a cadenza periodica, tra
rappresentanti del legislativo e dell’esecutivo, che mettano al centro del dibattito gli esiti
delle analisi svolte.
9. Divulgare gli esiti del controllo e della valutazione.
Un’ampia diffusione, sia all’interno che all’esterno dell’Assemblea, presso tutti i soggetti
interessati, degli esiti del controllo e della valutazione, costituisce un forte incentivo a
condurre analisi serie e rigorose e a non sottovalutare gli esiti di tali analisi nell’adozione di
decisioni successive.
10. Allargare i processo decisionali e creare occasione di partecipazione.
Molti statuti prevedono che le Regioni si adoperino per promuovere la partecipazione dei
cittadini alla vita pubblica e alle decisioni pubbliche. In questo contesto un modo per
stimolare tale partecipazione consiste nel prevedere che la proposta di condurre missioni
valutative possa provenire anche da soggetti esterni all’Assemblea, in vario modo
qualificati. Un secondo modo è quello di prevedere, all’interno del processo di clausole o
missioni valutative, numerose occasioni di ascolto delle istanze o dei punti di vista espressi
dalle differenti componenti della collettività locale. Un terzo modo è legato alla
divulgazione degli esiti dell’attività di controllo e valutazione. Più in generale possono
organizzarsi incontri pubblici fuori dalle sedi assembleari, in presenza di cittadini e vari
esponenti della collettività, ovvero utilizzare i sistemi informatici per facilitare il dialogo
via web con i cittadini.
La Carta di Matera risulta essere dunque un prezioso strumento di avvio di una migliore
performance delle attività delle Assemblee legislative, soprattutto agli occhi dei cittadini
elettori, oggi più che mai, esigenti di una maggiore trasparenza e di una maggiore
autorevolezza delle istituzioni, e di leggi rispondenti alle loro esigenze.
365
4.5. Analisi di efficacia e di efficienza: il caso del sistema universitario italiano
Nelle università italiane si è sviluppato un efficace sistema di valutazione, allo scopo di
adottare misure correttive e incentivanti dirette a raggiungere standard qualitativi
crescenti sul tema della competitività del sistema ricerca. Sono stati istituiti organi il cui
obiettivo è quello di diffondere un vero e proprio sistema di valutazione della ricerca
e dell’istruzione universitaria nazionale:
- Il Comitato Nazionale per la Valutazione del sistema universitario (CNVSU);
- Il Comitato di indirizzo per la valutazione della ricerca (CIVR);
- I Nuclei di valutazione interna degli Atenei.
La legge n.370 del 19 ottobre 1999. Disposizioni in materia di Università e di Ricerca
Scientifica e Tecnologia, dedica i primi due articoli alla materia della valutazione locale e
nazionale. La valutazione viene ridefinita complessivamente a partire dalla denominazione
degli organi ad essa preposti. Tale norma impone, a livello locale, una modifica statutaria
per gli Atenei per quanto attiene la denominazione dei Nuclei e cambia, a livello nazionale,
la denominazione di “Osservatorio per la valutazione del sistema universitario” in quella
di
“Comitato
nazionale
per
la
valutazione
del
sistema
universitario”
L`articolo 1 al primo comma, definisce l`obbligo di adottare in ogni Ateneo un sistema di
di valutazione interna stabilendone le materie: 1) la gestione amministrativa; 2)la didattica;
3) la ricerca; 4) gli interventi di sostegno al diritto alla studio; verificando anche mediante
analisi comparative dei costi e dei rendimenti il corretto utilizzo delle risorse pubbliche, la
produttività della ricerca e della didattica, nonché l`imparzialità e il buon andamento
dell’azione amministrativa (senza distinzione di settori).
Ciascuna Università deve quindi prevedere, all`interno del proprio statuto, la
la costituzione di un organo collegiale denominato Nucleo di Valutazione di Ateneo.
L`articolo 1 al secondo comma, oltre a fissare il numero dei componenti del Nucleo di
valutazione (da cinque a nove di cui almeno due nominati tra studiosi ed esperti nel campo
della valutazione anche in ambito non accademico), risulta sul piano dell`innovazione il più
pregnante
-
prescrive
in
alle
Università
di
rendere
quanto:
autonomamente
operativi
i
Nuclei;
- sancisce il diritto di accesso ai dati e alle informazioni necessari per l`attività di
378
valutazione
di
spettanza
dei
Nuclei;
- stabilisce, inoltre, che le Università devono garantire la pubblicità e la diffusione degli atti
dei
Nuclei
stessi.
Il medesimo comma 2, dispone, infine, che i Nuclei acquisiscano periodicamente le
opinioni degli studenti frequentanti sulle attività didattiche; opinioni che devono essere
riferite
con
apposita
relazione
del
Nucleo.
Tale documento, oltre che agli organi di direzione dell`Ateneo, deve essere inviato, entro il
30
aprile
di
ogni
anno,
al
MIUR
e
al
CNVSU.
L`articolo 1 al terzo comma introduce una novità: il sistema sanzionatorio:
le Università che non ottempereranno agli obblighi stabiliti dalla legge saranno escluse:
-
dal
riparto
dei
fondi
relativi
alla
programmazione
universitaria;
- dall`attribuzione di appositi incentivi agli Atenei, sulla base di obiettivi predeterminati ed
in
relazione
agli
esiti
dell`attività
di
valutazione;
- dalla distribuzione dell`incentivazione dei professori e dei ricercatori universitari.
