UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MACERATA Facolta di Giurisprudenza DOTTORATO TEORIA DEI SISTEMI E SOCIOLOGIA DEI PROCESSI NORMATIVI E CULTURALI TESI DAL CONCETTO DI EFFICACIA AL CONCETTO DI VALUTAZIONE Trasformazioni e sviluppi in una prospettiva Sociologico-Giuridica TUTOR Chiar.mo Prof. Alberto Febbrajo a.a. 2008-2010 DOTTORANDA Dott.ssa Filomena Giordano INTRODUZIONE………………………………………………….………… CAPITOLO I IL CONCETTO TECNICO - GIURIDICO DI EFFICACIA 1.1. Teoria dell'effetto giuridico ......................................................................................... 3 1.2. Presupposti generali della teoria dogmatica dell’efficacia .......................................... 14 1.3. Principio di convenienza .............................................................................................. 17 1.4.Analisi dell’effetto giuridico ......................................................................................... 23 1.5. Efficacia e rilevanza giuridica - Tipi di efficacia ........................................................ 29 CAPITOLO II IL CONCETTO SOCIOLOGICO DI EFFICACIA 2.1. Il principio di causalità................................................................................................. 43 2.2. Alcuni problemi di spiegazione causale....................................................................... 46 2.3. Il concetto sociologico di efficacia .............................................................................. 67 2.4. Il contributo di Theodor Geiger ................................................................................... 71 2.5. Il concetto di efficacia nella prospettiva funzional-strutturalistica di Luhmann ......... 77 2.6. Alcuni indicatori di efficacia e di efficienza nella giustizia e nelle amministrazioni .. 87 CAPITOLO III DEFINIZIONI DEL CONCETTO DI VALUTAZIONE 3.1. Definire la valutazione ................................................................................................. 101 3.2. Metodologia della valutazione .................................................................................... 154 3.3. Valutazione e sapere sociologico ................................................................................. 284 3.4. Le dimensioni della valutazion .................................................................................... 290 3.5. L'approccio "sistematico" alla valutazione .................................................................. 300 CAPITOLO IV LA VALUTAZIONE DELLE NORME TRA POLITICHE E CONTROLLI 4.1. La valutazione della normazione ................................................................................. 307 4.2. La valutazione delle politiche pubbliche ..................................................................... 327 4.3. Valutazione della efficacia e dell'efficienza - La Pubblica Amministrazione come “sistema” (alcune considerazioni sul decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150) 343 4.4. Un esempio di controllo sull’attuazione delle leggi e la valutazione delle politiche: La carta di Matera ............................................................................................................... 362 4.6. Analisi efficacia e di efficienza: il caso del sistema universitario italiano .................. 378 Verso un Panvalutazionismo? ............................................................................................ 392 Bibliografia ......................................................................................................................... 396 Introduzione L’intento di questo lavoro, naturalmente senza alcuna pretesa esaustiva, è stato quello di analizzare come sia stato elaborato, dalla scienza giuridica, il concetto di “efficacia” e come tale nozione si presenti diversa dalla elaborazione sociologica. Il termine “efficacia” è stato ampiamente e spesso inopportunamente usato da "tecnici del diritto, da economisti, da giuristi, da sociologi e da filosofi. Stupisce il fatto che tale termine trovi un proprio spazio sull’Enciclopedia del Diritto, sul Dictionnaire Encyclopédique de Théorie et de Sociologie du Droit, sul Lalande (Vocabulaire de la Philosophie, ove si ricorda che è meglio considerare l'oggetto piuttosto che il nome, cioè il carattere di ciò che è efficace/efficiente), ma tuttavia non appare né sul Dizionario di Filosofia della Garzanti, né sul Dizionario di Sociologia di L. Gallino, né sull'Enciclopedia Giuridica Treccani. Quali siano le ragioni di questo silenzio è difficile dire, forse il fatto che “efficace” ed “efficiente” sono attributi spesso assunti in relazione alla causa, con significato equivalente, sebbene sarebbe opportuno distinguerli. Si è detto che “efficace” è la causa che produce il suo <<effetto senza nulla perdere di sé>> mentre “efficiente” è quella causa <<che nel suo manifestarsi si trasforma>>. Nel linguaggio giuridico, secondo la teoria generale: l’efficacia è l’idoneità di un fatto, di un atto, di un negozio, a produrre effetti giuridici di natura costitutiva, modificativa o estintiva, di una determinata situazione o posizione giuridica. Si parla di efficacia del negozio giuridico, di efficacia della legge, di efficacia nel tempo, nello spazio, di efficacia della sentenza, dell’atto amministrativo e dei trattati. Si distingue anche un “principio di efficacia” parallelo, ma diverso, dal principio di economicità. Quest’ultimo indica il rapporto tra le risorse impiegate e i risultati ottenuti, mentre il principio di efficacia individua il rapporto tra risultati ottenuti ed obiettivi prestabiliti. Questo principio assume una valenza diversa rispetto al concetto di efficacia giuridica e di efficienza. Infatti mentre l’efficacia giuridica designa l’attitudine formale di un atto o di un fatto giuridico a produrre i propri effetti, il ‘principio’ indica la concreta idoneità dell’azione amministrativa a conseguire, in termini pratici, i risultati prefissi in tema di tutela degli interessi pubblici. Si differenzia poi dal concetto di efficienza poiché non si riferisce, generalmente, al funzionamento complessivo degli apparati amministrativi o di taluni di essi, ma in particolare, alle singole, specifiche manifestazioni dell’operato dei pubblici poteri . Si distingue poi un principio di ‘effetto utile’. L’effetto utile è un principio in base al quale una determinata norma deve essere interpretata, di preferenza, in modo da fornire il raggiungimento dell’obiettivo in essa prefissato. Tale principio è spesso utilizzato dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee (es. in forza di questo principio, qualora si verifichi un caso di conflitto, di contraddizione o incompatibilità tra norme di diritto comunitario e norme nazionali, queste ultime sono disapplicate, senza che ne sia necessaria la richiesta della previa rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale). Proveremo a vedere dapprima i termini in cui si pone oggi il problema dell’effetto giuridico, e quindi la concezione giuridica del concetto di efficacia, ed alcune teorie sociologiche, del concetto stesso. Si proverà poi a fare una analisi delle innumerevoli definizioni del concetto di “valutazione”, che ormai sembra essere diventato l’equivalente della efficacia se non addirittura il sostituto. Quindi si vedrà l’equivalenza e/o le differenze tra il concetto di “efficacia” e il concetto di “valutazione”, con l’intento di dimostrare che la valutazione ha praticamente “preso il posto” della efficacia. Per cui tutto ciò che viene valutato, diventa in un certo senso efficace. 2 Capitolo I Il concetto tecnico giuridico dell’efficacia giuridica. 1.1. Teoria dell’effetto giuridico Un breve richiamo dei precedenti storici potrebbe offrirci, non un risultato, ma una prospettiva utile e qualche indicazione. Già nelle fonti romane si trovano espressioni contenenti l’idea di una causazione o generazione di effetti giuridici. Espressioni del tipo: causae ex quibus obligationes nascuntu, causae lucrativae, venivano usate e interpretate, senza troppo rigore, per esigenze espressive del linguaggio giuridico. La teoria dell’effetto giuridico, così come si configura oggi nelle dottrine generali del diritto, risale ai primi tentativi compiuti, dalla dottrina, nella seconda metà del XVIII sec., per la definizione e classificazione degli atti giuridici e della trasformazione dei diritti soggettivi. Sin dall’inizio alla base di queste trasformazioni si poneva un particolare tipo di fatti, i cosiddetti fatti giuridici, che erano accompagnati da determinate situazioni giuridiche, da doveri e poteri. Ne risultava spontanea l’idea che queste situazioni giuridiche fossero gli effetti o conseguenze di quei fatti e che tra fatti ed effetti potesse e dovesse esistere uno specifico rapporto di causalità. Si costituiva così gradualmente la terminologia oggi nota: fatto giuridico, effetto giuridico, rapporto di causalità giuridica.1 L’intuizione sottesa a tale terminologia era che nel rapporto di causalità giuridica il termine fatto giuridico non avesse nulla che lo distinguesse dagli altri fatti osservabili nel mondo reale; mentre il termine effetto giuridico avesse un’esistenza peculiare al diritto, squisitamente giuridica e non materialmente determinabile come può essere l’effetto di una qualunque causa fisica. 2 Non mancarono, nella letteratura, imprecisioni ed incertezze per cui confondeva l’effetto giuridico con l’effetto materiale (es. si invece 1 Una scorsa ai trattati dei Pandettisti mostra le tracce di questa formazione graduale, Savigny F. I testi di diritto positivo fanno largo uso di questa terminologia, si legga per esempio l’art. 1334 c.c., la cui rubrica è intitolata alla “efficacia degli atti unilaterali”, mentre il testo fissa il momento a partire dal quale gli atti unilaterali <<producono effetto>> 2 Cammarata A., Il significato e la funzione del fatto nell’esperienza giuridica, Milano, 1973. 3 dell’obbligazione si considerava “effetto” l’adempimento o l’esecuzione forzata; invece della soggezione alla pena, l’esecuzione della pena). Attraverso queste contrapposizioni o meglio fluttuazioni terminologiche si delineava, nella seconda metà del secolo scorso, il problema di fondo della teoria dell’effetto. Proveremo a vedere cosa si è inteso propriamente con il termine “effetto giuridico”. Cosa hanno voluto fare e in quale modo i giuristi hanno usato la “causalità”. Quale uso è stato fatto della relazione tra causalità giuridica e causalità fisica. Le risposte date storicamente al problema si riducono a tre gruppi principali. La concezione più propriamente causale (se ne attribuisce l’origine ai giuristi romani) secondo la quale le norme giuridiche hanno, come le leggi fisiche, la struttura di proposizioni ipotetiche o condizionali per cui collegano ad un evento condizionante, cioè la causa, un evento condizionato, cioè l’effetto. Il rapporto tra causalità giuridica e causalità fisica è solo una analogia. Successivamente tale concezione fu avversata da coloro che escludevano ogni analogia poiché il diritto appartiene al mondo dello spirito e non a quello della materia. Si sosteneva che tra fatti giuridici e diritti soggettivi non vi fosse una causalità bensì un nesso psicologico di motivazione, nel senso che la situazione di fatto costituisce psicologicamente il motivo del vincolo giuridico stabilito dal legislatore. Era questa la concezione psicologica (Schlossmann, 1876). Una terza dottrina rifiutava sia la spiegazione causale che quella psicologica del rapporto tra fatto ed effetto giuridico. Sosteneva l’impossibilità sia di ridurre l’effetto giuridico ad effetto fisico, sia l’impossibilità di attribuirvi una esistenza solo psicologica-soggettiva. Voleva invece garantire il carattere immateriale e l’oggettività dei vincoli e delle relazioni costituite dall’ordine giuridico. Era questa la dottrina dell’effetto giuridico e della causalità giuridica, la quale causalità, intesa come pura condizionalità, serviva a definire ciò che costituisce il fondamento di una determinata conseguenza. Tale dottrina oscillava tra un’analisi logico-formale e una tesi ontologica che negava l’esistenza reale dell’effetto giuridico e ne affermava la mera esistenza ideale. Basti ricordare che Kelsen negava il carattere reale dell’effetto, 4 muovendo dalla concezione della norma come dover-essere e contrapponendo il dover-essere all’essere e alla realtà del mondo fenomenico. Questi costituivano i tre principali modi di connessione e di consequenzialità di cui si servivano i giuristi per mettere ordine nel mondo delle loro rappresentazioni. Si è visto che fatto giuridico ed effetto giuridico hanno una diversa “carica di giuridicità.” Da queste prime considerazioni si osserva che, per i giuristi, il fatto giuridico resta essenzialmente il medesimo fatto che si rileva sul piano pre-giuridico, infatti la rilevanza che il diritto attribuisce ad un atto dell’uomo, ad un evento fisico non muta essenzialmente la sua natura. Lo stesso non può dirsi dell’effetto giuridico. Un vincolo giuridico non è pensabile senza il riferimento al piano giuridico: proprietà, obbligazione, patria potestà, non hanno senso fuori del mondo del diritto. Tali considerazioni sono puntualmente criticate e rifiutate dalla sociologia del diritto, se ne vedrà in che modo e perché. L’effetto giuridico è dunque un fenomeno essenzialmente giuridico, non è altro che uno degli aspetti del problema stesso della giuridicità, cioè il problema stesso del diritto. Ma una tale affermazione porta alla considerazione che sia vano sperare di raggiungere una soddisfacente definizione dell’effetto giuridico senza risalire ad una chiara concezione del diritto. In tal modo è come spiegare una questione complessa rimenandola ad un’altra ancora più complessa. Sorge poi un dubbio, se una questione per essere risolta richiede il ricorso ad una concezione generale del diritto, essa rimane ancora di competenza del giurista? 3 Da una parte è un dato di fatto che nessun giurista può fare a meno di una 3 E’ questa l’opinione prevalente, Del Vecchio G., Lezioni di filosofia del diritto, Milano, 1948. Che il problema di una definizione generale del diritto sia di competenza dei filosofi è contestato, infatti contrariamente a quanto si potrebbe pensare, tra i problemi filosoficogiuridici non vi è quello di dare una definizione del diritto, ossia di formulare il concetto di diritto; intendendo con tale espressione l’insieme delle note caratteristiche o caratteri differenziali dell’esperienza giuridica nei confronti delle altre forme dell’esperienza pratica. Tale formulazione è opera del pensiero scientifico, il quale ricava quelle note dell’osservazione della realtà, e così distingue il proprio oggetto, e cioè il fenomeno giuridico, da altri che possono avere punti di contatto o di somiglianza con esso (per esempio dal fenomeno del 5 concezione sociologica, dall’altra è anche vero che il giurista possiede un criterio immanente per decidere e discutere i problemi di fondazione della propria scienza. La nozione di effetto giuridico è storicamente parte della dottrina della causalità giuridica e la sua definizione è conseguita alle soluzioni assunte per questa. La dottrina nasce dalla analogia tra leggi fisiche, che determinano il mondo fisico, e leggi in uso per il mondo giuridico. A questo si obiettava, per un verso, che una legge fisica esprimesse un rapporto causale, cioè un rapporto tra l’essere di un fenomeno e l’essere di un altro fenomeno (es. il calore della fiamma ed il disgelo: se in un certo tempo è dato il fenomeno A, calore, nel tempo successivo avverrà il fenomeno B, disgelo); per un altro verso, che una legge giuridica mettesse in rapporto l’essere di un fenomeno con il dover-essere di un altro fenomeno (da un contratto regolarmente concluso segue giuridicamente il dovere di adempimento; ma non segue necessariamente l’ottemperanza al contenuto di quel contratto cioè l’adempimento effettivo che in concreto potrebbe anche mancare, come direbbero i giuristi). Esiste dunque una differenza essenziale, nel primo caso (il calore della fiamma produce disgelo) abbiamo una conseguenza reale; nel secondo caso (il contratto produce il dovere di pagamento) abbiamo una conseguenza meramente ideale, un mero dover fare a cui potrebbe non corrispondere un fare effettivo. Il pagamento potrebbe non avvenire, in realtà dunque non è necessario. È anche vero che se il contratto restasse ineseguito l’altro contraente potrebbe promuovere azione esecutiva e sorgerebbe nell’apparato giudiziario il dovere di attuare l’esecuzione forzata a danno dell’inadempiente. Ma anche questo è un dovere ideale che potrebbe restare ineseguito, non è una necessità reale. La struttura logica della proposizione giuridica è dunque la seguente: se in un certo tempo è dato A (contratto) le norme che regolano quel contratto esigono (necessità ideale, non reale) o sarebbe più appropriato dire si aspettano che nel tempo successivo avvenga B (pagamento o adempimento). E’ evidente che il giurista qui vede come necessario un fenomeno che piuttosto si direbbe costume, da quello politico, economico, ecc.) 6 doveroso, e doveroso non vuol dire reale. Il giurista dunque si occupa delle modificazioni delle posizioni giuridiche che studia e non si preoccupa di stabilire se queste si produrranno o meno Compito del giurista è quello di acclarare diritti e doveri che il diritto pone, anche se di fatto molte di esse non si realizzano. Premesso che il giurista non tiene alcun conto delle discussioni teoriche sulla realtà e idealità dell’effetto, egli trae la conclusione che la causalità giuridica non sia riducibile alla causalità fisica; in quanto l’effetto ideale prodotto dalle norme giuridiche non è l’effetto reale prodotto dalle leggi fisiche. Il giurista ritiene che la legge fisica stabilisca una necessità di fatto e incida sul mondo dei fatti, ma è più corretto dire che si tratti di un nesso condizionale empirico enunciato e che la legge fisica dice del mondo dei fatti. La norma giuridica invece qualifica i comportamenti, pone un dovere-essere che si riferisce al piano dei valori. Ogni norma di condotta definisce un valore (se al valore diamo un senso formale) dell’agire umano.4 Ignorando poi che i fatti non esistono in natura, il giurista dice che le proposizioni della fisica enuncino rapporti di condizionalità tra due fatti, e le proposizioni giuridiche5 esprimano rapporti di condizionalità tra un fatto e un valore, tra un fatto del mondo reale e un valore dell’agire umano. Le proposizioni giuridiche non esprimono, ma qualificano fatti e valori. Ciò che si chiama effetto giuridico non è altro dunque che un valore condizionato, il valore di un determinato atto umano (il pagamento o adempimento) è dunque condizionato in genere ad una determinata qualificazione della realtà (il “contratto” “concluso” “regolarmente”). A questo punto sorge la domanda se sia veramente esclusa ogni forma di condizionamento reale. Se si considera 4 Anche per Kelsen la legge positiva in quanto norma è un dover-essere e quindi un valore. Filosofi del diritto delle più diverse tendenze concordano nel considerare il diritto come sistema di valori o riferito a valori. Battaglia F., Il diritto nel sistema dei valori, in Riv. trim. proc. civ., 1964, II. 5 Comunemente secondo le più varie scuole e tendenze le proposizioni giuridiche sono l’analisi logica del linguaggio legislativo, proposizioni condizionali o ipotetiche. Ma vi è anche chi ha inteso che le proposizioni giuridiche descrivano non soltanto le norme, ma anche le situazioni reali cui le norme si riferiscono. Gavazzi G. Elementi di teoria generale del diritto, Torino 1970. 7 che sia le proposizioni giuridiche sia quelle causali della fisica esprimono rapporti condizionali, potrebbe essere utile vedere quali significati possa avere il termine causa nella espressione causalità giuridica. Dell’uso di questo termine si sono date tre sostanziali definizioni: a) causalità come carattere esclusivo del condizionamento fisico6; b) causalità come carattere comprensivo di ogni condizionamento reale anche non fisico, contrapposto a un condizionamento meramente ideale7; c) causalità equivalente a condizionalità reale o ideale, fisica o non fisica8. La prima definizione sembra essere troppo ristretta e porterebbe ad una soluzione negativa del problema della causalità giuridica, dal momento che il cosiddetto effetto giuridico non è fisicamente causato. La seconda definizione considera come fenomeno di causalità ogni influsso che una forza esercita su altre forze, quindi ogni processo reale di condizionamento sul piano morale, sociologico e fisiologico. La terza definizione è troppo ampia e potrebbe essere la soluzione positiva visto che la proposizione giuridica è una proposizione condizionale e l’effetto giuridico è il valore condizionato, espresso da questa proposizione. 6 Per quanto anche in altri campi scientifici l’attenzione degli studiosi sia rivolta da tempo a determinare il significato e precisare la validità del principio di causalità, è la fisica che per prima ha presentato una discussione non meramente filosofica, ma strettamente connessa con il lavoro dello scienziato, lo sviluppo delle sue ricerche e la formulazione critica dei risultati raggiunti. Cosi questioni già trattate in sede filosofica da Hume o da Mill potevano essere riprese e approfondite in contatto con l’esperienza. Le prime ricerche misero in luce i rapporti tra “causalità” e “dipendenza funzionale”. Una presentazione chiara di questo orientamento dava all’inizio del secolo Russell B., On the notion of cause, trad. it., Milano 1964. 7 Chi considerava le difficoltà incontrate nella analisi della causalità fisica, non si sorprendeva che in altre scienze messe di fronte a dati più complessi, biologici o sociologici, si procedeva con apparente lentezza nella precisazione di ciò che nei rispettivi campi di studio è da intendere per rapporto causale, e nella conseguente terminologia stabile e univoca. Una direzione metodologicamente significativa di queste ricerche è rivolta all’elaborazione di strumenti atti a rappresentare rapporti di dipendenza tra fenomeni di difficile identificazione, sia per la quantità di variabili in gioco sia per la difficoltà di isolarle e ordinarle. Sulla ricerca delle cause nelle scienze sociali, osservazioni si trovano già in Durkheim E. Le règles de la méthode sociologique, trad. it. Milano, 1963. Alla causalità sociale ha dedicato un’opera Mac Iver R. M., Social Causation. 8 Anzitutto la trattazione che della legge scientifica fa, sulla fine del secolo, Pearson K. egli richiama la definizione della legge giuridica proposta da Austin per argomentarne la differenza essenziale tra legge in senso scientifico e legge in senso giuridico. Il problema di una precisa trascrizione simbolica del rapporto di causalità e quindi della legge scientifica in cui questo rapporto trova la sua tipica espressione, sorge in seguito allo sviluppo della teoria logica della implicazione. Russell B., Logic and Knowledge, trad. it. Milano, 1961. Popper K., La logica 8 Se consideriamo ora il diritto come valore possiamo individuare quattro concezioni dello stesso: concezione ideale sostanziale; concezione ideale formale; concezione reale soggettiva e reale oggettiva. Secondo l’indirizzo principale del giusnaturalismo il diritto andrebbe inteso come un valore ideale etico-materiale. La conseguenza di ciò sarebbe un ricorso illimitato a criteri ideali di giustizia per la soluzione di problemi di diritto positivo. Di fatto comunque nessuno, parrebbe, aver tratto una conseguenza del genere. Kelsen invece riteneva il diritto un valore ideale formale, ma in tale modo l’ordinamento positivo formalmente determinato, ad es. attraverso codici e leggi scritte, costituirebbe un limite per il giurista in quanto non sarebbe consentito alcun richiamo a ciò che sta oltre la forma. Ciò ovviamente sarebbe possibile solo se avessimo un formalismo così perfetto da garantire coerenza e completezza al sistema.9 Ma sicuramente coerenza e completezza non sono presenti nel formalismo giuridico. Secondo la concezione reale soggettiva, il diritto sarebbe un valore posto dalla volontà umana mediante un libero contratto o un comando autoritario. La conseguenza di ciò e che l’interpretazione delle norme si riduce ad una quaestio voluntatis, ovvero al problema dell’accertamento della intenzione del legislatore. Questa concezione soggettiva diffusa nel secolo scorso fu superata, a fine secolo, dai sostenitori della tesi oggettiva dell’interpretazione; era evidente che il senso di una norma giuridica non poteva essere desunto dalle rappresentazioni di una coscienza soggettiva o dagli scopi di una o più volontà.10 della scoperta scientifica. 9 E’ pressoché pacifico che un sistema giuridico positivo non può essere ridotto ad un sistema assiomatico unitario di tipo matematico o geometrico, nel quale cioè si possa far capo a un numero chiuso di concetti fondamentali. Kelsen H., Teoria generale delle norme, trad. it., Torino 1985. 10 Nel nostro secolo il volontarismo costituisce la concezione del diritto dominante nella letteratura continentale (tedesca, francese, italiana) e ha larga risonanza anche tra i giuristi e filosofi del diritto anglo-americani. Il rapporto tra volontà e comando (o imperativo), già chiaro nei pensatori classici (S. Tommaso, Hobbes, Kant), sarà ben analizzato successivamente da molti autori. Tuttavia l’ambiguità dell’imperativismo sta nel fatto che il suo riferimento al fatto psicologico della volontà spesso rimane indeterminato e generico. Robilant E., Osservazioni 9 Contro la tesi della norma come comando, i giuristi obiettavano che ogni comando è recettizio, quindi affinché sia eseguito è necessario averne conoscenza. In tal modo la norma avrebbe una doppia soggettività, cioè una origine soggettiva nell’intenzione del legislatore, ed una destinazione soggettiva, ossia i cittadini che devono conoscerla per eseguirla (nessun riferimento veniva fatto agli “utenti” della norma, intesi come operatori del diritto). Tutto ciò però urtava contro il noto aforisma, “ignorantia iuris non excusat”.. Secondo la concezione reale oggettiva: il diritto come valore reale oggettivo, invece, è una realtà che l’individuo trova nella sua vita e definisce nella sua cultura e nel suo linguaggio, al di là di ogni volontà o soggettività. Secondo Jhering questo valore oggettivo reale potrebbe chiamarsi interesse. Egli opponeva quindi interesse a volontà, cosicché il fondo del diritto è l’interesse. Quindi un ordinamento giuridico è un sistema di interessi derivante da una vita comune e accertabile oggettivamente da una comune esperienza e cultura.11 Le conseguenze di ciò sono state messe in luce dall’indirizzo del pensiero giuridico, tedesco, che va sotto il nome di Interessen-Jurisprudenz. Compito di questa è quello di agevolare la risoluzione giudiziaria dei problemi di vita e questo compito è assolto attraverso l’indagine interpretativa. Al di là della formula legislativa l’interprete deve guardare alle aspirazioni e alle esigenze della società, cioè agli interessi che hanno determinato il comando legislativo, la sua dunque è un’esplorazione storica degli interessi di cui la legge è la risultante. La configurazione dei fatti come interessi, la definizione in termini di causalità del rapporto tra gli interessi e le rappresentazioni del legislatore, quindi (attraverso tali rappresentazioni) i comandi legislativi medesimi, la identificazione del compito dell’interprete nell’accertamento e nella sulla concezione della norma giuridica come giudizio di valore, in Riv. Trim. dir. e proc. civ., 1957. 11 Il momento dell’interesse nella definizione del diritto era già apparso tra i sostenitori della tesi imperativistica. Ma anche altri indirizzi del pensiero giuridico insistettero sul diritto come sistema di interessi. Ad es. Carnelutti porrà tali concetti a fondamento del suo sistema giuridico; nonché Roscoe Pound il decano dei filosofi del diritto americano. Paresce E., 10 descrizione di questo rapporto di causalità, mostrano come un dato sicuro e fondamentale, quale quello della realtà dei valori giuridici, sia stato intuito ma poi successivamente travisato. In sostanza, sulle orme di Jhering, si sosteneva che alla base di ogni norma si dovesse individuare un problema di vita e di interessi di vita, che non può essere risolto dal giurista senza un riferimento alla realtà sociale e alle sue esigenze. Cioè il significato delle norme si estende alla sostanza degli interessi sociali di cui la comunità, Stato o altro che sia, ne persegue la tutela. Si giustificava tutto ciò asserendo che se la forma adottata per oggettivare le norme nella comune esperienza e cultura, in particolare la forma simbolica del linguaggio legislativo, non è tanto perfetta da garantire la coerenza e la completezza del sistema giuridico, non si vede altro modo se non quello di riferirsi alla sostanza degli interessi sociali in gioco. D’altro lato questo eccessivo sostanzialismo veniva criticato poiché conduceva ad un diritto privo di ogni seria garanzia formale; si riteneva infatti che ogni vero giurista obbedisse al canone del razionale equilibrio tra la sostanza e la forma; ossia la forma culturale che queste esigenze assumono attraverso pratiche, consuetudini, istituzioni e leggi scritte. Un ordinamento positivo può dunque essere inteso come un insieme di interessi che nasce dalla vita comune ma che si manifesta nella comune esperienza e cultura. La tesi della oggettiva realtà del diritto si esprime col principio che il diritto non può essere avulso dalla totalità delle sue condizioni reali. Queste condizioni non si esauriscono nell’attualità della vita associata ma spesso hanno carattere storico; infatti la realtà sociale in atto non è comprensibile nelle sue strutture giuridiche più profonde (ad esempio nelle sue strutture costituzionali) senza il richiamo ad una realtà storica12. Lo studio del sistema vigente quindi può rendere necessario l’inquadramento del sistema in Diritto, norma, ordinamento, in Rivista italiana di Filosofia del diritto, XIII, 1933. 12 Secondo lo strutturalismo ogni formazione sociale di sufficiente oggettività e stabilità (istituzione o struttura) è capace di generare diritto. Al limite estremo l’opinione dell’esperienza giuridica di Capograssi, per la quale i valori giuridici sono immanenti, al di là delle istituzioni. Frosini V., La struttura del diritto, Milano, 1964 11 una intera classe di sistemi, ed è proprio questa necessità che giustifica l’impiego di metodi storici e sociologici nella scienza del diritto. Orbene vediamo le conseguenze per la teoria dell’effetto giuridico, come criterio di decisione tra le quattro concezioni del diritto. Partendo dalle quattro concezioni del diritto di cui si è detto in precedenza, i giuristi hanno tentato qualche spiegazione sul meccanismo della causalità o condizionalità giuridica, nonché sulla natura della relazione tra fatto ed effetto nelle norme giuridiche. Il giurista tralascia la concezione giusnaturalistica poiché vi sarebbero delle difficoltà ad intendere come valori ideali, a cui nella tradizione giusnaturalistica si suole attribuire carattere assoluto ed incondizionato, siano compatibili con un fenomeno di condizionamento.13 Egli ritiene poi che la concezione dei valori giuridici, come valori ideali formali, dovrebbe affidare al fatto giuridico soprattutto la funzione di condizionare formalmente, in origine sulla base di una ipotetica norma fondamentale, il potere dei soggetti delegati ad emanare le norme secondarie. In genere, il fatto dovrebbe essere destinato essenzialmente a stabilire le condizioni formali per la validità dell’effetto. Si vedrà in seguito che il problema non si pone in questi termini. Si osserva che la struttura del fatto spesso manca dei requisiti formali indispensabili allo scopo, tanto che lo stesso Kelsen riconosceva che il giurista non potesse limitarsi ad un’analisi meramente formale delle norme. La concezione del diritto come valore soggettivo della volontà o della conoscenza ha avuto invece maggiore applicazione. Qui infatti il rapporto tra fatto ed effetto giuridico veniva spiegato come un condizionamento psicologico. Ad una spiegazione più chiara del rapporto tra fatto ed effetto si prestava la teoria della norma come imperativo ipotetico. Si riteneva che il fatto fosse l’ipotesi a cui l’imperativo era condizionato. Il 13 Tuttavia storicamente già ad esempio in Sant’Agostino si trovano tracce di un diritto naturale ipotetico, condizionato, e che anche nel gisnaturalismo contemporaneo, N. Hartmann, il concetto di un condizionamento ideale d’ordine etico-materiale si è andato affermando. 12 concretarsi dell’effetto allora si ha quando verificatasi l’ipotesi, l’imperativo diventa incondizionato, dunque l’efficacia giuridica consiste nel “diventare” incondizionato dell’imperativo ipotetico, nello scaturire della prescrizione giuridica concreta dalla norma astratta, (nella concretizzazione della norma). Risultò subito chiara l’insostenibilità e insufficienza di queste spiegazioni psicologiche. Escluso, infatti che il giurista debba preoccuparsi di accertare l’intenzione soggettiva del legislatore, non ha alcun rilievo né il nesso psicologico di motivazione tra le parti della norma, né che questo nesso di motivazione si trasferisca o meno dalla volontà del legislatore alla volontà del destinatario della norma. La quarta concezione, quella del diritto come sistema di interessi, secondo i giuristi, conduceva a risultati metodologicamente utili. Nella maggioranza dei casi gli interessi, tutelati dalla comunità giuridica, sono valori reali condizionati in funzione delle diverse situazioni del mondo astrattamente configurabili. Il rapporto di condizionalità posto nella norma tra il fatto e l’effetto esprimerebbe (sempre secondo il giurista) un condizionamento reale.14 Per definire la natura di questo condizionamento, si aggiunge che, mentre il fatto, in quanto tipo astratto di situazione del mondo, configura un determinato problema generale di vita e prospetta definiti interessi individuali o collettivi, l’effetto deve rappresentare una soluzione adeguata del problema e un armonico contemperamento degli interessi in gioco. Con questo modo di concepire la relazione tra fatto ed effetto, il problema che si proponeva ai giuristi si esprimeva nell’interrogativo spesso ricorrente tra i giuristi pratici: quid iuris, se... ? dove appunto la particella ipotetica “se..” introduce la fattispecie, il fatto giuridico in quanto fatto condizionante, e il “quid iuris” (che va determinato) è l’effetto giuridico cercato. 14 Pernice escludeva che la legge giuridica potesse dare ragione della efficacia giuridica. Come la legge di attrazione dei corpi trova nella forza di gravità il suo fondamento, così la legge giuridica deve trovare fuori di sé la forza di cui è espressione. Tuttavia nella identificazione di questa forza Pernice oscillava tra riferimenti alla morale, alla sociologia, alla psicologia. 13 1.2. Presupposti generali della teoria dogmatica dell’efficacia Le varie dottrine elaborate dalla dogmatica tradizionale intorno alla teoria dell’efficacia giuridica toccano temi come la definizione e nozione di effetto; le situazioni giuridiche fondamentali del dovere e del potere, cioè le due situazioni in cui l’effetto si polarizza riferendosi all’attività dei soggetti; il tempo dell’effetto; la teoria delle trasformazioni giuridiche (costituzione, modificazione, estinzione) che sono le trasformazioni dell’effetto attraverso il tempo. Occorre premettere che per il giurista, la norma è il contenuto della proposizione giuridica o addirittura è la stessa proposizione giuridica (secondo che si intenda per proposizione un insieme di segni linguistici o il corrispondente insieme di significati). Aa<Proposizione è un quid che può essere vero o falso, per cui ha senso parlare di verità o falsità. Stando a una tale definizione anche le proposizioni normative dovrebbero essere vere o false, ciò per i sostenitori della teoria imperativistica della norma è molto strano. Non ha senso parlare di verità o falsità per un imperativo, se al posto dell’imperativo <<onora il padre e la madre>> si sostituisce la norma <<si deve onorare il padre e la madre>>, una applicazione dei concetti di verità e falsità sembra poco plausibile. Allora o si nega che la norma sia una proposizione o si definisce un nuovo tipo di proposizione; qui il problema si allarga, la logica del giurista è la logica comune o una logica diversa dal comune? Al giurista interessa sapere, non in astratto (quale può essere desunto caso per caso) se è vero o falso che il figlio abbia particolari obblighi verso i genitori; questo ha perfettamente senso. Ciò perché, proposizione, falsità, verità, hanno senso solo in riferimento al sistema globale che viene assunto volta per volta come universo logico; ogni proposizione descrive una situazione. Il termine situazione ha assunto tra i giuristi un significato piuttosto vasto. Situazione non intesa come un fenomeno isolato e parziale, una cosa o un gruppo di cose, un fatto o un gruppo di fatti, isolatamente presi. Piuttosto il 14 giurista pensa ad una configurazione globale di fenomeni, un complessivo stato di fatto. Le situazioni di cui si parla nella comune esperienza o nelle scienze empiriche sono situazioni temporali, riferite ad un determinato momento o periodo del tempo o a dimensioni temporali generiche come, presente, passato, futuro. Nei fenomeni giuridici le situazioni da considerare sono in linea di massima situazioni temporali, e senza dubbio il tempo ha in esse una speciale importanza. Una volta configurate come situazioni temporali esse vengono in stretto rapporto con i fenomeni chiamati fatti. La differenza tra situazione e fatto è tutt’altro che netta, anzi spesso sembra esserci come un mescolamento, come avviene ad esempio nell’espressione situazione di fatto. Si potrebbe dire che il fatto è un fenomeno circoscritto, temporalmente limitato o limitabile: avviene in certi tempi e non in certi altri. La situazione invece non è mai un fenomeno circoscritto, essa fa riferimento globale all’intero universo. Di solito l’attenzione degli studiosi si concentra sulla forma della regola di condotta, che è il dover-essere di un comportamento umano, ossia il dover-fare. La base più immediata della teoria dogmatica dell’efficacia è fornita tradizionalmente dalla nozione di norma giuridica. Il linguaggio normativo presenta varie strutture formali che sono reciprocamente connesse e logicamente intermutabili. Il punto di partenza non è né il dovere né il potere, ma il valore o, diciamo anche l’interesse per usare un termine più diffuso tra i giuristi. L’interesse che in un determinato ambito storico-sociale è assunto come misura o criterio di valutazione di tutti gli altri interessi, privati o pubblici, diventa l’interesse fondamentale, l’interesse della comunità giuridica e costituisce il sistema giuridico. Pare evidente che in ogni norma determinata questo interesse fondamentale si svolge in una direzione determinata e sarà volta per volta l’interesse della comunità giuridica alla libertà delle persone; l’interesse all’uguaglianza dei cittadini; l’interesse al rispetto della vita umana e della proprietà; l’interesse all’adempimento dei contratti, alle sanzioni civili o penali ecc. Per ciascuna norma esiste un corrispondente valore giuridico in cui l’interesse della 15 comunità viene a specificarsi. Nella maggioranza dei casi un valore giuridico determinato viene assunto nel sistema dei valori non incondizionatamente, bensì a condizione che prima si sia prodotto un fatto o un complesso di fatti; di conseguenza le norme corrispondenti hanno carattere condizionato. Spesso è stato posto il quesito se esistano norme incondizionate accanto alle norme condizionate. E non si è escluso che alcuni comportamenti abbiano valore giuridico incondizionato, per es. i modi di condotta conformi a interessi protetti da principi costituzionali. Infatti la continuità e la costanza di tali interessi esige un atteggiamento pratico di permanente rispetto, cosicché la loro esistenza non è legata al verificarsi di particolari avvenimenti. Nel caso delle norme incondizionate la proposizione normativa avrebbe una struttura relativamente più semplice e si limiterebbe a stabilire un certo valore giuridico incondizionatamente (es. il rispetto della vita umana). Negli altri casi invece la norma si configura come proposizione ipotetica o condizionale, distinguendo in sé tre componenti logiche: la proposizione condizionante, la proposizione condizionata, il rapporto di condizionalità. Si è dunque detto che ogni norma costituisce un rapporto di condizionalità, che condizionante è un antecedente di fatto e che condizionato è un valore giuridico. Ebbene quando un antecedente di fatto condiziona un valore giuridico, i giuristi dicono che il fatto è, appunto, l’antecedente o la causa del valore giuridico, parlano cioè di fatto giuridico e del valore giuridico come di un effetto o di una conseguenza del fatto. Ottengono così una definizione dogmatica della nozione di effetto. Effetto giuridico è ogni valore giuridico condizionato, ogni valore giuridico assunto dal diritto positivo sotto la condizione che si sia prodotta una precedente situazione di fatto.15 15 Il concetto di condizionalità assiologica spiega senza difficoltà le norme che conferiscono effetti giuridici a fatti passati e nelle quali manca la previsione di fatti futuri: norme che ad esempio revocano discriminazioni giuridiche per razza o sesso o cittadinanza. A questa categoria di norme si è fatto richiamo per dimostrare che l’efficacia giuridica non è spiegabile col paradigma della causalità. (Cammarata, Formalismo giuridico.....) Il tempo dei fatti 16 1.3. Principio di convenienza dell’effetto al fatto. Il problema a cui guarda il giurista ha carattere generale e ammette una soluzione solo generale. E’ questo il principio di convenienza dell’effetto al fatto, cioè tra più possibili effetti, secondo la lettera di un testo ambiguo, prevale l’effetto migliore ossia più conveniente alla soluzione pratica del problema. Le varie implicazioni del principio di convenienza sono comunque dei corollari, applicati alla relazione tra fatto ed effetto, dei criteri assiologici oggettivi comunemente utilizzati per la interpretazione delle norme: prevalenza del senso sul non senso, prevalenza del senso migliore sul senso peggiore, favor libertatis, (da ultimo la libertà e l’autonomia dei soggetti decide sulla realizzazione dell’effetto). Un ulteriore sviluppo del principio di convenienza è stato contraddistinto come principio di adattabilità dell’effetto. Si è parlato di adattamento della forma alla sostanza, e in virtù di questo adattamento l’effetto risulta da una vera e propria integrazione della lettera dei testi nello spirito del sistema. Per meglio chiarire, si supponga che il testo di una legge attribuisca un’efficacia determinata ad una fattispecie complessa costituita di una serie di elementi. Cosa avviene se un elemento della serie manchi nel tempo richiesto o presenti irregolarità o anomalie rilevanti? Sul piano formale la fattispecie è venuta meno, poiché essa risulta dalla totalità degli elementi previsti. Quindi dovrebbe venir meno anche l’effetto. Ma guardando alla disciplina giuridica di qualsiasi fattispecie importante - negozio o sentenza, provvedimento amministrativo o legislativo, procedure elettorali ecc. - ci si è resi conto della insostenibilità pratica di un così rigido principio. D’altra parte, anche in assenza di norme che prevedano opportuni rimedi per salvare l’efficacia degli atti compiuti, qualsiasi giurista avrebbe delle remore considerati da norme del genere è sempre un tempo presente (esistenza di persone discriminate per razza, sesso, cittadinanza); codesti fatti sono la materiale espressione di interessi umani che per la prima volta l’ordinamento assume tra i valori giuridici e che dunque nel medesimo tempo presente spiegano i loro effetti, restandone necessariamente rinviata al tempo futuro l’attuazione e realizzazione di una situazione di fatto di libertà e di uguaglianza. Enc. Giuridica 17 nel sostenere che la minima deviazione dal modello legale porti a una totale nullità (in senso giuridico) e mancanza di effetti. Si tratta in concreto di vedere che cosa importa per il valore complessivo del risultato e quanto la deviazione di un dato elemento alteri i termini del problema tanto da richiedere una nuova soluzione giuridica. L’analisi dei requisiti essenziali dovrà essere fatta caso per caso, fattispecie per fattispecie. La tendenza generale sarà comunque quella di salvare il più possibile l’efficacia adattata alle deviazioni o variazioni del caso. Secondo il principio di adattabilità ogni norma contiene, oltre il suo rigido modello formale, un criterio sostanziale più elastico di orientamento dell’efficacia e che nei limiti consentiti, dallo scarto tra criterio sostanziale e modello formale, l’effetto deve potersi adattare alle variazioni della fattispecie. Cosicché le anomalie dei negozi e in genere degli atti giuridici possono ritenersi una immediata applicazione del principio di adattabilità. Per un mero chiarimento, al fine di determinare le norme dell’efficacia dal punto di vista delle norme specifiche e dell’intero sistema, va sottolineato che qui le norme vengono intese genericamente come direttive del comportamento umano ed il sistema giuridico come un insieme di direttive del comportamento umano, un insieme costituente una totalità organizzata e complessa le cui parti più elementari possono continuare a chiamarsi col nome tradizionale di norme. Il rapporto tra norma e sistema dunque è un rapporto di parte a tutto: il sistema è la totalità delle norme, la norma è la parte più elementare. Il giurista spiega tali opinabili affermazioni partendo dalla riflessione che il sistema giuridico sia una totalità divisibile in parti; ma a anche le parti del sistema si trovano esposte al dilemma: o sono indivisibili o sono divisibili in parti ulteriori, le quali parti ulteriori a loro volta o saranno indivisibili o dovranno ancora dividersi in altre parti e così via. Tenuto conto che il diritto risponde a problemi pratici non si otterrebbe mai una soluzione di questi problemi se occorresse cercarla all’infinito, ed allora il giurista ritiene che la conoscenza empirica e scientifica del diritto debba arrestarsi in qualche punto. Enciclopedia Treccani,, voce Norma giuridica. 18 Il punto di arresto, l’unità ultima indivisibile del sistema giuridico, sarà precisamente la norma. Perciò il pensiero giuridico tende a considerare la norma come l’atomo del sistema. Tuttavia quali sono le possibilità di isolare questo atomo sul piano di una considerazione empirica scientifica? Si dovrebbe poter distinguere attraverso il linguaggio legislativo norma da norma, così nettamente come si distingue sistema da sistema. Dovremmo avere un criterio rigoroso che ci permetta di distinguere norma da norma all’interno dello stesso sistema, sempre che non si voglia confondere la norma con l’articolo di legge preso nella sua pura esteriorità. Questa situazione ha un certo peso per la teoria della efficacia giuridica. Secondo l’inquadramento tradizionale l’effetto andrebbe cercato in ogni singola norma; secondo la dottrina tradizionale infatti l’effetto è una parte della norma, il modello logico di ogni norma è il rapporto di condizionalità, in cui la parte condizionante è il fatto e la parte condizionata è proprio l’effetto. Tuttavia mediante l’indagine giuridica diretta ad accertare l’esistenza di un singolo effetto di legge, si ritenne che l’effetto si determinasse compiutamente non in funzione della singola norma ma in funzione dell’intero sistema. L’effetto dovrebbe darci la soluzione di un problema generale di vita; esso infatti definisce un interesse giuridico che la norma tutela, in quanto risulta il trattamento giuridicamente migliore della situazione degli interessi sociali o individuali definita nella fattispecie. Ovviamente la soluzione di un problema giuridico non potrebbe essere soddisfacente se si limitasse a considerare solo gli interessi emergenti da un settore dell’ordinamento positivo. Ogni problema giuridico infatti si risolve in funzione dell’intero ordinamento e la soluzione è raggiunta solo quando si è in grado di stabilire che, in presenza di una certa situazione, l’intero sistema dei valori giuridici esige, una certa altra situazione da realizzare mediante idonea attività dell’uomo. Affinché si abbia una vera e propria valutazione giuridica, occorre riferire e assoggettare i diversi valori e interessi umani a un criterio di valutazione unitario, a quel valore o interesse fondamentale che è rappresentato dall’intero sistema. 19 A questo punto si dovrebbe asserire che di fronte al sistema positivo globalmente considerato le norme specifiche non hanno nessuna esistenza!? Tale interrogativo si lega ad un altro, più immediatamente concernente la teoria dell’efficacia giuridica: la norma giuridica sarebbe niente altro che un astratto schema, un mero modello logico!? E’ pacifico che la norma non è una unità realmente isolabile come è invece il sistema e che non è possibile distinguere norma da norma così nettamente come sistema da sistema. Si afferma che il sistema ha un lato formale e un lato sostanziale: quello formale è l’insieme dei segni linguistici, cioè l’apparato documentale delle leggi e dei codici, mentre il sistema sostanziale è il corrispondente insieme di significati e valori. Il giurista ritiene che la norma sia parte del sistema sostanziale e non del sistema formale. La norma, in quanto si distingue dall’articolo di legge, non è un dato sensibile, non è la forma linguistica esteriore di un segno o di un insieme di segni, ma è il significato di certi segni linguistici. Nella distinzione tra norma e sistema il giurista comunque parla di lavoro scientifico; ma il punto decisivo è che il lavoro scientifico del giurista è diretto a risolvere problemi pratici reali posti dai casi della vita e che gli effetti giuridici intesi nel loro senso sostanziale non sono che le risposte a questi problemi. Ora si consideri che i casi della vita reale hanno una certa unità di significato, che non è rigorosa ma si consolida attraverso il continuo ricorrere del caso e si viene enucleando e fissando prima nell’esperienza giuridica elementare della comunità (attraverso la costituzione del nomen iuris) e poi nella riflessione scientifica del giurista. Ebbene la norma specifica che il giurista riesce ad estrarre dal sistema mediante l’analisi dei testi, secondo qualcuno è appunto la soluzione di massima del problema: una soluzione che vale soltanto di massima, una regola che non manca di eccezioni ma che tuttavia dà un orientamento pratico e “scientifico” 20 sufficientemente unitario nel modo di trattare il problema. Questo è lo schema, piuttosto abbreviato e stereotipato, di quello che è in definitiva il procedimento del giurista. Il problema si stilizza nella formula: quid iuris in un caso così determinato? Il giurista risponde che, secondo la norma specifica del caso e salvo le interferenze di circostanze eccezionali, ciò che il diritto richiede è un comportamento dei soggetti così e così determinato. Ovviamente queste norme specifiche non valgono sempre, infatti ciò che il diritto richiede secondo queste norme, l’interesse o valore giuridico in esse rappresentato, non è sempre l’effetto giuridico. Nella determinazione dell’effetto si è anche richiamata l’attenzione su opposte esigenze metodologiche per cogliere la distinzione tra efficacia e rilevanza: una esigenza sintetica o sistematica ed una esigenza analitica o esegetica. La prima esigenza metodologica fa capo al concetto dell’unità del sistema; è questo un concetto indispensabile per il metodo del giurista. Senza il riferimento al sistema (inteso come valore onnicomprensivo capace di fornire un criterio di decisione unitario) il giurista, con il solo ausilio dei codici, sarebbe quasi sempre sommerso dalla sterminata varietà e complessità dei problemi pratici, talora privo di risposte davanti al silenzio della legge, talora indeciso tra le alternative di un testo ambiguo. Affermare che l’effetto giuridico, il quid iuris che dà risposta al problema pratico sollevato da una situazione di fatto, è definito volta per volta in funzione della situazione, in armonia con la totalità degli interessi giuridici, significa dire che il giurista per risolvere i suoi problemi ha costantemente bisogno di guardare all’unità del sistema. Sebbene l’unità del sistema sia il valore giuridico fondamentale e il criterio ultimo di decisione degli effetti giuridici, tuttavia una esigenza metodologica opposta punta sulla realtà dei valori giuridici contenuti nelle norme specifiche e sulla rilevanza effettiva che questi valori hanno nella determinazione dell’efficacia. In concreto nel lavoro del giurista l’analisi del testo specifico, quindi il procedimento esegetico con le sue analisi minute non è meno essenziale del procedimento sistematico o sintetico. 21 Sorgendo un problema pratico, il primo lavoro interpretativo analitico, detto esegesi, individua nel sistema formale (cioè nell’insieme di segni linguistici che è l’apparato documentale delle leggi e dei codici) la serie dei testi che trattano espressamente il problema. Ora nei testi analizzati può già profilarsi uno schema di soluzione che lascia intravedere qual è il valore normativo preponderante nella tutela degli interessi in gioco. Certo per avere una soluzione esauriente non ci si può fermare alla interpretazione immediata; infatti anche quando il senso del testo soddisfa gli interessi in considerazione non è da escludere che altri interessi interferendo dall’esterno riescano a determinare una soluzione diversa. Dunque le due esigenze metodologiche, una delle quali guarda al valore complessivo rappresentato dall’unità del sistema, mentre l’altra è diretta verso i valori parziali delle norme specifiche, trovano dunque una conciliazione, infatti solo la totalità delle condizioni può agire come causa e determinare l’effetto. Si può parlare di un quasi-fatto, di una quasi-condizionalità, di un quasi-effetto. Il quasi-fatto non ha efficacia sicura, perché non è la fattispecie totale. Insomma il fenomeno fondamentale che si tratta di mettere a fuoco è, che ogni norma specifica ha una rilevanza insopprimibile per la produzione di certi effetti ma tuttavia presa da sola non è capace di determinare univocamente l’efficacia; occorrerà reintegrare la norma specifica nel sistema normativo. Il processo di integrazione delle norme nel sistema per la determinazione dell’efficacia ha diversi esiti possibili. I casi principali configurabili in astratto sono ad es.: 1) la coincidenza, cioè supponendo che la fattispecie parziale sia la parte rilevante dell’intera fattispecie ci si aspetta che dal sistema non sorgano impedimenti e che il resto della fattispecie agisca in senso conforme e favorevole al valore proposto dalla norma specifica, cioè si avrà una coincidenza tra il valore parziale rilevante, stabilito dall’analisi dei testi e il valore emergente da una considerazione sintetica e sistematica. 2) L’impedimento, è questo un caso frequente, può succedere che dalla fattispecie emergano circostanze impeditive atte a paralizzare del tutto 22 l’efficacia della norma specifica. Il fenomeno delle circostanze impeditive è ben noto ai processualisti per i problemi dell’onere della prova. 3) L’adattamento, questo caso si verifica quando il valore normativo non rimane del tutto integro né cade del tutto, ma secondo il principio di adattabilità si specifica nei modi opportuni per entrare in concorso con il resto della fattispecie nella determinazione dell’effetto. In alcuni casi l’adattamento dà luogo ad una riduzione dell’efficacia e quindi ad una limitazione del contenuto dell’effetto. Si è soliti citare il fenomeno della cosiddetta efficacia relativa, in cui il diritto soggettivo, nei confronti di determinate categorie di persone, opera nella pienezza della sua forza giuridica, mentre rispetto ad altre categorie è inefficiente. Inoltre l’adattamento può anche comportare un frazionamento dell’efficacia nel tempo, cosicché la fattispecie parziale ha già in atto alcuni effetti preliminari ma minorati, mentre gli effetti più tipici e importanti si avranno in un tempo differito eventualmente in attesa di circostanze e condizioni ulteriori che dovranno completare la fattispecie. 1.4. Analisi dell’effetto giuridico: confronto tra fatto giuridico ed effetto giuridico. La considerazione che ogni valore condizionato è effetto giuridico, viene chiarita assumendo come termine costante di confronto, della nozione di effetto giuridico, la nozione complementare di fatto giuridico. La nozione piuttosto ampia di fatto comprende tutto ciò che esiste e si trova nel tempo, fatto è ogni fenomeno temporale; poiché nel mondo i fenomeni del tempo non sono dissociabili dai corrispondenti fenomeni dello spazio, se si conviene di chiamare oggetto ogni fenomeno dello spazio, è chiaro che i fatti sono sempre connessi ad oggetti. Non necessariamente ma eventualmente i fatti sono atti e gli oggetti sono (corpi fisici di) soggetti, quindi come i fatti sono legati agli oggetti, così parallelamente, gli atti sono sempre da ricondurre ai soggetti, quanto meno ai soggetti che li hanno eseguiti o dovranno eseguirli. 23 Se si confronta il fatto e l’effetto dentro lo schema logico della norma, possiamo distinguere anzitutto l’effetto giuridico, in quanto valore giuridico, dal fatto giuridico, attraverso alcuni esempi. Supponiamo che il fatto sia un negozio obbligatorio: l’effetto sarà il valore giuridico dell’adempimento, cioè l’interesse della comunità giuridica a che la prestazione dedotta nel negozio sia adempiuta. Supponiamo che il fatto sia un reato: l’effetto sarà il valore giuridico della pena, cioè l’interesse della comunità giuridica a che la pena sia inflitta. Gli schemi delle norme corrispondenti saranno di questo tipo: se fosse stipulato un contratto di compravendita, sarebbe interesse della comunità che il prezzo sia pagato e la cosa sia consegnata; se fosse commesso un reato, l’interesse della comunità giuridica sarebbe quello che la pena sia inflitta. L’interesse è appunto il valore fondamentale che riassume di volta in volta, di fronte ad ogni fattispecie configurabile, il sistema dei valori o interessi della comunità. L’effetto giuridico consiste precisamente nel riferire o attribuire questo valore fondamentale, di volta in volta, al versamento di una somma, a una datio rei, alla inflizione di una pena. L’effetto di ogni norma è dunque un valore e come valore si distingue dal fatto. Tuttavia la distanza tra valore e fatto diminuisce se si pensa che in ogni effetto, il valore fondamentale è sempre riferito a un astratto schema di fenomeno temporale (adempimento di una prestazione, l’inflizione di una pena). Non vi è dubbio che questi siano astratti schemi di fatti, appunto fattispecie, non meno del negozio obbligatorio o del reato. La distinzione quindi tra fatto giuridico ed effetto giuridico diventa delicata, in quanto distinzione tra fatti e valori di fatti. Dunque l’effetto della norma non è né il semplice valore né il semplice fatto, ma il valore attribuito al fatto (secondo i giuristi) più correttamente la qualificazione del fatto. E’ da considerare che nei più diversi effetti l’attributo di valore è generico ed è sempre lo stesso - esso rappresenta in ogni caso l’interesse fondamentale della comunità giuridica. Invece i fatti a cui il valore è attribuito sono fatti specifici, fatti diversi secondo diversi effetti (adempimento spontaneo, esecuzione civile, 24 esecuzione penale ecc.) E’ opportuno poi confrontare il fatto giuridico non più con l’intero effetto giuridico, ma con la sola componente di fatto dell’effetto, distinta e isolata dalla componente di valore. Ad es. nel regime giuridico dei negozi obbligatori costituisce effetto giuridico del contratto di mutuo l’interesse della comunità giuridica alla restituzione della somma mutuata. Dunque la prima fattispecie è il contratto di mutuo ed è lo stesso fatto giuridico; la seconda fattispecie è la restituzione della somma mutuata ed è la componente di fatto dell’effetto giuridico. Analogamente, nell’ambito delle assicurazioni legali, consideriamo effetto giuridico di un dato evento, sinistro, infortunio o malattia, l’interesse della comunità al pagamento dell’indennizzo da parte dell’assicuratore; anche qui sono distinguibili due fattispecie: la prima fattispecie è lo stesso fatto giuridico ossia l’evento caratterizzato come sinistro o infortunio; la seconda fattispecie, il pagamento dell’indennizzo da parte dell’assicuratore, è la componente di fatto dell’effetto giuridico. In corrispondenza delle due fattispecie si hanno pertanto due situazioni temporali, una temporalizza il fatto giuridico, l’altra temporalizza l’effetto giuridico: la situazione in cui si verifica il fatto giuridico, in ipotesi, il verificarsi dell’evento (contratto di mutuo, infortunio) costituisce per la comunità giuridica una esigenza o un problema pratico, quindi si cerca una soluzione a questo; tale esigenza viene soddisfatta ed il problema pratico risolto nell’altra situazione quella in cui si verifica la componente di fatto dell’effetto giuridico, ossia la restituzione della somma o il pagamento dell’indennizzo. Tra fatto giuridico e componente di fatto dell’effetto giuridico risulta esserci una differenza di tempi, non vi è dubbio, ma più complessa risulta la questione se l’intero effetto giuridico (non la sola componente di fatto) abbia a sua volta un tempo e quale sia questo tempo. Occorre osservare che il fatto giuridico può essere un atto, di una o più persone - un qualunque contratto - ma può anche non essere un atto. Infatti il sinistro, la malattia non sono atti ma eventi che non dipendono dalla volontà umana. 25 Invece (secondo il modo di vedere del giurista) la componente di fatto dell’effetto giuridico è sempre necessariamente un atto: un atto è la restituzione della somma da parte del mutuatario, un atto è pure il pagamento dell’indennizzo da parte dell’assicuratore. Questo perché ritiene che l’effetto giuridico si riferisca sempre, direttamente o indirettamente ad una attività umana. Dunque nei presupposti fenomenici della teoria dell’efficacia vi è insieme alla distinzione tra fatto e atto, la connessione tra atto e soggetto. Si può dire che in ogni norma la situazione temporale condizionante presenta un fatto riferito ad oggetti, che è appunto il fatto giuridico, mentre la situazione condizionata, che costituisce l’effetto giuridico, presenterà più specificamente un atto riferito a soggetti, quanto meno al soggetto esecutore dell’atto. In linea di principio ne consegue che il soggetto è il punto di collegamento tra le due situazioni temporali contenute nella norma. L’affermazione di punto di collegamento, che richiama i presupposti fenomenologici generali della teoria della efficacia, può essere estesa dal soggetto all’oggetto, sicché si può parlare sia di punti di collegamento soggettivi, sia oggettivi, tra fatto ed effetto giuridico. Per meglio chiarire il discorso sull’effetto giuridico brevemente si può accennare alle situazioni giuridiche. “Situazione giuridica” dovrebbe essere il contenuto di ogni proposizione giuridica, d’altro canto è noto che la proposizione giuridica fondamentale è la norma, e che la norma è una proposizione complessa risultante da un rapporto di condizionalità, in cui la proposizione antecedente o condizionante denota il fatto giuridico e la proposizione conseguente o condizionata denota l’effetto giuridico. Quindi in astratto sia all’intera norma che al fatto giuridico, che all’effetto giuridico, dovrebbe corrispondere una situazione giuridica. Tuttavia, nel linguaggio tecnico dei giuristi, situazione giuridica in senso stretto è soltanto l’effetto giuridico, in più configurato come situazione in quanto nel suo concretarsi si riferisce a soggetti determinati, e non solo ma più precisamente anche a determinate attività dei soggetti. 26 Tra situazione ed effetto esiste un nesso, è sufficiente che l’effetto si concentri in certi soggetti che compiono atti o ricevono atti di altri soggetti, perché si abbia una situazione giuridica. Un’analisi di questo nesso porta ad individuare quella situazione che, in termini generici, è chiamata “dovere”. In ogni effetto una situazione viene considerata e valutata in funzione di quell’interesse fondamentale che è l’interesse della comunità. I giuristi ritengono dimostrabile che in ogni norma giuridica l’effetto contiene in nuce una valutazione di necessità. Ovviamente non tutte le situazioni saranno giudicate necessarie, ma ve n’è almeno una la cui necessità è posta con la posizione dell’effetto stesso, e questa sarà la situazione il cui verificarsi soddisfa e il cui mancato verificarsi non soddisfa quel particolare interesse della comunità che l’effetto definisce. A es. se in un dato tempo si stipula un contratto di mutuo, l’interesse è che in un tempo successivo (stabilito dalle parti o dalla legge) avvenga il pagamento della somma mutuata. Ebbene la situazione temporale in cui si compie il pagamento è la situazione che verificandosi, soddisfa, e non verificandosi, lascia insoddisfatto, l’interesse della comunità. Proprio per questo tale situazione è considerata necessaria. dal diritto. Chiaro si tratta di una necessità assiologica e non fisica. Si vede allora come ogni norma definisce nel proprio effetto un particolare interesse della comunità e quindi una situazione necessaria per soddisfare questo interesse. In un certo senso la necessità è già racchiusa allo stato ancora astratto ipotetico nella generalità della norma. Appena la fattispecie condizionante si realizza, il valore giuridico condizionato diventa incondizionato, ovvero definisce la situazione che verificandosi lo soddisfa. D’altra parte ogni valore giuridico è un valore del comportamento umano dunque un valore di azione e perciò in ogni effetto giuridico la situazione futura va riferita ad un’azione corrispondente. 27 Questo rapporto per cui il giudizio su una situazione futura non è mai indipendente dal giudizio sull’azione capace di realizzarla, chiarisce in qual senso la categoria della necessità viene impiegata nel campo della valutazione giuridica: una necessità giuridica sussiste nella misura in cui la necessità assiologica di una situazione diventa la necessità assiologica di un’azione. L’idea di una necessità propria dei valori è in sostanza l’idea del dovere giuridico. La necessità dell’azione è precisamente il dovere. La categoria del dovere nasce dalla esperienza del valore necessario di una situazione e perciò dell’azione capace di realizzarla. Se la situazione ha valore necessario, l’attività del soggetto capace di realizzarla prende la figura dell’atto dovuto. La valutazione giuridica può anche accertare che dopo una determinata fattispecie sia necessario che la situazione non si realizzi, affinché l’interesse della comunità sia soddisfatto. In questo caso si ha ancora un dovere, ma di carattere negativo e l’attività diretta a realizzare la situazione prende la figura di atto illecito (contrapposto di atto dovuto). Tuttavia non sempre la valutazione giuridica di una situazione porta a un giudizio di necessità, può anche portare a un giudizio di possibilità; al dovere fa riscontro il potere, l’uno rappresenta la necessità assiologica, l’altro la possibilità assiologica, insieme rappresentano le due modalità fondamentali di ogni valutazione. Ora mentre la necessità dell’azione costituisce il dovere, così la possibilità dell’azione costituisce il potere. Il potere si rafforza in un doppio senso: da un lato, la norma “libera” il potere da ogni stretto dovere del soggetto, e d’altro lato, lo “lega” a doveri di altri soggetti, così nel primo caso il potere diventa libertà o almeno discrezionalità, nel secondo caso si costituisce una relazione giuridica intersoggettiva. A tal proposito particolarmente noti sono i rapporti giuridici regolati dal diritto privato, per il loro caratteristico schema bilaterale, in cui al potere di un soggetto si oppone il dovere di un altro soggetto. Quindi si ha un potere di 28 utilizzazione quando il compimento del dovere altrui precede il proprio potere, il cui esercizio quindi utilizza l’altrui attività dovuta (il creditore riceve il pagamento del debitore e ne gode il risultato). Invece si ha un potere di iniziativa (o di impulso) se l’esercizio del proprio potere, solitamente nella forma di una dichiarazione di volontà, precede e condiziona il dovere altrui, determinandone il contenuto o il tempo o il luogo. 1.6. Efficacia e rilevanza giuridica. Quanto alla differenza tra efficacia e rilevanza sappiamo che alla fattispecie totale corrisponde l’efficacia giuridica, mentre alla fattispecie parziale è legata la rilevanza giuridica. La fattispecie parziale non è in grado di esprimere pienamente l’interesse tutelato dal diritto e non può produrre i suoi effetti tipici e fondamentali fino a quando non viene completata e reintegrata. Tuttavia essa indica già un nucleo centrale di interessi che, qualora nel processo di reintegrazione giunga a completarsi è tale da meritare o esigere la tutela del diritto. In ciò sta il fondamento della rilevanza giuridica della fattispecie parziale e la ragione degli effetti minori che essa produce. Le ipotesi che danno luogo a tale fattispecie sono da ricondurre a due categorie generali: l’incertezza circa gli elementi soggettivi o oggettivi della situazione giuridica; la incertezza circa la sopravvenienza di un interesse esterno prevalente e incompatibile rispetto all’interesse che è interno alla fattispecie parziale. Nel primo caso la fattispecie ha bisogno di essere integrata mediante fatti che valgano a costituire o individuare il soggetto o l’oggetto della situazione; nell’altro caso la integrazione avviene con fatti che hanno il compito di denunciare la inesistenza dell’interesse esterno sopravvenuto. Il ruolo fondamentale che gioca la rilevanza giuridica può essere valutato guardando rapidamente le figure più importanti rientranti nelle due ipotesi prospettate. La sospensione dell’efficacia, per fatti inerenti al momento soggettivo 29 dell’effetto, si verifica: a) quando il destinatario della situazione giuridica è rimasto estraneo all’atto e si deve attendere la sua decisione se utilizzare o meno l’effetto messo a sua disposizione (negozio stipulato in nome altrui dal rappresentante senza poteri, fino alla ratifica; contratto per persona da nominare, fino alla scadenza del termine assegnato per l’esercizio della facoltà di nomina); b) quando la situazione giuridica è destinata ad un soggetto futuro e si attende che il soggetto venga ad esistenza o che sia definitivamente esclusa la possibilità del suo nascere (disposizione testamentaria o donazione a favore di nascituro o di persona giuridica da costituire); c) infine quando il destinatario della situazione deve essere indicato da un terzo e si attende questo atto di scelta (disposizione testamentaria rimessa all’arbitrio del terzo). La sospensione dell’efficacia invece per fatti concernenti il momento oggettivo dell’effetto ha luogo: a) se nell’atto il bene sia indicato in modo generico o alternativo sicché si rende necessario un successivo atto di specificazione o individuazione (vendita di genere o vendita alternativa); b) se la indicazione del bene sia rimessa all’arbitrio del terzo (vendita in cui la fissazione del prezzo sia demandata ad uno o più arbitri); c) se il bene indicato nel contratto non sia ancora esistente (negozi giuridici su cosa futura). In tutti questi casi la sospensione dell’efficacia è dovuta all’attuale inesistenza di circostanze che non sono necessarie per la costituzione della fattispecie nel suo nucleo centrale, ma sono indispensabili per il sorgere dell’effetto giuridico. La seconda ipotesi è invece rappresentata dal fenomeno della condizione sospensiva (sia che si parli della condicio voluntatis, sia della condicio iuris); fenomeno questo il cui largo impiego nelle varie aree del diritto rende ancora più vasto il campo di applicazione della rilevanza giuridica. E’ opportuna una precisazione, tutte le situazioni giuridiche che si fanno rientrare tra gli effetti giuridici, non sono e non possono essere né del tutto determinate né del tutto attuali. Tra le situazione peculiarmente generiche si possono ricordare il rapporto di lavoro, il rapporto di mandato, il diritto di proprietà, il diritto di usufrutto. Poiché la realizzazione dell’effetto è sempre posta in un tempo successivo rispetto a quello in cui l’effetto sorge. 30 Ma la maggiore indeterminatezza si ha quando manchino o siano da individuare il soggetto o l’oggetto del rapporto o quando l’effetto sia subordinato a una condizione sospensiva; in tal caso finché non avviene la individuazione, l’effetto non può sorgere. L’efficacia tipica e fondamentale del fatto, resta in questi casi sospesa mancando alla situazione giuridica quel minimo di finitezza e di attualità che la ponga in termini di realizzazione. Tuttavia il fatto si è già verificato, in qualche modo è già entrato nel diritto profilando interessi che vanno salvaguardati. Questa giuridicità peculiare del fatto, perfezionatosi in tutti gli elementi essenziali ma non ancora produttivo dei suoi effetti tipici e fondamentali, designa appunto la rilevanza giuridica. La regola è che appena vengono ad esistenza gli elementi essenziali della fattispecie sorge la correlativa situazione giuridica; ma l’immediato prodursi dell’effetto può anche essere impedito da ragioni interne o esterne all’interesse medesimo, come si è visto negli esempi. Nella fattispecie condizionale sono compresi, accanto agli elementi essenziali, che rappresentano l’interesse interno, altri fatti i quali denunziano l’interferenza probabile di interessi esterni. La perplessità che, sul piano dell’efficacia, caratterizza il fenomeno condizionale si traduce in un gioco di piani contrastanti di interessi. La necessità di preservare gli interessi esterni esige che fino a quando quella interferenza non sia esclusa, l’efficacia tipica del fatto rimanga sospesa. La previsione di elementi aggiunti al nucleo centrale del fatto influisce sull’efficacia tipica, alla quale viene dato corso solo quando si verificano le circostanze integrative, in modo che il risultato raggiunto nel mondo giuridico sia in tutto rispondente all’interesse o al complessivo bilancio degli interessi. Si distinguono perciò nella norma elementi essenziali (gli ‘elementi’), e non essenziali (i ‘coelementi’). La rilevanza designa perciò la situazione speciale di un interesse preso in considerazione dal diritto ma in grado soltanto di pretendere la garanzia giuridica della propria conservazione e non ancora la garanzia della propria realizzazione. L’interesse rilevante produce mere aspettative; l’interesse 31 efficace produce diritti pieni. Tutto ciò chiarisce che efficacia e rilevanza pur distinguendosi sono legate da nessi e da una coordinazione necessaria. La rilevanza non può esaurire la giuridicità del fatto ma è essenzialmente preordinata in funzione dell’efficacia. Rappresenta la premessa, al momento necessario, dell’efficacia perché è solo in quest’ultimo che l’interesse può trovare realizzazione.16 Si è anche detto che la fattispecie rilevante ha solo la funzione di evidenziare una direzione generica dell’efficacia, pertanto essa è un momento del “metodo” con cui il giurista, attraverso l’analisi degli interessi, perviene alla determinazione progressiva dell’effetto; può anche avere la funzione di produrre già una efficacia preliminare diretta a preparare e a conservare quella che sarà l’efficacia tipica della fattispecie completa. La riflessione principale è che la valutazione giuridica ha carattere essenzialmente prospettico; essa infatti vuole dare, già in astratto, nelle teorie dei giuristi, poi più in concreto nelle sentenze dei giudici, infine nelle azioni dei soggetti, un giudizio anticipato di valore sulla realtà pratica dell’immediato avvenire. Ogni norma, condizionando ad un fatto giuridico un effetto non fa che attribuire valore giuridico a certe situazioni che riguardano certe altre 16 Si è obiettato con le proposte di taluni giuristi, i quali volevano riporre tutta la giuridicità del fatto nella rilevanza giuridica, con specifica esclusione della efficacia. Alla base di questa proposta vi era l’idea che causa dell’effetto giuridico non fosse il fatto bensì la norma e che al fatto è riservato il compito più modesto di provocare l’efficacia della norma. Negato il nesso causale tra fatto ed effetto giuridico ed esclusa di conseguenza l’efficacia giuridica del fatto, a mantenere la giuridicità del fatto non resterebbe che la rilevanza. Se questi giuristi (Scognamiglio R., Cataudella A) volessero porre l’accento sulla differenza tra causalità giuridica e causalità naturale e chiarire che senza la norma il fatto non avrebbe alcun potere di causare l’effetto giuridico, si muoverebbero in un ordine di pensieri ovvio ma non concludente. Il necessario presupposto della norma non impedisce di porre ugualmente nel fatto la causa diretta e immediata dell’effetto giuridico. Ma quando si nega l’efficacia causale del fatto e si indica nella norma la causa esclusiva dell’effetto si dice cosa sicuramente errata. L’efficacia della norma è diversa dall’efficacia del fatto. L’efficacia della norma consiste nella costituzione del rapporto di condizionalità tra un fatto ed un effetto; l’efficacia del fatto si risolve invece nella trasformazione di una situazione giuridica. Le due zone di efficacia sono differenziate, sicché affermare che causa dell’obbligazione non è il contratto o l’illecito, ma la norma di diritto che fa discendere l’obbligazione dal contratto o dall’illecito, è quanto meno inesatto. Scognamiglio R. Fatto giuridico e fattispecie complessa, in Riv. Trim. dir. proc. civ. 1954; Cautadella A. Note sul concetto di fattispecie giuridica, ivi, 1962. 32 antecedenti situazioni di fatto e fornire così ai soggetti una base e un criterio per la valutazione del futuro. E’ ovvio si tratterà di una valutazione anticipata e prospettica attraverso tipi e schemi generali desunti dalle esperienze trascorse. La stessa situazione giuridica non è che uno schema generale; allo stesso modo l’evento a cui la situazione guarda è uno schema generale tolto al passato e proiettato nell’avvenire, un tipo riproducibile in astratto in un numero illimitato di tempi e di luoghi. Si tratterà, poniamo, del pagamento o riscossione di una somma, di un procedimento amministrativo o giudiziario, del godimento di un bene, o di qualsiasi altro fatto di vita pubblica o privata. Questo tipo di evento non è mai individuato in concreto, ma è solo astrattamente individuabile in funzione di luoghi o tempi in cui si proietta. La valutazione giuridica è dunque sempre una valutazione essenzialmente prospettica, i valori a cui guarda il diritto non sono valori effettivi e attuali ma mere prospettive assiologiche. Un altro problema su cui occorre fare un breve cenno è: quale sia esattamente il tempo della realizzazione. Si tratta di osservare se la situazione che va determinata, mediante il comportamento obbligato del soggetto, abbia nel tempo carattere definito o indefinito. E’ naturale supporre che l’osservanza del dovere si abbia solo nel momento delle attività di prestazione puntualmente determinate (nel momento cioè in cui si deve consegnare la cosa o effettuare la singola somministrazione). Al contrario una situazione indefinita esclude per sua natura ogni attività puntuale diretta a realizzarla. Ad es. nell’obbligo di vivere in un determinato luogo in seguito a domicilio coatto, l’osservanza dell’obbligo è da riscontare in tutto il tempo in cui dura il domicilio coatto, così nel dovere dei figli di rispettare i genitori. Lo stesso sembra si debba dire per ogni obbligo negativo, per esempio per l’obbligo di non introdursi in un luogo di proprietà altrui senza il consenso del proprietario. In genere una situazione da realizzarsi mediante comportamento omissivo o negativo è sempre indefinita (salvo che i soggetti definiscano i termini iniziali 33 o finali). C’è da dire che vi sono situazioni le quali, a motivo del loro particolare contenuto, sono per se stesse indefinite pur realizzandosi mediante comportamento commissivo o positivo, tali ad es. il rapporto di lavoro, il diritto di usufrutto. Bisogna osservare che il tipo di comportamento, evento e situazione in cui il dovere si concreta giova a definire l’obiettivo finale del processo di realizzazione, ma non il tempo in cui la realizzazione ha inizio. Se immediatamente dopo il contratto di compravendita il venditore distrugge la cosa che deve consegnare in un termine stabilito, egli trasgredisce il suo obbligo e compie atto illecito, sebbene il termine della consegna non sia ancora giunto. Naturalmente si dovrà guardare all’obiettivo ultimo del processo di realizzazione per stabilire quale deve essere il comportamento da tenere nel momento iniziale e nei momenti ulteriori. tempo sicuramente vincolato da un Intanto risulta chiaro che l’unico dovere giuridico è il tempo immediatamente successivo al completamento della fattispecie condizionante. Le stesse considerazioni sono plausibili anche per la figura del potere. 