L`articolo 2 sostituisce, come già riferito, l`Osservatorio Nazionale del Sistema
Universitario con il Comitato Nazionale per la valutazione del sistema universitario(cnvsu)
insediato il 19 aprile del 2000 e ne elenca i compiti, mantenendo le attribuzioni conferite in
precedenza
all`Osservatorio.
L`attività del Comitato è ispirata a principi di autonomia operativa e di pubblicità degli atti.
Il CNVSU è un organo istituzionale del MIUR costituito da nove membri, anche stranieri,
di comprovata qualificazione ed esperienza nel campo della valutazione, scelti in una
pluralità di settori disciplinari, anche in ambito non accademico e nominati con decreto del
MIUR,
previo
parere
delle
competenti
Commissioni
parlamentari.
L`art. 2 primo comma attribuisce al Comitato nazionale alcuni compiti correlati a loro volta
alle attività dei Nuclei di valutazione degli Atenei; in particolare il Comitato:
- fissa i
criteri
generali per la valutazione delle attività delle Università;
- promuove la sperimentazione, l`applicazione e la diffusione di metodologie e pratiche di
valutazione;
- determina ogni triennio la natura delle informazioni e i dati che i nuclei di valutazione
degli
atenei
sono
tenuti
a
comunicare
annualmente;
- predispone ed attua, sulla base delle relazioni dei nuclei di valutazione degli atenei e delle
altre informazioni acquisite, un programma annuale di valutazioni esterne delle Università
o
di
singole
strutture
didattiche;
- svolge ulteriori attività consultive, istruttorie, di valutazione, di definizione di standard, di
379
parametri e di normativa tecnica, anche in relazione alle distinte attività delle Università,
nonché
Decreto
ai
progetti
e
legislativo
alle
n.
proposte
286
presentate
del
30
dalle
medesime.
luglio
1999.
`Riordino e potenziamento dei meccanismi e strumenti di monitoraggio e valutazione dei
costi, dei rendimenti e dei risultati dell`attivita` svolta dalle amministrazioni pubbliche, a
norma
dell`articolo
11
della
legge
15
marzo
1997,
n.
59
`.
Ridefinendo i controlli interni e dettando i principi generali cui le pubbliche
amministrazioni devono ispirarsi per l`esecuzione dei controlli interni, abroga l`art. 20 del
D.Lgs.
29/1993.
Riguardo alle strutture universitarie lo stesso D.Lgs. 286/1999 precisa che le disposizioni
in esso riportate non si applicano alla valutazione delle attività didattiche e di ricerca dei
professori
e
ricercatori
dell`Università.
E` importante anche notare che questa normativa non nasce in modo isolato per il sistema
universitario, ma si colloca in un contesto più generale di attenzione all`efficienza ed
all`efficacia delle gestioni della Pubblica Amministrazione e dei Servizi pubblici. Tale
attenzione
è
testimoniata
in
particolare
anche:
` dall`articolo 1 del provvedimento di legge collegato alla Legge finanziaria 1994 (L.
537/93);
`
dal
Decreto
decreto
legislativo
Legislativo
n.
n.
29/1993
300
del
sul
30
pubblico
impiego.
luglio
1999*.
Riforma dell`organizzazione del governo a norma dell`articolo 11 della legge 15 marzo
1997,
n.
59.
L`art. 49 (Istituzione del ministero e attribuzioni) istituisce il ministero dell`istruzione,
dell`università e della ricerca al quale sono attribuite le funzioni e i compiti spettanti allo
Stato in materia di istruzione scolastica ed istruzione superiore, di istruzione universitaria,
di
ricerca
Legge
n.
scientifica
59
del
e
15
tecnologica.
marzo
1997.
Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per
la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa`.
L`art. 20, comma 8, lettera a) prevede l`emanazione di appositi regolamenti ai sensi e per
gli effetti dell`articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, per disciplinare i
380
procedimenti di cui all`allegato 1 alla presente legge, per disciplinare, tra l`altro, la
valutazione
del
sistema
universitario.
- Art. 17, legge 23 agosto 1988, n. 400. Disciplina dell`attività di Governo e ordinamento
della
Presidenza
del
Consiglio
dei
ministri;
Legge n. 537 del 24 dicembre 1993 - art. 5 comma 22 e comma 23.
Seguendo le previsioni dell`art. 20 del D.Lgs. 29/1993 (ora confluito nel Testo unico del
pubblico impiego-D.Lsg.165/2001), obbliga le Università italiane ad istituire i Nuclei di
valutazione all`interno delle Università, amplia i loro compiti, delinea meglio i meccanismi
di valutazione, da indicazioni sulla valutazione della produttività della ricerca e della
didattica, istituisce l`Osservatorio per la valutazione del sistema universitario.
Decreto
legislativo
n.
29
del
3
febbraio
1993.
Razionalizzazione dell`organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della
disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell`articolo 2 della legge 23 ottobre
1992,
n.
421.
Si riportano integralmente il comma 2 e comma 4 dell`art. 20 del Decreto legislativo n. 29
del
3
febbraio
1993.
Art. 20. comma 2 `Nelle amministrazioni pubbliche, ove già non esistano, sono istituiti
servizi di controllo interno, o nuclei di valutazione, con il compito di verificare, mediante
valutazioni comparative dei costi e dei rendimenti, la realizzazione degli obiettivi, la
corretta ed economica gestione delle risorse pubbliche, l`imparzialità ed il buon andamento
dell`azione amministrativa. I servizi o nuclei determinano almeno annualmente, anche su
indicazione degli organi di vertice, i parametri di riferimento del controllo `.