1.6. Trasformazioni legali e tipi di efficacia. Sulle considerazioni di tempo si è fondato essenzialmente il fenomeno delle trasformazioni dell’effetto giuridico, nato dalla riflessione teorica sulle vicende di mutamento dei diritti soggettivi. Il fenomeno delle trasformazioni assume rilievo e valore pratico solo se viene riferito a situazioni giuridiche principali e non accessorie o secondarie. Gli avvenimenti che sopravvengono al prodursi della situazione giuridica e mutano la fattispecie dell’effetto, esigono una trasformazione del mondo giuridico che lo adegui alla nuova realtà. La legge dovrà stabilire quali avvenimenti sono idonei ad alterare l’assetto dei valori precostituiti ed in qual 34 modo l’alterazione debba trovare compenso nel sistema degli effetti giuridici. Le trasformazioni delle situazioni giuridiche consistono perciò in effetti legali. Vi sono comunque degli avvenimenti che provocano trasformazioni ineluttabili nelle situazioni giuridiche, e il diritto nulla può fare affinché si producano diversamente. Del tutto evidente, per il tipo di trasformazione che determina, è il fenomeno della estinzione. La morte del debitore, la distruzione della cosa nel diritto reale, la morte del coniuge nel rapporto di matrimonio sono tutti avvenimenti che producono di necessità l’estinzione della situazione giuridica. Tale estinzione non è dovuta ad una disposizione di legge ma è necessaria. La morte, la distruzione escludono per l’avvenire la realizzazione dell’effetto, fanno venir meno il valore giuridico e perciò stesso la situazione giuridica. La figura dell’estinzione non è un effetto legale, bensì un effetto necessario; alla legge resta solo da stabilire se accanto a tale effetto si verifichino altri effetti: se in conseguenza della distruzione sorga un obbligo di risarcimento, se nonostante l’estinzione del rapporto coniugale, per morte, i figli sopravvenuti debbano considerarsi legittimi, ecc. Tradizionalmente si distinguono tre figure di trasformazione: costituzione, modificazione, estinzione; queste vengono raccolte sotto la rubrica <<efficacia costitutiva>>, tale aggettivo assume un significato generico e serve a designare un qualunque fenomeno innovativo, non solo la nascita ma anche la estinzione o la semplice modificazione di una situazione giuridica. Comunque è bene sottolineare che in questa sua accezione generica, l’efficacia costitutiva è l’universale denominatore di ogni efficacia giuridica e copre senza residui tutto il mondo delle situazioni giuridiche. Si dirà in seguito come tuttavia tale concezione sia angusta ed incapace di cogliere tutti i tipi di efficacia che l’esperienza giuridica mostra allo studioso. In astratto ogni fenomeno di mutamento potrebbe essere considerato come costituzione, se si guarda alla situazione nuova che si determina con il mutamento; come estinzione, se si guarda invece alla situazione precedente a 35 cui la nuova situazione è subentrata; e come modificazione, se si guarda ad entrambe le situazioni cumulativamente prese. Più correttamente costituzione, modificazione, estinzione, si hanno quando nasce, si modifica, si estingue non ogni situazione in genere ma una situazione dotata di specifica rilevanza per il diritto, cioè una situazione che non si confonda con lo stato generico di libertà, ma che comporti delle posizioni di dovere o di potere, di vincolo o di preminenza (es. al verificarsi dell’adempimento si estingue l’obbligazione, cioè lo stato di preminenza e di vincolo e si costituisce lo stato di libertà; in astratto potrebbe parlarsi tanto di estinzione, guardando alla obbligazione che è venuta meno, quanto di costituzione, guardando alla liberazione che il debitore ha ottenuto. Ma secondo il criterio indicato, può parlarsi solo di estinzione perché occorre guardare alla situazione di rilevanza specifica, e cioè all’obbligazione, e non alla situazione di rilevanza generica che è lo stato di libertà). E’ lo stesso legislatore che, nella disciplina dei singoli istituti, ci offre la possibilità di stabilire quali fattori egli ritiene che costituiscano la sostanza della situazione giuridica e quali gli accidenti, quali differenze considera essenziali e quali inessenziali. Spesso però il richiamo alla legge è incapace di offrire una sicura soluzione, per alcuni fenomeni infatti i testi di legge non hanno risolto i dubbi, né sopito i contrasti. Comunque la schematizzazione degli effetti giuridici è appunto fatta dal legislatore in funzione dei nuclei fondamentali di interessi che più frequentemente ricorrono nella esperienza comune e che possono perciò essere utilmente previsti e regolati mediante predisposizione di situazioni giuridiche tipiche. Sebbene le trattazioni generali del diritto continuino ad indicare costituzione, modificazione ed estinzione come le uniche figure di efficacia giuridica, da tempo è riconosciuta la necessità di fare posto ad un tipo di efficacia diverso da quella costitutiva. Vi sono controversie sulla natura costitutiva o dichiarativa di atti come la 36 divisione, la transazione, il negozio di accertamento, o ancora la sentenza, la legge interpretativa. Ciò di cui si discute è appunto l’attitudine di certi fatti, che sono incontestabilmente giuridici, a produrre uno stato giuridico nuovo ed anzi si assume che la loro funzione essenziale consiste nel dichiarare e conservare la situazione giuridica preesistente.17 Si parla di paradosso della efficacia dichiarativa, nel senso che ci si chiede un fatto, che non produce alcuna innovazione nello stato giuridico preesistente e che ha come sua specifica funzione quella di mantenere inalterata la situazione giuridica su cui incide, in cosa riesce a distinguersi da un qualsiasi fatto giuridicamente irrilevante, se per definizione fatto giuridicamente irrilevante è quello che non produce alcuna novità nel mondo del diritto? Il paradosso è apparente, poiché anche i fatti designati come dichiarativi o conservativi producono una qualche novità; solo che questa è del tutto diversa da quella propria dei fatti costitutivi. Costituzione modificazione estinzione rientrano nella categoria delle trasformazioni esterne, esse però non esauriscono ogni ipotesi di trasformazione giuridica. Ad esse si contrappone la categoria degli svolgimenti interni, i quali potrebbero, da un verso, anche non 17 La problematica dell’efficacia dichiarativa si può far risalire al sedicesimo secolo ed è legata, nel suo sorgere al contratto di divisione. A quell’epoca pressanti esigenze pratiche determinarono una viva reazione contro la configurazione romanistica della divisione quale contratto traslativo. Solo nel XIX sec. la dottrina francese accettò l’idea dell’effetto dichiarativo e la relativa problematica si arricchì allorché fu introdotto l’istituto della trascrizione. Si vennero così riconoscendo altre ipotesi di dichiaratività, soprattutto la sentenza e la transazione. Si andò delineando così una classe di atti dichiarativi contrapposti a quelli costitutivi, similmente a quanto avveniva in Germania. Due momenti erano ritenuti importanti: la funzione rivelatrice che l’atto dichiarativo assolve rispetto a un diritto soggettivo preesistente; l’efficacia non innovativa dell’atto dichiarativo, il quale non costituisce né trasferisce il diritto soggettivo. Dunque all’opposto degli atti costitutivi, l’atto dichiarativo non introduce alcuna modificazione nello stato giuridico anteriore. In Italia e in Germania il tema dell’efficacia dichiarativa è iscritto nella vasta problematica delle dichiarazioni di accertamento; se ne è parlato e se ne parla a proposito del negozio di accertamento, delle decisioni e degli accertamenti amministrativi, delle sentenze, della legge interpretativa, delle pronunce sulla legittimità costituzionale delle leggi ordinarie ecc. Nello studio delle singole figure la dottrina si è poi divisa in due opposti orientamenti, fondando l’interpretazione dei fenomeni gli uni sulla efficacia costitutiva e gli altri sulla efficacia dichiarativa. Tuttavia quale sia stata la novità giuridica introdotta dall’effetto dichiarativo la dottrina non è riuscita a indicare se non con metafore. Di queste la più corrente è quella che assegna all’effetto dichiarativo il compito di rendere efficace il diritto soggettivo. Nella nostra letteratura giuridica basta citare Ascarelli T., La letteralità dei titoli di credito, in 37 determinare alcun mutamento nella identità strutturale della situazione, ma dall’altro conducono questa ad ulteriore sviluppo. Il problema della efficacia dichiarativa è quello di spiegare la possibilità di trasformazioni che incidano su una situazione giuridica senza mutarne il contenuto. Secondo i giuristi il problema si risolve con una riflessione molto semplice. Sappiamo che la situazione giuridica è in ogni caso una situazione futura e che si risolve in uno schema generale, individuato in funzione del tempo; ebbene proprio questo carattere generale della situazione giuridica è da tenere in conto per intendere la possibilità di meri svolgimenti interni, accanto alle ipotesi delle trasformazioni esterne. Gli svolgimenti interni si definiscono caso per caso. Sotto un primo profilo appare carattere costante degli svolgimenti interni il fatto che essi non determinano mai una modificazione degli elementi strutturali o del contenuto sostanziale della situazione giuridica. Se il mutamento interessa il soggetto o l’oggetto, che rappresentano gli elementi strutturali di identificazione di ogni situazione, non può aversi che trasformazione esterna, così pure se le modifiche riguardano le modalità di comportamento. Il presupposto sarà tuttavia che occorra qualche mutamento affinché si abbia uno svolgimento interno. Si è tentato di individuare tre figure di queste alterazioni interne corrispondenti, in un certo senso, alle figure esterne: rafforzamento corrispondente alla costituzione, specificazione che fa riscontro alla modificazione e affievolimento che fa riscontro alla estinzione. Queste tre figure delineano i sottotipi dell’efficacia dichiarativa. Una esemplificazione dell’efficacia rafforzativa è data dal fenomeno della ricognizione dei diritti soggettivi: es. il riconoscimento del debito è indubbiamente inidoneo giuridicamente a modificare il diritto soggettivo preesistente. Ma il diritto positivo ci chiarisce che il riconoscimento del debitore vale ad impedire che l’obbligazione si estingua per prescrizione. Studi in tema di contratti, Milano, 1962. 38 Dunque il riconoscimento difende e preserva la situazione giuridica preesistente contro i guasti del tempo; il diritto quindi ha riacquistato tutta la sua originaria vitalità, si è rafforzato. E’ naturale che le situazioni giuridiche che non ‘seguono’ le esigenze della comunità sono soggette a perdere man mano la loro efficienza e vedere affievolita la loro attuabilità. Il fenomeno del riconoscimento, che proviene dal soggetto tenuto a rispettare specificatamente o ad attuare il diritto soggettivo ha precisamente l’effetto di restituire alla situazione giuridica la sua originaria efficienza. E’ questa una novità giuridica che si esaurisce tutta all’interno della situazione giuridica. Merita di essere menzionata, per l’effetto di tipo conservativo e rafforzativo, che essa spiega, anche l’intimazione di pagamento. In essa la dottrina ha identificato un esempio importante di dichiarazione non negoziale di volontà, l’intimazione appare di gran lunga più interessante per il profilo della sua efficacia. L’intimazione non spiega effetti costitutivi, se l’obbligazione non esistesse l’atto non avrebbe alcuna efficacia giuridica; diventa efficace a condizione che la prestazione richiesta fosse già dovuta in virtù di una valida obbligazione. L’intimazione in quanto atto giuridicamente rilevante non può produrre, di conseguenza deve esaurirsi all’interno dell’obbligazione, appartiene quindi alla medesima figura di efficacia che abbiamo riscontrato per il riconoscimento. Esso preserva il diritto dagli effetti del tempo e altresì dagli effetti dell’ignoranza del debitore, conserva il diritto (di credito) riportandolo alla originaria efficienza ed assicurandosi la possibilità di far valere la tutela accordata dalla legge. Una trasformazione c’è stata ma interna alla situazione giuridica, la quale risulterà rafforzata rispetto a fattori esterni che potrebbero comprometterne la esistenza o realizzazione. Altra trasformazione interna si ha quando l’effetto consiste nella semplice specificazione o determinazione del contenuto della situazione giuridica. Tutte le situazioni hanno un certo grado di genericità destinato a risolversi al momento della loro attuazione. Ma talvolta la impossibilità di prevedere in 39 anticipo gli atteggiamenti che l’interesse giuridico verrà ad assumere nel corso della sua esistenza, fino alla completa realizzazione, impone una definizione più generica della situazione che valga a consentirle una maggiore capacità di adeguarsi alle circostanze che influiranno in concreto sull’interesse. Di qui la necessità, affinché l’interesse sia soddisfatto, di fatti ulteriori i quali in funzione della specificazione dell’uno, producano una corrispondente determinazione dell’altra. Il tipo di efficacia che corrisponde a questo ruolo non può ovviamente entrare nel quadro della efficacia costitutiva. Il diritto positivo offre numerose ed importanti applicazioni del tipo di efficacia che qui si considera. Il fenomeno trova infatti nel settore pubblicistico, costituzionale e amministrativo, il terreno ideale di attecchimento. Due istituti di diritto privato, il rapporto di mandato e il rapporto di lavoro, si prestano bene ad esemplificare la figura della efficacia specificativa. In entrambi, la prestazione del debitore non è interamente determinata al momento della costituzione del rapporto, almeno di solito, gli ordini del datore e le istruzioni del mandante assolvono appunto alla funzione di specificare, nelle singole circostanze, l’obbligo della prestazione. L’effetto specificativo lascia immutato l’interesse originario e conserva nella sua struttura e nel suo contenuto sostanziale la situazione giuridica originaria. Infine terza classe delle trasformazioni interne riguarda l’affievolimento cioè la riduzione dell’originaria efficienza della situazione giuridica. Confluiscono in questa nozione la maggior parte dei casi che la dottrina inquadra sotto la rubrica della quiescenza dei diritti soggettivi. Avviene così nella cosiddetta inefficacia relativa: quando il diritto soggettivo incontra altri diritti, a scapito dei quali esso non potrà essere né esercitato né realizzato. La presenza di un altro diritto che impedisce il pieno esercizio e la piena realizzazione del diritto soggettivo - ad es. il diritto di ipoteca rispetto al diritto di proprietà - non comporta alcuna modificazione strutturale della situazione giuridica ma influisce, in qualche modo, sul contenuto del diritto soggettivo, che in una certa direzione non potrà essere né esercitato né 40 realizzato. Dunque ogni trasformazione che incide su un effetto giuridico deriva da un fatto giuridico e dà luogo a un effetto giuridico ulteriore. Si è visto come alle diverse categorie di trasformazioni corrispondono categorie di fatti con diversi tipi di efficacia. Agli svolgimenti interni corrispondono fatti con efficacia conservativa, le trasformazioni esterne invece derivano da fatti la cui efficacia può chiamarsi costitutiva o innovativa. A questo punto per completare il quadro delle trasformazioni degli effetti e dei tipi corrispondenti di efficacia, è importante osservare che l’esperienza giuridica mostra trasformazioni che ben possono dirsi <<ambivalenti>>. Esse non presuppongono né la conservazione né la innovazione dello stato giuridico anteriore. I fatti giuridici da cui esse derivano sono configurati dalla legge in modo da poter ‘prescindere’ dalle situazioni pregresse. Il tema dell’efficacia preclusiva sostanziale costituisce un po’ un novum nella letteratura giuridica e sta alla base di alcune questioni dogmatiche fondamentali, ad es. le questioni sulla efficacia del giudicato, le cui preclusioni processuali sono sorrette in definitiva da preclusioni sostanziali. Il presupposto da cui muove la teoria tradizionale della efficacia è che non possa aversi alcuna situazione giuridica che non sia in un rapporto ben definito, di conformità o non conformità con la situazione giuridica anteriore. Da un verso vi è l’esigenza di garantire giuridicamente in forma piena e definitiva, situazioni di fatto consolidate dal tempo. Dall’altro l’esigenza di rimuovere i conflitti che impediscono l’attuazione delle situazioni giuridiche. Queste due esigenze sono espressione del generale interesse alla certezza. Alla base della categoria dei fatti preclusivi vi è l’esigenza di superare le difficoltà che la realizzazione degli interessi e dei valori giuridici, incontra nel diritto a causa dell’incertezza sulla esistenza e sul contenuto delle situazioni giuridiche. Si tratta dell’incertezza oggettiva, il conflitto intersoggettivo di apprezzamenti e la versione contrastante che gli interessati sostengono della realtà giuridica. Il tipo di efficacia della generale categoria dei fatti diretti all’eliminazione 41 dell’incertezza può essere approfondito attraverso un raffronto tra fatti di accertamento e fatti con efficacia dichiarativa. Il fatto di accertamento è la risultante di un processo che, muovendo da una situazione iniziale di oggettiva incertezza, porta mediante l’attività di chiarificazione della realtà, ad una dichiarazione di scienza munita di efficacia preclusiva. A differenza delle comuni dichiarazioni di scienza, nelle quali al contenuto, corrisponde un effetto di tipo conservativo, nel fatto di accertamento si verifica una deviazione tra l’efficacia tendenzialmente indicata nell’atto (conservazione) e l’efficacia che la legge assegna all’atto medesimo (preclusione). L’efficacia preclusiva dei fatti di accertamento si atteggia come efficacia tipicamente legale. 42 CAPITOLO II IL CONCETTO SOCIOLOGICO DI EFFICACIA 2.1. Il principio di causalità Il principio di causalità esprime una delle concezioni dell'ordine del mondo ed è comunemente considerato uno strumento essenziale per una valida spiegazione e previsione degli eventi. Quando ci si chiede perché una cosa sia accaduta, di solito, si indica la causa dell'evento che si vuole spiegare, quando si vuole prevedere un evento futuro si va alla ricerca degli effetti possibili o necessari degli eventi appena accaduti e degli accadimenti futuri. Il principio di causalità deve essere considerato come una generalizzazione sperimentale di relazioni esistenti tra eventi, oppure come una forma necessaria della conoscenza umana, uno strumento per mezzo del quale l'intelletto ordina fenomeni? Ed ancora, la relazione di causalità consiste in una successione di eventi priva di eccezioni? E' universalmente valida? I processi orientati verso uno scopo possono essere spiegati ricorrendo a relazioni causali? Posto che per 'legame causale' s'intende la relazione tra certi eventi individuali chiamati cause e certi altri eventi chiamati effetti (essi sono trattati come elementi di due classi illimitate), il problema se sia possibile parlare di cause di eventi unici, cioè di eventi che non sono considerati come elementi di una qualche classe, è argomento di polemica ed ha importanza speciale per quelle discipline come il diritto che pretendono di fornire spiegazioni causali di eventi unici ed irripetibili. Per 'legge causale' invece si intende un enunciato condizionale universale, che asserisce che gli elementi di una certa classe sono connessi causalmente con gli elementi di una certa altra classe (ad esempio l'enunciato che il riscaldamento produce sempre la dilatazione dei metalli può essere considerato come una legge causale. Per 'principio di causalità' si intende l'enunciato che asserisce l'esistenza di legami causali nell'universo. Esso è stato formulato in modi differenti ad esempio: ogni evento ha le sue cause; nulla accade senza cause; le medesime cause producono i medesimi effetti e cosi via. 43 Il problema di una formulazione adeguata del principio e dell'ambito della sua validità, da luogo ad interminabili discussioni. Nelle parole di Hume, la causalità è <<il cemento dell’universo>>, la relazione attraverso cui ogni evento è legato ad un altro o attraverso cui un tipo di fatto ne porta con sé un altro. Tuttavia il concetto di causa risulta difficile da analizzare. Il problema è come interpretare il <<cemento>> che lega causa ed effetto, cioè la necessità con cui pensiamo che gli effetti conseguano dalle loro cause. I modi con cui il problema è stato affrontato nel corso del xx secolo prendono le mosse dall’empirismo di Hume. Secondo Hume, le connessioni causali non sono <<necessarie>> nel senso che siano relazioni logiche, poiché la descrizione di un evento non implica per necessità logica l’esistenza di un altro evento. Né il legame di un effetto con la sua causa è una relazione che esiste nella realtà fisica, dal momento che noi non abbiamo alcuna esperienza di un nesso necessario del genere tra un evento (causa) ed un altro (effetto), abbiamo esperienza soltanto di due eventi.1 Nella prospettiva di Hume i nessi causali non sono altro che la congiunzione ripetuta di eventi contigui e consecutivi. La causalità risulta incorporata in regolarità che esprimono nessi costanti fra tipi di eventi. La nozione di “nessi costanti” può essere elaborata in termini di condizioni necessarie e condizioni sufficienti: la condizione necessaria di un evento è una condizione che si verifica ‘sempre’ quando l’evento si manifesta; condizione sufficiente quella che ‘quando’ si verifica è accompagnata dall’evento. Questa distinzione consente di tener conto di alcune complicazioni: per esempio che un evento possa essere connesso con la congiunzione di più cause o con diverse cause indipendenti e possa verificarsi se sono assenti certe cause contrarie. Queste 1 La linea di argomentazione adottata da Hume contro la causalità evidenziava il fatto che nella percezione sensibile ci è data soltanto la successione degli stati o degli eventi. L'asserzione che la relazione tra due eventi consista in una qualche specie di interazione, che uno degli eventi produca l’altro, equivale ad andare oltre i dati empirici. L'inferenza per cui il fatto che B venga dopo A significa che A genera B, è ingiustificata anche se si osserva la medesima successione per molte volte, senza rilevare eccezione alcuna. Dicendo che B accadrà sempre dopo A si esprime fede nell'uniformità della natura, fede che non può essere giustificata. L'inferenza induttiva, che conduce alla generalizzazione per cui B seguirà sempre A, non è valida, perché per giustificarla si deve supporre che esista una relazione causale (cioè necessaria) tra A e B. Quindi per giustificare il principio di causalità, si dovrebbe ricorrere al principio di induzione, o di uniformità della natura, che non può a sua volta essere giustificato se non s'applica di nuovo il principio di causalità. Hart H. L. A. e Honorè A. M. Causation in the Law, 1966. 44 complicazioni sono riunite in nessi: <<tutte le situazioni LM-N o PQ-R sono seguite dall’evento E>>, dove -N simboleggia l’assenza di condizioni del tipo N ed ogni lettera rappresenta una condizione per E che è parte contemporaneamente insufficiente ma non ridondante di un insieme composto di più fattori (LM-N), insieme che a sua volta non è necessario ma sufficiente perché E ne risulti. 2 La prospettiva humeana non sfugge alla critica di non riuscire a distinguere le regolarità causali dalle generalizzazioni accidentali. Non sono neppure accettabili le analisi non humeane della causalità che si sono spinte oltre i limiti dell’empirismo: così la prospettiva realista affermava che la necessità che caratterizza la causalità è una necessità di ordine fisico. Cause ed effetti non sono eventi indipendenti ma correlati. Secondo questa prospettiva le cause hanno il potere di produrre i loro effetti poiché vi è tra loro una relazione un meccanismo generativo che collega causa ed effetto. I nessi causali possono non manifestarsi affatto come regolarità poiché tra l’azione di una causa e il verificarsi del suo effetto possono intervenire altri fattori, altre cause che contrastano l’effetto della prima causa. (es. premere l’interruttore può non avere l’effetto di illuminare la stanza perché il filamento della lampadina è fuso). In tale occasione la confutazione di un nesso regolare non porta, secondo tale prospettiva, a negare la causalità della connessione reale fra pressione sull’interruttore e accensione, che si basa sul meccanismo del flusso della corrente elettrica. La difficoltà della prospettiva realista, dopo aver negato l’empirismo humeano, garantendo che esistono meccanismi ‘invisibili’ al di là del controllo epistemologico, sta nell’incapacità di individuare e analizzare i meccanismi che possono essere utilizzati come spiegazione causale. 2 Un esempio di ciò è la teoria della rivoluzione che combini idee marxiste con altre derivate dalla teoria della deprivazione relativa e sostenga che l’attività rivoluzionaria (E) segue o dal verificarsi congiunto della: polarizzazione della società capitalistica in due classi, borghesia e proletariato (L), dell’impoverimento del proletariato (M) e dell’assenza di falsa coscienza in quest’ultimo (-N), oppure dal verificarsi congiunto della divisione della società in gruppi gerarchizzati (P), del desiderio dei membri di un gruppo di conformarsi alle norme di un altro gruppo di status più elevato (Q) e dell’assenza di percorsi legittimi di mobilità dal più basso a quello più alto (-R). Davidson D., Azioni ed eventi, 1992. 45 Il principio di causalità ed il principio del determinismo hanno in comune la tesi secondo cui gli eventi futuri dipendono dagli eventi che li hanno preceduti. Tale dipendenza può essere intesa sia come relazione uno-uno sia come una relazione statistica. Entrambi sono enunciati-limite, cioè riguardano certe situazioni idealizzate, che possono essere soddisfatte empiricamente solo con una certa approssimazione. Se una differenza esiste tra i due principi, essa consiste nel fatto che quella che si suppone sia una relazione causa/effetto non è riducibile alla relazione di determinazione, cioè alla successione priva di eccezione di certi stati. Se la legge deterministica asserisce che se A, allora sempre (o con qualche probabilità) B, le leggi causali devono asserire qualcosa di più. Infatti asseriscono che A produce, genera B; che tra A e B esiste una qualche connessione necessaria che non può essere ricondotta alla pura e semplice successione (fisicamente impossibile che B non accada se è accaduto A) Mentre le leggi deterministiche descrivono i processi, le leggi causali dovrebbero spiegarli, fornendo una risposta alla domanda perché ha luogo proprio questa successione regolare di eventi. Alla luce di questa differenza le leggi causali e le leggi deterministiche dovrebbero riguardare rispettivamente aspetti differenti dell'ordine del mondo. Le prime fornendo soltanto la descrizione di regolarità, senza spiegarle, le seconde stabilendo una connessione tra la tesi del determinismo ed il presupposto che la successione regolare di stati o di eventi è dovuta all'esistenza di certi legami causali. La differenza tra relazione di determinazione e relazione causa/effetto non è tuttavia riconosciuta, anzi spesso i principi sono stati identificati tra loro, basandosi sulla opinione che qualsiasi relazione di determinazione abbia sempre un carattere causale, o sulla opinione che sia impossibile trovare nella relazione di causa e di effetto qualcosa di più che non la successione regolare degli eventi. D'altra parte l'identificazione della causalità con il determinismo può venire dall'opinione che la relazione causa/effetto non sia nient'altro che una successione, priva di eccezioni, di eventi; e che la supposizione che in essa si abbia a che fare con una specie di produzione o generazione di un evento da parte di un altro non possa essere provata empiricamente. Nelle parole di Hume, la causalità è <<il cemento dell’universo>>, la relazione attraverso cui ogni evento è legato ad un altro o attraverso cui un tipo di fatto ne porta 46 con sé un altro. Tuttavia il concetto di causa risulta difficile da analizzare. Il problema è come interpretare il <<cemento>> che lega causa ed effetto, cioè la necessità con cui pensiamo che gli effetti conseguano dalle loro cause. I modi con cui il problema è stato affrontato nel corso del xx secolo prendono le mosse dall’empirismo di Hume. Secondo Hume, le connessioni causali non sono <<necessarie>> nel senso che siano relazioni logiche, poiché la descrizione di un evento non implica per necessità logica l’esistenza di un altro evento. Né il legame di un effetto con la sua causa è una relazione che esiste nella realtà fisica, dal momento che noi non abbiamo alcuna esperienza di un nesso necessario del genere tra un evento (causa) ed un altro (effetto), abbiamo esperienza soltanto di due eventi.3 -L'argomentazione humeana nega che la relazione causale possa consistere in una qualche sorta di interazione fisica, e che la necessità del legame causale possa consistere in qualcosa di più che non nella regolarità della successione. Ovviamente la scienza non si è mai limitata a scoprire e a descrivere la successione o la coincidenza, regolari e prive di eccezioni, dei fenomeni, ma ad ogni stadio del suo sviluppo si è sempre posta il problema del perché tali regolarità si verifichino. La scienza ha sempre tentato di rispondere, non solo alle questioni sul come, ma anche alle questioni sul perché, elaborando concezioni ontologiche del mondo, che sono andate oltre i puri e semplici dati sensibili ed empirici. Il significato del principio di causalità va oltre il significato del principio del determinismo Il principio di causalità risulterebbe meglio formulato della rispettiva formulazione del principio del determinismo, poiché asserisce che la relazione causa/effetto non sia 3 La linea di argomentazione adottata da Hume contro la causalità evidenziava il fatto che nella percezione sensibile ci è data soltanto la successione degli stati o degli eventi. L'asserzione che la relazione tra due eventi consista in una qualche specie di interazione, che uno degli eventi produca l’altro, equivale ad andare oltre i dati empirici. L'inferenza per cui il fatto che B venga dopo A significa che A genera B, è ingiustificata anche se si osserva la medesima successione per molte volte, senza rilevare eccezione alcuna. Dicendo che B accadrà sempre dopo A si esprime fede nell'uniformità della natura, fede che non può essere giustificata. L'inferenza induttiva, che conduce alla generalizzazione per cui B seguirà sempre A, non è valida, perché per giustificarla si deve supporre che esista una relazione causale (cioè necessaria) tra A e B. Quindi per giustificare il principio di causalità, si dovrebbe ricorrere al principio di induzione, o di uniformità della natura, che non può a sua volta essere giustificato se non s'applica di nuovo il principio di causalità. Hart H. L. A. e Honorè A. M. Causation in the Law, 1966. 47 riducibile alla successione regolare degli stati del sistema, ma sia dovuta a una qualche specie di interazione. Ponendo, così, la questione se tutti i processi siano rigorosamente determinati, o alcuni siano determinati soltanto statisticamente? Occorre osservare che il concetto di interazione, costitutivo per il concetto di causalità, spesso è stato trattato come un equivalente del concetto di forza. Ma la forza è soltanto una delle possibili concretizzazioni dell'idea di interazione, questa si potrebbe connettere al concetto di trasmissione di energia. Fondamentale è il fatto che ogni trasmissione di informazioni è collegata con una trasmissione di energia, e che ogni trasmissione di energia può essere considerata come una trasmissione di informazioni destinata a un dato ricevitore. Si sa bene che ciò che importa per comprendere il legame causale di molti processi non è la specie o l'intensità della trasmissione dell'energia, ma il significato che riveste il segnale per il ricevitore. Quando vedo un semaforo rosso, mi fermo, indipendentemente dall'intensità luminosa del segnale; non mi fermo invece se la luce rossa è emessa da un'altra fonte. In tal senso si può parlare del significato che la luce del semaforo ha per il pedone, dunque l'effetto può essere del tutto indipendente sia dalla specie di energia trasmessa (segnali differenti possono avere il medesimo significato) sia dall'intensità del segnale. E' interessante notare che tutti i legami causali possono essere considerati come una trasmissione di informazioni, e che il concetto di informazione, così come viene usato nella teoria dell'informazione potrebbe diventare una nuova concretizzazione del concetto generale di interazione. Tuttavia anche se si fosse d'accordo nel ritenere che la relazione di causa e di effetto consista in qualche specie di interazione e che essa sia responsabile della successione regolare degli eventi, non è affatto chiaro che cosa voglia dire che la relazione di causa e di effetto abbia un carattere necessario; che cosa voglia dire che la causa produca necessariamente l'effetto. In primo luogo non si intende una necessità logica, la causa e l'effetto non sono enunciati, ma eventi e, di conseguenza, la loro relazione non può avere un carattere logico. Proprio la difficoltà di spiegare in cosa possa consistere questa specie di necessità, ha spinto alcuni ad identificare la relazione causa/effetto con la deducibilità logica delle conclusioni dalle premesse. Per confutare tale concezione è sufficiente osservare che essa implica l’opinione che una qualsiasi legge può essere 48 stabilita indipendentemente da qualsiasi ricorso all’esperimento, solo sulla base di un’analisi logica delle cause. La causa comporterebbe l’effetto, nello stesso modo che le premesse comportano la conclusione, ed il problema sarebbe semplicemente quello di renderle esplicite. La legge causale non asserisce l’esistenza di una relazione tra l’antecedente ed il conseguente, ma una relazione reale tra entità che soddisfano le condizioni descritte da certi enunciati. Dunque il concetto logico di deducibilità non è adeguato per spiegare la natura della necessità, cioè caratterizzare la relazione causa/effetto.4 Questa concezione della necessità del legame causale non risulta più sostenibile della concezione razionalistica, la quale identifica la necessità del legame causale con la deducibilità logica. Ma se né la concezione razionalistica, né quella aprioristica del carattere necessario del legame causale possono essere ritenute valide, cosa significa il carattere di necessità di questa relazione? Ed è possibile spiegare in cosa consista la differenza tra questa necessità e la pura e semplice successione degli eventi? Si prende l’enunciato: ‘tutti i pezzi di rame si dilatano se vengono riscaldati’. Cosa s’intende dicendo che il calore causa necessariamente la dilatazione del rame? In primo luogo potrebbe essere inteso come un enunciato che asserisce una necessità di fatto: quindi che non sono esistiti pezzi di rame che non si dilatassero al calore. Ma se la necessità del legame causale viene intesa in questo modo l’enunciato (e le leggi causali) nulla dice di quei pezzi che non sono stati riscaldati o del tipo di calore. Si crede che le leggi causali asseriscano qualcosa di più della necessità di fatto. Quando un enunciato condizionale universale viene trattato come una legge di natura, si suppone che esso garantisca la verità dell’enunciato condizionale controfattuale (se quel pezzo di rame 4 Una possibilità di comprendere il carattere necessario del legame causale è stata fornita da Kant, il quale accettando, da una parte l’idea che nessuna necessità può essere messa in evidenza dall’esperienza - ciò che l’esperienza ci mostra è solo la coincidenza o la successione de facto dei fenomeni - e credendo dall’altra, che certi enunciati cui si perviene hanno un carattere di necessità, cioè non possono essere confutati dl’osservazione, Kant ha concluso che devono esistere categorie a priori dell’intelletto, le quali garantiscono il carattere di necessità di questi enunciati. Secondo lui la causalità è appunto una di queste categorie. Ciò significa che la causalità sarebbe una forma della conoscenza umana, e la necessità della relazione causale sarebbe un risultato del nostro modo di ordinare i fenomeni, piuttosto che una caratteristica propria dell’ordine del mondo. Dunque le leggi causali della scienza pura sarebbero enunciati fattuali garantiti a priori………………… ………………. 49 fosse stato riscaldato allora si sarebbe dilatato); e si dice che gli enunciati condizionali universali intesi in questo modo, asseriscano la ‘necessità nomica’.5 Alcuni hanno sostenuto che il concetto di necessità nomica non è analizzabile, ma non se ne può fare a meno, altri hanno ritenuto che fosse nulla più di che la successione, priva di eccezioni, di eventi.6 La successione regolare degli eventi è stata spiegata anche con un altro modo opposto alla causalità cioè con il finalismo; per molto tempo si è creduto che certe regolarità avessero un carattere causale, altre un carattere finalistico. Da un lato i sostenitori delle spiegazioni causali sostenevano che fosse irragionevole credere che uno stato futuro potesse determinare il corso attuale degli eventi; un conto è dire che le aspettative e le conoscenze del futuro possano determinare il nostro comportamento presente, cosa diversa è credere che siano gli stessi eventi futuri a determinare quello che stiamo facendo. D’altra parte gli oppositori della causalità indicarono processi, biologici, psicologici, sociali, che non erano spiegabili in termini di relazione causa effetto, in quanto processi aventi carattere teleologico, orientati verso uno scopo. Il finalismo (a prescindere dalla affidabilità dei concetti) fu un tentativo di spiegare quei fenomeni ai quali il causalismo non era in grado di fornire una spiegazione. Nell’ambito di tale controversia bisogna distinguere: esistono processi orientati verso uno scopo? E se esistono il finalismo è l’unico modo possibile per spiegarli? Il concetto di ‘orientamento verso uno scopo’ può essere inteso più come classificatorio che come concetto esplicativo. Tale concetto è stato usato in modi diversi, per ‘orientamento verso uno scopo’ qualche volta si è inteso, l’adattamento funzionale di un organismo o delle sue parti all’ambiente, o la capacità di anticipare con il proprio comportamento gli eventi futuri e così via. Tuttavia classificare il processo con cui si ha a che fare come un processo orientato verso uno scopo non è la stessa cosa che rispondere alla domanda: perché procede in certo modo? La disputa ottocentesca tra i sostenitori del causalimo e i sostenitori del finalismo verteva non sulla domanda se 5 Dopo Hume, che ha ridotto la necessità nomica alla necessità di fatto, cioè alla successione di eventi priva di eccezioni, questo è costantemente argomento di polemica. Nagel E.,The structure of Science (trad. it. Feltrinelli, Milano 1970) 6 Ernest Nagel ha tentato di spiegare la differenza tra necessità di fatto e necessità nomica, specificando le condizioni logiche ed epistemologiche che devono essere soddisfatte da un enunciato condizionale universale, affinchè sia possibile trattarlo come una legge scientifica. 50 esistono processi orientati verso uno scopo ma se fosse possibile spiegare i detti processi in termini di relazione causa ed effetto. Per trovare una soluzione alla controversia importante fu il nuovo approccio al problema fornito dalla cibernetica e dalla teoria generale dei sistemi.7 2.2. Alcuni problemi di spiegazione causale Solitamente quando ci si chiede quale sia la causa di un certo effetto, il problema può essere affrontato da due diversi punti di vista: il primo consiste nel trattare la causa come la condizione sufficiente (o necessaria) perché l’effetto abbia luogo. In tal caso tutti i fattori dai quali dipende l’accadere dell’effetto vengono considerati congiuntamente come la causa. Il secondo punto di vista consiste nel considerare causa uno solo dei fattori, mentre gli altri vengono chiamati <<condizioni>>. Quale di questi fattori venga trattato come causa dipende dalla situazione cui ci si trova, dal contesto dell’indagine. Così per esempio (questa è soltanto una delle possibilità) qualche volta si considera causa quel fattore la cui realizzazione ha preceduto direttamente il prodursi dell’effetto in questione. In altri casi causa e condizioni si differenziano in quanto ciò che interessa sono i fattori che dipendono dal comportamento umano (proprio questi vengono trattati come causa, mentre gli altri non sono che condizioni). Tuttavia la distinzione tra cause e condizioni avrà sempre un carattere relativo: ciò che in una determinata situazione risulta causa, in un’altra risulterà condizione e viceversa. S’immagini un giudice che indaghi su un incidente automobilistico e concluda che esso sia stato causato da un eccesso di velocità; naturalmente il giudice sa bene che se il conducente avesse guidato alla stessa velocità in circostanze diverse, l’incidente non sarebbe accaduto. Egli non cerca le condizioni sufficienti dell’incidente stradale, e la sua conclusione non va certo intesa come l’asserzione che quell’incidente deve accadere ogni volta che un conducente guidi a quella velocità. Affermando che quella è stata la causa dell’effetto dato, il giudice considera certe circostanze come date, le tratta come 7 Già nel XIX secolo Claude Bernand introdusse il termine ‘omeostasi’ per indicare quei sistemi capaci di autoregolazione, cioè in grado di conservare alcune loro caratteristiche nonostante il cambiamento delle condizioni ambientali. Così la domanda: in cosa consiste l’orientamento verso uno scopo? Potrebbe essere trasformata in: qual è il meccanismo di autoregolazione? Wiener N. Cybernetics, or control and Communication in the animal and the Machine, (trad. it. Il Saggiatore, Milano 1968) 51 condizioni e cerca quel fattore che nelle condizioni date, ha potuto produrre l’effetto. Se il medesimo incidente venisse analizzato non da un giudice, cui interessa trovare quei fattori che dipendevano dal comportamento del conducente, ma da un fabbricante di automobili, quest’ultimo potrebbe concludere, per esempio, che l’incidente è stato causato dai freni poco potenti. La distinzione tra cause e condizioni dipenderebbe dal contesto dell’indagine: il giudice, volendo trovare un responsabile dell’incidente, congiunge il concetto di responsabilità con il concetto di causalità; il fabbricante, avendo interesse a migliorare le automobili che produce, cerca la causa dell’incidente in un difetto di costruzione. Immaginiamo ora uno scienziato che cerchi una spiegazione causale di una certe specie di eventi, il suo compito non potrà essere completato fin quanto non avrà indicato tutti i fattori dai quali dipende l’accadere degli eventi da spiegare. Egli dovrà specificare la condizione sufficiente (o necessaria) dell’accadere per formulare qualche legge; e non rileva alcuna differenza tra causa e condizione. Dunque al giudice interessa trovare la causa di un evento singolo, il fatto che il giudice deve spiegare gli è dato in tutta la sua concretezza ed il suo compito consiste nell’analizzarlo per risolvere il problema della responsabilità dell’incidente: così egli parte dal presupposto che se il guidatore si fosse comportato secondo certe norme stabilite, l’incidente non avrebbe avuto luogo. Sa anche che se i freni fossero stati più potenti, la strada più agevole, il tempo migliore e così via, l’incidente non sarebbe accaduto, ma nelle circostanze date il guidatore era obbligato dalla legge a guidare con maggiore precauzione; quello che gli interessa è stabilire quali norme di comportamento sono state violate dal guidatore. Dal canto suo lo scienziato cerca una legge causale, non gli interessa spiegare un evento particolare, singolare, in quanto tale, ma spiegare tale evento in quanto elemento di una classe di eventi simili che sono accaduti in passato e possono accadere in futuro. Egli fa astrazione dalle caratteristiche e condizioni particolari di quell’evento, lo interessano solo le caratteristiche che esso ha in comune con altri della medesima classe (astraendosi lo scienziato non dovrà elencare tutti i fattori negativi che avrebbero potuto impedire l’accadere degli eventi in questione). Egli fa astrazione mentre sta costruendo quella classe di eventi che dovrà spiegare in base alla 52 legge che sta cercando. Di conseguenza ha a che fare con una situazione astratta e non con un evento singolare e concreto. Il giurista si ritiene incapace, quando cerca la causa di un particolare evento accaduto, qui ed ora, di indicarne le condizioni sufficienti; l’elenco delle condizioni positive e negative sarebbe infinito. D’altra parte se si cerca una regolarità, bisogna sapere quale sia la condizione sufficiente (o necessaria) dell’accadere degli eventi in questione, cioè degli eventi trattati come rappresentativi di quella data classe, ottenuta per astrazione. Sebbene la differenza tra le due impostazioni del problema sembri spiegare perché ci si trovi di fronte a questi diversi concetti di causa, il problema della loro validità è argomento di polemica sul carattere delle spiegazioni causali nel diritto. Hart e Honorè affermarono che il caratteristico interesse del diritto per la causalità << non è rivolto alla scoperta di connessioni tra tipi di eventi, e quindi al tentativo di formulare leggi o generalizzazioni, ma, spesso, all’applicazione di generalizzazioni già note, o accettate come vere e addirittura come banalmente evidenti, a casi particolari concreti. Per questo, e per altri aspetti, gli enunciati causali del giurista sono come enunciati singolari che,in situazioni complesse, identificano certi eventi particolari come cause, o effetti, o conseguenze, di altri eventi particolari… Per contro, nelle scienze sperimentali… il fuoco dell’attenzione è concentrato sulla scoperta di generalizzazioni e sulla costruzione di teorie>> (in Causation in the law). Si è anche detto che il concetto di causalità non è univoco, ma muta al variare del punto di vista di volta in volta prescelto da chi ha interesse ad accertare rapporti di causa ed effetto tra determinati fenomeni. L’ottica nella quale si muove lo studioso di scienze naturali è diversa da quella del giurista o del giudice, essendo differenti nell'uno e nell'altro caso gli scopi che giustificano l’indagine. Tale differenza di punti di vista non può non condizionare il rispettivo approccio al problema della causalità. Ciò è tanto più vero se si tiene conto della evoluzione delle scienze fisiche che hanno messo in crisi il tradizionale principio causale (si pensi alla meccanica dei quanti, alla teoria della relatività), sono infatti difficilmente utilizzabili in sede giudiziaria per la ragione che sono stati conseguiti mediante indagini di laboratorio, mentre nel processo penale il giudice affronta processi 53 e fenomeni della vita sociale che si iscrivono in una logica più ampia dei fenomeni naturali strettamente intesi.8 Se il concetto in esame viene di volta in volta plasmato in funzione dello specifico interesse perseguito, ne deriva che, ad esempio, nel determinare il concetto di causalità penalmente rilevante, non potrà farsi a meno di prendere le mosse dalle esigenze e finalità proprie della espressione penale, abbandonando dunque l’idea che esista un’idea di causalità valida per tutti i settori. Così di fronte al verificarsi di un evento lesivo corrispondente ad una figura criminosa, emerge l’esigenza di riconnettere tale evento (effetto) alla condotta (causa) di un determinato soggetto in modo da attribuirgli la responsabilità di averlo provocato. Da questo punto di vista la causalità funge da criterio di imputazione del fatto al soggetto: l’esistenza di un rapporto causale tra condotta ed evento comprova infatti che non solo l’azione ma lo stesso risultato esterno richiesto dalla fattispecie incriminatrice (ad es. la morte di un uomo nel caso di un omicidio) è opera dell’agente. Poiché l’ottica del giurista è quella del giudizio di responsabilità, si comprende come sul terreno giuridico vi sia l’uso di modelli di spiegazione causale meglio atti a dar conto dell’influenza dell’operare umano sulla dinamica degli accadimenti.9 La formulazione tradizionale secondo cui è causa ogni condizione dell’evento, ogni antecedente senza il quale l’evento non si sarebbe verificato, di solito viene denominata “teoria dell’equivalenza” in quanto essa parifica l’efficacia eziologica di tutti gli antecedenti necessari alla produzione dell’evento: da questo punto di vista affinché la condotta umana funga da causa, basta che essa integri una delle condizioni che conducono al risultato preso in considerazione dalla norma. Al fine di accertare il nesso di condizionamento, il criterio cui si ricorre è quello usualmente definito “procedimento 8 Per la tesi della perfetta identità tra il concetto giuridico di causalità e quello proprio delle scienze naturali, e più in genere per i problemi metodologici connessi al rapporto fra scienze naturali e scienza giuridica, di recente, Villa, Teoria della scienza giuridica e teorie delle scienze naturali, Milano, 1984 9 Il codice penale contiene una disciplina espressa del rapporto causale (artt.40 e 41 c.p.), che l’evento lesivo debba, per poter essere attribuito all’agente, rappresentare una conseguenza della condotta tipica, è un “assunto così ovvio”, che nessuno oserebbe contestarlo quale che sia l’ottica causale prescelta. Il problema sorge invece al momento di individuare i criteri atti a stabilire le condizioni in presenza delle quali è corretto asserire che sussiste il richiesto nesso di condizionamento. AA.VV., Metodologia e problemi fondamentali della riforma del codice penale, Napoli, 1981. 54 di eliminazione mentale”, cioè un’azione è condicio sine qua non di un evento, se non può essere mentalmente eliminata senza che l’evento stesso venga meno. Tuttavia tale formula è criticabile in quanto non spiega perché, in assenza dell’azione, l’evento non si sarebbe verificato, visto che proprio il ricorso al metodo dell’eliminazione mentale presuppone che il soggetto giudicante sappia in anticipo se sussistano rapporti di derivazione tra antecedenti e conseguenti di un certo tipo. La prima correzione, dunque, da apportare a tale formula sarebbe quella di rendere esplicito il fondamento sul quale poggia il procedimento di eliminazione mentale ma, è qui il limite dell’assunto giuridico, il giudice a differenza dello scienziato non deve preoccuparsi di accertare successioni regolari tra fenomeni concepiti come accadimenti ripetibili. Al massimo il giudice avrà interesse a spiegare la causa di un evento singolo particolare che si verifica hic et nunc per effetto di un’azione altrettanto unica ed irripetibile: proprio perché finalizzato a rinvenire gli antecedenti di un singolo fatto considerato in tutta la sua concretezza, come facente parte di un contesto di eventi unici e particolari; il metodo di spiegazione causale tipico del diritto (anche della storiografia) andrebbe definito “individualizzante”.10 Contro una tale impostazione si possono avanzare obiezioni. A ben vedere il fatto che A sia la causa di B, quando B accade soltanto una volta, è nel migliore dei casi, solo una descrizione di quella sequenza di eventi. E’ una spiegazione ad hoc che non può essere né confermata né confutata, poiché non possono esserci altri casi che la confermino o la infirmino. Per prospettare una spiegazione causale realmente dotata di validità, anche il giudice e lo storico, comunque si trovano costretti a far uso di qualche generalizzazione diretta ad evidenziare tratti in comune tra l’evento da spiegare e una classe di eventi simili. Da questo punto di vista, le spiegazioni prospettabili nella storiografia e nel diritto finiscono per possedere la medesima struttura logica di quelle adottate nell’ambito delle scienze naturali. L’impiego da parte del giudice del modello causale condizionalistico (un’azione può essere considerata come condizione necessaria soltanto se rientra nel novero di quelle 10 Sul punto vasta panoramica giurisprudenziale fatta da F. Bonafede, Il rapporto di causalità materiale, Torino, 1984. Ed anche P. Rossi, Lo storicismo tedesco contemporaneo, Torino, 1956. 55 azioni che, sulla base di una successione regolare conforme ad una legge dotata di validità scientifica, producono eventi del tipo di quello verificatosi in concreto) l’impiego di tale modello presuppone che il giudice possa disporre di conoscenze nomologiche adeguate ai fini di un accertamento scientificamente valido del nesso di causalità. La concezione della causalità come teoria “condizionalistica” esprime un punto di vista. Come è possibile in genere una spiegazione causale di un fatto individuale poiché già una descrizione anche della più piccola sezione di realtà non può mai essere esaustiva? 56 2.4. Il concetto sociologico di efficacia Nei paragrafi successivi si proverà a tracciare un profilo del concetto di efficacia, oggetto di considerazioni della sociologia del diritto. Con il proliferare dell’attività legislativa, la Sociologia del Diritto ha spostato il proprio interesse dallo studio delle problematiche relative all’origine delle norme giuridiche, all’accertamento degli effetti e della verifica dell’efficacia delle leggi emanate. Tale interesse si è rivolto principalmente alla law in action, cioè al tentativo di chiarire se e in che misura le norme siano osservate dai destinatari e siano applicate dall’apparato giuridico. Ciò che è stato definito come descrizione di azioni o di posizioni giuridiche, relative alla norma.10 Il problema prioritario è appunto se una norma, di cui sia stata affermata la validità, sia anche efficace. Ci si chiede, infatti, se un divieto di legge sia anche di fatto osservato dalla gente o se in caso di inottemperanza sia fatto valere dai tribunali.11 Occorre preliminarmente chiarire che sebbene i giuristi e i teorici del diritto si occupano principalmente di validità di norme e i sociologi di efficacia delle norme, in realtà anche i sociologi fanno affermazioni sulla validità e i teorici guardano anche all’efficacia. Spesso chi parla di validità delle norme, intende riferirsi alla loro efficacia. Abbiamo già visto la variante specificamente giuridica dell’efficacia (per cui efficace si dice ad es. di un accordo quando è valido, quando sono adempiute le condizioni istitutive; mentre è inefficace quando in senso giuridico gli accordi, pur producendo 10 Ciò che si cela dietro questa definizione è il tentativo di accertare se una azione disciplinata giuridicamente sia o non sia effettivamente eseguita. Ovvero ci si astiene effettivamente dall’azione proibita? L’azione prescritta viene eseguita? Le autorizzazioni sono esercitate? Ciò che si intende dire può essere chiarito sull’esempio della struttura delle norme penali. Nelle norme del diritto penale, di solito, al verificarsi di una fattispecie (A) si collega l’ordine che il giudice debba disporre una più o meno determinata conseguenza giuridica O (B). Alla base di questa norma penale, c’è un’altra norma, nella quale è vietato il comportamento A. Ora le domande cui occorre dare una risposta empirica sono: se A sussista nonostante il divieto; se, posto che sia compiuto A, venga effettivamente disposto anche B, ovvero si realizzi la conseguenza giuridica prescritta – sanzione. Per rispondere a questa domanda, i sociologi si servono di determinati elementi delle norme giuridiche, ossia delle parti descrittive A e B. Quando ci riferiamo a delle norme, ci riferiamo ai loro elementi utilizzabili sul piano descrittivo (non si dirà mai che x è un dirigente eccezionale, ma la questione sarà piuttosto se, le condizioni che qualcuno deve avere adempiuto per ottenere una certa posizione giuridica, siano operazionabili a livello empirico, cioè verificabili intersoggettivamente. Neil MacCormick; Hubert Rottleuthner. 11 Questa domande sono alla base della distinzione operata dai realisti del diritto americani, tra law in the books e law in action. 57 effetti causali non recano con sé effetti giuridici) e proveremo ora a tracciare una variante empirico-causale della efficacia. Kelsen ha sottolineato la dicotomia di validità ed efficacia. Il rapporto tra validità ed efficacia può risultare dal fatto che una certa misura di efficacia è posta come condizione per la validità di una norma12. La norma fondamentale di Kelsen contiene una ulteriore condizione per la validità di un intero ordinamento giuridico: che essa sia stata effettivamente statuita. Cioè se una costituzione è effettivamente statuita, e se è efficace – ossia <<le norme prodotte in conformità alle sue disposizioni sono a grandi linee applicate e osservate>> - allora ci si deve comportare in modo conforme alla costituzione, all’ordinamento giuridico, cioè <<l’ordinamento giuridico è in vigore>>13. Kelsen ha più volte asserito che fissazione effettiva ed efficacia non sono il motivo della validità, bensì condizioni di validità <<il fondamento della validità di una norma può essere solo la validità di un’altra norma>>. Comunque Kelsen parla già di una norma vigente anche prima che esista un singolo caso di applicazione ed osservanza della stessa, poiché la fissazione è sufficiente! La mancanza di efficacia, in seguito, può confutare la precedente presunzione di validità. Qui si pone, però, il problema di indicare in quale misura debbano essere efficaci le norme, affinché si possa attribuire loro validità. O meglio quale grado di inefficacia deve essere raggiunto, per negare la validità di una norma e chi giudica in proposito? Partendo dal concetto di legalità e dai diritti individuali naturali, Habermas ha così spiegato la “modalità di validità” che attiene al diritto. 12 ..“Poiché la validità della norma è un dover essere (Sollen) non un essere, la validità della norma deve essere distinta anche dalla sua efficacia, ossia dal fatto, che rientra nella sfera dell’essere, di essere effettivamente applicata e osservata, dal fatto che si verifichi in concreto un comportamento umano conforme alla norma. Dire che una norma è valida significa qualcosa di diverso dal fatto di essere effettivamente applicata e osservata; sebbene tra validità ed efficacia vi possa essere un certo rapporto. Una norma giuridica viene considerata oggettivamente valida solo quando il comportamento umano da essa regolato le è effettivamente conforme, almeno in certa misura. Una norma non applicata né osservata in alcun tempo e in alcun luogo, ovvero una norma che – come si suol dire – non sia in certa misura efficace, non è considerata una norma giuridica valida. Un minimo di cosiddetta efficacia è condizione per la sua validità”. H. Kelsen, Eine Grundlegung der Rechtssoziologie, in “Archiv fur Sozialwissenschaft und Sozialpolitik, XXXIX. 13 L. Nelson: “ … Il fondamento della validità di una legge, se mai ve n’è uno, può consistere solo in una altra legge e mai in una volontà”. Si cerca talvolta di chiarire la differenza tra fondamento di validità e condizione di validità attraverso l’impiego di formulazioni di <perché> e di <se>. “Le norme di un ordinamento giuridico positivo sono in vigore perché la norma fondamentale, che costituisce la regola fondamentale per la loro produzione, viene presupposta come valida, e non perché esse stesse sono efficaci, ma esse sono vigenti solo se, cioè solo finché, questo ordinamento giuridico è efficace. 58 Il passaggio dal diritto naturale al diritto positivo ha fatto sì, che l’uso della forza, monopolizzata dallo Stato, e non più messa in atto direttamente dagli individui, si trasformasse in una facoltà alla azione giudiziaria. Mentre nelle istituzioni arcaiche la fattualità e validità giuridica erano sottratte ad ogni discussione dal potere coercitivo, ora nella dimensione della validità giuridica, la fattualità e la validità si intrecciano. Ossia la fattualità dell’imposizione statale del diritto si interseca con la forza legittimante del procedimento, di produzione giuridica, che garantisce libertà. Questo rapporto fattualità/validità appare come il nesso interno stabilito dal diritto tra coercizione e libertà. Ossia la coercizione autorizzata dal diritto si giustifica in quanto posta a tutela della libertà di ciascuno contro ogni violazione della libertà medesima. La validità del diritto finisce dunque per essere espressione di un “accordo” tra il libero arbitrio di ciascuno. Come diceva Kant la legalità del comportamento, intesa quale <<puro accordo di un’azione con la legge>>, può anche essere ottenuta tramite coercizione. Le regole giuridiche dunque stabiliscono le condizioni coercitive <<per mezzo delle quali l’arbitrio dell’uno può accordarsi con l’arbitrio di un altro, secondo una legge universale della libertà>>. Tuttavia l’integrazione sociale data dall’unione dell’arbitrio di tutti, è possibile solo sulla base di regole normative valide, ossia di regole riconosciute dai destinatari della norma stessa. Il paradosso dato da regole coercitive che necessitano di riconoscimento, viene risolto da Kant con il concetto di legalità. Nel dualismo coercizione /libertà della validità giuridica, viene definito “diritto” tutto ciò che trae forza giuridica dalla correttezza delle procedure di statuizione. La validità sociale delle norme giuridiche è determinata dalla misura in cui esse si impongono e dalla accettazione che ne fanno gli individui. La legittimità delle leggi dipende dal fatto di essere formate attraverso un procedimento legislativo razionale. La legittimità di una regola è dunque indipendente dalla sua fattuale imposizione nella realtà. Questo duplice riferirsi della validità giuridica, alla fattualità commisurata all’osservanza delle norme, da un lato, e alla legittimità della pretesa di 59 riconoscimento normativo, dall’altra, lascia ai consociati la libertà di assumere un atteggiamento ora oggettivante, ora performativo nei confronti della medesima norma. A seconda di quale prospettiva si sceglie, la norma si collegherà altrimenti alla situazione. Ora la caratteristica della norma giuridica sta proprio nel fatto che la sua validità ideale garantisce, sia la legalità di comportamento, ossia l’obbedienza (coercibile mediante sanzioni), sia la legittimità della regola. Per spiegare il formarsi ed il perdurare dei modelli di comportamento, Durkheim ipotizzò un orientamento ed un consenso sui valori, intersoggettivamente riconosciuti, da parte degli interessati. Senza tuttavia spiegare come gli attori possano essere obbligati dalle norme e realizzare i corrispondenti valori. Ciò che Parsons chiama processo di interiorizzazione, cioè i destinatari della norma saranno sufficientemente motivati ad obbedire solo se avranno interiorizzato i valori che le norme stesse incarnano. La tesi di Habermas è che le norme giuridiche e le norme morali, dopo essersi simultaneamente differenziate dall’eticità tradizionale, si sviluppino parallelamente come due tipi di norme d’azione diverse e tuttavia capaci di integrarsi a vicenda. L’indeterminatezza cognitiva viene assorbita dalla attualità della produzione giuridica. È il legislatore che decide quali norme debbano valere come legge, e sono i tribunali ad applicare ed interpretare norme valide. In tal modo il sistema giuridico toglie agli individui, destinatari delle norme, il potere di definire criteri per stabilire il giusto e l’ingiusto. Orbene lo studio dell’efficacia non si limita ad accertare se, e in che misura, una norma sia osservata, applicata, eseguita, ma piuttosto si chiede perchè delle norme siano rispettivamente efficaci o inefficaci, ed analizza non solo le condizioni dell’efficacia, ma anche gli effetti di un comportamento conforme o non conforme, ai diversi livelli dell’osservanza, dell’applicazione e dell’esecuzione. Interrogarsi sulle condizioni dell’efficacia, significa ricercare una teoria del comportamento conforme o deviante (si sono sviluppate molte teorie sulla criminalità, al fine di spiegare fenomeni di comportamento deviante), ma dallo studio dell’efficacia dovremmo aspettarci una teoria generale che consenta di spiegare sia il comportamento conforme, sia quello deviante. 60 La emanazione delle norme può essere intesa come una condizione necessaria affinché le medesime norme possano essere osservate o violate, tuttavia tra una norma e la loro osservanza non sussiste una relazione causale, ma al massimo una “corrispondenza”, e la circostanza che un comportamento corrisponda ad una norma non significa ancora che tale norma sia efficace. Secondo Geiger infatti agire in effettivo accordo con la norma non significa necessariamente osservare la norma14. Così come una rilevante devianza dalla norma non dimostra che la legge sia stata ininfluente, né l’osservanza delle prescrizioni rappresenta una prova sicura dell’efficacia della legge.15 Una teoria dell’efficacia dovrà avere come oggetto oltre al comportamento degli individui anche quello dell’apparato giudiziario, l’applicazione, l’esecuzione o non, da parte degli organi competenti. Una siffatta teoria dovrebbe spiegare come si giunge a determinati modi di comportamento, ma anche consentire delle previsioni. Diventa dunque fondamentale analizzare e comprendere gli effetti del comportamento conforme o deviante e dell’uso del diritto a tutti i livelli. La distinzione tra l’ottemperanza ad una norma e l’effetto di tale ottemperanza è molto importante per constatare l’efficienza di una legge, non basta infatti individuare la misura in cui la norma è osservata, spesso la stessa osservanza costituisce solo una condizione necessaria affinché si attuino gli obiettivi auspicati dal legislatore. Ad esempio una legge che regoli l’eccesso di velocità in strada non ha come obiettivo che la gente non viaggi ad alte velocità, ma lo scopo sarà piuttosto la sicurezza nel traffico stradale, che si potrebbe misurare non tanto con l’ottemperanza al limite di velocità posto, ma con il numero di incidenti e feriti in un certo arco temporale. Così ancora nell’ambito dell’istruzione, non è certo l’osservanza dei programmi didattici lo scopo ultimo del legislatore, quanto il raggiungimento del livello di istruzione prefissato. 14 T. Geiger, distingue tra una proposizione di norma meramente dichiarativa ed norma proclamativa con cui viene creata una norma che prima non esisteva. Geiger usa l’espressione “proposizione di norma” per designare ciò che altri chiamano “formulazione di norma”. (Rottleuthner; Kutschera; Wright ). Kelsen parla, nel caso di norme giuridiche, di proposizioni di diritto; ma per “proposizioni di diritto” intendeva, già nella sua controversia con Ehrlich, appunto formulazioni codificate di norme giuridiche. 15 Vilhelm Aubert nell’immediato dopoguerra analizzò gli effetti sociali della legislazione sul controllo dei prezzi e successivamente quelli sulla legge delle lavoratrici domestiche. In entrambe i contributi fu messo in luce che la legge in certi casi “funziona perché i suoi fini espliciti sono realizzati, in altri gli obiettivi sono raggiunti solo in piccola parte o per nulla affatto, ma l’istituzione continua ad esistere perché produce altre conseguenze che la tengono in vita (funzione latente), in casi estremi <<le leggi disapplicate possono avere una funzione sociale che è quella di prevenire seri conflitti fra parti ideologicamente in contrasto, facendo a ciascuna di esse delle concessioni, una parte essendo soddisfatta della promulgazione della legge, l’altra della sua mancata applicazione.>>. Vilhelm Aubert, Alcune funzioni sociali della legislazione, “Quaderni di sociologia”, 1965. 61 Posto allora che il sociologo precisa concetti di per sé tanto vaghi come “sicurezza stradale” o “livello di istruzione”, diventa inevitabile inserire delle “valutazioni” nelle ricerche sull’efficacia, cosicché lo studio sociologico dell’efficacia orienterà il proprio interesse sulle “funzioni obiettive” delle azioni e sugli effetti anche non intenzionali. Non si tratta solo di accertare che la norma sia stata ottemperata e che gli effetti voluti dal legislatore o dall’apparato giuridico si siano realizzati, ma anche di vedere se l’osservanza conduca a conseguenze di cui essi non avevano tenuto conto16. Così ad esempio le leggi di tutela in materia di diritto del lavoro, il rafforzamento della tutela contro i licenziamenti, ha generato una minore fluttuazione delle assunzioni, ed un aumento delle assunzioni “in nero”; così come le norme a tutela di determinati gruppi di persone (disabili, donne incinte) hanno avuto come conseguenza un aumento di difficoltà nell’assunzione di dette persone. Tuttavia lo studio tradizionale dell’efficacia si è concentrato sul rapporto tra divieti/prescrizioni/autorizzazione delle leggi, loro osservanza, eventuale applicazione del diritto in sede giudiziale ed esecuzione coercitiva. Si potrebbe illustrare tale studio tradizionale con il seguente schema: _________ corrispondenza_________ Formulazione di norma da parte del legislatore o dell’apparato giuridico Effetti colla obiettivi auspicati → T 1 →→ Osservanza/non → osservanza, uso del diritto Destinatari: - legislatore - apparato giuridico - consociati →T2 Effetti dell’osservanza/non osservanza, dell’uso del diritto effetti collaterali - indesiderati - non intenzionali T1: Teoria che contiene le condizioni del comportamento conforme/deviante e dell’uso del diritto. T2: Teoria sugli effetti del comportamento conforme/deviante e dell’uso del diritto (Rottleuthner). 16 Un esempio quasi divertente è stato il Sex Discrimination Act, inglese, secondo il quale gli annunci di offerte di lavoro non potevano essere pubblicati specificando il sesso. Pertanto in osservanza rigorosa a tale prescrizione, una impresa di costruzioni pubblicò questo annuncio: “In omaggio alla legge per la parità dei diritti tutti i posti liberi di muratore saranno ora disponibili in egual modo a uomini e donne. Gli aspiranti dovranno avere una circonferenza toracica di almeno 38 pollici (cm. 96,25 ) ed essere disposti d’estate a spogliarsi fino alla vita”. 62 È importante, preliminarmente, fare alcune distinzioni al fine di meglio interpretare le differenze tra la validità e l’efficacia. Quando si dice <<la norma x è in vigore>> , si potrebbe intendere che sono state adempiute le condizioni di validità (concetto tecnico giuridico di validità); o che la norma deve essere applicata ed osservata, o ancora che la norma viene di fatto applicata/osservata (concetto ontologico di validità). In realtà con gli enunciati linguistici possiamo fare cose estremamente diverse. Se diciamo: “è proibito viaggiare in autostrada ad una velocità maggiore di 130 km/h”, dalla sola frase non possiamo arguire come essa vada intesa. È importante allora la distinzione tra un impiego informativo ed uno imperativo, ossia tra proposizioni di norma giuridica, nel primo caso e formulazioni di norma giuridica, nel secondo caso. Con formulazioni di norma intendiamo ciò che si enuncia quando si ordina, si vieta, si concede, si dà in facoltà ecc., che tuttavia non va confuso con il fatto dell’enunciare (anche Kelsen distingueva tra atto volitivo che pone la norma e senso di questo atto volitivo). Con le formulazioni di norme non si descrive nulla, né si esprime alcuna circostanza di fatto normativa in qualche modo esistente (con la frase la neve è bianca, si può descrivere la circostanza di fatto che la neve è bianca), le formulazioni di norme non sono capaci di verità. Geiger distingue tra una proposizione di norma meramente dichiarativa ed una proclamativa con cui viene creata una norma che prima non esisteva. Geiger usa l’espressione “proposizione di norma per designare ciò che altri chiamano “formulazioni di norma”. Con la proposizione di norma si vuole informare sulla situazione del diritto. Con essa si afferma che una norma giuridica è in vigore, nel senso che determinate condizioni sono adempiute da colui che enuncia la norma stessa. In tal senso queste proposizioni sono capaci di verità. Sono vere, quando la norma giuridica affermata esiste, ossia è vigente17. Tuttavia proposizioni e formulazioni di norme solo di rado si possono identificare in base alle espressioni in esse usate, queste vengono distinte in base alle espressioni in esse usate; si distinguono quanto alla loro funzione allocutiva, per usare il termine di Austin; ossia riguardo alla funzione che un enunciato ha convenzionalmente, riguardo a ciò che si fa con un enunciato. Per individuare, nel caso concreto, se si tratti di una proposizione o di una formulazione di norma, si dovrà considerare il “contesto” di un enunciato. Ciò potrebbe riferirsi alla situazione e a coloro che vi 17 Kelsen parla, nel caso di norme giuridiche, di “ proposizioni di diritto” intendendo appunto formulazioni codificate di norme giuridiche. 63 sono interessati. Ross fa riferimento al ruolo di colui che fa l’enunciazione, a cui si potrebbe aggiungere la natura delle relazioni tra gli interagenti. Infatti di fronte a colui che infrange la norma vi è differenza se la frase: “qui è vietato parcheggiare”, viene pronunciata da un poliziotto o da un amico18. Nel contesto generale rientra anche il contesto linguistico, ossia le frasi che seguono o eventualmente precedono l’affermazione in questione. Talvolta il senso di come vada intesa la frase, risulta dalla frase stessa, Austin parla di enunciati esplicitamente performativi. Si tratta di enunciati in cui vengono usati determinati verbi che rendono esplicita la funzione allocutiva dell’enunciato ( verbi come prometto, giuro, vieto di.., concedo di.. ). Austin definisce “allocutiva” la funzione che un enunciato ha di consueto (informare, descrivere, constatare, pregare, ordinare); usa invece il termine “perlocutiva” riferendosi agli effetti che un enunciato ha sul destinatario. Ebbene con una proposizione di norma si può informare qualcuno sulla situazione del diritto, ma se questi poi ne venga effettivamente portato a conoscenza, dipende da altri numerosi fattori, oltre che dalla enunciazione della proposizione. Con una formulazione di norma posso prescrivere, vietare, permettere a qualcuno un determinato comportamento, ma se ciò lo induca effettivamente a comportamenti conformi alla norma, resta questione tuttora aperta. E appunto queste connessioni empiriche esistenti tra la formulazione, la fissazione di una norma giuridica e la sua osservanza effettiva, costituiscono il problema dell’efficacia del diritto. L’essere informati sulla situazione del diritto, in quanto risultato dell’enunciazione di una proposizione di norma, non induce necessariamente a comportamenti conformi. Il punto centrale dell’osservazione si sposta così sull’aspetto perlocutivo degli enunciati: quali effetti essi provochino nel destinatario, nelle sue azioni e nelle sue idee. Geiger si è occupato della questione se le idee sull’obbligatorietà di una norma il contenuto delle idee, siano semplicemente delle riflessioni metafisiche o se invece a queste idee corrisponda davvero qualcosa di reale. Egli si chiede quale sia il contenuto di realtà dell’idea di una norma vincolante, ed adotta la formula: (s→g)v per rappresentare una norma vincolante (dove s = situazione tipica della norma, g = comportamento), adottando tale formula il contenuto di realtà non può consistere 18 Ross distingue tre categorie: 1) comando d’autorità (formulazione di norma); 2) information about the existence of a certain regulation (proposizione di norma), che però si riduce ad asserzioni sull’atteggiamento dell’apparato giuridico e soprattutto dei giudici; 3) esortazioni disinteressate, nelle quali chi enuncia non ha alcun interesse all’osservanza della norma, ma la enuncia solo per rispetto verso la norma come tale. 64 soltanto nel fatto che nella situazione tipica della norma si mostri di fatto il comportamento: s→g. Se infatti si mostrasse un comportamento deviante g̅ , ciò farebbe diventare la norma non vincolante. Ma l’inosservanza della norma non annulla la sua obbligatorietà. Se si verifica g̅ , allora il contenuto di realtà della norma potrebbe consistere nel subentrare di una reazione (r). Geiger quindi interpreta l’obbligatorietà (v) di una norma con il riferimento ad un concreto effetto alternativo. v= s →│ g dove A = l’agente rispetto ad altri imprecisati Ac = l’agente A deviante Ώ = i gruppi che sanzionano Tuttavia un comportamento deviante g̅ non sempre è seguito dalla sanzione (r), ciò perché g̅ potrebbe non essere scoperto, o il deviante potrebbe sottrarsi al procedimento, o l’apparato giuridico potrebbe non essere interessato ad un procedimento punitivo. In tal caso si dovrà modificare v: una morma può essere più omeno vincolante. Il carattere vincolante di una norma sarebbe una grandezza misurabile, ossia come “intensità” della norma. La norma in ogni caso è vincolante in grado limitato sul piano numerico. Con l’introduzione di questo concetto comparativo o meglio quantitativo di obbligatorietà, Geiger lascia l’uso linguistico dei giuristi. I giuristi infatti usano un concetto nominale (qualificativo, classificatorio) di obbligatorietà o validità: una norma vige o no vige; deve essere osservata oppure no; ma non può essere più o meno adempiuta, magari all’80%. Geiger non esplica in tal modo il concetto giuridico di obbligatorietà ma fornisce al giurista e al teorico del diritto informazioni sulla misura in cui realizzata una delle condizioni di validità, ossia l’efficacia della norma. Tuttavia con questo non si è ancora risposto alla domanda sul perdurare del vigore della norma. Rimane infatti da stabilire quale sia il limite oltre il quale una norma vada considerata tanto inefficace da poter essere trattata ( bisognerà stabilire poi da chi) come non più vigente. La proposta di Geiger di un concetto comparativo di obbligatorietà potrebbe non essere soddisfacente per il giurista ma appare utile per il sociologo del diritto che studia l’efficacia. Geiger infatti definisce l’obbligatorietà di una norma come. 65 v = e/s dove e = quoziente di efficacia; s = il numero complessivo di casi in cui i destinatari della norma si trovano attualmente in situazioni tipiche delle norma. Il quoziente di efficacia (e) si calcola secondo Geiger cosi: e = (s→bg) +[(s→cg̅ ) → r] dove b designa il numero di comportamenti conformi (g), c il numero di comportamenti non conformi (g̅ ). Una delle obiezioni che è stata mossa alla concezione di Geiger è ad esempio il fatto che le norme sono sempre formulate da Geiger come prescrizioni, per cui la sua formula (s→g)v corrisponde a quella logica delle norme A → O(B). Per cui “autorizzazione” per Geiger è mancanza di una norma. Ma in tal modo come si determinerebbe l’efficacia dei divieti? Probabilmente in Geiger un divieto avrebbe la seguente formula (s→g̅)v; ma allora g sarebbe l’infrazione del divieto. E tuttavia come accerto quando spesso si verifichi g̅ ? oppure limitandosi a prescrizioni: quante volte io oggi ho eseguito l’azione prescritta ( non rubare)? Quante volte sarebbe b in questo caso? Secondo gli oppositori di Geiger, egli lascerebbe nel vago che cosa si debba intendere per “situazione tipica della norma” (s), poiché secondo Geiger formulerebbe le norme in linea di massima come prescrizioni condizionali. Nella situazione s (ovvero alla condizione che sussistano le caratteristiche della situazione s ) è prescritto g, ma quale sarebbe la situazione “tipica” della norma che prescrive di non rubare? Forse la situazione in cui qualcuno ha già concepito il proposito di rubare qualcosa e poi vi ha rinunciato? In buona sostanza la possibilità di individuare quanto spesso si agisca o ci si astenga dall’agire, dipende dalla possibilità di determinare s. E così s entra nel calcolo di v. In tal modo il problema che si pone è che solo le norme giuridiche destinate all’apparato giuridico hanno la struttura esplicita di norme condizionali, mentre saranno escluse le norme destinate ai consociati (che sono alla base) delle norme di diritto penale. Come viene allora calcolato il quoziente di efficacia? Nella seguente formula: e = (s→bg) +[(s→cg̅ ) → r] le frecce vanno interpretate come indicazioni di calcolo, addizionando b+c, si otterrebbe sempre la cifra che esprime s (qui Geiger presuppone che vi siano solo comportamenti conformi e non conformi, e non invece comportamenti più o meno conformi!), forse andrebbero piuttosto addizionati b e la cifra delle reazioni verificatesi, che viene indicata con d. Ad esempio: 66 100 s → | →80g |→20 g̅ → 15 r b = 80 c = 20 d = 15 Per mezzo del numero di s si standardizza v, di modo che v oscillerà tra 0 e 1. Nel nostro caso: v = e/s = 95/100. Geiger comprende in e l’efficacia di due norme. Egli dapprima parla di “nucleo della norma” (s→g)v, e della norma in cui rientra la reeazione ® in caso di g̅ . Poi egli distingue tra norme di azione e norme di reazione, ma l’addizione dell’efficacia delle due norme conduce a un’interpretazione errata. Se infatti all’esempio di calcolo fatto sopra contrapponiamo il seguente: 100 s → | → 50 g |→ 50 g̅ → 48 r e = 98, v = 98/100 risulta bensì, sul piano del calcolo un più alto grado di obbligatorietà. Ma forse ciò corrisponde propriamente al nostro modo di intendere l’efficacia di una norma. In questi esempi infatti è presente in misura notevole la reazione contro i comportamenti devianti, ma l’osservanza della norma di azione è piuttosto scarsa. Secondo Kelsen il caso ideale di efficacia è quello in cui la norma non ha affatto bisogno di essere applicata dall’autorità giudiziaria. Con le variabili s e g, g e r, come anche con la loro negazione si possono formare otto combinazioni non tutte considerate da Geiger. Combinando infatti, sarebbero possibili: s →g = efficacia della norma di azione; s → g̅ = inefficacia della norma di azione; s̄ → g = iperconformità s̄ → g̅ = efficacia della norma di azione; s → r = giudizio errato; g̅ → r = efficacia della norma di reazione; g → ̅r = (corretto) non procedimento in caso di comportamento conforme; g̅ → r̅ = inefficacia della norma di reazione (comportamenti devianti non rilevati, scarsa intensità di procedimento, selettività, ecc). 67 Questo ultimo caso è preso in considerazione da Geiger nell’indicazione delle tre possibilità: s →[→ g [→ ḡ → r [→ ḡ → r̄ → r L’ultima riga va interpretata nel senso che una istanza dell’apparato giuridico non abbia comminato una sanzione e che ciò sia stato fatto successivamente da altra istanza. Quindi come g è prescritto solo se sussiste s, così anche r è prescritta solo se sussiste g. L’inosservanza di queste prescrizioni ha come conseguenza che s >g, ḡ>r; ma può essere anche il fatto che a g segua una sanzione (illegale). Il quoziente di efficacia proposto da Geiger ed il suo concetto quantitativo di obbligatorietà, per quanto singolare, in realtà non hanno mai trovato impiego nella ricerca sociologica del diritto, impossibile infatti determinare la struttura e l’efficacia delle norme di diritto privato con il calcolo di Geiger. 19 . Dal tentativo di Geiger è emerso chiaramente che l’efficacia può essere constatata in relazione al comportamento di diversi gruppi. Infatti sono state definite efficaci norme riconosciute o osservate in larga misura nella popolazione, tra i consociati. Ma sono state considerate efficaci delle norme anche quando l’apparato giuridico sanziona in larga misura il comportamento deviante, quindi quando applica le norme punitive previste in tal caso. Tuttavia la mera applicazione di queste norme non è sufficiente: sentenze giudiziarie, atti amministrativi ecc. devono essere anche eseguiti o attuati. Diventa dunque importante distinguere i diversi livelli dei possibili destinatari della norma, e precisare di volta in volta in base a cosa si misura l’efficacia ai diversi livelli. Tenendo altresì conto delle differenze strutturali in singoli ambiti del diritto (distinzione tra norme di diritto penale, privato, pubblico). Nella questione dei destinatari delle norme giuridiche è sorta una certa confusione terminologica, le varie espressioni sinonime si potrebbero così raggruppare al fine di evitare usi linguistici impropri ed avere quindi più chiara la visione del problema 19 Sempre più spesso i sociologi del diritto vengono incaricati di indagare sull’efficacia di leggi, già esistenti o da poco emanate. Così lo studio dell’efficacia diventa il più importante collegamento tra la sociologia del diritto e la prassi legislativa. Tuttavia le leggi non vengono emanate solo per produrre degli effetti identificabili e auspicati. Le leggi, in particolare quelle in materia di diritto penale, vengono emanate anche per la loro funzione simbolica, servono cioè alla dichiarazione di fondamentali concezioni di valore, qualunque possa essere la loro efficacia. “La legge non è solo strumento di guida dei processi sociali secondo le conoscenze e le prognosi sociologiche, è anche espressione permanente di una valutazione etico-sociale e, di conseguenza, giuridica delle azioni umane; essa deve dire che cosa è diritto e che cosa è contro il diritto per il singolo”. T. Eckhoff – N.K. Sundby, The Notion Basic Norms in Jurisprudence, in “Scandinavian Studies in Law., XIX (1975). 68 effettivo, ossia chi sono coloro in base al cui comportamento accertare l’efficacia di un certo tipo di norma. Le norme che riguardano il comportamento dei consociati vengono definite: norme di comportamento (Geiger); norme secondarie (Kelsen); norme primarie (Blankenburg); law of order and maintenance (Malinowski); norme di osservanza (Garrn). I termini usati per designare le norme destinate all’apparato giuridico sono: norme di decisione (Ehrlich); norme di reazione (Geiger); norme primarie (Kelsen); norme secondarie (Blankenburg); law of correction, retribution, restitution, the mechanism of law when breach occurs (Malinowski); norme di applicazione (Garrn). L’efficacia delle norme è stata per lo più analizzata in riferimento alle norme di diritto penale o comunque norme condizionali, nelle quali il realizzarsi delle condizioni (ossia un comportamento contrario alla norma) deve comportare la reazione dell’apparato giuridico. Ma tale schema sembrerebbe poco utile nell’ambito del diritto privato, o comunque lo è solo nella misura in cui si tratti di divieti di legge che comportino, per esempio, l’inefficacia di un accordo o riguardino regolamentazioni del risarcimento dei danni. E verrebbe comunque tralasciato tutto l’ambito dell’amministrazione delle prestazioni dove si cerca appunto, con prestazioni positive, e non solo con sanzioni negative, di conseguire un obiettivo auspicato, senza che debbano sussistere chiare condizioni come presupposto per tali prestazioni. In materia di diritto privato si potrebbe parlare di efficacia nella misura in cui viene effettivamente fatto uso delle norme di regolamentazione (ad esempio quante volte vengono conclusi validi contratti di vendita). Le regole del diritto privato infatti contengono in gran parte esplicite autorizzazioni a stabilire determinate situazioni giuridiche (concludere contratti, avere, acquistare e trasferire proprietà, regolare il regime dei beni matrimoniali, dare disposizioni testamentarie, ecc.), consideriamo che di queste esplicite autorizzazioni non è obbligatorio farne uso, ma se si vuole fare uso occorre osservare determinate regole, realizzare determinati presupposti, affinché abbia luogo la situazione giuridica desiderata. Queste sono quelle regole istitutive che si riferiscono, per esempio, a come viene in essere un contratto valido, come avviene un passaggio di proprietà, quali requisiti dovrà avere un valido testamento. Quando la situazione giuridica desiderata è stabilita ciò comporta precise conseguenze giuridiche che sono fissate in norme consequenziali (determinati diritti di disporre della proprietà, obblighi di prestazione in negozi giuridici bilaterali ecc.). 69 Nel caso vi siano alternative di regolamentazione si dovrebbe allora confrontare l’efficacia delle singole possibilità. In questi casi l’efficacia si potrebbe misurare a seconda se gli accordi (qualora conclusi in modo valido) siano poi anche effettivamente realizzati dagli interessati; o se in caso di mancato adempimento, tali accordi siano attuati in via giudiziale; siamo così ritornati al livello dell’apparato giuridico. Inoltre occorrerebbe tenere conto che nel diritto privato non si deve necessariamente fare uso delle offerte legali di regolamentazione, poiché le disposizioni di legge possono anche essere escluse da regolamentazioni di natura autonomo-privata. E quindi ai fini della efficacia non si tratterrà di accertare solo se vengono conclusi contratti d’acquisto conformi al codice e quanti, ma se e quante regolamentazioni del codice vengano escluse. L’efficacia allora delle “regolamentazioni legali” potrebbe essere determinata dalla proporzione di esse rispetto ad accordi che le escludono. Si potrebbe poi verificare l’efficacia degli accordi autonomi-privati nel senso già noto, se cioè siano stati liberamente rispettati, o in caso di necessità, possano essere attuati in via giudiziale. 20 20 Nella controversia Elsen/Kelsen, quest’ultimo ha sostenuto che solo i divieti o le prescrizioni possano dar luogo a degli effetti, ma non le autorizzazioni. La salvaguardia di una determinata posizione giuridica, l’esclusione di regole, non rappresenterebbe né violazione, né un’osservanza di norme giuridiche e non sarebbe perciò in alcun modo oggetto della sociologia del diritto, che potrebbe occuparsi solo degli “effetti “ di norme giuridiche. In realtà come sociologi non si potrà accettare tale limitazione, bensì si terrà in considerazione ogni comportamento che possa configurarsi come corrispondente o non corrispondente alle norme di diritto. 70 2.4. Il contributo di Theodor GEIGER. Il dibattito svolto in Italia in tema di copertura amministrativa, di inapplicabilità e fattibilità amministrativa, delle leggi1 ha spinto alla ricerca di descrizioni empiriche, nonché a formulare proposte operative, atte a superare la contemporanea situazione di inefficienza degli apparati, speculare rispetto ad una produzione legislativa sconcertante per la sua indifferenza all'esito delle prescrizioni che emana, e atta a non perdere di vista i possibili modelli teorici di valutazione della situazione stessa. I sociologi del diritto, per definizione competenti in tema di efficacia delle norme giuridiche, hanno in effetti poco teorizzato in materia, presi, fino a Weber, da problemi di rapporto diritto-morale-comportamento individuale, e disattenti alla sempre più autonoma mediazione e interazione tra legislazione, società, individui - degli apparati pubblici. Tra i contributi più significativi a riguardo vanno menzionati quello di M. Weber in tema di burocrazia e quello di T. Geiger in tema di effettività delle norme. Per quanto riguarda l’efficacia del diritto, il problema non si pone esplicitamente in M.Weber, attento principalmente, più che alle vicende microsociologiche del diritto, agli aspetti macrosociologici dell’agire sociale,2 alla modellistica .comportamentistica complessiva, alla tipologia giuridica delle società globali, senza toccare i problemi della sociologia sistematica del diritto,e della tipologia giuridica dei gruppi particolari 3. Il contributo weberiano alla teoria sociologica del diritto sembra risentire in modo particolare dell'impegno storiografico dello studioso, avversario degli schemi deterministico-evolutivi e teso alla costruzione di concetti, tipi o-modelli socio-storici e di teorie della trasformazione storica di lungo periodo4. Sulla base di questa premessa era quindi improbabile che il rapporto tra le categorie dicotomiche della razionalità formale e 1 R. Bettini, “Il rapporto al Ministro per la Funzione pubblica della Commissione di studio per la fattibilità e 'applicabilità delle leggi”, in Riv. trim.di Scienza dell' Amministrazione, 1991-2. 2 “Come agire sociale empiricamente osservabile, razionare e riferito all’agente” .. (Weber, Economia e Società, I, Milano,1961). 3 “Weber riduce ogni sociologia giuridica allo studio delle probabilità o chances del comportamento sociale, secondo un sistema coerente di regole elaborate dai giuristi per un determinato tipo di società.” G. Gurvitch, Sociologia del diritto, Milano, 1967 4 Sul punto la relazione di Schiera che ritiene tra l’altro Weber debitore ai giuristi “non solo in terna causalità e di logica delle norme, ma addirittura per quanto concerne il nucleo stesso della sua innovazione: il tipo ideale” Convegno “Max Weber 60 anni dopo”, 26-28/6/1980, Roma, Scuola di perfezionamento nelle scienze morali e sociali dell’Università in collaborazione con il Goethe Institut di Roma. 71 materiale da un lato e della razionalità rispetto allo scopo e rispetto al valore dall'altro venisse approfondito, con il risultato che ogni dinamismo veniva ad essere congelato in effetti nella idealtipicità della razionalità formale. A. Febbrajo a tal proposito ha evidenziato tra l'altro la non coincidenza tra le due dicotomie5, trattate in parti diverse di <.Economia e società>; Rossi ha sottolineato come <sviluppo verso la razionalità e acquisizione di un’autonomia fondata su di una tecnica specializzata vengono a coincidere>; in altri termini l'interesse a proporre un diritto formale capace di combinare un grado elevato di prevedibilità e calcolabilità delle decisioni con criteri rigorosamente interni all'ordinamento giuridico ha interessato Weber. Tuttavia, secondo diversi critici, la mancanza di un raccordo soddisfacentemente individuato e articolato tra razionalità rispetto allo scopo, da un lato e razionalità formale dall'altro, ha fatto perdere a Weber una occasione ideale per un'analisi dei problemi dell’efficacia del diritto che non si risolva nella generale identificazione del diritto con il Sein (e cioè nel diritto normativisticamente e positivisticamente inteso)6. Probabilmente Weber era giunto a tale identificazione semplificata anche per il modo in cui il diritto pubblico tedesco (da Jellinek a Kelsen) aveva trattato il tema della effettività del diritto: e cioè come problema della effettività dell’ordinamento nel suo complesso (non delle singole norme) su cui fondare la validità del diritto7. Ove è quindi l’ineffettività o l’inefficacia dell’ordinamento nel suo complesso che può far perdere validità alle singole norme8 e mai l’inefficacia di queste a far perdere effettività e validità a quello. Sta di fatto che comunque Weber non viene neppure attratto dal problema della effettività del suo idealtipo di potere, mentre è chiaro che problemi di efficacia od effettività che dir si voglia possono riguardare non solo il potere legale ma 5 A. Febbrajo ha sottolineato come “la razionalità formale non coincida con la razionalità rispetto allo scopo né con quella rispetto al valore ma si situi come terza ipotesi tra queste due” ed a proposto di chiamarla “razionalità condizionale” (cioè conforme a recenti disposizioni giuridiche). 6 Bobbio ricorda al riguardo la distinzione webweiana tra validità ideale e validità empirica della norma (che in Kelse è contrapposizione tra Normativitat e Faktivitat). 7 Sulla effettività come principio o criterio in base a cui si considera legittimamente costituita la comunità politica cfr. P. Piovani, “Effettività (principio di), in Enciclopedia del diritto, Milano,1965. 8 Ogni norma perde la sua validità quando l’ordinamento giuridico totale al quale essa appartiene perde, nel suo complesso, la sua efficacia conditio sine qua non, ma non conditio per quam... l’efficacia dell'ordinamento giuridico totale è condizione, non fondamento della validità delle norme che lo compongono. Il principio di legittimità è quindi limitato dal principio di effettività. Kelsen, Teoria generale del diritto e dello Stato, Milano, 1952. L'effettività riguarda cosi il tutto, e non le parti. Infarti in Kelsen “l’effettività contribuisce a liberare il precetto dalla immediata dipendenza dalla volontà del legislatore inserendolo nella sistematicità. E la sistematicità cui si appella irnplicitamente l’effettività non è solamente logica ma storica. Piovani. Sulla contraddizione con Kelsiana nel teorizzare, con il principio di effettività (fondante la validità giuridica), il raccordo tra efficacia e validità, tra teoria puramente sociologica e teoria puramente normativistica del diritto. G. Fasso, Storia della filosofia del diritto, III, Bologna, 1970. 72 anche quello carismatico e quello tradizionale9 insomma sotto questo primo profilo, quello dell'efficacia del diritto, pur proponendoci stimolanti categorie d'analisi (razionalità rispetto allo scopo, razionalità formale) Weber non approfondisce i modi della loro interazione, e non ci è direttamente utile per la comprensione del fenomeno della inefficacia delle singole norme sia come fenomeno in sé sia come sintomo della perdita di effettività dell'ordinamento complessivo, negazione emergente della calcolabilità e prevedibilità della decisione giuridica e amministrativa. Basandosi sull'idea della inevitabilità dell'autorità <<legale>> e della giuridicità razionale-formale come fase idealtipica dello sviluppo storico delle istituzioni, contrario ad ogni razionalità giuridica materiale di marca socialista, Weber ha taciuto sugli impegni di razionalità <<rispetto allo scopo>> gravanti sul legislativo10. Per quanto riguarda la <forma burocrazia> Weber sottolinea innanzitutto che l'idealtipo burocratico ci appare come separato dalla società, quale strumento del potere politico11 anche se in un contesto di democrazia di massa12. Il raccordo con la società, in altri termini, gli viene indirettamente attraverso il suo collegamento appunto col legislativo. Nello stesso tempo il legislativo è prospettato da Weber come ingabbiato nel principio di legalità, più omogeneo alla burocrazia che alla società. C. Schmitt vedrà in questo un processo storico di <<naturalizzazione politica>> e di <<svuotamento formalisticofunzionalistico>> dello stato13. Sta di fatto che si crea così una situazione di blocco: la burocrazia non può darsi da sé la razionalità secondo lo scopo ma le deve provenire dal 9 <<Passando attraverso I'originaria esperienza internazionalistica e 1a successiva esperienza costituzionalistica al diritto pubblico generale e alla teoria generale del diritto e dello stato, il principio di effettività si presenta, in ultima analisi, come nuovo principio di legittimità dello stato contemporaneo. Lo stato contemporaneo infatti è tendenzialmente ostile allo stesso concetto di legittimazione del proprio potere ed ambisce... ad emanciparsi dalla legittimazione “legale” non meno che dalla 'carismatica' e dalla 'tradizionale'>> (Piovani. cit.). In linea con tali osservazioni sono i riferimenti di P.P. Portinaro e C. Schmitt secondo i quali la legalità weberiana è un principio antitetico della legittimità: <<la legittimità è il momento positivo, creativo, dinamico, la legalità è il momento negativo, meccanico, statico dell'esistenza statale>>. 10 Nota A. Febbrajo che la razionalità formale è propria dei giuristi e degli operatori giuridici, mentre < il legislatore e chi crea il diritto si orienta generalmente verso una razionalità rispetto allo scopo>. A. Febbrajo, Capitalismo, stato moderno e diritto razionale formale. 11 <L'apparato amministrativo rappresenta l’impresa di un potere politico come ogni altra impresa nella sua manifestazione esteriore> (Weber cit.)E' un'interessante osservazione che poi non ha sviluppi sul'versante della comparazione apparati pubblici apparati privati. 12 La burocratizzazione è dovunque l'ombra indivisibile della avanzante democrazia di massa> (Weber, cit., I,). 13 II formalismo giuridico e I'applicazione burocratica del diritto, secondo Schiera, finiscono <per inaridire lo slancio con cui il ceto dei giuristi (Juristen-stand) propugnato da Savigny aveva inseguito il sogno di sostituirsi allo stato nella massima funzione politica: quella legislativa>. Ma in effetti c’è qui da chiedersi se non sia proprio i1 far perno sulla professionalità dell'operatore del diritto, di un singolo ceto, insomma, per quanto culturalmente rappresentativo, a pregiudicare ogni sortita verso la razionalità rispetto allo scopo. P.P.Portinaro, Convegno Roma 1980. 73 legislativo; ma questi a sua volta è sospinto verso la razionalità formale... In conclusione la separatezza dalla società della burocrazia come apparato, mediato dal momento parlamentare, è resa comunque insopportabile per il calo di responsabilità rispetto allo scopo che soffoca il legislatore. Comunque la burocrazia è separata dalla società anche per la mancala considerazione, da parte di Weber, della omogeneità culturale e organizzativa della burocrazia stessa con l’analoga <<professionalità> del mondo <<privato> delle organizzazioni complesse. La mancata attenzione ai problemi lavoristici e sindacali del pubblico impiego chiude tra I'altro Weber nella sola preoccupazione della <<burocratizzazione>> come processo di degradazione delle libertà politico-sociali, con il risultato che la burocrazia viene ad essere considerata o come macchina dalle prestazioni prevedibili, un mezzo (astrattamente) razionale rispetto allo scopo14. Secondo i critici, in realtà sembra che a Weber sfuggano i condizionamenti sociali della burocrazia, preso come è dalla classe politica; egli non riesce a vedere la burocrazia15 come terminale della società secondo una professionalità che si fa nella storia e nel gioco della diversità dei ceti professionali, e che può resistere al comando politico non solo in termini di autonomia di competenze ma anche in termini di contrattazione delle caratteristiche dei modi di espressione di queste. Conclusivamente si può ammettere allora che uno dei maggiori contributi, quale è quello di weber, sui rapporti tra efficacia del diritto ed apparati si risolve al positivo nella individuazione di alcuni teoremi di fondo: quello del progressivo orientamento alla regalità da parte dei sistemi giuridici, e quello della superiorità dei sistemi giuridici che consentono la prevedibilità delle loro determinazioni16. Ma al negativo ne vengono inaccettabilmente trascurati aspetti di verifica dei rapporti politica-burocrazia, risolti una volta per sempre in formule idealtipiche. Se ne può inferire la connessione leggi inefficaci-positivismo legalistico, non attrezzato concettualmente per il governo veramente razionale degli 14 <<In effetti le definizioni tipico-ideali di stato e burocrazia sono fondate sulla loro natura di mezzi. Sono mezzi ,razionali rispetto ad uno scopo che non ammette alternative sul piano storico-politico>> (Rusconi). Ma si tratta pur sempre di una razionalità astratta, direi a sua volta idealtipica. 15 Organizzazione burocratica- formale tendenzialmente totalizzante, che defrauda I'individuo della sua razionalità per costituirsi, in nome dell’efficienza in “gabbia d'acciaio” (Ferrarotti). Ma a parte il rapporto con una razionalità individuale (preoccupazione tradizionale di tipo liberale) quello che qui interessa è proprio la consistenza effettiva di tale efficienza. 16 Weber, descrivendo lo stato legale-razionale, il cui carattere specifico è il fenomeno della burocratizzazione, riteneva che il modello valesse non solo per gli stati capitalistici dall'analisi dei quali il modello era stato ricavato, ma anche, e forse, a maggior ragione, per gli stati socialisti del futuro>> (Bobbio). La razionalità formale potrebbe giustificare anche l’economia di piano, se- condo Rusconi, che ricorda come <per Weber l’economia di piano, postulata dal socialismo, porta alla caduta della razionalità formale.. che è (invece) generalmente proposta come optimum di prevedibilità, calcolabilità e quindi razionalità economica.. Evidentemente qui agiscono elementi di giudizio e di Weltanschauung che trascendono gli argomenti tecnico-economici>. 74 apparati burocratici, e tutto sommato autolesionisticamente delegittimante lo stesso potere regale che intende esercitare. Il contributo socio-giuridico di Theodor Geiger per l’analisi della nozione di efficacia del diritto è più chiaro e lineare di quello weberiano, anche se finora meno approfondito o discusso nelle sue implicazioni. Esso ha il merito di entrare nello specifico delle rnetodologie di valutazione empirica della effettività delle singole norme, usando formule algebriche che presentano una duplice utilità: consentire di progettare le norme in una prospettiva di efficacia; consentire raffronti e collegamenti tra efficacia delle norme ed efficienza degli apparati interessati alla loro attuazione. Infatti per Geiger I'efficacia della norma o validità in senso sociologico, va assunta come grandezza misurabile esprimibile con la formula v = e/s, ove v = obbligatorietà; e = casi di ottemperanza alla norma + casi di reazione dell’ordinamento alle violazioni della norma medesima; s numero complessivo delle fattispecie interessate dalla norma17. Da tale formula generale Geiger ha creato altre formule tra cui quella della <<quota di effettività (e) e della quota di ineffettività> (i), così espresse: e:(s+bg)*f(s+cD_+rl i:5-lb*(c-+r)l ove b = casi di obbedienza alla norma; c = infrazioni della norma; g = comportamenti di un certo tipo, conformi alla norma; -g : comportamenti di un certo di un certo tipo non conformi alla norma; r = reazione dell'ordinamento. Si intende ovviamente che le due quote sono complementari e che quindi s = e + i. Dunque l’efficacia della norma si presenta come sua <<chance>> di produrre gli effetti previsti, secondo una formulazione che ingloba sia gli aspetti attuativi che quelli repressivi della norma, ed espressa in termini quantificatorio-gradualistici, capaci di indicare cioè non tanto se una norma è efficace o meno quanto in qual misura essa è efficace. Geiger non manca inoltre di abbozzare una tipologia delle cause della mancata repressione che possono identificarsi in: 1) mancata scoperta della violazione; 2) sostituzione di persona interessata al posto del vero responsabile; 3) astuta autosottrazione alla giustizia da parte del reo; 4) negligenza dell'autorità. Ebbene anche se centrata su un modello di norma di relazione più che di norma d'azione e d'organizzazione, e se quindi vi appare centrale la problematica adempimento-inadempimento, la proposta di Geiger sembra comunque idonea a contenere i pur da lui non considerati casi di inefficacia della norma dovuti ad inapplicabilità della norma stessa, inapplicabilità collegabile sia a motivi organizzativi (inapplicabilità organizzativo-amministrativa) sia a motivi tecnico-giuridici a monte della mediazione degli apparati. Tra I'altro dato che l'efficacia della norma è v = e/s, 17 T. Geiger, Vorstudien zu einer Soziologie des Rechts, Neuwied a. R. und Berlin, 1970. 75 se non si dovessero verificare casi in cui non si ha nè l’applicazione nè la violazione l'efficacia si ridurrà = 0 (e cioè v = o/s = 0). Inoltre la sua formulazione appare utile, oltre che su di un piano di valutazione a posteriori della significatività empirica di una norma, anche su di un piano di progettazione legislativa, indagando opportunamente le probabilità di configurazione del valore <<e>> (casi di attuazione più casi di violazione repressi) e del valore <<s> (universo delle fattispecie interessate): ciò che implica ovviamente I'analisi delle condizioni di fatto della dinamica dell'attuazione e della reazione della norma, per rendere la prima più probabile e la se-conda più puntuale. Per quest'ultima la già vista tipologia geigeriana delle cause della mancata reazione dell'ordinamento è da rivedersi; ciò esaminando in particolare le cause di quella che aprioristicamente Geiger chiama l'<indolenza> degli apparati, nonché le cause della mancata scoperta delle violazioni della norma e della autosottrazione dei colpevoli alla giusta sanzione, chiarendo quindi il ruolo in merito dell'attuale o della progettata efficienza degli apparati. Ma è evidente che il ruolo degli apparati sarà da considerarsi anche per il primo caso quello del rispetto della norma, sia per l’ipotesi di norme di cui sia direttamente destinataria la pubblica amministrazione, sia per l’ipotesi di norme di carattere amministrativo ((interventi amministrativi a fini di prevenzione della violazione di norme). Seguendo tale ordine di considerazioni a questo punto si potrebbe profilare senz’altro una proiezione della teoria dell’efficienza degli apparati in zona teorica dell'efficacia del diritto. Le <<formule di Geiger sono al riguardo più coerenti e comprensive della aprioristica sfiducia del sociologo tedesco nell’autorità, ritenuta, tralatiziamente e per definizione <<saùmig>, e cioè inefficiente, e ciò anche se rimangono chiuse nei problemi del rispetto delle leggi e non si aprono a quello dei loro fini e dei loro risultati. Infatti unico limite della teoria geigeriana è il fatto che nel suo formulario non vi è la nozione di efficacia intesa come “raggiungimento dello scopo”. 76 2.5. Il concetto di efficacia nella prospettiva funzional-strutturalistica di N. Luhmann Rispetto alla prevalente sociologia contemporanea che pone l’individuo al centro del problema sociologico, Luhman focalizza la sua teoria attorno al sistema sociale. Luhmann pur ammettendo che i fenomeni sociali vanno studiati in rapporto con la funzione che essi svolgono per il mantenimento del sistema, critica le teorie funzionaliste, ed in particolare critica Parsons, perché tali teorie non sono riuscite a distinguere il concetto di causa da quello di funzione: nell’ambito di un sistema possono esserci diverse soluzioni per il medesimo problema, per cui il rapporto tra la presenza di una determinata esigenza ed il suo soddisfacimento non è un rapporto causale. E’ questa una critica in termini di “equivalenze funzionali”. Luhman passa poi a chiarire il concetto di sistema che egli considera non tanto con riferimento alle sue stesse forze interne che ne garantiscono la continuità quanto nella sua capacità di contrapporsi all’ambiente cui esso appartiene e ne minaccia la stabilità. Ecco quindi che in Luhman assumono rilevanza anche i concetti di mondo ed ambiente. Mondo è l’infinita molteplicità e complessità del reale; ambiente è la delimitazione delle possibilità concretizzabili che si danno in una particolare situazione; sistema è l’effettiva selezione e realizzazione di determinate possibilità offerte dall’ambiente (se l’individuo è il sistema, l’ambiente è dato dal suo contesto sociale; se il sistema è la società, l’individuo è il suo ambiente). Poiché il mondo è infinita complessità è impossibile orientarsi in essa senza una riduzione di complessità ed è questo il concetto fondamentale della teoria di Luhman che ci riporta alla idea weberiana di cultura come sezione finita tratta dall’infinità priva di senso del mondo. Il problema della riduzione della complessità non è solo un problema teorico ma anche un problema pratico perché l’uomo è costretto a ridurre la complessità per sopravvivere. Oltre a quello della riduzione della complessità, c’è il problema della contingenza nel senso che nel processo di riduzione della complessità c’è sempre una possibilità di scelta tra le diverse possibilità offerte dal sistema. Inoltre, aggiunge Luhmann, non solo c’è il rischio che si attuino possibilità diverse dalle proprie aspettative ma, quando le azioni di un soggetto sono dirette a un altro soggetto, occorre che il primo tenga presente che ha a che fare non solo con le proprie aspettative ma anche con le aspettative dell’altro (doppia contingenza). Il rischio di fallimento della propria azione dipende anche dal fatto che alter scelga a sua volta e può anche scegliere in modo diverso da quello di ego. 77 Luhman afferma che i sistemi biologici hanno dei confini fisici e temporali (nascita e morte), i sistemi sociali, invece, si definiscono solamente in base al senso e ciò che li costituisce è l’azione: essi sono complessi di azioni intrecciate che creano una certa stabilità in seguito all’instaurarsi di reciproche aspettative. Contrariamente a quanto sostenuto da Weber e da coloro che si rifanno a lui, il senso non trova il suo fondamento nell’intenzionalità del soggetto ma la stessa individuazione del soggetto implica di per sé il senso perché noi possiamo parlare di soggetto solo in base ad un precostituito concetto di senso. Il concetto di senso è strettamente legato a quello di selezione necessaria per ridurre la complessità: per costruire il senso è necessario selezionare dalle infinite possibilità offerte dal mondo alcune specifiche possibilità e attuarle ma l’attuazione non è mai definitiva in quanto essa implica sempre il porsi di nuove possibilità da cui selezionare. L’ordine sociale, dunque, secondo Luhmann è possibile mediante il senso cioè mediante la formazione di sistemi sociali che possano mantenersi per un po’ di tempo entro confini definiti nei confronti di un ambiente sovracomplesso. Egli si serve del concetto di riduzione di complessità anche per spiegare l’evoluzione storico-sociale e i tratti caratteristici delle attuali società, le quali hanno un grado di complessità superiore alle precedenti: è la società nella sua totalità a diventare, con l’evoluzione, più complessa (crescono cioè le quantità e le specie dell’agire e dell’esperire vivente possibili) e proprio questa maggiore complessità implica la formazione di sistemi differenziati al suo interno (es: nelle società di oggi il diritto, la morale, la religione costituiscono sistemi autonomi nell’ambito della stessa società mentre nelle società arcaiche era pressoché impossibile distinguere tra i diversi aspetti della società stessa). In particolare, Luhamnn afferma che la teoria giusnaturalistica del diritto secondo cui ogni norma è riportabile a principi etici universali non fa i conti con la complessità del mondo sociale che deve essere ridotta. E’ il diritto positivo ad avere questo compito di imporre limitazioni all’infinità delle scelte possibili da parte degli individui in società. Così la funzione del diritto positivo andrebbe intesa come una riduzione vincolante e sanzionata della complessità sociale nella sfera delle aspettative interpersonali di comportamento. Poiché la validità del diritto non dipende da principi etici ma da decisioni e sono esse a rendere positivo il diritto sembra esserci un nesso tra teoria giuridica e scienza delle decisioni (che ha un ambito più vasto nel senso che la teoria sistemica mette in luce una struttura complessa di problemi e di possibili soluzioni di problemi e che la decisione va presa nell’ambito di tali possibili soluzioni). 78 Quanto al problema della legittimità, Luhman afferma che dato che nelle moderne società il mondo giuridico si è fatto estremamente complesso, è impensabile che i cittadini si conformino alle norme in quanto valutano effettivamente i loro contenuti: la legittimità è garantita dal rispetto di determinate procedure. Così, la democrazia non è realmente basata sulle capacità di decisione dei cittadini sulle scelte politiche da effettuare ma piuttosto sul loro rispetto di determinate regole formali quali quelle del sistema elettorale. La differenziazione, dunque, comporta che all’interno del sistema società si formino alcuni fondamentali sottosistemi: l’economia, la famiglia, la scienza, la politica, ecc. Ogni sottosistema ha un suo particolare strumento di comunicazione: quello dell’economia è il denaro, quello della famiglia è l’amore, quello della scienza è la verità, la politica ha come mezzo di comunicazione il potere. Quest’ultimo è definito come un rapporto sociale asimmetrico che riesce a mantenersi in vita senza l’uso della forza: si ha potere quando una parte seleziona le possibilità a disposizione di un’altra parte in misura superiore a quanto questa non possa fare nei confronti della prima. Il potere politico trova un suo limite nel fatto che nelle moderne società si formano altri sistemi di potere ad esso alternativi (es. il potere economico). La differenziazione comporta non soltanto il formarsi di sottosistemi nell’ambito del sistema generale ma anche il riflettersi di tali sottosistemi in se stessi: ogni sottosistema, cioè, diventa oggetto a se stesso (parlare di parole, decidere su decisioni, ecc.). La scienza, ad esempio, ha il compito di individuare la verità ma non si tratta di una verità empirica a se stante quanto piuttosto di elaborare criteri per una lettura della realtà tra le molte possibili. La scienza è autoreferenziale nel senso che essa stessa costituisce uno dei suoi oggetti. L’autoreferenzialità è definita come auto-osservazione, ciò che si definisce è in quanto diverso rispetto a qualche cosa d’altro senza specificare differenze all’interno di questa diversità. La società moderna è costituita da sistemi differenziati che si rapportano alla differenza, all’altro da sé, che ne è l’ambiente. La stessa distinzione tra un sistema e il suo ambiente e la definizione del sistema rispetto all’altro da sé, va inquadrato da Luhamnn nel problema dell’autoriferimento. Egli distingue: a) l’autoriferimento di base: che non è il sistema ma un elemento essenziale al sistema, senza il quale quest’ultimo non potrebbe sussistere (es. la comunicazione non è un sistema sociale ma senza di essa tale sistema non può darsi); b) la riflessività: che si ha quando si riflette sulla propria specificità; c) la riflessione: che si ha quando è posta la differenza tra sistema e ambiente 79 Luhmann afferma poi che i sistemi sociali non sono riducibili ad interazione: la società mondiale (il più grande tra di essi) ha alla base l’interazione ma la società trascende l’interazione e diventa qualcosa di autonomo rispetto ad essa e il sistema sociale non è necessariamente legato al soggetto e le funzioni compiute dal sistema sono funzioni latenti e, in quanto tali, non hanno bisogno del momento della coscienza. Si ha dunque de soggettivazione, il che consente a Luhmann di estendere la sua teoria anche ai sistemi biologici. La razionalità coincide quindi con la funzionalità del sistema e non sarebbe altro che la riflessione dei sistemi su se stessi. Luhmann così, si preclude ogni possibilità di porsi criticamente dinanzi alla realtà data. Se nella prima fase del suo pensiero aveva definito il sistema come capacità di rimanere tale in contrapposizione all’ambiente, in una seconda fase egli sposta l’accento sulle capacità interne del sistema di auto-crearsi, di organizzare se stesso in rapporto a esigenze che sorgono al suo interno e, a questo proposito, Luhmann si serve del concetto di autopoiesi. La società, ad esempio, è un sistema di comunicazione ma siccome non sussiste al di fuori della società stessa alcuna comunicazione, la società costituisce un sistema chiuso per necessità: ciò spiega come la sua organizzazione e il suo stesso rinnovarsi non può che essere riferito a se stessa. Per i sistemi che invece hanno un ambiente Luhmann non nega che essi possano anche essere condizionati da forze esterne (quindi dall’ambiente) ma sottolinea l’importanza che essi vadano spiegati anche in termini di autopoiesi. Habermas rimprovera a Luhmann il fatto che la sua teoria si risolve in una accettazione acritica dei sistemi sociali costituiti. Secondo Habermas la verità non consiste nell’individuare i processi che rendono funzionale un sistema ma piuttosto nelle condizioni che rendono libera la comunicazione da costrizioni esterne. Luhmann respinge questa critica affermando che la sua teoria non mira alla conservazione della società costituita intesa come sistema ma semplicemente riguarda i problemi del funzionamento di qualsiasi sistema sociale possibile non quelli del funzionamento di sistemi effettivamente esistenti; Altra critica è legata al problema della riduzione della complessità inteso come riduzione del pericolo (disorientamento ed inadeguatezza) in cui l’uomo si trova dinanzi alle infinite possibilità del mondo: in questo modo si mettono in evidenza solo le esigenze legate alla sicurezza e non anche quelle legate alla creatività, alla spontaneità, all’innovazione. Altri hanno messo in evidenza come Luhmann pur volendo svolgere un discorso sulla società nel suo insieme, quando passa a trattare della differenziazione scompone il sistema in tanti sottosistemi particolari trovandosi quindi in difficoltà dinanzi al problema della società in generale. 80 Quando Luhman critica lo struttural-funzionalismo di Parsone non si discosta molto, in definitiva, da ciò che già aveva osservato Merton quando afferma che in un sistema la stessa funzione poteva essere adempiuta da elementi diversi così come lo stesso elemento poteva svolgere funzioni diverse. Luhman afferma che vi è sempre stata incompatibilità tra illuminismo e sociologia in quanto l’illuminismo (inteso come sforzo di ricostruire le condizioni dell’esistenza umana a partire dalla ragione e senza alcun legame con la tradizione ed il pregiudizio) ha sempre fatto riferimento ad una ragione universale comune a tutti gli uomini in quanto tali ed ha ricercato la possibilità di costruire una condizione sociale universalmente giusta sulla base di tale ragione; la sociologia (che non fa riferimento a una ragione universale ma piuttosto all’ordinamento dato) dal canto suo ha la consapevolezza della diversità delle concezioni del mondo, non riducibili a una ragione universale, una diversità che entra in ogni azione sociale. Eppure, Luhman è convinto che il vecchio illuminismo1 possa essere superato con un illuminismo sociologico alla base del quale vi è l’idea secondo cui l’uomo non può conoscere la spaventosa molteplicità del mondo allora deve venire a patti con la realtà e delimitare un ambito definito di conoscenze attraverso determinate leggi e muoversi entro questo ambito definito (= la complessità della totalità non può essere colta per cui è sempre necessaria una “riduzione della complessità”): il suo compito, pertanto, deve prendere atto della complessità del mondo e ridurla. Luhman indica quattro aspetti di tale illuminismo: a) le prospettive incongruenti: si tratta di mettere in luce che il pensiero è spesso condizionato da impulsi inconsci irrazionali che la ragione non riconosce e che sono incongruenti con essa, con le motivazioni esplicite dell’azione; b) funzioni latenti: per orientarsi ed agire nel mondo è necessario celarsi determinati aspetti della sua realtà. L’illuminismo sociologico smaschera questi aspetti destinati a rimanere latenti affinché l’azione possa esplicarsi: riconosce la complessità del mondo e la necessità di ridurla; c) il passaggio dalle teorie fattoriali alle teorie sistemiche: le teorie fattoriali sono quelle che pongono l’accento su singoli fattori o cause per spiegare il resto della realtà cui si fa riferimento mentre le teorie sistemiche inquadrano i singoli elementi in un insieme in cui solo possono trovare senso; d) il metodo funzionalistico: mette in luce le funzioni latenti di un sistema (cioè quelle che contribuiscono a mantenerlo al di là delle azioni volute e riconosciute con questo intento), 1 N. Luhmann, Illuminismo sociologico, a cura di D.Zolo, Milano, Il saggiatore, 1983 81 le disfunzioni (cioè i fattori che contribuiscono a disintegrare il sistema) e gli equivalenti funzionali (cioè la sostituibilità degli elementi che possono adempiere alla medesima funzione). La complessità del mondo deve essere riportata entro una dimensione che possa essere vissuta come espressione di un determinato senso. E’ il sistema a compiere questa riduzione di complessità e a rendere di conseguenza possibile il senso ma esso, deve anche rapportarsi alla complessità dell’ambiente e venire a patti con esso. Luhmann si riporta ad Husserl (fenomenologia trascendentale) quando afferma che l’illuminismo razionalistico aveva fallito perché aveva presupposto una razionalità universale mentre non si può mai essere sicuri di concordare con altre persone sull’esperienza vissuta nell’azione. Ciò era stato messo in luce dalla sociologia perché essa non ignorava la diversità dei punti di vista soggettivi, degli scopi e dei valori delle prospettive selettive: Husserl vi era arrivato molto vicino anche se non lo aveva esplicitato. Luhmann afferma che l’Illuminismo aveva rotto i ponti con la storia nel senso che aveva creduto sufficiente la ragione umana per costruire una società giusta senza riferimenti al passato e alla tradizione. L’Illuminismo sociologico vede come nella storia ci sia una sedimentazione di senso, una selezione già compiuta tra una molteplice serie di soluzioni di problemi così che il presente è possibile solo facendo riferimento ai problemi già risolti in determinati modi, al senso precedentemente attribuito alla realtà. Non è quindi la ragione universale ma una selezione tra infinite possibilità di soluzioni dei problemi a permettere di orientarsi nella realtà. La storia, dunque può essere considerata come un alleggerimento dal punto di vista della complessità. 82 2.6. Alcuni indicatori di efficacia e di efficienza nelle amministrazioni Il rapido modificarsi dei bisogni della collettività, parallelamente ad un deterioramento dei servizi offerti dagli enti pubblici, ha indotto un maggiore interesse per il monitoraggio dell’offerta di servizi pubblici. Il quadro normativo, per ciò che concerne l’innovazione gestionale nella P.A. con l'uscita del d.lvo 296/99, appare ormai definitivo. È infatti ormai iniziato il percorso per gli enti locali dell'attuazione concreta dei sistemi dì controllo di gestione e del concreto funzionamento dei nuclei di valutazione. Il d.lvo 29/93 imponeva, alla P.A, di istituire i servizi di controllo di gestione/nucleo di valutazione (art. 20). Il d.lvo 77/95, ordinamento contabile e finanziario degli enti locali, precisa non solo le fasi di attuazione dei sistemi di controllo di gestione, ma anche i contenuti dello stesso (art.39,40,41). Dalla lettura dell'art.40 appare chiaro che I'attività di controllo deve essere riferita a tutta l’attività dell'ente locale. Infatti, l’ art. 40, modalità del controllo di statuisce: <La verifica dell'efficacia, dell’efficienza, gestione così e dell’economicità dell’azione amministrativa è svolta rapportando le risorse acquisite e i costi dei servizi ove possibile per unità di prodotto, ai dati risultanti dal rapporto annuale sui parametri gestionali dei servizi degli enti...>. Si deve effettuare la verifica dell’efficienza, dell’effìcacia e dell’economicità, cioè di tutti .gli elementi quanti/qualitativi che possono servire per valutare la realizzazione delle finalità dell'ente e il suo “buon andamento”. La verifica si farà da un lato analizzando le risorse acquisite e dall’altro analizzando il loro utilizzo, i costi sostenuti, possibilmente in termini unitari (perché confrontabili), e valutando attraverso parametri gestionali appositi (gli indicatori) l’efficienza e l’'efficacia. Tutto ciò, anche, in considerazione del fatto che il governo degli enti pubblici, in misura maggiore rispetto al sistema delle imprese, si fonda sui processi di pianificazione e controllo. Il motivo principale di ciò è da ricercarsi nella mancanza del mercato e nell'assenza di quella grandezza alla quale si ricollega: il profitto. In sua assenza si devono analiticamente individuare indicatori (essenzialmente riconducibili all'efficienza ed all'effìcacia), riunendoli a sistema (dunque analizzandone le reciproche relazioni). Un servizio qualsiasi, infatti, deve essere analizzato sia sotto il profilo che evidenzia le quantità prodotte, sia sotto il profilo della capacità di venire incontro alla domanda espressa dalla collettività, sia sotto il profilo della qualità percepita dalI'utenza e sia sotto il profilo dei costi sostenuti per la realizzazione dello stesso. Gli indicatori possono, inoltre, fornire informazioni di fondamentale ausilio alla concretezza del Peg (Piano esecutivo di gestione). Quest'ultimo, 87 quale strumento di direzione per obiettivi, deve costituire il programma operativo, che identifica i risultati attesi della gestione (anche attraverso gli indicatori). Gli indicatori possono, in questo contesto, essere: a) guida nei riguardi della struttura operativa; b) termine di raffronto a consuntivo, per favorire il <buon andamento> dell'azione amministrativa; c) strumenti di confronti nel tempo sull'andamento dei servizi di volta in volta considerati; d) strumenti di confronti con enti tipologicamente omogenei; e) strumenti per aiutare la sfera che ha la responsabilità politica dell'istituzione e quella che ha la responsabilità gestionale della stessa a valutare e prendere decisioni. Gli indicatori, che vengono definiti rapporti tra parametri, dovranno essere tali da rappresentare i valori in termini percentuali, e devono quantificare, meglio se in termini percentuali, la dinamica (aumento o diminuzione), attraverso confronti nel tempo. In coerenza con le riflessioni precedenti e con le finalità conoscitive tali indicatori possono essere classificati in: 1) indicatori di efficienza; 2) indicatori di efficacia. A loro volta gli indicatori li possiamo suddividere in indicatori sintetici e in indicatori analitici. Al fine di rendere applicabile negli enti locali la tecnica del benchmarking competitivo è opportuno avere una comune metodologia di calcolo degli indicatori. Infatti, in un contesto caratterizzato dall'assenza di idonei meccanismi concorrenziali e di mercato, quale è quello in cui agiscono gli enti locali, il benchmarking può diffondersi come valido strumento per migliorare e per orientare il dirigente pubblico alla performance di economicità, efficienza ed efficacia. È in questo quadro e per queste ultime considerazioni che è stato proposto sin dai primi anni '90 la metodologia Ntg (Nuove tecniche gestionali) come sistema gestionale informatizzato orientato alla pratica realizzazione dei controlli di gestione negli enti. Come tutti i sistemi anche la Ntg (Nuove tecniche gestionali) si avvale di categorie concettuali ben definite e in questo senso la sua applicazione consente la realizzazione del benchmarking competitivo. Una caratteristica della <produzione> nelle attività amministrative e nei servizi è quella della sua non concretizzazione in un <bene>; la conseguenza logica è che non è per niente facile definire, tipizzare, quantificare, verificare. Tale sistema provvede innanzitutto a verificare I'impraticabilità, nelle attività amministrative e più in generale nei servizi, delle <categorie concettuali> usate nell'analisi dell'organizzazione di aziende produttrici di beni. L'attività di ricerca successiva consiste nell’usare i contenitori), come strumento di quantificazione, tipizzazione e monitoraggio della <produzione> nell'attività amministrativa e nei servizi, cioè in quelle situazioni dell'attività umana in cui le procedure relative sono molto complesse e difficilmente tempificabili nelle loro micro componenti. 88 Nell'impossibilità constatata di analisi organizzative e di contabilità analitica basate sui <cicli produttivi>, tutta I'attenzione si è incentrata nell'individuazione e tipizzazione di tali contenitori. Sono considerati contenitori, nel sistema Ntg (Nuove tecniche gestionali): 1) le attività competenze; 2) le attività mansioni; 3) i prodotti istituzionali; 4) i prodotti vendibili; 5) i prodotti organizzativi; 6) le fasi di procedura; 7) 'ente; 8) i settori; 9) gli indicatori di efficienza e di efficacia. Tale individuazione, da effettuare sempre nel concreto, deve essere tipizzata, cioè definita e stabilizzata. È chiaro che l'utilizzo dei <contenitori> consente una maggiore possibilità di veridicità di quantificazione della produzione. La maggiore possibilità di típizzazione ed anche una maggiore costanza dei tempi consente di dare una sufficiente validazione statistica agli scostamenti percentuali delle variazioni di produzioni e quindi rendere significativo il monitoraggio del <che cosa si produce>, non nei valori assoluti, ma negli scostamenti. Ai fini di una corretta validità del monitoraggio, assume ruolo essenziale la tipizzazione dei contenitori, cioè la <non discutibilità delle definizioni adottate per tipizzare. Da quanto detto, emerge che senza un sistema metodologico informatizzato appare difficile effettuare sia qualunque tipo di misurazione, non solo di indicatori gestionali sintetici, sia effettuare qualunque tipo di misurazione e quindi realizzare qualunque tipo di controllo di gestione e valutazione su questi ultimi. Infatti, il controllo di gestione lo possiamo definire come quell'insieme di metodologie che, utilizzando strumentazione informatica, sono finalizzate al controllo della produttività gestionale. Il controllo di gestione è quindi finalizzato al controllo per produrre di più; produrre prima; produrre a minor costo; produrre a qualità migliore Le tecniche gestionali Ntg sono: a) un sistema completo ed informatizzato di gestione ottimale delle risorse; b) una metodologia informatizzata di monitoraggio della produttività; c) un esempio concreto ed organico di informatica decisionale; d) strumenti flessibili, modulari ed informatizzati per gli interventi organizzativi e per la programmazione; f) strumenti efficaci per la valutazione oggettiva dei risultati e per la valorizzazione delle capacità manageriali. Le linee guida delle tecniche Ntg sono: pragmatismo, come esigenza prioritaria nella messa a punto; sviluppo ed attuazione di innovazioni gestionali; buon senso, come approccio; valutazione e risoluzione sistemica di problemi concreti, semplificati e concettualizzati sulla base dell'esperienza, valorizzazione dell'uomo e delle sue personali capacità di ottimizzazione gestionale delle risorse di cui dispone; miglioramento della produttività nella attività amministrative e nei servizi; produttività intesa come mix dinamico di efficienza (ottimale utilizzo delle risorse per ottenere una determinata quantità di 89 produzione) e di efficacia (ottimale utilizzo delle risorse per ottenere una determinata qualità della Produzione). Riportiamo a mero titolo di esempio alcuni indicatori sintetici di efficienza e di efficacia, utilizzati in alcuni comuni in occasione della attività di valutazione. Le tecniche di monitoraggio (Check UP) si possono così descrivere: 1. monitoraggio dei carichi di lavoro e della produzione 2. monitoraggio delle procedure 3. valutazione e monitoraggio della qualità della produzione 4. analisi calcolo e monitoraggio dei costi della produzione 5. analisi calcolo e monitoraggio dei costi e dei ricavi 6. indicatori di produttività, efficienza ed efficacia. Le tecniche dí intervento e programmazione sono individuabili in: 1. analisi ed ottimizzazione delle procedure 2. progetti obiettivo 3. valutazione dei carichi di lavoro e ristrutturazione 4. valutazione e programmazione dei costi 5. valutazione e programmazione dei costi e dei ricavi 6. produttività e decisioni gestionali 7. obiettivi di produttività. Gli obiettivi delle tecniche di intervento sono: a) monitoraggio informatizzato dei carichi di lavoro (come insieme dei prodotti organizzativi), della produzione (come insieme dei prodotti istituzionali o vendibili); b) ricavare dal monitoraggio, distintamente per ente, unità organizzativa livelli stipendiali e profili professionali: - gli indicatori di variazione dei carichi di lavoro; - gli indicatori di variazione della produzione. c) monitoraggio informatizzato dei tempi di esecuzione delle procedure; d) ricavare dal monitoraggio gli indicatori di tempestività dei prodotti; e) monitoraggio del gradimento dell'utenza (della clientela) in merito alla qualità dei prodotti usufruiti (acquistati) in termini di: - accuratezza; - tempestività; - adeguatezza; f) valutare i risultati del monitoraggio per gli eventuali interventi migliorativi della qualità della produzione; g) analisi, quantificazione e monitoraggio informatizzato dei costi dei prodotti organizzativi e dei prodotti istituzionali (o vendibili); h) analisi, quantificazione e monitoraggio informatizzato dei costi dei prodotti venduti; i) analisi e monitoraggio dell'andamento costi/ricavi. Ed ancora gli obiettivi delle tecniche di intervento si esplicano nel monitoraggio informatizzato dei seguenti indicatori di produttività: Efficienza: lavoro e presenza effettiva; indicatore di produzione effettiva 90 istituzionale, come rapporto fra produzione istituzionale (o vendibile) e presenza effettiva; presenza contrattuale; indicatore di presenza effettiva come rapporto fra ore di presenza nell'ente (comprese le ore di prestazioni straordinarie) e le ore di presenza contrattuale; indicatore di presenza come rapporto fra ore di presenza effettiva senza le ore di straordinario e le ore di presenza contrattuale (indicatore di assenteismo); indicatore di costo come rapporto fra costi e carico di lavoro. Efficacia: -- indicatore di adeguatezza (valutazione interna) rapporto fra produzione realizzata e produzione richiesta (domanda effettiva); - indicatore di adeguatezza (valutazione esterna) rapporto fra adeguatezza come è percepita dall'utenza e adeguatezza considerata ottimale (domanda potenziale); - indicatore di tempestività (valutazione interna), rapporto fra tempi medi di procedura previsti e tempi medi di procedura realizzati; - indicatore di tempestività (valutazione esterna) rapporto fra tempestività come è percepita dall'utenza e tempestività ritenuta ottimale; - indicatore di accuratezza (solo valutazione esterna) rapporto fra accuratezza come è percepita dall'utenza e accuratezza ritenuta ottimale Come è facile comprendere da questo esempio di tecnica gestionale si possono ricavare i possibili obiettivi di produttività da realizzare e i relativi scostamenti. In generale il termine di efficienza, come peraltro quasi tutta la terminologia di organizzazione della P.A., è inteso in diverse accezioni. Una prima accezione è quella più generale e nella quale il termine efficienza è spesso collegato a <funzionalità>. Si trattasi tuttavia di un'accezione poco tecnica che comunque sottolinea gli aspetti pubblicistici dell'attività della P.A. con una scarsa rilevanza della <qualità di tale attività>. Una seconda accezione, molto diffusa nella pubblicistica di opinione è quella che, riferendosi più in particolare ai servizi resi dalla PA, viene a coincidere con il concetto di produttività in senso lato, cioè come insieme di produzione al minimo costo e con il massimo di gradimento dell’utenza. Una terza accezione più tecnica, nella quale l’efficienza si contrappone all’efficacia. L'efficienza è, in questo caso <il rapporto fra risultato raggiunto e risorse impiegate per ottenerlo>. Volendo privilegiare gli aspetti decisionali si può anche affermare che l’efficienza è costituita dal rapporto fra obiettivo prefissato e risorse impiegate per raggiungerlo. Mentre la prima definizione sottolinea gli aspetti gestionali, la seconda si riferisce in modo particolare agli aspetti <istituzionali)). In entrambe le definizioni comunque, viene evidenziato l'ottimale utilizzo delle risorse: un servizio, un’attività, un prodotto è tanto più efficiente, quanto più alto è il rapporto fra la quantità di servizio reso, di 91 attività svolta, di prodotto e quantità di risorse. La formula dell'efficienza, valida per entrambi i casi, risulta essere la seguente: Ei = P/R In cui: P = prodotto; R = risorse. Si può rilevare che, dovendo quantificare il numeratore della frazione, è inevitabile il ricorso al prodotto che costituisce la quantificazione dei servizi resi e dell'attività svolta. Dato lo stretto collegamento esistente tra responsabilità gestionali e responsabilità politiche>, è utile illustrare la distinzione dell'efficienza gestionale e dell’efficienza istituzionale. L'efficienza istituzionale è quella che fa capo a quegli organi che, in una istituzione, hanno la responsabilità politica dell’istituzione stessa. Es: efficienza riferita ad una giunta comunale, provinciale, per l’istituzione di nuovi servizi (attività istituzionali) ecc. come si può rilevare, l'efficienza istituzionale è sostanzialmente un’efficienza di obiettivi; è soprattutto un'efficienza ex ante. La formula generica dell’efficienza riportata in precedenza, riferita all’efficienza istituzionale può essere meglio espressa con Eist = O/R, in cui i valori di O (obiettivi) e di R (risorse) sono variabili modificabili, di massima ed entro certi limiti da parte dei responsabili istituzionali. La quantificazione dell’efficienza istituzionale risulta oggettivamente difficile, soprattutto nelle istituzioni pubbliche. A ciò si aggiunga che a livello istituzionale non è facile distinguere l’efficienza dall’efficacia. Comunque aver concettualmente distinto la efficienza istituzionale da quella gestionale, non solo facilita una maggiore comprensione ed una più corretta valutazione di quest’ultima, ma costituisce un ottimo strumento metodologico per la delimitazione delle responsabilità fra politica ed amministrazione nelle strutture pubbliche. È evidente che la variabilità degli obiettivi e delle risorse, ai fini del conseguimento dell'efficienza istituzionale, e tanto più elevata, quanto minori sono i condizionamenti e i vincoli cui l'organo istituzionale responsabile è sottoposto. L’efficienza istituzionale è quasi sempre il rapporto tra obiettivi da realizzare e risorse finanziare destinate a realizzarle. La caratteristica principale dell’efficienza istituzionale è che essa è essenzialmente un’efficienza valutata in termini di costi. L’efficienza gestionale è costituita dal rapporto fra obiettivo e risorse impiegate. Mentre l’efficienza istituzionale non può che essere ex ante (di tipo programmatorio), quella gestionale non può che essere ex post ( a consuntivo). Mentre nel privato il mercato ha in sé il rimedio per eliminare gli inefficienti, nel pubblico ciò non è possibile , non tanto perché non è licenziabile il dirigente ma perché non esiste il fallimenti del “proprietario”. Da ciò però nasce la sfiducia del cittadino verso le istituzioni che pone gravi rischi per la conservazione democratica delle istituzioni stesse. Rispetto al privato va data per acquisita una cera inefficienza la cui valutazione non può che essere politica. da ciò discende che occorre avere metodologie sistemiche che consentono il 92 monitoraggio e la valutazione dell’efficienza al fine di determinare il tasso di tollerabilità della stessa. La tecnica usata sarà quindi quella finalizzata al monitoraggio di indicatori di efficienza gestionale, intesi come rapporto tra produzione realizzata o da realizzare (obiettivo) e risorse umane impiegate. Gli indicatori di efficienza gestionale possono essere: - indicatore di produzione effettiva, distintamente per prodotto, per settore, per ente, inteso come rapporto fra produzione e risorse umane impiegate; - indicatore di produzione contrattuale; indicatore di presenza, definito dal rapporto fra ore di presenza effettiva ed ore di presenza contrattuale; - indicatore di costo, inteso come rapporto fra costi sostenuti e produzione realizzata. Negli enti che producono servizi poiché le singolo strutture in cui è organizzato l’ente non producono, un unico prodotto, è necessario trovare opportuni pesi che consentono di omogeneizzare (e consequenzialmente sommare) la produzione organizzativa. La sommabilità dei prodotti che interessano un dato settore consentono di individuare indicatori di efficienza e anche corretti indicatori di efficacia. Il presupposto di base della validità di tale individuazione è dato dalla considerazione che gli indicatori di efficienza e di efficacia non hanno un valore in sé, ma servono come confronto storico ai fini di valutarne le variazioni, cioè non hanno significato i valori assoluti, bensì i loro rapporti. La correttezza si basa, dal punto di vista teorico, sulla minore incidenza statistica degli <errori> nel caso di rapporti tra grandezze pesate con un tasso di errore che permane in tutti i termini del rapporto. In termini rigidamente scientifici, il monitoraggio si caratterizza per i seguenti elementi: - il fenomeno oggetto di monitoraggio deve essere caratterizzato da ripetitività estesa o che si ritiene estesa nel tempo; è inutilmente costoso monitorare ciò che dura <1o spazio di un'estate>; - il fenomeno deve essere caratterizzato da complessità tale da non poter essere seguito da <sensazioni > o strumentazioni semplici: è presuntuoso e metodologicamente fuorviante parlare di monitoraggio nel caso di rilevamento costante, per un certo periodo di degenza, della temperatura corporea; - il fenomeno deve variare in maniera probabilistica non facilmente predeterminabile; se l'andamento del fenomeno è prevedibile con sufficiente esattezza, il monitoraggio è inutile; - il fenomeno deve essere tipizzabile non solo di per sé, ma anche nei fattori significativi che lo compongono; senza la tipizzazione è impossibile valutare correttamente gli scostamenti; - la tempestività, la rapidità di analisi e valutazione che caratterizza il monitoraggio richiedono I'uso dell'informatica, se i dati sono utilizzati sullo stesso luogo di rilevamento, 93 della telematica (trasmissione dati a distanza) nel caso di utilizzazione dei dati in località distanti da quelle di rilevamento (come nel caso citato del monitoraggio dei dati meteorologici); - quando di un fenomeno si vuole analizzare lo scostamento nel suo complesso, occorre rendere omogenei, sommabili i fattori in cui esso è <<scomposto>; nel monitoraggio dei prezzi occorre trovare i coefficienti di omogeneizzazione che rendano sommabili i prezzi della carne con quelli dei vestiti, dei tabacchi, ecc.; - la disponibilità dei dati deve essere la più tempestiva possibile; la soluzione ottimale è il rilevamento in tempo reale; se il monitoraggio è giornaliero, la disponibilità dovrebbe aversi al termine della giornata; se annuale, al primo giorno dell'anno successivo; la tempestività della disponibilità distingue il monitoraggio dal rilevamento statistico; il rilevamento dei dati meteorologici effettuato dalle stazioni meteorologiche è un monitoraggio prima di tutto, ma è anche, per studi confronti futuri, un rilevamento statistico. Il monitoraggio serve per le decisioni immediate, il rilevamento statistico per analisi, valutazioni e decisioni protratte nel tempo'. Si può anzitutto rilevare che il <fenomeno> costi è oggettivamente <monitorabile> (sono presenti i primi tre fattori di ripetitività, complessità e probabilità); la tipizzazione e sommabilità dei fattori sono realizzate mediante la metodologia Ntg ; - la Il monitoraggio, riferito ai costi non è altro che il confronto fra costi a consuntivo in periodo omogeneo di tempo. Monitorare i costi significa: valutare le variazioni, per periodi omogenei (mesi, trimestri, semestri, anno) dei: - costi dei prodotti organizzativi; - costi dei prodotti istituzionali/vendibili; - costi dei settori; - costi dell’ente. Valutare le variazioni degli: - indicatori di costo di produzione organizzativa di settore; - indicatori di costo di produzione organizzativa di ente; - indicatori di costo di produzione istituzionale/vendibile. I costi dei settori data la relazione univoca fra prodotti organizzativi e settori si ha che il costo di un settore è quello risultante dalla somma dei costi organizzativi facenti capo al settore stesso. Il costo dell'ente è quello risultante dalla somma dei costi di tutti i settori di vertice, oppure dalla somma dei costi di tutti prodotti organizzativi; oppure dalla somma dei costi di tutti i prodotti vendibili/istituzionali. In linea generale efficacia sta a significare il raggiungimento di un risultato prefissato. Spesso con efficacia si intende concretezza; ma anche in questo caso l'enfasi è posta sul risultato che si vuole raggiungere. Più specificatamente, in termini di lettura aziendalistica, per efficacia si intende il rapporto fra obiettivo raggiunto ed obiettivo prefissato. Si può rilevare l'omogeneità fra i due termini del rapporto che se da un lato è metodologicamente più comprensibile, dall'altro è soggetto ad un elevato grado di soggettività e di variabilità. Si 94 rilevi inoltre che il rapporto può essere inteso nel senso che una certa attività è efficace quando, dato un certo obiettivo, questo è raggiunto, indipendentemente dal grado di raggiungimento. Ad esempio, se l'obiettivo prefissato è <acquisire una certa commessa>, I'attività effettuata risulta efficace solo se la commessa è acquisita; in questo caso l'attività o è stata inefficace o è stata efficace, senza possibilità di graduazione. Il rapporto può essere inteso come grado di raggiungimento dell'obiettivo ed è questo il caso più frequente ed anche più interessante. Si osservi anche che l'efficacia può avere come contenuto l'efficienza, ad es. nel caso che l'obiettivo prefissato sia quello di ridurre di una certa percentuale i costi di produzione: il grado di efficacia è dato dal miglioramento dell'efficienza. Anche per l'efficacia è opportuno distinguere fra efficacia istituzionale ed efficacia gestionale. Indicando con Efcia l'efficacia coerentemente alla definizione data si ha: Efcia = Obra/Obpr - in cui Obpr e Obra sono rispettivamente I'obiettivo prefissato e I'obiettivo raggiunto. Ad es.: la giunta di un Comune delibera di aprire un certo numero di asili, di assumere un certo numero di persone, ecc. Nell'esempio fatto l'obiettivo riguarda i cosiddetti <obiettivi primari>>, costituiscono il fine principale, i fini istituzionali <dell'istituzione>. Si ha quindi I'efficacia istituzionale allorquando l'obiettivo fissato riguarda il cosa produrre, il cosa conseguire. Si ha l’efficacia istituzionale allorquando l'obiettivo riguarda I'istituzione di nuove attività competenze, la produzione di <nuovi prodotti> oppure una modifica di contenuto di tali attività competenze e di prodotti finali. E questi obiettivi riguardanti le attività competenze o i prodotti finali possono essere stabiliti per legge, per regolamenti, per delibere degli organi competenti o anche per decisioni dell’autorità <politica preposta al settore interessato. Nel caso di efficacia istituzionale risulta molto difficile la graduazione del raggiungimento dell'obiettivo e la relativa quantificazione del rapporto obiettivo prefissato/obiettivo raggiunto. Anche in caso di efficacia istituzionale è sempre opportuno quantificare quanto più è possibile. In realtà nel valutare I'efficacia istituzionale di una legge, di un regolamento, di una circolare, di un provvedimento, ecc., non si può non tenere conto di quegli obiettivi generali del governo della cosa pubblica, come ad esempio prestigio delle istituzioni, fiducia nei responsabili politici, non appesantire la macchina burocratica con iniziative istituzionali inefficaci negli specifici obiettivi, motivazione del personale. Anche nell'efficacia istituzionale, come abbiamo visto nell'efficienza istituzionale, il raggiungimento del rapporto fra obiettivo prefissato ed obiettivo raggiunto dipende soprattutto da una realistica valutazione di tale rapporto. E evidente che I'efficacia istituzionale è congiunta a quella gestionale, come meglio vedremo in seguito, ma la separazione concettuale e metodologica è necessaria per 95 facilitare la delimitazione di responsabilità fra politica e gestione. Quante volte da parte dei dirigenti e funzionari si è evidenziata la scarsa sensibilità <produttivistico (come mix di efficienza ed efficacia) degli amministratori a giustificazione della scarsa produttività gestionale, come per I'efficienza, anche I'efficacia istituzionale, poiché si riferisce ad obiettivi-fine dell'ente interessato, deve essere preventivamente determinata per una realistica quantificazione del raggiungibile. Comunque I'efficacia istituzionale in una struttura pubblica è il rapporto fra l'obiettivo formalmente approvato in conformità all'ordinamento giuridico di tale struttura e quello realizzato. Anche per l'efficacia gestionale vale la definizione di <rapporto fra obiettivo previsto e obiettivo realizzato>>, ma limitatamente alla gestione intesa come concreto operare in vista dell'ottimale raggiungimento degli obiettivi (risultati) stabiliti in sede istituzionale. L'efficacia gestionale non concerne quindi il (cosa produrre>>, ma il <come>> produrre il <cosa>. Mentre per I'efficacia istituzionale la responsabilità è del responsabile <politico di una certa istituzione, per quella gestionale la responsabilità è della direzione amministrativa dell'istituzione. Più in concreto 1'efficacia gestionale può riguardare: a) produrre di più in rapporto a determinate risorse (umane, tecnologiche, finanziarie); b) produrre a minori costi; c) produrre prima; d) produrre meglio. Nei casi a) e b) si ha I'efficienza che diventa il risultato primario, ma in tal modo è preferibile parlare, per evitare equivoci, di efficienza gestionale. L'efficacia gestionale riguarda essenzialmente il produrre prima e meglio. Il manager deve essere efficiente (produrre di più e a minori costi) ed essere efficace (produrre prima e meglio); mixare al meglio efficienza ed efficacia in vista del raggiungimento degli obiettivi istituzionalmente prefissati, è la scienza-arte del manager. Costruire o meno un asilo nido, approvarne il relativo progetto spetta alla giunta del Comune, ma le decisioni per costruirlo bene e nel minor tempo possibile sono (dovrebbero essere) della dirigenza tecnico-amministrativa. L'efficacia gestionale è data dal rapporto fra i tempi previsti e quelli effettivamente spesi per realizzare l'asilo; fra la qualità complessiva (agibilità, luminosità, materiali impiegati, assenza di imperfezioni) prevista e quella concretamente ottenuta. Nel sistema gestionale Ntg è con la tecnica Ntg (indicatori di efficacia) che è possibile monitorare e analizzare I'efficacia gestionale. Il controllo statistico di qualità diventa così valutazione degli indicatori di efficacia che viene conseguentemente definito <rapporto fra prodotto atteso dall'utenza e prodotto reso>. Trattasi di una finalizzazione più specifica dell'efficacia, con un trasferimento all'utenza della <titolarità: è efficace quel prodotto che viene considerato di 96 gradimento dell'utenza, una tale definizione dell'efficacia, il cui contenuto di <rottura viene attenuato nella fase finale del progetto, sposta all'esterno la valutazione dell'operato del management pubblico. Tale <esternalizzazione>> dell'efficacia, a ben riflettere, costituisce per la PA I'unico rimedio alla mancanza di mercato. Infatti se per il privato, in ultima analisi, l'efficacia istituzionale è data dal profitto e quella gestionale dalla vendita del prodotto, nel pubblico I'efficacia istituzionale è il consenso politico sulla totalità della produzione di un certo ente, quella gestionale è data dalla <vendibilità> potenziale espressa dal gradimento dell'utenza. D'altronde anche nel privato si sta sempre più enfatizzando il concetto del produrre meglio in funzione di ciò che l'utenza ritiene migliore.. In generale l’individuazione degli indicatori di efficacia è stata limitata all'efficacia gestionale per I'efficacia istituzionale, la varietà e la indeterminatezza degli obiettivi rendono difficile e spesso impossibile una quantificazione del rapporto fra obiettivi prefissati e obiettivi raggiunti. È certamente possibile indicizzazione dell'efficacia istituzionale; ad esempio, obiettivo prefissato: costruire 30 chilometri di nuove strade; obiettivo raggiunto: 20 chilometri; indicatore di efficacia 2/3 (20/30). L'indicatore di adeguatezza di un dato prodotto in un determinato periodo misura il rapporto fra la quantità di prodotto realizzata e quantità di prodotto richiesta dall'utenza. Alcuni esempi sono utili per chiarire meglio il valore di tale indicatore (tempo di riferimento: un anno): un asilo nido comunale assiste 50 bambini a fronte di una richiesta per 50 bambini; per il parametro sostitutivo <bambini assistiti> si ha Indicatore Adeguatezza Prodotto = 50/50 = 1. Come si può rilevare, l'adeguatezza di un prodotto non è altro che il rapporto fra offerta (reale) e domanda (effettiva) di un dato prodotto relativo ad un dato settore, ad un dato ente. Può darsi il caso che la potenzialità di un asilo comunale sia di 80 bambini al giorno, ma la produzione effettiva è sempre di 50 al massimo se solo per 50 bambini viene richiesta I'assistenza in asilo. Nel sistema Ntg la quantità realizzata viene monitorata e valutata con la tecnica gestionale. Invece, è reale e non può non essere presa in considerazione la quantità espressa e non soddisfatta nel periodo precedente e quella espressa e non soddisfatta nel periodo di riferimento. E opportuno però affermare che, ai fini del calcolo dell’indicatore di adeguatezza, il tempo intercorrente dal momento in cui la richiesta del prodotto arriva al settore interessato a quello in cui tale richiesta viene soddisfatta (cioè il tempo che misura la tempestività), non viene comunque considerato ai fini della valutazione dell' indicatore di adeguatezza. La tempestività nell'attività e nei servizi pubblici risulta uno dei fattori più importanti dell'efficacia gestionale. La lamentela principale degli <utenti della PA> riguarda la lentezza 97 degli operatori pubblici. Su tale fattore di efficacia viene ad incidere molta parte della patologia tipica del pubblico. Migliorare organizzativamente l’indicatore di tempestività significa migliorare consistentemente l'efficacia gestionale dell'operare pubblico. La criticità di tale fattore si è sempre più accentuata in relazione alla forte accelerazione dei <tempi di procedura> dell'economia e del sociale. In un sistema economico - sociale che è sempre più aperto al mondo, i tempi lunghi del <burocratico> sono oggettivamente un peso intollerabile per il paese. Le esperienza effettuate hanno confermato che il punto critico dell’operare della PA è proprio quello della tempestività. La tecnica gestionale (analisi ed ottimizzazione delle procedure ) è metodologicamente finalizzata all'analisi, all’ottimizzazione e alla riduzione dei tempi medi di procedura. Si pensi ai vari decreti orientati a stabilire per legge i tempi di procedura e lo snellimento delle stesse, tutto ciò appare impossibile realizzare se non si elimina la lentezza procedurale insita nella realizzazione del prodotto. Possiamo definire I'indicatore di tempestività (ITsp) di un dato prodotto come il rapporto fra il tempo medio di procedura previsto (Tmpp) per il prodotto da realizzare e quello mediamente e concretamente verificatosi (Tmvp) in un certo periodo. Con simbolismo matematico si ha: ITsp = Tmpp/Tmvp. In generale l'accuratezza di un prodotto come fattore di efficacia non è di facile delimitazione e ancor più di quantificazione. Si è cercato di individuare innanzitutto i sub-fattori che lo caratterizzano, di quantificarne statisticamente i <valori> e di ricavarne degli indicatori. I sub fattori presi in esame sono i seguenti: a) errori; b) imperfezioni; c) coerenza con prodotto atteso. I primi due sub fattori sono di tipo negativo (assenza come fatto positivo), il terzo è di tipo positivo (assenza come fatto negativo). A differenza dei precedenti fattori di efficacia (adeguatezza e tempestività), l'accuratezza, soprattutto per la presenza del sub fattore di tipo c, non può essere valutata da chi <produce>. Come meglio si vedrà in seguito, anche per 1'adeguatezza e per la tempestività è opportuno spesso <saggiare> come I'utenza percepisce il grado di tali fattori, ma per I'accuratezza la via del <sentire> gli utenti costituisce una strada obbligata. Nell'accuratezza si sostanzia essenzialmente la <qualità del prodotto. L'indicatore di accuratezza si può ricavare correttamente solo mediante indagine fra I'utenza. Per ricavare quest'indicatore non si può fare altro che ricorrere a questionari opportunamente studiati ed essenzialmente tesi a identificare tutti gli aspetti dell' accuratezza. Costituisce errore di un prodotto <la presenza o I'assenza>di componenti che ne rendono impossibile I'utilizzabilità. Si tratta di errori che emergono dopo che il prodotto è stato consegnato. Es.: mancanza completa (o errata) di individuazione del titolare in un provvedimento di concessione edilizia. Le imperfezioni di un prodotto le possiamo definire 98 come <<l’assenza o la presenza di componenti> che pur non comportando una sua inutilizzabilità rendono il prodotto stesso diverso dallo standard previsto. Es.: pulizia di una strada comunale non completa o non frequente. Nel campo dell'attività pubblica ed in particolare nel caso di prodotti che si sostanziano come atti amministrativi, l'imperfezione è quasi sempre considerata errore. Ed è proprio per evitare le imperfezioni-errori che si fa ricorso frequente alla modulistica standard. È evidente la difficoltà di delimitazione fra i vari sub fattori dell'accuratezza; ma questa difficoltà non è un ostacolo insuperabile. D'altra parte gli errori, le imperfezioni che dovranno essere valutati ai fini di definire l'indicatore di accuratezza di un prodotto sono quelli che in concreto saranno considerati tali nello specifico caso sottoposto ad indagine campionaria. I precedenti due sub fattori di accuratezza (di tipo negativo) sono caratterizzati da un certo grado di obiettività il sub fattore coerenza con prodotto atteso è tipicamente soggettivo. È evidente che la valutazione di tale sub fattore risente moltissimo degli altri due; ma I'opportunità di oggettivizzare la soggettività della <sensazione dell'utente)) per quanto riguarda la qualità del prodotto nel suo complesso è un elemento essenziale per l’efficacia della valutazione dell'accuratezza nel suo complesso. Si è già detto che gli indicatori di efficacia nel sistema Ntg sono tre: - indicatore di adeguatezza _ IAd; - indicatore di tempestività - ITs; - indicatore di accuratezza _ IAc. Gli indicatori di adeguatezza e di tempestività possono e debbono essere ricavati, utilizzando i dati statistici dell'ente interessato; l'indicatore di accuratezza deve essere invece sempre valutato <sentendo> I'utenza. Ferma restando la valutazione interna come prassi costante, talvolta è consigliabile verificare come gli utenti <<percepiscono> loro medesimi l’adeguatezza, la tempestività. Ne consegue che l'opportunità di effettuare indagini volte a ricavare tutti gli indicatori di efficacia, mediante questionari da somministrare agli utenti, e di confrontare gli indicatori di adeguatezza e di tempestività così ottenuti con quelli ricavati dai dati statistici dell’ente. Ai fini della realizzazione del questionario da sottoporre all’utenza occorre in via preliminare stabilire il punteggio da attribuire ad ognuna delle risposte ottenibili. Tale punteggio può essere di qualunque entità in quanto l’indicatore sarà sempre determinato rapportando il punteggio ottenuto a quello massimo ottenibile; il rapporto sarà tendente ad uno. Il questionario è da considerare vincolante, diversamente non sarebbero possibili confronti storici e geografici. La valutazione della produttività si basa essenzialmente non tanto sui valori assoluti dei vari indicatori, quanto sul loro variare nel tempo (per lo stesso settore, ente, ecc.) Le tecniche gestionali sono essenzialmente tecniche di monitoraggio informatizzato dello stato di salute 99 di un settore, di un ente. La valutazione delle variazioni degli indicatori, conosciuti dei vari periodi di tempo richiede semplici elaborazioni matematiche. Così come è necessaria l’analisi approfondita della variazione degli indicatori dei costi, i quali mettono in evidenza I'aumento o diminuzione percentuale dei costi di ciascun prodotto, di ciascun settore, dell'ente in un determinato intervallo di tempo. Questo infatti è 1'obiettivo principale del monitoraggio dei costi. La conoscenza della variazione dei fattori tipizzati di costo, relativamente a ciascuno dei prodotti, dei settori e all'intero ente, integra quella della variazione dei costi totali. Ed è fondamentale poiché fornisce informazioni circa le cause di peggioramento o miglioramenti dei costi. Ma anche a parità o miglioramento dei costi, la conoscenza della variazione dei costi consente di <allarmare> su inefficienze relative ad alcuni fattori, compensate con maggiore efficienza di altri fattori. La conoscenza della percentuale di <partecipazione> di ciascun-fattore tipizzato al totale dei costi di un prodotto, di un settore, di un ente, costituisce un’informazione certamente valida in assoluto. È utile ai fini non solo del controllo dei costi, ma anche delle decisioni direzionali, sapere ad esempio che il costo del fattore personale incide del 60% sul costo dell'ente, del 30%o sul costo di un settore e del 45% sul costo di un prodotto vendibile, tale conoscenza si ottiene indipendentemente dal monitoraggio. Tuttavia senza il monitoraggio non è possibile sapere evidentemente come sono variate o stanno variando nel tempo tali <partecipazioni>. E non va sottovalutato il fatto che è sempre sull'andamento degli scostamenti che si prendono le decisioni più significative per migliorare la produttività di un'azienda. Gli indicatori di costo nel sistema Ntg, come indicatori di produttività economica, hanno gli stessi significati degli altri indicatori di produttività, ossia hanno validità come scostamenti e non come dati assoluti. Un tasso di variazione percentuale positivo sta ad indicare che la produttività economica del settore sta migliorando (tanto più quanto più elevato è il tasso); un tasso di variazione negativo indica che la produttività economica sta peggiorando. 