Art. 20. comma 4. `I nuclei di valutazione, ove istituiti, sono composti da dirigenti generali
e da esperti anche esterni alle amministrazioni. In casi di particolare complessità, il
Presidente del Consiglio può stipulare, anche cumulativamente per più amministrazioni,
convenzioni apposite con soggetti pubblici o privati particolarmente qualificati `.
Il Dlgs. n. 29 del 3 febbraio 1993 è stato abrograto dal Dlgs. n. 165 del 30 marzo 2001
art.72.
Legge
n.
168
del
9
maggio
1989*.
Istituzione del Ministero dell` Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica
Costituisce un primo dispositivo normativo che avvia l`attività di valutazione all`interno
degli
Atenei.
L`art. 7 che definisce l`autonomia finanziaria e contabile delle Università, prevede
381
l`adozione del regolamento di Ateneo per l`amministrazione, la finanza e la contabilità. Il
regolamento `disciplina altresì le forme di controllo interno sull`efficienza e sui risultati di
gestione
complessiva
dell`Università,
l`amministrazione
nonché
dei
singoli
del
centri
di
patrimonio
spesa
e
`.
Il D.Lgs. 204/98, ha istituito il COMITATO DI INDIRIZZO PER LA VALUTAZIONE
DELLA RICERCA (CIVR) a cui è affidato il compito fondamentale di promuovere l`attività
di valutazione della ricerca attraverso il sostegno alla qualità ed alla migliore
utilizzazione
scientifica
della
ricerca
nazionale.
Il CIVR è un organismo istituito presso il MIUR in attuazione dell`art. 5 del D.Lgs.
204/98, come modificato dal d.lgs. 381/98. Tale organo ha il fondamentale compito di
definire i criteri generali per le attività di valutazione dei risultati della ricerca (produzione
scientifica, brevetti, altri prodotti della ricerca) e di promuovere la sperimentazione,
l`applicazione e la diffusione di metodologie, tecniche e pratiche di valutazione, degli enti
e
delle
istituzioni
scientifiche
e
di
ricerca.
Il CIVR è composto da non più di 7 membri, anche stranieri, di elevata qualificazione ed
esperienza maturata in molteplici ambiti scientifici; i componenti vengono nominati con
mandato a tempo definito con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentito il
Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell`Università e della ricerca scientifica e
tecnologica.
Il Comitato opera in autonomia per sostenere la qualità e la migliore utilizzazione della
ricerca
scientifica
e
tecnologica
nazionale.
A tale scopo, il CIVR rilascia rapporti periodici sull`attività svolta e una relazione annuale
in materia di valutazione specifica sulla ricerca, che trasmette al Ministero dell`Università,
ai
Ministri
interessati
e
al
CIPE.
Ai fini dell`attività di valutazione vengono assunti alcuni indici comparativi che possono
riflettersi
anche
sul
finanziamento
della
ricerca,
tra
i
quali
abbiamo:
- il tipo di ricerca condotta e il grado di finalizzazione (ricerca di base, applicata,
sperimentale;
- l`oggetto della valutazione (il singolo ricercatore, il gruppo di ricerca, un laboratorio, una
istituzione
scientifica,
un
programma
di
ricerca);
- il contesto nel quale viene svolta la ricerca e il tipo di collaborazione in atto con enti
pubblici/privati
e
industria;
- il tempo al quale viene effettuata la valutazione (monitoraggio sulla selezione dei
progetti, sull`assegnazione e impiego delle risorse, sullo svolgimento del lavoro scientifico,
382
sui
risultati
- l`impiego
delle risorse comparato
raggiunti);
con
gli
obiettivi
iniziali e i
risultati;
- l`efficacia degli interventi statali per la ricerca applicata al fine di sostenere l`incremento
quantitativo e qualitativo della ricerca industriale, delle sue applicazioni nonché di ricaduta
economico-finanziaria
ed
occupazionale.
Con D.M. n. 2206 del 16 dicembre 2003 è stato emanato il decreto di organizzazione del
processo di valutazione della ricerca indicato nelle linee guida del CIVR che riguarda le
seguenti
a)
strutture
Università
(statali,
non
statali
legalmente
riconosciute);
b) Enti di ricerca di cui all`art. 8 del D.P.C.M. 30.12.1993, n. 593 e successive
modificazioni ed integrazioni, ENEA e ASI (di seguito denominati enti di ricerca);
c) altri soggetti pubblici e privati che svolgono attività di ricerca, su esplicita richiesta,
previa intesa nella quale sia espressa anche la determinazione delle risorse, a carico degli
stessi,
da
destinare
al
processo
di
valutazione.
La valutazione degli enti è organizzata per aree di valutazione, che coincidono con i
quattordici settori scientifico-disciplinari del Comitato Universitario Nazionale (CUN),
integrate da Aree speciali, scelte dal CIVR stesso, in considerazione del prioritario valore
aggiunto per il Paese e della loro coerenza con gli obiettivi previsti dal PNR e dai
programmi
di
ricerca
e
sviluppo
comunitari.
Per il processo di valutazione il CIVR si avvale di Comitati (Panel) di Area e di Progetto
Speciale, composti da un minimo di cinque ad un massimo di nove esperti, nominati con
incarico
annuale
dal
Ministro
su
indicazione
del
CIVR.