100 CAPITOLO 3 Definizioni del concetto di valutazione 3.1. Definire la valutazione Chi legge di valutazione avrà sicuramente notato la proliferazione terminologica e concettuale esistente, nonché l’uso confusionario allorché ci si serve di termini diversi per concetti uguali o termini uguali per concetti diversi; una confusione che non è solo terminologica ma anche concettuale. Ciò sembra rendere necessario o quanto meno opportuno interrogarsi sul significato della valutazione, fra consulenza corrente e ricerca scientifica “applicata”; sulle sue differenze e/o specificità rispetto alla ricerca pura; sui problemi epistemologici e sulla multidisciplinarietà, come interagiscono le discipline nella valutazione; ed ancora sull’approccio metodologico cioè qual è il disegno della ricerca valutativa? È esso specifico, nel senso che appartiene alla valutazione, o aspecifico, nel senso che appartiene alle scienze sociali? Dobbiamo intendere la valutazione semplicemente come valutazione sociale, dove portare i propri saperi specifici e superare i limiti di questi con un’attività multidisciplinare, o altro?1 Poiché a noi interessa la valutazione in quanto processo di formulazione di giudizi basati su un percorso di ricerca sociale, penso sia utile una sintesi dei concetti fondamentali relativi alla valutazione, ed alle sue tecniche, ma prima ancora una riflessione sui diversi approcci alla valutazione attraverso una raccolta, che non vuole certo essere esaustiva, delle citazioni sulla valutazione. Le definizioni sono raggruppate a seconda che si tratti di: 1 Lo statuto dell’Aiv, art. 2 “Oggetto sociale” così recita: “Riconoscendo che la valutazione è, da una parte, un’attività rilevante per ogni sfera della pratica nei vari campi delle politiche strutturali, formative, territoriali, sanitarie, ecc. e, dall’altra, oggetto di attività professionali svolte in ambiti disciplinari di diverso genere, l’associazione definisce come campo prioritario del proprio interesse quelle attività di valutazione che: - comportino l’utilizzo prevalente, ancorché non esclusivo, del bagaglio teorico e metodologico delle scienze umane e sociali, nel rispetto del pluralismo metodologico che esse consentono; - analizzino politiche ed interventi pubblici o privati da una pluralità di angolazioni, dal processo di attuazione di una politica ai suoi risultati ed effetti sulla società, considerandone gli aspetti di efficienza, efficacia, equità; - suscitino azioni di partecipazione e di comunicazione da parte dei soggetti direttamente o indirettamente interessati, ovvero considerino la partecipazione e la comunicazione come possibili oggetti della valutazione stessa”. - definizioni che identifichino obiettivi impliciti o espliciti della valutazione, le finalità, i destinatari, le tecniche utilizzate nella ricerca valutativa. - definizioni che facciano riferimento a riflessioni metodologiche, metodi, procedure nella ricerca, nonché ai conseguenti problemi di validità e attendibilità, il rapporto della ricerca valutativa con la sfera scientifica, l’interazione con le altre scienze. - definizioni che sottolineino l’aspetto decisionale, il rapporto della ricerca valutativa con la sfera politica, la programmazione, proponendo o un modello di ricerca valutativa volta alla trasformazione (i decision makers, le policy); o una valutazione partecipata, volta all’interesse pubblico. - definizioni che attengono alla pratica e alla qualità: la valutazione come professione; la sfera degli operatori, l’organizzazione e gli atteggiamenti verso la valutazione; la qualità totale e percepita. Mi pare interessante chiedersi quale sarebbe stata la posizione di un giurista, cinquanta anni fa, di fronte al problema della valutazione dell’azione amministrativa. Probabilmente, avrebbe sostenuto che la valutazione viene svolta, di regola, dal giudice, il quale ha come parametro la legge. La risposta appare oggi diversa perché, nel frattempo, si sono sviluppati servizi la cui erogazione è divenuta compito dei pubblici poteri o che hanno assunto dimensioni diverse dalle funzioni tradizionali. Inoltre, sono mutate le attese degli utenti. Infine, rispetto a questi servizi, non vi sono più quei metri nei quali si poteva fiduciosamente contare. L’attuale maggiore complessità della valutazione rispetto al passato forse è uno dei motivi del confusionario proliferare di approcci e tentativi di definire un concetto cosi poliedrico. Quelle che seguono sono alcune delle definizioni di carattere generale, implicite o esplicite della valutazione e della ricerca valutativa, o della valutazione di impatto ambientale; degli obiettivi impliciti o espliciti, delle sue finalità e destinatari. Ovviamente necessitano di integrazioni e sistemazione prima di ogni riflessione, ma si può già avere una idea degli innumerevoli approcci al concetto di valutazione: Una definizione generale si può considerare la valutazione come un’attività cognitiva rivolta a fornire un giudizio su di un’azione (o complesso di azioni coordinate) intenzionalmente svolta o che si intende svolgere, destinata a produrre effetti esterni, che si fonda su un’attività 102 di ricerca delle scienze sociali e che segue procedure rigorose e codificabili (questo aspetto distingue la valutazione come impresa scientifica dalla corrente attività di espressione di un giudizio).2 La valutazione è principalmente (ma non esclusivamente) un’attività di ricerca sociale applicata, realizzata, nell’ambito di un processo decisionale, in maniera integrata con le fasi di programmazione, progettazione e intervento, avente come scopo la riduzione della complessità decisionale attraverso l’analisi degli effetti diretti ed indiretti, attesi e non attesi, voluti o non voluti, dell’azione, compresi quelli non riconducibili ad aspetti materiali; in questo contesto la valutazione assume il ruolo peculiare di strumento partecipato di giudizio di azioni socialmente rilevanti, accettandone necessariamente le conseguenze operative relative al rapporto fra decisori, operatori e beneficiari dell’azione. Si può considerare la valutazione come un’attività cognitiva rivolta a fornire un giudizio su di un’azione (o complesso di azioni coordinate) intenzionalmente svolta o che si intende svolgere, destinata a produrre effetti esterni, che si fonda su un’attività di ricerca delle scienze sociali e che segue procedure rigorose e codificabili (questo aspetto distingue la valutazione come impresa scientifica dalla corrente attività di espressione di un giudizio).3 La valutazione non può prescindere dalla ricerca affidabile Con ‘valutazione’ si intende l’insieme delle attività collegate utili per esprimere un giudizio per un fine, giudizio argomentato tramite procedure di ricerca valutativa che ne costituisce l’elemento essenziale ed imprescindibile di affidabilità delle procedure e fedeltà delle informazioni utilizzate per esprimere quel giudizio. Significato della valutazione in un contesto di interesse collettivo Valutare significa misurare la portata di un fenomeno, analizzarne i risultati e l’efficacia attraverso set di indicatori disegnati e costruiti ad hoc, identificare positività e criticità, ipotizzare tendenze e possibili suggerimenti utili alla programmazione e gestione4 Valutare significa analizzare se un’azione intrapresa per uno scopo corrispondente ad un interesse collettivo abbia ottenuto gli effetti desiderati o altri, ed esprimere un 22 Mauro Palumbo, Il processo di valutazione. Decidere, programmare, valutare, Franco Angeli, Milano 2001 4 Aviana Bulgarelli (a cura di), L’integrazione fra sistemi di formazione e istruzione nel primo triennio di gestione del Fondo Sociale Europeo, Isfol – Struttura di valutazione del FSE, [Roma] 1997, pp. 1-2 103 giudizio sullo scostamento che normalmente si verifica, per proporre eventuali modifiche che tengano conto delle potenzialità manifestatesi. La valutazione è quindi un’attività di ricerca sociale al servizio dell’interesse pubblico, in vista di un processo decisionale consapevole: si valuta per sapere non solo se un’azione è stata conforme ad un programma esistente, ma anche se il programma è buono. Si tratta di un procedimento messo in moto da una domanda di valutazione da parte di un committente pubblico (e/o offerta di valutazione da parte del valutatore). Esso si articola in un disegno della valutazione (proposto dal valutatore al committente, e concordato tra di essi) e una ricerca empirica (fatta dal valutatore, a cui possono partecipare a vario titolo rappresentanti del committente e degli utenti); e infine sfocia in una discussione dei risultati e una proposta al pubblico. La valutazione risponde ad un’esigenza di una società democratica che vuole conoscere le proprie capacità nel fornirsi dei beni e dei servizi di cui ha bisogno, e che affronta difficoltà e limiti imparando dalla propria esperienza.5 All’origine della affermazione della valutazione possiamo rinvenire due elementi: un grande sviluppo delle scienze sociali empiriche ed una pratica di governo basata sulla programmazione per obiettivi. Finalità della valutazione della ricerca scientifica La motivazione generale della valutazione è la necessità di garantire che la ricerca scientifica e tecnologica venga impostata e realizzata secondo una logica di efficienza ed efficacia e di soddisfacimento dei bisogni culturali, sociali ed economici della società6 approccio metodologico alla valutazione volta all’analisi degli effetti la valutazione è un processo di ricerca sociale applicata, orientato alla comprensione ed all’apprezzamento, in campi d’azione determinati, dei risultati conseguiti, in una prospettiva analitica che include nel proprio raggio l’intero processo di azione considerato. Si tratta di un lavoro di analisi che ha come scopo quello di cogliere, attraverso un procedimento induttivo di ricerca, le strategie, i comportamenti e l’intreccio delle relazioni multiple che gli attori implicati nel processo hanno e di identificare il sistema che contiene tali relazioni, i cui contenuti specifici (risultati delle azioni, 5 Nicoletta Stame, L’esperienza della valutazione, Ed. SEAM, Roma 1998, p. 9 6 Ennio Galante – Cesare Sala – Luca Lanini, Valutazione della ricerca agricola, Franco Angeli, Milano 1998, p. 11 104 strategie di implementazione, misure e mezzi adottati, finalità generali, obiettivi parziali, eccetera) costituiscono altrettante poste in gioco intorno alle quali si svolgono le relazioni tra gli attori. Ogni azione produce dinamiche non previste che la valutazione deve cercare di esplorare Quello che interessa la valutazione è il rapporto che si viene a creare fra i vari elementi che compongono un’azione programmata (obiettivi, mezzi, risultati), affinché essa sia efficace (produca gli effetti desiderati) e utile (produca effetti che possano rispondere a problemi esistenti, in modo equo). La valutazione parte infatti dal presupposto che nel contesto specifico in cui un programma viene realizzato si scatenino dinamiche e comportamenti dei diversi attori tali per cui esso ben raramente si sviluppi come era stato previsto, e che però conflitti e divergenze tra gli attori possano essere affrontati e risolti osservando il dispiegarsi stesso dei singoli aspetti, magari confrontandolo con altri aspetti (e con altri programmi). In conclusione, la valutazione tiene conto dell’azione ma a sua volta interviene per aiutare a correggere e modificare sia il suo andamento che la progettazione, in un processo circolare che può giungere a riformulare gli obiettivi, sulla base del rendimento dei mezzi e della soddisfazione rispetto ai risultati. La scoperta poi di conseguenze inattese positive che possono aiutare ad affrontare altri problemi chiude per così dire questo cerchio.7 Contesti della valutazione economica della vita umana I tipi di decisioni nei quali si può porre un problema della valutazione economica della vita umana sono molto numerosi. Ci limiteremo a ricordare: - l’introduzione di politiche nuove: - la modificazione o la restrizione, o la revoca di politiche già in atto - le scelte in materia di ricerca scientifica - le decisioni cliniche assunte dai singoli operatori (in primo luogo, i medici) 8 7 Nicoletta Stame, La valutazione delle politiche e dei servizi, “Tutela. Trimestrale di politiche sociali”, a. XI, n. 1-2, giugno 1996, p. 7 8 Fabio Nuti, Introduzione all’economia sanitaria e alla valutazione delle decisioni sanitarie, G. Giappichelli Editore, Torino 1998, p. 114 105 Differenze fra valutazione, monitoraggio e audit Valutare significa giudicare gli effetti di un’azione sugli individui, sulle organizzazioni e sui contesti socio-economici a livelli idonei (ad esempio: subregionale, regionale, nazionale, comunitario). E’ importante non confondere la nozione di valutazione con quelle di audit e di monitoraggio, concetti che, per quanto ci riguarda, possiamo definire come segue: − audit: accertamento dei fatti e dei processi di base rispetto al livello di attività, e della spesa ad essa contrattualmente associata, nel corso dei singoli progetti; − monitoraggio: controllo costante del progetto-programma dall’inizio (sua approvazione) alla fine. E’ incentrato su quegli aspetti che rappresentano la chiave per conoscere l’andamento delle attività e l’efficacia interna al progetto e al programma. La valutazione comprende i compiti dell’audit e del monitoraggio, ma si spinge oltre nella misura in cui essa implica l’interpretazione e il giudizio.9 In cosa consiste il monitoraggio Il monitoraggio è un’attività che entra nella valutazione senza identificarvisi10 Una funzione del management che, attraverso una raccolta metodica di dati, verifica se le risorse materiali e finanziarie impiegate in un’iniziativa sono sufficienti, il personale impiegato è adeguatamente preparato e qualificato, le attività in atto sono previste nei termini di riferimento e sono stati raggiunti gli obiettivi prefissati nei piani di lavoro. La "valutazione in corso d'opera" viene spesso chiamata "monitoraggio". Il monitoraggio è particolarmente utile nei programmi e progetti di ricerca pluriennale per ri-orientare, correggere ed eventualmente arrestare l'azione intrapresa.11 Funzioni del monitoraggio e relazioni con la valutazione La funzione di monitoraggio informa se gli inputs previsti, forniti tempestivamente ed in misura adeguata, hanno prodotto gli outputs pianificati. Essa verifica anche se le ipotesi cruciali (condizioni) sulle quali si basa la realizzazione del programma 9 Isfol - Cee, La valutazione nel Fondo Sociale Europeo. Metodologia di valutazione dei programmi operativi, F. Angeli, Milano 1993, p. 40 10 Nicoletta Stame, La valutazione in Italia: esperienze e prospettive, in Claudio Bezzi – Mauro Palumbo (a cura di), “Strategie di valutazione. Materiali di lavoro”, Gramma, Perugia 1998, p. 17 11 Paolo Maria Fasella, L'evoluzione della valutazione comunitaria della ricerca, "UR - Università Ricerca", n. 3, 1998, p. 5 106 continuano ad essere soddisfatte. Il monitoraggio si fonde successivamente con la valutazione in corso di programma, nel senso che quest’ultima esamina criticamente (ed informa) se gli outputs realizzati producono gli effetti previsti e se da questi effetti discendono gli impatti previsti sulla popolazione. differenze fra monitoraggio e valutazione Per semplificare e ricorrendo ad un'immagine efficace, mentre il monitoraggio si limita a registrare l'andamento a zig zag di una barca a vela nel perseguire un percorso contro vento, e così facendo segnala il discostarsi dal tragitto lineare teorico, la valutazione è in grado non solo di motivare tale modalità di percorso ma anche di proporre itinerari alternativi dettati dalle condizioni in cui l'esercizio avviene.12 Se si confonde la valutazione col monitoraggio il risultato è sterile e non utilizzato Il monitoraggio è un sistema di raccolta di informazioni sugli input e la loro utilizzazione, sui tempi di esecuzione e sul grado di realizzazione degli output attesi, per costruire una base dati dalla quale trarre indicatori significativi; esso dovrebbe permettere un feedback per le attività del controllo di gestione. Le informazioni raccolte nel monitoraggio di un programma o di un servizio possono essere usate anche nella valutazione, sia per un confronto comparativo con altre unità di servizio, sia come base di un giudizio sulla efficacia del programma. Spesso però le due attività sono confuse, tanto che capita di leggere valutazioni di programmi che sono progettate come monitoraggi: si seguono le tappe di implementazione dei programmi, si descrivono le operazioni svolte e gli output prodotti, e ci si ferma lì. Manca totalmente l’idea che una valutazione debba riferire gli effetti agli obiettivi, che debba esprimersi su effetti attesi e inattesi, che possa proporre modifiche in base a ciò che ha visto funzionare meglio. La conseguenza è che tali valutazioni non vengono mai utilizzate dai loro destinatari, i quali scoprono sempre cose che sapevano già. Differenze fra valutazioni di processo e di impatto, e monitoraggio 1) Le valutazioni di processo affrontano di norma l’aspetto procedurale, e mirano ad analizzare i seguenti aspetti: a) la congruenza tra gli obiettivi indicati ex ante e quelli perseguiti in fase di attuazione (rilevante se gli attuatori sono soggetti diversi dai decisori); 12 Alberto Silvani, I metodi, le tecniche e le procedure per la valutazione della ricerca, "UR - Università Ricerca", n. 3, 1998, pp. 8-9 107 b) il grado di cooperazione tra i vari soggetti coinvolti nella definizione ed attuazione delle politiche; c) il modo in cui vengono raggiunti i destinatari delle politiche; d) le procedure di partecipazione adottate; e) le risorse impiegate (stanziate ed effettivamente utilizzate) per realizzare l’intervento; f) gli ostacoli o facilitazioni incontrati nell’implementazione dell’intervento; g) gli impatti rilevabili dell’intervento. Questa procedura ha spesso carattere descrittivo, eccezion fatta per il punto g), che costituisce invece il fuoco principale della tecnica indicata al punto 3. 2) I sistemi di monitoraggio si pongono invece l’obiettivo di misurare gli input e gli output delle politiche, in termini di risorse e di attività o risultati previsti o ottenuti. Sotto questo aspetto si configurano come tecniche di valutazione dell’efficacia interna, in quanto prescindono dalla valutazione dell’impatto sull’ambiente socioeconomico esterno, e concentrano la loro attenzione sul rapporto tra risultati attesi e conseguiti. 3) Le valutazioni d’impatto hanno invece ad oggetto la valutazione della misura in cui l’intervento pubblico abbia contribuito a modificare una situazione preesistente (e, in subordine, se tale intervento sia stato realizzato al minor costo possibile). Misurano pertanto l’efficacia (e l’efficienza) esterna, avvalendosi di tecniche quali l’analisi costi benefici.13 Tecniche di monitoraggio. elementi del monitoraggio come elemento amministrativo: In questa categoria sono raggruppabili le tecniche che dirigono l’attenzione in particolare sugli aspetti di carattere amministrativo dell’attività di un servizio. Le procedure implicano la definizione di responsabilità, che vanno monitorate e l’elaborazione di un rapporto ottimale fra tempi e movimenti con riferimento a standards predefiniti. condizioni perché si possa parlare di monitoraggio qualsiasi raccolta di informazioni sui soggetti coinvolti in un intervento può essere definito monitoraggio quando siano soddisfatte queste due condizioni: che i dati siano organizzati in modo da poter essere trattati analiticamente, e che lo scopo 13 Mauro Palumbo, La valutazione. Definizioni, concetti, obiettivi, in Claudio Bezzi (a cura di), “La valutazione della formazione professionale”, Irres, Perugia, 1995, pp. 8-9 108 ultimo di tale raccolta e manipolazione di dati sia di informare il processo decisionale14 teorica distinzione fra produzione di dati e giudizio nella valutazione Valutare implica il giudicare, mentre realizzare uno studio di valutazione implica il fornire le informazioni necessarie per consentire di svolgere correttamente il compito di valutazione-giudizio. Una simile distinzione tra emettere dei giudizi e fornire dei dati è chiara e utile in teoria, ma di difficile attuazione in pratica. La valutazione di impatto sociale come anticipatory research La ricerca coinvolta nella Valutazione di impatto sociale, come del resto quella implicata nella Valutazione di impatto ambientale, si costituisce nitidissimamente come Anticipatory research nel senso proprio che essa individua, stima e valuta gli impatti, prima di tutto negativi ma anche positivi, che un’azione, prevalentemente socio-tecnica, produce sul sistema sociale di riferimento ma ciò nelle fasi temporali che precedono l’implementazione vera e propria.15 La Valutazione di impatto ambientale come strumento di miglioramento decisionale nell’interesse pubblico La Valutazione di impatto ambientale si legittima in quanto strumento di miglioramento delle decisioni e delle azioni a rilevanza ambientale, avendo come criterio, per le scelte, l’interesse pubblico.16 Le prospettive multiple come fattore di miglioramento del Social impact analysis (valutazione di impatto sociale) La ricerca di assessment deve essere in grado di porre in evidenza che uno stesso problema può essere considerato da una serie di differenti punti di vista le cui domande, richieste di informazioni, obiettivi, logiche e razionalità possono o non essere convergenti. L’effetto pratico di questa impostazione è che il problema posto al centro della valutazione di impatto sociale non è più “quali sono gli impatti di una determinata 14 Alberto Martini – Pietro Garibaldi, L’informazione statistica per il monitoraggio e la valutazione degli interventi di politica del lavoro, “Economia e Lavoro”, n. 1, gen-mar 1993, p. 4 15 Fulvio Beato, “La valutazione di impatto ambientale. Un approccio integrato”, Franco Angeli, Milano 1991, 16 Giandomenico Amendola, Qualità della vita, bene comune, rischio accettabile: topoi retorici e/ strettoie concettuali della valutazione d’impatto ambientale, in F. Beato (a cura di), “La valutazione di impatto ambientale. Un approccio integrato”, Franco Angeli, Milano 1991, p. 24 109 azione” bensì “quali sono gli attori coinvolti in questo tipo di azione, la loro percezione del problema, i loro obiettivi, le loro aspettative”. Tutto ciò comporta un mutamento rilevante in quello che può ritenersi il concetto chiave del Social impact analysis, vale a dire l’individuazione della significatività o accettabilità dell’impatto. Il vero cuore di tutta la ricerca è infatti stabilire se un intervento produce una perturbazione significativa di quelli che sono i trends naturali di sviluppo di un sistema naturale e sociale. L’interpretazione prevalente del concetto di significatività, costruito intorno alle descrizioni statisticamente significative nella misurazione delle variabili prima e dopo la realizzazione del progetto, appariva congruente con un tipo di approccio dato implicitamente come scientifico e neutrale che non chiariva il punto di vista dell’analisi e della valutazione, ma è del tutto inadeguato ad un nuovo tipo di valutazione di impatto sociale come quello che si configura con l’uso delle prospettive multiple. In questo caso ciò che deve emergere è che esiste una pluralità di concetti di significatività difficilmente riducibili in sintesi. Ciò, lungi dal costituire un fattore di debolezza, può sul piano pratico consentire sia una migliore conoscenza, con la costruzione di scenari più realistici riguardo alle conseguenze dei progetti, sia anche una scelta finale più efficace in quanto sostenuta da un modello di aiuto alla decisione, di tipo pluralistico e non univocamente determinato.17 La Social impact analysis come anticipatory research La valutazione di impatto sociale si definisce scientificamente come Anticipatory research o come Anticipatory applied social science e tali connotazioni la distinguono radicalmente dalla più affermata e conosciuta Evaluation research (soprattutto la valutazione dei programmi) che formula le sue proposizioni analitiche e valutative soltanto ex post e/o “in corso d’opera”, pur partecipando di un medesimo movimento di scientificizzazione e controllo delle politiche pubbliche.18 17 Emma Corigliano, Il ruolo del “Social impact analysis” tra vecchi e nuovi paradigmi della valutazione di impatto ambientale, in F. Beato (a cura di), “La valutazione di impatto ambientale. Un approccio integrato”, Franco Angeli, Milano 1991, p. 80 18 Fulvio Beato, Il “Wolf’s paradigm” e la differenziazione sociale degli impatti, in Ibidem (a cura di), “La valutazione di impatto ambientale. Un approccio integrato”, Franco Angeli, Milano 1991, pp. 171-172 110 la valutazione deve considerare anche gli impatti sugli individui (necessità di studiare gli impatti psicologici sugli individui) Di conseguenza il quadro globale di riferimento della valutazione deve prendere in considerazione non solo gli impatti diretti e indiretti dell’azione proposta sulle risorse della comunità e sull’organizzazione sociale ma anche gli impatti diretti e indiretti sugli individui.19 La valutazione come determinazione dei risultati ottenuti per raggiungere un obiettivo Intendiamo per ricerca valutativa l’uso di metodi e tecniche della ricerca scientifica allo scopo di esprimere valutazione. Vi è un sostanziale accordo fra gli esperti nel definire la valutazione come il processo di determinazione dei risultati ottenuti con una specifica attività, intrapresa per raggiungere un obiettivo avente un valore. Più in specifico si ritiene che essa consista nello studio delle conseguenze, previste e non previste, desiderabili e non desiderabili, dei programmi di attività predisposti per ottenere un cambiamento sociale programmato.20 La valutazione va dunque collocata a tutti gli effetti all’interno di un modello di pianificazione razionale. Funzioni della valutazione e suo feedback Il momento cruciale della valutazione sta in particolare nella identificazione dei risultati, nella verifica della loro corrispondenza con gli obiettivi prefissati e nella loro coerenza, di nuovo, con le scelte di valore. Da tale verifica deriveranno (o dovrebbero derivare) le indicazioni per i successivi programmi, per una ridefinizione delle scelte di valore e, conseguentemente, degli obiettivi. La logica sperimentale della valutazione contro la burocratizzazione e le fughe ideologiche E’ in questo contesto [di generalizzata sfiducia verso le strutture esistenti] che risulta indispensabile una disponibilità alla valutazione delle nuove realtà emergenti al fine di evitare di cadere o in nuovi processi di burocratizzazione, o in fughe ideologiche che pongono obiettivi, non li realizzano, e coprono questi e quelle con formule 19 Vicki L. Wilde, Il ruolo della psicologia nella valutazione di impatto sociale, in F. Beato (a cura di), “La valutazione di impatto ambientale. Un approccio integrato”, Franco Angeli, Milano 1991, p. 207 20 Leonardo Altieri, La ricerca valutativa negli interventi sociali, in P. Guidicini (a cura di), “Nuovo manuale della ricerca sociologica”, Franco Angeli, Milano 1987, p. 657 111 massimalistiche, promuovendo piuttosto la ricerca di una logica critica e sperimentale idonea a verificare costantemente la rispondenza dei risultati ai fini perseguiti.21 necessità di pianificazione e controllo delle strategie sociali alla stregua di quelle economiche Si è parlato spesso di un pericoloso conflitto tra strategie economiche ed effetti sociali da quelle prodotti: è comunque certo che esiste una chiara subordinazione dei bisogni sociali, in particolare individuali, alle scelte di sviluppo economico complessivo, subordinazione che si rende più o meno evidente in rapporto agli obiettivi politici che una nazione o che le forze in essa più potenti si propongono. E’ proprio partendo da questa constatazione che negli ultimi anni è sorto un movimento di pensiero rivolto a potenziare l’attenzione verso le modalità dell’intervento sociale, non in quanto momento residuali di carattere riparatorio delle contraddizioni dello sviluppo economico, ma come momento di precisazione del quadro degli obiettivi reali dello sviluppo dell’intero sistema sociale. Pur avvertendo la difficoltà di fornire quantificazioni opportune degli scopi sociali principali e pur valutando il complesso sistema di vincoli strutturali che si frappone al perseguimento degli stessi, è questo un tentativo di capovolgere l’ottica corrente, economicistica, che assegnava fideisticamente ed ideologicamente allo sviluppo economico una efficacia naturale di sanamento delle contraddizioni sociali: ma i fatti e le esperienze maturate e la riflessione sulle vere finalità del mondo economico, e quindi sulla qualità dei suoi obiettivi, hanno sufficientemente evidenziato come esistano di fatto, in termini qualitativi ma anche quantitativi, percorsi divaricati tra conseguimento di obiettivi economici legati agli interessi dei gruppi che li propongono e li controllano, e uguaglianza nel benessere e nella produzione sociale. L’orientamento emergente riguarda allora la possibilità di usare della pianificazione sociale per precisare il quadro generale degli obiettivi e delle esigenze sociali da soddisfare e di individuare di conseguenza le strategie opportune convertendo al loro interno anche alcune delle caratteristiche tipiche dei processi economici, 21 Lorenzo Bernardi - Tony Tripodi, Metodi di valutazione di programmi sociali, Fondazione Zancan, Padova 1981, p. 11 112 sottoponendoli cioè sia ad una azione costante di controllo sia piegandoli a funzioni socialmente produttive.22 la valutazione come tecnica gestionale, come raccolta ed elaborazione di informazioni La valutazione è una tecnica gestionale per fornire “feedback” di informazioni ai responsabili dei programmi. l’approccio valutativo include tutte le azioni finalizzate alla raccolta ed alla elaborazione delle informazioni critiche per le decisioni di proseguimento, arresto o modificazione nelle fasi di processo; nonché i criteri operativi per l’utilizzo di dette informazioni. La finalità del processo valutativo è in definitiva l’individuazione dei legami “funzionali” e non meccanici, rigidi, tra i diversi fattori iniziali e le modificazioni avvenute durante l’iter processuale.23 La valutazione come bilancio degli impatti sui destinatari In sintesi, la Valutazione è un metodo di ricerca che si chiede se e quando un intervento pubblico abbia avuto un impatto sui destinatari, a quali costi e se in definitiva “ne è valsa la pena”.24 La valutazione tecnologica come raccordo fra trend tecnologici, desiderabilità delle conseguenze e orientamento dei decisori L’oggetto della valutazione tecnologica deve essere innanzitutto quello di identificare quali siano i principali settori interessati, di anticipare gli effetti di questi cambiamenti sulla società e di considerare il più obiettivamente possibile gli interessi dei vari soggetti sociali. In tale ottica, si può tentare sulla base di obiettivi previamente stabiliti di prevedere i probabili trend della tecnologia e di analizzare le loro possibili conseguenze nel modo più esaustivo al fine di costruire sulla base di strumenti valutativi (Delphi, consensus conference, ...) un set di scelte praticabili finalizzate ad orientare i principali decisori. 22 Lorenzo Bernardi - Tony Tripodi, Metodi di valutazione di programmi sociali, Fondazione Zancan, Padova 1981, p. 22 23 Claudio Bucciarelli, Come valutare. La necessità di un approccio sistemico, in Censis, “Speciale valutazione”, “Note e commenti” n. 1/2, 1991, p. 17 24 Claudio M. Radaelli, Valutare le politiche pubbliche. Metodologia e cultura di un approccio di ricerca, in Censis, “Speciale valutazione”, “Note e commenti” n. 1/2, 1991, p. 28 113 Piuttosto che uno strumento di analisi, la valutazione tecnologica deve essere concepita come un processo permanente, che possa offrire le possibilità di studiare in maniera sistemica le interazioni tra il cambiamento tecnologico e quello sociale al fine di definire le opzioni tecnologiche socialmente accettabili. Essa dovrebbe anche determinare i mezzi necessari attraverso i quali la società potrà influenzare ed orientare le traiettorie dello sviluppo tecnologico. Trattasi quindi di una condizione necessaria per un migliore “fine tuning” dei programmi tecnologici e più generalmente una tappa indispensabile per la formulazione delle politiche della scienza e della tecnologia.25 Valutazione, decisione e meccanismi di feedback il concetto di valutazione [va inteso] come l’insieme delle attività che regolano il meccanismo di feedback con cui gestire il processo decisionale. In questa logica il meccanismo di feedback non riguarda solo il raggiungimento degli obiettivi, ma tutti gli elementi che possono migliorare la capacità decisionale ed operativa dei singoli individui.26 La valutazione come sistema di indicatori per il controllo per attività di valutazione si [intende] quel processo che tenta di definire a posteriori – tramite l’utilizzo e la messa a punto di appositi indicatori – quale sia stato il contributo di un particolare fattore (non misurabile esclusivamente in termini monetari) nel dispiegarsi di un progetto o di una successione di azioni di politica. In altre parole ci si riferirà al processo di valutazione inteso sotto il particolare punto di vista del controllo e del monitoraggio di attività e quindi della rispondenza di obiettivi posti e risultati perseguiti.27 La valutazione ha senso se correlata al momento decisionale La valutazione si basa soprattutto sul ragionamento e su dati misurabili. Essa non viene iniziata per provare un determinato punto di vista ma per migliorare una particolare attività. Se la valutazione viene isolata dal momento decisionale perde allora ogni significato; ha, pertanto, poco valore intraprendere un processo valutativo 25 Andrea Mairate, Programmi tecnologici. Come valutarne l’impatto. in Censis, “Speciale valutazione”, “Note e commenti” n. 1/2, 1991, p. 82 26 Giovanni Bertin, Decidere nel pubblico. Tecniche di decisione e valutazione nella gestione dei servizi pubblici, Etas Libri, Milano 1989, pp. 130-131 27 Bernardo Pizzetti, Valutare e misurare la ricerca: dal dibattito alla prassi operativa, in Marina Gigante, Bernardo Pizzetti, Sergio Ristuccia, “Cultura della valutazione”, Queste istituzioni / gli opuscoli, Roma 1994. 114 se i risultati che da esso emergono non vengono reintrodotti nel processo gestionale.28 Ambito della valutazione dell’assistenza sanitaria La valutazione dell’assistenza sanitaria può essere definita come la determinazione dell’efficacia, dell’efficienza e dell’accettabilità di un intervento pianificato per raggiungere determinati obiettivi. L’efficacia di un intervento è una misura del risultato tecnico in termini medici, psicologici o sociali. L’efficienza è un concetto economico che fa riferimento ai costi dell’intervento in relazione all’efficacia. Infine, per accettabilità si fa riferimento al fatto che l’intervento sia professionalmente e/o socialmente soddisfacente e adeguato.29 La valutazione di impatto ambientale a sostegno di una decisione razionale Lo scopo precipuo di una Valutazione di Impatto Ambientale è di determinare i potenziali effetti ambientali, sociali e di salute pubblica derivanti da una opera progettata: si tenta tramite la V.I.A. di definire e valutare gli effetti fisici, biologici e socio-economici in una formula tale da permettere una presa di decisione logica e razionale.30 La ricerca valutativa come parte integrante dell’intero processo di realizzazione dell’intervento Il contributo della ricerca valutativa non può essere confinato alla pura e semplice valutazione dell’impatto poiché essa è parte integrante di un più ampio insieme di attività che partecipano all’attivazione e alla realizzazione di un intervento.31 Ottimismo e onnipotenza del valutatore ex ante possibile pessimismo e modestia del valutatore ex post Alla pretesa di “onnipotenza” del valutatore ex ante si contrappone, nella valutazione ex post, un atteggiamento che fa della “modestia” e del senso di realtà un proprio punto di forza. Al “nodo teorico” della previsione che impegna il valutatore ex ante 28 Walter W. Holland, Concetti e significati della valutazione dell’assistenza sanitaria, in Ibidem (a cura di), “La valutazione dell’assistenza sanitaria”, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1985, 1^ rist. 1991, p. 22 29 Walter W. Holland, Concetti e significati della valutazione dell’assistenza sanitaria, in Ibidem (a cura di), “La valutazione dell’assistenza sanitaria”, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1985, 1^ rist. 1991, p. 35 30 Brian D. Clark, Scopi e finalità della valutazione dell’impatto ambientale, in P. Bura - E. Coccia (a cura di), “Valutazione di impatto ambientale”, Marsilio, Venezia 1984, p. 25 31 Francesca Zajczyk, Metodi e tecniche della valutazione, in Ibidem, “La valutazione delle politiche culturali. I musei in Lombardia: una realtà complessa”, Franco Angeli, Milano 1994, p. 57 115 si sostituisce qui quello della capacità di “comprendere” o “spiegare” il risultato non atteso. E se il valutatore ex ante deve guardarsi dall’atteggiamento ottimistico (“illusione”) che tende a sottostimare le difficoltà di percorso, il problema del valutatore ex post è quello di non cedere a una pessimistica sopravvalutazione dei fallimenti e alla sfiducia nelle possibilità di realizzare (“delusione”), per riuscire invece a far parlare il più possibile le capacità di cambiamento presenti nella realtà.32 la valutazione come ricerca sociale applicata alle attività politiche la valutazione non è altro che un processo di ricerca sociale che ha per oggetto delle attività politiche. La valutazione può essere rigorosa anche se si cala nella realtà concreta Alcuni non credono ad una applicazione asettica della valutazione, senza tener conto delle realtà concrete in cui i singoli servizi si trovano ad operare e che vengono a condizionare le operatività. Ma credono che sia possibile salvaguardare la rigorosità anche nelle condizioni più difficili di operatività.33 La valutazione scolastica deve fare i conti con l’affettività degli allievi la valutazione (scolastica) coinvolge fortemente l’affettività degli allievi, determinando in buona misura la qualità dei loro atteggiamenti nei confronti della scuola.34 La valutazione dell’efficacia della formazione ha anche una funzione di auditing Vi è chi preferisce utilizzare il termine valutazione dell’efficacia della formazione in senso molto generale, includendo nel significato di tale termine tutte le azioni finalizzate alla raccolta ed alla elaborazione delle informazioni critiche per le decisioni di proseguimento, arresto o modificazione nelle fasi del processo di formazione; nonché i criteri operativi per l’utilizzo di dette informazioni. Si tratta di una definizione che esula dalla tradizionale visione di una valutazione effettuata esclusivamente a posteriori, e consente di esprimere con chiarezza quella concezione 32 Nicoletta Stame, Valutazione “ex post” e conseguenze inattese, “Sociologia e ricerca sociale”, n. 31, 1990, pp. 6-7 33 Francesco Scotti, Introduzione alla ricerca, in AA. VV., “Metodologia della valutazione di un servizio psichiatrico”, “Quaderni di psicoterapia infantile”, n. 15, Borla, Roma 1987, p. 12 34 Benedetto Vertecchi, Manuale della valutazione. Analisi degli apprendimenti, Editori Riuniti, Roma 1984, III rist. 1992, p. 11 116 di “auditing” della formazione che sembra più adeguata alla natura dei processi formativi e all’obiettivo fondamentale di ogni azione formativa.35 Approccio sistemico della valutazione formativa All’interno del paradigma sistemico, la valutazione dei risultati della formazione può essere vista come un insieme di procedure operative, concepite per raccogliere sistematicamente e sistemicamente informazioni valide ed affidabili in merito a quanto un progettato sforzo di cambiamento abbia modificato i processi organizzativi. La finalità del processo di valutazione è l’individuazione dei legami funzionali, e non meccanici, tra le modificazioni avvenute e certe categorie di risultati organizzativi; ed anche la determinazione dell’impatto che programmi della stessa natura potrebbero egualmente avere su altre parti della stessa organizzazione o su altre organizzazioni. La definizione di formazione efficace è però legata alla definizione di organizzazione efficace: cioè la validità di un intervento formativo nel produrre risultati positivi può essere giudicata in modo appropriato solo quando sia stato chiarito quali attività, comportamenti e risultati vengono considerati utili e da perseguire dal punto di vista dell’organizzazione. Di conseguenza l’interpretazione dell’efficacia di un intervento formativo diviene sostanzialmente un problema di criterio scelto per leggere i risultati. La valutazione come strumento di conoscenza degli attori sociali implicati La valutazione può essere considerata, innanzitutto, uno strumento funzionale alla produzione di informazioni sulle dinamiche delle azioni e sugli attori che partecipano alle stesse, sui loro interessi, obiettivi e modalità di interazione.36 La previsione dei comportamenti sociali al centro della valutazione di impatto sociale L’obiettivo fondamentale del V.I.S.E. (Valutazione di Impatto Socio-Economico) viene individuato nel prevedere il comportamento degli attori individuali e collettivi rispetto alla presenza di un insediamento e dei problemi ad esso connessi.37 35 Pier Luigi Amietta - Federico Amietta, Valutare la formazione, Ed. Unicopli, Milano 1989, pp. 29-30 36 Piera Magnatti, Alla ricerca di un “metodo” di valutazione, in Nomisma, “Strategie e valutazione nella politica industriale”, Franco Angeli, Milano 1991, p. 85 37 Francesca Ferrara - Giuseppe Moro, La specificità dell’analisi sociologica nella valutazione di impatto ambientale, in F. Martinelli (a cura di), “I sociologi e l’ambiente”, Bulzoni, 1989, p. 205 117 La valutazione di un programma come comparazione fra obiettivi e risultati Valutare un programma o un progetto di sviluppo significa determinare cos’è “che vale” e qual è il suo “valore” come contributo al progresso sociale. La pietra di paragone per determinare questo valore è data dalle politiche generali di sviluppo e dagli obiettivi di sviluppo in base ai quali il programma o il progetto è stato impostato e dagli obiettivi immediati che avrebbe dovuto realizzare con la sua attuazione. Tanto più vicini a questi obiettivi, scopi e mete sono i risultati, tanto più alto è il “valore” del progetto.38 La valutazione non può e non deve criticare Come ogni altra ricerca, quella della valutazione è un’attività critica. Ma il fine della valutazione non è quello di criticare. La valutazione riguarda fattori e condizioni, effetti e impatto che sono al di fuori della visione e della comprensione del personale del progetto. scientificità della valutazione dei programmi si definisce studio valutativo lo studio delle conseguenze, previste e non previste, desiderabili ed indesiderabili, dei programmi di attività predisposti per ottenere un cambiamento sociale programmato. La ricerca valutativa è l’uso specifico del metodo scientifico e delle sue tecniche di ricerca per condurre uno studio valutativo.39 ruolo dei valori nella definizione dei programmi e conseguentemente nella loro valutazione Non vi è dubbio che i valori giocano un ruolo essenziale nella determinazione degli obiettivi dei programmi di intervento e, di conseguenza, la valutazione dei programmi, delle loro conseguenze desiderabili ed indesiderabili, deve tenere conto dei valori sociali, soprattutto di quelli in conflitto tra loro. Ciò equivale ad affermare la necessità di una definizione quanto più chiara possibile, in termini di valori espliciti ed impliciti, degli obiettivi del programma oggetto di valutazione; la necessità cioè di esplicitare gli assunti di valore che stanno alla base della fissazione degli obiettivi e di verificare la loro congruenza e compatibilità con gli orientamenti di valore dei diversi sottosistemi sociali, al fine di poter qualificare in rapporto ad essi il successo o l’insuccesso del programma. 38 Sven Grabe, Manuale di valutazione, ASAL, Roma 1986, p. 19 39 Anna Maria Boileau, Ricerca valutativa, in “Nuovo dizionario di sociologia”, a cura di Franco Demarchi, Aldo Ellena, Bernardo Cattarinussi, Ed. Paoline, Milano 1987, p. 1766 118 valutazione economica in sanità come comparazione di costi ed effetti Si può definire l’analisi economica come analisi comparativa, in termini di costi e conseguenze delle serie di azioni alternative generate da ciascun programma. Il suo compito primario, anche quando venga applicata al settore dei servizi sanitari, consiste quindi nell’identificare, misurare nonché valutare e paragonare costi ed effetti delle azioni alternative considerate.40 Il valutatore deve trattare ogni successo con un senso di venerazione. Non accontentarsi di dire che qualcosa ha funzionato bene, ma arrischiare una spiegazione circa il perché ha funzionato. Spiegare che cosa sta accadendo nel progetto sullo sfondo di ciò che è prevedibile, e di ciò che invece costituisce una sorpresa.41 ciò che distingue la valutazione spontanea dalla valutazione come strumento scientifico Come spesso si è affermato la valutazione è una categoria implicita nell’azione umana, praticata più o meno consapevolmente, a conclusione di ogni atto, osservazione, intervento singolarmente compiuti o in corrispondenza di più complessi programmi, piani, attività organiche. Ciò che rende questa categoria intellettuale, strumento di analisi scientifica riguarda: a) l’oggetto cui si applica, b) il momento della sua genesi, c) l’assetto metodologico con cui la si articola e programma.42 La valutazione trae e dà significato nella definizione del programma non vi è vera valutazione se essa non nasce contestualmente alla definizione del programma e non predispone le sue regole di comportamento in stretta simbiosi con ogni fase ed aspetto dello stesso: è questo un elemento decisivo per la sua qualità politica, che mira ad assicurare il prezioso carattere della effettiva trasparenza della sua azione proprio perché ammette conflitti, chiarimenti e accordi solo nella fase istruttoria iniziale, ma pretende che le conclusioni attengano esclusivamente ai risultati conseguiti in dipendenza delle procedure concordate. Non vi deve essere 40 M.F. Drummond - G.L. Stoddart - G.W. Torrance, Metodi per la valutazione economica dei programmi sanitari, a cura di V. Ghetti, Franco Angeli, Milano 1993, p. 30 41 Judith Tendler, Progetti ed effetti. Il mestiere di valutatore, a cura di N. Stame, Liguori, Napoli 1992, p. 171 42 Lorenzo Bernardi, Valutazione: significato e metodi, in L. Bernardi - S. Campostrini - F. Neresini - G. Pozzobon, “Sperimentare valutazione. Idee e materiali per il progetto pilota per la sperimentazione di modelli di intervento a favore dei giovani e dei minori”, Regione del Veneto - Assessorato ai servizi sociali e al coordinamento delle politiche giovanili, Istituto Poster, Vicenza xxxx, p. 11 119 cioè spazio per comodi giudizi di valore a posteriori ma analisi della coerenza effettiva tra lo sviluppo dell’attività programmata e i giudizi ad essa collegati. Scopi della valutazione sanitaria in ambito ambientale gli scopi della valutazione sanitaria di impatto ambientale, sono, in primo luogo, quello di identificare e prevedere gli impatti di un determinato progetto su quei parametri ambientali che hanno un grande significato dal punto di vista sanitario (fattori igienico-ambientali); in secondo luogo, quello di tentare di identificarne e valutarne le possibili influenze sulla salute umana; in questa valutazione è compresa anche la stima di quanto il progetto determinerà, in termini di aumento dell’esposizione della popolazione, sia dal punto di vista del numero di esposizioni che della loro intensità, prestando la dovuta attenzione alla maggiore sensibilità dei gruppi a rischio. Per ottenere questo si utilizzano le informazioni relative ai fattori igienico-ambientali, insieme ad altre ricavabili da studi epidemiologici, tossicologici e di valutazione del rischio. La procedura di valutazione sanitaria degli impatti ambientali si estende anche agli incidenti, nel senso che non ci si deve limitare alla previsione degli impatti relativi alle fasi di esercizio, costruzione e smantellamento, ma anche agli incidenti o disastri che si possono verificare durante queste.43 Aspetti psico-sociali e rischio percepito nella valutazione sanitaria in ambito ambientale l’Organizzazione mondiale della sanità, nella sua costituzione, definisce la salute come “uno stato di benessere fisico, mentale e sociale e non semplicemente l’assenza di malattie o infermità”. Questa definizione implica l’ampliamento della valutazione di impatto ambientale, nel campo della salute umana, agli aspetti psicologici e sociali, i quali sono tutt’altro che irrilevanti. Rientrano in questo ambito tutti quegli effetti, che sono la conseguenza diretta o indiretta dei processi di sviluppo, i quali sono suscettibili di turbare e peggiorare la qualità della vita nelle sue varie componenti. Possiamo inizialmente distinguere due categorie fondamentali di questi impatti. In primo luogo, vi sono tutte quelle azioni e sollecitazioni che, senza causare un danno fisico immediato e oggettivamente accertabile, creano tuttavia condizioni di stress e malessere psichico. 120 In secondo luogo, vi è la problematica del “rischio percepito”. Infatti, lo stress e i conseguenti danni alla salute fisica e al benessere psichico possono derivare non solo da stimoli reali e oggettivamente rilevabili e misurabili, ma anche da una percezione della realtà che, pur essendo esasperata o addirittura erronea, è comunque causa di ansia e sofferenza psichica.44 La valutazione rileva il cambiamento “L’evaluation” si configura come una metodologia di intervento atta a rilevare fattori di “cambiamento” in una realtà in cui è in corso un intervento.45 La valutazione come analisi della congruità rispetto agli obiettivi la valutazione è: l’esame critico di uno o più interventi, al fine di verificarne non solo l’efficacia dei risultati e l’economia dei costi (efficienza) ma in termini più generali la congruità rispetto agli obiettivi prefissati.46 La valutazione come produzione di informazioni La valutazione può essere considerata, innanzitutto, uno strumento funzionale alla produzione di informazioni sulle dinamiche delle azioni e sugli attori che partecipano alle stesse, sui loro interessi, obiettivi e modalità d’interazione. Si tratta di un aspetto particolarmente importante; da un lato, in un ambiente caratterizzato da forte turbolenza e da mutamenti rapidi, la risorsa ‘informazione’, se resa disponibile in tempi adeguati, può ricoprire un ruolo molto rilevante all’interno del processo politico relativo ad un intervento. Dall’altro lato, la produzione di informazioni qualificate contribuisce ad aumentare la trasparenza in un mercato imperfetto come quello dell’informazione relativa alle azioni dei soggetti pubblici.47 Fallimento di certa valutazione in ambito educativo Studi effettuati nell’ambito della Comunità Europea confermano l’ipotesi che i sistemi tradizionali di valutazione e di certificazione dell’insuccesso (scolastico) 44 Giovanni Alfredo Zapponi - Pasquale Valente - Gabriella Bellante de Martiis, Salute pubblica, in G. Gisotti S. Bruschi, “Valutare l’ambiente. Guida agli studi d’impatto ambientale”, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1990, 2^ rist. 1992, p. 434-436 45 Maria Vittoria Sardella, Teoria e tecniche dell’evaluation. Per una cultura dell’efficienza e dell’efficacia nel sociale, Clup, Milano 1989, p. 23 46 Marta Scettri. Programmazione e valutazione. Breve storia di un matrimonio mancato, in C. Bezzi - M. Scettri (a cura di), “La valutazione come ricerca e come intervento”, Irres, Perugia 1994, p. 10 47 Piera Magnatti, Esperienze di politica industriale a livello locale. Quali esigenze di valutazione, in C. Bezzi M. Scettri (a cura di), “La valutazione come ricerca e come intervento”, Irres, Perugia 1994, p. 45 121 concorrono pesantemente ad aggravare i problemi che la target population deve affrontare. Nei sistemi che privilegiano la formazione sommativa, quella cioè che si limita a trarre le somme sul lavoro svolto senza innescare strategie di recupero, la valutazione diventa una semplice registrazione dell’insuccesso.48 Elementi da considerare per la valutazione degli effetti economici di un investimento (Obiettivi di chi prepara o valuta un progetto) Prevedere gli effetti economici di un investimento, misurarli tramite procedimenti opportuni di calcolo, esprimere un parere sulla convenienza del progetto attraverso il raffronto fra effetti stimati e criteri predeterminati di accettabilità. Naturalmente tutte le definizioni sono convenzionali. Le giustificazioni a favore di quella qui proposta sono le seguenti: a) ci riferiamo solo ad effetti economicamente rilevanti. Peraltro molti effetti noneconomici di un investimento (ad esempio cambiamenti nel livello di inquinamento o di istruzione) possono essere considerati effetti economici indiretti e come tali inglobati nell’analisi: ma non è affatto sempre così, e comunque, in prima approssimazione, può essere conveniente trascurarli. b) l’analisi che ci serve è di tipo quantitativo. Ciò non toglie che a mo’ di contorno possano esservi (e spesso siano molto importanti) effetti non misurabili. Ma l’accento è posto piuttosto sull’impatto misurabile, per quanto approssimative possano essere le tecniche di stima. c) i metodi di calcolo devono essere formalizzati, cioè logicamente coerenti e completi, in modo da rendere quanto più possibile confrontabili i risultati di diversi progetti o di diversi metodi di calcolo. d) infine, deve esistere una regola di accettabilità predeterminata commensurabile ai risultati. Senza di essa non sapremmo dire se un risultato è “buono” o “cattivo”.49 La valutazione come processo sistematico contrapposta alla valutazione implicita e intuitiva Per valutazione delle attività formative si intende un insieme sistematico di approcci, metodologie e tecniche volti a rilevare ex ante, in itinere ed ex post l’esistenza nelle 48 Emma Nardi, Allievi in difficoltà e nuovi approcci valutativi, “Osservatorio Isfol”, n. 3, 1989, pp. 119-120 49 Massimo Florio, I progetti di investimento. Pianificazione e analisi di fattibilità, Ed. Unicopli, Milano 1985, pp. 16-17 122 iniziative di formazione di precisi requisiti conformi agli obiettivi cui tali iniziative si orientano. Esiste certamente una valutazione di tipo intuitivo ed implicito, ed in alcuni casi questa può essere esatta, ma si tratta di una soluzione che si espone spesso al rischio della discorsività (valutazione come “racconto” delle impressioni sul corso), della tautologia (“ogni azione formativa è buona”) ed in definitiva dell’autogiustificazione. Per questo risulta necessario considerare la valutazione intesa come processo sistematico che connette in modo esplicito e progettuale approcci, metodologie e tecniche.50 Legame fra valutazione e programmazione Valutare gli effetti, i processi, i prodotti e le strutture formative rappresenta, molto di più che una “moda”, ma diviene anzi una necessità nella misura in cui si è consapevoli dello stretto legame che esiste tra programmazione e valutazione.51 ruolo strategico della valutazione nella decisione La necessità di realizzare una valutazione a fini conoscitivi e selettivi rappresenta il momento iniziale di ogni decisione da parte degli attori, e quindi il più delicato ed importante.52 la valutazione come coerenza mezzi-fini Valutazione [della formazione professionale]: verifica del processo formativo dal punto di vista della coerenza mezzi/obiettivi. L’operazione viene attuata implicando una griglia di indicatori in grado di rilevare il perseguimento di specifiche funzioniobiettivo definite dal decisore dello stesso processo.53 La valutazione di impatto Valutazione di impatto (della formazione professionale): analisi delle conseguenze del progetto di formazione sull’insieme interessato, sia dal punto di vista tecnico che economico, socio-culturale, istituzionale e ambientale.54 50 Dario Nicoli, Valutazione delle attività formative, in L. Mauri - C. Penati - M. Simonetta, “Pagine aperte. La formazione e i sistemi informativi: strumenti per le politiche sociali”, F. Angeli, Milano 1993, p. 286 51 Cesos - Fondazione Giacomo Brodolini, Guida operativa alla valutazione degli interventi formativi sotto forma progettuale - Parte I, “Economia e lavoro”, n. 3, 1992, p. 130 52 Cesos - Fondazione Giacomo Brodolini, Guida operativa alla valutazione degli interventi formativi sotto forma progettuale - Parte II - lo strumento, “Economia e lavoro”, n. 4, 1992, p. 171 53 -40 Cesos - Fondazione Giacomo Brodolini, Guida operativa alla valutazione degli interventi formativi sotto forma progettuale - Parte III - bibliografia e glossario, “Economia e lavoro”, n. 1, 1993, p. 144 123 ruolo del destinatario dell’azione valutativa il destinatario di un’azione valutativa non è irrilevante ai fini della valutazione. Esso è titolare di interessi specifici rispetto ai quali promuove la valutazione stessa. Questo è un dato, non un vantaggio o un limite, ma semplicemente un elemento pregiudiziale da definire.55 La valutazione è sempre finalizzata a un possibile utilizzo. E’ essenziale che questo sia esplicitato, al fine di porre attenzione ai vincoli che si porranno allo sviluppo dell’azione (o delle azioni) sottoposte ad analisi. valutazione come analisi degli effetti L’oggetto della valutazione è l’analisi degli effetti delle azioni, la loro efficacia e la loro efficienza, verificate attraverso la ricostruzione dei rispettivi processi e risultati la previsione come elemento centrale della valutazione d’impatto l’obiettivo scientifico fondamentale dello studio di impatto resta quello di conoscere gli eventi prima che essi accadano (di qui una certa “fragilità” degli studi di Sia/Via ma di qui anche il loro fascino e, soprattutto, la loro utilità sociale) e ciò al fine di prevederli, valutarli, gestirli o semplicemente evitarli.56 definizione meccanicistica della valutazione Valutazione: attività complessa connessa al metodo della programmazione, attraverso la quale si verificano i benefici raggiunti, rispetto alle risorse impiegate e agli obiettivi posti, nonché l’adeguatezza delle strategie attuate per il raggiungimento dei risultati stessi. Può fare riferimento a standards, scale qualitative e oggettive ed usa tecniche e strumenti vari.57 distinzione fra evaluation e assessment Il concetto di evaluation è forse meno ampio e definito di quello di assessment. Nel primo caso si fa riferimento alla decisione in merito alla significatività, al valore o alla qualità di qualcosa, sulla base di un’attenta analisi degli aspetti positivi e 40 Saul Meghnagi, Il rendimento dell’intervento formativo pubblico: criteri per valutare ex ante e ex post la formazione, in: Confindustria, “La valutazione della formazione. Come misurare efficienza e qualità nella formazione professionale, Ed. SIPI, Roma 1989, p. 50 56 Fulvio Beato, Rischio e mutamento ambientale globale. Percorsi di sociologia dell’ambiente, F. Angeli, Milano 1993, pp. 106-107 57 Ministero dell’Interno - Direzione generale dei servizi civili - Comit/Sisna, Dizionario sinottico comparativo dei servizi socio-assistenziali, Istituto poligrafico e zecca dello stato, Roma 1994, p. 23 124 negativi. L’assessment è una valutazione che comporta un giudizio su cosa è probabile derivi dalla situazione analizzata.58 due concetti di valutazione: l’analisi a posteriori e quella che interviene per modificare il processo La valutazione della tecnologia, intesa come valutazione degli effetti sociali, si è focalizzata soprattutto sulla valutazione (nonché previsione o anticipazione) degli impatti futuri. Il modo in cui queste valutazioni avessero un effetto di ritorno sullo sviluppo tecnologico era qualcosa di trascurato o lasciato alla regolamentazione della tecnologia. Ciò ha creato il problema del controllo: quando gli effetti sono sufficientemente visibili perché si possano fare studi di impatto affidabili, lo sviluppo è ormai così determinato che si può fare davvero poco al riguardo, se non paradossalmente abolire del tutto quella tecnologia. Il modello semi-evolutivo, al contrario, enfatizza come lo sviluppo tecnologico decolli proprio con la valutazione, che viene quindi a configurarsi non come tentativo di controllo “a posteriori”, bensì come coinvolgimento in sviluppi in corso, allo scopo di modularli.59 scopi informativi e di miglioramento della qualità nella valutazione dei programmi In generale, nei programmi nazionali e comunitari la valutazione è diretta a fornire una base informativa e motivazionale per proseguire il finanziamento ed espandere il settore di spesa pubblica competente. Nondimeno, è possibile riscontrare nello stesso tempo una finalità meno strumentale, consistente nell’obiettivo di migliorare i processi gestionali e decisionali.60 la valutazione come ponte fra obiettivi ed effetti Valutare un’attività vuol dire cercare di tracciarne gli effetti alla luce di alcuni obiettivi pre-determinati61. Una valutazione deve anche indicare correttivi. 58 Leonardo Cannavò, Dentro la tecnologia. Per una metodologia integrata di valutazione sociale delle tecnologie, in: L. Cannavò (a cura di), “Studi sociali della tecnologia. Metodologie integrate di valutazione”, Euroma, Roma 1991, p. 20 59 Arie Rip, Tra innovazione e valutazione. La sociologia applicata alla politica ed alla valutazione della tecnologia, in L. Cannavò (a cura di), “Studi sociali della tecnologia. Metodologie integrate di valutazione”, Euroma, Roma 1991, p. 86 60 Katharine Barker - Luke Georghiou, La valutazione dell’impatto socio-economico della R&D finanziata con fondi pubblici, in L. Cannavò (a cura di), “Studi sociali della tecnologia. Metodologie integrate di valutazione”, Euroma, Roma 1991, p. 118 61 Giuseppe Pennisi, Tecniche di valutazione degli investimenti pubblici, scritti di G. Pennisi e P.L. Scandizzo, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, seconda edizione aggiornata, Roma 1991, p.5 125 in cosa consiste l’analisi costi benefici Analisi costi benefici. Procedimento di valutazione di un progetto attraverso il confronto tra i costi ed i benefici del progetto stesso. I risultati possono essere espressi in diversi modi, tra cui il Saggio di Rendimento Interno (SRI), il Valore Attuale Netto (VAN) ed il Rapporto Benefici Costi Attualizzato (RBCA). Sebbene il calcolo della convenienza finanziaria sia una forma di analisi costi benefici, esso non fornisce una misura soddisfacente del rendimento netto di un progetto per l’economia quando il prezzo di mercato non riflette il reale valore economico degli inputs ed outputs in termini di scarsità relative (o costi-opportunita) od in termini di obiettivi di politica economica. In tali casi si ricorre ai prezzi di obiettivi di politica economica contabili o prezzi ombra ed a parametri nazionali per effettuare l’analisi dei costi e benefici economici. in cosa consiste l’analisi costi benefici sociali Analisi costi benefici sociali. Un’analisi costi-benefici dal punto di vista dell’intera economia, con l’inclusione di considerazioni sulla distribuzione del reddito. l’analisi della minimizzazione dei costi rispetto all’analisi costi benefici Analisi della minimizzazione dei costi. Metodo generalmente impiegato per comparare progetti alternativi a tecniche alternative di un progetto qualora i valori dei benefici non possono essere misurati adeguatamente; ad esempio progetti relativi a istruzione e sanità. in cosa consiste l’audit nella valutazione dello sviluppo Audit. Procedura attraverso la quale si determina se ed in quale modo le misure, i processi, le direttive e le procedure organizzative del donatore e le sue missioni nel Terzo Mondo, siano conformi ai criteri predisposti in precedenza.62 in cosa consiste la valutazione a medio termine Valutazione a medio termine. Il termine identifica la valutazione effettuata durante la fase di attuazione dell’iniziativa. L’obiettivo principale di questa valutazione è quello di produrre conclusioni per un buon completamento del progetto. Spesso la dizione “a medio termine” viene riferita alla valutazione “on going”. In Francia non si usa il termine “èvaluation concomitante”, né “intérmediaire”, né “en cours d’exécution” ma “suivi” o “supervision”. 62 Giuseppe Pennisi, Tecniche di valutazione degli investimenti pubblici, scritti di G. Pennisi e P.L. Scandizzo, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, seconda edizione aggiornata, Roma 1991, p. 410 126 in cosa consiste la valutazione ex ante nella cooperazione Valutazione ex-ante. Esame critico dell’iniziativa di cooperazione così com’è descritta in genere in un rapporto di identificazione iniziale. La valutazione ex-ante seleziona e classifica le varie soluzioni dal punto di vista della rilevanza; della fattibilità tecnica, finanziaria e istituzionale; della redditività socio-economica; della vitalità. La valutazione ex-ante precede immediatamente la base di approvazione, da parte delle autorità, dell’iniziativa proposta. scopi della valutazione ex post rispetto agli obiettivi Valutazione ex-post. Valutazione di un intervento dopo che questo è stato completato. L’obiettivo della valutazione ex-post è quello di studiare se e come il progetto abbia raggiunto gli obiettivi prefissati (purpose) nonché immaginare soluzioni adeguate per interventi simili in futuro. in cosa consiste la valutazione incorporata Valutazione incorporata. Un approccio alla fase di attuazione che comporta una continua auto-valutazione di tutti i principali agenti e partecipazioni all’iniziativa di sviluppo, secondo dei criteri prestabiliti legati agli obiettivi previsti (purpose e goals). Di solito, questo tipo di valutazione è inclusa nel “project plan” durante la fase di progettazione ed è finanziata come parte del progetto. il solo termine ‘valutazione’ è impreciso se non connotato Il termine italiano “valutazione” si riferisce sia ad un esame critico preventivo (valutazione ex ante) che ad un esame retrospettivo (fatta durante o dopo l’esecuzione) dell’iniziativa di cooperazione e deve quindi essere associato ad un attributo che ne qualifichi il momento.63 ruolo centrale dell’esplicitazione degli obiettivi L’esplicitazione chiara e pertinente degli obiettivi è fondamentale tanto per la valutazione ex ante (nella misura in cui deve determinare la compatibilità obiettivi- 63 Daniele Fanciullacci - Massimo Micarelli - Giuseppe Pennisi, Introduzione al tema, in D. Fanciullacci - C. Guelfi - G. Pennisi, “Valutare lo sviluppo. Volume primo. Metodologia e tecnica della valutazione retrospettiva dei progetti”, Franco Angeli, Milano 1991, p. 15 127 mezzi) quanto per la valutazione ex post che deve soprattutto analizzare se ed in quale misura gli obiettivi sono stati raggiunti.64 la valutazione di efficacia riguarda il raggiungimento degli obiettivi Per valutazione di efficacia, intendiamo la valutazione del grado di conseguimento degli obiettivi di un progetto.65 in cosa consiste la valutazione di efficienza Con la valutazione di efficienza si mettono in relazione i risultati conseguiti attraverso un determinato intervento con le risorse utilizzate per la sua realizzazione. In fase di valutazione ex ante, la verifica di efficienza ha soprattutto lo scopo di stabilire la coerenza risorse/obiettivi, nonché la loro onerosità rispetto ad altre alternative possibili. In fase di valutazione ex post, la verifica di efficienza dovrebbe invece permettere di reperire gli eventuali elementi di scarsa efficienza del progetto determinati da: - l’inadeguatezza delle risorse; - lo scostamento tra risorse preventivate e risorse effettivamente acquisite. la valutazione ha comunque sempre un obiettivo di apprendimento e miglioramento La valutazione proposta di un progetto/programma di cooperazione in ambito sanitario è al tempo stesso uno strumento di apprendimento e di guida gestionale, essendo volto a determinare quanto più sistematicamente ed obiettivamente possibile l’importanza, l’efficacia, l’impatto e la vitalità di attività di progetti, alla luce dei loro obiettivi. La finalità di una valutazione può essere molteplice, ma i risultati da essa derivati possono essere sempre ricondotti ad una semplice funzione: un miglioramento della situazione esistente e una fonte di lezioni per pianificazioni future.66 la valutazione come ponte fra realtà e pianificazione La valutazione è il legame tra la pianificazione e la realtà oggettiva 64 Marinella Giovine, Guida per la valutazione ex post dei progetti nel settore della formazione, in D. Fanciullacci - C. Guelfi - G. Pennisi, “Valutare lo sviluppo. Volume primo. Metodologia e tecnica della valutazione retrospettiva dei progetti”, Franco Angeli, Milano 1991, p. 196 66 Antonio Volpi, Guida per la valutazione ex post dei programmi/progetti nel settore sanitario, in D. Fanciullacci - C. Guelfi - G. Pennisi, “Valutare lo sviluppo. Volume primo. Metodologia e tecnica della valutazione retrospettiva dei progetti”, Franco Angeli, Milano 1991, p. 356 128 Un importante obiettivo della valutazione ex post è quello di esaminare l’incidenza delle variabili di genere per il raggiungimento degli obiettivi.67 la retroazione, sua necessità e importanza, nelle diverse fasi della valutazione dello sviluppo La valutazione ex ante dei progetti e programmi di cooperazione allo sviluppo ha lo scopo di fornire ai responsabili dei paesi donatori e dei paesi beneficiari criteri di scelta tra programmi o progetti alternativi in presenza di risorse scarse. Le successive fasi del ciclo della valutazione, e cioè il monitoraggio e la valutazione in corso d’opera, la valutazione a completamento, la valutazione ex post (d’impatto), sono dirette a confrontare realizzazioni e risultati previsti con realizzazioni e risultati effettivi. L’utilità di queste valutazioni è connessa alla possibilità di intraprendere azioni correttive nel corso della esecuzione del progetto o dell’esplicarsi dei suoi effetti o ancora di trarre insegnamenti dall’esperienza fatta per migliorare in tutte le sue fasi la successiva attività di cooperazione. La retroazione rappresenta quindi il fine specifico di ciascuna di queste valutazioni, fine che ne giustifica l’effettuazione ed i costi relativi. Anche se è sempre utile sottolineare che il punto di partenza di una buona retroazione sta nel concepire fin dall’inizio valutazioni ben mirate al loro uso finale, il problema della retroazione, come momento separato da quello della valutazione propriamente detta, deriva tuttavia dalla considerazione che l’aver effettuato una buona valutazione non implica automaticamente che i suoi risultati vengano portati a conoscenza di coloro che li debbono utilizzare, o che costoro li utilizzino effettivamente. Di qui la necessità di prevedere un meccanismo di retroazione specifico per ogni tipo di valutazione di un progetto o programma. Su questo punto l’esperienza dei paesi donatori porta ad un giudizio unanime.68 efficienza Sul versante della valutazione di efficienza si possono adottare approcci molto diversi tra loro, ma ambedue molto significativi: 67 Bianca Maria Pomeranzi, Guida per la valutazione ex post delle iniziative di cooperazione in termini di donne e sviluppo, in D. Fanciullacci - C. Guelfi - G. Pennisi, “Valutare lo sviluppo. Volume primo. Metodologia e tecnica della valutazione retrospettiva dei progetti”, Franco Angeli, Milano 1991, p. 390 68 Massimo Bagarani - Michele Bagella - Giovanni Tria, Analisi delle strutture organizzative e della retroazione, in D. Fanciullacci - C. Guelfi - G. Pennisi, “Valutare lo sviluppo. Volume secondo. Il processo decisionale”, F. Angeli, Milano 1991, pp. 208-209 129 - “efficienza di attuazione” consistente nella valutazione del rapporto tra preventivato ed effettuato sia in termini di risultati (attesi e conseguiti) che in termini di risorse (preventivate ed effettivamente utilizzate); - “efficienza in senso stretto” relativa al rapporto tra risorse e risultati69. ruolo razionalizzatore della valutazione nell’intervento pubblico Le disfunzioni sempre più evidenti di ampi segmenti dell’intervento pubblico fanno sì che improrogabili necessità di razionalizzazione facciano emergere, insieme all’esigenza di maggior impegno progettuale ed organizzativo, anche l’esigenza di azioni valutative volte a identificare gli snodi cruciali su cui intervenire con le necessarie riforme.70 ragioni dell’analisi costi benefici sociale La ragione principale per effettuare, nella scelta dei progetti, l’analisi costi-benefici sociale, è di subordinare questa scelta ad un insieme coerente di obiettivi generali di politica nazionale. La scelta di un progetto, piuttosto che di un altro, deve essere considerata nel contesto dell’impatto sociale complessivo e questo impatto va valutato in base ad un insieme appropriato e coerente di obiettivi.71 valore della valutazione ex ante nella programmazione per progetti [Nella programmazione per progetti] La valutazione assume una posizione centrale, ma essa viene intesa non come fase finale, di verifica, di una programmazione che si sviluppa in un processo circolare, ma come momento fondante lo sforzo progettuale che descrive e produce informazioni sull’impatto prevedibile del progetto, ne individua la coerenza interna, la sua capacità di perseguire gli obiettivi, la sua compatibilità con altri progetti. Ad una valutazione ex post che è volta a scoprire i risultati effettivamente ottenuti, se gli obiettivi prefissati sono stati raggiunti e la misura dello scostamento, si sostituisce una valutazione ex-ante, che cerca la coerenza fra mezzi e obiettivi, che ha lo scopo di trovare una soluzione ottimale, di poter controllare in anticipo l’evoluzione 69 Marinella Giovine, Modelli di valutazione della formazione: sperimentazione della analisi multicriteri come supporto alle decisioni, “Osservatorio Isfol”, n. 2, 1992, p. 19 70 Aviana Bulgarelli - Marinella Giovine, Introduzione a A. Bulgarelli - M. Giovine - G. Pennisi, “Valutare l’investimento formazione”, F. Angeli, Milano 1990, pp. 7-8 71 Partha Dasgupta - Amartya Sen - Stephen Marglin, Guida per la valutazione dei progetti. Manuale Unido, Formez, Napoli 1985, p. 13 130 successiva del progetto: fra gli innumerevoli forme di previsione degli impatti dei progetti si valorizza l’analisi costi e benefici.72 la valutazione funzione di una decisionalità libera da pregiudizi La valutazione è un processo che accompagna lo sviluppo delle decisioni consentendo al decisore di esprimere un giudizio possibilmente libero da stereotipi e pre-giudizi.73 scientificità della valutazione La valutazione è arte di governo e logica scientifica74 la valutazione come mero processo informativo La valutazione, così come viene emblematizzata dalla letteratura sui programmi sociali sembra mostrare una prevalente natura di intelligence e di verifica decisamente informativa che ispira retroazioni ma che non le attua.75 la valutazione risponde ad un mandato sociale l’esigenza cardinale della valutazione sembra quella di dare risposta ad una sorta di social committment. la valutazione come ricerca, interessata alle conseguenze non previste In generale, con studio valutativo, si intende l’analisi delle conseguenze, previste e non previste, desiderabili e non desiderabili, di programmi di attività predisposti per ottenere un cambiamento programmato. Di questa definizione vanno osservate, in particolare, le seguenti parti: a) la valutazione è uno studio, ovvero un’azione cognitiva, di ricerca, di analisi, volta alla comprensione; non è quindi un mero atto amministrativo, non è una routine né un semplice monitoraggio, e deve essere pertanto affrontata con rigore scientifico e, assieme, con flessibilità ed apertura verso ciò che si osserva; b) la valutazione riguarda “programmi di attività”, ovvero insiemi integrati ed organici di progetti, ed in particolare quelli “predisposti per ottenere un cambiamento programmato”; all’origine dell’analisi valutativa c’è sempre, quindi, l’azione politica 72 Remo Siza, La programmazione e le relazioni sociali. I limiti e le opportunità delle attuali strategie in una prospettiva sociologica, F. Angeli, Milano 1994, p. 116 73 Giovanni Bertin, Valutazione e processo decisionale, in Idem (a cura di), Metodi e tecniche di gestione dei processi decisionali”, F. Angeli, Milano 1995, pp. 39-40 74 Lorenzo Bernardi, Misurazione e valutazione: le difficoltà di una coppia alle prime esperienze in comune, in G. Bertin (a cura di), Metodi e tecniche di gestione dei processi decisionali F. Angeli, Milano 1995, p. 75 75 Mauro Niero, Valutazione, sistemi informativi e informatica, in G. Bertin (a cura di), Metodi e tecniche di gestione dei processi decisionali”, F. Angeli, Milano 1995, p. 148 131 della programmazione; non c’è seria valutazione di azioni casuali e non intenzionali, non c’è valutazione se non del cambiamento (anche a fronte di un eventuale fallimento del programma, e quindi della mancanza - comunque improbabile - di qualunque cambiamento); c) la valutazione è fortemente interessata anche alle conseguenze non previste dal programma e/o dai progetti, che anzi divengono spesso elementi di forza; la valutazione è comunque interessata alle conseguenze indesiderabili; sono proprio questi elementi inattesi ed indesiderabili, logiche conseguenze di programmi che non possono pianificare al 100% le azioni sociali, a rendere indispensabile un’azione valutativa obiettiva ed indipendente (e quindi utile ed efficace).76 le finalità dell’investitore condizionano le dimensioni dell’analisi costi benefici Ogni investimento consiste in un impegno di risorse monetarie da parte di un soggetto economico con lo scopo di produrre beni e servizi vendibili durante la vita economica stessa dell’investimento. Il presupposto è una valutazione ex ante che prospetti e quantifichi un valore dei futuri ricavi netti superiore alle risorse monetarie inizialmente impiegate. Ne deriva che le finalità che si propone il soggetto economico che intraprende un investimento condiziona la determinazione dei costi e dei benefici attesi.77 Il termine valutazione implica arbitrarietà e soggettività Il termine stesso di “valutazione” implica un certo grado di arbitrarietà, di soggettività.78 L’analisi costi benefici strumento per eccellenza dell’economia del benessere L’analisi costi benefici è lo strumento per eccellenza dell’economia applicata del benessere.79 76 Claudio Bezzi - Livia Bovina - Eva Jannotti - Marta Scettri, La valutazione della comunicazione pubblica, Irres - Regione dell’Umbria, Perugia 1995, p. 29 77 Antonio Pierri, La valutazione delle strutture aziendali zootecniche, Irres - Regione dell’Umbria, Perugia 1995, p.27 78 Michela Grana, La valutazione dei progetti formativi: un confronto fra Liguria e Umbria, in Claudio Bezzi (a cura di), “La valutazione della formazione professionale”, Irres, Perugia, 1995, p. 48 79 Manuela Crescini, Lo schema di valutazione proposto, in Claudio Bezzi (a cura di), “La valutazione della formazione professionale”, Irres, Perugia, 1995, p. 73 132 obiettivi dell’analisi finanziaria nella valutazione dei servizi alle imprese L’analisi finanziaria, nel caso della valutazione di iniziative volte all’offerta di servizi per le imprese, deve sostanzialmente mirare ad appurare la possibilità della struttura agevolata di operare con efficienza e redditività per un periodo congruo di anni e anche in condizioni di assenza di aiuto pubblico.80 obiettivi della valutazione di impatto ambientale In prima approssimazione si può definire la VIA come un processo conoscitivo che ha come obiettivo quello di evidenziare gli effetti di un’attività umana sull’ambiente e di individuare le misure atte a prevenire, cioè eliminare o rendere minimi gli impatti negativi sull’ambiente, prima che questi si verifichino effettivamente81. differenze fra efficacia interna ed esterna La valutazione di efficacia delle politiche pubbliche viene usualmente distinta in due categorie fondamentali: - efficacia interna (o gestionale), intesa come la capacità di raggiungere gli obiettivi o i risultati attesi fissati a priori dall’Ente pubblico; - efficacia esterna (o sociale), intesa come la capacità del prodotto/servizio offerto dall’Ente di soddisfare i bisogni degli utenti. parallelo fra i diversi tempi della valutazione e i diversi poteri dell’ente pubblico Una più raffinata distinzione può essere operata ponendo mente al momento in cui la valutazione viene effettuata. In letteratura se ne distinguono quattro tipi: - ex ante, ossia prima dell’avvio di un programma o di un intervento; - on going o in itinere, in corso di realizzazione; - conclusiva, al termine dell’attuazione di un programma o intervento; - ex post, quando l’intervento o il programma hanno iniziato a dare i loro frutti. Le quattro modalità temporali di valutazione coincidono peraltro con l’esercizio di poteri diversi dell’Ente pubblico: decisione (ex ante), potere ispettivo (in itinere) e di controllo (conclusiva ed ex post). 80 Antonio Strazzullo, La valutazione dei servizi reali per le piccole e medie imprese, Irres - Regione dell’Umbria, Perugia 1995, p. 35 81 Ministero della Pubblica Istruzione, Direzione Generale dell’Istruzione Professionale - Isfol, Manuale di autoaggiornamento sulla Valutazione di Impatto Ambientale e l’Educazione Ambientale, a cura di Rita Ammassari - Maria Teresa Palleschi, Isfol, Roma 1993, p. 27 133 il termine valutazione implica arbitrarietà e soggettività Il termine stesso di “valutazione” implica un certo grado di arbitrarietà, di soggettività.82 L’analisi costi benefici strumento per eccellenza dell’economia del benessere L’analisi costi benefici è lo strumento per eccellenza dell’economia applicata del benessere83. dubbi sulla capacità della costi benefici di guidare decisioni allocative L’analisi costi-benefici ha come suo primario obiettivo quello di aiutare i decisori pubblici a prendere scelte che assicurino l’ottima allocazione delle risorse. Si pone la domanda se a questo livello [di sistema policentrico di decisioni] l’analisi costi-benefici sia strumento appropriato per guidare le scelte allocative. Anche gli studiosi che sostengono la versione “sociale” di questa tecnica, fondata sull’assunzione di una funzione del benessere della collettività, rispondono in senso negativo.84 utilizzo e limiti della costi benefici l’analisi costi-benefici è un insieme di regole e prescrizioni dettate per aiutare l’operatore pubblico a fare le sue scelte. Lo studio dei suoi contenuti e delle sue possibilità di concreta applicazione nelle diverse circostanze che si presentano nel mondo reale e sotto i vincoli istituzionali esistenti, ha lo scopo di verificare le soluzioni o i modelli alternativi che meglio si prestano a prendere decisioni circa i possibili interventi pubblici.85 il termine valutazione è fortemente connotato Il termine “valutazione” possiede, non sembri un gioco di parole, una forte connotazione valutativa, e per questo infiamma le passioni.86 82 Michela Grana, La valutazione dei progetti formativi: un confronto fra Liguria e Umbria, in Claudio Bezzi (a cura di), “La valutazione della formazione professionale”, Irres, Perugia, 1995, p. 48 83 Manuela Crescini, Lo schema di valutazione proposto, in Claudio Bezzi (a cura di), “La valutazione della formazione professionale”, Irres, Perugia, 1995, p. 73 84 Emilio Giardina, L’analisi costi-benefici e il processo decisionale pubblico, in Aa.Vv., “Calcolo economico e decisioni pubbliche. Prime proposte per un approccio di settore”, Formez, Napoli 1994, p. 25-26 85 Emilio Giardina, L’analisi costi-benefici e il processo decisionale pubblico, in Aa.Vv., “Calcolo economico e decisioni pubbliche. Prime proposte per un approccio di settore”, Formez, Napoli 1994, p. 37 86 Giancarlo Gasperoni, Cultura della valutazione e scuola italiana, “Il Mulino”, n. 362 (n.6), 1995, p. 989 134 sostanziale impossibilità della valutazione ex post degli interventi preventivi Valutare gli interventi di prevenzione del disadattamento minorile e giovanile è senza dubbio un’impresa difficile, se non impossibile. In particolare se per valutazione si intende il controllo ex post dei risultati di un intervento, c’è da chiedersi come sia possibile verificare i risultati di un’azione finalizzata a evitare che un dato comportamento si verifichi. I risultati della prevenzione infatti, quasi per definizione, non si vedono, in quanto la prevenzione è intervento che agisce a monte. Il risultato ultimo della prevenzione è pertanto dato da qualcosa che non è accaduto. Perciò valutare gli interventi di prevenzione significa, in qualche modo, verificare in che misura non è accaduto ciò che ci si attende, attraverso determinati interventi, che non accada. E’ perciò possibile assumere un’accezione diversa di valutazione, intesa non solo come controllo ex post ma come processo di ricerca che accompagna gli interventi, essendo finalizzato a “costruire correggendo”. Si tratta di un processo che, prendendo in considerazione gli obiettivi positivi e verificabili di un intervento preventivo, ne osserva e misura alcuni risultati parziali, cercando anche quanto non era prevedibile a priori, considerandolo un possibile plusvalore dell’intervento.87 la valutazione è un giudizio motivato basato su una logica precisa e su informazioni “Valutare” significa individuare, quantizzare, misurare ed esprimere un giudizio motivato su effetti ed impatti di un’attività. Per effettuare la valutazione di un intervento di politica pubblica, quale, ad esempio, una misura di politica sociale, occorre uno schema di riferimento, una specificazione degli obiettivi che si intendono raggiungere (e degli strumenti che si intendono utilizzare) e dati per misurarne effetti ed impatti.88 ampia articolazione degli obiettivi della valutazione delle politiche Gli aspetti principali della valutazione delle politiche sono i seguenti: a) quello della coerenza di tali politiche con gli obiettivi ed i vincoli di politica economica tanto a livello nazionale quanto a livello delle autonomie locali; b) quello dell’incidenza delle politiche rispetto ad obiettivi e vincoli specifici ai settori, ai comparti e/o agli enti incaricati della loro realizzazione; c) quello dello loro efficacia; d) quello dei 87 Ugo De Ambrogio, Valutare gli interventi di prevenzione, “Prospettive sociali e sanitarie”, n. 2, 1996, p. 2 88 Giuseppe Pennisi, La valutazione del rendimento delle politiche sociali, “Rassegna Italiana di Valutazione”, n. 2, 1996 135 loro risultati attesi e/o effettivamente conseguiti. La valutazione, inoltre, può riguardare a) le politiche in senso ampio; b) le strategie per realizzarle; c) i programmi per dar corpo alle strategie; d) le misure puntuali di cui si compongono i programmi. La valutazione, infine, può avere come proprio campo di analisi a) la definizione e l’allestimento di politiche, strategie, programmi e misure; b) i processi decisionali tramite i quali si è giunti ad esse; c) il ruolo ed i comportamenti dei vari attori in esse coinvolti nei distinti stadi del ciclo del progetto (identificazione, formulazione, decisione di finanziamento e di realizzazione, attuazione, valutazione a completamento ed ex-post); d) uno o più aspetti delle politiche, delle strategie, dei programmi e delle misure (aspetti tecnici, istituzionali, amministrativi, finanziari, economici, sociali). Il terreno, in breve, è molto vasto e diversificato la valutazione si concentra sugli effetti per risalire al processo [L’azione valutativa è] un processo di ricerca sociale tendente a ricostruire induttivamente — a partire dagli effetti (o risultati) dell’intervento — il sistema di relazioni che gli attori implicati hanno generato89 valorialità del giudizio valutativo il valutare è un atto (che implica, nei casi di maggiore complessità, raccolta di informazioni, analisi e riflessione) tendente alla formulazione di giudizi di valore su un oggetto, su una situazione o su un evento. la valutazione come momento di autoriflessività organizzativa si può considerare la valutazione come momento di riflessività dell’organizzazione su se stessa90. la valutazione come attribuzione del valore Un’attività di valutazione consiste, essenzialmente, in un insieme di procedure che hanno come obiettivo la determinazione del valore di un dato oggetto o di una data attività o prestazione.91 audit legale L’audit legale raffronta delle situazioni reali con il modello cui devono conformarsi per legge, per regolamento, per contratto, per statuto dell’ordine professionale e per 89 Domenico Lipari, Progettazione e valutazione nei processi formativi, Edizioni Lavoro, Roma 1995, p. 45 90 Giorgio Gosetti, Valutazione e qualità del lavoro, “Tutela. Trimestrale di politiche sociali”, a. XI, n. 1-2, giugno 1996, p. 62 91 Maria Stella Agnoli - Antonio Fasanella, La scommessa sociologica. Prove tecniche di valutazione. “Sociologia e ricerca sociale”, n. 51, 1996, p. 115 136 ogni altra norma rilevante al caso. Pertanto, l’audit mira a verificare (a) il rispetto di condizioni formalmente stabilite per la legittimità e per il corretto uso del potere e, più in generale, (b) la corrispondenza di un atto alla norma che lo riguarda. Quintessenziale all’audit è che le regole rispetto alle quali esso si esercita siano inequivocabili e di osservanza obbligatoria92 audit finanziario L’audit finanziario è rivolto all’accertamento della veridicità e completezza dei conti, ivi compresi quelli previsionali. Usualmente l’audit riguarda l’osservanza delle regole dell’arte per la tenuta della contabilità in atto, come presupposto della correttezza e completezza dei conti, requisito per la certificazione di bilancio audit tecnico l’audit tecnico verifica l’osservanza dell’insieme di indirizzi generali, di direttive, di procedure, e di raccomandazioni, complessivamente denominabili “regole dell’arte”. Il modello di riferimento dell’audit tecnico è tanto ampio e sfumato che l’audit sfocia spesso in un “giudizio di esperto” valutazione delle mansioni con l’espressione valutazione delle mansioni o job evaluation si intende comunemente un processo sistematico mediante il quale sia possibile pervenire a dei giudizi sulle singole mansioni (jobs) considerate, tendenti a mettere in evidenza la maggiore o minore importanza (relativa) di ciascuna di esse nel contesto organizzativo considerato.93 valutazione dei meriti La valutazione dei meriti appare come un processo continuo che segue l’individuo per tutto il periodo di appartenenza ad una data organizzazione e contemporaneamente come un processo mediante il quale l’organizzazione esprime i propri valori e norme di comportamento e, sulla base di questi, confronta la capacità dei propri membri, esprimendo la propria élite dirigente.94 92 Vittorio Masoni, M&V. Monitoraggio e valutazione dei progetti nelle organizzazioni pubbliche e private, Franco Angeli, Milano 1997, p.68 93 Maurizio Cornaro, La valutazione del lavoro, in Maurizio Cornaro - Bianca Rovida, “La valutazione del lavoro e dei meriti”, Etas libri, Milano 1976, p. 23 94 Maurizio Cornaro - Bianca Rovida, La valutazione dei meriti, in Maurizio Cornaro - Bianca Rovida, “La valutazione del lavoro e dei meriti”, Etas libri, Milano 1976, p. 88 137 il monitoraggio come strumento di rilevazione di discrepanze Il monitoraggio consiste nell’accertamento e nella descrizione puntuale e metodica dell’avanzamento di un progetto e nella segnalazione tempestiva (spesso in tempo reale) di manifeste discrepanze rispetto a quanto prestabilito95 valutazione come analisi del beneficio netto Valutare un intervento significa studiarne il contributo netto alla modifica di una situazione preesistente nel senso desiderato.96 impatto come modifica nella valutazione delle tecnologie dell’informazione Valutare un impatto significa stabilire in che modo un certo oggetto, toccandolo o urtandolo, ne modifica un altro. Nel caso delle N.T.I.C. [Nuove Tecnologie Informatiche per la Comunicazione] si tratta di vedere in generale, in che modo le N.T.I.C. modificano, tra l’altro, l’organicità del lavoro, le professioni. le modalità secondo cui gli individui interagiscono, e perfino la definizione delle politiche internazionali, le transazioni monetarie, il trasferimento di modelli culturali.97 la valutazione ex ante legata al modello razionalistico non vi è dubbio che la valutazione ex ante finisca per riproporre a livello prescrittivo quella razionalità assoluta che proprio lo spostamento di enfasi dalla programmazione alla valutazione aveva messo in discussione come paradigma analitico98 diversi livelli degli evaluandi Oggetto di valutazione potrebbero dunque essere: - politiche generali, quali derivano dai compiti istituzionali o dalle macro scelte politiche (es., diminuzione della disoccupazione) - strategie, ossia insieme coerente di obiettivi e azioni (es., aumentare le occasioni di lavoro) 95 Luisella Pavan Woolfe, Premessa, in Isfol, “Rapporto nazionale di valutazione del Fondo sociale europeo 1994-1995 (a cura di Aviana Bulgarelli e Marinella Giovine), F. Angeli, Milano 1997, p. 28 96 Manuela Samek Lodovici, La valutazione delle politiche attive del lavoro: l’esperienza internazionale ed il caso italiano, “Economia e lavoro”, a. XXIX, n. 1, gennaio-marzo 1995, p. 63 97 Barbara Bruschi, La valutazione dell’impatto socioculturale delle tecnologie telematiche. Un modello generale e un’applicazione all’Italia, “Sociologia e Ricerca Sociale”, n. 52, 1997, pp.166-167 98 Mauro Palumbo, Elementi di una teoria generale della valutazione, in Claudio Bezzi – Mauro Palumbo (a cura di), “Strategie di valutazione. Materiali di lavoro”, Gramma, Perugia 1998, p. 35 138 - politiche specifiche, ossia sub obiettivi delle strategie, ovvero finalità specifiche delle strategie più generali (es., sviluppare l’occupazione dipendente nella PMI (Piccola Media Impresa); sostenere l’autoimprenditorialità) - singoli obiettivi, definiti in termini di risultati attesi, ossia esiti concreti di una politica (es., creare un certo numero di nuovi posti di lavoro dipendente, ovvero un certo numero di nuove imprese). A questi quattro livelli se ne può aggiungere un quinto, quello dei singoli progetti, che si presenta quando i risultati attesi sono definiti da un soggetto cui non compete la realizzazione effettiva dell’intervento (come accade nelle politiche redistributive, in cui sono concessi contributi a privati sulla base di progetti presentati per il finanziamento). cosa possono produrre le discipline empiriche nella valutazione “nel settore delle valutazioni pratico-politiche (particolarmente anche di politica economica e sociale), da cui devono essere tratte direttive per un agire fornito di valore, le sole cose che una disciplina empirica può porre in luce con i suoi mezzi sono le seguenti: 1) i mezzi indispensabili 2) le inevitabili conseguenze; 3) la concorrenza reciproca, in tale maniera condizionata, di più valutazioni possibili, considerate nelle loro conseguenze pratiche”99 la previsione non è deterministica la previsione non intende mettere in evidenza dove si deve andare, tanto meno intende fissare gli imprescindibili obiettivi futuri da perseguire. La previsione normativa e condizionale si adopera per contribuire ad una scelta politica che possa attingere dalla razionalità scientifica alcuni elementi utili per la valutazione delle diverse possibilità da attuare nel presente in vista di obiettivi chiari, molteplici e alternativi.100 la valutazione come processo dinamico in evoluzione La valutazione non è un metodo stabilito una volta per sempre, ma un processo dinamico. Non è nemmeno un obiettivo, ma uno strumento, investito da compiti e da 99 Max Weber, Il significato dell’avalutatività nelle scienze sociologiche e economiche, citato in Alberto Lo Presti, “Previsioni sociologiche e futures studies: un tentativo di ricomposizione logica e concettuale”, “Sociologia e ricerca sociale”, n. 55, 1998, p. 134 100 Alberto Lo Presti, Previsioni sociologiche e futures studies: un tentativo di ricomposizione logica e concettuale, “Sociologia e ricerca sociale”, n. 55, 1998, p. 134 139 aspettative sempre crescenti. Come tutti gli strumenti della scienza e della tecnologia, è in continua evoluzione e affinamento e si trova ad affrontare ambiti e problemi sempre nuovi, tanto che oggi si parla sempre più spesso di "valutazione della valutazione" o "metavalutazione"101 valutazione come apparato tecnico a supporto delle decisioni L'evoluzione della valutazione può essere pertanto definita come la necessità di rendere operativa, in forma semplificata e diffusa, una strumentazione analitica in grado di sistematizzare misurazioni quantitative sufficientemente comparabili e compatibili con gli aspetti qualitativi, rendendo così trasparente il processo discrezionale quale quello della formazione delle decisioni.102 la valutazione è il fondamento conoscitivo della certificazione La ricerca valutativa dunque costituisce il necessario retroterra analitico ed il fondamento conoscitivo che orienta l'atto ufficiale della certificazione103 coinvolgimento degli stakeholder gli approcci valutativi che puntano sul coinvolgimento degli stakeholders anche nella eventuale ridefinizione degli obiettivi, aprono la strada ad un approfondimento a giro doppio. Vi è differenza nelle domande che ci si pone nel corso di una valutazione, queste non devono limitarsi a sapere se il programma ha dato i risultati voluti, ma anche se è buono quello che è successo in conseguenza del programma o va modificato. oggetto di studio della valutazione di impatto sociale Il Social Impact Analysis (valutazione di impatto sociale) si occupa di valutare le conseguenze sociali dello sviluppo di progetti, piani e politiche. Essa ha come oggetto delle sue previsioni l’"ambiente sociale" piuttosto che quello specificatamente "naturale" (bio-fisico), e nel fare ciò utilizza strumenti teorici e metodologici propri delle scienze sociali. 104 101 Giuseppe Tognon, La valutazione, strumento decisivo delle politiche della ricerca, "UR - Università Ricerca", n. 3, 1998, p. 2 102 Alberto Silvani, I metodi, le tecniche e le procedure per la valutazione della ricerca, "UR - Università Ricerca", n. 3, 1998, p. 7 103 Domenico Lipari, Note preliminari sulla certificazione delle azioni formative nelle amministrazioni pubbliche, "Rassegna Italiana di Valutazione" n. 4, 1996 104 Alessandro Bellinzoni, La Valutazione degli impatti socio-ambientali. L’esperienza estera del Social Impact Assessment: quali prospettive per l’Italia ? "Rassegna Italiana di Valutazione", n. 7, 1997 140 la valutazione come processo di apprendimento L'idea che la valutazione sia un "processo di apprendimento" è oggi addirittura considerata una specie di assioma che non fa problema. la valutazione migliora le performance del programma uno strumento che è sicuramente in grado di favorire il maggiore e migliore utilizzo delle risorse previste dai Fondi strutturali è rappresentato dallo svolgimento dell’attività di valutazione nelle sue diverse modalità e, cioè, ex ante, in itinere ed ex post così come raccomandato dai regolamenti comunitari. l’applicazione delle procedure di valutazione aumenta, in presenza di determinate condizioni, le possibilità di successo del programma in termini sia di capacità di spesa dell’ente attuatore sia di risultati di impatto conseguiti dal programma. L’attività di valutazione permette infatti: • l’evidenziazione, in tempi utili, dell’eventuale mancato svolgimento di alcune delle fasi previste e la sollecitazione della loro esecuzione; • la predisposizione delle operazioni necessarie alla loro effettuazione e la verifica della corretta esecuzione delle modalità di realizzazione; • la promozione del grado di integrazione delle fasi e dei soggetti coinvolti nell’attuazione dei programmi.105 valutazione come rigore, analisi causale, misurazione la valutazione persegue lo scopo di stabilire in modo rigoroso quanto l’andamento del risultato è effettivamente causato dall’intervento106 attributi della valutazione che ne definiscono il mandato Una definizione generale di valutazione nei processi di pianificazione richiede la considerazione di alcune questioni rilevanti; fra tutte, la “posizione” dell’azione valutativa, il suo oggetto, la costruzione del problema e la sua mappatura sullo spazio delle soluzioni. Ognuna delle questioni citate costituisce un attributo della valutazione. La posizione indica se si sta costruendo un processo decisionale (se si è all’interno), oppure se ci si trova all’esterno, dando per scontato che il processo non possa comunque essere modificato. Occorre, così, individuare la posizione degli attori, 105 Manuela Crescini, Valutazione e utilizzo dei Fondi strutturali: l’esperienza della regione Toscana, in “Economia pubblica”, n. 5, 1999, p. 92 106 Area extradipartimentale Verifica della programmazione, Guida alla pratica della valutazione degli interventi regionali, Regione Toscana, Giunta regionale, Ufficio programmazione e controlli, Firenze 1999, p. 8 141 compresa quella del valutatore (se è un attore indipendente), per delineare il frame entro cui si colloca la valutazione. In sintesi, la consapevolezza della posizione, del “dove si è”, aiuta a rispondere all’interrogativo sul “perché si valuta”. Un secondo attributo della valutazione è l’oggetto. Si cerca, in questo caso, di rispondere alla domanda: “Da che prospettiva si sta valutando?”. Il problema non esiste in sé, né possiede i requisiti impliciti per essere risolto se non in relazione a strutture e capacità degli attori coinvolti. Le realtà organizzative, che da strutture e capacità sono determinate, interagendo con l’oggetto ne mettono in evidenza le componenti problematiche. La costruzione del problema consente di rispondere alla domanda su “che cosa si valuta”. Il cosiddetto spazio delle soluzioni è delimitato dal modo in cui si definiscono i problemi. Non esistono soluzioni date; ogni soluzione è un esito contingente di giochi voluti o imposti. La costruzione dello ‘spazio delle soluzioni’ cerca di rispondere alla domanda: “E’ mutata la posizione iniziale? E se sì, dove siamo?”.107 valutazione come soluzione di problemi non coperti da norme e standard Si può dire che la valutazione è necessaria quando non sono sufficienti le norme, i parametri, gli standard (verifica di conformità) o le formule deterministiche di calcolo. Il processo di piano comprende sempre una serie di valutazioni, molte delle quali, però, non vengono esplicitate come tali, poiché le decisioni si rifanno spesso a criteri aprioristici; talvolta la valutazione viene intesa come un dilatarsi delle responsabilità ed una esplicitazione delle probabilità di errore. Occorre quindi ricondurre con chiarezza la valutazione al suo obiettivo intrinseco, che mi sembra essere la risoluzione di problemi complessi, non previsti, del sistema normativo (o comunque dal sistema codificato), e l’esplicitazione delle modalità di decisione di fronte alla complessità e alla conflittualità.108 componenti dell’efficacia nella valutazione della pianificazione 107 Domenico Patassini, La valutazione delle politiche territoriali: le dimensioni di un concetto pervasivo, in Stefano Stanghellini (a cura di), “Valutazione e processo di piano”, Alinea editrice – Daest, Firenze 1996, pp. 23-24 108 Vittoria Toschi, Ambiente e urbanistica in recenti esperienze di pianificazione a Bologna. La valutazione nel processo di piano, in Stefano Stanghellini (a cura di), “Valutazione e processo di piano”, Alinea editrice – Daest, Firenze 1996, p. 149 142 L’efficacia è una delle principali regole decisionali: si riferisce alla capacità di una certa azione di ottenere un certo risultato. In essa si esprime al massimo la razionalità tecnica e si misura in unità di prodotti e servizi. L’efficienza si riferisce invece all’entità dello sforzo necessario per ottenere un certo livello di efficacia. A queste e ad altre regole decisionali ci si riferisce quando si parla di efficacia della pianificazione: l’equità (ad esempio quella distributiva), oppure l’adeguatezza (estensione con cui un certo livello di efficienza soddisfa i bisogni o i valori connessi ad un certo problema) oppure ancora la rispondenza ad interessi. Ma nel caso specifico dei parchi la accezione vera con cui si usa il termine efficacia è quello della appropriatezza, ovvero della rispondenza ad una molteplicità di criteri presi in esame insieme per affrontare e risolvere un problema. Essa risponde ad una razionalità sostantiva, multipla (ambientale, sociale, economica, etc.). La valutazione del piano è la applicazione sistematica di questi criteri agli strumenti di pianificazione. 109 il controllo strategico fra analisi dei problemi collettivi e controllo democratico dell’amministrazione Il punto di partenza per definire i contenuti di questa funzione [di valutazione e controllo strategico] (e i compiti degli organismi ad essa dedicati) è quello di sviluppare la tesi secondo cui la valutazione e il controllo strategico costituiscono una risorsa a supporto del vertice politico per: • realizzare i compiti riguardanti l’individuazione e il trattamento dei problemi collettivi; detto in modo sintetico, ciò significa costruire le modalità attraverso cui le domande e i bisogni vengono recepiti e tradotti in politiche, mobilitare consenso sulle soluzioni praticabili, agire a sostegno delle attività di produzione legislativa, strutturare i processi di governo che accompagnano l’attuazione degli interventi e le relazioni con gli altri attori ecc.; • assicurare il controllo democratico sugli apparati amministrativi, e cioè rendere coerente l’attività amministrativa con le missioni delle istituzioni e i risultati attesi dalle politiche.110 109 Rino Rosini, L’efficacia della pianificazione dei parchi, in Rino Rosini, Sandra Vecchietti (a cura di) “La pianificazione dei parchi regionali”, Alinea ed., Firenze 1994, p. 47 143 performance e conformance L’obiettivo della valutazione è la misura della performance e non della conformance la valutazione come alternativa al giudizio impressionistico il problema della valutazione nasce come controllo dell’affidabilità dei processi basati esclusivamente sulla percezione111 la valutazione della qualità nei servizi socio-sanitari La valutazione è un processo dinamico attraverso il quale un soggetto (CHI) esprime dei giudizi di valore, qualitativi e/o quantitativi, nei confronti di un oggetto (COSA) in base a criteri determinati, facendo riferimento a degli standard e utilizzando strumenti appropriati (COME). specificità valutative nei servizi alla persona come il nido Il risultato che ci si propone di valutare in servizi a forte valenza relazionale riguarda il farsi stesso della esperienza educativa, nella consapevolezza che ciò che conta è la qualità di quello che si esperisce nella relazione e la percezione che se ne ha, piuttosto che una improbabile definizione e misurazione dei cambiamenti intervenuti sull’utente112 indispensabilità del rigore analitico Le valutazioni sono utili per giudicare in quale misura un programma migliori il benessere economico nelle regioni assistite e in che modo possa farlo con maggiore efficacia. Per essere autorevoli, le valutazioni devono comunque essere supportate da un rigore analitico ed essere sufficientemente operative da poter essere utilizzate appieno per scopi politici113 la valutazione come ricerca 110 Bruno Dente – Giancarlo Vecchi, La valutazione e il controllo strategico, in Giovanni Azzone – Bruno Dente (a cura di), “Valutare per governare. Il nuovo sistema dei controlli nelle Pubbliche amministrazioni”, Etas, Milano 1999, p. 7 111 Giovanni Bertin – Paolo Bortolussi, Metodi e strategie di valutazione della prevenzione, in Paolo Ugolini – Franco C. Giannotti (a cura di), “Valutazione e prevenzione delle tossicodipendenze. Teoria, metodi e strumenti valutativi”, Franco Angeli, Milano 1998, p. 43 112 Laura Cipollone, Il percorso di analisi della qualità, in L. Cipollone (a cura di) “Strumenti e indicatori per valutare il nido”, ed. Junior, Milano 1999, p. 22 113 Andrea Mairate, La valutazione quale mezzo di apprendimento istituzionale. Insegnamenti tratti dall’esperienza dei fondi strutturali, in Mauro Palumbo (a cura di), “Valutazione 2000. Esperienze e riflessioni”, Franco Angeli, Milano 2000, p. 25 144 La valutazione consiste nel fornire risposte il più possibile precise ed empiricamente fondate a quesiti a loro volta precisi e traducibili in operazioni di ricerca114 la valutazione della formazione professionale come processo razionale di analisi con il termine “valutazione” si [intende] un’attività deliberata e socialmente organizzata che si qualifica per essere: • orientata alla ricostruzione ed alla comprensione critica degli elementi (di processo e di prodotto, di risultato e di impatto) caratterizzanti – in questo caso – un’azione formativa; • finalizzata ad individuare i punti di forza e di debolezza, le specificità e le ambivalenze, il “valore” (con riferimento a determinati criteri e ad espliciti standard) di una determinata azione formativa; • orientata a supportare, in forma più o meno diretta e conseguente, una presa di decisione; • realizzata attraverso il metodo della ricerca sociale strutturata e formalizzata.115 differenze fra valutazione come accountability e valutazione come learnin Le informazioni prodotte per l’accountability saranno quindi periodiche, semplificate, descrittive, ma allo stesso tempo potenziali portatrici di conflitti, almeno allo stato latente, in quanto sviluppate all’interno di un rapporto in cui una parte si aspetta qualcosa da un’altra. In questo senso la parentela con la logica del controllo (inteso sia come verifica sia come tenuta sotto controllo) è ancora evidente. Gli strumenti tipici della valutazione come apprendimento sono invece quelli prestati dalle scienze sociali e codificati in approcci analitici, quali l’analisi di impatto (che utilizza vari metodi quantitativi a seconda dei dati a disposizione e del problema da analizzare) e l’analisi del processo (che utilizza invece metodi prevalentemente qualitativi). Quale che sia l’approccio o il metodo, qui siamo nel pieno della “ricerca valutativa”, intesa come traduzione dell’inglese evaluation research116 114 Mauro Palumbo, La valutazione delle politiche del lavoro, in Mauro Palumbo (a cura di), “Valutazione 2000. Esperienze e riflessioni”, Franco Angeli, Milano 2000, p. 75 115 Alberto Vergani, Un intervento di valutazione ex-post di alcuni percorsi di formazione in ingresso: indicazioni e riscontri per la programmazione, la pianificazione e la progettazione delle politiche e degli interventi di formazione, in Mauro Palumbo (a cura di), “Valutazione 2000. Esperienze e riflessioni”, Franco Angeli, Milano 2000, pp. 143-144 116 Alberto Martini – Giuseppe Cais, Controllo (di gestione) e valutazione (delle politiche): un (ennesimo ma non ultimo) tentativo di sistemazione concettuale, in Mauro Palumbo (a cura di), “Valutazione 2000. Esperienze e riflessioni”, Franco Angeli, Milano 2000, p. 413 145 rischi e imprevedibilità della valutazione della ricerca scientifica L’ampia definizione di valutazione della ricerca scientifica racchiude molteplici contenuti e sottintende un insieme di complessi fenomeni che, da un lato, riflettono l’estensione delle problematiche connesse ad un mondo variegato e segmentato come quello della scienza – dai suoi riferimenti concettuali ai suoi modi operativi – mentre, dall’altro, si confrontano – con una rilevante componente di imprevedibilità e rischio sia nello svolgimento dei processi che nella misurabilità di merito – risultati e impatti117 crucialità dell’identificazione degli obiettivi del programma Nella ricerca valutativa l’identificazione degli obiettivi delle attività che si intendono esaminare è una delle prime azioni da svolgere, e si tratta di una fase non solo molto delicata ma anche cruciale118 la valutazione educativa come processo di attribuzione di senso Valutare in senso educativo significa fare riferimento ad un campo di conoscenza, ad un campo disciplinare specifico, estremamente variegato e in continuo divenire, che non si esaurisce certamente in una pratica di misurazione, tanto meno di condotte individuali, quanto piuttosto si esplica in un processo di attribuzione di senso ad operatività complesse che chiamano in causa differenti attori sociali119 la valutazione modifica l’oggetto valutato Se è vero che nel caso di un intervento valutativo l’ambito della ricerca è predefinito, è vero anche che la prima finalità di questo tipo di indagine è in ogni caso la ridefinizione del contesto sulla base dei risultati e, di conseguenza, la riapertura dell’ambito stesso di indagine, lo spostamento dei suoi contorni.120 necessaria analisi controfattuale per la valutazione degli esiti occupazionali 117 Alberto Silvani, La valutazione della ricerca in Italia: scienza, burocrazia, arte o mestiere?, in Mauro Palumbo (a cura di), “Valutazione 2000. Esperienze e riflessioni”, Franco Angeli, Milano 2000, p. 302 118 Marta Scettri, La valutazione tassonomica, in Mauro Palumbo (a cura di), “Valutazione 2000. Esperienze e riflessioni”, Franco Angeli, Milano 2000, p. 430 119 Anna Bondioli – Monica Ferrari, Introduzione (a cura di), “Manuale di valutazione del contesto educativo: teorie, modelli, studi per la rilevazione della qualità nella scuola”, Franco Angeli, Milano 2000, pp. 10-11 120 Anna Bondioli – Monica Ferrari, Valutazione formativa e restituzione, (a cura di), “Manuale di valutazione del contesto educativo: teorie, modelli, studi per la rilevazione della qualità nella scuola”, Franco Angeli, Milano 2000, p. 103 146 la valutazione degli esiti occupazionali mira a verificare attraverso il giudizio controfattuale se, e in che misura, la formazione professionale intesa come strumento di politica attiva del lavoro, ha prodotto degli effetti sui destinatari. Come si noterà, questa definizione contiene in sé quelle scelte di campo che necessariamente portano all’adozione di alcuni approcci teorici e metodologici a discapito di altri: il ricorso ad un’analisi che tenga conto non solo della situazione osservata (che si verifica con la realizzazione di un intervento) ma anche di una situazione definita come controfattuale (che si verifica in assenza dello stesso intervento).121 efficacia ed efficienza La valutazione ha la finalità di innescare, attraverso strategie di incentivazione basate sui risultati della valutazione stessa, un sistema di azioni e retroazioni teso al miglioramento dell’efficienza e dell’efficacia (qualità) delle azioni pubbliche122 la formazione priva di significato senza valutazione un processo di formazione non è completo fino a quando – e a meno che – non sia stata effettuata una valutazione, poiché è proprio la valutazione a fornire l’indirizzo e a conferire significato alla formazione123 decisione e valutazione Tutto ciò che è decidibile è valutabile. C’è valutazione ogni qual volta qualcuno chiede (a se stesso o a un esterno) di giudicare un’azione intenzionale (progettata, in corso di realizzazione o realizzata) a fronte di qualche criterio e sulla base di informazioni pertinenti; dunque i requisiti di base della valutazione sono la produzione di un giudizio fondato sull’intenzionalità dell’azione da valutare (o sulla ricostruibilità della razionalità, strumentale o valoriale, di tale azione o insieme d’azioni) e la disponibilità di criteri di giudizio, nonché il fatto che l’azione realizzata permetta la raccolta di riscontri empirici utili a supportare il giudizio stesso.124 Marco Centra, Roberto De Vincenzi, Claudia Villante, Formazione professionale e occupabilità. La valutazione dell’impatto degli interventi formativi sugli esiti occupazionali, Struttura ISFOL di Assistenza tecnica – Fondo Sociale Europeo, Roma 2000 122 Enrico Gori e Giorgio Vittadini, La valutazione dell’efficienza ed efficacia dei servizi alla persona. Impostazione e metodi, in Enrico Gori e Giorgio Vittadini (a cura di), “Qualità e valutazione nei servizi di pubblica utilità”, Etas, Milano 1999, p. 122 123 Ronald R. Sims, Valutazione dei programmi di formazione nel settore pubblico, “Problemi di Amministrazione Pubblica”, XIX, n. 4, 1994, p. 523 124 Mauro Palumbo, Il processo di valutazione. Decidere, programmare, valutare, Franco Angeli, Milano 2001, p. 48 147 valutazione come comparazione fondata sulla ricerca La logica della valutazione è quella della comparazione, le informazioni di cui si nutre sono quelle della ricerca. La bontà della valutazione riposa sul rigore con il quale la comparazione viene impostata e sviluppata e sulla bontà della ricerca che fornisce il materiale empirico su cui i giudizi comparativi si fondano. oneri morali della valutazione Se saper scegliere significa sempre saper rinunciare, allora valutare significa assumersi gli oneri morali di una decisione che impone altrui rinunce. definizione realista Per valutazione [ex ante delle politiche di sviluppo locale] intenderò la formulazione di una previsione e di un giudizio su benefici e costi presumibili di una politica, cioè dei suoi effetti netti rispetto a una o più variabili obiettivo, su un’adeguata scala temporale e per una data popolazione bersaglio.125 la ricerca-valutazione la valutazione è anche ricerca, ma non è solo e semplicemente ricerca, cioè predisposizione di una procedura di identificazione, raccolta e interpretazione di informazioni e dati. Essa è anche espressione di giudizi, orientati da valori e da criteri pratici (standard professionali o economici). In tal senso sembra opportuna l’insistenza di C. Cipolla126 nel proporre in italiano il doppio sostantivo “ricercavalutazione” anziché il termine più abituale di “ricerca valutativa”. Non si tratta semplicemente di una traduzione più letterale dell’inglese evaluationresearch, ma dell’espressione puntuale della doppia natura dell’azione di valutazione: a) l’affermazione di una ricerca sociale specifica; b) l’emissione di giudizi sulla base (anche, ma non solo) dei responsi dell’indagine. ruolo dei valori la valutazione è un tipo di ricerca che si occupa di valori127 125 Massimo Florio, La valutazione delle politiche di sviluppo locale, in Raffaele Brancati (a cura di), “Analisi e metodologie per la valutazione delle politiche industriali”, Franco Angeli, Milano 2001, p. 227 126 Leonardo Altieri – Daniela Migliozzi, Una ricerca di qualità. La spendibilità della ricerca-valutazione nei programmi sociali, in Costantino Cipolla (a cura di), “Il ciclo metodologico della ricerca sociale”, Franco Angeli, Milano 1998 (II^ ed. 1999), p. 542 127 Leonardo Altieri – Daniela Migliozzi, Una ricerca di qualità. La spendibilità della ricerca-valutazione nei programmi sociali, in Costantino Cipolla (a cura di), “Il ciclo metodologico della ricerca sociale”, Franco Angeli, Milano 1998 (II^ ed. 1999), p. 573 148 valutazione come incremento di valore d’uso della conoscenza la valutazione attribuisce un giudizio di valore – etico e/o economico –, ma attraverso l’incremento di valore d’uso alla conoscenza umana; quest’ultima è la specificità della valutazione128 valutazione riflessiva Per poter capire quando e in che misura ha appreso qualcosa, il soggetto deve essere in grado di percepire il cammino percorso, di misurare la distanza tra uno stadio iniziale e uno stadio finale e di comprendere i modi con i quali si è arrivati al raggiungimento dello stadio desiderato. L’insieme di queste azioni è definibile come “valutazione” sia della quantità/qualità di ciò che si è appreso sia delle modalità con cui si è appreso, nello stesso tempo è anche apprendere ad osservarsi come soggetto agente costruttore della propria conoscenza. In questo senso mi sembra più appropriato proporre di sostituire al termine “autovalutazione” quelli di “valutazione riflessiva”, intendendo così sottolineare il fatto che il soggetto mentre valuta, cioè misura il proprio apprendimento ed esplicita i processi mentali che ha adottato per conoscere, riflette su se stesso come soggetto produttore di conoscenza.129 valutazione come giudizio in vista di una decisione si è inteso intendere con il termine valutazione un’attività deliberata e socialmente organizzata che porta alla produzione di un giudizio di valore – di norma articolato – in vista di una, più o meno strettamente conseguente, presa di decisione ad esso riconducibile130 la valutazione come formazione La valutazione può essere oggi letta più propriamente – analogamente alla progettazione – come azione cardine del processo formativo. In tal senso valutare è anche formare, non solo a specifiche competenze valutative ma – più in generale – al 128 Carlo Bisio, Valutologia: un’economia di significati, in Carlo Bisio (a cura di), “Valutare in formazione. Azioni, significati e valori”, Franco Angeli, Milano 2002, p. 33 (corsivo nel testo) 129 Elena Righetti, La valutazione riflessiva: autovalutazione e apprendimento, in Carlo Bisio (a cura di), “Valutare in formazione. Azioni, significati e valori”, Franco Angeli, Milano 2002, p. 86 130 Alberto Vergani, Dentro e fuori dal processo formativo. Una sperimentazione di utilizzo della valutazione a sostegno dell’accompagnamento di interventi formativi per occupati, in Carlo Bisio (a cura di), “Valutare in formazione. Azioni, significati e valori”, Franco Angeli, Milano 2002, pp. 195-196. 149 cambiamento personale e organizzativo. Una delle azioni più rilevanti del complesso dispositivo formativo è costituito dalla valutazione, in quanto attribuzione di significati di valore sugli eventi formativi.131 la valutazione come impresa scientifica interessata agli esiti per valutazione si può intendere “un insieme integrato di scelte di valore, di assunzioni teoriche e metodologiche, di metodi e tecniche di carattere scientifico il cui fine è quello di determinare gli esiti di un certo corso di azione intrapreso per conseguire determinati obiettivi”.132 la valutazione come valore la valutazione è di per sé un valore la valutazione come giudizio relativo agli obiettivi La valutazione sviluppa un giudizio sull’azione possibile o già agita; è il processo attraverso cui ci si esprime in merito alla capacità di una scelta o di una politica di conseguire un certo obiettivo133 valutazione delle politiche e problema controfattuale normalmente l’attività di valutazione si sostanzia in un’attività di comparazione, che mette in relazione gli esiti di una politica con uno dei tre elementi sotto elencati: a) con i bisogni, problemi, questioni cui l’intervento deve dare risposta; b) con gli obiettivi che si pone il decisore o l’attuatore; c) con gli standard di qualità predominanti nello specifico campo della politica. Soprattutto nei primi due casi si pone poi il problema di misurare il contributo realmente fornito dalla politica alla soluzione del problema o al conseguimento degli obiettivi. Per isolare gli effetti realmente imputabili alla politica entra in scena un quarto termine di riferimento, che rimane nello sfondo: il controfattuale, costituito dalla situazione che avremmo dinanzi se la politica non fosse stata attivata.134 131 Piergiorgio Reggio, La valutazione qualitativa della formazione, in Carlo Bisio (a cura di), “Valutare in formazione. Azioni, significati e valori”, Franco Angeli, Milano 2002, p. 222 132 Angelo Saporiti, La ricerca valutativa. Riflessioni per una cultura della valutazione, Rubbettino, Soveria Mannelli 2001, p. 40. 133 Ilaria Merati, Il mercato della valutazione attivato dalle politiche strutturali dell’Unione Europea, in Nicoletta Stame (a cura di), “Valutazione 2001. Lo sviluppo della valutazione in Italia”, Franco Angeli, Milano 2001, p. 134 Mauro Palumbo, Valutazione di processo e d’impatto: l’uso degli indicatori tra meccanismi ed effetti, in Nicoletta Stame (a cura di), “Valutazione 2001. Lo sviluppo della valutazione in Italia”, Franco Angeli, Milano 2001, pp. 330-331 150 la valutazione come analisi obiettivi-risultati La principale finalità conoscitiva attribuita alla valutazione è quella di verificare se la politica messa in atto abbia modificato nel senso voluto il fenomeno cui si riferisce. In molte circostanze è altrettanto importante stabilire se la politica abbia prodotto anche risultati non previsti e sovente non voluti. Il termine di paragone non è uno stato prestabilito in cui il fenomeno si deve presentare dopo, ma il confronto con ciò che sarebbe accaduto se l’intervento non fosse stato realizzato.135 la valutazione come ricostruzione del sistema di azione dell’intervento formativo la valutazione [è] un processo di ricerca sociale applicata, orientato alla comprensione e all’apprezzamento, in campi d’azione determinati, dei risultati conseguiti, in una prospettiva analitica che include nel proprio raggio l’intero processo di azione considerato. Si tratta di un lavoro di analisi che ha come scopo quello di cogliere, attraverso un procedimento induttivo di ricerca, le strategie, i comportamenti e l’intreccio delle relazioni multiple tra gli attori implicati nel processo e di identificare il sistema che contiene tali relazioni, i cui contenuti specifici (risultati delle azioni, strategie di implementazione, misure e mezzi adottati, finalità generali, obiettivi parziali, ecc.) costituiscono altrettante poste in gioco intorno alle quali si svolgono le relazioni tra gli attori. Se concepita nei termini che si è cercato schematicamente di delineare, la valutazione costituisce un formidabile strumento di apprendimento e di cambiamento.136 valutazione e ricerca pura Gli studi valutativi si distinguono dalla ricerca pura e applicata soprattutto perché loro obiettivo prioritario è esprimere un giudizio di valore su di una situazione o evento. La valutazione appare cioè orientata soprattutto a finalità pratica, quando non direttamente al miglioramento delle decisioni, ed è forte il suo legame con le politiche sociali.137 135 Maura Franchi, Dalla valutazione delle politiche alle politiche della valutazione: spunti di riflessione sulla base di un caso regionale, in Maura Franchi e Mauro Palumbo (a cura di), La valutazione delle politiche del lavoro e della formazione, “Sociologia del lavoro” n. 77, Franco Angeli, Milano 2000, p. 150 136 Domenico Lipari, Logiche di azione formativa nelle organizzazioni, Guerini e Associati, Milano 2002, pp. 142-143 137 Giuseppe Moro, La formazione nelle società post-industriali. Modelli e criteri di valutazione, Carocci editore, Roma 1998, p. 157 151 valutazione come strumento di governo e controllo Nell’articolazione delle funzioni pubbliche di governo e controllo la valutazione viene ad essere considerata una delle azioni fondamentali di cui la produzione dei servizi necessita e che si colloca ai vari livelli istituzionali e operativi interessati al funzionamento del sistema. La valutazione della qualità, poiché produce indicatori di qualità e strumenti per verificarli, offre i saperi e i metodi indispensabili alla definizione di standard e le risorse professionali e strumentali per la verifica e il controllo.138 valutazione come ricerca di significati culturali la valutazione si rende pratica di documentazione e conoscenza, in modo da far uscire dall’ovvio i significati culturali, spesso impliciti, depositati nelle modalità di organizzazione, di funzionamento e di relazione del servizio139 valutazione come costruzione di senso La valutazione è l’atto di riconoscimento di un valore, di un significato; potremmo quasi dire che la valutazione è l’atto che consente ad un progetto di assumere un “senso”. Infatti un progetto assume significato formativo proprio perché si definisce continuamente, trovando nella valutazione gli elementi per modificarsi e adattarsi costantemente alla situazione.140 valutazione delle politiche pubbliche si potrebbe definire la valutazione delle politiche pubbliche come un’attività di ricerca sociale che ha il compito di produrre giudizi sui risultati di una politica e/o sui relativi processi di elaborazione e di attuazione, attraverso comparazione con criteri espliciti o impliciti; il suo obiettivo è di contribuire al miglioramento delle modalità di intervento pubbliche.141 138 Laura Cipollone, Un sistema di qualità dei servizi per l’infanzia e l’adolescenza, in Laura Cipollone (a cura di), “Il monitoraggio della qualità dei servizi per l’infanzia e l’adolescenza”, edizioni Junior, Bergamo 2001, p. 13 139 Paola Falteri, Multidimensionalità dell’esperienza infantile e approcci valutativi, in Laura Cipollone (a cura di), “Il monitoraggio della qualità dei servizi per l’infanzia e l’adolescenza”, edizioni Junior, Bergamo 2001, p. 31 140 Floriana Falcinelli, La valutazione nell’educazione extrascolastica, in Laura Cipollone (a cura di), “Il monitoraggio della qualità dei servizi per l’infanzia e l’adolescenza”, edizioni Junior, Bergamo 2001, p. 35 141 Ivana Fellini, Daniela Oliva, Flavia Pesce e Manuela Samek Lodovici, Un sistema di monitoraggio e valutazione in un’ottica di genere. Un manuale per l’uso, Provincia Autonoma di Bolzano-Alto Adige – Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – IRS Istituto per la Ricerca Sociale, Bologna 2002 152 valutazione ex ante come ricerca previsionale [La valutazione ex ante] si caratterizza, in buona parte, per essere una attività di ricerca previsionale, iscrivibile al filone dei future studies e, come tale, presenta alcuni problemi metodologici relativi, principalmente alla complessità e multidimensionalità del giudizio valutativo che deve essere esplicato.142 obiettivi della valutazione realista la questione della sfera e dei confini di una spiegazione è assolutamente cruciale per la metodologia della valutazione. Nel passato, la ricerca valutativa è passata da un eccesso di ottimismo (e dalla ricerca di un toccasana universale) alla disperazione (e al lamento “nulla funziona”). L’obiettivo realista si trova nel mezzo. I programmi funzionano in circostanze limitate e, per il realista, il compito principale della revisione e della sintesi è scoprire queste circostanze.143 valutazione come sistema di controllo La valutazione si inserisce in un processo complesso come elemento interno e strutturale di controllo funzionale, qualitativo e di efficacia delle azioni intraprese, al fine di garantirsi un governo costante del processo che ottimizzi le fasi decisorie, l’impiego delle risorse e il raggiungimento degli obiettivi prefissati secondo una logica che circolarmente e funzionalmente immette nel sistema continui adattamenti e autocorrezioni.144 valutazione come ricerca sugli effetti nelle organizzazioni La valutazione è un processo di ricerca finalizzato all’emissione di un giudizio sugli effetti di un’azione il più delle volte complessa: essa è un’attività conoscitiva generalmente concepita come supporto alla progettazione, revisione o programmazione delle attività realizzate da un attore organizzativo istituzionale o aziendale.145 142 Ivana Fellini, Daniela Oliva, Flavia Pesce e Manuela Samek Lodovici, Un sistema di monitoraggio e valutazione in un’ottica di genere. Un manuale per l’uso, Provincia Autonoma di Bolzano-Alto Adige – Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – IRS Istituto per la Ricerca Sociale, Bologna 2002 143 Ray Pawson, Una prospettiva realista. Politiche basate sull’evidenza empirica, in Realismo e valutazione, a cura di Antonio Fasanella e Nicoletta Stame, “Sociologia e ricerca sociale”, n. 68/69, 2002, p. 31 144 Luigi Frudà, Presentazione, in Folco Cimagalli, “Valutazione e ricerca sociale. Orientamenti di base per gli operatori sociali”, Franco Angeli, Milano 2003, p. 9 145 Folco Cimagalli, Valutazione e ricerca sociale. Orientamenti di base per gli operatori sociali, Franco Angeli, Milano 2003, p. 12 153 3.2. Metodologia della valutazione Le seguenti sono definizioni che si basano su riflessioni metodologiche, quindi su tecniche, metodi, procedure, standard nella ricerca valutativa; o che tengono conto del rapporto della ricerca valutativa con la sfera scientifica, quindi la scientificità della ricerca valutativa e la sua oggettività, i problemi di validità e attendibilità, i rapporti con le altre scienze. cosa non è la valutazione Ciò che la valutazione deve evitare di essere: − non deve ridursi a un processo di descrizione delle azioni; − non deve essere normativa o confondersi con metodi di controllo in senso stretto; − deve essere distinta dai metodi di certificazione delle conoscenze; − non può essere considerata esclusivamente come un bilancio finalizzato a misurare il buon esito delle azioni tramite indicatori quali le percentuali di conseguimento degli obiettivi, infine, la valutazione deve essere scissa da un processo di controllo amministrativo diretto a verificare la conformità delle azioni a direttive o a norme predeterminate.1 valutazione come giudizio razionale fondato sulla conoscenza Valutare significa giudicare ed il giudizio può essere realizzato attraverso il pregiudizio, vale a dire utilizzando le credenze e le conoscenze che la storia individuale e organizzativa ha consentito di sedimentare nel tempo. Oppure si può sostituire questa impostazione con una raccolta sistematica di informazioni che consentono di aumentare la capacità di giudizio. Per far questo è necessario riconoscere che ogni giudizio è prodotto dall'interazione di alcune assunzioni di valore, messe in relazione con informazioni e conoscenze relative al fenomeno che si intende valutare. In questa logica valutare significa aumentare la capacità di giudizio supportandola con la definizione degli elementi valoriali che lo compongono e con l'attivazione di tecniche di ricerca capaci di aumentare la conoscenza sul fenomeno che deve essere giudicato. Questa impostazione assume le caratteristiche del processo decisionale teso alla ricerca di una razionalità limitata, che rinuncia al controllo di tutte le variabili capaci 1 Isfol - Cee, La valutazione nel Fondo Sociale Europeo. Metodologia di valutazione dei programmi operativi, F. Angeli, Milano 1993, p. 43 154 di influenzare i fenomeni considerati ed alla costruzione di modelli esplicativi di tipo comprensivo.2 la valutazione come ricerca sociale applicata La valutazione è lo studio degli effetti di un’azione programmata per determinati obiettivi, per vedere se tale azione ha ottenuto i risultati attesi o altri, e per giudicare dell’eventuale scostamento in vista di un miglioramento dell’azione pubblica. Si tratta dunque di una ricerca, anche se di una ricerca particolare, perché tende ad un giudizio in vista di un miglioramento. La valutazione è una ricerca sociale applicata, in quanto: a) riceve l’oggetto della sua analisi dal committente (il decisore di una politica o di un programma, l’attuatore, il beneficiario) e non dal ricercatore stesso; b) deve essere utile alle parti interessate, perché deve consentire di apportare un miglioramento dove le cose erano andate male, o di riconoscere una situazione positiva anche se non era stata prevista; c) viene svolta da specialisti e non (specialisti di valutazione ma anche operatori interni e destinatari di politiche e servizi).3 differenze e problemi fra monitoraggio e valutazione Per monitoraggio si intende la raccolta sistematica e continuativa delle informazioni necessarie per misurare costi e risultati lordi degli interventi (ad esempio nel caso dei sussidi all’occupazione, il numero di assunzioni effettuate con i sussidi) e le modalità di attuazione dell’intervento. La valutazione considera invece i risultati netti dell’intervento: quelli dovuti solo e proprio all’operare dell’intervento (nel nostro esempio il numero di persone assunte col sussidio che non sarebbero state assunte in assenza del sussidio). Il tipo di informazioni necessarie e l’approccio metodologico sono piuttosto diversi: mentre infatti il monitoraggio richiede un approccio di tipo essenzialmente descrittivo, la valutazione di impatto utilizza metodologie di tipo statistico complesse e comporta i problemi maggiori dal punto di vista metodologico, perché è necessario stabilire cosa sarebbe successo in assenza dell’intervento e valutare come si modificano i comportamenti dei soggetti coinvolti. E’ quindi 2 Giovanni Bertin, La valut-azione come strategia di gestione dei servizi sociali e sanitari, “Rassegna Italiana di Valutazione”, n. 3, 3 Nicoletta Stame, La valutazione delle politiche e dei servizi, “Tutela. Trimestrale di politiche sociali”, a. XI, n. 1-2, giugno 1996, pp. 6-7 155 necessario avere una situazione controfattuale o un gruppo di controllo rispetto a cui confrontare l’effetto dell’intervento.4 valutazione formativa valutazione sociale sommativa L’esistenza o meno di un processo di feedback efficace porta a distinguere una valutazione formativa da una valutazione sommativa. Nel primo caso le informazioni scaturite dalla valutazione sono riportate ai decisori in modo tale che questi possano agire sulla base delle nuove conoscenze adattando gli interventi per raggiungere gli obiettivi stabiliti o rivedendo gli obiettivi stessi. La valutazione contribuisce in questo caso ad una logica di apprendimento, il cui apporto principale è da ricercare nella possibilità di migliorare le azioni future. Nel secondo caso si tratta di un’analisi generale del grado di successo o insuccesso ottenuto dal programma: lo scopo non è quello di correggere eventualmente il tiro bensì di dare un giudizio positivo o negativo sulla validità degli obiettivi e dei risultati dell’intervento la valutazione di politiche e programmi come risposta di trasparenza nella gestione pubblica Il periodo che stiamo attraversando è caratterizzato da una richiesta di trasparenza e di accountability nella gestione degli affari pubblici e da un desiderio di apprendere a gestire gli strumenti di intervento che sono a disposizione della società. Ciò pone in primo piano l’esigenza di valutare l’efficacia ed i risultati delle politiche e dei programmi, a cui non corrisponde però ancora un’adeguata conoscenza dei metodi e una soddisfacente creatività negli approcci. sostanziale impossibilità della valutazione ex post degli interventi preventivi Valutare gli interventi di prevenzione del disadattamento minorile e giovanile è senza dubbio un’impresa difficile, se non impossibile. In particolare se per valutazione si intende il controllo ex post dei risultati di un intervento, c’è da chiedersi come sia possibile verificare i risultati di un’azione finalizzata a evitare che un dato comportamento si verifichi. I risultati della prevenzione infatti, quasi per definizione, non si vedono, in quanto la prevenzione è intervento che agisce a monte. Il risultato ultimo della prevenzione è pertanto dato da qualcosa che non è accaduto. 4 Manuela Samek Lodovici, La valutazione delle politiche attive del lavoro: l’esperienza internazionale ed il caso italiano, “Economia e lavoro”, a. XXIX, n. 1, gennaio-marzo 1995, p. 64 156 Perciò valutare gli interventi di prevenzione significa, in qualche modo, verificare in che misura non è accaduto ciò che ci si attende, attraverso determinati interventi, che non accada. E’ perciò possibile assumere un’accezione diversa di valutazione, intesa non solo come controllo ex post ma come processo di ricerca che accompagna gli interventi, essendo finalizzato a “costruire correggendo”. Si tratta di un processo che, prendendo in considerazione gli obiettivi positivi e verificabili di un intervento preventivo, ne osserva e misura alcuni risultati parziali, cercando anche quanto non era prevedibile a priori, considerandolo un possibile plusvalore dell’intervento.5 variabilità degli approcci valutativi Attualmente si assiste ad un “inflazionamento” della nozione di valutazione in una gamma che va dalla semplice descrizione discorsiva delle azioni formative, al tentativo di imbrigliare le stesse in complicati (per la massa di informazioni che richiedono) modelli. Indubbiamente i metodi di valutazione sono innumerevoli, l’importante è che la strada scelta abbia un suo rigore logico ed una sua coerenza formale e sostanziale rispetto agli scopi del processo valutativo. elementi controversi nell’analisi costi benefici L’A. c./b. [analisi costi-benefici] è una tecnica per scegliere la migliore fra diverse alternative (in genere di investimento), confrontandole fra loro sulla base dei costi e dei benefici riferiti all’intera collettività nazionale. L’A. c./b. tiene conto di tutti i benefici e i costi implicati da un progetto, compresi quelli intangibili come la salvaguardia della vita umana o la tutela dell’ambiente, e quindi deve sommare fra loro elementi molto disomogenei e che si producono in tempi diversi. L’eterogeneità dei fenomeni considerati e la loro distribuzione nel tempo costituiscono i punti più controversi del metodo e chiamano in causa due concetti: quello dei prezzi ombra (che consentono di attribuire un valore a tutti i costi e ai benefici) e quello del tasso sociale di sconto (che consente di comparare fra loro valori di epoche diverse).6 5 Ugo De Ambrogio, Valutare gli interventi di prevenzione, “Prospettive sociali e sanitarie”, n. 2, 1996, p. 2 6 Maurizio Maggi, Analisi costi/benefici, in G. Gamba - G. Martignetti (a cura di), “Dizionario dell’ambiente”, Isedi, Torino 1995, p. 48 157 multicriterialità della valutazione di impatto ambientale [La valutazione di impatto ambientale] E’ un metodo di analisi degli effetti prevedibili sulle risorse ambientali della realizzazione di una proposta di intervento. Scopo della Valutazione di Impatto Ambientale è fornire a soggetti pubblici e privati informazioni utili per decidere, dal punto di vista dell’interesse collettivo e non solo da quello del proponente o dell’investitore, su progetti con conseguenze ambientali rilevanti. Diversamente che nell’Analisi costi/benefici, nella V.I.A. gli effetti non vengono misurati tutti col metro del valore monetario attuale, né si utilizza quest’ultimo come criterio esclusivo per la scelta. La V.I.A. è un’analisi multicriteri: le motivazioni della scelta sono varie e possono essere in conflitto fra loro. Essa ha pieno significato come strumento per confrontare alternative piuttosto che per valutare un singolo progetto.7 la valutazione è un costo e non bisogna abusarne Non si può valutare soltanto: da un lato, ogni operazione di valutazione comporta un costo e, dall’altro, le esigenze di funzionamento dell’impresa non permettono di valutare tutto, continuamente e impiegando metodi molto sofisticati. Costruire “grandi impianti” di valutazione può essere gratificante dal punto di vista intellettuale ma si tratterebbe di iniziative senza futuro che andrebbero ad arricchire la “giungla metodologica” che caratterizza la storia della formazione.8 elementi controversi nell’analisi costi benefici L’A. c./b. [analisi costi-benefici] è una tecnica per scegliere la migliore fra diverse alternative (in genere di investimento), confrontandole fra loro sulla base dei costi e dei benefici riferiti all’intera collettività nazionale. L’A. c./b. tiene conto di tutti i benefici e i costi implicati da un progetto, compresi quelli intangibili come la salvaguardia della vita umana o la tutela dell’ambiente, e quindi deve sommare fra loro elementi molto disomogenei e che si producono in tempi diversi. L’eterogeneità dei fenomeni considerati e la loro distribuzione nel tempo costituiscono i punti più controversi del metodo e chiamano in causa due concetti: 7 Alberico Zeppetella, Valutazione d’impatto ambientale (VIA), in G. Gamba - G. Martignetti (a cura di), “Dizionario dell’ambiente”, Isedi, Torino 1995, p. 662 8 G. Le Boterf, La valutazione degli interventi di formazione, “Problemi di gestione”, Formez, vol. XVIII, n. 6, 1990, p. 116 158 quello dei prezzi ombra (che consentono di attribuire un valore a tutti i costi e ai benefici) e quello del tasso sociale di sconto (che consente di comparare fra loro valori di epoche diverse).9 ragioni della “disponibilità a pagare” nella costi benefici Nella valutazione dei benefici di un investimento, soprattutto nell’ipotesi in cui non si disponga di un riferimento certo nei prezzi di mercato o quando il mercato non ne esprima correttamente il valore, viene utilizzato il criterio della “disponibilità a pagare” che consente di valutare l’utilità sociale di un bene a partire dalle preferenze direttamente espresse dai reali, oppure potenziali, consumatori o dedotte dal loro comportamento.10 il “valore di rinuncia” nella costi benefici Nell’analisi economica (e talvolta anche in quella finanziaria) i costi di mercato possono essere sostituiti, ove non rappresentino effettivamente il costo legato all’impiego delle risorse, con i costi collegati alla rinuncia all’impiego del fattore analizzato in un processo produttivo alternativo. elementi oggettivi della valutazione a. ogni valutazione avviene confrontando la realtà con un parametro di riferimento; b. questo parametro può essere soggettivo, personale, interiorizzato (la coscienza professionale; l’esperienza accumulata, ecc.), oppure oggettivo, preordinato, reso palese; c. nel caso di un “processo”, il parametro oggettivo è il suo paradigma: la esplicitazione di un processo “tipo” nelle sue fasi, tempi, organizzazioni, responsabilità; d. nel caso di un risultato, il parametro oggettivo è dato dalla prefigurazione di ciò che si vuole ottenere; g. l’oggettività della valutazione sta nello strutturare una rilevazione dei fenomeni indicatori del cambiamento che consenta la loro misurazione11 la valutazione misura il grado del cambiamento 9 Maurizio Maggi, Analisi costi/benefici, in G. Gamba - G. Martignetti (a cura di), “Dizionario dell’ambiente”, Isedi, Torino 1995, p. 48 10 Davide Pettenella, La valutazione degli investimenti forestali, Irres - Regione dell’Umbria, Perugia 1995, p. 56 11 Fosco Foglietta, La valutazione di esito, “Servizi sociali” (monografico su “La qualità nei servizi sociali e sanitari”), Fondazione E. Zancan, n. 3, 1995, pp. 32-33 159 La ricerca valutativa ha, naturalmente, delle affinità con la ricerca in generale; si differenzia, però, da questa per le finalità che si propone e per la metodologia che utilizza. La prima finalità è quella di “misurare” la distanza che intercorre tra il “prima” e il “dopo” un progetto di intervento, cioè se e quali modificazioni sono state indotte in seguito ad un’azione specifica a livello di istituzione o di organizzazione, quali e quanti apprendimenti ci sono stati nei soggetti che hanno partecipato ad un corso di formazione etc.. Seconda, ma non meno importante, è “misurare” il grado di raggiungimento degli obiettivi di un progetto, soprattutto in itinere. Terza, collegata con la seconda, è sapere da parte di tutte le componenti del progetto come sta funzionando, se il metodo è congruente con gli obiettivi, quanto tutti si stanno impegnando nella realizzazione del progetto, qual è il grado di soddisfazione; per modificare, eventualmente, ciò che non funziona nell’intervento in atto. Infine rendere un’organizzazione cosciente dei propri problemi, delle proprie risorse, capacità, potenzialità in modo da individuare, nel modo più preciso possibile, quali sono le “cose” che non funzionano, da chi dipende il cattivo funzionamento per predisporre un piano d’azione verosimile. la valutazione come procedura non simulata di verifica delle conseguenze dell’azione la ricerca-valutazione può essere intesa come quel tipo di lavoro investigativo che cerca di verificare le conseguenze o i mutamenti introdotti da un determinato stimolo in un contesto sociale definito. Essa, in altri termini, cerca di cogliere l’efficacia di un certo programma (servizio sociale, campagna di informazione, incentivi allo sviluppo ecc.) secondo una procedura sperimentale non simulata, ma reale e colta concretamente nelle sue conseguenze.12 distinzione fra ‘valutazione’ e ‘ricerca valutativa’ Se con il termine “valutazione” si intende il processo generale di formulazione di un giudizio di valore su un’attività senza considerare il metodo impiegato, è necessario riservare il termine “ricerca valutativa” alla sistematica applicazione delle procedure della ricerca sociale ai programmi di intervento sociale e culturale allo scopo di controllarne la realizzazione e verificarne i risultati. 12 Costantino Cipolla, Teoria della metodologia sociologica. Una metodologia integrata per la ricerca sociale, F. Angeli, Milano 1988, p. 163 160 diversità degli obiettivi per ricerca di base e ricerca valutativa La ricerca valutativa si occupa della verifica dell’applicazione di conoscenze acquisite piuttosto che della scoperta di nuove conoscenze, campo, quest’ultimo, di pertinenza della “ricerca di base”. Se la ricerca di base, infatti, persegue l’obiettivo di un accrescimento di conoscenze espresse sotto forma di generalizzazioni teoriche o previsioni astratte, indipendentemente dalla loro utilità, per produrre un cambiamento sociale, la ricerca valutativa ha come obiettivo la raccolta di informazioni utili per la progettazione, il monitoraggio, l’implementazione e l’impatto di un programma di intervento sociale, e produce conoscenze contestualizzate e orientate all’azione in stretta connessione con la situazione concreta a cui lo studio si riferisce. la natura previsiva della valutazione di impatto sociale come elemento di democratizzazione Se il compito fondamentale della evaluation research, soprattutto nella versione della valutazione dei programmi, è quello della verifica scientifica del grado di realizzazione degli obiettivi, compito quindi orientato alla verifica del successo/fallimento, la Social impact analysis (valutazione di impatto sociale) ha per finalità precipua quella di prevedere gli impatti negativi che un’azione sociale data, determina sui sistemi sociali allo scopo di controllarli. Essa si pone allora come strumento di scientificizzazione e democratizzazione delle decisioni da prendere, mentre la valutazione delle politiche pubbliche è volta alla conoscenza di come il contenuto della decisione già presa si realizza nel processo concreto di messa in opera.13 la Valutazione di impatto ambientale come mix di tecniche scientifiche e valutazioni soggettive La valutazione di impatto ambientale si configura come un insieme eterogeneo di dati, metodologie tecnico-scientifiche, criteri partecipativi e decisionali in cui debbono coesistere il rigore scientifico, in riferimento agli aspetti di indagine conoscitiva sulle componenti chimico-fisiche, biologiche e socio-economiche dell’ambiente e l’opinabilità propria di valutazioni soggettive e scale di valori, espresse dalle componenti sociali, nonché conoscenze pratiche, esperienze ed intuito 13 Fulvio Beato, La progettazione di istituzioni per la salvaguardia dell’ambiente: il dilemma tra efficacia e partecipazione pubblica, in: L. Pellizzoni - D. Ungaro, “Decidere l’ambiente. Opzioni tecnologiche e gestione delle risorse ambientali”, F. Angeli, Milano 1994, p. 162 161 che costituiscono il bagaglio individuale ed il saper dare dei singoli attori del processo.14 il timore della valutazione ne mette in ombra il suo valore scientifico La valutazione è per propria ineliminabile natura, bifronte: ha il volto dell’obbligo e i tratti della minaccia. Essa si impone come categoria di osservazione necessaria per ogni comportamento, pubblico o privato, individuale o collettivo, ma porta con sé i sospetti per un uso malizioso e di parte e, conseguentemente, i timori per le decisioni che da essa possono derivare. Questa doppia valenza, in particolare per la sua seconda dimensione, ha frenato frequentemente l’utilizzazione del metodo della valutazione nella convinzione che ogni forma di giudizio non possa che fondare su presupposti soggettivi non generalizzabili e comunque non validabili attraverso un approccio rigoroso e partecipativo. Le paure per i rischi successivi hanno spesso prevalso sugli intenti di avvalersene: il principio che tutti possono giudicare, ma che nessuno possiede il crisma dell’attendibilità, è stato argomento per rigettare anche un tormentato e critico itinerario di investigazione e messa sotto verifica delle potenzialità di un metodo che fondasse nel rigore, nella trasparenza, nella chiarezza delle finalità, la sua irrinunciabile prassi e il suo scientifico valore.15 la Valutazione di impatto ambientale come strumento scientifico di riduzione della complessità; contraddizione fra realtà di una scienza fondata sul dubbio e atteggiamento popolare fideistico verso di essa La Valutazione di impatto ambientale - tra le altre funzioni - ha quella di migliorare la decisione ed introdurre la scienza (la verità nel lessico parsoniano/luhmanniano) come mezzo per fare interagire i diversi soggetti del processo decisionale e costituire, quindi, le premesse di una comunità razionale fondata dialogicamente. 14 Renzo Marini, Gestione delle conoscenze e processi politico-decisionali: il caso della valutazione di impatto ambientale, in F. Beato (a cura di), “La valutazione di impatto ambientale. Un approccio integrato”, Franco Angeli, Milano 1991, p. 217 15 Lorenzo Bernardi, Introduzione, in L. Bernardi - S. Campostrini - F. Neresini - G. Pozzobon, “Sperimentare valutazione. Idee e materiali per il progetto pilota per la sperimentazione di modelli di intervento a favore dei giovani e dei minori”, Regione del Veneto - Assessorato ai servizi sociali e al coordinamento delle politiche giovanili, Istituto Poster, Vicenza xxxx, pp. 9-10 162 Il problema è che questi obiettivi entrano in frizione con un quadro nel quale le tradizionali certezze sono in discussione. Il ricorso alla conoscenza scientifica come mezzo per alleggerire i conflitti e ridurre la complessità nella società contemporanea ha luogo in un momento in cui sta avvenendo - per usare l’espressione di Vleck - il passaggio dal razionalismo scientifico al relativismo democratico. La contraddizione tra la domanda di certezza e di razionalità, scientificamente fondata, ed il crescente relativismo che invece si incontra anche nelle aree tradizionalmente considerate a bassa incertezza valoriale, non è di per sé un dato negativo o di crisi (come si amava dire qualche anno fa). La contraddizione non è paralizzante, essa può rappresentare, se elevata a coscienza come momento di riflessione critica, occasione e fattore di miglioramento della strumento V.i.a. La Valutazione deve fare i conti con la cultura tipica del metodo scientifico moderno: la cultura dell’incertezza. Dubbio, criticità, esplorazione sono atteggiamenti costanti nella comunità scientifica. Cautela e probabilismo sono, perciò, alla base delle risposte che la scienza è oggi in grado di dare. Queste risposte non corrispondono, però, alla domanda diffusa che alla scienza viene rivolta in quanto i valori e gli atteggiamenti della comunità della ricerca non sono propri né dell’opinione pubblica né dei decisori. Paradossalmente, uno dei motivi per cui la gente si rivolge, oggi, alla scienza è l’esigenza di certezza, di verità non opinabile o influenzabile da giudizi-pregiudizi politici o ideologici. Si tratta della domanda diffusa parson-luhmanniana di riduzione della complessità tramite “la verità”. Amministratori e decisori, da parte loro, ripropongono i tratti della cultura di massa dominante non avendo praticamente nulla della propria esperienza che li possa aver condotti ad un nuovo approccio problematico. Essi sono, in larga parte, saltati da un modello e da una cultura umbertina e prefettizia dell’amministrazione ad uno tutto orientato alla costruzione del consenso e perciò omogeneizzato alla cultura ed agli atteggiamenti dei constituents. E’ mancata loro, inoltre, l’esperienza del piano e della fase sperimentale del social planning che è invece stata esperita negli anni ‘60 e ‘70 dalla gran parte dei paesi industrialmente avanzati dell’occidente. Non pochi sono i problemi, come vedremo più avanti, che scaturiscono proprio dal conflitto tra capacità/volontà di risposta della comunità scientifica e 163 domande/aspettative, tanto della cultura politico-amministrativa, che di quella che possiamo definire cultura generalizzata del quotidiano. Il problema sta nel fatto che la scienza non è oggi ciò che la gente crede che sia o che possa essere. La frizione tra due culture e lo scarto tra domanda e risposte diventano tanto più visibili quanto maggiore è il conflitto per la cui gestione o ricomposizione viene richiesto l’intervento degli “esperti”.16 rapporto valutazione-scienza; presenza di caratteristiche non ‘scientifiche’ nella valutazione Un aspetto della ricerca valutativa che va adeguatamente sottolineato riguarda l’enfasi che usualmente è posta sul suo carattere “scientifico”. La ricerca valutativa, scrivono P.H. Rossi e colleghi, deve essere oggettiva quanto più possibile e tale che “le prove portate a favore dei risultati” di un intervento sociale possano essere sottoposte a controllo per stabilire se quegli stessi risultati si sarebbero avuti anche senza l’intervento”. Non è difficile intuire che questi autori, come molti altri, si riferiscono alla attendibilità e alla validità, ovvero a due dei concetti che distinguono il metodo scientifico; né che questa caratterizzazione mira a evitare che nella r.v. vengano compresi tutti quei processi e quelle attività valutative fondate su impressioni individuali, sul buon senso o anche sull’uso di standard professionali, ma che non hanno quel carattere di rigorosità e di sistematicità che è proprio dell’investigazione scientifica. Per quanto non priva di fondate giustificazioni, questa caratterizzazione porta tuttavia a escludere diversi approcci della r.v. che attualmente stanno guadagnando il favore di molti studiosi e che, almeno secondo certi criteri, non si possono strettamente definire come “scientifici” . D’altra parte è chiaro che anche per la r.v. si ripropongono le stesse questioni che da sempre investono lo status scientifico delle discipline sociologiche. Evidentemente non è questa la sede per affrontare adeguatamente tale questione.17 16 Giandomenico Amendola, Qualità della vita, bene comune, rischio accettabile: topoi retorici e/ strettoie concettuali della valutazione d’impatto ambientale, in F. Beato (a cura di), “La valutazione di impatto ambientale. Un approccio integrato”, Franco Angeli, Milano 1991, pp. 20-21 17 Angelo Saporiti, La ricerca valutativa: un’introduzione alla valutazione dei programmi socio-sanitari, in P. Donati (a cura di), “Manuale di sociologia sanitaria”, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1987, p. 204 164 metodo sperimentale come paradigma predominante della ricerca valutativa Per quanto importanti, le precedenti fasi della ricerca valutativa sono soltanto propedeutiche a quello che è il suo fine deputato: stabilire l’efficacia di un programma sociale, ovvero stabilire se l’intervento effettuato ha prodotto gli effetti previsti. Questa fase della r.v., variamente definita come impact, outcome o effectiveness analysis, è quella che maggiormente si presta a essere formalizzata secondo i canoni tradizionali del “metodo scientifico”. Stabilire infatti se un programma sociale è efficace significa stabilire se, posto uno stato di cose che si vuol modificare, un determinato corso di azione intrapreso nel tempo t1 ha prodotto al tempo t2 i mutamenti desiderati nel pre-esistente stato di cose. Una volta posto il problema in questi termini, non è difficile individuare nel metodo sperimentale il “naturale” quadro di riferimento teorico e metodologico di questa fase della r.v. Da questo punto di vista il richiamo alla scientificità della r.v. è soprattutto un richiamo alla tradizione e all’autorità di una concezione consolidata della ricerca scientifica; ma è anche, al tempo stesso, un richiamo che settori non marginali delle scienze sociali hanno sempre criticato e respinto. Comunque sia, sebbene altri approcci alternativi stiano guadagnando terreno, resta il fatto che il paradigma predominante della r.v. è tuttora quello sperimentale e che mutamenti radicali non paiono imminenti. Nelle sue linee essenziali, l’analisi sperimentale classica prescrive che si costituiscano due gruppi di unità di analisi e che solo uno dei due, il gruppo sperimentale E, sia esposto al trattamento previsto dal programma. Il trattamento rappresenta la variabile indipendente X, ovvero quella variabile che si suppone sia in grado di produrre variazioni nella variabile dipendente Y, vale a dire l’obiettivo del programma. Successivamente, al termine del trattamento, si misura Y in E e si confronta tale misurazione con l’analoga misura effettuata però sul gruppo che non è stato esposto al trattamento, il gruppo di controllo C. Se la differenza tra i valori di Y in E e in C è “statisticamente” significativa, allora il trattamento è efficace e il programma ha raggiunto il suo obiettivo. Una variante molto frequente di questo modello, che non ne modifica affatto la logica, prevede che i due gruppi E e C siano esposti a trattamenti diversi oppure a intensità diverse dello stesso trattamento, in modo da poterne stabilire l’efficacia comparativa.18 18 Angelo Saporiti, Manuale di Sociologia sanitaria, Roma 1987 165 sviluppo tecnico e scientifico del Social impact analysis per migliorare la predizione e carenza nei risultati Il problema del Social impact analysis ( valutazione di impatto sociale) che si presenta agli occhi degli stessi sociologi è quello di aumentare la propria “credibilità”, e la strada prescelta è quella di affinare, perfezionare e ampliare le metodologie e le tecniche a disposizione, accettando così di fatto la sfida di dimostrare che anche l’imponderabile e l’intangibile possono essere quantificati e previsti. La sfida della quantificazione e della predizione dei fenomeni sociali viene condotta non solo adattando le tecniche disponibili nell’ambito della sociologia alle nuove circostanze ma, soprattutto, prendendo a prestito da altri campi di ricerca strumenti e tecniche che sembrano rendere possibile portare nel processo decisionale la dimensione della soggettività resa referente, oggettivizzato e quantificato per la costruzione di nuovi standards. Così i sociologi cominciano a familiarizzarsi all’uso di sofisticati strumenti come i modelli di simulazione computerizzati, finalizzati alla quantificazione e predizione delle variabili sociali che sembrano offrire le migliori garanzie per una conoscenza che abbia le caratteristiche di certezza e di neutralità richieste. Nonostante i passi avanti compiuti dal S.i.a. in questa direzione, la cautela nell’assunzione dei risultati non diminuisce in quanto non solo questo non sembra ancora dare sufficienti garanzie di validità ed attendibilità ma lo sforzo verso una maggiore quantificazione ed “oggettivizzazione” dell’analisi pare aver portato il Sia sulla strada di evidenti contraddizioni ed ambiguità. Ad esso sostanzialmente si rimprovera: 1. la sua sostanziale incertezza conoscitiva, legata all’assunzione di indicatori quantitativi “indiretti”, il più delle volte rivelatisi inappropriati ed inadeguati a rappresentare e misurare i complessi processi sottostanti. Le ricerche di impatto sociale vengono perciò per la maggior parte dei casi giudicate incomplete nell’informazione e nell’analisi degli effetti. 2. la presenza di implicite assunzioni di valore alla base dei coefficienti, dei parametri e delle curve di trasformazione utilizzate. Segni evidenti di queste 166 contraddizioni sono l’uso di concetti come “coefficienti di importanza relativa” che nulla sembrano avere a che vedere con metodi scientifici ed obiettivi di analisi.19 multidimensionalità e multidisciplinarietà nell’analisi di impatto sociale l’analisi [di impatto sociale] appare difficilmente riducibile a singole discipline scientifiche. E’ evidente, piuttosto, l’esigenza metodologica della multidimensionalità e della multidisciplinarietà. Nelle analisi di impatto, infatti, il tema del carattere unitario dell’oggetto, pur nelle possibili articolazioni in componenti e subsistemi, ed il conseguente problema dell’integrazione delle scienze sociali, da più parti richiamati in sede teorico-epistemologica, si pongono come forti esigenze pratico-operative.20 previsione sociale Deve essere prima di tutto chiarito che la previsione sociale non si presenta come una operazione che si distingue dal “normale” agire scientifico. Come nota Carley, la Valutazione di impatto sociale non deve essere pensata come strumento capace di garantire livelli avanzati di previsione sociale scientifica poiché la previsione, come l’elaborazione di modelli, nelle scienze sociali è ancora nella fase genetica. La S.i.a. deve essere considerata una metodologia atta ad assistere e ad illuminare la scelta politica e non a prevedere il futuro o, parafrasando Popper, ad elaborare profezie globali sul futuro. La previsione sociale si costituisce come operazione scientifica, basata su metodi quantitativi ma anche qualitativi, che indaga sulle future condizioni di un sistema sociale sulla base di formulazioni di ipotesi relative a ciò che, come dice Livi, è “più probabile” che accada.21 problematicità della Valutazione di impatto sociale dovuta alla complessità dell’oggetto di studio e alla carenza metodologica Lo sviluppo della problematica della V.i.a si presenta non privo di difficoltà, concernenti per lo più la natura stessa delle conoscenze scientifiche necessarie, sia in riferimento al livello di complessità dei sistemi ambientali coinvolti che possono 19 Emma Corigliano, Il ruolo del “Sia” tra vecchi e nuovi paradigmi della valutazione di impatto ambientale, in F. Beato (a cura di), “La valutazione di impatto ambientale. Un approccio integrato”, Franco Angeli, Milano 1991, p. 75 20 Manlio Maggi, Le dimensioni sociali negli studi di impatto ambientale dei grandi impianti energetici, in F. Beato (a cura di), “La valutazione di impatto ambientale. Un approccio integrato”, Franco Angeli, Milano 1991, p. 109 21 Fulvio Beato, Il “Wolf’s paradigm” e la differenziazione sociale degli impatti, in Ibidem (a cura di), “La valutazione di impatto ambientale. Un approccio integrato”, Franco Angeli, Milano 1991, p. 188 167 essere affrontati solo in una visione sistemica e, conseguentemente, su nuove basi metodologiche, che alla nuova situazione di produzione/uso delle conoscenze che si determina e che in larga misura deve ancora essere correttamente definita a livello teorico. A tutto ciò si aggiunge la diffusa consapevolezza dei ricercatori di dover operare in questo campo, come d’altronde in tutto il settore degli studi di previsione che implicano l’esplorazione del complesso rapporto fra tecnologie e società, in condizioni di incertezza sui contenuti e di carenza metodologica, in quanto l’ampia casistica, l’eterogeneità delle variabili in gioco e le conseguenti difficoltà di riduzione e modellizzazione dei sistemi in esame non consentono codificazioni e generalizzazioni proprie di una vera e propria disciplina scientifica. 