Il primo periodo di valutazione si riferisce al triennio 2001-2003 e prende in esame i
seguenti
punti:
- Risorse umane complessive, con la media del triennio dei ricercatori presenti nell`ente e
in
-
ogni
Dati
di
Brevetti
singola
risorse
spin
Area;
finanziarie
off
e
e
gestione;
partnership;
L`Ente, inoltre, seleziona autonomamente e trasmette al Panel la documentazione dei
prodotti della ricerca che intende presentare per la valutazione; i prodotti comprendono:
libri e loro capitoli, articoli su riviste scientifiche, brevetti, progetti, composizioni, disegni e
design,
rappresentazioni,
mostre
ed
esposizioni,
manufatti,
opere
d`arte.
I dati trasmessi ai Panel devono essere preventivamente valicati dai Nuclei di valutazione
interni
all`Ente.
383
Il rapporto di valutazione dei Panel è pervenuto al CIVR entro il 30 giugno 2005.
L`attività di valutazione del CIVR, regolamentata dal D.Lgs. 204/98, dal D.Lgs. 381/99 e
dal
D.Lgs.
297/99
si
articola
in
varie
iniziative
che
comprendono:
- La sperimentazione e la diffusione di metodologie e tecniche pratiche di valutazione
(D.M.
n.
5116
del
25/01/02);
- La determinazione di criteri generali per le attività di valutazione svolte dagli enti di
ricerca
e
dalle
istituzioni
scientifiche
verificandone
l`applicazione;
- La formulazione di criteri per la costituzione di appositi Comitati Interni di Valutazione
(CIV) incaricati di valutare i risultati scientifici e tecnologici all`interno degli Enti di
ricerca;
- La progettazione ed effettuazione di attività di valutazione esterna, d`intesa con le
pubbliche amministrazioni, di Enti di ricerca da esse vigilati o finanziati nonché di progetti
o
programmi
di
ricerca
da
esse
coordinati
o
finanziati;
- La valutazione dell`efficacia degli interventi statali per la ricerca applicata al fine di
sostenere l`incremento quantitativo e qualitativo della ricerca industriale, delle sue
applicazioni nonché di ricaduta economico-finanziaria ed occupazionale attraverso criteri
valutativi riguardanti le procedure di finanziamento per la ricerca industriale prevista dal
citato
D.Lgs.
297/99.
Rapporti periodici sull`attività svolta ed una relazione annuale in materia di valutazione
della ricerca inviata al Ministero dell`Istruzione, dell`Università e della Ricerca (ex
MURST), ai Ministeri interessati ed al CIPE sono i momenti di sintesi del proprio operato
che il Comitato è tenuto a realizzare nell`ambito dei compiti istituzionali ad esso affidati.
Obiettivo finale del Comitato è, quindi, la diffusione di una vera e propria `cultura ` della
valutazione della ricerca italiana, sia in campo nazionale, sia in campo europeo.
Ulteriore
Decreto
normativa
Ministeriale
(MIUR)
n.
CIVR:
2206
del
16
dicembre
2003.
Decreto di organizzazione del processo di valutazione della ricerca indicato nelle linee
guida
del
D.P.C.M.
n.
2565
CIVR.
del
3
giugno
2003.
Composizione nucleo di valutazione e verifica degli investimenti pubblici del MIUR.
Decreto
Ministeriale
(MIUR)
Composizione
Decreto
Ministeriale
n.
5116
del
25
gennaio
Comitato
(MURST)
n.
449
2002.
FIRB.
dell`11
maggio
2001.
384
Criteri e modalità procedurali per l`assegnazione delle risorse finanziarie del Fondo per gli
investimenti
Decreto
della
Ministeriale
Modalità
ricerca
(MURST)
di
n.
di
237/a
base.
dell`8
funzionamento
marzo
del
2001.
CTS.
Criteri e modalità procedurali per l`assegnazione delle risorse finanziarie del Fondo per gli
Investimenti
Decreto
della
Ministeriale
Ricerca
(MURST)
di
n.
56
Base
del
30
(FIRB).
gennaio
2001.
Composizione Comitato Tecnico Scientifico (CTS) ai sensi dell`art. 7 comma 2 D.Lgs
297/98.
Decreto
Ministeriale
(MURST)
n.
860
del
18
dicembre
2000.
Modalita` procedurali per la concessione delle agevolazioni previste dal D.Lgs 27 luglio
1999,
Decreto
n.
Ministeriale
(MURST)
Insediamento
n.
del
297.
237/a
dell`
CIVR
8
agosto
nel
2000.
MURST.
Questo decreto determina, ai sensi dell`art. 6, comma 2, del decreto legislativo 27 luglio
1999, n. 297 (di seguito denominato decreto legislativo n. 297/99) le forme, i criteri e le
modalità procedurali dell`intervento del Ministero dell`Università e della Ricerca
Scientifica e Tecnologica (MURST) a sostegno delle attività indicate all`art. 3 del citato
decreto
legislativo
Decreto
Ministeriale
Il
all`art.
D.M.
D.P.C.M.
Legge
Riforma
11
n.
Decreto
n.
n.
643
ha
modificato
10273
di
n.
del
del
ordinamenti
24
l`art.
5
novembre
del
26
ricostituzione
341
degli
del
297/99.
D.Lgs
marzo
del
19
novembre
didattici
1999.
204/98.
1999.
CIVR.
1990:
universitari.
Le università rilasciano i seguenti titoli: a) diploma universitario (DU); b) diploma di
laurea (DL); c) diploma di specializzazione (DS); d) dottorato di ricerca (DR).