22 conoscenza scientifica disciplinare, conoscenze pratiche contestualizzate E’ chiaro che ci troviamo di fronte a due tipi di conoscenza. Mentre la ricerca scientifica disciplinare produce conoscenze decontestualizzate, convenzionali, universali, sistematiche e oggettive, in cui il soggetto conoscente viene espulso o neutralizzato, le conoscenze pratiche sono contestualizzate (connesse a situazioni, a problemi) e costituite da un insieme di “saper fare”, fondato su uno spettro di possibilità, a sua volta condizionato da un insieme di valori, in cui la convalida è ricercata in relazione alla conformità con gli scopi perseguiti, piuttosto che all’aderenza alle basi disciplinari convenzionali. In tale nuova prospettiva non possono più esistere contenuti di conoscenza isolati, presi in se stessi, indipendentemente dagli insiemi di competenze in cui si iscrivono e dalle funzioni sociali e politiche a cui sono legati. Quando le conoscenze disciplinari vengono tradotte in conoscenze pratiche secondo le modalità descritte, perdono chiaramente alcune loro caratteristiche peculiari. Si verificano infatti processi di livellamento, di semplificazione problematica, di ridefinizione di obiettivi a livelli sub-ottimali, di limitazione dell’incertezza, dei rischi e delle accidentalità. limiti e non utilità di misurazione e quantificazione L’abitudine dei ricercatori a misurare e quantificare, preferendo gli aspetti quantitativi e numerici a quelli qualitativi, conduce ad ignorare spesso i limiti della quantificazione. Gli abusi più ricorrenti della fiducia eccessiva nella quantificazione si fondano sulla erronea credenza che la quantificazione aumenti l’obiettività dei 22 Renzo Marini, Gestione delle conoscenze e processi politico-decisionali: il caso della valutazione di impatto ambientale, in F. Beato (a cura di), “La valutazione di impatto ambientale. Un approccio integrato”, Franco Angeli, Milano 1991, p. 222 168 dati, consenta una descrizione della realtà più accurata e sia essenziale a decisioni razionali. Molti recenti studi si sono adoperati a mettere in luce la pericolosità di queste convinzioni; ma la quantificazione non solo non è essenziale al fine di prendere decisioni razionali in campo ambientale, ma può essere addirittura dannosa in molti casi. A tal fine si ricorda che decisioni razionali non possono prescindere dall’operare selezioni e scelte fra alternative basate su valori e desideri di quanti sono coinvolti nelle decisioni stesse. la valutazione della condizione economica legata alla percezione di stato La valutazione della condizione economica di un soggetto è legata ad una percezione di stato. Come tale essa riflette l’impatto sia di una grandezza di stock che di flusso, ovvero sia di patrimonio che di reddito23. analisi costi-benefici: varietà di approcci e tecniche L’analisi costi benefici è essenzialmente un esercizio di economia del benessere applicata. Essendo questa disciplina basata su una teoria normativa dell’economia pubblica, non è sorprendente che esista un insieme, abbastanza variegato, di approcci, che in parte riflette visioni diverse del ruolo dell’intervento pubblico in economia. Non ha significato una tecnica standard indipendente dalla formulazione di una precisa funzione-obiettivo della autorità responsabile della decisione di spesa, il che implica: a) obiettivi misurabili; b) legami funzionali ben definiti fra funzione-obiettivo e singoli obiettivi; c) esplicitazione dei vincoli quantitativi che restringono il campo di variazione degli strumenti.24 la valutazione come approccio scientifico ai problemi sociali la necessità di affrontare i vari livelli dell’attività sociale muniti di un approccio valutativo, nasce dalla convinzione: 1) che la scienza può e deve essere usata per favorire un avvicinamento alla soluzione dei problemi sociali; 2) che un uso corretto della stessa non può prescindere dal contributo di un robusto e verificabile apparato 23 Gianfranco Cerea, La tutela dei soggetti “privi di mezzi”. Criteri e procedure per la valutazione della condizione economica, “Pubblico bene”, n.0, 1994, p. 16 24 Massimo Florio, La programmazione per progetti nelle regioni, in Idem (a cura di), “Valutazione degli investimenti pubblici e programmazione regionale”, F. Angeli, Milano 1990, p. 11 169 metodologico né dalla esplicita volontà di voler precedere gli interventi sul reale con una organica e consistente attività di ricerca.25 i ricercatori valutano misurando scientificamente i risultati La volontà di compiere valutazione introduce un’ulteriore figura nei processi [di programmazione, oltre ai responsabili di gestione del processo, alla popolazione oggetto del programma e agli operatori]: la figura cioè di ricercatori che, sostanzialmente e forse pericolosamente al di fuori della decisione di attivazione e realizzazione dei programmi, si propongono di misurare con ottica scientifica la “bontà”, cioè la corrispondenza dei risultati raggiunti. ricerca, programmazione e valutazione come circolo organico ricerca sociale, programmazione, valutazione, non solo [rappresentano] un circuito necessario e insostituibile per l’intervento sociale, ma nel loro realizzarsi esse si sovrappongono negli approcci generali dei metodi, nei problemi da affrontare, nelle soluzioni da scoprire: l’una senza le altre è un corpo monco e inadeguato, l’una si alimenta e si costruisce solo con riferimento alle altre. problemi di misurabilità di alcune categorie di impatti Ad una analisi attenta degli impatti ambientali dei trasporti appare subito evidente come essi siano molteplici e disomogenei tra di loro, caratterizzati da diverse dimensioni temporali e spaziali e con relazioni dose-risposta più o meno difficili da individuare. Tutto questo pone svariate difficoltà per la stima del valore economico di questi impatti. Innanzitutto, mentre esiste una unità di misura immediatamente identificabile per alcuni impatti (consumo del suolo, numero di persone coinvolte in incidenti, rumore, vibrazioni, ecc.), per altri manca una unità di misura aggregata (inquinamento dell’aria, dell’acqua e del suolo) e per altri ancora manca una unità di misura naturale, ovvero l’unità di misura è soggettiva (impatto visivo, separazione delle comunità) e dipende da abitudini, gusti, preferenze, ecc. Ovviamente, la precisa definizione della quantità di bene ambientale danneggiato è una condizione necessaria per l’identificazione della curva di domanda del bene.26 25 Lorenzo Bernardi - Tony Tripodi, Metodi di valutazione di programmi sociali, Fondazione Zancan, Padova 1981, p. 11 26 Romeo Danielis, La valutazione del costo sociale dei trasporti: metodi e risultati, “Economia pubblica”, n. 2, 1995, pp. 85-86 170 la valutazione come validazione o falsificazione di ipotesi di impatto Il cuore dell’evaluation è dunque la validazione o la falsificazione di un’ipotesi di impatto di una variabile indipendente (una politica pubblica ad esempio) su una variabile dipendente (il comportamento dei destinatari della politica), all’interno di un modello di relazioni causali.27 gli indicatori di impatto elemento insufficiente alla valutazione di una politica quando si considerano come “risultati” di una politica pubblica gli indicatori di un output non si fa valutazione in senso stretto. pluralità di metodi valutativi non esiste “il” metodo della valutazione, ma una pluralità di metodi che consentono di “ritagliare” la valutazione sul singolo caso, all’interno di una “teoria contingente”. centralità della qualità dei dati nella valutazione delle politiche del lavoro [Nella valutazione delle politiche del lavoro] Il problema dei dati statistici che possano descrivere l’impatto della normativa sull’obiettivo prefissato, è centrale. È evidente che un tale problema può essere risolto solo se la normativa (o l’eventuale circolare esplicativa) ed il modello di rilevazione dei dati che ne devono misurare l’impatto sull’obiettivo, vengono realizzati nello stesso tempo.28 inopportunità di approcci valutativi sofisticati e troppo formalizzati Lo sviluppo dell’approccio programmatorio razional-comprensivo ha visto il fiorire di esperienze valutative pregnate da modelli formalizzati, caratterizzati dall’uso di strutture complesse che necessitano l’uso di strategie di ricerca sofisticate. Ma le condizioni in cui tali modelli possono essere usati risultano spesso difficili da trovare, con il risultato di disincentivare anche coloro che hanno cercato di intraprendere questa strada. La messa in crisi dei modelli razional-comprensivi e la rinuncia alla ricerca di una razionalità assoluta nella gestione del processo decisionale ha prodotto una differenziazione di modelli e strumenti anche nel campo della valutazione.29 27 Claudio M. Radaelli, Valutare le politiche pubbliche. Metodologia e cultura di un approccio di ricerca, in Censis, “Speciale valutazione”, “Note e commenti” n. 1/2, 1991, p. 28 28 Antonio Pacinelli, Alcune considerazioni sulla qualità dei dati per la valutazione delle politiche del lavoro, “Economia e lavoro”, n. 4, 1990, p. 123 29 Giovanni Bertin, Decidere nel pubblico. Tecniche di decisione e valutazione nella gestione dei servizi pubblici, Etas Libri, Milano 1989, pp. 130 171 la valutazione di impatto come valutazione degli effetti netti Spesso la valutazione di un intervento sociale è stata intesa come analisi di performance, cioè come misurazione del cambiamento avvenuto nella popolazione dopo l’erogazione dell’intervento. Le valutazioni condotte in questo senso soffrono peraltro di un limite evidente: esse misurano non solo l’effetto specificatamente attribuibile all’intervento, ma anche l’effetto di concomitanti cambiamenti naturali avvenuti nella popolazione a prescindere dagli interventi. Incomincia così a svilupparsi l’attenzione per la valutazione intesa come analisi di impatto, per la quale l’obiettivo è misurare il cambiamento netto ottenuto a seguito di un intervento, stabilendo se la situazione creata con l’attuazione dell’intervento sia diversa (e in quale misura lo sia) da quella che si sarebbe osservata in assenza dello stesso o in presenza di interventi alternativi. Con il termine analisi di impatto si intende quell’insieme di metodi usati per stabilire in che misura e in quale direzione un intervento contribuisce a modificare la situazione preesistente. L’analisi di impatto, a differenza dell’analisi di performance, si propone di valutare il contributo netto di un intervento. A questo scopo, si rende necessario il confronto tra la situazione osservata, cioè quella che si presenta dopo l’attuazione di un intervento, e una ipotetica situazione base, cioè quella che si sarebbe osservata se non si fosse attuato alcun intervento.30 la valutazione come approccio scientifico statistico-quantitativo Nel passato, la valutazione di solito si basava sull’intuizione e sulle valutazioni personali circa la validità o meno di un programma. Si dava per scontato che gli operatori sanitari fossero in grado di riconoscere se essi stavano raggiungendo gli obiettivi predisposti. La maggior parte delle discipline mediche, tuttavia, ha visto sempre di più l’ingresso di una metodologia scientifica; è chiaro infatti che la valutazione statistica e quantitativa dà più affidamento di quanto non faccia l’intuito cosicché questo tipo di approccio viene sempre più utilizzato nella valutazione dell’assistenza sanitaria.31 30 Angela Me, La valutazione dell’impatto di politiche sociali, “Economia e lavoro”, 3-4, 1994, p. 104 31 Walter W. Holland, Introduzione, in Ibidem (a cura di), “La valutazione dell’assistenza sanitaria”, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1985, 1^ rist. 1991, p. 20 172 valutazione come misurazione, ma non può prescindere dal quadro valoriale del valutatore Ai fini della valutazione è importante poi che un obiettivo del programma venga ben definito e che il suo successivo raggiungimento possa essere misurato con dati certi. Un tale approccio permette una maggiore validità in quanto si basa su dati scientifici e obiettivi. Nessuna valutazione, tuttavia, è libera da giudizi di tipo soggettivo. L’oggettività è definita all’interno della priorità definita dal valutatore, e dalla percezione dell’oggettività che lo stesso può avere. Le decisioni riguardanti il tipo di informazione che deve essere raccolta, la scelta dei campioni, i criteri di selezione, il peso relativo da dare a ciascuna voce e i metodi di trattamento statistico e di presentazione dei risultati, sono tutti elementi che coinvolgono dei giudizi di valore. Perché la valutazione abbia successo, allora, questi giudizi devono essere resi in maniera esplicita. La selezione dei criteri deve essere il più possibile effettuata su base razionale e i dati devono essere raccolti dalle fonti disponibili più appropriate. inadeguatezza metodologica per la natura multidimensionale della salute la metodologia di cui si dispone attualmente non è sempre adatta per misurare la natura multidimensionale della salute. necessaria qualità dei dati per una valutazione scientifica Le ricerche sulla valutazione si fondano sui metodi delle scienze sociali. Le scienze sociali, come altre scienze, utilizzano il metodo scientifico, che è costituito da un complesso interscambio di teoria ed osservazione, in cui le modalità di comunicazione sono rappresentate dalla misurazione. Patrick ed Elinson propongono che il metodo della misurazione sia costituito da una procedura che fornisca gli strumenti per mettere in collegamento un concetto, o dei concetti, a un insieme di osservazioni controllate, in modo che si possa raggiungere una conoscenza ordinata dei concetti stessi. Questo metodo giunge alla teoria attraverso l’accumulazione di prove empiriche; è essenziale, quindi, che i dati forniti dal processo di misurazione siano validi e riproducibili. la misurabilità come funzione del sistema valutativo una vera e propria valutazione dell’efficacia della formazione è possibile soltanto se, nella fase progettuale degli interventi, gli obiettivi concordati possono essere rapportati a dei parametri qualitativi valutabili e quantitativi misurabili. La misurabilità è dunque una funzione della struttura del sistema di valutazione, il quale viene progettato in parallelo alla struttura del corso.32 32 Pier Luigi Amietta - Federico Amietta, Valutare la formazione, Ed. Unicopli, Milano 1989, p. 12 173 condizioni per ipotesi di impatto attendibili In teoria, solo in presenza di un rapporto di causalità certo si possono effettuare delle ipotesi di impatto attendibili. E questo si verifica solo nel caso in cui: a. la causa precede l’effetto nel tempo; b. gli effetti covariano con l’evento; c. non vi sono altre spiegazioni plausibili.33 il contributo scientifico ai processi decisionali dovuto al processo di strutturazione cognitiva [Vista l’inadeguatezza di schemi interpretativi di “razionalità classica” in contesti mutevoli, e comunque la necessità di utilizzare strumenti rigorosi, occorre] avere ben chiaro che strumenti e criteri scientifici e tecnici possono contribuire a migliorare i processi decisionali ed attuativi, non tanto per la particolarità dei criteri adottati, quanto piuttosto per il fatto che la loro applicazione richiede un processo di strutturazione conoscitiva e informativa che altrimenti non avrebbe luogo. contro l’‘oggettività’ della valutazione L’oggettività che è stata attribuita allo strumento valutativo, ossia la sua capacità d’arrivare a giudizi “tecnici” circa la bontà di un progetto, si è dimostrata in realtà molto scarsa. Anche le metodologie di valutazione più strutturate si sono rivelate facilmente manipolabili a seconda degli interessi in gioco. un approccio partecipativo alla valutazione per l’emergenza delle molteplici interpretazioni Il modello [“emergente”] di utilizzazione della ricerca è quello interattivoincrementale, l’unico possibile all’interno del presupposto di origine filosofica che la realtà è aperta a molte e diverse interpretazioni. Il processo che in questo caso conduce dalla ricerca alla decisione non è quindi di tipo lineare come nel precedente ma avviene attraverso una complessa rete di interconnessioni che vanno senza ordine tra tutte le fonti di informazioni presenti nella situazione (tra cui il ricercatore). Sul piano del metodo tutti gli sforzi vengono quindi indirizzati ad attivare un tipo di partecipazione che sia strategica (focalizzata cioè non su singoli aspetti ma su questioni fondamentali del progetto del tipo: si o no alla scelta del nucleare) diffusa 33 Piera Magnatti, Alla ricerca di un “metodo” di valutazione, in Nomisma, “Strategie e valutazione nella politica industriale”, Franco Angeli, Milano 1991, p. 77 174 (presente in tutte le fasi del progetto inclusa la fase successiva alla realizzazione per la monitorizzazione degli effetti), basata su tecniche interattive prevalentemente face to face capaci cioè di uscire dalla “standardizzata routine quantitativa” che lascia i soggetti in un ruolo passivo (come la stessa survey tradizionale). Il risultato finale deve infatti riuscire in questa ottica ad incorporare tutti gli aspetti qualitativi legati ai sentimenti, alle emozioni, al grado di consapevolezza dei soggetti coinvolti. Ciò all’interno di un quadro unitario di sfondo sui trends generali della società che incorpora la situazione analizzata e dà conto delle circostanze in cui si formano le credenze ed i valori degli individui. Il ruolo neutrale del ricercatore diventa in questa prospettiva non solo teoricamente impossibile ma praticamente inappropriato. A lui sono richieste non solo e non tanto capacità tecniche analitiche ma capacità comunicative. Il suo compito è infatti quello di essere un “coordinatore”, un “facilitatore” della partecipazione che mira a fare sviluppare processi di consapevolezza ed autocontrollo. essenziale componente teorica della valutazione di impatto sociale la Social impact analysis non è una semplice tecnica analitica theory free come da più parti si vuol fare credere ma dietro alle ricerche di impatto sociale si agitano questioni che hanno una portata tale da investire l’intero campo delle scienze sociali.34 ruolo della sociologia nella capacità di previsione richiesta dalla valutazione di impatto ambientale Il sapere sociologico utile e disponibile [per il Sia] sembra vasto. Ciononostante, la sensazione diffusa è di uno scarto tra ciò che le scienze sociali potrebbero dare e ciò che invece esse danno agli studi di impatto. Il nodo di fondo concerne la capacità della sociologia di rispondere alla domanda di previsione, espressa dalla valutazione di impatto ambientale/valutazione di impatto sociale. Il nodo è la previsione. E, quindi, la capacità della sociologia di prevedere.35 l’uso di casi simili nella previsione Il metodo, sino a questo momento tra i più utilizzati [per il SIA] insieme a quelli di ricostruzione del trend, sembra quello del caso somigliante. Appartenente alla classe, 34 Emma Corigliano, Analisi di impatto ambientale da tecnica analitica a stile di planning: l’esperienza Nord Americana, in F. Martinelli (a cura di), “I sociologi e l’ambiente”, Bulzoni, Roma 1989, p. 200 35 Giandomenico Amendola, Prevedere per valutare. Gli spazi della sociologia nella valutazione di impatto ambientale, in F. Martinelli (a cura di), “I sociologi e l’ambiente”, Bulzoni, Roma 1989, pp. 180-182 175 ricca di buon senso, della regola del pollice, questo metodo consiste nell’estrarre previsioni sul futuro da esperienze uguali o, quantomeno, fortemente simili.36 gli attori sociali nell’approccio sociologico alla valutazione di impatto ambientale Spostare l’attenzione sul campo decisionale e sul comportamento degli attori modifica l’impianto tradizionale della V.I.A. sotto molti aspetti. Per quanto riguarda le metodologie utilizzate la rende più vicina ai case studies e agli studi di comunità. Il fulcro dell’indagine sociologica diviene la definizione del campo decisionale, l’identificazione dei soggetti significativi coinvolti, la simulazione del loro comportamento e la prefigurazione di scenari. .37 la comunità dei valutatori come elemento di regolazione degli standard valutativi Se invece la valutazione viene fatta da esperti esterni e questi operano sulla base di standard professionali, allora è necessario che i criteri sulla base dei quali, tali standard sono stati costruiti, siano “socialmente condivisi”, cioè che vi sia su di essi un consenso maggioritario fra gli operatori del settore.38 razionalizzazione dei problemi sociali tramite la valutazione In ultima analisi, il ricorso alla ricerca valutativa rappresenta un’applicazione pratica della convinzione che i problemi sociali possono essere affrontati più razionalmente attraverso una linea di azione programmata, basata sulle conoscenze scientifiche disponibili ed aggiornata con il progresso di tali conoscenze, acquisito anche attraverso la stessa ricerca valutativa. Essa può rappresentare una verifica sul campo delle ipotesi formulate dalla scienza e dalla ricerca di base e fornire nuove ipotesi teoriche, in base al principio: “applicare ciò che si conosce ed imparare da ciò che si applica”. la valutazione come ricerca applicata La ricerca valutativa è una forma specifica di ricerca applicata, il cui scopo principale non è tanto la scoperta di nuove conoscenze, quanto piuttosto una verifica dell’applicazione delle conoscenze. Essa può essere confrontata con la ricerca teorica di base in alcuni punti fondamentali. 37 Francesca Ferrara - Giuseppe Moro, La specificità dell’analisi sociologica nella valutazione di impatto ambientale, in F. Martinelli (a cura di), “I sociologi e l’ambiente”, Bulzoni, 1989, p. 204 38 Leonardo Altieri, Valutazione: percorso accessorio o percorso necessario?, dattiloscritto, s.i. 176 la metodologia valutativa corrisponde a quella scientifica generale Dal punto di vista metodologico, la ricerca valutativa non ha una sua specifica metodologia, ma segue la logica fondamentale e le regole del metodo scientifico. misurazione del risultato in termini di cambiamento, problema cruciale della ricerca valutativa Punto cruciale del problema di ricerca [valutativa] è la misurazione del livello di risultato raggiunto, tramite lo svolgimento di specifiche attività, in rapporto ad uno scopo prefissato, risultato che è espresso in termini di cambiamento rispetto ad una situazione precedente l’inizio delle attività. 39 problemi aperti della valutazione economica sanitaria Non sembra esserci ancora accordo tra gli addetti ai lavori su alcuni aspetti non secondari [della valutazione economica sanitaria], tra i quali i più significativi paiono essere la rilevanza da attribuire ai costi e benefici indiretti e la misura della utilità.40 necessaria flessibilità non rituale dell’approccio valutativo è opinione diffusa che le teorie e metodologie dell’analisi ex ante, del monitoraggio e della valutazione ex post delle politiche pubbliche debbano uscire da una fase di tecnicismo e di ritualità istituzionale per poter essere all’altezza della soluzione di problemi che si ripresentano in modo sempre diverso chiedendo soluzioni specifiche e flessibili.41 controllare direttamente le realizzazioni del programma, senza accontentarsi dei soli dati Non bisogna fare un grande assegnamento sui dati relativi agli input e agli output del progetto come sulla fonte principale, per comprendere che cosa il progetto ha realizzato. Se, per esempio, il progetto ha organizzato una serie di corsi di formazione, occorre presenziare ai corsi, parlare con i partecipanti, recarsi nelle loro case. Se il progetto ha promosso degli orti, occorre andare a vederli, e parlare con i loro proprietari.42 39 Anna Maria Boileau, Ricerca valutativa, in “Nuovo dizionario di sociologia”, a cura di Franco Demarchi, Aldo Ellena, Bernardo Cattarinussi, Ed. Paoline, Milano 1987, p. 1771 40 Carlo Lucioni, Presentazione, in M.F. Drummond - G.L. Stoddart - G.W. Torrance, “Metodi per la valutazione economica dei programmi sanitari”, a cura di V. Ghetti, Franco Angeli, Milano 1993, p. 9 41 Nicoletta Stame, Valutazione e sviluppo, in J. Tendler, “Progetti ed effetti. Il mestiere di valutatore”, a cura di N. Stame, Liguori, Napoli 1992, p. 12 42 Nicoletta Stame, Valutazione e sviluppo, in J. Tendler, “Progetti ed effetti. Il mestiere di valutatore”, a cura di N. Stame, Liguori, Napoli 1992, p. 14 177 limiti della costi-benefici nella valutazione dello sviluppo A tutt’oggi, l’analisi costi-benefici perfezionata non è in grado di colmare una parte significativa della distorsione causata dalla disponibilità di assistenza allo sviluppo per progetti di grandi dimensioni con ingenti componenti di valuta estera.43 realismo operativo della valutazione la teorizzazione [in ambito valutativo], in cui la natura della realtà operativa è preoccupazione necessariamente prevalente rispetto a qualsiasi altra considerazione, ha condotto a impostazioni più attente a principi di flessibilità, realismo, capacità di adattamento all’ambito tematico e all’ambiente sociale in cui la valutazione intende operare.44 la qualità metodologica della valutazione dipende largamente dalla natura dell’evaluanda La debolezza metodologica della valutazione è in larga parte dipendente dalla indeterminatezza o labilità - soprattutto temporale più che definitoria - dell’oggetto su cui svolge la propria attività d’analisi; quanto più esso è incerto o mutevole, tanto più complesso e difficile risulterà stabilire gli elementi da osservare e i criteri di registrazione. la valutazione aggrava i problemi metodologici tipici della ricerca sociale La valutazione, essendo un metodo di ricerca, mantiene tutte le preoccupazioni tipiche della metodologia classica della ricerca sociale, probabilmente esasperandole ed aggravandole45. la responsabilità del conseguente intervento impone alla valutazione attenzione a validità e attendibilità Fra gli aspetti metodologici più importanti della ricerca valutativa occorre segnalare i controlli della validità e dell’attendibilità delle misure comunque fornite, troppo spesso trascurati nella ricerca sociale classica ed imprescindibili nel contesto della 43 Judith Tendler, Progetti ed effetti. Il mestiere di valutatore, a cura di N. Stame, Liguori, Napoli 1992, p. 82 44 Lorenzo Bernardi, Valutazione: significato e metodi, in L. Bernardi - S. Campostrini - F. Neresini - G. Pozzobon, “Sperimentare valutazione. Idee e materiali per il progetto pilota per la sperimentazione di modelli di intervento a favore dei giovani e dei minori”, Regione del Veneto - Assessorato ai servizi sociali e al coordinamento delle politiche giovanili, Istituto Poster, Vicenza xxxx, p. 13 45 Lorenzo Bernardi - Fausta Ongaro Bertol, Azione sociale e valutazione. Analisi e proposta di un modello operativo, Ministero dell’interno - Direzione generale dei servizi civili, Roma 1984, p. 19 178 valutazione, in cui oltre alla responsabilità pur grave della conoscenza, è presente la ancor più impegnativa responsabilità dell’azione che mira a trasformare e a governare l’esistenza degli individui. Il rischio di misurare oggetti diversi da quelli previsti o di attribuire significati eccessivi deve trovare adeguata protezione accentuandone gli aspetti di accuratezza e verifica che si richiedono alla valutazione la valutazione è scientifica anche se su temi ‘immateriali’ non può essere oggettiva Il tema della evaluation dei processi formativi, come dei servizi e delle organizzazioni sociali, è reso assai ostico da una questione centrale, che riguarda la epistemologia. La questione è quella del rapporto fra soggettività ed oggettività. Molti operatori e ricercatori sociali sono frenati nella riflessione sulla valutazione a causa dell’idea che nel settore “immateriale” della cultura, della salute, della psiche l’oggettività sia irraggiungibile. Da questa constatazione si fa discendere l’impossibilità di una evaluation scientifica. Questa equazione di scienza e oggettività è veramente ingenua. Diciamo dunque che, se l’evaluation è ancora per larga parte un processo soggettivo, non per questo è meno scientifica, non per questo non va utilizzata e raffinata.46 bisogna misurare l’efficacia e l’efficienza E’ l’ora di uscire dai lamenti generici per misurare gli eventi a partire da dati reali, per intervenire sulle situazioni provando a modificarle collettivamente e su dati di fatto. La pratica sociale ha bisogno di un sistema informativo e valutativo dell’efficacia e dell’efficienza dei suoi servizi che consenta di uscire da generiche enunciazioni di principio che, senza misurazioni adeguate, sono destinate a rimanere tali.47 audit, rispetto ad altri concetti Nella maggior parte dei casi il termine audit è utilizzato per studi decisi da un’autorità responsabile (gerarchica o di tutela) che desideri disporre di un quadro analitico della situazione. In questo caso, le persone che effettuano l’audit non appartengono al sistema indagato ma sono consulenti esterni incaricati di svolgere un’azione puntuale e che rispondono direttamente all’autorità committente. Altri 46 Guido Contessa, Presentazione, in M. V. Sardella, “Teoria e tecniche dell’evaluation. Per una cultura dell’efficienza e dell’efficacia nel sociale”, Clup, Milano 1989, pp. 13-14 47 Maria Vittoria Sardella, Teoria e tecniche dell’evaluation. Per una cultura dell’efficienza e dell’efficacia nel sociale, Clup, Milano 1989, p. 20 179 termini hanno valenze concettuali simili a quello di audit pur presentando alcuni inconvenienti o diversità: - valutazione, che ha l’inconveniente di non comprendere la nozione di proposta correttiva e di non riferirsi necessariamente ad uno “standard” esistente (rispetto al quale verificare gli effetti, l’efficacia, ecc.); - controllo o ispezione, che hanno lo stesso inconveniente; - revisione che, viceversa, non comporta la nozione di analisi critica.48 limiti dell’analisi costi-benefici Si riconoscono i principali limiti dell’analisi costi/benefici, che risultano essere la sua scarsa efficacia, quando si passa da una valutazione di scelte pubbliche, tra ipotesi alternative di intervento (come possono essere progetti di investimento ben identificati e definiti, anche dal punto di vista ingegneristico e finanziario), alla valutazione di piani e programmi di area costituiti da un ‘pacchetto’ di interventi integrati, per i quali è necessario verificare anche la strategia ed il comportamento dei soggetti istituzionali coinvolti nel processo di decisione, attuazione e gestione.49 gli elementi ambientali della valutazione non sono fattori inquinanti ma dati necessari la ricerca valutativa è certo diversa per molti punti di vista da quella tradizionale: è certamente ‘inquinata’, sia da parti coinvolte sia da portatori di interessi normativoprocedurali, ma tale permeabilità non è un effetto perverso ma un dato, un elemento di fondo irrinunciabile per una adeguata analisi valutativa. Le parti coinvolte, l’efficacia dell’azione, la qualità del prodotto, ecc. altro non sono che l’obiettivo generale da tener presente, lo scopo generale del processo decisionale che chiede supporto all’analisi valutativa; l’apparato normativo-procedurale, l’orientamento del decision maker e ogni elemento del contesto reale in cui si opera sono i dati di cui tener conto, gli elementi di sistema che incidono nel processo. diverso rapporto della ricerca ‘pura’ e di quella valutativa con la sfera decisionale il legame tra ricerca valutativa e sfera delle policy è addirittura fondante della ricerca valutativa, e si potrebbe discutere se e quanto la ricerca ‘pura’ si coniughi con altrettanta pregnanza con la programmazione, con la progettazione, con la sfera 48 A. Bulgarelli - M. Giovine - Guy Le Boterf, Metodologie di tipo audit per l’analisi e la valutazione degli interventi di formazione, “Osservatorio Isfol”, n.4, 1991, pp. 22-23 49 Marta Scettri. Programmazione e valutazione. Breve storia di un matrimonio mancato, in C. Bezzi - M. Scettri (a cura di), “La valutazione come ricerca e come intervento”, Irres, Perugia 1994, p. 14 180 decisionale. La ricerca ‘pura’, in realtà, non è necessitata di un rapporto organico con questa sfera; la ricerca ‘pura’ è senz’altro utile ed interessante come e quanto la ricerca valutativa, e probabilmente su tempi lunghi mostra di essere più utile di questa, ma non nasce sull’onda del problema cui occorre dare soluzione urgente50 il significato ultimo dell’approccio valutativo non è in una eventuale sua razionalità metodologica, ma nel suo attivare processo informativi altrimenti non sviluppati Accade di frequente che coloro che hanno responsabilità decisionali e gestionali si rivolgano all’ambiente tecnico e scientifico al fine d’impossessarsi di strumenti e regole che consentano di decidere al meglio. Ad aumentare la frequenza di questo tipo di richieste ha contribuito, nell’ambito scientifico, una particolare categoria di discipline che sviluppano e utilizzano schemi interpretativi i quali possono definirsi di razionalità classica. Questi schemi si basano sulla convinzione che esista una soluzione ottima per ogni problema, individuabile attraverso l’applicazione di modelli valutativi molto formalizzati, spesso di derivazione matematica. Questi schemi trovano adeguata applicazione e, di conseguenza, risultati migliori, in contesti semplici (o resi semplici da una predittività quasi meccanica dello svolgersi d’eventi futuri), con scelte che sono prevalentemente di routine e che si collocano in un ambiente relativamente statico e invariante. Nel momento in cui il contesto muta, le pur ampie potenzialità di questi approcci razionali non sono però più in grado di produrre i loro benefici in termini d’ottimizzazione delle scelte e delle decisioni. A fronte della complessità di piani decisionali, dell’incertezza, della molteplicità d’obiettivi e aspirazioni, della pluralità di soggetti interagenti, la possibilità di definire ex ante corsi d’azione obiettivamente migliori cade. Ciò non significa tuttavia riportare totalmente al pragmatismo non regolato metodologicamente (in altri termini, buon senso) dei singoli la possibilità di strutturare la qualità di una performance. Significa invece avere ben chiaro che strumenti e criteri scientifici e tecnici possono contribuire a migliorare i processi decisionali ed attuativi, non tanto per la particolarità dei criteri adottati, quanto 50 Claudio Bezzi, Valutazione sociale. Un approccio problematico al tema, in C. Bezzi - M. Scettri (a cura di), “La valutazione come ricerca e come intervento”, Irres, Perugia 1994, p. 35 181 piuttosto per il fatto che la loro applicazione richiede un processo di strutturazione conoscitiva e informativa che altrimenti non avrebbe luogo.51 l’approccio valutativo è legato al contesto la definizione di un metodo di valutazione operativo è legata al contesto specifico d’applicazione, all’oggetto e alle finalità della valutazione stessa. L’efficacia della valutazione, ovvero la possibilità di contribuire fattivamente al miglioramento di determinate decisioni e azioni, è funzionale, da un lato, alla reciproca coerenza dei tratti caratteristici dei tre aspetti (contesto, oggetto, finalità) e, dall’altro, all’armonia riscontrabile tra gli stessi e il metodo prescelto. la complessità sociale pone dei limiti alla valutazione La valutazione, in qualunque campo applicativo sociale (valutazione di servizi, valutazione economica, valutazione di impatto ambientale, ...) deve fare i conti con la complessità sociale, la difficile determinazione delle proprietà individuali significative per ogni singolo evento, la circolarità ermeneutica del processo conoscitivo, e chi più ne ha più ne metta nell’accumulare necessità di cautela (ad un livello minimo) o vere e proprie insormontabili barriere conoscitive (ad un livello massimo). E attenzione: qui non si tratta di inadeguatezze attuali del bagaglio tecnico delle scienze sociali ma di problemi connessi all’impianto epistemologico scientifico.52 la valutazione è misurazione, ma la misurazione deve essere valida e attendibile La valutazione, per essere uniforme, obiettiva e comunicabile dovrebbe sempre implicare delle misurazioni (quantitative o qualitative). Bisogna però disporre di strumenti di misura che possiedano le caratteristiche della validità, dell’attendibilità, dell’oggettività e della pertinenza.53 nella formazione può essere meglio un approccio valutativo basato sugli esperti alcuni autori ritengono che sia giunto il momento di superare gli approcci “censuari” da cui troppo spesso sono tentati i ricercatori che si occupano di settori quali quello della formazione; quando la valutazione si muove in ambiti connotati da livelli 51 Piera Magnatti, Esperienze di politica industriale a livello locale. Quali esigenze di valutazione, in C. Bezzi M. Scettri (a cura di), “La valutazione come ricerca e come intervento”, Irres, Perugia 1994, p. 41 52 Sandro Piacentini, L’insostenibile leggerezza della valutazione dei servizi, in C. Bezzi - M. Scettri (a cura di), “La valutazione come ricerca e come intervento”, Irres, Perugia 1994, p. 56 53 Fiorenza Scotti, Valutazione formativa libera e Computer Based Education, “Osservatorio Isfol”, n. 1, 1990, p. 102 182 minimi di trasparenza informativa più che le “misurazioni” interessano le percezioni dei segnali (o meglio dei segni: + o - che identificano il posizionamento di un intervento, corso, progetto, ecc.) rispetto agli altri o rispetto a standard “normali” di efficienza. La valutazione, oltre che ad indicatori numerici “classici” può, anche nel caso della formazione, far ricorso a metodi di analisi basate sulle opinioni di testimoni ed oservatori a condizione di trattare le informazioni così raccolte con tecniche (peraltro ormai correnti) di elaborazione in grado di depurare i giudizi da eventuali distorsioni dovute a parzialità dei punti di vista degli osservatori interpellati.54 stretto legame fra valutazione di progetti e analisi multicriteri L’Analisi Multicriteri, che costituisce un corpo vastissimo e molto eterogeneo di tecniche e di strumenti di analisi dei dati, ha come proprio specifico campo d’interesse la messa a punto di processi di decisione interattiva per la soluzione di problemi multidimensionali, non riconducibili ad un unico decisore e ad un unico criterio di scelta. Valutazione dei progetti e Analisi Multicriteri si rapportano tra loro in modo strettissimo, fino al punto in cui la seconda appare come l’unico strumento tecnico di analisi di un problema e di valutazione che rende possibile la prima.55 primato dell’approccio economico-quantitativo, anche nella valutazione della formazione Dal punto di vista degli strumenti possibili, l’approccio economico-quantitativo [alla valutazione], è certamente il più ricco, almeno teoricamente, anche se esso mostra talvolta la corda quando viene applicato a processi fortemente contestualizzati e complessi quali quelli formativi che insistono su una variabile - quella umana spesso sfuggente e difficilmente riconducibile a standard predefiniti. Tuttavia è vero che, quando hanno potuto contare su una base informativa adeguata, metodi quali l’analisi costi-benefici, l’analisi costi-efficacia, [ecc.], hanno consentito di ottenere 54 Marinella Giovine, Valutazione della formazione: si può “ricominciare da tre”. Stato dell’arte e prospettive di ricerca sul tema, “Osservatorio Isfol”, n. 1, 1991, p. 88 55 Rino Rosini, Una metodologia di valutazione di impatto nella pianificazione territoriale. Applicazioni ed esperienze in Emilia Romagna, in: Aisre, “XII Conferenza italiana di scienze regionali - Messina-Taormina 2124 ottobre 1991”, volume 1, Palermo 1991, p. 475 183 utili indicazioni, soprattutto in chiave comparativa, relativamente alla preferibilità (o alla bontà) di determinate azioni o strutture formative.56 metodologie consensuali per la valutazione soggettiva dell’utilità sociale I beni di proprietà pubblica devono essere valutati nella sostanza in base a due criteri distinti: uno economico e un altro di utilità sociale. La difficoltà maggiore che si incontra nel corso della formalizzazione di processi decisionali [che tengano conto di questi due aspetti] riguarda gli aspetti relativi alla misurazione dell’utilità sociale e all’integrazione di questa con i caratteri economici. La misura che si propone si fonda su valutazioni soggettive formulate dai rappresentanti della collettività. Nel caso in cui non sussista un’univocità di vedute nelle valutazioni soggettive, possono essere implementate metodologie volte alla ricerca del consenso.57 ragioni dello sviluppo dell’analisi multicriteri Uno degli approcci che negli ultimi quindici-venti anni ha avuto più sviluppo, sia dal punto di vista metodologico che applicativo, è la cosiddetta Analisi MultiCriteriale (AMC). Tale classe di metodi si è sviluppata espressamente con la finalità di affrontare e rappresentare in modo esplicito e trasparente i conflitti originatisi dall’uso delle risorse. Infatti, non a caso, il più famoso ambito applicativo dell’AMC nella pianificazione territoriale è rappresentato dalla Valutazione Impatto Ambientale, cioè un ambito di intervento pubblico tipicamente caratterizzato da forti contrasti.58 limiti e pregi dell’analisi multicriteri la quantità di informazioni ottenibili rappresenta contemporaneamente il maggior pregio ed il maggior difetto dell’analisi multicriteriale. Infatti l’adozione di un procedimento così complesso sembra appropriata in casi specifici, quali la valutazione di interventi pubblici che coinvolgano una porzione consistente delle risorse naturali di un dato territorio. 56 Isfol - Iard, Modello di valutazione della formazione professionale, “Osservatorio Isfol”, n.2, 1992, pp. 113114 57 Francesco Carlucci - Stefano Pisani, Un criterio di valutazione economica e sociale di un bene pubblico, “Economia pubblica”, n. 4-5, 1993, p. 193 58 Iacopo Bernetti, L’impiego dell’analisi multicriteriale nella gestione delle risorse forestali, “Rivista di economia agraria”, n. 3, 1993, p. 436 184 Nel caso invece di interventi pubblici puntuali, finalizzati al miglioramento produttivo o ambientale di risorse destinate, o per vocazione o istituzionalmente, ad un determinato impiego, appare più appropriato il metodo dell’Analisi Costi Benefici; con questo approccio infatti è possibile ottenere un indicatore monetario più univoco e più largamente comprensibile da parte delle componenti sociali e politiche interessate. difficoltà dell’analisi costi benefici Il problema principale legato all’utilizzo dell’analisi costi-benefici nel campo della formazione è costituito tuttavia, dalla difficoltà a pervenire in ogni caso ad una precisa quantificazione di tutte le voci coinvolte. E’ soprattutto l’area dei benefici a presentare le maggiori difficoltà, dato che molti di essi possono essere immateriali o comunque non riconducibili ad un dato monetario o quantitativo. A queste difficoltà si aggiungono una serie di problemi metodologici legati, ad esempio, al ruolo giocato dalle esternalità negli investimenti in formazione: la loro presenza rende imprecise e opinabili una serie di misurazioni dato che, in genere, solo gli aspetti fiscali e finanziari in senso stretto sono totalmente quantificabili. Per rispondere, in parte, a queste difficoltà è venuto diffondendosi l’utilizzo dell’analisi costi-efficacia che si limita ad individuare la strategia di costo migliore per conseguire un obiettivo fissato a priori.59 le informazioni nella valutazione intermedia Un prerequisito fondamentale per effettuare la valutazione della spesa pubblica è rappresentato dal processo di controllo o monitoraggio della stessa. Se si introducono procedure di valutazione intermedia (o in itinere) l’acquisizione di informazioni tempestive e affidabili su quanto si spende, chi sono i soggetti utilizzatori della spesa e in che modo questi ultimi impiegano le risorse pubbliche rappresenta, più che un requisito, il principale output della stessa valutazione intermedia.60 l’approccio valutativo è determinato dall’oggetto da valutare 59 Cesos - Fondazione Giacomo Brodolini, Guida operativa alla valutazione degli interventi formativi sotto forma progettuale - Parte I, “Economia e lavoro”, n. 3, 1992, p. 133 60 Alessandro Sterlacchini, La spesa per la ricerca universitaria in Italia: analisi quantitativa e proposte di valutazione, “Economia pubblica”, n. 11, 1994, p. 517 185 non esistono modalità, procedimenti, metodi validi in assoluto. E’ per questo indispensabile definire metodi e conseguentemente strumenti in relazione a ciò che si vuole valutare: l’oggetto determina la scelta della forma della valutazione.61 coesistenza delle varie fasi della valutazione nonostante la tradizionale tripartizione tra ex ante, in itinere ed ex post, ogni fase della programmazione non può esistere senza le altre e, soprattutto, senza una cornice programmatoria.62 la valutazione deve essere contestualizzata alla luce degli obiettivi del programma la valutazione delle azioni dei programmi operativi della Cee deve essere legata anche alla necessaria contestualizzazione dei rispettivi obiettivi operativi e al contesto socio-economico e istituzionale entro il quale esse si sviluppano.63 gli indicatori nella valutazione ex post Qualsiasi valutazione ex post richiede una definizione preliminare degli aspetti che si intendono misurare e degli indicatori con i quali saranno misurati attori diversi che possono intervenire nella valutazione La riflessione su chi debba incaricarsi della valutazione deve essere affrontata da un triplice punto di vista: a. tecnico. Realizzazione ad opera di un organismo esterno all’Amministrazione. I valutatori devono disporre di una totale autonomia rispetto all’amministrazione; b. politico. Esso implica il giudizio e la presa di decisioni da parte dei responsabili politici, partendo dalla valutazione tecnica. Tutte le istanze che detengono una responsabilità politica devono essere coinvolte; c. partecipativo. Oltre all’amministrazione, devono intervenire in proposito anche gli attori coinvolti e le forze sociali. necessità di un orizzonte teorico per la valutazione d’impatto sociale L’esigenza scientifica di collocare la metodologia della valutazione di impatto sociale - che ha trovato il suo più rilevante veicolo nella valutazione di impatto ambientale - in un quadro di riferimento teorico viene oggi avvertita da molti 61 Saul Meghnagi, Il rendimento dell’intervento formativo pubblico: criteri per valutare ex ante e ex post la formazione, in: Confindustria, “La valutazione della formazione. Come misurare efficienza e qualità nella formazione professionale, Ed. SIPI, Roma 1989, p. 51 62 Aviana Bulgarelli, Presentazione, in Isfol - Cee, “La valutazione nel Fondo Sociale Europeo. Metodologia di valutazione dei programmi operativi”, F. Angeli, Milano 1993, p. 10 63 Isfol - Cee, La valutazione nel Fondo Sociale Europeo. Metodologia di valutazione dei programmi operativi, F. Angeli, Milano 1993, p. 37 186 scienziati sociali, dai decisori pubblici e dagli stessi esperti del settore. Ma tale esigenza è soprattutto percepita da quanti si avvicinano per la prima volta a tale metodologia di valutazione e cercano di identificarla attraverso un lieu della teoria e di conseguenza della prassi scientifica. Per un sociologo la soluzione di tale problema è resa di ancor più difficile operatività poiché la sua disciplina è attraversata e, per così dire, resa inquieta dal suo stesso statuto epistemologico che è segnato da quel pluralismo teorico che Merton ha così lucidamente indicato ed analizzato.64 la valutazione della ricerca scientifica centrata su approcci qualitativi Nel passato, il criterio base per la valutazione della ricerca si identificava sostanzialmente nella sua qualità; più di recente, tuttavia, allo scopo di integrare le tradizionali procedure di valutazione da parte della comunità scientifica, sono state sviluppate diverse tecniche di tipo quantitativo, ivi inclusa la bibliometria. Quello della qualità continua ancora ad essere il criterio più idoneo ed utile per la valutazione della ricerca di base.65 limiti dell’analisi costi benefici, in particolare per la stima degli elementi di natura sociale Per quanto riguarda l’analisi costi-benefici, la sua stessa definizione indica le due principali difficoltà che si incontrano nell’applicarla. Queste consistono nell’identificazione e nella stima di tutti i costi e benefici e nella necessità di ricondurre i due termini ad un comune denominatore. In realtà, molti benefici di natura sociale non sono esprimibili in termini monetari, visto che sono più che altro relativi all’idea che si intrattiene su cosa determini la qualità della vita e sui suoi possibili indicatori. trasversalità della Social Impact Analysis rispetto a processo politico e scienze sociali In quanto campo ibrido, ove scienza e processo politico necessariamente si integrano, la SIA ripercorre e taglia trasversalmente le varie scienze sociali, sì da render conto non di un impatto univoco, ma di una pluralità di impatti. La qual cosa apre la via ad 64 Fulvio Beato, Rischio e mutamento ambientale globale. Percorsi di sociologia dell’ambiente, F. Angeli, Milano 1993, p. 100 65 Katharine Barker - Luke Georghiou, La valutazione dell’impatto socio-economico della R&D finanziata con fondi pubblici, in L. Cannavò (a cura di), “Studi sociali della tecnologia. Metodologie integrate di valutazione”, Euroma, Roma 1991, p. 108 187 più incisivo ruolo delle scienze sociali, nonostante una crisi latente nella comunità degli specialisti di SIA.66 la valutazione include necessariamente i fattori soggettivi Quel che si vuole affermare è l’impraticabilità di una valutazione in cui i fattori “soggettivi” siano considerati esclusivamente residuali e quindi marginali, e comunque radicalmente separati dai fattori oggettivi. La qual cosa gli studiosi di qualità della vita, sufficientemente attenti alla sfera psicosociale e socioculturale, hanno affermato ben prima degli specialisti di assessment fragilità valutativa degli indicatori carenti sul piano concettuale Come area di ricerca, la ricerca valutativa sull’impatto sociale della tecnologia soffre - al pari di altri settori nati dalla ricerca applicata su basi prevalentemente tecnicoeconomiche - di una sostanziale fragilità proprio sul piano tecnico, ove pure è stata svolta la maggior parte del lavoro, e cioè sul piano degli indicatori. La raccolta indiscriminata di indicatori economici e socio-economici in assenza di una precisa analisi dimensionale dei concetti non può che portare ad una pratica euristica sostanzialmente confusa, certo limitatamente esplicativa ed altrettanto limitatamente predittiva proprio dei fenomeni che si vuole investigare. Il difetto, in altri termini, è nella carenza di riduzione della complessità, dalla situazione problematica all’individuazione dei problemi, alla specificazione di aree problematiche, concetti e dimensioni, infine al piano misurativo degli indicatori.67 i parametri valutativi dell’analisi costi benefici si danno solo in un contesto di programmazione con obiettivi espliciti lo strumento dell’analisi costi benefici può venir applicato soltanto in un contesto di programmazione in quanto se non sono chiari ed espliciti gli obiettivi ed i vincoli della politica economica (se non c’è, dunque, programmazione) non si può definire il sistema di valori da utilizzare nell’analisi (i cosiddetti prezzi ombra). E non si possono, pertanto, neanche individuare in modo rigoroso e trasparente i parametri di valutazione quali il saggio di rendimento interno, il valore attuale netto, ed il rapporto benefici costi attualizzato.68 66 Leonardo Cannavò, Le dimensioni non strutturali nella valutazione dell’impatto sociale della tecnologia, in L. Cannavò (a cura di), “Studi sociali della tecnologia. Metodologie integrate di valutazione”, Euroma, Roma 1991, p. 174 67 Leonardo Cannavò, Le dimensioni non strutturali nella valutazione dell’impatto sociale della tecnologia 68 Giuseppe Pennisi, Tecniche di valutazione degli investimenti pubblici, scritti di G. Pennisi e P.L. Scandizzo, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, seconda edizione aggiornata, Roma 1991, pp. 5-6 188 pregi e limiti dell’analisi costi benefici L’analisi costi benefici può essere considerata un metodo efficace di valutazione degli investimenti pubblici perché ha tanto i vantaggi della disciplina e del rigore scientifico quanto quelli della semplicità di applicazione in un sistema decisionale decentrato. Come tecnica analoga a quella applicata dalle aziende private per il calcolo dei flussi di cassa nel conto profitto e perdite, essa ha inoltre il vantaggio di poter essere interpretata come una generalizzazione ed un’estensione di pratiche contabili correnti ed è, pertanto, di facile apprendimento e diffusione. E’ però necessario sottolineare che accanto a questi vantaggi, l’analisi costi benefici presenta limiti di teoria e di applicabilità e che tali limiti devono essere tenuti ben presenti per guidare l’applicazione ai casi concreti. particolari difficoltà valutative nella formazione a causa del fattore umano Nel settore della formazione, i problemi teorici e pratici della valutazione sono considerati di non facile soluzione a causa del fattore umano (allievi, docenti) implicito nel processo formativo, con tutte le sue imprevedibilità: la variabilità della capacità e delle motivazioni ad apprendere e ad utilizzare quanto appreso.69 varietà degli indicatori possibili nella cooperazione La gamma degli indicatori di efficienza può essere molto vasta, tenuto conto della quantità delle variabili di un progetto e della possibilità di elaborare, oltre che indicatori semplici , anche indicatori complessi. La natura e i metodi di costruzione e di calcolo di tali indicatori devono essere tarati in funzione non solo degli obiettivi di valutazione, ma anche dei risultati che potrebbero essere ottenuti da un’analisi sufficientemente approfondita dei valori e modalità che assumono le variabili descrittive nel concreto dei progetti di formazione della cooperazione bilaterale italiana. difficile la valutazione dei programmi sanitari Da un punto di vista metodologico, è difficile valutare l’impatto di programmi sanitari, poiché vi è un enorme numero di variabili che possono modificare lo stato di 69 Marinella Giovine, Guida per la valutazione ex post dei progetti nel settore della formazione, in D. Fanciullacci - C. Guelfi - G. Pennisi, “Valutare lo sviluppo. Volume primo. Metodologia e tecnica della valutazione retrospettiva dei progetti”, Franco Angeli, Milano 1991, p. 193 189 salute delle popolazioni in senso migliorativo o peggiorativo, al di fuori delle attività specifiche nel settore.70 la valutazione è una comparazione che necessita di strumenti di misurazione La valutazione implica una descrizione e comparazione di oggetti, di eventi e di processi relativi a fenomeni sociali. A tal fine è necessaria la scelta di caratteri descrittivi ed un sistema per “misurarli” ovvero quantificarli.71 necessità di strumenti per la valutazione Per poter valutare un’attività, quale che sia il suo campo e quali che siano i suoi contenuti, occorre disporre di uno strumento per descriverne gli effetti sul settore, sul territorio, sulla popolazione, sul paese a cui si riferisce e per poter esaminare gli effetti così descritti alla luce di un sistema di obiettivi.72 pregi e limiti dell’analisi costi benefici In quanto sistema organico di documentazione, l’analisi costi e benefici consente di sintetizzare ed incapsulare anche gli altri aspetti dell’analisi progettuale (tecnologici, istituzionali, sociologici, ecc.). Ciò non toglie che il metodo, le tecniche e le procedure specifiche dell’analisi costi e benefici, in quanto strumento di analisi dei risultati attesi, possano venire impiegati in tutti gli aspetti relativi al progetto. − L’analisi costi e benefici presenta, per altro, notevoli limiti se utilizzata per giungere ad una scelta tra progetti: − richiede una specificazione dettagliata della funzione-obiettivo tanto del paese finanziatore quanto del paese ricevente (cosa raramente fattibile) per giungere alla determinazione dei valori (prezzi) da utilizzare; − non consente di ordinare progetti sulla base della loro importanza e del loro valore, ma solo di giungere ad un giudizio di accettazione o rigetto; − si può applicare soltanto a progetti “piccoli” e tali, dunque, da non comportare modifiche strutturali e, quindi, da non incidere sui valori (prezzi relativi) di beni e servizi. 70 Antonio Volpi, Guida per la valutazione ex post dei programmi/progetti nel settore sanitario, in D. Fanciullacci - C. Guelfi - G. Pennisi, “Valutare lo sviluppo. Volume primo. Metodologia e tecnica della valutazione retrospettiva dei progetti”, Franco Angeli, Milano 1991, p. 357 71 Daniele Fanciullacci, Sistemi di misurazione e indicatori per la valutazione, in D. Fanciullacci - C. Guelfi - G. Pennisi, “Valutare lo sviluppo. Volume primo. Metodologia e tecnica della valutazione retrospettiva dei progetti”, Franco Angeli, Milano 1991, p. 421 72 Giuseppe Pennisi - Giancarlo Tammi, Aspetti pratici della valutazione economico-finanziaria ex ante, in D. Fanciullacci - C. Guelfi - G. Pennisi, “Valutare lo sviluppo. Volume secondo. Il processo decisionale”, F. Angeli, Milano 1991, p. 22 190 la valutazione, rispetto alla ricerca, attribuisce un ruolo inverso alle ipotesi In ogni caso, va posto in luce il fatto che se il programma, come i suoi obiettivi, condiziona la struttura delle ipotesi di lavoro nella ricerca-valutazione, queste non possono essere “chiuse” al suo interno, né da esso completamente determinate, perché in questi casi, in assenza quasi sempre di riferimenti teorici sicuri o argomentati, lo spazio che separa la congettura dal concreto evolversi delle cose è quasi sempre piuttosto elevato. Le “scoperte”, in altre parole, sono all’ordine del giorno, cosi come gli effetti “perversi” o, comunque, “inattesi” di determinati atti di politica sociale. Se l’apertura delle ipotesi è un consiglio che va tenuto presente, l’inversione del ruolo delle normali variabili utilizzate nella ricerca sociologica è ciò che in ultima istanza caratterizza la ricerca-valutazione. In essa, infatti, l’aspetto teorico-metodologico che correntemente viene assunto come dipendente (l’utenza di una biblioteca, ad esempio, “spiegata” dalla classe di appartenenza) si trasforma e diviene indipendente (l’apertura di un nuovo servizio bibliotecario analizzata, ad esempio, per la sua capacità di incidenza nel tempo sulle disuguaglianze socioculturali fra bambini). Il concetto di valutazione si trasferisce o deriva dalla procedura tecnica dell’inversione delle variabili (fenomeni) in grado di influenzare altre variabili in un gioco metodologico gravido di conseguenze operative e, quindi, di spendibilità pratica. In tal senso, la ricerca-valutazione non valuta, non differisce dalla ricerca sociologica puramente conoscitiva, si associa ad un evento sperimentale reale (non artificiale) e favorisce conoscenza intrinsecamente spendibile, perché già collegata per ipotesi all’azione.73 limiti intrinseci di tutte le tecniche In generale, il nostro giudizio sull’analisi costi-benefici è positivo, ma non sarebbe corretto vantare i meriti delle tecniche di valutazione dei progetti evitando di denunciarne i limiti. L’analisi costi-benefici risente in particolare modo della scarsa accuratezza, della superficialità o della malafede. Tutte le tecniche sono potenzialmente pericolose nella misura in cui sono avvolte da un’aura di precisione ed obiettività. Dal punto di vista logico, le tecniche non possono essere più precise 73 Costantino Cipolla, Teoria della metodologia sociologica. Una metodologia integrata per la ricerca sociale, F. Angeli, Milano 1988, p. 164 191 delle ipotesi su cui si fondano e, talvolta, se gli errori si sommano, sono persino meno precise.74 limite fondamentale dell’analisi costi benefici Una delle caratteristiche più deboli dell’analisi costi-benefici è che non esistono meccanismi che indichino se le ipotesi di partenza sono errate.75 quando utilizzare l’analisi costi efficacia anziché la costi benefici Una versione ridotta dell’analisi costi-benefici è conosciuta come analisi costiefficacia. Essa è caratterizzata dalla possibilità di valutare costi e benefici utilizzando diverse unità di misura senza che sia necessario ridurlo alla stessa unità. Per dirla in breve, l’analisi costi-efficacia è applicabile quando (a) i costi dei progetti alternativi sono identici, e quindi vanno confrontati solo i benefici; il che solleva l’analista dall’onere di convertire i benefici in moneta, oppure (b) quando i benefici sono identici e solo i costi devono essere confrontati. due approcci alla valutazione della produttività negli enti locali - il controllo di gestione è il processo con cui la direzione di un’organizzazione si assicura che essa operi in modo efficace ed efficiente nel perseguimento dei suoi fini, ovvero è l’insieme delle procedure e delle condizioni che permettono ai dirigenti di un’organizzazione di controllare nel modo migliore il funzionamento dell’organizzazione stessa; - la valutazione delle politiche è l’analisi dei determinanti, delle caratteristiche e dei programmi propri di un’organizzazione, e in particolare delle relazioni tra contenuto di politiche e programmi e conseguenze sostanziali che esse determinano.76 rilevanza della qualità dell’output per le attività di progettazione, programmazione e altre ancora, assai più della quantità è rilevante la qualità dell’output nonché la sua efficacia nel conseguire i risultati prefissati all’operare pubblico, non è opportuno riferirsi al costo per unità di prodotto calcolato come costo medio di ciascuna unità di output 74 Edith Stokey - Richard Zeckhauser, Introduzione all’analisi delle decisioni pubbliche, Formez, Napoli 1988, p. 190 75 Edith Stokey - Richard Zeckhauser, Introduzione all’analisi delle decisioni pubbliche, Formez, Napoli 1988, p. 206 76 Piervincenzo Bondonio - Francesco Scacciati, Efficienza e produttività negli enti locali. L’introduzione degli incentivi nel pubblico impiego, La nuova Italia scientifica, Roma 1990, p. 43 192 primato dell’approccio economico-quantitativo, anche nella valutazione della formazione Dal punto di vista degli strumenti possibili, l’approccio economico-quantitativo [alla valutazione], è certamente il più ricco, almeno teoricamente, anche se esso mostra talvolta la corda quando viene applicato a processi fortemente contestualizzati e complessi quali quelli formativi che insistono su una variabile - quella umana spesso sfuggente e difficilmente riconducibile a standard predefiniti. Tuttavia è vero che, quando hanno potuto contare su una base informativa adeguata, metodi quali l’analisi costi-benefici, l’analisi costi-efficacia, ecc., hanno consentito di ottenere utili indicazioni, soprattutto in chiave comparativa, relativamente alla preferibilità (o alla bontà) di determinate azioni o strutture formative.77 metodologie consensuali per la valutazione soggettiva dell’utilità sociale i beni di proprietà pubblica devono essere valutati nella sostanza in base a due criteri distinti: uno economico e un altro di utilità sociale. La difficoltà maggiore che si incontra nel corso della formalizzazione di processi decisionali [che tengano conto di questi due aspetti] riguarda gli aspetti relativi alla misurazione dell’utilità sociale e all’integrazione di questa con i caratteri economici. La misura che si propone si fonda su valutazioni soggettive formulate dai rappresentanti della collettività. Nel caso in cui non sussista un’univocità di vedute nelle valutazioni soggettive, possono essere implementate metodologie volte alla ricerca del consenso.78 rilevanza della qualità dell’output per le attività di progettazione, programmazione e altre ancora, assai più della quantità è rilevante la qualità dell’output nonché la sua efficacia nel conseguire i risultati prefissati all’operare pubblico, non è opportuno riferirsi al costo per unità di prodotto calcolato come costo medio di ciascuna unità di output79 77 Isfol - Iard, Modello di valutazione della formazione professionale, “Osservatorio Isfol”, n.2, 1992, pp. 113114 78 Francesco Carlucci - Stefano Pisani, Un criterio di valutazione economica e sociale di un bene pubblico, “Economia pubblica”, n. 4-5, 1993, p. 193 79 Piervincenzo Bondonio - Francesco Scacciati, Efficienza e produttività negli enti locali. L’introduzione degli incentivi nel pubblico impiego, La nuova Italia scientifica, Roma 1990, p. 55 193 l’analisi costi benefici come strumento per eccellenza dell’economia del benessere Il termine analisi benefici-costi ( ABC) si riferisce, nel suo significato più generale, al tentativo di misurare i guadagni e le perdite associate ad ogni azione. Ogni individuo che si vuole comportare razionalmente dovrebbe, prima di prendere una decisione, compiere un’ABC. Se vogliamo esprimerci in termini economici, ma ancora generali, possiamo dire che l’ABC consiste nella misurazione dei benefici e dei costi associati a ogni modificazione nell’allocazione delle risorse esistenti. Nell’analisi economica e finanziaria corrente l’ABC ha un significato più preciso: essa si riferisce infatti al calcolo dei benefici sociali netti conseguenti a una decisione pubblica che modifica l’allocazione delle risorse. Si tratta dello strumento per eccellenza dell’economia del benessere applicata. L’ABC deve permettere infatti di valutare se una modificazione nell’allocazione delle risorse è efficiente, se produce, cioè, detto in termini più generali, un aumento del benessere sociale.80 l’analisi costi benefici come strumento di scelta delle preferenze sociali L’analisi costi benefici (ACB) è essenzialmente un metodo per decidere della validità di un progetto che comporta una spesa pubblica, attraverso una ricerca empirica tendente a soppesarne i vantaggi e gli svantaggi. Il suo campo di applicazione è generalmente ristretto ai progetti pubblici perché i vantaggi e gli svantaggi sono definiti in termini sociali. L’ACB vuole quindi essere un modo per stabilire che cosa la società preferisce; laddove si può scegliere una sola opzione tra molte possibili, l’analisi dovrebbe indicare a chi prende la decisione qual è l’opzione che più risponde alle preferenze sociali, mentre se è una graduatoria di progetti di cui l’autorità decisionale necessita, l’analisi dovrebbe stabilire i criteri per formulare tale graduatoria.81 soggettività e non rigidità metodologica nella valutazione del paesaggio La valutazione del paesaggio, come ogni altra attribuzione di un valore, è un procedimento soggettivo, legato alla cultura dell’uomo, poiché nessun oggetto possiede un valore in sé, ma solo in rapporto ad un criterio ed a una gerarchia che l’uomo stabilisce per convenzione. 80 Giorgio Brosio, Economia e finanza pubblica, La nuova Italia scientifica, Roma 1986, 1^ ristampa 1988, p. 233 81 Alessandro Petretto, Manuale di economia pubblica, Il Mulino, Bologna 1987, p. 194 Ciò fa sì che non si possa tanto parlare di “metodi di valutazione”, alla stregua di sequenze operative assolute, e cioè di sistemi per comprendere o stabilire quale sia il valore intrinseco di un paesaggio, quanto invece di orientamenti, indirizzi, approssimazioni culturali, principi d’impostazione, ecc., da cui derivare degli itinerari valutativi certamente variabili da caso a caso, e strettamente correlati al paesaggio che si sta esaminando, nonché ai fini della valutazione stessa.82 coesistenza di soggettività e aspetti formalizzati nella valutazione L’analisi della qualità dell’ambiente e della compatibilità degli interventi ha, si è visto, ampi ed intrinseci margini di soggettività. Nello stesso tempo vi sono alcuni principi ormai accettati a livello generale (almeno all’interno della cultura occidentale) che possono essere assunti come riferimento generale ai fini di tali analisi e valutazioni. E’ importante, in sede scientifica e amministrativa, arrivare ad una formalizzazione di tali principi. Essi possono costituire assunti di base per la definizione di criteri e scale per le valutazioni successive.83 multicriteri come superamento di approcci meccanicistici ai problemi decisionali in generale, è impossibile dire che una decisione è buona o cattiva riferendosi solamente ad un modello matematico: anche gli aspetti organizzativi, psicologici e culturali dell’intero processo di decisione contribuiscono alla sua qualità e successo; conseguentemente, l’analisi MCDA [Multiple Criteria Decision Aid] costituisce l’evoluzione del ruolo dello scienziato sui problemi decisionali: i problemi non sono più risolti sostituendo il decisore con un modello matematico, ma aiutando il decisore a costruire la sua soluzione.84 audit delle risorse umane L’audit delle risorse umane, o “audit sociale”, non effettua (o non solo) controlli di conformità sugli atti aziendali, ma compie diagnosi sulle cause dei problemi e formula raccomandazioni (ai responsabili delle diverse aree funzionali) sui correttivi da attivare. In altre parole l’audit si pone come supporto al management al fine di indicargli i mezzi per essere più efficace. 82 Valerio Romani, Il Paesaggio. Teoria e pianificazione, F. Angeli, Milano 1994, pp. 128-129 83 Sergio Malcevschi, Qualità ed impatto ambientale. Teoria e strumenti della valutazione di impatto, Etaslibri, Milano 1991, p. 33 84 Marinella Giovine, Modelli di valutazione della formazione: sperimentazione della analisi multicriteri come supporto alle decisioni, “Osservatorio Isfol”, n. 2, 1992, p. 25 195 L’”audit sociale” in particolare, si basa sul presupposto che anche la “funzione personale”, pur con le sue caratteristiche particolari, non possa sottrarsi ad una valutazione della sua efficacia e del suo apporto al raggiungimento degli obiettivi di impresa. In quanto affonda le sue radici nelle metodologie tipiche del controllo di gestione l’audit si basa, per quanto possibile, su indicatori oggettivi che permettano di individuare gli scarti tra risultati raggiunti ed obiettivi perseguiti, a gerarchizzarli in termini di gravità e di rischio, ad individuarne le cause, al fine di proporre specifiche raccomandazioni di riassetto.85 obiettivi dell’audit l’audit quando riferito alla formazione cerca di situarsi nello spazio definito dai quattro poli seguenti: controllo, valutazione, ricerca, supporto alla decisione. Dalle attività propriamente di controllo l’audit tende a mutuare il reperimento di termini di paragone ai quali riferire i risultati e le procedure delle azioni indagate. In altre parole si tende, nei limiti del possibile, a reperire (o ricostruire) norme prassi, indicatori di soglia rispetto ai quali rivalutare l’azione formativa. Dalla tradizione della valutazione della formazione l’audit mutua soprattutto tutto ciò che riguarda l’analisi della efficienza interna delle azioni formative. Ambizione dell’audit (ma che è tutto sommato ambizione di qualsiasi eccezione di valutazione di efficacia oltre che di efficienza) è analizzare la congruenza della formazione rispetto ad obiettivi anche esterni e soprattutto valutare non tanto l’azione specifica di formazione quanto il sistema di produzione della formazione in se stesso e nelle sue interrelazioni con i sistemi circostanti. Deve essere inoltre evidenziato il ruolo specifico dell’audit come dispositivo di supporto alla presa di decisione da parte del management, fatto questo che impone una gerarchizzazione dei problemi rilevanti nonché l’elaborazione di scelte e pratiche alternative. qualità della costi benefici L’analisi benefici costi è un metodo semplice e trasparente per valutare i risultati attesi di un’attività economica, e, quindi, anche di un progetto considerato come strumento di politica economica86 85 Marinella Giovine, La valutazione della formazione come investimento non materiale delle imprese, in A. Bulgarelli - M- Giovine - G. Pennisi, “Valutare l’investimento formazione”, F. Angeli, Milano 1990, pp. 34-35 86 Giuseppe Pennisi, Analisi benefici costi della formazione professionale, in A. Bulgarelli - M- Giovine - G. Pennisi, “Valutare l’investimento formazione”, F. Angeli, Milano 1990, p. 69 196 superiorità della costi efficacia sulla costi benefici nella valutazione della formazione professionale Quali che siano le difficoltà dell’analisi costi-efficacia, tuttavia, esse sono minori di quelle inerenti all’applicazione dell’analisi costi benefici della formazione professionale in quanto, una volta individuato il prodotto da fornire, non è necessario quantizzarne il “valore” per la collettività. Quindi, l’analisi costi efficacia mantiene i vantaggi di rigore scientifico dell’analisi costi benefici in un sistema di programmazione decentrato dell’intervento pubblico ma è relativamente di più semplice applicazione di quanto non sia quest’ultima. problemi metodologici della costi benefici A differenza dell’analisi finanziaria tradizionale, l’analisi costi-benefici tiene conto sia dei costi e dei benefici che figurano nel bilancio dell’ente o impresa che realizza il progetto, sia dei costi e dei benefici che ricadono su soggetti diversi. Per usare un’espressione più tecnica, l’analisi costi-benefici considera - monetizzandole anche le esternalità positive e negative connesse alla realizzazione del progetto. Questo tipo di analisi comporta numerosi problemi teorici e pratici, che vanno dall’accurata definizione dei costi e dei benefici (soprattutto allo scopo di evitare doppi conteggi), alla determinazione di prezzi ombra o prezzi di conto in base ai quali valutare i costi ed i benefici; dalla definizione del tasso sociale di sconto, all’apprestamento di criteri per valutare i cosiddetti benefici intangibili che in molti casi rappresentano il principale risultato dell’investimento, ecc.87 razionalità dell’approccio costi benefici sociale l’analisi costi-benefici sociale non è una tecnica, ma un approccio. Essa fornisce un contesto razionale alla scelta dei progetti utilizzando obiettivi e valori nazionali.88 necessaria multidimensionalità della valutazione di efficacia L’estensione dei mutamenti che intervengono a livello operativo comporta l’adozione di una prospettiva multidimensionale nella valutazione dell’efficacia dell’automazione della produzione. Nel contempo è necessario interrogarsi sui livelli di ottimizzazione e di gestione e, quindi, di informazione.89 87 Piero Giarda, Introduzione all’edizione italiana, in P. Dasgupta - A. Sen - S. Marglin, “Guida per la valutazione dei progetti. Manuale Unido”, Formez, Napoli 1985, pp. XI-XII 88 Partha Dasgupta - Amartya Sen - Stephen Marglin, Guida per la valutazione dei progetti. Manuale Unido, Formez, Napoli 1985, p. 17 89 C. Mahieu, La valutazione dei progetti di produzione flessibile, “Problemi di gestione”, Formez, vol. XVIII, 7/8, 1990, p. 84 197 la valutazione fra idea di sanzione e capacità di mobilitazione Il concetto di valutazione evoca, il più delle volte, l’idea di sanzione dell’efficacia e di giustificazione delle scelte operate. La valutazione può, però, essere anche un momento di riflessione sull’azione svolta e di mobilitazione degli attori. indispensabile un approccio sociologico globale nella programmazione Valutazioni sulla impianificabilità di una società complessa, sulla necessità di individuare obiettivi per dare un senso e una direzione alle trasformazioni in atto, vengono compiute senza un’analisi adeguata della struttura della società considerata nella sua globalità e nelle relazioni fra le sue parti, delle dinamiche e dei soggetti sociali che di volta in volta ed interattivamente la caratterizzano e la determinano. Senza un apporto specifico di conoscenze sociologiche i programmatori compiono valutazioni della situazione di partenza, formulano obiettivi e rilevano il grado di consenso che essi ricevono, individuano i soggetti sociali ai quali affidare la realizzazione del mutamento, le relazioni e i nessi intercorrenti fra uno o più azioni attivate e il complesso delle relazioni sociali, il significato sociale che essi assumono, la previsione del conflitto ed i percorsi di una sua possibile risoluzione. Nell’individuare un insieme di obiettivi ritenuti desiderabili e di risorse realmente mobilitabili, raramente vengono utilizzati metodi, strumenti, apporti conoscitivi di carattere sociologico.90 la costi benefici appartiene al paradigma di razionalità assoluta Il paradigma della razionalità limitata permea chiaramente questo modello di programmazione per progetti, sebbene la tecnica di valutazione privilegiata (l’analisi costi e benefici) rappresenti un recupero sostanziale di significativi elementi propri della razionalità assoluta la costi benefici trascura l’ambiente organizzativo e conduce a scelte sbagliate La valutazione dei progetti secondo l’analisi costi e benefici tende a far sì che si privilegino grandi opere, inutilmente grandi, la cui tecnologia è spesso troppo sofisticata per poter essere assorbita dalle istituzioni dei paesi in via di sviluppo. L’attenzione è rivolta a ciò che è quantitativamente valutabile trascurando l’ambiente organizzativo. enormi problemi nella valutazione economica di aspetti ambientali 90 Remo Siza, La programmazione e le relazioni sociali. I limiti e le opportunità delle attuali strategie in una prospettiva sociologica, F. Angeli, Milano 1994, p. 34 198 Il tentativo di effettuare una valutazione economica degli aspetti di natura ambientale pone generalmente molti problemi: si tratta di un’operazione spesso veramente impossibile quando è assente una misurazione quantitativa o qualitativa di base, o comunque sempre molto ardita tanto che talvolta è preferibile rinunciare ad eseguirla. problemi metodologici di base nella valutazione ex ante I problemi metodologici che si incontrano nella valutazione ex-ante sono riconducibili: - all’incertezza e quindi alla necessità di rinunciare all’idea di futuro come mera proiezione del passato e di utilizzare tecniche di ricerca capaci di descrivere i “futuri possibili”. La letteratura sull’incertezza previsionale segnala la necessità di utilizzare la capacità previsionale degli esperti che osservano e studiano i segmenti del sistema in relazione con il progetto considerato, e di ricostruire le dinamiche fra gli attori coinvolti nel processo decisionale; - alla multidimensionalità del giudizio valutativo. Difficilmente, infatti è possibile considerare un unico criterio di valutazione con il quale confrontare le possibili soluzioni di un problema o gli effetti di una decisione presa. Questo elemento di complessità richiama la necessità di ricorrere a modelli di valutazione che consentono di confrontare fra di loro osservazioni, stime ed indicatori diversi per rilevanza e per strumenti di classificazione o misurazione; - alla complessità del sistema che vede l’interazione di attori diversi dotati di propri sistemi di preferenza, non sempre fra loro coerenti. La possibilità di supportare un processo decisionale ex ante in una logica a razionalità limitata è legata alla capacità di tenere in considerazione contemporaneamente tutti questi fattori di complessità metodologica.91 relazione fra risorse umane impiegate e qualità della valutazione maggiore è il grado di attendibilità del processo di valutazione e maggiore è la quantità di risorse necessarie per la raccolta delle informazioni. importanza degli attori e loro relazioni nella valutazione gli attori, le loro relazioni, i loro punti di vista sono fondamentali in qualsiasi processo di valutazione.92 91 Giovanni Bertin, Valutazione e processo decisionale, in Idem (a cura di), “Valutazione e sapere sociologico. Metodi e tecniche di gestione dei processi decisionali”, F. Angeli, Milano 1995, p. 23 199 la valutazione di servizi e processi intangibili deve mettere in campo approcci diversificati Come nella valutazione di beni e servizi materiali si adottano indicatori diversificati per meglio circoscrivere l’ambito valutato, così a maggior ragione nei servizi e processi intangibili come la comunicazione, e nei riguardi in generale delle dinamiche sociali, l’approccio valutativo deve avvenire su più piani distinti, con diversi approcci, e possibilmente tecniche diversificate. la costi benefici si pone obiettivi sociali, diversamente dall’analisi finanziaria o economica L’obiettivo dell’ACB è di massimizzare il benessere sociale. Nel momento di valutare i benefici e i costi occorre, pertanto, tener conto di quanto il progetto contribuisce o sottrae al benessere collettivo e cioè al raggiungimento degli obiettivi della società. Ciò che differenzia l’ACB dalla valutazione dei progetti di impresa è l’obiettivo da massimizzare, che non è rappresentato dal reddito del soggetto che realizza e gestisce l’intervento (imprenditore o ente) ma dal benessere collettivo. Discendono da ciò tutta una serie di differenze fra l’analisi finanziaria dei progetti e quella economica o “costi-benefici”: la prima valuta la redditività dal punto di vista privato, la seconda dal punto di vista sociale.93 scarsa utilizzabilità della costi benefici nella valutazione dei servizi alle imprese Ai fini del problema dell’allocazione delle risorse tra progetti concorrenti, un tipico problema di valutazione ex ante, appare gioco forza avere come riferimento quale tecnica di valutazione, l’Analisi Costi-Benefici (ACB), sia perché essa è un tipico strumento di valutazione microeconomico, naturalmente deputato a svolgere azioni di supporto alle scelte allocative del decisore pubblico; sia perché essa costituisce il riferimento istituzionale italiano da oltre un quindicennio. Ci sono tuttavia diverse ragioni per le quali l’ACB potrebbe risultare poco applicabile al problema della valutazione della politica per la diffusione di servizi alle imprese. 92 Italo De Sandre, Una matrice sociologica per la valutazione: processi riflessivi e riproduzione dell’azione sociale. 93 Rossella Pampanini, La valutazione della viabilità rurale, Irres - Regione dell’Umbria, Perugia 1995, p. 34 200 Le ragioni riguardano: la distribuzione dei tempi di svolgimento del ciclo economico del servizio; l’entità limitata degli esborsi; la difficile rilevazione di effetti di servizi troppo generali. Da questa analisi appare che, data la natura degli interventi in oggetto, la valutazione economica secondo le tecniche tradizionali, quali l’ACB, difficilmente può risultare un efficace strumento di valutazione economica ex ante ai fini dell’allocazione delle risorse nell’ambito di un programma di intervento globale.94 elementi determinanti dell’analisi costi benefici Gli elementi determinanti di una ACB possono essere sinteticamente riepilogati nei seguenti quattro: 1) costi di investimento (economici e finanziari); 2) costi di esercizio (economici e finanziari); 3) ricavi finanziari; 4) benefici economici.95 imprescindibilità della valutazione in chiava privata nei settori profit oriented In un contesto di settore che presenta una spiccata caratterizzazione profit oriented la valutazione in chiave privata di un progetto di investimento rappresenta uno strumento imprescindibile di analisi e selezione. Per “analisi in chiave privata” si intende il processo di valutazione della redditività di un investimento, ovvero, in estrema sintesi: 1) di confronto tra flussi di segno negativo (esborsi) nella fase di realizzazione o fase di investimento e flussi di segno positivo (differenza tra ricavi e costi o margine operativo) nella fase di gestione; 2) di confronto tra i capitali investiti per la realizzazione dell’investimento e l’avvio operativo dell’attività e il reddito netto generato dal progetto dopo aver ricostituito il capitale, pagato interessi su eventuali mutui accesi e pagato le imposte sul risultato di gestione.96 elementi determinanti dell’analisi costi benefici I passi per la costruzione di un’ACB sono pertanto i seguenti: 94 Antonio Strazzullo, La valutazione dei servizi reali per le piccole e medie imprese, Irres - Regione dell’Umbria, Perugia 1995, p. 33-35 (prima parte della citazione: p. 33; ultima parte: p. 35) 95 Massimo Bagarani, La valutazione degli acquedotti rurali, Irres - Regione dell’Umbria, Perugia 1995, p. 16 96 Fabio Pasquali, La valutazione della ricettività alberghiera, Irres - Regione dell’Umbria, Perugia 1995, p. 23; anche Idem, La valutazione della ricettività rurale, Irres - Regione dell’Umbria, Perugia 1995, p. 35 201 1) calcolo dei costi di investimento (economici e finanziari); 2) calcolo dei costi di esercizio (economici e finanziari): 3) calcolo dei costi esterni (o “esternalità negative”); 4) calcolo dei ricavi economici e finanziari; 5) calcolo dei benefici esterni (o “esternalità positive”). natura deduttiva della valutazione delle risorse in campo zootecnico [Nella profilassi zootecnica] Una quantificazione precisa della perdita di risorse è estremamente difficile, soprattutto in considerazione del fatto che non è facile porre in relazione diretta le variazioni delle produzioni aziendali con le manifestazioni di malattie infettive o l’andamento delle parassitosi. Le valutazioni espresse devono essere considerate pertanto di natura deduttiva e frutto dell’elaborazione delle indagini di campo svolte e finalizzate alla rilevazione con un apposito questionario, sia delle caratteristiche strutturali e produttive degli allevamenti che del livello di efficienza zootecnica e sanitaria degli allevamenti. Le indicazioni economiche che ne derivano consentono una quantificazione dei soli costi privati che le malattie infettive e parassitarie determinano nel settore ovino e caprino.97 limiti della costi benefici nella valutazione di programmi L’Analisi Costi-Benefici Viene utilizzata prevalentemente per la valutazione economico-finanziaria di singoli progetti di investimento ed estesa alla valutazione di programmi (composti da progetti distinti). In questo secondo caso, tuttavia, si riesce a cogliere solo parzialmente le interazioni e le sinergie tra i progetti che compongono un programma; infatti, nel passaggio dalla valutazione di progetti a quella di programmi, per giungere al calcolo di indicatori sintetici di convenienza per la collettività, vengono intrapresi percorsi semplificati, non rigorosi sul piano strettamente metodologico.98 ragioni del metodo degli effetti Il metodo degli effetti - Viene utilizzato sia per l’analisi di progetti interconnessi in un programma che per singoli interventi. Il processo di valutazione consente di cogliere le relazioni di tipo fisico e tecnologico fra i diversi progetti; è basato su un 97 Antonio Pierri - Carlo Valente, La valutazione della profilassi ovina e caprina, Irres - regione dell’Umbria, Perugia 1995, p. 35 98 Silvia Ciampi - Oriana Cuccu, La valutazione degli interventi in aree parco, Irres - Regione dell’Umbria, Perugia 1995, p. 28 202 approccio alla valutazione di tipo macroeconomico che tiene conto dei vincoli esistenti al raggiungimento del sistema di obiettivi definito in sede programmatica. Può essere considerato uno strumento in larga misura complementare. Mentre con quest’ultimo si tende a valutare la convenienza economico-sociale di singoli progetti tramite il calcolo di indicatori sintetici di convenienza economico-finanziaria, attraverso il metodo degli effetti si descrivono (sempre mediante indicatori sintetici) gli effetti sul sistema di un insieme di progetti individuati in un contesto di programmazione degli interventi pubblici. carenza dei sistemi di contabilità nazionale nella modellistica economica La modellistica di equilibrio economico generale - Prevede la simulazione degli effetti e/o degli impatti di programmi utilizzando modelli di equilibrio economico generale e matrici di contabilità sociale. Presuppone, nel caso di programmi di tutela e valorizzazione di risorse ambientali, la disponibilità o la costruzione di sistemi di contabilità nazionale o regionale che tengano conto del flusso di servizi che le risorse ambientali offrono nel corso del tempo. Nell’ambito di tale metodologia, che ha notevole potenzialità di sviluppo, non sono state ancora messe a punto tecniche e procedure operative applicabili con semplicità alla valutazione di programmi: ciò in quanto, in Italia, come del resto in gran parte dei paesi industrializzati a economia di mercato, non sono ancora disponibili stime della contabilità nazionale e delle relazioni input-output intersettoriali che incorporino adeguatamente gli aspetti ambientali. punti di forza e debolezza della costi benefici, costi efficacia e multicriteri In linea di massima, le tecniche di ACE (Analisi Costi-Efficacia) analizzando i soli costi necessari a raggiungere finalità predefinite dal decisore, hanno natura speditiva e costi contenuti; all’opposto i metodi di AMC (Analisi Multi-Criteriale) contemplando la valutazione di input e output dell’investimento in forma monetaria o, dove ciò non è possibile, in forma quanti-qualitativa, comportano costi di raccolta della documentazione e di elaborazione relativamente elevati. In posizione generalmente intermedia si pone l’ACB, salvo nei casi in cui l’attribuzione di valori monetari a fattori, prodotti e servizi “senza prezzo” comporti l’applicazione di tecniche di valutazione particolarmente complesse.99 ragioni dell’analisi costi efficacia 99 Davide Pettenella, La valutazione degli investimenti forestali, Irres - Regione dell’Umbria, Perugia 1995, p. 29 203 Diverse ragioni possono motivare la necessità di valutare, nell’analisi di un investimento, le sole voci di costo: 1) i ricavi (o benefici) non sono valutabili in termini monetari, dal momento che i prodotti e servizi derivanti dall’investimento sono beni pubblici; 2) i costi della stima dei ricavi (o benefici) possono essere eccessivamente elevati; 3) l’obiettivo del progetto viene predefinito nel campo di decisioni politicoamministrative esterne al processo di valutazione dell’investimento. In questi casi l’intervento può essere analizzato semplicemente tramite l’ACE calcolando i costi di investimento e ponendoli in relazione ad un parametro-obiettivo o a un complesso di obiettivi tecnico-economici predefiniti. contesti d’uso dell’analisi costi efficacia L’ACE viene tradizionalmente impiegata per la valutazione di investimenti relativi a servizi pubblici (nel campo, ad esempio, della difesa militare, dell’educazione e dei servizi sanitari) per i quali si definisce a priori un determinato parametro come obiettivo dell’investimento. I risultati dell’analisi consentono non solo la valutazione del singolo investimento, ma anche la comparazione delle diverse ipotesi alternative. differenza fra la costi benefici e altre tecniche di valutazione della convenienza degli investimenti L’Analisi Costi-Benefici è una procedura volta a stimare in termini monetari i costi e benefici (o ricavi) connessi alla realizzazione di investimenti realizzati da operatori pubblici o da privati (con o senza interventi di sostegno pubblico). L’ACB differisce dalle ordinarie tecniche di valutazione della convenienza di investimenti privati in quanto vengono presi in considerazione non soltanto i costi e benefici “diretti”, cioè quegli effetti che interessano il singolo investitore, ma anche quelli “indiretti”, cioè quei costi o benefici che incidono sulla collettività o su parte di essa. L’”internalizzazione” è il processo che consente di includere nell’ACB gli effetti indiretti. differenze fra la costi benefici, la costi efficacia e la multicriteri L’assunzione dell’unicità dell’obiettivo costituisce una semplificazione notevole del processo decisionale: nella realtà le scelte del decisore sono spesso motivate da una funzione di utilità nella quale la massimizzazione di un obiettivo economico o tecnico rappresenta soltanto una delle molte componenti, spesso conflittuali o addirittura mutualmente esclusive. Di questo si occupano le diverse tecniche di AMC (Analisi Multi-Criteriale) 204 Mentre l’ACB si concentra sui problemi di valutazione degli impatti economici di un singolo intervento, lasciando in secondo piano i problemi del confronto tra diverse ipotesi progettuali, l’AMC, come l’ACE, viene utilizzata principalmente allo scopo di selezionare le alternative progettuali più efficienti, che massimizzano i valori assunti da una serie di funzioni, ognuna delle quali costituisce un determinato obiettivo o criterio (qualità del paesaggio, protezione idrogeologica, ecc.). Gli obiettivi sono rappresentati attraverso indicatori, espressi in unità specifiche, non necessariamente monetarie. il sistema informativo della valutazione Il sistema informativo di valutazione si costruisce in rapporto non già alla conoscenza del bisogno dichiarato, bensì agli eventi spia prescelti per descrivere quei comportamenti il cui verificarsi certamente influisce in modo positivo su di un tale bisogno.100 la costi benefici è un prodotto culturale, e per ciò non obiettivo e neutrale l’analisi costi-benefici, come ogni altro strumento (o tecnica) elaborato dall’uomo, risente dello spirito dei tempi, e non può attingere a quel grado di obiettività o di neutralità a cui, con una certa ingenuità, aspirano quegli studiosi che pretendono di conferire all’economia lo status proprio delle scienze naturali.101 scarsa definizione della costi benefici l’analisi costi-benefici, nonostante la sua longevità, è tuttora una tecnica non sufficientemente definita in tutti i suoi aspetti, anche per le sue forti connessioni con l’economia del benessere, da cui fondamentalmente deriva, e con certe tecniche assai diffuse come la programmazione di bilancio102 arretratezza delle tecniche di valutazione economica molto resta ancora da fare per rendere le tecniche di valutazione economica uno strumento più incisivo nel processo che conduce dalla individuazione degli obiettivi 100 Fosco Foglietta, La valutazione di esito, “Servizi sociali” (monografico su “La qualità nei servizi sociali e sanitari”), Fondazione E. Zancan, n. 3, 1995, p. 34 101 Emilio Giardina, L’analisi costi-benefici e il processo decisionale pubblico, in Aa.Vv., “Calcolo economico e decisioni pubbliche. Prime proposte per un approccio di settore”, Formez, Napoli 1994, p. 24 102 Nicola Parmentola - Simona De Luca, Il progetto FAES: approccio e obiettivi, in Aa.Vv., “Calcolo economico e decisioni pubbliche. Prime proposte per un approccio di settore”, Formez, Napoli 1994, pp. 40-41 205 alla decisione di investimento, dunque alla scelta del progetto più efficace ed economicamente conveniente.103 condizioni per rendere efficace la valutazione nel processo di programmazione perché le tecniche di valutazione possano effettivamente svolgere una funzione di ausilio alla programmazione e all’attuazione di programmi ed interventi, devono essere soddisfatte una serie di condizioni che è opportuno ribadire e sottolineare: in primo luogo, le amministrazioni competenti della programmazione e finanziamento di tali interventi, ai vari livelli territoriali e settoriali, devono, per quanto possibile, agire per programmi in cui siano chiaramente esplicitati gli obiettivi, individuate le strategie, indicati gli strumenti, anche finanziari, disponibili; in secondo luogo, i progetti di intervento devono essere ad un livello di definizione tecnico-economica tale da consentire un’analisi sufficientemente approfondita; in altre parole, se il progetto è generico e privo delle informazioni tecnico-economiche essenziali, l’applicazione della più raffinata tecnica di valutazione non potrà che fornire comunque risultati inattendibili o largamente approssimativi e quindi di scarsa utilità; infine, le tecniche di valutazione da utilizzare devono essere non generiche ma specifiche: devono cioè attagliarsi alle caratteristiche peculiari del settore cui si applicano, analizzandone quindi con taglio specialistico contenuti progettuali ed effetti socio-economici. sostanziale inapplicabilità della costi benefici nella valutazione della ricerca e sviluppo l’analisi costi-benefici che, nelle sue differenti versioni, è la tecnica solitamente applicata per la valutazione di [opere pubbliche], [nel caso di R&S] è sicuramente di applicazione assai complessa e discutibile quando non del tutto impossibile. c’è infatti ormai sostanziale accordo fra i tecnici e gli studiosi nel ritenere che per quanto riguarda gli investimenti in R&S (ricerca e sviluppo) la valutazione in assoluto più significativa, anche perché più realisticamente fattibile, è quella che si verifica ex post (mentre l’analisi costi-benefici è, come è noto, una tecnica di valutazione ex 103 Maurizio Di Palma, La valutazione degli impieghi di spesa pubblica nella sanità, nella ricerca scientifica e nel turismo. Problemi di settore, in Aa.Vv., “Calcolo economico e decisioni pubbliche. Prime proposte per un approccio di settore”, Formez, Napoli 1994, p. 49 206 ante), riferita, inoltre, ad un piano-programma di interventi (quando invece l’analisi costi-benefici fornisce indicazioni maggiormente significative a livello di singolo progetto di investimento). in campo sanitario l’analisi costi efficacia è più giustificata della costi benefici la valutazione economica assume nel settore sanitario un carattere prevalentemente decisionale-allocativo, quale strumento tecnico-informativo volto al miglioramento del livello di efficienza nella ripartizione delle risorse scarse tra i possibili impieghi alternativi. In effetti, l’analisi costi-benefici perde molte delle sue capacità esplicative e giustifica il ricorso, per la verità abbastanza diffuso per quanto riguarda il settore sanitario, all’analisi costi-efficacia, nella quale vengono espressi monetariamente solo alcuni dei costi e dei benefici del progetto, mentre si utilizzano specifici indicatori per esprimerne l’efficacia e l’impatto sul settore. insoddisfacente utilizzo della costi benefici nel settore turistico L’analisi costi-benefici, pur presentando numerosi aspetti positivi anche per i progetti di investimento nel settore turistico, non sembra in grado, se utilizzata da sola, di dare risposte soddisfacenti ed esaurienti sul piano della valutazione e del confronto fra ipotesi diverse o diverse alternative di finanziamento, debolezza strutturale della costi benefici, approccio economico applicato a problemi politici Come l’eroe di una tragedia greca, l’analisi costi-benefici portava in sé fin dai suoi inizi il germe della propria distruzione e questo germe ha prodotto i suoi effetti un quindici-venti anni fa. Sinteticamente: l’analisi costi-benefici ha sofferto del fatto di essere un approccio di carattere economico ad un problema di carattere politico.104 il focus group tecnica di valutazione qualitativa I Focus Group sono una tecnica di ricerca applicabile in un approccio valutativo soft, di tipo qualitativo; quando si ritiene opportuno ricorrere a valutazioni, giudizi, opinioni, espressi da professionisti, esperti, o utenti/clienti, per raccoglierne i diversi punti di vista su un argomento, un processo, un risultato, un prodotto inteso in senso lato.105 104 Robert Dorfmann, Quarant’anni di analisi costi-benefici, in Aa.Vv, “L’analisi costi-benefici. II. Esperimenti e applicazioni”, Formez, Napoli 1979, p. 23 105 Livia Bovina, I focus group. Storia, applicabilità, tecnica, “Rassegna Italiana di Valutazione”, n. 1, 1996 207 i programmi pilota e la loro valutazione I programmi, dunque, possono essere di due tipi: a) dimostrativi, ovvero ancora in fase sperimentale; b) operativi, ovvero a regime. a) I programmi dimostrativi, a loro volta, si distinguono a seconda del grado di conoscenze acquisite sui loro obiettivi e il modo di ottenerli (risultati), e quindi in base al loro stadio di avanzamento: la distinzione comporta dunque anche un ordine temporale. Essi sono così classificati: a1) programmi pilota: si svolgono in un periodo iniziale di trial-and-error, in cui vengono esplorati nuovi approcci e procedure (intorno a obiettivi e fattori strategici per l’amministrazione che li realizza) che vengono riviste rapidamente in modo flessibile. Si impara dall’esperienza e dai problemi che sorgono. Qui ci vuole una valutazione rapida, con grande enfasi sui feedback. Non è possibile basarsi su un disegno sperimentale di valutazione, e ci si affida piuttosto a case studies, osservazioni ecc. a2) programmi modello: è il risultato finale di una serie di progetti pilota che siano stati considerati positivi, quando però non si è ancora sicuri dei passi da prendere. Si sa che il successo è possibile (validità interna), ma non si è ancora certi di voler/poter diffondere il programma su vasta scala. Per farlo, si vuole avere una maggiore certezza sulle condizioni di applicabilità in luoghi e contesti diversi (validità esterna). Qui si prevede un disegno di valutazione di tipo sperimentale, in cui si confronti un gruppo sperimentale cui si somministra il programma con uno di controllo cui il programma non viene somministrato. Comunque — avverte Suchman — occorre ancora cautela: anche se l’esperimento è stato positivo non è detto che il programma possa essere messo in pratica su vasta scala. a3) prototipi: è lo stadio in cui il programma è stato testato ampiamente e può essere reso operativo su vasta scala. Qui il disegno della valutazione deve cercare di avvicinarsi al modello sperimentale (attraverso i quasi-esperimenti), tenendo la situazione attuale del programma come gruppo sperimentale e quella dei programmi precedenti come gruppo di controllo. b) programmi operativi. Una volta che il programma sia a regime non è più necessario valutarlo tramite un disegno sperimentale, perché si cerca piuttosto di capire come si può migliorare il programma esistente: lo si farà con un sistema di 208 monitoraggio, e con analisi di processo, con valutazioni continue del personale, ecc.106 la valutazione deve essere un processo globale che include utenti, operatori e struttura La valutazione deve dunque essere intesa in senso “globale”; vale a dire che occorre valutare dalla parte degli utenti, dalla parte degli operatori e a partire dalla struttura di riferimento. Avviare uno solo di questi processi significherebbe ridursi ad una visione parziale della situazione, che d’altra parte non sarebbe nemmeno in grado di definire gli elementi sui quali intervenire. Partire dagli utenti-cittadini significa valutare la “proprietà” e la “qualità” dei servizi, non solo in termini quantitativi ma includendo anche il “rapporto” tra operatore e utente. Partire dagli operatori, significa valutare il lavoro professionale dei medesimi perché solo un’elevata “qualità del lavoro”, ossia un lavoro altamente professionalizzante, può garantire un’elevata qualità del servizio. Partire dalla struttura, infine, significa sia valutare la sua efficienza (il miglior utilizzo delle risorse rispetto alle scopo definito; ed è a questo livello che il servizio pubblico si avvicina di più alle organizzazioni di mercato), sia verificare la congruità dell’agire delle strutture rispetto ai programmi.107 la valutazione come organizzazione informativa la programmazione della valutazione equivale sostanzialmente alla progettazione di una estesa e attendibile base di informazioni. Queste informazioni riguardano proprio tutti gli aspetti che, alla luce delle tre categorie di analisi [input, throughput, output], acquisiscono rilevanza oltre che dal punto di vista della valutazione anche dal punto di vista della definizione dell’attività valutata conseguente allo stesso processo di valutazione.108 argomenti contrari alla valutazione, e controargomentazioni Sembrerebbe che non ci dovessero essere che argomenti a favore della valutazione, ma così non è. Vi è addirittura una piccola letteratura contraria alla valutazione, non in sé stessa beninteso, ma per le difficoltà che essa presenta. 