385
386
L’analisi della valutazione della didattica universitaria e lo studio delle modalità di
inserimento professionale dei laureati e dei diplomati ha assunto negli ultimi anni
un’importanza crescente come strumento di verifica dei risultati conseguiti dalle
diverse Università. Per valutare l’efficienza e l’efficacia e dei processi formativi
attuati dai diversi Atenei, nonché definire un quadro comparativo in riferimento alla
performance di questi ultimi, - soprattutto alla luce dei nuovi cambiamenti in termini
di autonomia finanziaria, manageriale ed organizzativa (passaggio dal vecchio al
nuovo ordinamento) - è fondamentale predisporre opportuni modelli statistici che
permettano di comprendere le caratteristiche delle singole Università e/o delle
diverse Facoltà e di segnalare eventuali disomogeneità presenti sul territorio.
Tra le problematiche connesse all’attività di formazione, oltre a quelle appena
menzionate, risulta molto importante quella relativa alla questione di quali siano le
Facoltà che tendono ad avere il costo medio per studente sistematicamente superiore
alle altre, oppure quelle che presentano un eccessivo ammontare di risorse impiegate
per i servizi di funzionamento che vanno a coprire essenzialmente costi per personale
non docente non qualificato.
E’ altresì importante, nell’ambito della allocazione delle risorse del sistema
universitario, procedere ad un’analisi statistica della variabilità dei costi e delle
risorse per studente, al fine di definire quanta parte della variabilità osservata sia
imputabile a situazioni oggettivamente diverse oppure sia dovuta al trattamento
diversificato di situazioni simili. Nel primo caso, ad esempio, la diversa allocazione
delle risorse può essere imputabile alle diverse dimensioni, o alle differenti
condizioni ambientali e strutturali, o anche alla specificità delle aree disciplinari. Nel
secondo caso, la variabilità osservata deriva dallo squilibrio tra le dotazioni assegnate
agli Atenei in termini medi per studente a parità di aree disciplinari.
La notevole variabilità osservabile all’interno del sistema universitario italiano, nei
costi per studente, a livello di ateneo e di facoltà, è alla base della legge 537/93
riguardante il modello di riequilibrio del Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO),
che definisce i criteri per la ripartizione tra gli atenei delle risorse del fondo stesso.
Tale legge,
ponendo
l’accento
sul
concetto
di
“riequilibrio”, riconosce,
386
implicitamente, che dietro l’ampia variabilità dei costi riscontrata nelle analisi
empiriche (Catalano e Silvestri, 1992), si cela, almeno in parte, dell’iniquità
nell’allocazione delle risorse. Iniquità che è stata determinata dai meccanismi di
finanziamento vigenti prima dell’entrata in vigore della legge sull’autonomia
universitaria, non particolarmente attenti al problema di una adeguata allocazione
delle risorse in rapporto al numero di studenti iscritti.
Tuttavia, la legge 537/93, indicando che il “riequilibrio è finalizzato anche alla
riduzione dei differenziali nei costi standard di produzione nelle diverse aree
disciplinari ed al riallineamento delle risorse erogate tra le aree disciplinari”,
implicitamente riconosce che “squilibrio” e “variabilità” (dei costi per studente) sono
due concetti diversi e non sovrapponibili. E’ importante sottolineare questo aspetto
poiché, essendo stata la norma di riequilibrio, stimolata da analisi che mettevano in
evidenza la grande variabilità dei costi per studente, c’è il rischio che si tenda a
confondere il concetto di “variabilità”, che rinvia a quello di “diversità di
trattamento”, con il concetto e di “squilibrio”, che rinvia invece a quello di “iniquità
di trattamento”.
La nozione aristotelica di equità suggerisce di trattare in modo eguale situazioni
simili, e in modo diverso (da definire adeguatamente) situazioni dissimili; questo
implica che in presenza di situazioni molto variegate, come è appunto il caso
dell’università italiana, caratterizzata da atenei con numero e tipo di facoltà, nonché
numero di studenti, molto differenti, una variabilità dei costi è necessaria al fine di
una “equa” allocazione delle risorse. Il punto è che dietro tale variabilità si può
spesso celare “iniquità”.
Nella ricerca delle fonti di variabilità, l’interpretazione dei seguenti commi della
legge 537/93 può aiutare a tentare una prima classificazione: “…la quota di
riequilibrio è da …ripartirsi sulla base di criteri ….. relativi a standard dei costi di
produzione per studente e agli obiettivi di qualificazione della ricerca, tenuto conto
delle dimensioni e condizioni ambientali e strutturali", e ancora “….Il riparto della
quota di riequilibrio è finalizzato anche alla riduzione dei differenziali nei costi
standard di produzione nelle diverse aree disciplinari ed al riallineamento delle
risorse erogate tra le aree disciplinari, tenendo conto delle diverse specificità e degli
standard europei”.
Tali commi portano a concentrare l’attenzione sul costo standard per studente quale
strumento per la riduzione di differenziali “ingiustificati” e, al tempo stesso,
387
evidenziano quali fattori di variabilità del costo standard alcuni elementi
fondamentali, quali:
1. le diverse dimensioni, condizioni ambientali e strutturali
2. la specificità delle aree disciplinari
3. gli obiettivi di qualificazione della ricerca
4. l’efficacia nella formazione e nella ricerca scientifica.
Il primo punto fa riferimento ad eventuali redimenti di scala del processo produttivo
di formazione (dimensioni), nonché ad elementi che possono giustificare maggiori
costi, connessi a condizioni ambientali e strutturali. Tra questi possiamo annoverare,
ad esempio, l’offerta formativa in termini di numero di facoltà presenti nell’ateneo, o
il fatto che si tratti di una facoltà di recente costituzione o meno. Per quanto riguarda
il secondo punto (specificità delle aree disciplinari) è indubbio che i costi standard
debbano tenere conto della maggiore costosità della formazione in determinate aree,
e in questo senso il richiamo agli standard europei dovrebbe stimolare analisi tese a
evidenziare quale tipo di variabilità si riscontri negli altri paesi tra le aree disciplinari.
Gli altri punti (qualificazione della ricerca ed efficacia della formazione e della
ricerca) necessitano di analisi particolareggiate che consentano di evidenziare criteri
in base ai quali si possa definire come legittimo uno scostamento dagli standard
fissati tenendo conto dei primi due criteri.
Tra i fattori di variabilità relativa al costo standard per studente quale strumento per
la riduzione di differenziali “ingiustificati” sembra di potere classificare invece tutto
ciò che è connesso a diversità di trattamento a parità dei fattori precedentemente
enunciati, ed in particolare: la variabilità derivante da squilibrio tra le dotazioni
assegnate agli atenei in termini medi per studente, anche a parità di aree
disciplinari.
In questo senso si può affermare che due dei modelli utilizzati per il riequilibrio: il
primo elaborato dalla Commissione tecnica per la spesa pubblica (Commissione
tecnica per la spesa pubblica, 1996) e il secondo dall’Osservatorio per la Valutazione
del Sistema Universitario (Doc. 03/98), possono servire ad esplicare la loro funzione
solo per quanto riguarda il riequilibrio tra atenei, mentre hanno considerano solo
marginalmente il problema delle aree disciplinari.
Finora le analisi relative a queste problematiche (efficienza, efficacia, variabilità dei
costi,..) sono state effettuate utilizzando semplici strumenti di analisi descrittiva o un
388
approccio di modellistica classico che non tiene conto della presenza di situazioni
atipiche multivariate. Ad esempio, ci possono essere Atenei che, a causa di
particolari situazioni contingenti, non risultano “anomali” sulla base di indicatori
presi singolarmente, ma lo possono diventare se si considerano congiuntamente due o
più indicatori, in quanto si scostano marcatamente dalle relazioni rilevate per le altre
coppie di valori. Nell’ambito della valutazione dell’efficienza risulta molto
importante capire quali sono le situazioni Universitarie che si discostano
notevolmente dalle rimanenti. E’ ormai diffusamente riconosciuto nella letteratura
che la presenza di valori anomali può inficiare i risultati di qualunque analisi
statistica. Il problema si rivela particolarmente grave quando i valori anomali sono
numerosi e si “mascherano” a vicenda, per cui le tecniche diagnostiche tradizionali
non sono in grado di individuarli. Per ovviare a tale inconveniente è stato
recentemente proposto un approccio di analisi innovativo (forward search), robusto
ed applicabile con successo anche in situazioni complesse, che parte da un data set
ridotto privo di outliers ed include sequenzialmente le rimanenti osservazioni in base
ad una misura via via crescente di “anomalia” delle stesse (Atkinson e Riani, 2000).
Alcuni gruppi di ricerca stanno applicando questo nuovo approccio metodologico
all’analisi statistica dei dati forniti dal Comitato Nazionale per la Valutazione del
Sistema Universitario (CNVSU), prodotti dal MIUR in collaborazione con il
CINECA, ai dati sulla didattica e sugli sbocchi occupazionali relativi ad alcune
Università italiane. In particolare, i ricercatori si propongono di analizzare: 1) i dati
riguardanti l’Università italiana negli anni accademici più recenti e rilevati ai livelli
di ateneo e/o di facoltà. Le informazioni utilizzabili per le analisi riguardano: gli
immatricolati, gli iscritti in corso e fuori corso nei vari anni, i laureati, il personale
docente ed il numero di corsi di laurea attivati, il personale impegnato nei programmi
di ricerca, i dati finanziari e, infine, quelli relativi alle strutture didattiche e di ricerca.
2) gli indicatori proposti dal Comitato (doc11/98).
Gli obiettivi di una tale ricerca saranno quelli di:
1. effettuare una serie di operazioni di verifica e di controllo tendente a migliorare la
qualità dei dati di base;
2. predisporre metodi che consentano di evidenziare situazioni di squilibrio tra i diversi
Atenei e/o, a livello più disaggregato, tra facoltà dello stesso ateneo e tra le stesse
facoltà di atenei differenti;
389
3. costruire opportuni modelli che permettano di valutare l’efficienza e l’efficacia delle
singole strutture Universitarie, e di svolgere analisi comparative sempre in termini di
performance tra vecchio e nuovo ordinamento universitario;
4. portare i ricercatori della segreteria tecnica del Comitato, a conoscenza dell’approccio
metodologico allo scopo di incrementare le competenze tecniche sull’analisi dei dati.
L’impiego della metodologia della forward search consentirebbe di ordinare le
osservazioni in base al loro grado di aderenza ad un determinato modello, di cogliere
l’effetto inferenziale di ciascuna unità sui risultati proposti e di individuare in
maniera robusta quali sono gli indicatori migliori per valutare l’efficienza del sistema
universitario.
Per raggiungere gli obiettivi specifici la ricerca dovrà preoccuparsi quindi di:
• valutare l’efficienza dei diversi Atenei;
• analizzare comparativamente vecchio e nuovo ordinamento;
• segnalare le situazioni universitarie che presentano un profilo multidimensionale
molto diverso dalle rimanenti a parità di aree disciplinari;
• valutare l’impatto dell’autocorrelazione spaziale per quanto riguarda l’efficienza;
• analizzare la variabilità dei costi medi per studente;
• segnalare i fattori più importanti che facilitano l’inserimento del mondo del lavoro;
Andranno presi in esame poi metodologie di previsione e di analisi di osservazioni
multidimensionali, ad esempio: 1) regressione multivariata; 2) analisi dei gruppi; 3)
analisi discriminante; 4) analisi delle componenti principali; 5) modelli autoregressivi
per dati territoriali; 6) tecniche per la previsione di dati spaziali (kriging).