106 Nicoletta Stame, Note sui progetti pilota e la valutazione, “Rassegna Italiana di Valutazione”, n. 2, 1996 107 Michele La Rosa, Riflessioni sulla valutazione, “Tutela. Trimestrale di politiche sociali”, a. XI, n. 1-2, giugno 1996, p. 20 108 Maria Stella Agnoli - Antonio Fasanella, La scommessa sociologica. Prove tecniche di valutazione. “Sociologia e ricerca sociale”, n. 51, 1996, p. 116 209 La prima argomentazione - in realtà molto debole - è che gli obiettivi delle politiche sono normalmente plurimi: riduzione della disoccupazione in certe fasce della popolazione; riduzione della stessa attraverso la creazione di particolari imprese come le cooperative sociali, o organizzazioni non-profit, ecc. Coloro che effettuano le valutazioni possono interpretare in modo diverso, quando non addirittura scorretto, gli obiettivi e le relazioni di priorità fra gli stessi. Addirittura è possibile che le valutazioni scelgano gli obiettivi da verificare semplicemente sulla base della accessibilità e dei costi della verifica e quindi possano giungere a valutazioni di tipo negativo, che derivano semplicemente dalla procedura seguita. Ovviamente, la risposta è che basta specificare, nella enunciazione delle politiche, obiettivi e ordine di priorità degli stessi. La seconda argomentazione contro la valutazione, utilizzata in realtà quasi esclusivamente nei confronti delle politiche volte alla creazione di posti di lavoro, è che il problema è così acuto e urgente da richiedere di rivolgere alla sua soluzione tutte le risposte disponibili, anche indipendentemente dai costi. Anzi la valutazione ex post potrebbe distogliere preziose risorse intellettuali e finanziarie dagli obiettivi finali. La terza argomentazione contro la valutazione è legata ai tempi lunghi di realizzazione degli obiettivi. E’ abbastanza vero che nella maggior parte delle politiche i risultati possono essere apprezzati solo nel lungo periodo, quando la situazione si è stabilizzata. Ma è anche vero che più il tempo si allunga, più si allontana la condizione di coeteris paribus che è essenziale per la correttezza della valutazione. Una soluzione possibile a questo problema consiste nella creazione di un panel di imprese beneficiarie della sovvenzione, la cui condotta e i cui risultati vengono “monitorati” per un periodo di tempo sufficientemente lungo.109 diffidenza verso la valutazione degli operatori delle comunità terapeutiche Un'altra motivazione, circa la scarsa penetrazione della valutazione [nelle tematiche della tossicodipendenza], deriva da una certa diffidenza assunta da parte degli operatori stessi delle C.T. [Comunità Terapeutiche], i quali hanno interpretato erroneamente gli obiettivi della ricerca valutativa, vedendone una sorta di esame 109 Giorgio Brosio, Problemi di metodologia nella valutazione delle politiche di sviluppo locale, in AA.VV., “Assi e misure. La valutazione dei fondi strutturali comunitari: l’Obiettivo 2 in Piemonte”, Ires - Regione Piemonte, Torino 1996, pp. 10-11 210 censorio sull'operato dell'organizzazione e un giudizio sulla loro persona piuttosto che un'occasione per crescere professionalmente ed affinare le proprie modalità di intervento alla luce anche del confronto con altre esperienze.110 la valutazione si basa su standard Ogni sistema di valutazione, sia che si riferisca all’efficienza che all’efficacia, si realizza nella definizione di un insieme di standard di valutazione. Lo standard non è altro che una misura di riferimento convenzionale rispetto cui confrontare le prestazioni effettive, realizzate.111 la valutazione come paragone fra una realtà attuale e una virtuale Con la valutazione si paragonano due realtà: una attuale e l’altra virtuale. Si confronta il progetto, com’è concretamente, con almeno uno dei quattro modelli consistenti essenzialmente in quello che: 1. si voleva fosse all’inizio; 2. poteva (o che potrebbe) essere se le regole dell’arte ed i dettami dell’esperienza fossero stati (o venissero) osservati; 3. è stato realizzato da altri, operando nella stessa situazione e con gli stessi obiettivi; 4. sarebbe stato (o sarebbe) razionale se si fosse tenuto (tenesse) conto anche dell’obiettivo strategico del progetto e non solo di quello immediato del progetto.112 la valutazione dei progetti di investimento è sempre una costi benefici, sia pure semplificata Comunque la si definisca, alla base della valutazione del progetto d’investimento c’è un paragone fra costi e benefici. Tecniche di valutazione rapida, semplificazioni, concessioni alla negoziazione politica (analisi multi-criterio) sono delle applicazioni dell’analisi costi-benefici, seppure adattate a realtà poco quantificabili od a progetti con obiettivi complessi, non riconducibili a denominatore comune. assonanze fra policies e concetti le assonanze tra policies e concetti, rilevanti per la loro traduzione in indicatori, sono molto profonde. Chi decide infatti gli obiettivi delle politiche o la legittima 110 Piero Selle - Paolo Stocco, Potenzialità e problemi metodologici nella valutazione della qualità delle Comunità Terapeutiche, “Rassegna Italiana di Valutazione”, n. 3, 1996 <http://www.valutazione.it/riv> [rivista ipertestuale, senza numerazione di pagina] 111 Daniele Fabbri - Roberto Fazioli - Massimo Filippini, L’intervento pubblico e l’efficienza possibile, Il Mulino, Bologna 1996, p. 14 112 Vittorio Masoni, M&V. Monitoraggio e valutazione dei progetti nelle organizzazioni pubbliche e private, Franco Angeli, Milano 1997, p.24 211 traduzione in indicatori dei concetti? Nel primo caso le istituzioni democratiche, nel secondo la comunità scientifica. Nel caso delle policies, tuttavia, la valutazione del cittadino è sempre più determinante per la credibilità e la legittimazione delle istituzioni stesse; in quello della scienza, la corrispondenza delle elaborazioni concettuali proposte dai ricercatori con i “mondi vitali” dell’uomo comune è in ultima analisi l’unica garanzia di chiusura del circolo ermeneutico e della capacità esplicativa della sociologia. Proprio in accordo con Giddens si può anzi riproporre il tema della riflessività, delle scienze sociali come della politica, come un terreno di convergenza tra questi due mondi che può trovare nelle analisi di valutazione un interessante momento d’incontro.113 difficoltà nella definizione degli obiettivi La valutazione della congruenza tra obiettivi e strumenti di intervento presenta alcuni problemi legati alla difficoltà di leggere i veri obiettivi di ciascun intervento e, nel caso di obiettivi multipli, di definire chiaramente l’importanza che viene data a ciascuno di essi.114 interdisciplinarietà della valutazione La valutazione è interdisciplinare, perché ogni ricerca valutativa oltre ad attingere a uno o più dei suoi saperi fondanti [sociologia, economia, statistica, psicologia], dovrà entrare in contatto con le discipline che si occupano delle attività o delle questioni da valutare: la medicina nella valutazione in campo sanitario; la geologia, le altre scienze naturali per la valutazione di impatto ambientale; architettura e ingegneria per la valutazione dei progetti urbanistici, ecc.115 scarsa autonomia paradigmatica della valutazione su un piano epistemologico generale la valutazione non sembra possedere quell’autonomia paradigmatica propria di ogni disciplina; sul piano teorico ed ancor più su quello metodologico è poi assolutamente debitrice di altre discipline, 113 Mauro Palumbo, Indicatori e valutazione di efficacia delle policies, “Sociologia e ricerca sociale”, n. 47-48, 1995, p. 337 114 Manuela Samek Lodovici, La valutazione delle politiche attive del lavoro: l’esperienza internazionale ed il caso italiano, “Economia e lavoro”, a. XXIX, n. 1, gennaio-marzo 1995, p. 64 115 Nicoletta Stame, La valutazione in Italia: esperienze e prospettive, in Claudio Bezzi – Mauro Palumbo (a cura di), “Strategie di valutazione. Materiali di lavoro”, Gramma, Perugia 1998, pp. 18-19 212 principalmente l’economia e la sociologia, assumendone, anzi, per intero, i loro debiti concettuali116 la varietà degli strumenti non è sufficiente nella valutazione del processo scientifico la notevole varietà e gradualità di strumenti a disposizione per la valutazione delle attività/azioni/progetti scientifici non è ancora in grado di coprire, con chiarezza ed univocità, i singoli problemi e le diverse esigenze che si manifestano caso per caso. Ciò è particolarmente importante quando l’oggetto dell’interesse riguarda più la black box, ovvero il processo che non gli ingressi nel e le uscite dal sistema scientifico117 necessità concettuale della valutazione la valutazione viene percepita anche dall’esterno come un campo di ricerca in cui non si tratta solo di applicare delle tecniche, ma anche di elaborare un proprio apparato concettuale.118 scarsa integrazione delle tecniche valutative mentre ormai si registra una certa diffusione, e un crescente impiego delle singole modalità valutative, da quelle quantitative alle più qualitative, permane comunque una scarsa integrazione e complementarietà tra le diverse tecniche, che ne riducono la capacità di applicazione nei diversi ambiti di intervento.119 eccessivo uso di approcci statistici e matematici L'impiego generalizzato e sovente acritico di tecniche di analisi quantitativa, derivato essenzialmente dalle cosiddette 'scienze esatte' (matematica, fisica, meccanica ed, in non sporadici casi, teoria statistica con approccio di tipo probabilistico), sembra il sottoprodotto del dilagare nella teoria economica (ed, in alcuni recenti sviluppi, anche in quella sociologica) dell'uso di una strumentazione matematica apparentemente sempre più evoluta. 120 inevitabile componente interpretativa della valutazione 116 Claudio Bezzi, La valutazione sociale. Una mappa concettuale, in Claudio Bezzi – Mauro Palumbo (a cura di), “Strategie di valutazione. Materiali di lavoro”, Gramma, Perugia 1998, p. 87 117 Alberto Silvani, Selezionare le proposte di ricerca. Un difficile esercizio di valutazione ex-ante, in Claudio Bezzi – Mauro Palumbo (a cura di), “Strategie di valutazione. Materiali di lavoro”, Gramma, Perugia 1998, 158 118 Nicoletta Stame, L’esperienza della valutazione, Ed. SEAM, Roma 1998, p. 25 119 Alberto Silvani, I metodi, le tecniche e le procedure per la valutazione della ricerca, "UR - Università Ricerca", n. 3, 1998, p. 7 120 Carlo Del Monte, L'impiego di modelli econometrici per la valutazione di politiche economiche alternative, "Rassegna Italiana di Valutazione", n. 5, 1997 213 La ricerca empirica potenzia la capacità di valutazione degli operatori, purché sia chiaro che i dati accorpati e quantitativi, proprio come i dati sui singoli casi e qualitativi, non sfuggono a un problema di interpretazione. Sarebbe ingenuo credere che ‘il dato che parla da solo’ e – i numeri – sono più ‘veri’ rispetto alle percezioni soggettive. Un oggettivismo ingenuo non fa che allontanare gli operatori da una pratica valutativa basata sui numeri e sulle statistiche. È opportuno, invece, mettere subito in chiaro che nella valutazione c’è sempre una componente interpretativa: in qualunque modo cerchiamo di descrivere la realtà, la lettura dei dati (siano essi qualitativi o quantitativi) è carica di valenze soggettive la valutazione potrebbe diventare ulteriore elemento di complessità Un pericolo sempre incombente quando si progettano sistemi di valutazione è che essi, piuttosto che accrescere il livello di riflessività dei sistemi formativi (e dei loro attori), divengano solo un ulteriore elemento di complessità senza un ritorno in termini di "intelligenza politica" in grado di problematizzare i valori e gli obiettivi delle azioni formative e di porre attenzione alla riforma dei sistemi di formazione.121 fra valutazione esterna e autovalutazione Un modello di valutazione delle strutture che ha garantito un discreto equilibrio tra valutazione esterna ed autovalutazione è quello del Peer review.122 la valutazione non può essere ridotta a misurazione Valutare è troppo spesso considerato come sinonimo di misurare. Troppa poca attenzione viene posta all’interpretazione di ciò che si misura e all’utilizzabilità delle misurazioni effettuate. La riduzione della valutazione a prevalente attività di misurazione rappresenta a nostro parere l’anello più debole dell’esperienza della valutazione in Italia123 programma minimo per la valutazione per essere utilizzabile, la valutazione deve essere: • focalizzata su domande semplici e chiare; • orientata alle esigenze degli utilizzatori; • rigorosa nella scelta dei metodi di analisi; • realistica nel definire tempi e risorse; 121 Giuseppe Moro, Valutazione e riforma delle politiche formative, "Scuola democratica", n. 2/3, 1997, p. 194 122 Giorgio Allulli, La valutazione dei sistemi educativi, "Scuola democratica", n. 2/3, 1997, p. 220 123 Alberto Martini, Michela Vecchia, Marco Sisti, Giuseppe Cais, Il “Progetto Valutazione”: per una valutazione utilizzabile da chi decide, “InformaIres” n. 21, a. X, n. 2, dicembre 1998, p. 14 214 • attenta alle migliori esperienze straniere.124 pragmatismo e creatività metodologica Il pragmatismo e la creatività metodologica sono una caratteristica fondamentale di una valutazione di successo necessaria flessibilità nella valutazione delle risorse culturali Le risorse culturali contengono valori ed effetti "intangibili", ed esprimono quindi un "valore sociale complesso" Le procedure di valutazione devono perciò essere costruite tenendo conto di una ricca varietà di elementi: non possono essere fondate sulla definizione di una curva individuale di domanda o sulla percezione di utilità dei singoli agenti economici125 limiti metodologici della valutazione della Ricerca Scientifica Tecnologica In particolare nel campo della Ricerca Scientifica Tecnologica non si può dire che esistano metodologie consolidate che soddisfino completamente alle varie esigenze dei decisori e dei manager scientifici e che riscuotano un generale consenso dei ricercatori126 mix metodologico come migliore soluzione Generalmente, la migliore valutazione si ottiene mediante un’equilibrata mescolanza di analisi quantitative e qualitative, proprio perché entrambe manifestano vantaggi e limiti e sono quindi più complementari che sostituibili.127 peculiare duttilità degli indicatori La possibilità di inventare indicatori è, per così dire, illimitata in quanto dipende soltanto dalla disponibilità di dati sulle situazioni che si desidera monitorare e, ovviamente, dalle domande che ci si pone in merito ai sistemi scientifici ed ai loro legami con altri settori e problemi della società128 elementi essenziali nel disegno della ricerca valutativa 124 Alberto Martini, Michela Vecchia, Marco Sisti, Giuseppe Cais, Il “Progetto Valutazione”: per una valutazione utilizzabile da chi decide, “InformaIres” n. 21, a. X, n. 2, dicembre 1998, p. 16 125 Antonio Floridia, I beni culturali, tra valutazione economica e decisione politica: una rassegna critica, "Interventi, note e rassegne" n. 11, Irpet, Firenze 1999, p. 26 126 Ennio Galante – Cesare Sala – Luca Lanini, Valutazione della ricerca agricola, Franco Angeli, Milano 1998, p. 12 127 Ennio Galante – Cesare Sala – Luca Lanini, Valutazione della ricerca agricola, Franco Angeli, Milano 1998, p.44 128 Ennio Galante – Cesare Sala – Luca Lanini, Valutazione della ricerca agricola, Franco Angeli, Milano 1998, p. 65 215 la scelta dei metodi di misura dipende essenzialmente da: • lo scopo della valutazione; • la disponibilità e validità dei dati inerenti ai vari fatti che si vuole monitorare e analizzare; • il tempo ed i costi dedicati alla valutazione. superiorità dei metodi qualitativi nella valutazione come conoscenza del particolare Gli orientamenti qualitativi, con la volontà che esprimono di conoscere il particolare, di coglierne la specificità, trovano una applicazione ideale in campo valutativo, essendo la valutazione per definizione orientata alla conoscenza del particolare. L’osservazione partecipante, l’intervista in profondità, danno risultati preziosi, ai fini valutativi. Non c’è altro modo di fare valutazione di processo, o di accedere a risultati non previsti, o di fare emergere il contesto, se non usando i metodi qualitativi di raccolta ed elaborazione delle informazioni.129 il punto di vista dei partecipanti all’evaluanda per cogliere le categorie interpretative La strategia qualitativa della valutazione richiede che, se si vuole comprendere una situazione, ad esempio un progetto formativo nel suo svolgimento, si faccia emergere il punto di vista dei partecipanti, si cerchi di capite come la situazione è vissuta, quali significati ha per loro. Bisogna far esprimere la gente con le proprie categorie, senza imporgli le proprie; per avere accesso ai significati che i soggetti attribuiscono alle varie attività, bisogna ‘imparare le loro categorie’ valutatore come negoziatore Il valutatore deve essere un “negoziatore” che cerca di far approvare (dai suoi committenti) il miglior design di ricerca che sia possibile nelle condizioni date, in un mondo di contrastanti interessi e anche di pregiudizi metodologici. importanza dei dati nella valutazione senza la disponibilità di informazioni aggiornate e conformi agli scopi valutativi, l’attività di valutazione (intesa come supporto all’attuazione e all’analisi di impatto) perde gran parte della sua significatività in quanto si trasforma in un’attività di 129 Maurizio Lichtner, La qualità delle azioni formative. Criteri di valutazione tra esigenze di funzionalità e costruzione del significato, Franco Angeli, Milano 1999, p. 146 216 monitoraggio o non può fornire alcun sostegno, data la mancanza di dati realistici circa gli avanzamenti finanziari, procedurali e fisici dei vari interventi.130 valutazione e monitoraggio devono essere concordate assieme è opportuno richiamare l’attenzione sull’importanza che le attività di monitoraggio e di valutazione vengano congiuntamente concordate al fine sia di reperire le informazioni utili per i diversi ambiti sia di evitare inutili duplicazioni. complessità semantica dell’atto valutativo, comunque sempre presente Si valuta sempre, implicitamente o esplicitamente. Alcuni ritengono utile isolare l’atto valutativo, dare ad esso un senso particolare. Altri lo ritengono un inutile sforzo, perché occorrerebbe, in questo caso, costruire volta per volta quadri concettuali pertinenti e riuscire a classificare i metodi o le semplici tecniche secondo chiari criteri semantici. Uno sforzo, questo, eccessivo per molte azioni pratiche.131 specificità e difficoltà degli indicatori nel sociale Un altro problema politico e insieme tecnico è la scelta dei metodi e degli strumenti per valutare. Il problema è tecnico in quanto non è facile inventare indicatori che siano sensibili agli aspetti specifici che fanno la qualità nella relazione d’aiuto e al tempo stesso siano facili da utilizzare; ma è anche politico perché sono molti i soggetti che vogliono e debbono legittimamente esprimere un giudizio sui servizi. Nel sociale a mio avviso è indispensabile adottare un approccio pluralista, che dia voce a tutti e che offra un metodo per negoziare le differenze. 132 best pratices, benchmarking e confronto di casi, migliori approcci dell’utilizzo di standard l’obiettivo del confronto con altre amministrazioni non dovrebbe essere tanto quello di andare alla ricerca di standard – che soffrono dell’effetto perverso di appiattire le prestazioni sulla media, indebolendo la tensione verso le best practices –, quanto 130 Manuela Crescini, Valutazione e utilizzo dei Fondi strutturali: l’esperienza della regione Toscana, in “Economia pubblica”, n. 5, 1999, p. 110 131 Domenico Patassini, La valutazione delle politiche territoriali: le dimensioni di un concetto pervasivo, in Stefano Stanghellini (a cura di), “Valutazione e processo di piano”, Alinea editrice – Daest, Firenze 1996, p. 34 132 Paola Piva, Governare la produzione e l’acquisto di servizi sociali, in Paolo Elia – Enzo Salvagno (a cura di), “Fare qualità oggi. I Sistemi di Qualità nella gestione dei Servizi Socio-Assistenziali”, Conedis, Milano s.d. (ma: 1999), p. 30 217 quello di ottenere punti di riferimento per riflettere sull’adeguatezza di ciò che si sta facendo133 differenza fra valutazione impressionistica e valutazione empirica La distanza fra valutazione impressionistica e valutazione empirica è tanto più rilevante quanto più l’oggetto valutato risulta sfocato, di difficile descrizione e rispetto al quale non sono definiti in modo puntuale i risultati attesi, le evidenze empiriche sulle quali centrare il processo di osservazione, i tempi nei quali ci si aspetta di realizzare tali risultati. Passare dalla valutazione impressionistica alla valutazione empirica richiede al professionista di rendere trasparenti e intelligibili la logica, i concetti e le aspettative di risultato poste alla base del processo di valutazione. Questo processo di chiarificazione dei concetti e dei risultati attesi risulta fondamentale nella definizione del disegno di valutazione da realizzare perché obiettivi valutativi diversi sottendono obiettivi informativi diversi e, conseguentemente disegni di valutazione diversi.134 la qualità come standard e gli standard come indicatori Dopo aver definito il chi, il perché e il cosa si valuta non ci resta che parlare del come. Innanzitutto si devono stabilire i criteri e gli standard intendendo rispettivamente per criterio di valutazione, l’attributo della qualità di un oggetto o di un’attività che è sottoposta a valutazione; e per standard, il livello presentato dall’attributo che risulta discriminante per il giudizio di valore. Devono essere quindi definiti l’indicatore, cioè la misura del criterio, ed il valore standard, cioè il valore atteso dell’indicatore corrispondente allo standard del criterio.135 rendere scientifica la valutazione dei servizi con approcci di ricerca strutturati Innanzitutto la necessità di assicurare “scientificità” ai risultati, di rendere possibile la loro comunicazione anche all’esterno del gruppo degli operatori coinvolti, la necessità di confrontare i risultati con altre esperienza, l’attenzione alla generalizzabilità impone di non poter limitarsi alla valutazione come autoriflessività degli operatori, ma di dover orientarsi a modelli di valutazione più strutturati e 133 Bruno Dente – Giancarlo Vecchi, La valutazione e il controllo strategico, in Giovanni Azzone – Bruno Dente (a cura di), “Valutare per governare. Il nuovo sistema dei controlli nelle Pubbliche amministrazioni”, Etas, Milano 1999, p. 8 134 Giovanni Bertin – Paolo Bortolussi, Metodi e strategie di valutazione della prevenzione, in Paolo Ugolini – Franco C. Giannotti (a cura di), “Valutazione e prevenzione delle tossicodipendenze. Teoria, metodi e strumenti valutativi”, Franco Angeli, Milano 1998, p. 43 218 soprattutto di ricorrere a strumenti più sofisticati per quanto concerne la misurazione dei cambiamenti degli utenti. Si apre così il campo di ricerca della costruzione e validazione di scale di misurazione di atteggiamenti, conoscenze, comportamenti non basate sul giudizio dell’operatore, ma quanto più possibile ancorate alla rilevazione di elementi osservabili.136 contro il tecnicismo economicistico Il secondo “fuoco” tra cui si dibatte l’istituzionalizzazione della valutazione nella pubblica amministrazione è il tecnicismo economicistico, secondo cui si ritiene che per valutare l’intervento pubblico esista una gerarchia di conoscenze tecniche: l’equazione con cui si misura l’efficacia pubblica dell’intervento diventerebbe lo strumento principe di valutazione137 la valutazione non deve essere predefinita, ma proporre disegni adeguati ai diversi contesti Se si prende, ad esempio, il dibattito americano, a cui amiamo tanto ispirarci, si noterà subito un paradosso: mentre in quel sistema, più favorevole alla valutazione, si è sviluppato un grande dibattito teorico e metodologico che non teme confronti e non auspica soluzioni definitive, nel nostro sistema, così chiuso alla valutazione, si pensa che per farla entrare si debba già codificare in partenza come andrà fatta: volta a volta sarà l'’analisi costi benefici, la sperimentazione, i giudizi di esperti o altro. Questo dunque è un ulteriore punto di discussione: affinché la valutazione serva, quali possono essere i disegni di valutazione più adeguati, che tengano conto della situazione da valutare e della specificità delle competenze e delle aspirazioni del mondo della programmazione italiana, con tutti i soggetti che vi entrano legittimamente a far parte, dai programmatori, ai valutatori, ai beneficiari? incertezza su cosa sia ‘valutazione’ Non va quindi sottovalutata la carenza di una minima base di principi comuni su cosa è la valutazione, a che serve, come deve essere svolta e che risultati deve produrre138 136 Piero Selle, Valutazione degli interventi con operatori di strada: problemi metodologici ed opportunità, in Paolo Ugolini – Franco C. Giannotti (a cura di), “Valutazione e prevenzione delle tossicodipendenze. Teoria, metodi e strumenti valutativi”, Franco Angeli, Milano 1998, p. 100 137 Nicoletta Stame, La valutazione nella P.A., in Mauro Palumbo (a cura di), “Valutazione 2000. Esperienze e riflessioni”, Franco Angeli, Milano 2000, p. 18 138 Giuseppe Mele, La valutazione e la riforma della Pubblica Amministrazione. Gli spazi e le prospettive applicative nell’analisi dell’azione amministrativa, in Mauro Palumbo (a cura di), “Valutazione 2000. Esperienze e riflessioni”, Franco Angeli, Milano 2000, p. 36, nota 8 219 ambiguità nella valutazione della formazione professionale Valutazione della formazione è quindi un concetto ambiguo che può includere le più diverse unità d’analisi139 inevitabilità degli effetti inattesi dovuti all’imprevedibilità dei cambiamenti sociali Concezioni più problematiche del cambiamento sociale e della relazione tra idee e comportamenti inducono a ritenere che qualunque input inteso a ottenere un esito venga sistematicamente ‘traslato’ dagli attori. La concezione del cambiamento come traslazione in una rete eterogenea di componenti umane e tecnologiche, e la consapevolezza della imprevedibilità, arbitrarietà, casualità, irrazionalità, dei processi di traslazione, induce il valutatore a prestare agli effetti inattesi almeno altrettanta attenzione che agli effetti attesi.140 imprevedibilità ed effetti simbolici nella valutazione della formazione professionale tutti i casi dimostrano che nell’impatto di ogni evento formativo si intrecciano effetti sostanziali e simbolici, ogni evento formativo, per quanto modesti siano gli scopi e limitati i contenuti, innesca una catena di effetti, di manipolazioni e trasformazioni, propagandosi in direzioni spesso impreviste e imprevedibili metodi ‘caldi’ (giudizio esperti) e ‘freddi’ (indicatori) nella valutazione della ricerca scientifica La valutazione della qualità scientifica si avvale sia dei cosiddetti metodi “caldi”, basati sostanzialmente sul giudizio di esperti qualificati nei particolari campi e tematiche (peer review), sia dei metodi “freddi” fondati su indicatori il più possibile aggettivi, espressi in forma quantitativa o semi-quantitativa141 rigidità del quadro logico il Quadro logico ha ingabbiato la valutazione in approcci piuttosto sterili in quanto ad ‘immaginazione valutativa’, concedendo con troppa facilità ai valutatori di accontentarsi dei pochi dati fisici e finanziari disponibili nelle amministrazioni regionali che gestivano i programmi, impedendo una visione di assieme, di sistema, indispensabile in un’efficace valutazione di programma (che deve includere la 139 Aviana Bulgarelli, Valutazione di programma: riflessioni dalla ricerca, in Mauro Palumbo (a cura di), “Valutazione 2000. Esperienze e riflessioni”, Franco Angeli, Milano 2000, p. 107 140 Antonietta De Sanctis – Cristina Lion, Valutare l’impatto della formazione continua. Questioni metodologiche e risultati operativi, in Mauro Palumbo (a cura di), “Valutazione 2000. Esperienze e riflessioni”, Franco Angeli, Milano 2000, pp. 180-181 141 Ennio Galante – Cesare Sala, Metodi per valutare la qualità scientifica della ricerca, in Mauro Palumbo (a cura di), “Valutazione 2000. Esperienze e riflessioni”, Franco Angeli, Milano 2000, p. 320 220 ricerca e l’analisi degli effetti e degli impatti sociali ed economici, oltre che finanziari ed infrastrutturali, che soli giustificano appieno una valutazione ex post), specie se affiancata ad una valutazione di processo usualmente ignorata142 portare gli stakeholder dentro la valutazione per capire il contesto valutativo le logiche, di quello che genericamente viene chiamato, ‘processo decisionale’ devono essere comprese dal valutatore; la comprensione però può avvenire solo mediante un confronto, una osmosi, una contaminazione. ‘Comprendere’, in un contesto valutativo, significa utilizzare i diversi ‘dati’, sulla base dei significati che gli stakeholder danno loro. Questo significa portare gli stakeholder dentro la valutazione (ciò che l’autore ha chiamato ‘partecipazione negoziale’); riflettere sui dati alla luce di una loro realtà non solo formale rispondendo a domande tipo: “Qual è il vero obiettivo del processo che ha portato a questo dato?”143 natura dei dati valutativi prodotti dagli attori sociali il valutatore deve arrivare alla comprensione delle logiche, delle ragioni ultime, che gli attori della decisione hanno messo in atto; questa comprensione ha a che fare con le informazioni fornite dagli stakeholder, ma più ancora con le modalità di produzione di quegli stessi dati, perché è in queste, e non nelle informazioni brute (sempre opinabili, cammuffabili, oppure estranee agli stessi stakeholder che le hanno prodotte), che si cela la possibilità di ricostruire gli obiettivi reali dei programmi e processi sottoposti a valutazione144 il coinvolgimento degli attori nei servizi alla persona Nei servizi alla persona non si può prescindere, per valutare, dal sapere professionale delle diverse figure coinvolte, prima fra tutte quella dell’operatore, dalla ‘storia’ e dal contesto specifici di quel servizio, in una parola dalla ‘cultura del servizio’ che lì è data145 142 Claudio Bezzi, La valutazione è una fanciulla coi tacchi alti della mamma che si guarda allo specchio per vedersi cresciuta. Ovvero: dobbiamo fare i conti con teoria e metodologia, in Mauro Palumbo (a cura di), “Valutazione 2000. Esperienze e riflessioni”, Franco Angeli, Milano 2000, p. 399 143 Claudio Bezzi, Aspetti metodologici del coinvolgimento degli attori sociali nella cosiddetta ‘valutazione partecipativa’, in Mauro Palumbo (a cura di), “Valutazione 2000. Esperienze e riflessioni”, Franco Angeli, Milano 2000, p. 425 144 Claudio Bezzi, Aspetti metodologici del coinvolgimento degli attori sociali nella cosiddetta ‘valutazione partecipativa’, in Mauro Palumbo (a cura di), “Valutazione 2000. Esperienze e riflessioni”, Franco Angeli, Milano 2000, p. 428 145 Claudio Bezzi, La valutazione dei servizi alla persona, Giada, Perugia 2000, p. 16 221 partecipazione essenziale per favorire l’efficacia valutativa Se con ‘partecipazione’ si intende evitare la rigida separazione fra momento tecnico e metodologico (proprio del professionista) dal momento operativo dell’evaluando (proprio di coloro che stanno nel problema, gli operatori e i beneficiari innanzitutto), al fine di favorire una migliore efficacia del processo valutativo, allora la partecipazione deve essere intesa come una caratteristica fondamentale della valutazione il significato delle informazioni può essere fornito solo dagli informatori stessi Questa informazione posseduta dagli attori del processo non è semplicemente una ‘narrazione’ descrittiva di procedure, ma molto di più: è la chiave interpretativa per dare un senso non astratto anche ai dati fisici, clinici, finanziari, ecc. che si hanno a disposizione. Non è possibile avere una completa informazione senza una piena adesione degli informatori al progetto valutativo; ancor più: il significato più profondo di quelle stesse informazioni non è possibile ricostruirlo senza l’intervento diretto di quegli informatori (via via: decisori, operatori, beneficiari) che hanno contribuito a determinare l’informazione stessa le tecniche sono nulla senza il valore aggiunto della riflessione critica Le tecniche sono scatole vuote, di per sé incapaci di fornire quel valore aggiunto, proprio della valutazione, rappresentato dalla riflessione, dall’analisi, dal giudizio ponderato, elementi che solo il valutatore può dare. Le tecniche sono strumenti, che aiutano il valutatore a raccogliere i dati in maniera opportuna per la successiva analisi; da sole, le tecniche non sono in grado di fare l’analisi; così come i dati ‘non parlano da soli’, ma vanno interpretati, e questa interpretazione è il frutto di un processo cognitivo complesso. Bisogna anche considerare che le tecniche non sono neutrali; scegliere una tecnica anziché un’altra significa indirizzare la raccolta delle informazioni in un modo piuttosto che in un altro, e quindi, alla fine, ottenere un certo giudizio anziché un altro mettere in discussione gli strumenti di analisi valutativa gli strumenti di analisi [valutativa] devono essere scientificamente rigorosi; questo implica che devono essere stati validati, tarati sul campo e che devono essere affidabili, ma non esclude che se ne debba discutere la filosofia di fondo e 222 l’articolazione e che siano stati progettati e costruiti sulla base di giudizi di valore che innescano essi stessi il processo valutativo146 gli approcci e gli strumenti dipendono dal problema valutato Come la scelta delle metodologie e degli approcci nell’ambito della ricerca dipendono strettamente dal tipo di problemi indagati, allo stesso modo è possibile affermare che, una volta accettato che scopo di ogni forma di valutazione sia l’espressione di un giudizio motivato sulla base e di una ricognizione attenta dell’oggetto di apprezzamento e di criteri di valore esplicitamente dichiarati, la scelta degli approcci, delle metodologie e delle procedure sia una questione attinente alla natura dei problemi cui il valutatore tenta di dare una risposta. approcci qualitativi Accanto alle varie forme di evaluation i cui risultati si esprimono in termini metrologici e a latere di una serie di studi dove la valutazione assume progressivamente un carattere di sperimentazione, si vengono profilando da una ventina di anni a questa parte approcci nuovi, per cui l’attività di apprezzamento di contesti, progetti, programmi si costruisce e esprime in via qualitativa. Il quadro in cui tale punto di vista si dichiara è sui generis, variegato e non monolitico, diverso ma non incompatibile nelle sue posizioni – almeno nelle dichiarazioni dei suoi sostenitori – rispetto a quello che si ispira a modelli scientisti; una filosofia non realistica, un punto di vista costruttivista e interpretazionista, uno sguardo attento all’antropologia ed a posizioni ermeneutiche nonché a ideologie di stampo femminista. Lo caratterizzano un privilegiamento della naturalistic inquiry, fuori dai laboratori e setting standardizzati, una cura realizzata e richiesta per la forma in cui l’evaluation si esprime, che è soprattutto narrazione ricca di metafore e analogie ma ospita e promuove anche modalità filmiche e fotografiche di report; non ultima, l’immersione del valutatore nel setting che egli studia e il suo negoziare con coloro che fanno parte di tale situazione; e, infine, una diffusa preoccupazione etica147 differenze contestuali di diversi oggetti valutativi nella valutazione della scienza 146 Anna Bondioli – Monica Ferrari, Introduzione a Idem (a cura di), “Manuale di valutazione del contesto educativo: teorie, modelli, studi per la rilevazione della qualità nella scuola”, Franco Angeli, Milano 2000, pp. 11-12 147 Egle Becchi, Lo sguardo illuminato: una proposta di valutazione qualitativa, in Anna Bondioli – Monica Ferari (a cura di), “Manuale di valutazione del contesto educativo: teorie, modelli, studi per la rilevazione della qualità nella scuola”, Franco Angeli, Milano 2000, pp. 42-43 Angeli, Milano 2000, p. 121 223 Il problema dell’oggetto della valutazione potrebbe sembrare in qualche modo accademico, ma è bene ricordare che ciascun possibile oggetto di valutazione disegna un contesto teorico ed operativo differente, in ragione del quale certi passi hanno senso ed altri no, sicché la “valutazione” farà in realtà riferimento a concetti e pratiche di diverso ordine148 inadeguatezza metodologica della valutazione nella formazione professionale accanto agli importanti traguardi raggiunti [dalla valutazione] nel corso degli ultimi anni resta ancora molto da fare sul piano della strumentazione adatta per affrontare il futuro. Così ad esempio se da un lato è evidente e forte la necessità del sistema di dotarsi di adeguati supporti per la valutazione degli interventi, dall’altro se ne riconosce la debolezza e la difficoltà che lo stesso sistema incontra nella loro implementazione. Se, ancora, risulta chiara l’esigenza di assicurare elevati livelli di qualità nell’erogazione della formazione, dall’altro non si dispone ancora della strumentazione adatta a valutarla e certificarla.149 limiti degli indicatori nella formazione professionale e necessità di rilevare gli effetti netti Spesso ci si riduce a fare valutazione (o meglio a parlare di valutazione) elaborando lunghi elenchi di cose da misurare, lunghi elenchi di indicatori. Questo però non è sufficiente, è soltanto il primo passo, non bisogna fermarsi lì. Gli indicatori infatti, di per sé, non rivelano se la formazione ha degli effetti: questo è un grosso equivoco in cui spesso si cade. Non basta misurare l’avvenuto cambiamento, bisogna trovare un modo per confrontare quello che si osserva dopo la formazione con quello che sarebbe avvenuto in assenza di formazione. Solo questa differenza rivela se davvero la formazione ha avuto un effetto.150 valutazione e ricerca valutativa 148 Leonardo Cannavò, Valutazione della scienza, valutazione nella scienza. Contesti, approcci e dimensioni per una valutazione sociale della ricerca scientifico-tecnologica, “Quaderni di sociologia”, n. 20, 1999, p. 29 149 Claudia Villante, La valutazione della qualità dell’intervento formativo, in Paolo Elia (a cura di), “Valutare la qualità dell’intervento formativo”, Conedis, Torino 2000, p. 16 150 Alberto Martini, Quali tipologie di valutazione per la Formazione Professionale, in Paolo Elia (a cura di), “Valutare la qualità dell’intervento formativo”, Conedis, Torino 2000, p. 29 224 alcuni autori ritengono che la relazione esistente tra valutazione e attività di ricerca non è di identificazione, né di semplice strumentalità (la valutazione richiede attività di ricerca), anche se questa esiste, bensì di omogeneità strutturale.151 sono le domande valutative a definire oggetti e metodi il “cosa” si valuta non è l’oggetto, ma il set di domande cui il valutatore deve rispondere. Ancora una volta in piena analogia con il procedimento scientifico, sono gli interrogativi che l’attore (lo scienziato, il valutatore) si pone che definiscono gli oggetti, i metodi e le finalità del suo lavoro e non viceversa152 limiti del ruolo degli stakeholder nella valutazione partecipata E’ bene comunque evitare facili entusiasmi; l’enfasi assegnata alla partecipazione risponde certamente ad imperativi epistemologici (impossibilità di effettuara analisi “neutrali”, scarsa efficacia delle previsioni “tradizionali”), etici (partecipazione come strumento di democrazia), pratici (maggiore probabilità di effettuare scelte che saranno poi attuate). Gli stakeholder non possono peraltro essere mitizzati, rappresentano una parte soltanto del mondo in cui si va a intervenire e non si può pretendere che lo colgano per intero (anche perché altrimenti non ci sarebbe la necessità di un livello politico, basterebbe mettere insieme le esigenze e le risposte degli stakeholder, ai quali manca invece la visione strategica complessiva), assegnando inoltre un ruolo maieutico-demiurgico al valutatore ex ante, in grado così di recuperare quella piacevole sensazione di onniscienza-onnipotenza della quale l’eclisse del positivismo l’aveva privato. la valutazione come momento di sintesi della ricerca sociale Normalmente si distinguono gli approcci [alla valutazione] in base all’epistemologia sottostante (oggettivisti vs. costruttivisti), oppure in base alle finalità (accountability vs. learning), o ai metodi di ricerca (quantitativi vs. qualitativi). Il contributo che la valutazione porta alla ricerca è di consentire il superamento di questi dualismi, lavorando sui punti di incontro di questi aspetti, e offrendo soluzioni differenti.153 151 Mauro Palumbo, La valutazione tra scienza e professione, “Rassegna Italiana di Valutazione”, nn. 17/18, gen-giu 1999, pp. 27-28 152 Mauro Palumbo, Il processo di valutazione. Decidere, programmare, valutare, Franco Angeli, Milano 2001, pp. 160-161 153 Nicoletta Stame, Approcci e problemi nella valutazione di politiche e di programmi nella realtà del nuovo millennio, in Società Italiana di Statistica, “Convegno intermedio. Processi e metodi statistici di valutazione”, Facoltà di Economia, Università di Roma “Tor Vergata”, pp. 55-56 225 multidisciplinarietà della valutazione La valutazione è necessariamente multidisciplinare, sempre, anche quando si interessa di problemi specifici e settoriali che possono sembrare ben descrivibili dentro una specifica e circoscritta branca del sapere. valori valutativi e scelte metodologiche Nessuna proprietà è di per sé più importante delle altre, ma acquista maggiore o minore importanza solo entro convenzioni sociali che possono riferirsi a norme, a opportunità, a decisioni negoziate, a punti di vista imprescindibili (ecc., in relazione a contesti diversi in cui si sviluppa la valutazione). Ma stabilire delle priorità fra proprietà significa esplicitare l’orizzonte valoriale (antropologico, etico, sociale, politico) di chi lo fa; e poiché ciò determina solitamente delle conseguenze operative (valore e peso degli indicatori, tipo di analiosi dei dati, determinazione di prezzi ombra nella costi benefici, ecc.) che indirizzano i risultati valutativi, l’esercizio non riguarda semplicemente delle scelte tecniche ma delle scelte di valore generali. abuso del ruolo tecnico per il valutatore Credo che possa capitare che il valutatore abbia buon gioco nello sfruttare il suo ruolo tecnico per garantirsi una sorta di impunità metodologica, pilastro immarcescibile dell’inutilizzo della valutazione (se non è capita non può essere utilizzata), e ponte verso il dogmatismo metodologico154 non indispensabilità di una preesistente base di dati sebbene le informazioni siano il combustibile che consente alla macchina valutativa di procedere, è errato ritenere che ‘senza una preesistente base di dati non si possa valutare’. dati fanno parte dell’oggetto di analisi i dati che necessitano al valutatore sono conseguenze di un processo decisionale giocato fra attori che hanno interessi in campo, e il valutatore non è un astratto scienziato sociale che descrive esperimenti di laboratrorio ma un professionista che si cala in quell’arena, per comprenderla e – appunto – valutarla; le pratiche con le quali i dati vengono prodotti ed eventualmente distorti (consapevolmente oppure no) fanno interamente parte, oltre che del suo rischio, proprio del suo oggetto di analisi. inutilizzabilità delle interviste nella valutazione degli incentivi alle imprese 154 Claudio Bezzi, Il disegno della ricerca valutativa, Franco Angeli, Milano 2001, p. 253 226 le uniche soluzioni per la misurazione degli effetti aggiuntivi degli incentivi alle imprese sono legate a stime indirette con modelli di corretta specificazione. Al contrario l’autore ritiene del tutto inattendibile il ricorso a interviste dirette presso i beneficiari (anche ammesso che si abbia una corretta percezione, esiste un incentivo indiretto a sopravvalutare o sottovalutare il ruolo delle politiche; peraltro le convenienze indotte dalle politiche sono inglobate nei calcoli economici e non facilmente estrapolabili dagli operatori piccoli e piccolissimi). Le metodologie quasisperimentali, del resto, sono particolarmente complesse in realtà caratterizzate da sostegni diffusi e per politiche mirate a specifici target.155 limiti degli approcci quantitativi nella valutazione della ricerca scientifica Una valutazione quantitativa non può essere una risposta ottima, né automatica ai problemi di gestione dei finanziamenti pubblici alla scienza156 pericoli dell’intrusione della dimensione autopercettiva nella valutazione della qualità della vita Ancorare la valutazione del sistema [delle politiche sociali] alla dimensione autopercettiva della qualità della vita significa ancorarla alle aspettative dei singoli individui, e, quindi al processo di evoluzione secondo il quale si tende a spostare continuamente il limite delle aspettative. Questa scelta rischia di innescare meccanismi di incremento delle disuguaglianhze sociali contrastando, quindi con le finalità dei sistemi di Welfare State. L’orientamento è quello di pensare a sistemi di valutazione delle qualità della vita basati sulla verifica dell’esistenza di alcuni elementi minimi che rendono possibile sperimentare la propria relazione con l’ambiente esterno, dal quale rapporto definire la soddisfazione della vita. modalità linguistiche diverse in relazione ai modelli culturali dei soggetti L’autopercezione di un evento è sicuramente legato ai modelli culturali, alle aspettative ed ai valori presenti in un determinato sistema sociale. Questo significa che i diversi contesti utilizzeranno modalità linguistiche differenziate per esprimere gli stessi universi semantici e, di conseguenza, richiederanno anche strumenti di 155 Raffaele Brancati, Introduzione, in Raffaele Brancati (a cura di), “Analisi e metodologie per la valutazione delle politiche industriali”, Franco Angeli, Milano 2001, pp. 29-30 156 Fabrizio Cesaroni e Alfonso Gambardella, Metodologie di Valutazione dei Programmi Pubblici di Ricerca. I casi del Consiglio Nazionale delle Ricerche e della National Science Fundation, in Raffaele Brancati (a cura di), “Analisi e metodologie per la valutazione delle politiche industriali”, Franco Angeli, Milano 2001, p. 165 227 rilevazione specifici, capaci di confrontare universi semantici uguali, ma che utilizzano codici linguistici diversi.157 la valutazione come reciprocità Valutare è operazione inquietante. Ogni valutazione è un atto di reciprocità, e questo sollecita la prima domanda: chi valuta chi?158 valutazione come sostegno alle scelte di ristrutturazione della rete di significati La conoscenza procede per continue ristrutturazioni della rete di significati al fine di rendere quest’ultima più utile per l’azione e quindi per l’adattamento. Le ristrutturazioni della rete di significati non sono dettati dalle circostanze ambientali, sono una scelta; molto spesso sarebbe possibile non ristrutturare la rete di significati oppure farlo in modo diverso. La funzione valutativa della conoscenza entra in gioco proprio a questo proposito, intervenendo per supportare la scelta su quale tipo di ristrutturazione conduca ad un maggior valore della rete di significati.159 valutazione tollerata non tutte le azioni valutative possibili sono tollerate in un contesto sociale160 valutazione del gradimento come ricatto morale La valutazione di gradimento è spesso vissuta dai formatori come una sorta di “ricatto morale”, svincolato dall’effettiva utilità formativa ma legato – piuttosto – al benessere “relazionale” percepito161 limiti degli approcci centrati sulla soddisfazione del cliente in formazione la soddisfazione del cliente, anche per la sua incredibile volatilità, non può essere assunta come l’unico criterio [di valutazione]; a parte la pluralità di voci che dovrebbero caratterizzare il sistema-cliente, è evidente che deve giocare un ruolo la 157 Giovanni Bertin, Alcuni problemi metodologici nell’uso del concetto di qualità della vita per il confronto e la valutazione dei diversi sistemi di Welfare State, in Leonardo Altieri – Lucio Luison (a cura di), “Qualità della vita e strumenti sociologici. Tecniche di rilevazione e percorsi di analisi”, Franco Angeli, Milano 1997, p. 48 158 Dante Bellamio, Presentazione, in Carlo Bisio (a cura di), “Valutare in formazione. Azioni, significati e valori”, Franco Angeli, Milano 2002, p. 7 159 Carlo Bisio, Valutologia: un’economia di significati, in Carlo Bisio (a cura di), “Valutare in formazione. Azioni, significati e valori”, Franco Angeli, Milano 2002, pp. 34-35 (corsivo nel testo, con grassetto) 160 Carlo Bisio, Alcune tematiche aperte nella valutologia della formazione, in Carlo Bisio (a cura di), “Valutare in formazione. Azioni, significati e valori”, Franco Angeli, Milano 2002, p. 45 161 Stefano Gheno, Valutare l’empowerment nella formazione, in Carlo Bisio (a cura di), “Valutare in formazione. Azioni, significati e valori”, Franco Angeli, Milano 2002, p. 63 228 valutazione degli esperti della formazione – se si vuole fare una riflessione approfondita sull’andamento delle cose e sulla qualità di un corso.162 l’autovalutazione in formazione non può essere una delega Il ricorso alle autovalutazione è importante, ma deve entrare in una logica, e comunque non può mai rappresentare una delega, dovrà esserci un rapporto tra valutazione espressa dai corsisti e valutazione da parte del formatore. l’autovalutazione di gruppo come parte del problema le autovalutazioni che il gruppo esprime circa le proprie dinamiche sono esse stesse un elemento delle dinamiche in atto più che una effettiva elaborazione delle medesime: più che una soluzione, sono parte del problema.163 complessità dell’organizzazione, complessità della valutazione La valutazione deve avere un approccio complesso perché riflette la complessità e le dinamiche intersoggettive che sono tipiche dei fenomeni organizzativi.164 valutazione come giudizio condiviso compito fondamentale della valutazione: formulare un giudizio di valore su di un fenomeno, con il massimo di condivisione possibile. integrazione degli approcci come reciproco riconoscimento L’integrazione [degli approcci valutativi] intesa come “negoziazione” fa pensare che vi sia stata una sorta di “derubricazione” del discorso epistemologico: non si cerca tanto di trovare una sintesi a livello di enunciati di base e di principi che stanno a monte dei metodi di indagine valutativa, i quali resterebbero distinti nei due approcci, ma di riconoscere diritto di cittadinanza nella pratica formativa a metodi e strumenti appartenenti ai due approcci.165 valutazione e logica sperimentale 162 Maurizio Lichtner, Valutare gli apprendimenti, in Carlo Bisio (a cura di), “Valutare in formazione. Azioni, significati e valori”, Franco Angeli, Milano 2002, pp. 95-96 163 Massimo Bellotto, Valutare la dinamica del gruppo di formazione, in Carlo Bisio (a cura di), “Valutare in formazione. Azioni, significati e valori”, Franco Angeli, Milano 2002, p. 145 164 Federico Amietta, Valutare i processi formativi: il valore aggiunto per l’organizzazione, in Carlo Bisio (a cura di), “Valutare in formazione. Azioni, significati e valori”, Franco Angeli, Milano 2002, p. 176 165 Leonardo Verdi Vighetti, Integrazione tra approcci qualitativi e quantitativi nella valutazione, in Carlo Bisio (a cura di), “Valutare in formazione. Azioni, significati e valori”, Franco Angeli, Milano 2002, p. 266 229 la logica di fondo della valutazione rimanda al rapporto tra azione e risultati dell’azione: rimanda, in altri termini, alla logica e alla pratica sperimentale.166 natura stipulativa degli indicatori d’impatto La progettazione degli indicatori finisce per costituire, se opportunamente gestita, una fase di ulteriore precisazione e affinamento degli obiettivi, a partire proprio dalla ratio per cui tali obiettivi sono formulati. [Nella prospettiva di costruire gli indicatori assieme a chi definisce l’impatto atteso della politica], cambia anche il ruolo del valutatore, che assume una funzione di maieuta, oltre che, ovviamente, di garante metodologico rispetto al sistema degli indicatori proposto. In questa veste deve assicurare, innanzi tutto, la coerenza del sistema e la copertura di tutti gli aspetti rilevanti (anche se tale rilevanza non può più essere presupposta, ma deve essere confermata dai partner); in subordine, la loro effettiva costruibilità e il rispetto dei requisiti sopra richiamati (validità, affidabilità, adeguatezza, tempestività, ecc.). In breve, occorre accettare il fatto che proprio il nesso degli indicatori con gli obiettivi degli interventi e con l’oggetto della valutazione impedisce di affidare la loro definizione ai soli tecnici, che potranno invece rivelarsi preziosi nella definizione delle modalità di costruzione, rilevazione, elaborazione ed analisi degli indicatori stessi.167 natura stipulativa degli indicatori d’impatto La progettazione degli indicatori finisce per costituire, se opportunamente gestita, una fase di ulteriore precisazione e affinamento degli obiettivi, a partire proprio dalla ratio per cui tali obiettivi sono formulati. [Nella prospettiva di costruire gli indicatori assieme a chi definisce l’impatto atteso della politica], cambia anche il ruolo del valutatore, che assume una funzione di maieuta, oltre che, ovviamente, di garante metodologico rispetto al sistema degli indicatori proposto. In questa veste deve assicurare, innanzi tutto, la coerenza del sistema e la copertura di tutti gli aspetti rilevanti (anche se tale rilevanza non può più essere presupposta, ma deve essere confermata dai partner); in subordine, la loro effettiva costruibilità e il rispetto dei requisiti sopra richiamati (validità, affidabilità, adeguatezza, tempestività, ecc.). In breve, occorre accettare il fatto che proprio il nesso degli indicatori con gli obiettivi 166 Angelo Saporiti, La ricerca valutativa. Riflessioni per una cultura della valutazione, Rubbettino, Soveria Mannelli 2001, p. 37 (corsivi nel testo) 167 Mauro Palumbo, Valutazione di processo e d’impatto: l’uso degli indicatori tra meccanismi ed effetti, in Nicoletta Stame (a cura di), “Valutazione 2001. Lo sviluppo della valutazione in Italia”, Franco Angeli, Milano 2001, pp. 354-355 230 degli interventi e con l’oggetto della valutazione impedisce di affidare la loro definizione ai soli tecnici, che potranno invece rivelarsi preziosi nella definizione delle modalità di costruzione, rilevazione, elaborazione ed analisi degli indicatori stessi. rischi della valutazione ‘burocratica’ una programmazione rigida rispetto al contesto e una gerarchia di obiettivi legata alle competenze del Fondo Sociale piuttosto che alle cause delle disuguaglianze che vuole contrastare, rischiano di produrre valutazioni “burocratiche”, ossia rispettose delle articolazioni formali del programma, piuttosto che attente agli esiti sostanziali dello stesso; centrate più sul riscontro obiettivi-risultati che sulla produzione di meccanismi causali che spiegano gli impatti; più sugli impatti attesi che sulle conseguenze inattese; in definitiva, utili modelli di rendicontazione piuttosto che di apprendimento.168 indeterminatezza concettuale della valutazione Pochi termini si prestano ad una molteplicità di significati e usi quanto il termine valutazione, il quale, con la fortuna e la diffusione della sua applicazione, sconta però insieme una certa indeterminatezza e imprecisione di significato e di concettualizzazione.169 indispensabilità delle informazioni La stessa possibilità di svolgere valutazioni è messa spesso in discussione per la mancanza delle informazioni minime necessarie170 il monitoraggio come sistema di indicatori Attualmente si va affermando un consenso sempre più ampio sul fatto che il monitoraggio debba avere come obiettivo finale la costruzione di indicatori in grado di descrivere in maniera puntuale l’evoluzione dei programmi realizzati171 168 Maura Franchi e Mauro Palumbo, La valutazione delle politiche del lavoro: questioni aperte, riflessioni, esperienze, in Maura Franchi e Mauro Palumbo (a cura di), La valutazione delle politiche del lavoro e della formazione, “Sociologia del lavoro” n. 77, Franco Angeli, Milano 2000, p. 13 169 Eugenio Zucchetti, Le politiche del lavoro a livello regionale e locale: il quadro in cambiamento e le esigenze di valutazione, in Maura Franchi e Mauro Palumbo (a cura di), La valutazione delle politiche del lavoro e della formazione, “Sociologia del lavoro” n. 77, Franco Angeli, Milano 2000, p. 83 170 Maura Franchi, Dalla valutazione delle politiche alle politiche della valutazione: spunti di riflessione sulla base di un caso regionale, in Maura Franchi e Mauro Palumbo (a cura di), La valutazione delle politiche del lavoro e della formazione, “Sociologia del lavoro” n. 77, Franco Angeli, Milano 2000, p. 160 171 Gabriele Marzano, Il monitoraggio e la valutazione delle politiche del lavoro: nodi metodologici e necessità operative, in Maura Franchi e Mauro Palumbo (a cura di), La valutazione delle politiche del lavoro e della formazione, “Sociologia del lavoro” n. 77, Franco Angeli, Milano 2000, p. 169 231 ossessione informativa in valutazione, e sua inutilità Emerge spesso, in molte attività di valutazione, una “ossessione informativa” che pretende di descrivere tutto ciò che è successo dentro e fuori il programma analizzato e che però, d’altra parte, non risponde quasi mai a quesiti fondamentali.172 contro l’analisi dei bisogni l’analisi dei bisogni [formativi] rischia di ridursi alla mera registrazione di esigenze predeterminate dato che la sua capacità di cogliere le dimensioni qualitative dei tratti peculiari assunti dai ruoli professionali nelle organizzazioni viene meno con l’accentuarsi delle caratteristiche di variabilità dei contesti organizzativi; esse infatti rendono del tutto inutili le “registrazioni fotografiche” di ruoli, attori, azioni e contesti soggetti a rapido cambiamento. In assenza di capacità e sensibilità a comprendere le configurazioni dei contesti organizzativi nel loro evolversi, le pratiche di routine rischiano di cristallizzarsi o in operazioni che registrano (e fanno valere) le scelte a-priori del committente (cioè dei vertici dell’organizzazione), o in “miti” metodologici che danno ai formatori l’illusione di aver seguito criteri scientifici rigorosi. Ecco perché questo modo di praticare l’analisi dei bisogni è molto simile a un “letto di Procuste” grazie al quale è possibile adattare dati analitici e informazioni a ogni sorta di decisione (per lo più assunta a-priori) sulle azioni formative da realizzare. Da questo punto di vista è possibile sostenere che le analisi dei bisogni, nelle pratiche più consolidate configurandosi (quale come che sia autentiche l’interpretazione forzature imposte caratteristiche marcatamente astratte e manipolatorie. metodologica adottata), alla assumono realtà, 173 contro la customer satisfaction in sanità (1) Il sondaggio sugli utenti va considerato come un tassello di un mosaico ben più ampio174. contro la customer satisfaction in sanità (2) 172 Gabriele Marzano, Il monitoraggio e la valutazione delle politiche del lavoro: nodi metodologici e necessità operative, in Maura Franchi e Mauro Palumbo (a cura di), La valutazione delle politiche del lavoro e della formazione, “Sociologia del lavoro” n. 77, Franco Angeli, Milano 2000, p. 181 174 Leonardo Altieri, Verso una valutazione come negoziazione in un pluralismo di valori/interessi, in Costantino Cipolla, Guido Giarelli e Leonardo Altieri (a cura di), “Valutare la qualità in sanità. Approcci, metodologie e strumenti”, Franco Angeli, Milano 2002, p. 126 232 ciò che definiamo “soddisfazione” [è] il risultato di una costruzione sociale culturalmente determinata la cui natura complessa ha probabilmente poco a che vedere con una reale valutazione dei servizi sanitari dal punto di vista del soggetto.175 contro la customer satisfaction in sanità (3) per cogliere davvero la prospettiva del cittadino-utente/paziente, il concetto di soddisfazione è del tutto inadeguato sia sul piano teorico che su quello applicativo. necessità di approcci valutativi integrati in sanità ciò che sembra ancora in gran parte mancare è la possibilità di una autentica valutazione integrata della qualità, nella quale la pluralità di punti di vista trovi una qualche forma di interconnessione e di confronto. uso distorto degli indicatori La letteratura si è a lungo soffermata sul [limite] che deriva dallo stravolgimento dello strumento indicatore che possono fare gli amministratori nell’implementazione di un programma. Può succedere che invece di usare l’indicatore per misurare qualcosa, si faccia qualcosa (che non si sarebbe fatto) per far sì che l’indicatore sia positivo176 la scelta delle tecniche dipende dai modelli di riferimento La scelta se adottare questionari, oppure interviste, gruppi-focus o altre tecniche, rappresenta la conseguenza di opzioni metodologiche derivanti, in primo luogo, dal riferimento a uno o più modelli di valutazione che si sono – in precedenza – considerati. importanza del contesto sociale e economico e culturale nella valutazione delle politiche pubbliche gli studi di monitoraggio e di valutazione delle politiche pubbliche sono strettamente legati non solo alla specifica unità di analisi che si prende in considerazione, ma al contesto sociale, economico e culturale nell’ambito del quale queste politiche sono realizzate177 175 Guido Giarelli, Oltre la “customer satisfaction”: il problema di cogliere la complessità di un punto di vista, in Costantino Cipolla, Guido Giarelli e Leonardo Altieri (a cura di), “Valutare la qualità in sanità. Approcci, metodologie e strumenti”, Franco Angeli, Milano 2002, p. 137 176 Nicoletta Stame, Indicatori e valutazione (con un’applicazione all’inclusione sociale), in Liliana Leone (a cura di), “Valutare le politiche per l’inclusione sociale”, Vides, Roma 2001, p. 59 177 Ivana Fellini, Daniela Oliva, Flavia Pesce e Manuela Samek Lodovici, Un sistema di monitoraggio e valutazione in un’ottica di genere. Un manuale per l’uso, Provincia Autonoma di Bolzano-Alto Adige – Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – IRS Istituto per la Ricerca Sociale, Bologna s.i.d. [ma: 2002], p. 9 233 gli indicatori e il ragionamento l’indicatore non [è] semplicemente un dato, ma il frutto di un ragionamento.178 teorie dei programmi come costruzione sociale Le teorie [dei programmi] non sono solo descrizioni di realtà socialmente costruite; sono anche parti integranti della stessa costruzione sociale179 gli indicatori di performance svincolati dagli obiettivi dell’amministrazione la costruzione degli indicatori non solo non ha bisogno di partire dagli obiettivi dell’amministrazione, ma anzi ha il compito di farli emergere180 valutazione costruttivista nel lavoro di comunità Il paradigma sottostante la teoria dello sviluppo di comunità non sostiene l’adozione di una prospettiva positivista né di immaginare una valutazione nella quale il dato si impone in virtù della sua “oggettività” o “scientificità”. Pertanto, si assume che i dati non vadano semplicemente “raccolti”, dato che non si trovano pronti ad accoglierci nella realtà, ma si costruiscano soprattutto attraverso gli strumenti che utilizziamo per indagare la realtà e le assunzioni che facciamo su di essa. Inoltre, dal momento che non esistono valutazioni “esatte”, “certe”, “oggettive” o “vere”, e soprattutto univoche, è fondamentale l’argomentazione del percorso di ricerca valutativa seguito.181 QUALITA’ E PRATICA: La valutazione come professione, la sfera degli operatori e dell’organizzazione attorno 178 Ivana Fellini, Daniela Oliva, Flavia Pesce e Manuela Samek Lodovici, Un sistema di monitoraggio e valutazione in un’ottica di genere. Un manuale per l’uso, Provincia Autonoma di Bolzano-Alto Adige – Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – IRS Istituto per la Ricerca Sociale, Bologna s.i.d. [ma: 2002], p. 171 179 Peter Dahler-Larsen, La costruzione sociale delle teorie del programma, in Realismo e valutazione, a cura di Antonio Fasanella e Nicoletta Stame, “Sociologia e ricerca sociale”, n. 68/69, 2002, p. 177 180 Giancarlo Vecchi, La misurazione delle performance dei servizi: i controlli interni, in Ugo De Ambrogio (a cura di), “Valutare gli interventi e le politiche sociali”, Carocci, Roma 2003, p. 125 181 Elvio Raffaello Martini e Alessio Torti, Fare lavoro di comunità. Riferimenti teorici e strumenti operativi, Carocci ed., Roma 2003, p. 152 234 alla valutazione, nonché gli atteggiamenti verso la valutazione; la qualità della valutazione, come qualità totale e qualità percepita: l’analisi partecipata della qualità come processo partecipato di analisi l’Analisi Partecipata della Qualità è una procedura di valutazione di servizi pubblici e sociali in generale la quale si interessa a tre grandi aree della qualità: la qualità tecnica (con esclusione di ciò che attiene alle risorse economiche e all’adeguatezza dell’assistenza rispetto ai protocolli diagnostici e terapeutici), la dimensione interpersonale e il comfort. L’Analisi Partecipata della Qualità è un’analisi di tipo partecipativo, la quale, peraltro, comporta il coinvolgimento di più soggetti: le amministrazioni, lo staff tecnico (direzione dell’indagine), gli operatori (sanitari, amministrativi, ecc.) dei servizi e i cittadini, a doppio titolo: come membri dello staff tecnico e come soggetti di informazione.182 il concetto di qualità ha a che fare con la valutazione Per esprimere compiutamente il concetto di qualità occorre sempre correlarlo con la valutazione.183 la valutazione dei servizi ha a che fare con la loro qualità I concetti di progettazione e valutazione delle attività relative all’erogazione dei servizi hanno un nesso stretto con quello di qualità, inteso come l’orientamento culturale di tutte le funzioni organizzative verso l’erogazione di prestazioni in linea, da un punto di vista tecnico e relazionale, con le reali esigenze dell’utenza del servizio.184 la valutazione dei servizi deve tenere conto della qualità percepita dagli utenti Nel settore dei servizi l’attività di controllo non può limitarsi a fissare standard, ma deve considerare una serie di ulteriori esigenze, legate all’interazione tra utente ed erogatore. 