Si dovrà quindi procedere alla:
• analisi preliminare dei dati provenienti dal Comitato, con segnalazioni dell’eventuale
presenza di valori inammissibili;
• definizione della modellistica più appropriata da adottare nelle varie analisi da
effettuare;
• analisi delle problematiche teoriche legate all’applicazione della metodologia della
forward search a campi finora non esplorati nella letteratura (modelli a componenti
di varianza, modelli multilivello, modelli di analisi fattoriale, ecc.). Il tutto con la
collaborazione di specialisti in materie statistiche e matematiche;
390
• analisi e validazione dei modelli proposti mediante l’algoritmo robusto di forward
search in modo da: a) cogliere l’effetto inferenziale di ciascuna unità (ateneo o corso
di laurea) sui risultati dell’analisi; b) evidenziare la presenza di eventuali gruppi di
osservazioni atipiche (atenei o corsi di laurea); c) ordinare le osservazioni (atenei o
corsi di laurea) in base al loro accordo con il modello proposto.
Naturalmente questo è solo un esempio di ricerca finalizzata alla valutazione
dell’efficacia del sistema universitario.
391
Verso un “Panvalutazionismo”
Cercare di raggiungere i risultati e misurarli, elaborare strumenti di calcolo e indicatori
standardizzati condivisi e confrontabili per capire se ci sono stati miglioramenti oppure le
prestazioni nei confronti degli utenti sono peggiorate, a questo tendono tutti coloro che si
approcciano alla valutazione, con strumenti e tecniche finora esclusivi del mondo aziendale
e grazie a provvedimenti ad hoc.
Il termine valutazione è carico di un tale fardello di significati che si ha l’impressione di
avere a che fare con un incantesimo più che con una metodologia. Sebbene se ne parli
tanto, in realtà il passaggio dalla “magia” al metodo e quindi a rilevazioni sistematiche dei
risultati è ancora lontano. Il desiderio di migliorare le prestazioni, i servizi, ed altro, cioè
l’efficienza e l’efficacia è comune ad ogni sistema, ma affermano coloro che lavorano negli
uffici preposti alla valutazione, o che svolgono valutazioni come esterni: spesso le relazioni
valutative sono ignorate, insabbiate, sacrificate per scelte dettate da logiche politiche o
interessi malcelati.
Inoltre l’efficacia e l’efficienza sono state quasi mitizzate e si pensa
che misurarle significhi in modo automatico conseguire risultati migliori.
Tra le norme che mirano ad istituzionalizzare la valutazione, l’esempio più noto è il decreto
legislativo n.286/1999 che disciplina il controllo e monitoraggio del sistema organico
interno all’azione amministrativa. A questo si è aggiunto, nel 2000, un decreto ministeriale
che ha istituito le Lauree specialistiche ( tra le 102 classi previste c’è quella di “metodi per
l’analisi valutativa dei sistemi complessi”) se bastava imparare due o tre cose per riuscire
ad ottimizzare le risorse, stupisce che non si sia stati in grado di farlo prima.
Valutare – Migliorare sembra essere la nuova parola d’ordine di tutti i sistemi sociali,
politici, economici.
La domanda chiave è: la valutazione migliora davvero l’azione pubblica o privata che sia?
Nel tentativo di catalogare le aspirazioni per la valutazione, alcuni suggeriscono criteri
quali: meritocratico, razionalizzatore, resocontista, conoscitivo, partecipativo.
L’aspirazione meritocratica consiste nell’identificare i migliori per premiarli, siano essi
progetti, approcci al problema, interventi, distinguere cioè cosa è meritevole da cosa non
lo è.
L’aspirazione a razionalizzare coincide con la volontà di controllo interna ed esterna, ossia
di identificare le cose che non vanno e trovare una soluzione ai problemi (per la pubblica
392
amministrazione questo equivale ad esempio ad un giudizio sui costi e sulla qualità
confrontati con gli standard di altre organizzazioni).
L’aspirazione resocontista è il rendere conto dei risultati dell’azione svolta e si realizza
con la messa in opera di sistemi di descrizione e misurazione dell’attività stessa per
legittimarla.
La quarta componente è conoscitiva, ossia apprendere lezioni dall’esperienza, analizzare in
modo critico gli atti compiuti per capire se funzionano o meno.
La quinta aspirazione è quella di rendere partecipi tutti coloro che hanno un interesse
legittimo a che l’azione venga compiuta.
Tra i progetti messi in campo durante il Forum P.A. 2003, uno mira ad individuare
diffondere e condividere gli “indicatori” di risultato della pubblica amministrazione.
L’obiettivo è quello di creare un punto di incontro che funzioni da riferimento per tutti gli
enti e le amministrazioni che decidano di misurare le proprie performance di servizio al
cittadino e quelle interne, di tipo organizzativo. A tale proposito un esempio concreto è
quello del Ministero della Giustizia che ha individuato ben 200 indicatori di performance
che potrebbero costituire un patrimonio utile da condividere e confrontate con quelle degli
altri ministeri e della pubblica amministrazione in genere.
La scelta degli indicatori da inserire in una ipotetica lista spetterà ad un comitato scientifico
costituito ad hoc. Si tratterà dunque di qualcosa di simile ad una carta di identità per ogni
ente con riferimenti bibliografici, modalità di raccolta ed elaborazione di tutti i dati.
Il punto d’incontro, costituito quindi da un vero e proprio sito informatico, fornirà a tutti
coloro che ne digiteranno l’indirizzo web i riferimenti per accedere ad altri siti istituzionali
come quelli di Ministeri, Province, Regioni, Comuni. Ogni amministrazione potrà
consultare tutta la gamma di indicatori a condizione di contribuire all’arricchimento di tale
archivio mettendo a disposizione la propria esperienza.
In una prima fase l’esperimento si limiterà a classi di amministrazioni omogenee, come le
Università, le aziende sanitarie, le Camere di commercio, in seguito verrà esteso a tutto
l’universo della pubblica amministrazione.
L’attività di valutazione, mai così di moda come ora, presenta dunque elementi di rischio
quello più evidente è lo scivolamento verso il valutazionismo, ove il valutare anziché una
riflessione diventa un’attività tra l’ossessivo-burocratico (riempire o far riempire moduli,
schede, questionari, scrivere relazioni, ecc..) e il paranoico (come sarà valutato il mio
lavoro, i miei risultati, cosa di dirà di me?..) e l’ipertecnico (procedure standardizzate,
393
formule, dati, ecc..); cosicché variabili quali la ricerca, il rischio, la passione non hanno
spazio nella valutazione e sono soppiantate da termini astratti e asettici.
La passione non è misurabile, gli esperti di valutazione ci dicono che per essere valutabile
una cosa deve essere misurabile. In tal senso un brano di Mozart o un quadro di Picasso
non sono valutabili, in quanto non misurabili, così come un piatto di pastasciutta, a meno
che per misurabilità non si intenda la somma degli ingredienti (note, colori, sugo) e il
tempo impiegato.
Ma il non misurabile non può e non deve essere qualcosa da escludere, o di preoccupante,
bensì un dato sul quale riflettere nel costruire nuove ipotesi teorico-operative all’interno di
un agire.
Certamente può apparire anacronistico e inattuale sostenere ciò in un ambiente che
premia la prestazione specialistica, l’orientamento al risultato, la conformità a norme e
modelli canonici di comportamento e l’acquisizione di certezze. Ed è altrettanto certo che
non sarebbe utile a nessuno contrapporre metodi basati sul dubbio, l’incertezza,
l’esplorazione, a metodi basati sul rigore , sulla rigidità, sulla definizione precisa di
parametri, se non riusciamo a cogliere le debolezze e le potenzialità delle due impostazioni
e soprattutto la forza della loro interazione.
Abbiamo bisogno di dividere e distinguere tutto ciò che è scienza (ciò che è misurabile,
spiegabile, verificabile, riproducibile, efficace) da ciò che non è misurabile, spiegabile, non
verificabile, non riproducibile, inefficace) ma forse abbiamo anche bisogno di valorizzare
interventi coraggiosi, appassionati e distinguerli da interventi ineccepibili sul piano
metodologico ma del tutto privi di senso, di creatività.
Forse c’è già un “Panvalutazionismo” dilagante che ci costringerà tra un breve lasso di
tempo ad un ripensamento dei moduli valutativi, come contrappeso alla sempre più difficile
conoscibilità dell’efficacia.
L’attività di valutazione presenta elementi di rischio quello più evidente è lo scivolamento
verso il valutazionismo, ove il valutare anziché una riflessione diventa un’attività tra
l’ossessivo-burocratico (riempire o far riempire moduli, schede, questionari, scrivere
relazioni, ecc..) e il paranoico (come sarà valutato il mio lavoro, i miei risultati, cosa di
dirà di me?..) e l’ipertecnico (procedure standardizzate, formule, dati, ecc..); cosicché
variabili quali la ricerca, il rischio, la passione non hanno spazio nella valutazione e sono
soppiantate da termini astratti e asettici.
394
La passione non è misurabile, gli esperti di valutazione ci dicono che per essere valutabile
una cosa deve essere misurabile. In tal senso un brano di Mozart o un quadro di Picasso
non sono valutabili, in quanto non misurabili, così come un piatto di pastasciutta, a meno
che per misurabilità non si intenda la somma degli ingredienti (note, colori, sugo) e il
tempo impiegato.
Ma il non misurabile non può e non deve essere qualcosa da escludere, o di preoccupante,
bensì un dato sul quale riflettere nel costruire nuove ipotesi teorico-operative all’interno di
un agire.
Certamente può apparire anacronistico e inattuale sostenere ciò in un ambiente che
premia la prestazione specialistica, l’orientamento al risultato, la conformità a norme e
modelli canonici di comportamento e l’acquisizione di certezze. Ed è altrettanto certo che
non sarebbe utile a nessuno contrapporre metodi basati sul dubbio, l’incertezza,
l’esplorazione, a metodi basati sul rigore , sulla rigidità, sulla definizione precisa di
parametri, se non riusciamo a cogliere le debolezze e le potenzialità delle due impostazioni
e soprattutto la forza della loro interazione.
Abbiamo bisogno di dividere e distinguere tutto ciò che è scienza (ciò che è misurabile,
spiegabile, verificabile, riproducibile, efficace) da ciò che non è misurabile, spiegabile, non
verificabile, non riproducibile, inefficace) ma forse abbiamo anche bisogno di valorizzare
interventi coraggiosi, appassionati e distinguerli da interventi ineccepibili sul piano
metodologico ma del tutto privi di senso, di creatività.
Se tutto è valutato, nulla è valutato!
395
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