182 Luciano d’Andrea - Giancarlo Quaranta - Gabriele Quinti, Manuale tecnico dell’Analisi Partecipata della Qualità, Laboratorio di Scienze della Cittadinanza, Roma 1996, pp. 29-30 183 Fortunato Rao, La promozione della qualità nella legislazione, “Servizi sociali” (monografico su “La qualità nei servizi sociali e sanitari”), Fondazione E. Zancan, n. 3, 1995, p. 58 184 Luisa Lomazzi, Progettazione e valutazione dei servizi pubblici, in L. Mauri - C. Penati - M. Simonetta, “Pagine aperte. La formazione e i sistemi informativi: strumenti per le politiche sociali”, F. Angeli, Milano 1993, p. 172 235 Affrontare questo tema significa affiancare a un sistema di misurazione e valutazione delle prestazioni erogate e dei processi, sistemi di monitoraggio della qualità percepita dagli utenti esterni e interni, addentrandosi negli aspetti di analisi della complessità del servizio, individuando le funzioni critiche che entrano in gioco e definendo i criteri di valutazione da adottare per ciascuna di esse. Le aspettative dell’utente e i parametri in base ai quali egli valuta le prestazioni sono spesso difficili da identificare. Inoltre anche quando vengono identificati, non solo dipendono dalle effettiva prestazioni tecniche svolte, ma anche da problemi specifici, cultura, valori, persino dall’umore del momento e da mille altri condizionamenti ambientali, spesso contingenti. Questi elementi, uniti alle esperienze vissute in precedenza ed al “sentito dire” (esperienze vissute da altri), compongono quell’eccezionale indicatore di qualità che è il “giudizio” dell’utente. La qualità percepita deriva dalla comparazione tra le aspettative e le prestazioni effettivamente ottenute e riflette quindi il grado di soddisfazione dell’utenza. Di conseguenza, fornire un servizio di qualità significa soddisfare l’utente, conoscerne le aspettative individuando le esigenze prevalenti, monitorandole nel tempo, facendo in modo di rispondervi. non tutti gli obiettivi riguardano la qualità La valutazione (così concepita, come modalità costante di riscontro di congruità fra l'attività svolta e gli obiettivi cui questa è sottesa) non sempre è orientata alla qualità per il semplice motivo che non tutti gli obiettivi sono necessariamente di qualità.185 obiettivi della verifica e revisione della qualità Verifica e revisione di qualità. E’ questa una metodica che si sostanzia in un processo dinamico mediante il quale la qualità degli interventi forniti viene sottoposta a valutazione e, se occorre, migliorata.186 il livello micro della valutazione della qualità Non è messo in discussione da alcuno che nel valutare la qualità ci si debba muovere a livello micro, cioè di monitoraggio delle performance, all'interno delle condizioni strutturali date. A questo livello due sarebbero i momenti fondamentali: 185 Fosco Foglietta, Sulla valutazione della qualità dei servizi socio-sanitari, “Rassegna Italiana di Valutazione”, n. 4, 1996 186 Fosco Foglietta, La promozione della qualità: il quadro giuridico istituzionale, “Servizi sociali” (monografico su “La qualità nei servizi sociali e sanitari”), Fondazione E. Zancan, n. 3, 1995, p. 87 236 1) l'autovalutazione fra pari (peer review), con le grandi potenzialità di tale approccio (confermate dalle esperienze più avanzate, per es. in Canada) ed anche i rischi di autoreferenzialità (gli altri attori relegati al ruolo di "rumori d'ambiente"); 2) la rilevazione della soddisfazione dei pazienti (customer satisfaction), tramite appositi sondaggi, sempre più diffusi, ma spesso superficiali, affrettati, insoddisfacenti. Già inizia a sorgere qualche dubbio sul fatto che la valutazione di qualità debba imbarcarsi anche nel livello macro, cioè se debba occuparsi del system design, di quell'insieme costituito da strutture, legislazione, risorse complessive, sistema di formazione, etc. Non occuparsi di questo livello equivarrebbe ad accettare le condizioni date come immodificabili, o modificabili solo per iniziativa di altri attori, diversi da quelli che valutano o promuovono la valutazione della qualità.187 valutazione come comunicazione Valutare la qualità significa essere in grado di comunicare all’interno e all’esterno dell’organizzazione il livello di qualità raggiunto.188 la valutazione partecipata della qualità nei nidi Valutare vuol dire indagare sullo stato del servizio, attuando un processo graduale di evidenziazione della sua fisionomia . La valutazione della qualità non ha finalità puramente descrittive né esiti prescrittivi, ma ha obiettivi di miglioramento del servizio. Essa comporta un rapporto tra chi promuove l’indagine, chi la fa, gli operatori e i genitori, che serve ad integrare nel percorso di valutazione i problemi, gli obiettivi, i bisogni espressi dal servizio e dai suoi utenti, cosicché sia possibile un’analisi più puntuale ed una finalizzazione più produttiva degli esiti della valutazione189. gli indicatori della percezione soggettiva della qualità della vita indispensabili nella VIA La differenza tra impatto ambientale e impatto sociale sta nella differenza tra l’ambiente così com’è e l’ambiente come viene percepito e vissuto. In questo senso, stimare quali effetti una certa operazione eserciterà sull’ambiente è cosa ben diversa 187 Leonardo Altieri, La valutazione in sanità dopo il DL 502/92, “Rassegna Italiana di Valutazione”, n. 3, 1996 188 Giovanni Bertin - Piero Selle, La valutazione e il controllo di qualità nei servizi per anziani, “Prospettive sociali e sanitarie”, n. 4, 1996, p. 3 189 Laura Cipollone, Introduzione, in L. Cipollone (a cura di) “Strumenti e indicatori per valutare il nido”, ed. Junior, Milano 1999, pp. 7-8 237 dallo stimare quali alterazioni tali effetti eserciteranno sulla qualità della vita della comunità, la quale dipende dalla distanza esistente tra realtà attesa e realtà vissuta: in generale, infatti, più la prima, che può essere definita uno scenario latente, è distante dalla seconda, che possiamo chiamare scenario vissuto, più elevata è l’insoddisfazione di un soggetto e più bassa la qualità della vita. La relazione tra scenario latente, che dipende dalle attese degli individui (e quindi dai valori e dai bisogni da essi più o meno chiaramente avvertiti, anche in base ai sistemi di esigenze, di valori espressi, di obiettivi perseguiti a livello di società), e scenario vissuto, che consiste nella definizione della realtà concreta quale essa viene percepita, si arricchisce, nel contesto della Via, di un ulteriore legame: nell’esprimere la propria soddisfazione l’individuo confronta infatti, in questo caso, non solo la realtà vissuta con quella attesa, ma entrambe con quella che potremmo chiamare la realtà proiettata, ossia la realtà quale viene prefigurata in base alle conoscenze relative a un progetto o un piano di sviluppo territoriale. Se lo scenario proiettato appare più prossimo allo scenario latente di quanto non lo sia quello vissuto, allora il soggetto avvertirà un potenziale miglioramento della qualità della vita ed esprimerà una valutazione favorevole al progetto; se accade il contrario, se cioè il soggetto, proiettando il proprio vissuto attuale nello scenario proposto, vede accrescere la contraddizione rispetto alle proprie attese, allora l’insoddisfazione aumenta, la qualità della vita peggiora e l’opposizione al progetto si irrigidisce. Questo spiega, appunto, perché quello che un bilancio d’impatto ambientale definisce come una accettabilissima modificazione dell’ambiente ai fini della realizzazione di un’opera importante può suscitare una “irragionevole” opposizione da parte di comunità locali, ambientalisti, opinione pubblica generale, opposizione che esprime in effetti un impatto sociale ben superiore a quello che è l’impatto ambientale in senso stretto. Il che significa, poi, che non è sufficiente affidarsi ad indicatori sociali di tipo oggettivo (salute, inquinamento, lavoro, ecc.) ma occorre avvalersi di indicatori relativi alla percezione soggettiva della qualità della vita in rapporto all’ambiente.190 molteplicità degli elementi che compongono il concetto di qualità Un elemento di complessità della valutazione della qualità è riconducibile alla natura diversa delle dimensioni che compongono il concetto di qualità. Tale concetto è, 190 Luigi Pellizzoni, Partecipazione e valutazione di impatto ambientale, in: A. Gasparini - G. Marzano, “Tecnologia e società nella valutazione di impatto ambientale”, F. Angeli, Milano 1991, pp. 59-60 238 infatti, inevitabilmente caratterizzato da elementi di tipo oggettivo e di tipo soggettivo, che devono essere presi in considerazione contemporaneamente. il valutatore fra competenza tecnica e sensibilità verso il contesto gran parte della professionalità del valutatore si espleta nel coniugare capacità e conoscenze tecniche con una particolare sensibilità verso il contesto applicativo.191 intangibilità e negozialità nella valutazione della comunicazione pubblica Nel caso della valutazione della qualità (efficacia) di un servizio le cose sono comunque complicate da alcuni fattori. A differenza della valutazione di beni concreti (p.es. adeguamento a standard stabiliti di alcune produzioni) o di organizzazioni (p.es. analisi organizzativi), i servizi presentano un’alta componente di intangibilità, ovvero una prestazione non facilmente “misurabile”; la comunicazione, p.es., può essere più o meno corretta, più o meno efficace, ma questi concetti (“correttezza”, “efficacia”) non possono essere determinati in modo certo con parametri rigidi, e questo sostanzialmente per due motivi fondamentali: 1) i concetti di riferimento (p.es. “efficacia”) sono descrivibili come orizzonti generali, se ne possono dare definizioni operative concordate, si possono contestualizzare in relazioni ai problemi contingenti, ma non sono parametrabili una volta per tutte; 2) la differenziazione sociale comporta che ogni individuo interpreti comunque tali concetti, anche se in qualche modo standardizzati, sulla base della propria esperienza individuale, delle proprie capacità interpretative, delle proprie sensibilità ed esigenze, e questo in modo comunque mutevole nel tempo. Il secondo concetto che merita attenzione è quello di negoziabilità; esso fa riferimento alla possibilità, per l’erogatore di un bene o servizio e per il suo fruitore, di realizzare la transazione con un margine di flessibilità; l’erogatore con flessibilità rispetto a quanto programmato, ed il fruitore con flessibilità rispetto alle aspettative ed ai bisogni che intende soddisfare.192 differenze fra verificare e valutare La valutazione della qualità usualmente si situa in un arco di tempo che ha dimensioni fra loro complementari: una dimensione preliminare, una di processo e 191 Stefano Campostrini, Disegni sperimentali, quasi-sperimentali e non-sperimentali per la valutazione nelle politiche sociali, in “Valutazione e sapere sociologico. Metodi e tecniche di gestione dei processi decisionali”, F. Angeli, Milano 1995, p. 296 192 Claudio Bezzi - Livia Bovina - Eva Jannotti - Marta Scettri, La valutazione della comunicazione pubblica, Irres - Regione dell’Umbria, Perugia 1995, p. 34 239 una di esito. In questo arco la funzione di verifica rappresenta una condizione necessaria e pregiudiziale a quella vera e propria della valutazione. Verificare significa infatti assumere uno o più valori di verità, tali per cui è possibile attuare controllo che entra nel merito dei risultati. Il valore di verità usualmente può avere forma diversificata e rappresenta in ogni caso un criterio di misura del risultato. I valori di verità utilizzati, in quanto misurabili, possono assumere la forma di scale di misurazione quantitative (a intervalli o di rapporti) o qualitative (nominali e ordinali). Valutare significa esprimere un giudizio sul risultato o su parti di esso, mettendo in campo l’esperienza, l’affettività, la soggettività... A differenza della verifica, nel caso della valutazione si stabiliscono rapporti produttivi di giudizio fra attese, esperienze del processo e dei suoi esiti, che garantiscono significati aggiuntivi, di ordine qualitativo, a quanto viene prima verificato e poi valutato.193 la valutazione necessita della pluralità degli attori e dei metodi Misurare la qualità dei servizi e delle prestazioni offerte da un servizio socioassistenziale è in sé un’impresa che richiede l’impegno comune di molteplici attori, l’esame di ogni “oggetto” e delle relazioni tra oggetti, la confluenza della valutazione di struttura, di processo e di esito e la sinergia di metodi, tecniche e strumenti. In altre parole, è necessario applicare appieno un processo valutativo complesso e policentrico Anche se nulla vieta di tendere alla valutazione ideale, è praticamente impossibile controllare in tutte le sue variabili un simile modello valutativo, tanto che la selezione di un percorso semplificato di valutazione è, nei fatti, necessaria per ottenere risultati empirici accettabili.194 la valutazione come mediazione fra molteplici soggetti Valutare la qualità non può essere concepito come qualcosa di statico o di astratto. La valutazione reale è un processo, in cui convergono molteplici attori, con molteplici punti di vista. L'obbiettivo è, certo mettere in comunicazione e quindi far 193 Tiziano Vecchiato, La valutazione: livelli e condizioni, “Servizi sociali” (monografico su “La qualità nei servizi sociali e sanitari”), Fondazione E. Zancan, n. 3, 1995, pp. 20-21 194 Luigi Benedetti, Misurare la qualità: i servizi per l’handicap, “Tutela. Trimestrale di politiche sociali”, a. XI, n. 1-2, giugno 1996, p. 25 240 convergere i diversi punti di vista. Ma i punti di partenza del processo restano vari e probabilmente differenziati. Valutare, in un contesto di crescente complessità significa infatti non solo essere dei tecnici, dei misuratori, ma soprattutto essere dei mediatori non nel senso semplicistico di esperti della ricerca del compromesso, ma nel senso di essere capaci, prima, di identificare i molteplici soggetti che interagiscono, i rispettivi interessi e valori, per riuscire, poi, a mettere in comunicazione i diversi punti di vista.195 il valutatore è vincolato al mandato pattuito con lo sponsor E’ bene considerare che il valutatore di norma agisce secondo un mandato conferitogli dallo sponsor della valutazione, che spesso coincide con il decisore. In questa sede, da un lato, il valutatore può negoziare il mandato, tenendo in debito conto le implicazioni che esso può comportare; dall’altro lato, tuttavia, in questa stessa sede il valutatore assume (liberamente) degli obblighi contrattuali che poi lo vincolano a fornire, quantomeno, le risposte che il decisore gli chiede. ruolo e limiti dell’Unione Europea nella valutazione La spinta europea ha influenzato il modo di fare le domande di valutazione, ha creato un mercato particolare, e ha imposto un modo di fare valutazione che rischia di scalzarne altri.196 valutazione ‘buona’ e valutazione ‘cattiva’ [Nel mercato italiano della valutazione] Si sono venuti imponendo modelli di valutazione che hanno spiazzato i tentativi più originali degli operatori più piccoli, o comunque di quei soggetti che sono esclusi dal mercato della valutazione come si è venuto a costituire in quegli anni. Si verifica, su queste premesse, una tendenza a distinguere in modo arbitrario fra approcci, metodi e tecniche “scientifici” (spesso identificati con alcuni metodi quantitativi) e approcci, metodi e tecniche “qualitativi” (dove l’aggettivo “qualitativo” non viene utilizzato nella sua corretta accezione ma come sinonimo di “scadente, non scientifico”).197 unicità della valutazione 195 Leonardo Altieri, La valutazione in sanità dopo il DL 502/92, “Rassegna Italiana di Valutazione”, n. 3, 1996 196 Nicoletta Stame, Introduzione, in Nicoletta Stame (a cura di), “Valutazione 2001. Lo sviluppo della valutazione in Italia”, Franco Angeli, Milano 2001, p. 9 197 Paola Casavola e Laura Tagle, Per una valutazione migliore: innovazioni nella Pubblica Amministrazione, in Nicoletta Stame (a cura di), “Valutazione 2001. Lo sviluppo della valutazione in Italia”, Franco Angeli, Milano 2001, p. 71 241 per quanto sappiamo che ciascuno fa valutazione in un ambito separato e con approcci diversi, pure riteniamo che vi sia un terreno comune che riguarda il significato della valutazione in generale, al quale tutti dovrebbero ispirarsi e a cui tutti potrebbero contribuire.198 leadership tecnica del valutatore E’ generalmente riconosciuto che il valutatore dovrebbe mantenere un ruolo di leadership nel corso della valutazione e che la natura di tale leadership debba essere tecnica, per assicurare un’accurata raccolta e interpretazione dei dati, che garantisca a tutti quelli coinvolti nel processo di valutazione di poter esprimere la propria opinione e che, una volta giunti alle conclusioni e alla formulazione di raccomandazioni, assicuri che il valutatore ne assuma la responsabilità.199 scarso valore della valutazione ridotta a controllo di gestione La scarsa portata euristica del “controllo di gestione” – inteso nell’accezione procedurale e contabile – continua a segnare l’esperienza italiana di valutazione, imbrigliando uno sforzo di ricerca sulla qualità dell’azione pubblica in una fitta rete di controlli formali, standard e check list di controllo.200 qualità e valutazione qualità e valutazione, nate in contesti profondamente diversi, si sono però sviluppate in un modo tale da risultare convergenti.201 la valutazione nella politica la valutazione – come dice Weiss – non può essere separata dalla politica, anzi ne deve tener conto. Quindi deve pensarsi utile non nel senso di far bene il proprio lavoro, e poi aspettarsi che la politica prosegua, ma nel senso di essere pienamente consapevole di lavorare in un contesto politico, con problemi difficili, interessi divergenti, scarsa razionalità.202 198 La nuova RIV. Un programma di lavoro per la comunità dei valutatori, redazionale, “Rassegna Italiana di Valutazione”, a. VII, n. 25, 2003, p. 9 199 Marta Foresti, La partecipazione in ambito valutativo: mito o realtà? Teoria e pratica degli approcci partecipati in valutazione, “Rassegna Italiana di Valutazione, a. VII, n. 25, 2003, p. 66 200 Folco Cimagalli, Valutazione e ricerca sociale. Orientamenti di base per gli operatori sociali, Franco Angeli, Milano 2003, p. 126 201 Luca Lo Schiavo, Qualità e valutazione: confini e valichi di transito, in Nicoletta Stame (a cura di), “Valutazione 2001. Lo sviluppo della valutazione in Italia”, Franco Angeli, Milano 2001, p. 71 202 Nicoletta Stame, Come facilitare l’uso delle valutazioni, in Nicoletta Stame (a cura di), “Valutazione 2001. Lo sviluppo della valutazione in Italia”, Franco Angeli, Milano 2001, pp. 319-320 242 la valutazione come sociologia utile La valutazione rappresenta la più accreditata versione attuale dell’antica e pervicace ambizione della sociologia di servire a qualcosa203 problemi correnti della valutazione delle politiche E’ curioso che la prima verità lapalissiana a proposito della sincronizzazione della ricerca rispetto alle politiche non corrisponda alla sequenza seguita nella maggior parte delle ricerche valutative Una seconda ferrea legge dei tempi di ricerca è che si tende a chiedere ai ricercatori di riferire sull’impatto del programma prima che esso sia terminato. Per questo motivo, la portata delle valutazioni è piuttosto limitata. riguardo alla parte più problematica della valutazione “alla carlona”, si deve osservare che la ricerca svolta sotto costrizioni politiche (e finanziarie) permette di rado il distacco necessario a un’indagine oggettiva204. la buona conoscenza delle tecniche non basta a sostenere un intervento valutativo Va infine ricordato che un esteso e disinvolto uso delle tecniche disponibili non può supplire alla mancanza di una reale progettazione dell'intervento valutativo che richiede professionalità specifiche, e una reale disponibilità al confronto e una certa flessibilità operativa, oltre, naturalmente, ad una buona competenza circa l'oggetto d'analisi205 la soggettività dei diversi attori implicati complica la valutazione dei servizi Si deve sempre ricordare che ogni processo valutativo è fondamentalmente segnato dalla soggettività e che quanto più numerosi sono i soggetti valutanti (con le loro diverse e a volte contrastanti finalità) più sarà difficile formulare un giudizio di qualità unico e condiviso da tutti: Qualora si intenda pervenire a questo si dovrà promuovere un confronto tra i soggetti e la integrazione e armonizzazione dei diversi criteri, indicatori e standard.206 203 Enzo Campelli, Presentazione, in Realismo e valutazione, a cura di Antonio Fasanella e Nicoletta Stame, “Sociologia e ricerca sociale”, n. 68/69, 2002, p. 9 204 Ray Pawson, Una prospettiva realista. Politiche basate sull’evidenza empirica, in Realismo e valutazione, a cura di Antonio Fasanella e Nicoletta Stame, “Sociologia e ricerca sociale”, n. 68/69, 2002, pp. 13-14 205 Alberto Silvani, I metodi, le tecniche e le procedure per la valutazione della ricerca, "UR - Università Ricerca", n. 3, 1998, p. 14 206 Mauro Palazzi – Paolo Ugolini, La valutazione della qualità negli interventi di prevenzione dei servizi sociosanitari, in Paolo Ugolini – Franco C. Giannotti (a cura di), “Valutazione e prevenzione delle tossicodipendenze. Teoria, metodi e strumenti valutativi”, Franco Angeli, Milano 1998, p. 73 243 il confronto fra approcci qualitativi e quantitativi frutto di separazioni disciplinari ideologiche L’incomunicabilità tra gli approcci più tecnici e “quantitativi” rispetto a quelli più squisitamente “qualitativi” non è tanto nella sostanza delle analisi (dalla condivisione delle premesse alla lettura dei risultati), ma risiede il più delle volte non solo nel diverso linguaggio adottato, che a sua volte risente di antiche e arrugginite rivalità tra economisti e sociologi, tra econometrici e psicologi sociali, e così via, ma anche nella separazione tra le varie discipline ovvero nella specializzazione all’interno di una disciplina e nel rifiuto dell’altra.207 debolezza nell’offerta di professionisti della valutazione La scarsa domanda di valutazione nelle procedure decisionali standard, ha generato una parallela debolezza nell'offerta di tecnici e professionisti in tale campo; il mancato sviluppo di un "mercato della valutazione" è stato tale che, a fronte della richiesta di moduli, studi e rapporti, come, per esempio, nel caso dei Fondi strutturali Europei, si è fatto ricorso all'universo indifferenziato dei consulenti, con ben poche competenze specifiche nel campo della R&S.208 la certificazione fra valutazione e idea di qualità In tutti i casi, la certificazione rinvia a due dimensioni di fondo: - in primo luogo agli atti valutativi che la precedono (in questo senso essa è la risultante di analisi orientate alla formulazione di giudizi di valore); - in secondo luogo, all'idea di qualità. E' possibile cioè stabilire, avendo come punto di riferimento un insieme di criteri, di preferenze, di interessi, - se un oggetto sia dotato di caratteristiche corrispondenti ad una data soglia di requisiti "tangibili", - oppure (ed è il caso di un servizio) se una prestazione risulti adeguata ai livelli di aspettative di chi ne è destinatario, - oppure ancora (ed è il caso di una prova d'esame) se la performance abbia raggiunto uno standard predefinito. 207 Marta Scettri, La valutazione delle politiche di sviluppo economico locale, in Mauro Palumbo (a cura di), “Valutazione 2000. Esperienze e riflessioni”, Franco Angeli, Milano 2000, pp. 221-222 208 Alberto Silvani - Giorgio Sirilli, Lo stato dell'arte della valutazione della ricerca in Italia: un difficile equilibrio tra domanda ed offerta, "UR - Università Ricerca", n. 3, 1998, p. 19 244 Se è dunque vero che la dimensione valutativa e quella della qualità costituiscono i referenti cruciali della certificazione, è necessario mettere in evidenza come l'una e l'altra assumano caratteristiche del tutto particolari nei casi in cui la certificazione ha come oggetto una prestazione immateriale. In primo luogo, perché i criteri che definiscono la qualità di una prestazione non materiale hanno un carattere irriducibilmente locale proprio perché determinati dal particolare tipo di relazione che, in un momento dato, si stabilisce tra l'erogatore e il fruitore. In secondo luogo (e per conseguenza), perché tali criteri sono cangianti in ragione delle preferenze del fruitore/cliente, delle disposizioni dell'erogatore e, dunque, in ultima analisi, del contesto e del processo di "costruzione" dell'evento. In terzo luogo, perché la stessa "produzione"-fruizione, può essere apprezzata (cioè valutata, dunque connotata qualitativamente e quindi certificata) solo nel momento stesso della sua erogazione - ed evidentemente, in forme più articolate ed argomentate, in un momento successivo. 209 la valutazione come negoziazione I parametri e i criteri in base ai quali giudicare della bontà di programmi, progetti, interventi, innovazioni, prodotti educativi non possono essere frutto che di una “negoziazione”; sono validi nella misura in cui risultano consensuali, sono attendibili se riflettono aspirazioni e intenzioni condivise. Ciò nulla toglie al rigore metodologico con il quale le procedure valutative vanno impostate e condotte; la questione di fondo – relativa a chi competa definire parametri, criteri e livelli di qualità, alle modalità di elaborazione di tali parametri e a chi spetti garantirne il rispetto nei procedimenti valutativi – non incide sulla pratica della valutazione la quale, fondandosi sull’accertamento dello scarto tra essere e dovere essere, implica un procedimento tecnico da condursi nella maniera più corretta possibile. Voglio dire che la difficoltà insita in ogni tentativo di definire la “qualità” di un servizio o di una agenzia educativa non può e non deve escludere per principio la possibilità di una loro valutazione. Il tipo di valutazione che si intraprenderà dipenderà strettamente da questa operazione preliminare di definizione negoziata e condivisa di qualità. Se le idee circa la “qualità” risultassero inesprimibili anche la valutazione risulterebbe impraticabile. Per converso, ogni sforzo nell’esplicitare le idee di qualità condurrà a 209 Domenico Lipari, Note preliminari sulla certificazione delle azioni formative nelle amministrazioni pubbliche, "Rassegna Italiana di Valutazione" n. 4, 1996 245 scegliere, tra le diverse forme e i diversi modelli di valutazione, quelli che, di volta in volta, appariranno più produttivi ed efficaci210 non neutralità delle tecniche Gli strumenti non sono neutri in quanto la formulazione del giudizio viene compiuta riferendosi a modelli, più o meno espliciti, che dichiarano ciò che fa l’identità e la qualità di un servizio come il nido. Tale “non neutralità” è intrinseca al procedimento valutativo la cui correttezza si gioca essenzialmente in termini di dichiarazione esplicita degli scopi e delle funzioni dell’istituzione che si intende giudicare e, su questa base, di un’altrettanto esplicita definizione dei fattori, delle dimensioni, degli aspetti che fanno la qualità, della loro gerarchia e dei loro intrecci indicatore di successo della valutazione la misura del successo della valutazione può essere rappresentata dall’ampiezza dei cambiamenti intervenuti nel comportamento degli attori, della politica e/o del programma211 successo della valutazione in un contesto turbolento la probabilità di successo della valutazione è più alta in un ambiente turbolento. Il momento più favorevole ai valutatori è quando l’ambiente cambia rapidamente e in maniera imprevedibile, come attualmente. Perché? Perché in un contesto più stabile o più prevedibile esiste un modello alternativo di presa di decisione, la pianificazione. Quando non si riesce a prevedere, gli sguardi si rivolgono al passato. Poiché non si può preveder il futuro, la valutazione acquista un ruolo più importante. Il che equivale a dire che ben difficilmente la valutazione potrà avere come orizzonte e paradigma unicamente gli obiettivi iniziali. In un ambiente in mutamento imprevedibile, infatti, è abbastanza normale che non si siano raggiunti gli obiettivi; è a questo punto che diviene interessante svolgere una valutazione ed è più probabile che essa abbia successo. costi della mancata valutazione Tra i “costi” della mancanza di valutazione va considerato non soltanto il venir meno dello strumento che dovrebbe consentire il feed-back tra ciascuna esperienza condotta e il ciclo di programmazione successivo. La scarsità di informazioni e la 210 Anna Bondioli, Indicatori operativi e apprezzamento della qualità: modi e ragioni del valutatore, in L. Cipollone (a cura di) “Strumenti e indicatori per valutare il nido”, ed. Junior, Milano 1999, pp. 35-36 211 Bruno Dente, La politica di valutazione nelle politiche pubbliche, “Rassegna Italiana di Valutazione”, n. 19, luglio-settembre 2000, p. 12 246 quasi completa mancanza di valutazioni relative ai molteplici interventi realizzati impediscono che tale patrimonio di esperienze generi quell’accumulazione di conoscenze che consentirebbe di selezionare, imitare, adattare ai diversi contesti le pratiche migliori.212 arroganza della valutazione E’ possibile anche che il fastidio provato nei confronti della valutazione trovi alimento in una più sottile percezione di arroganza della valutazione stessa. Questa talvolta viene presentata o può essere percepita come un esercizio consistente nella mera applicazione di una qualche tecnica statistica, il cui esito consisterebbe in un verdetto pressoché indiscutibile di condanna o assoluzione nei confronti di un dato programma. Così concepita, la valutazione presenterebbe una sorta di vizio positivistico in quanto assolutamente fiduciosa della capacità degli strumenti di indagine utilizzati di cogliere appieno e di dire l’ultima parola sulle molte dimensioni economiche e sociali dei processi innescati da un intervento pubblico. Al contrario, la valutazione così come è intesa dagli studiosi più avvertiti e più autorevoli costituisce un passaggio dentro un più ampio circuito di analisi, discussione e decisione relative alle politiche pubbliche che coinvolge diversi soggetti.213 uso eccessivo ma confuso del termine ‘qualità della vita’ L’uso spesso spregiudicato ed indiscriminato di questa parola [qualità della vita], dotata di un appeal particolare, deriva probabilmente dalla sua capacità di evocare e riassumere la complessità dei problemi che caratterizzano l’esistenza dell’uomo moderno in senso non esclusivamente materiale. Alla diffusione del termine non ha peraltro corrisposto una precisa definizione del concetto.214 tenere conto dell’autovalutazione dei soggetti la critica fondamentale che possiamo muovere alle ricerche [sulla qualità della vita] che si basano su valutazioni standard e non tengono conto dei processi di 212 Giuseppe Croce, Limiti e prospettive della valutazione delle politiche di creazione di impresa in Italia, in Raffaele Brancati (a cura di), “Analisi e metodologie per la valutazione delle politiche industriali”, Franco Angeli, Milano 2001, p. 209 213 Giuseppe Croce, Limiti e prospettive della valutazione delle politiche di creazione di impresa in Italia, in Raffaele Brancati (a cura di), “Analisi e metodologie per la valutazione delle politiche industriali”, Franco Angeli, Milano 2001, p. 211 214 Giampaolo Nuvolati – Francesca Zajczyk, L’origine del concetto di qualità della vita e l’articolazione dei filoni di studio nella prospettiva europea, in Leonardo Altieri – Lucio Luison (a cura di), “Qualità della vita e strumenti sociologici. Tecniche di rilevazione e percorsi di analisi”, Franco Angeli, Milano 1997, p. 11 247 autovalutazione da parte dei soggetti riguarda l’arbitrarietà nella selezione e ponderazione degli items da parte dei ricercatori. relatività del concetto [il concetto di qualità della vita] è un concetto relativo, soggetto ad evolversi parallelamente al cambiamento del sistema sociale, al ruolo ed agli obiettivi perseguiti dal sistema di Welfare. Questa affermazione complica sicuramente il problema della definizione del concetto di qualità della vita, ed ancor più la possibilità di fruire di tali misurazioni per lo sviluppo di ricerche di comparazione a livello internazionale.215 la valutazione come arte Nell’ambito della valutazione, come in campo psicologico, educativo e sociologico, vi è una diffusa consapevolezza da parte degli operatori circa il fatto che le pratiche proprie a tali ambiti richiedono un’arte fondata sulla scienza e non una semplice forma di scienza applicata come la costruzione di ponti o la previsione del ritorno della cometa Hale Bopp216 la valutazione definisce il concetto di qualità Si può definire la qualità valutandola. Si tratta di un percorso a ritroso, che, sulla base degli esiti di una verifica, consente di riflettere sul modello che orienta l’investimento sulla qualità.217 valutatori come mediatori Valutare, in un contesto di crescente complessità significa infatti non solo essere dei tecnici, dei misuratori, ma soprattutto essere dei mediatori non nel senso semplicistico di esperti della ricerca del compromesso, ma nel senso di essere capaci, 215 Giovanni Bertin, Alcuni problemi metodologici nell’uso del concetto di qualità della vita per il confronto e la valutazione dei diversi sistemi di Welfare State, in Leonardo Altieri – Lucio Luison (a cura di), “Qualità della vita e strumenti sociologici. Tecniche di rilevazione e percorsi di analisi”, Franco Angeli, Milano 1997, p. 40 216 Michael Scriven, La valutazione: una nuova scienza, in Anna Bondioli – Monica Ferari (a cura di), “Manuale di valutazione del contesto educativo: teorie, modelli, studi per la rilevazione della qualità nella scuola”, Franco Angeli, Milano 2000, p. 27 217 Paola Livraghi, Valutare la qualità dell’asilo nido, in Anna Bondioli – Monica Ferari (a cura di), “Manuale di valutazione del contesto educativo: teorie, modelli, studi per la rilevazione della qualità nella scuola”, Franco Angeli, Milano 2000, p. 215 248 prima, di identificare i molteplici soggetti che interagiscono, i rispettivi interessi e valori, per riuscire, poi, a mettere in comunicazione i diversi punti di vista.218 Non usare il solo punto di vista degli utenti dobbiamo dire no all’eccessiva enfasi sui sondaggi relativi alla soddisfazione degli utenti, tanto più se, illusoriamente, si ritenesse che tali sondaggi siano esaustivi della valutazione di qualità dal lato utenti. L’apprezzamento dell’utente è senza dubbio un sintomo rilevante, ma non è la rappresentazione oggettiva della qualità del servizio, non si pone cioè l’identificazione: soddisfazione uguale a buona qualità. qualità come processo la definizione della qualità è piuttosto un processo che ha valore in sé, un processo continuo.219 contro gli standard Lo standard non esprime l’eccellenza, una capacità raffinata di valutare i fenomeni in termini numerici, ma una semplificazione che si utilizza nelle condizioni nelle quali la conoscenza dei fenomeni stessi è ridotta, non si ha una teoria convincente dell’attore sociale. Il ricorso allo standard riduce notevolmente i fabbisogni conoscitivi di carattere relazionale: è sufficiente rilevare lo stato dell’offerta, raffrontarlo allo stato assunto come ideale, per individuare i bisogni umani che rimangono da soddisfare, prescindendo dalla conoscenza degli individui ai quali i servizi sono offerti.220 ritardi metodologici e dimensione del potere nella valutazione dell’educazione degli adulti Colpisce, nel panorama degli interventi di carattere socio-educativo con gli adulti, ma non solo, la discrepanza tra know-how metodologico sulla valutazione e diffusione delle pratiche valutative, spesso assai semplificate, riduttive, quando non, di fatto, assenti. A cosa è addebitabile tale discrepanza, che sembra riproporre, ancora una volta, la distanza tra ricerca e azione, tra teoria ed esperienza? Se vari 218 Leonardo Altieri, Valutazione della qualità / qualità della valutazione. Problemi metodologici della ricerca valutativa in sanità, in Leonardo Altieri – Lucio Luison (a cura di), “Qualità della vita e strumenti sociologici. Tecniche di rilevazione e percorsi di analisi”, Franco Angeli, Milano 1997, pp. 93-94 219 Laura Cipollone, Un sistema di qualità dei servizi per l’infanzia e l’adolescenza, in Laura Cipollone (a cura di), “Il monitoraggio della qualità dei servizi per l’infanzia e l’adolescenza”, edizioni Junior, Bergamo 2001, p. 16 220 Remo Siza, La progettazione autoreferenziale e la progettazione comunicativa: due prospettive di analisi e d’intervento, “Sociologia e professione”, settembre 1999, n. 35, p. 32 249 fattori, d’ordine culturale e sociale, sono individuabili, un ruolo particolarmente rilevante tra questi è svolto, a mio giudizio, dalla questione del “potere” in valutazione. Da più parti riconosciuta come una delle dimensioni costitutive dell’agire valutativo, il potere è connesso alla possibilità, attraverso la valutazione, di esprimere il proprio punto di vista, i propri apprezzamenti e giudizi, influenzare l’andamento delle azioni. La questione del “potere” in valutazione è cruciale; essa non può essere elusa e richiede risposte non tanto sul piano dell’affinamento delle metodologie e degli strumenti di valutazione, quanto su quello dello sviluppo di culture valutative mature.221 la valutazione da dovere normativo a processo utilizzato a supporto delle decisioni La scelta di rafforzare la funzione e i contenuti della valutazione e l’opzione verso approcci dinamici, di feedback fra programmatore e valutatore, contenuta nel principale documento programmatorio del Fondo sociale europeo in Italia – il Quadro comunitario di sostegno – così come nelle linee guida per la valutazione, rappresentano il segnale del superamento di una logica normativa, in cui la valutazione è intesa come dovere/vincolo dato dalle regole dei Fondi strutturali, nella direzione di un suo utilizzo a supporto delle decisioni di policy.222 autoreferenzialità del valutatore “che cosa” valutare (l’oggetto) è connesso a “perché” valutare (la finalità e la motivazione), e ciò è a sua volta connesso a “per chi” valutare (il committentecliente). Ancora troppo spesso la progettazione di sistemi di valutazione elude il necessario principio di coerenza interna tra queste tre dimensioni (per chi, perché, che cosa), e tra queste tre e la quarta (come): tale elusione è all’origine di sistemi-modelli o di interventi sostanzialmente autoreferenti, centrati sugli interessi del ricercatore (che invece di individuare il committente e analizzarne la domanda statuisce la propria 221 Piergiorgio Reggio, L’esperienza che educa. Strategie d’intervento con gli adulti nel sociale, Ed. Unicopli, Milano 2003, pp. 181 e 182 222 Aviana Bulgarelli, Introduzione, in Isfol – Struttura nazionale di valutazione del Fondo sociale europeo, “Formazione e lavoro. Effetti del Fondo sociale europeo sull’occupabilità in Italia”, Franco Angeli, Milano 2001, pp. 25-26 250 come cogente), oppure sulla disponibilità di una determinata metodologia (che come tale in parte determina che cosa e come è indagabile e quindi valutabile).223 banalizzazione della valutazione in formazione tramite l’analisi del gradimento dei partecipanti si assiste a un fenomeno generalizzato di elusione dei problemi reali della valutazione che si manifesta in due modi. Da un lato si conferma la persistenza degli schemi tradizionali basati sulla logica del controllo. Dall’altro lato si vengono affermando (e con un rilievo crescente – fino a diventare perfino sostitutive della valutazione degli apprendimenti) le valutazioni di gradimento realizzate attraverso l’immancabile “questionario di fine corso” (che rappresenta uno dei riti più consolidati tra quelli che si celebrano nella pratica formativa) al quale si attribuisce un valore sovradimensionato nella misura in cui non si tiene conto del fatto che le percezioni e il giudizio dei partecipanti – pure necessari – sono del tutto parziali, soprattutto in assenza di altre e più articolate valutazioni. Si giunge in tal modo a un’autentica banalizzazione della pratica valutativa.224 223 Giovanni Bresciani, I problemi di valutazione degli interventi di orientamento, in Maura Franchi e Mauro Palumbo (a cura di), La valutazione delle politiche del lavoro e della formazione, “Sociologia del lavoro” n. 77, Franco Angeli, Milano 2000, p. 215 224 Domenico Lipari, Logiche di azione formativa nelle organizzazioni, Guerini e Associati, Milano 2002, pp. 81-82 251 Definizioni che sottolineano la relazione tra ricerca valutativa e sfera politica, la valutazione come decisione: Valutazione come DECISIONE e PARTECIPAZIONE la valutazione deve essere programmata inizialmente assieme al progetto Teoricamente la valutazione dovrebbe essere pianificata e sviluppata parallelamente alla pianificazione e allo sviluppo delle attività del progetto. Molti dei dati necessari per la valutazione devono essere messi a punto prima di varare il progetto e prima che cominci il previsto processo di trasformazione. Anche la procedura di definizione degli obiettivi per le attività del progetto deve essere parallela alla definizione dei parametri di valutazione di cui ci si serve per accertare risultati, efficacia e impatto delle attività del progetto che verranno svolte in seguito.1 valenza ‘politica’ della valutazione come atto consapevole di ricerca dell’efficacia La ricerca valutativa potrebbe essere paragonata ad una scelta politica, perché accoglie il principio della irrinunciabilità del vaglio critico sull’azione intrapresa, per evitare di lasciarsi sopraffare dalla logica di evoluzione propria delle istituzioni, più pronte a svilupparsi in termini burocratici e di vertice che in termini di reale trasformazione come effetto di un costante autocontrollo. E’ ancora un fatto politico perché investe di responsabilità oggettiva amministratori e operatori resi capaci oltre che di valutarsi, anche di assumere il coraggio di verificare e accettare l’insuccesso e quindi di modificare la propria presenza operativa. E’ infine un fatto politico perché presuppone la sistematicità conoscitiva quale premessa all’operare, rifiutando l’atteggiamento dell’intervento spicciolo, del vivere alla giornata senza un inquadramento generale nell’arco dei più ampi obiettivi che l’istituzione si pone e soprattutto perché rifiuta la pericolosa illusione che “il fare” nuovo e diverso sia “a priori” migliore del tradizionale modo di fare, senza averne misurata l’effettiva utilità, né la qualità dei cambiamenti sociali che ne derivano.2 di fronte alla complessità sociale lo Stato moderno deve essere ‘modesto’ Lo Stato moderno - [secondo Michel Crozier] - è evoluto da corpo ristretto di funzionari che si occupano esclusivamente di ordine pubblico e difesa a stato del benessere che fornisce servizi pubblici ai cittadini in modo eguale e massificato. Ma lo Stato moderno si trova di fronte una società complessa che esprime bisogni 1 Sven Grabe, Manuale di valutazione, ASAL 1986, p. 291 2 Lorenzo Bernardi - Tony Tripodi, Metodi di valutazione di programmi sociali, Fondazione Zancan, Padova 1981, p. 12 252 diversificati e di qualità, tali da non poter essere tutti assolti dalle politiche statali. Così, se esso si attardasse sul vecchio modello di soddisfazione dei bisogni non potrebbe che essere autoritario ed arrogante, oltre che irrazionale nel modo di allocare le proprie risorse. Di qui - secondo Crozier - l’esigenza che lo Stato impari ad essere modesto. Il che significa: scegliere bene i settori nei quali intervenire, valorizzare le risorse umane presenti tra i funzionari e rivolgerle al servizio degli utenti, sollecitare la partecipazione degli utenti e la responsabilizzazione degli impiegati al fine di un uso del pubblico denaro senza sperperi. Ma uno Stato che si ponga questi obiettivi deve essere in grado di conoscere e mettere a confronto i risultati di diverse politiche, e la pratica costante della valutazione è un suo requisito fondamentale.3 impossibile separazione, nella Valutazione di impatto ambientale, fra sfera scientifica e sfera sociale e politica Non è pensabile che la strutturazione procedurale della valutazione di impatto ambientale possa avvenire operando una rigida separazione fra quanto attiene la sfera della ricerca scientifica e quanto quella sociale e politica perché in tal caso si ricadrebbe nella tradizionale e critica situazione in cui la prima produce conoscenze che la seconda sistematicamente trascura e, viceversa, le aspettative sociali, economiche e gestionali non vengono fatte proprie dai programmi di ricerca, perdendo in tal modo gran parte della valenza innovativa della V.i.a.4 la valutazione fra desiderio di complessità metodologica e realtà di risorse disponibili scarse Accade spesso che i tempi a disposizione dell’organizzazione per prendere una decisione o le risorse che intende investire per aumentare la propria capacità di giudizio sugli effetti di un progetto o di una politica risultino difficilmente compatibili con la costruzione di modelli di monitoraggio e valutazione dei risultati perseguiti attraverso disegni di ricerca e strumenti di analisi complessi. La valutazione sembra eternamente sospesa fra una tensione alla scientificità assoluta che richiama l’uso di strumenti complessi caratterizzata dalla necessità di pensare ad investimenti rilevanti ed a tempi di lavoro medio-lunghi, e l’incalzare di 3 Nicoletta Stame Meldolesi, La valutazione delle politiche pubbliche in Francia, “Rivista trimestrale di scienza dell’amministrazione”, n. 1, 1994, p. 24 4 Renzo Marini, Gestione delle conoscenze e processi politico-decisionali: il caso della valutazione di impatto ambientale, in F. Beato (a cura di), “La valutazione di impatto ambientale. Un approccio integrato”, Franco Angeli, Milano 1991, p. 218 253 un processo decisionale che non lascia al decisore il tempo necessario alla riflessione costringendolo a ripiegare sul suo intuito e sulla sua percezione.5 la valutazione rafforza la centralità della pubblica amministrazione La adozione sistematica di tecniche di valutazione dei progetti (valutazione di impatto ambientale, analisi finanziaria, analisi economica, valutazione delle tecnologie, valutazione del rischio, etc.) nel corpo dei procedimenti amministrativi di pianificazione e di controllo delle trasformazioni territoriali comporta un vero e proprio capovolgimento di senso e di ruolo della pubblica amministrazione, rafforzandone la centralità.6 ineludibilità degli aspetti soggettivi nella valutazione di impatto ambientale Malgrado sia generale l’accordo sul fatto che ignorare la presenza di atteggiamenti e motivazioni può essere fonte di seri guai per il decisore, nessun tentativo apprezzabile è stato finora sviluppato per introdurre questi fattori nella valutazione ambientale. La dimensione sociale è stata infatti recepita soltanto in termini di preoccupazione per la salute, per l’economia e per l’occupazione o, altrimenti, in termini di disponibilità e accesso ad infrastrutture e servizi. Si è giustamente dato valore ai bisogni primari, senza affinare la valutazione attraverso l’introduzione di criteri per misurare la qualità della vita e per recepire le differenti “viste” dei vari soggetti. Questa carenza si riflette anche sulla procedura amministrativa, che risulta schematica, povera e, per certi versi, sia aperta all’arbitrio dell’ente investito delle scelte, sia esposta all’ostruzionismo di chi decide di opporsi. I fattori motivazionali e soggettivi, che proprio attraverso la Valutazione di impatto ambientale avrebbero dovuto essere superati, tornano in effetti in gioco.7 ruoli distinti per valutazione e processo decisionale, che decide le priorità I processi valutativi non possono operare senza riferimenti socio-politici. In particolare, è la collettività che deve decidere il valore ed il grado di priorità da attribuire alle variabili che la valutazione tenta di misurare. La valutazione serve per 5 Giovanni Bertin, Un modello di valutazione basato sul giudizio degli esperti, in C. Bezzi - M. Scettri (a cura di), “La valutazione come ricerca e come intervento”, Irres, Perugia 1994, pp. 59-60 6 Rino Rosini, Una metodologia di valutazione di impatto nella pianificazione territoriale. Applicazioni ed esperienze in Emilia Romagna, in: Aisre, “XII Conferenza italiana di scienze regionali - Messina-Taormina 2124 ottobre 1991”, volume 1, Palermo 1991, p. 469 7 Alberto Gasparini - Gilberto Marzano - Luigi Pellizzoni, Un approccio collaborativo alla Via, in: A. Gasparini - G. Marzano, “Tecnologia e società nella valutazione di impatto ambientale”, F. Angeli, Milano 1991, p. 33 254 mantenere il sistema attivo e capace di apprendere, ma non può sostituirsi ai processi decisionali che i politici attuano su mandato della società.8 matrimonio complicato fra valutazione e politica [la valutazione] è soprattutto una logica scientifica applicata ad un contesto politico: vanno quindi tenute presenti tutte le contraddizioni che nascono da questo strano matrimonio tra categorie la cui esistenza si realizza su piani diversi, la comunicazioni fra le quali inoltre è complicata dall’uso di codici linguistici e comportamentali di difficile integrazione.9 ragioni dell’impermeabilità del sistema sociosanitaria alla valutazione Incompatibilità tra logica valutativa e impostazione burocratica dell’organizzazione sociosanitaria, resistenze manifestate dal corpo politico, tecnico e professionale, scarsa maneggevolezza di metodi e tecniche di valutazione ancora troppo rigidi e formalizzati hanno prodotto una situazione di perdurante estraneità della valutazione rispetto all’azione ordinaria del sistema sociosanitario.10 necessaria utilizzabilità della valutazione una valutazione per essere efficace deve generare informazioni che siano utilizzabili o nel disegno di un intervento pubblico o nella sua implementazione Valutazioni efficaci sono quelle che generano un’informazione che risponde alle reali necessità conoscitive dei policymaker e di chi disegna gli interventi, di chi li attua e di chi ne usufruisce come utente.11 i destinatari della valutazione sono i decisori La valutazione acquisisce un chiaro connotato di supporto alle decisioni, senza più il rischio di un utilizzo strumentale di tipo meramente politico, in quanto i destinatari della valutazione sono gli stessi organi politici e tecnici che devono decidere nel merito e che hanno necessità di conoscere: • l’impatto sul territorio e/o su settori economici 8 Katharine Barker - Luke Georghiou, La valutazione dell’impatto socio-economico della R&D finanziata con fondi pubblici, in L. Cannavò (a cura di), “Studi sociali della tecnologia. Metodologie integrate di valutazione”, Euroma, Roma 1991, pp. 134-135 9 Lorenzo Bernardi - Fausta Ongaro Bertol, Azione sociale e valutazione. Analisi e proposta di un modello operativo, Ministero dell’interno - Direzione generale dei servizi civili, Roma 1984, p. 12 10 Patrizia Grazioli, Qualità ed equità nel sistema socio-sanitario: il ruolo della valutazione, “Tutela. Trimestrale di politiche sociali”, a. XI, n. 1-2, giugno 1996, p. 19 11 Rebecca A. Maynard, Sociologi, economisti, psicologi... o semplicemente buoni valutatori? Lezioni dall’esperienza statunitense, “Rassegna Italiana di Valutazione”, nn. 17/18, gen-giu 1999, pp. 47 e 48 255 • l’efficacia rispetto agli obiettivi fissati (politici e/o tecnici) • l’efficienza soprattutto con riferimento alla spesa e all’utilizzo di risorse scarse12 utilizzabilità e reale utilizzo della valutazione Lo scopo ultimo della valutazione delle politiche è quello di produrre conoscenze utilizzabili sia per il legislatore che per la pubblica amministrazione. Questo aspetto è molto importante. Lo sviluppo delle attività di misurazione e controllo può produrre l’effetto perverso di sommergere le amministrazioni con un’impressionante mole di dati scarsamente leggibili, di interpretazione difficile o ambigua e quindi di scarsa efficacia operativa. Già qualche amministrazione italiana che si è lanciata in complessi sistemi di monitoraggio e controllo comincia a trovarsi in questa situazione: troppi dati, troppo poche informazioni. I decisori, siano essi politici o burocrati, hanno invece bisogno di poter disporre di proposizioni valutative sobrie e pertinenti. Non è detto naturalmente che le conoscenze utilizzabili saranno effettivamente utilizzate. Nelle condizioni complesse e spesso caotiche in cui si svolgono i processi di decisione politica le idee scaturite dagli studi di valutazione sono solo uno tra i molti input. E’ però importante che questi input ci siano.13 la valutazione offre trasparenza, ma non si sostituisce al processo decisionale La questione, in definitiva, rimanda allo spazio discrezionale che, com'è inevitabile e com'è giusto, è prerogativa della politica e dei decisori pubblici: i modelli di valutazione non possono sostituirsi ad un tale spazio, anche se talora la "cattiva coscienza" della politica si illude di poter evitare, con il richiamo alle valutazioni "tecniche", una piena assunzione delle proprie responsabilità. I modelli di valutazione, questo sì, possono e debbono offrire maggiore trasparenza al processo decisionale, possono e debbono offrire un terreno più solido alla selezione delle priorità. E quest'ultima, per altro verso, non può che derivare da un processo democratico e da un percorso decisionale in cui interagiscano obiettivi politici e competenze scientifiche, "preferenze comunitarie" e valutazioni tecniche.14 12 Nella Bianco, Valutazione e programmazione regionale: l’esperienza della Regione Piemonte, “InformaIres” n. 21, a. X, n. 2, dicembre 1998, p. 28 13 Luigi Bobbio, La valutazione delle politiche pubbliche, “InformaIres” n. 21, a. X, n. 2, dicembre 1998, pp. 40- 41 14 Antonio Floridia, I beni culturali, tra valutazione economica e decisione politica: una rassegna critica, "Interventi, note e rassegne" n. 11, Irpet, Firenze 1999, p. 42 256 ruolo minore e di scarsa incidenza delle valutazioni implicite ed esplicite nella pianificazione Le valutazioni che si compiono nel processo di pianificazione sono numerosissime, ma vengono effettuate per lo più in forma implicita e, pertanto, il contributo che esse recano al processo decisionale non è chiaramente identificabile. D’altro canto, le valutazioni che nella prassi corrente vengono compiute in modo esplicito si riferiscono di solito a piani e progetti già definiti nei loro tratti essenziali. Pertanto tali valutazioni si limitano ad assolvere una funzione giustificativa o, al massimo, correttiva nei loro confronti. Un rilievo diverso assumerebbe invece la valutazione se fosse impiegata per razionalizzare il processo decisionale della pianificazione. In tal caso concorrerebbe infatti a realizzare alcuni attributi essenziali del piano, quali l’efficienza dell’uso delle risorse, l’equità sociale, la realizzabilità degli obiettivi, la trasparenza delle decisioni pubbliche.15 ruolo trasversale della ricerca valutativa, anche rispetto allo sviluppo locale La ricerca valutativa è di supporto fondamentale per la diffusione della logica della nuova programmazione, che si basa sulla concertazione e sulla negoziazione e quindi presuppone che tutti i soggetti coinvolti abbiano accesso alle informazioni relative al progetto (o al programma, o alla politica) in modo trasparente, completo e sistematico. Infatti, se da una parte la stessa ricerca valutativa è costretta ad “integrarsi” nelle diverse discipline a causa dell’oggetto – lo sviluppo locale – che richiede un approccio interdisciplinare, dall’altra c’è la questione della concertazione, di cosa essa significhi, se sia da considerare una risorsa in sé – e quindi un obiettivo da raggiungere, o uno strumento da utilizzare nei processi decisionali o, infine, una modalità di azione nella messa in opera degli interventi. Diventa quindi quasi ovvio che i presupposti fondamentali a tutto ciò sono la trasparenza e la diffusione dell’informazione. E se per informazione si intendono gli obiettivi da raggiungere e i relativi tempi del conseguimento, i mezzi messi a disposizione, gli esiti previsti e l’impatto ipotizzato sul sistema locale esaminato, ne consegue quasi direttamente che lo sviluppo locale proprio per le sue caratteristiche 15 Stefano Stanghellini, Introduzione, in Stefano Stanghellini (a cura di), “Valutazione e processo di piano”, Alinea editrice – Daest, Firenze 1996, p. 7 257 intrinseche impone una valutazione a più livelli e con l’apporto di più professionalità16 valutazione e complessità L’evaluando ingloba, in maniera inestricabile e spesso non facilmente riconoscibile, la complessità sociale di cui è frutto limiti nel pragmatismo dei valutatori costruttivisti la visione dominante nella comunità dei valutatori è di sentirsi utile, pragmatica e strumentale. Vogliamo che i politici facciano meglio il loro lavoro. E tuttavia la prevalenza tra i valutatori di differenti versioni di costruttivismo e la tendenza verso analisi e interpretazioni molteplici rende difficile ai politici sapere cosa fare dei risultati che ricevono. Si capisce allora perché i politici spesso si appoggiano su valutazioni limitate.17 ruolo preminente del contesto politico sulla ricerca valutativa La r. v. opera sempre in un contesto politico che, nel rapporto che instaura con la comunità scientifica, si colloca in una posizione di forza.18 mutamenti strategici nel corso della programmazione-valutazione Gli organi centrali in un processo di programmazione che si configuri altamente interattivo oltreché valutare la compatibilità dei progetti alle scelte assunte modificano la loro strategia iniziale in rapporto ai progetti approvati.19 la praticabilità della valutazione dipende dalla disponibilità dei soggetti istituzionali La praticabilità della valutazione dipende non tanto, come spesso si sostiene, dall’inadeguatezza delle informazioni e dalla mancanza di metodologie adeguate, quanto piuttosto dalla disponibilità e motivazione dei soggetti istituzionali.20 solo le relazioni fra gli attori implicati nella decisione illuminano la valutazione ogni giudizio valutativo è interpretabile solo alla luce delle dinamiche che regolano il rapporto fra gli attori che occupano il campo decisionale. 16 Marta Scettri, La valutazione delle politiche di sviluppo economico locale, in Mauro Palumbo (a cura di), “Valutazione 2000. Esperienze e riflessioni”, Franco Angeli, Milano 2000, p. 222 17 Elliot Stern, Cosa è il pluralismo in valutazione, e perché lo vogliamo, “Rassegna Italiana di Valutazione”, nn. 17/18, gen-giu 1999, p. 41 18 Angelo Saporiti, La ricerca valutativa: un’introduzione alla valutazione dei programmi socio-sanitari, in P. Donati (a cura di), “Manuale di sociologia sanitaria”, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1987, p. 202 19 Remo Siza, La programmazione e le relazioni sociali. I limiti e le opportunità delle attuali strategie in una prospettiva sociologica, F. Angeli, Milano 1994, p. 102 20 Aviana Bulgarelli - Marinella Giovine, Introduzione a A. Bulgarelli - M- Giovine - G. Pennisi, “Valutare” 258 la valutazione deve essere inserita nel ciclo del progetto Da un punto di vista generale il processo di valutazione, qualunque sia lo strumento metodologico adottato, deve essere inserito nel più ampio contesto del ciclo del progetto.21 la valutazione come parte integrante del progetto Un principio cardine della valutazione è che essa è parte integrante del progetto; ciò significa non solo che i suoi costi sono preventivamente inseriti nel progetto, ma che il progetto stesso è concepito in modo integrato e funzionale al processo valutativo22 scarsa diffusione della costi benefici come mancanza di democrazia la difficile diffusione dell’analisi costi-benefici a livello politico (è) rapportabile ad una mancanza di democrazia23 la valutazione non può guardare solo agli effetti, ma necessariamente all’intero processo la valutazione [delle azioni pubbliche], pur avendo come oggetto principale gli esiti e gli effetti dell’azione pubblica, non può arrestarsi ad una meccanica registrazione e al semplice trattamento analitico dei risultati considerati in relazione agli obiettivi (più o meno espliciti) delle politiche, ma deve riferirsi all’intero processo che tali risultati ha generato [ovvero alla formulazione delle decisioni ed alla implementation]. Le ragioni che rendono necessario un simile ampliamento del raggio d’azione della valutazione sono essenzialmente legate alla specifica caratterizzazione di processo aperto ed assolutamente non predeterminabile delle azioni pubbliche24 distanza fra la salvificità attribuita alla valutazione e la sua realtà All’interno della Pubblica Amministrazione spesso si sente invocare l’attività di valutazione come una sorta di panacea per sciogliere in modo “semiautomatico” ed economicamente efficace i nodi decisionali che si presentano a coloro i quali sono 21 Massimo Bagarani, La valutazione degli acquedotti rurali, Irres - Regione dell’Umbria, Perugia 1995, p. 11 22 Claudio Bezzi - Livia Bovina - Eva Jannotti - Marta Scettri, La valutazione della comunicazione pubblica, Irres - Regione dell’Umbria, Perugia 1995, p. 41 23 Gianluigi Galeotti, Spesa pubblica e democrazia: servono le regole economiche di razionalizzazione?, in Aa.Vv., “Calcolo economico e decisioni pubbliche. Prime proposte per un approccio di settore”, Formez, Napoli 1994, p. 11 24 Domenico Lipari, La valutazione delle azioni pubbliche, “Il progetto”, n. 49, 1989, p. 55 259 responsabili, a diversi livelli, dell’elaborazione e dell’attuazione di politiche di intervento pubblico. Sembra, purtroppo, che alla salvificità del termine si accompagni nella pratica una certa confusione sul suo reale significato.25 il termine valutazione è fortemente connotato Il termine “valutazione” possiede, non sembri un gioco di parole, una forte connotazione valutativa, e per questo infiamma le passioni.26 valutazione significa attenzione ai processi organizzativi Affrontare in maniera ampia il problema della valutazione oggi vuol dire, come immagine, entrare nell’intreccio dei processi riflessivi di un’organizzazione la valutazione è un fatto politico La valutazione diviene prima di ogni altra cosa un fatto politico. Un fatto politico non già però perché affidato ai “vertici” politici ancorché degli Enti locali e territoriali; un fatto politico non già inoltre perché “l’elemento tecnico” vada in qualche modo misconosciuto o rifiutato come privo di valore. Quando affermiamo che la valutazione deve essere un fatto politico, intendiamo qualificarla in quanto attuata da tutte le componenti interessate (politici, tecnici, operatori, utenti) in cui gli utenti, i diretti fruitori dei servizi stessi, vengano a rappresentare la componente determinante. Intendiamo qualificarla rivalutando il momento decisionale come momento “globale” in cui oltre a coniugarsi con valutazioni di elementi non qualificabili (e in questo campo ne troviamo più che in ogni altro), deve poter privilegiare il momento appunto della gestione sociale come espressione questa volta di democrazia “diretta” e quindi volontà di tutta la popolazione e di tutti gli organismi coinvolti. In ciò anche il momento tecnico riacquisisce da un lato tutta la sua essenzialità, dall’altro il suo “posto” in processi decisionali di questo tipo. Essenziale infatti diviene a questo punto che “chi decide” lo possa fare con conoscenza di causa e che cioè anche gli elementi “tecnici”, come vedremo, siano “socializzati” nella loro determinazione e utilizzazione.27 25 Carlo Cipiciani - Edoardo Pompo, Valutare per selezionare. Alcune riflessioni sulla valutazione dei progetti attuativi dei programmi di spesa all’interno della pubblica amministrazione, “Rassegna Italiana di Valutazione”, n. 1, 1996. 26 Giancarlo Gasperoni, Cultura della valutazione e scuola italiana, “Il Mulino”, n. 362 (n.6), 1995, p. 989 Michele La Rosa, La valutazione dell’intervento nei settori socio-sanitari di base. Brevi note introduttive, in Giovanna Rossi (a cura di), “Sull’organizzazione dei servizi sociali”, Vita e pensiero, Milano 1980, pp. 244-245 27 260 rapporto non lineare fra programmazione e valutazione la soluzione ai problemi di valutazione deriva dal modello di programmazione che viene adottato e, viceversa, non tutti i tipi di valutazione recano lo stesso contributo alla programmazione.28 Prendendo ad esempio i programmi dell’Unione Europea: non ho mai sentito parlare di programmi che sono andati male. Al massimo non si sono utilizzati i fondi, il che vuol dire che si era sbagliato il target o la linea d’intervento o il dimensionamento dei progetti; ma, una volta spesi i soldi, il programma, come minimo, ha prodotto “buone prassi” e, se è stato previsto un budget per il monitoraggio, risultati di cui nessuno riesce a capire l’importanza e la validità. La cattiva pratica delle “buone prassi” salva la coscienza a tutti, lasciando in genere il dubbio che quel che si è realizzato possa dipendere da condizioni che vengono date per scontate e quindi non evidenziate. Il ricorso ed il confronto con le “buone prassi” indica spesso scorciatoie per gli interventi che si dimostrano fallimentari rispetto a situazioni locali ed ambientali diverse.29 la valutazione dei progetti formativi come strumento di miglioramento dell’intero sistema è intorno alla valutazione dei contenuti dei progetti, dei loro elementi essenziali, delle loro caratteristiche fondamentali che può essere fatto ruotare l’intero sistema formativo. Nella valutazione risiede infatti la verifica della rispondenza degli interventi progettati agli obiettivi di sviluppo locale definiti dagli indirizzi della programmazione regionale e locale nonché ai vincoli di impiego – dove sono presenti – delle risorse europee e nazionali30 valutazione e controllo strategico come processo di apprendimento istituzionale la natura della funzione [di valutazione e controllo strategico] è quella di supportare il vertice politico nella valutazione delle politiche e nello sviluppo di meccanismi e strumenti per l’attuazione di una politica amministrativa. In altre parole, nella 28 Maura Franchi e Mauro Palumbo, La valutazione delle politiche del lavoro: questioni aperte, riflessioni, esperienze, in Maura Franchi e Mauro Palumbo (a cura di), La valutazione delle politiche del lavoro e della formazione, “Sociologia del lavoro” n. 77, Franco Angeli, Milano 2000, p. 13 29 Tommaso Marino, Valutazione dell’inclusione sociale: quale rapporto con le politiche per lo sviluppo e i Patti Territoriali?, Liliana Leone (a cura di), “Valutare le politiche per l’inclusione sociale”, Vides, Roma 2001, p. 88 30 Claudio Bezzi – Giuseppe Pozzana, Valutazione e qualità della formazione professionale in provincia di Pisa. Una riflessione metodologica, “Osservatorio ISFOL”, a. XX, n. 4, luglio-agosto 1999, pp. 63-64 261 costruzione di processi di apprendimento istituzionale in grado di favorire il trattamento dei problemi collettivi e il pilotaggio degli apparati nella gestione delle politiche.31 la valutazione generatrice di consenso La valutazione consente di giustificare di fronte all’opinione pubblica (si legga elettorato) sia i costi che le scelte di razionalizzazione (spesso dolorose), facilita l’allocazione delle risorse tra i diversi cicli di istruzione e nei diversi contesti territoriali, sostenendo, con standard e sistemi di informazione e monitoraggio, un processo decisionale sempre più complesso e per questo sempre più a rischio in termini di consenso32 valutazione come informazioni per il management al fine della successiva decisione In termini essenziali, un qualunque modello di valutazione consiste in una sequenza di attività finalizzate alla raccolta di informazioni: una volta disponibili, le informazioni entrano a far parte di un modello diagnostico che collega tali informazioni con la definizione di ulteriori azioni di sviluppo. In altre parole, in un’organizzazione gli esiti della valutazione di un fenomeno si dovrebbero sempre tradurre in ulteriori programmi di attività. Vale la pena di ricordare che nel management – arte più che scienza – la base per le decisioni è sempre un insieme limitato di informazioni: le decisioni vengono prese quando si ritiene sufficiente la quantità di informazioni disponibili in funzione della propensione al rischio del singolo decisore. Nella vita reale delle imprese questo fenomeno è continuo e rappresenta la normale modalità di gestione dei processi decisionali. Anche per le decisioni relative all’organizzazione, quindi, ci si basa su un insieme limitato di informazioni che vengono elaborate per determinare le azioni ed i programmi successivi.33 31 Bruno Dente – Giancarlo Vecchi, La valutazione e il controllo strategico, in Giovanni Azzone – Bruno Dente (a cura di), “Valutare per governare. Il nuovo sistema dei controlli nelle Pubbliche amministrazioni”, Etas, Milano 1999, p. 1 32 Maurizio Sorcioni, La valutazione dei sistemi educativi, in Anna Bondioli – Monica Ferari (a cura di), “Manuale di valutazione del contesto educativo: teorie, modelli, studi per la rilevazione della qualità nella scuola”, Franco A. Milano 1999 33 Federico Amietta, Valutare i processi formativi: il valore aggiunto per l’organizzazione, in Carlo Bisio (a cura di), “Valutare in formazione. Azioni, significati e valori”, Franco Angeli, Milano 2002, p. 177 262 la valutazione ricerca una razionalità nella ricostruzione dell’insieme delle azioni di processo E’ proprio con le complessità generate dall’intenso processo di interazioni e relazioni di influenza reciproca tra decisione politica, implementation ed ambiente, che deve confrontarsi la valutazione delle azioni pubbliche, il cui focus è essenzialmente costituito dall’apprezzamento dei risultati attraverso la ricostruzione analitica dell’insieme delle azioni che caratterizzano la politica in esame e la scoperta della “razionalità di processo” che tale insieme sottende34 relazioni fra valutazione e progettazione la valutazione , in quanto indagine sugli stati iniziali del campo d’azione ed al tempo stesso ricerca orientata da idee sulle scelte decisionali da adottare, rappresenta molto di più del semplice supporto alla progettazione di cui scandisce tutti i “passaggi” temporali; si potrebbe dire che tende ad identificarsi con essa nella misura in cui gran parte dei contenuti emergenti delle azioni valutative (ed in particolare da quelle iniziali ed intermedie) rappresenta la “struttura” costitutiva dei contenuti decisionali ed operazionali su cui si fonda la progettazione. Secondo questa prospettiva metodologica, scopo della valutazione è la scoperta dei molteplici esiti ed effetti di una politica attraverso la ricostruzione del sistema d’azione che li comprende.35 relazioni fra valutazione e decisione Valutazione e decisione formano un binomio inscindibile. Infatti, per valutazione si intende in senso proprio la ponderazione degli aspetti positivi e negativi di uno o più corsi d’azione che si prefiggono di raggiungere uno scopo (ovvero un risultato previsto dell’azione stessa a cui si attribuisce un valore) in modo tale da rendere più esplicita e meno aleatoria la scelta di una determinata linea di azione (decisione).36 coincidenza di valutazione e pianificazione La valutazione può essere considerata come l’insieme delle attività volte a ordinare le informazioni in modo tale che i vari soggetti partecipi al processo decisionale siano in grado di operare le scelte migliori. Così concepita la valutazione può 34 35 Domenico Lipari, La valutazione delle azioni pubbliche, “Il progetto”, n. 49, 1989, p. 57 Domenico Lipari, Progettazione e valutazione nei processi formativi, Edizioni Lavoro, Roma 1995, p. 135 36 Patrizia Grazioli, Qualità ed equità nel sistema socio-sanitario: il ruolo della valutazione, “Tutela. Trimestrale di politiche sociali”, a. XI, n. 1-2, giugno 1996, p. 19 263 pervadere l’intero processo di pianificazione fino al punto di contribuire alla sua strutturazione. Di conseguenza la stessa distinzione tra pianificazione e valutazione, in taluni casi, non risulta univocamente individuabile37. la valutazione rende possibile assumere le macro decisioni in un contesto organizzativo complesso La valutazione è una componente esenziale della vita di una organizzazione complessa. Essa è lo strumento attraverso il quale si rende possibile la pianificazione, ovvero la continua decisione sulle decisioni che dovranno essere assunte in futuro. Specialmente la pubblica amministrazione è spesso affetta da preoccupazioni e difficoltà circa la fattibilità o la desiderabilità di certe azioni da intraprendere. Diventa sempre più necessario e di uso frequente valutare le scelte politiche alternative mediante reti decisionali integrate e multidisciplinari. Ciò è sicuramente il portato di una progressiva complessificazione della società, nella quale si manifestano conflitti di interesse ed effetti crescenti di esternalità delle decisioni pubbliche e private.38 la valutazione prende in carico finalità e obiettivi del decisore Una compiuta attività di valutazione non può infatti prescindere dalla ricostruzione e presa in carico di finalità e obiettivi del decisore, anche se un più generale monitoraggio degli esiti di una politica (a prescindere dalle sue finalità e obiettivi) è comunque possibile39 la valutazione ricerca una razionalità nella ricostruzione dell’insieme delle azioni di processo E’ proprio con le complessità generate dall’intenso processo di interazioni e relazioni di influenza reciproca tra decisione politica, implementation ed ambiente, che deve confrontarsi la valutazione delle azioni pubbliche, il cui focus è essenzialmente costituito dall’apprezzamento dei risultati attraverso la ricostruzione analitica 37 Stefano Stanghellini, Valutazioni per la pianificazione, in Stefano Stanghellini (a cura di), “Valutazione e processo di piano”, Alinea editrice – Daest, Firenze 1996, p.59 38 Rino Rosini, Cave e ambiente: i bilanci ambientali nei piani provinciali delle attività estrattive, in Stefano Stanghellini (a cura di), “Valutazione e processo di piano”, Alinea editrice – Daest, Firenze 1996, p. 214 39 Mauro Palumbo, Elementi di una teoria generale della valutazione, in Claudio Bezzi – Mauro Palumbo (a cura di), “Strategie di valutazione. Materiali di lavoro”, Gramma, Perugia 1998, p. 37 264 dell’insieme delle azioni che caratterizzano la politica in esame e la scoperta della “razionalità di processo” che tale insieme sottende40 valutazione ‘pertinente’, ovvero in grado di intervenire Gli approcci alla valutazione variano a seconda delle effettive esigenze e capacità dei molteplici soggetti che, nell’ambito dei sistemi di formazione, sono chiamati a decidere, a programmare, ad allocare risorse, ecc. le esigenze di conoscenzainformazione e valutazione sono alquanto diversificate in funzione anche dei “livelli” organizzativi e decisionali della formazione. Rintracciare il livello di “pertinenza” delle diverse attività di valutazione è fondamentale se si desidera che queste risultino effettivamente funzionali al miglioramento del sistema. E per livello “pertinente” si deve intendere non tanto quello a cui vi è “interesse a conoscere” (processi, risultati, ecc.) quanto quello a cui corrisponde un decisore in grado di attivare, in seguito alla valutazione, gli opportuni correttivi, anch’essi variabili per natura e portata, a seconda dei vari livelli decisionali.41 il consenso nel progetto genera consenso nella valutazione Il momento “catartico” della valutazione, quello cioè che può indurre valutatori e valutandi ad un atteggiamento di reciproca collaborazione è comunemente individuato nell’azione progettuale. Ovvero, se vi è consenso comune sul progetto di intervento e, soprattutto, se il progetto non contiene zone d’ombra su obiettivi e mezzi, probabilmente anche il momento valutativo potrà diventare un momento solo moderatamente conflittuale.42 necessità di distinguere fra esito e impatto di una politica Per quel che concerne le politiche, intese come un complesso di interventi, coerenti con uno o più obiettivi o finalità, realizzate o coordinate da un operatore pubblico in risposta ad esigenze o bisogni della collettività, si richiama una prima distinzione, che corre tra esito (output) e impatto di una politica. Con il primo termine ci si riferisce ai risultati ottenuti da questa in rapporto agli obiettivi che si era prefissa; con 40 Domenico Lipari, La valutazione delle azioni pubbliche, “Il progetto”, n. 49, 1989, p. 57 41 Marinella Giovine, Modelli di valutazione della formazione: sperimentazione della analisi multicriteri come supporto alle decisioni, “Osservatorio Isfol”, n. 2, 1992, pp. 15-16 42 Aviana Bulgarelli - Marinella Giovine, Introduzione a A. Bulgarelli - M- Giovine - G. Pennisi, “Valutare l’investimento formazione”, F. Angeli, Milano 1990, p. 8 265 il secondo al reale effetto che ha provocato sull’ambito socio-economico o territoriale cui era destinata. È agevole notare che nel primo caso (analisi degli esiti) ai fini della valutazione, i risultati di una politica verranno confrontati con gli obiettivi che questa si è proposta; nel secondo (analisi dell’impatto) verrà invece analizzato il mutamento prodotto da questa politica nella realtà di riferimento nella quale è stata attuata. 43 partecipazione dei soggetti coinvolti e utilizzo programmato delle informazioni A livello metodologico l’evaluation non può prescindere dalle due seguenti condizioni: - la partecipazione diretta di tutti i soggetti coinvolti nel progetto o nell’organizzazione che si vuole valutare - l’utilizzazione programmata delle informazioni che si sono raccolte.44 la valutazione mette in luce l’azione di chi ha realizzato l’intervento il processo di valutazione [delle attività formative] presenta un carattere di reciprocità: se da un lato sembra riferirsi unicamente all’utenza ed ai fenomeni di impatto (soggettivo, economico, sociale), in realtà esso pone in luce l’azione di chi ha realizzato l’intervento e lo confronta con criteri di adeguatezza, conformità e coerenza.45 la valutazione in itinere come strumento manageriale Non si tratta di approvare o di convalidare le decisioni prese o le azioni effettuate, né, tanto meno, di esercitare una funzione di controllo o di verifica amministrativa o finanziaria. Le operazioni di valutazione on going devono fornire ai responsabili elementi di riflessione e proposte concrete, in funzione della problematica operativa, che permettano di migliorare o di riorientare, se necessario, la messa in opera dei quadri e dei programmi utilizzando le possibilità di modifica e di riorientamento delle azioni previste dai [quadri comunitari di sostegno] e dai [programmi operativi].46 43 Mauro Palumbo, La valutazione. Definizioni, concetti, obiettivi, in Claudio Bezzi (a cura di), “La valutazione della formazione professionale”, Irres, Perugia, 1995, p. 6 44 Maria Vittoria Sardella, Teoria e tecniche dell’evaluation. Per una cultura dell’efficienza e dell’efficacia nel sociale, Clup, Milano 1989, p. 31 45 Dario Nicoli, Valutazione delle attività formative, in L. Mauri - C. Penati - M. Simonetta, “Pagine aperte. La formazione e i sistemi informativi: strumenti per le politiche sociali”, F. Angeli, Milano 1993, p. 287 46 Josep Molsosa, Introduzione, in Isfol - Cee, “La valutazione nel Fondo Sociale Europeo. Metodologia di valutazione dei programmi operativi”, F. Angeli, Milano 1993, p. 20 266 obiettivi ultimi della valutazione, il miglioramento delle politiche pubbliche La valutazione ex post ha come finalità immediata l’analisi di efficacia ed efficienza dei programmi operativi; ma l’obiettivo ultimo consiste nel migliorare le politiche pubbliche creando nel contempo una cultura della valutazione intesa come processo di apprendimento distinto dal controllo amministrativo dei programmi.47 la valutazione di impatto sociale strumento di decisione e di democraticizzazione la Social impact analysis, come è noto, non è soltanto una metodologia della scienza sociale applicata ma anche una componente del policy-making process. Un’ulteriore caratterizzazione che deve essere sottolineata - e che non pare molto richiamata nella letteratura corrente – è quella che vede nella S.i.a. uno strumento di espansione del controllo democratico delle decisioni relative soprattutto alla formulazione ed alla implementazione di politiche pubbliche48 la valutazione serve alla decisione, e quindi identifica unità di analisi facilmente identificabili le metodologie di valutazione, ed al loro interno le metodologie di impact assessment, presuppongono assai semplicemente che gli impatti (dell’innovazione, della tecnologia, e così via) siano anzitutto identificabili; e d’altronde, tutte le metodologie di valutazione hanno come ratio quella di fornire strumenti operativi alla decisione politica, che è sempre selettiva, e quindi presuppone che fattori e variabili della situazione siano sufficientemente individuabili, ai livelli macro, meso e micro.49 la valutazione come tecnica previsionale Come procedimento analitico, la VT [Valutazione della Tecnologia] si configura come tecnica previsionale, finalizzata cioè esplicitamente a fornire ai politici le informazioni sulle prospettive offerte dalle nuove tecnologie, sui vantaggi e gli 47 Isfol - Cee, La valutazione nel Fondo Sociale Europeo. Metodologia di valutazione dei programmi operativi, F. Angeli, Milano 1993, p. 40 48 Fulvio Beato, Rischio e mutamento ambientale globale. Percorsi di sociologia dell’ambiente, F. Angeli, Milano 1993, p. 101 49 Leonardo Cannavò, Dentro la tecnologia. Per una metodologia integrata di valutazione sociale delle tecnologie, in: L. Cannavò (a cura di), “Studi sociali della tecnologia. Metodologie integrate di valutazione”, Euroma, Roma 1991, p. 19 267 svantaggi delle opzioni alternative, in una situazione in cui i costi impongono delle scelte, e in cui gli elettori si fanno sempre più diffidenti e attenti.50 la valutazione deve essere semplice, e resistere ai condizionamenti esterni coloro che partecipano ad una valutazione devono rifuggire dalla tentazione di condurre indagini i cui obiettivi siano eccessivamente ambizioni, poiché il loro compito fondamentale è quello di fornire ai responsabili che dovranno prendere decisioni su progetti/programmi, documenti contenenti informazioni rigorose, espresse in modo analitico e sistematico. Ovviamente, tali informazioni devono essere quanto più obiettive possibile ed estranee a condizionamenti di alcun tipo. Per varie ragioni, quest’ultima condizione è purtroppo tra le più difficili da ottenersi. Molto spesso, infatti, notevoli pressioni gravano sul valutatore, soprattutto per l’errato significato che talvolta viene attribuito al processo di valutazione.51 la valutazione ex ante strumento decisionale Lo scopo della valutazione ex ante è quello di fornire agli agenti interessati al processo di sviluppo uno strumento per decidere se e come eseguire un intervento.52 necessità di incrementare approcci partecipativi e ricerche sociali nella gestione dei rischi ambientali In conclusione, l’aver puntato tutto o troppo sulla conoscenza scientifico-tecnica e sulla scienza economica ha finito per creare un “pensiero debole” nella Amministrazione pubblica per quanto riguarda le politiche di gestione dei rischi ambientali e tecnologici. Un irrobustimento è pensabile mediante la strutturazione di linee di ricerca nel campo della innovazione politico-istituzionale in relazione ai processi partecipativi, informativi, di accettabilità e consenso della gente; di ricerche sociali nel campo della percezione dei rischi tecnologici; di ricerche psico-sociali sui mutamenti valoriali e culturali inerenti il rapporto uomo-ambiente; il potenziamento delle capacità di monitoraggio e lettura delle situazioni delle dinamiche sociali, sia a livello macro che micro-territoriale/sociale; di come si formano, cambiano e si 50 Camille Limoges - Alberto Cambrosio, La valutazione sociale delle tecnologie: punti di riferimento e prospettive di ricerca, in L. Cannavò (a cura di), “Studi sociali della tecnologia. Metodologie integrate di valutazione”, Euroma, Roma 1991, pp. 146-147 51 Antonio Volpi, Guida per la valutazione ex post dei programmi/progetti nel settore sanitario, in D. Fanciullacci - C. Guelfi - G. Pennisi, “Valutare lo sviluppo. Volume primo. Metodologia e tecnica della valutazione retrospettiva dei progetti”, Franco Angeli, Milano 1991, p. 358 52 Mario Martelli, Criteri generali di decisione, in D. Fanciullacci - C. Guelfi - G. Pennisi, “Valutare lo sviluppo. Volume secondo. Il processo decisionale”, F. Angeli, Milano 1991, p. 11 268 qualificano le preferenze (verso la politica, lo sviluppo, l’innovazione tecnologica, i processi decisionali, i rischi, ecc.), nonché l’individuazione di nuovi concetti e modi stessi di fare politica.53 le conoscenze prodotte dalla Valutazione di impatto sociale correlate al contesto decisionale l’esigenza (alla quale deve rispondere la Via) è produrre conoscenze utilizzabili in un contesto, cioè conoscenze strutturate in una forma che tiene conto degli inputs e delle esigenze proprie del contesto, che è un contesto decisionale.54 gli obiettivi del programma assunti come orientamento della valutazione La ricerca valutativa deve rispondere alla domanda “quanto efficace è il programma nel raggiungere i suoi obiettivi? In questo modo essa accetta la desiderabilità del raggiungimento di tali obiettivi. Nel verificare l’efficacia del programma, essa non solo accetta la giustezza degli obiettivi, essa tende anche ad accettare le premesse sottostanti al programma”. Tutto ciò significa che esiste un assunto implicito riguardante il particolare tipo di strategia di programma, considerata un modo ragionevole di affrontare il problema, dotato di possibilità di pervenire a soluzioni dello stesso.55 attraverso l’analisi dei risultati la valutazione studia il comportamento dei decisori La ricerca valutativa [può essere definita] come quel tipo di ricerca che studia il comportamento degli attori pubblici impegnati nella messa a punto di programmi di intervento o di attività e iniziative specifiche, attraverso la misurazione dei risultati ottenuti da un determinato programma in funzione degli obiettivi che lo hanno diretto, dei costi sostenuti e degli obiettivi perseguiti.56 differenze fra valutare per decidere e valutare per selezionare Anche restringendo il campo alla sola valutazione ex-ante, le attività non sembrano riconducibili all’interno di una definizione univoca. 53 Sergio Sartori, La percezione del rischio nella “Via”, in F. Beato (a cura di), “La valutazione di impatto ambientale. Un approccio integrato”, Franco Angeli, Milano 1991, p. 141 54 Renzo Marini, Gestione delle conoscenze e processi politico-decisionali: il caso della valutazione di impatto ambientale, in F. Beato (a cura di), “La valutazione di impatto ambientale. Un approccio integrato”, Franco Angeli, Milano 1991, p. 219 55 Lorenzo Bernardi - Tony Tripodi, Metodi di valutazione di programmi sociali, Fondazione Zancan, Padova 1981, p. 28 56 Francesca Zajczyk, Premessa, in Ibidem, “La valutazione delle politiche culturali. I musei in Lombardia: una realtà complessa”, Franco Angeli, Milano 1994, p. 9 269 Una distinzione, che pare particolarmente significativa è: quella tra “valutare per decidere” e quella tra “valutare per selezionare”. La prima si configura come un’attività di natura politico-economica; l’altra sembra definibile come un’attività di tipo tecnico-amministrativa con risvolti sulle procedure e sull’organizzazione del lavoro. Nel primo caso, il decisore pubblico si pone in una logica di tipo “imprenditoriale”: il grado di autonomia è maggiore e la scelta politico-tecnica si basa sulla osservazione ed interpretazione degli interessi e della scala di preferenze della collettività. La bontà delle scelte troverà una conferma - positiva o negativa - nei risultati conseguiti, misurabili a livello macro, nell’arco di un determinato periodo, e sarà altresì verificata in termini di consenso pubblico. Nel secondo caso l’autonomia è molto minore. Una volta determinate - più o meno arbitrariamente - le preferenze della collettività, si deve operare per massimizzare il contributo che i fondi pubblici apportano agli obiettivi definiti a priori; l’esigenza principale della collettività non è, quindi, quella di vedere correttamente interpretate le proprie preferenze, ma quella di essere garantita sulla trasparenza e sull’oggettività del processo di selezione delle iniziative da finanziare, in relazione alla massimizzazione dei risultati che si attendono da una determinata politica di intervento pubblico.57 approccio debole della valutazione e sua accettabilità Da molti anni la letteratura si è indirizzata verso un approccio “debole” al problema valutativo (aiuto alle decisioni), in grado di presentare concetti, strumenti e procedure che, in presenza di ambiguità e incertezze, tendono a rafforzare la conformità e la coerenza tra l’evoluzione del processo di decision making e i sistemi di valori e di obiettivi di coloro che sono coinvolti in questo processo. […]. Si noti, in particolare, che il passaggio dal decision making al decision aid comporta il progressivo abbandono del paradigma dell’ottimalità a favore della ricerca multicriteri del compromesso ottimale o soddisfacente, rendendo possibile in questo modo il superamento della separazione tra processi decisionali e valutazione. Gli argomenti sostenuti in passato per giustificare l’intrinseca debolezza e contraddittorietà di valutazioni che tentano di ricondurre il processo decisionale 57 Carlo Cipiciani - Edoardo Pompo, Valutare per selezionare. Alcune riflessioni sulla valutazione dei progetti attuativi dei programmi di spesa all’interno della pubblica amministrazione, “Rassegna Italiana di Valutazione”, n. 1, 1996 270 verso un sentiero di razionalità assoluta risultano a questo punto non più applicabili.58 valutazione e complessità L’evaluando ingloba, in maniera inestricabile e spesso non facilmente riconoscibile, la complessità sociale di cui è frutto la costi benefici permette di adottare il macro obiettivo del benessere della collettività il motivo per cui viene spesso proposto l’utilizzo di tecniche di tipo ACB [nella selezione dei progetti] forse si deve al fatto che essa non richiede la definizione esplicita di obiettivi nel processo di valutazione e selezione, in quanto fa riferimento ad un obiettivo che sovrasta tutti gli altri possibili: massimizzare il benessere della collettività. elementi importanti del disegno valutativo la valutazione deve essere considerata un processo che assume un carattere sempre originale, capace di definire disegni di raccolta delle informazioni sempre congruenti con le caratteristiche del processo decisionale che intende supportare. La definizione di tali disegni deve essere orientati da alcuni principi guida che attengono: i) alla consapevolezza che la valutazione deve consentire un giudizio. Un giudizio si basa sempre su aspetti valoriali ed informativi e le strategie informative rispondono a proprie regole di verifica della validità, ma la capacità informativa di un dato è fortemente ancorata al valore posto alla base del processo decisionale; ii) al controllo della qualità dei processi di valutazione. La qualità di un processi di valutazione è dato dalla sua capacità di influenzare concretamente i processi decisionali, di essere compatibile con i progetti di intervento e di produrre informazioni valide e attendibili; iii)alla combinazione dell'attendibilità con il costo della raccolta delle informazioni. Al crescere della attendibilità cercata cresce inevitabilmente il costo e la complessità del disegno di ricerca. Il ricercatore deve imparare a combinare due esigenze che spingono in direzione opposta, vale a dire la ricerca della massima affidabilità e la necessità di occupare poche risorse.59 58 Claudio Virno, Note sulla nuova programmazione degli investimenti pubblici e sull’utilizzo di tecniche valutative, “Rassegna Italiana di Valutazione, a. VII, n. 25, 2003, pp. 24-25 59 Giovanni Bertin, La valut-azione come strategia di gestione dei servizi sociali e sanitari, “Rassegna Italiana di Valutazione”, n. 3, 1996 271 centralità dell’efficacia della politica pubblica nella valutazione strategica Sotto il profilo metodologico acquisiscono centralità il concetto di “politica pubblica”, quale unità di analisi attraverso cui interpretare l’azione amministrativa; e di efficacia, quale dimensione principale per l’elaborazione di giudizi sull’andamento delle politiche. Una politica pubblica è messa in opera per cambiare lo stato naturale o l’evoluzione di una realtà economica, sociale o fisica; in questo senso, essa contiene un’interpretazione dei problemi rilevati e un’ipotesi che lega attività e prodotti, da un lato, e gli impatti auspicati dall’altro. In altre parole, la definizione di politica pubblica introduce il concetto di “efficacia” quale dimensione essenziale della valutazione: il giudizio relativo al successo o all’insuccesso di una politica ha a che fare, cioè, con la sua capacità di trasformare nella direzione voluta lo stato della situazione-problema; solo a partire dall’analisi dell’efficacia possono trovare poi significato le indagini sull’efficienza e l’economicità. Sotto il profilo dell’analisi, inoltre, ciò comporta che i fenomeni da sottoporre a valutazione siano quelli per i quali è possibile argomentare che il loro mutamento sia effettivamente condizionato dalle azioni attuate.60 la valutazione di programma deve tenere conto del contesto che, mutando, interviene sul processo Un approccio alla valutazione di programma che insista sull’analisi e l’interpretazione del cambiamento implica un’attenzione particolare al processo attraverso il quale esso viene a definirsi; un processo dove informazioni e conoscenze portano a nuove soluzioni, in termini di attività e organizzazione. Di qui l’interesse ad analizzare quali fattori condizionino lo svolgimento del processo, ossia lo favoriscano o lo ostacolino e lo orientino verso alcune opportunità e forme piuttosto che verso altre. Sono proprio tali caratteristiche che impediscono di condurre un’analisi d’impatto del programma di tipo canonico, in cui l’impatto netto è calcolato come differenza fra l’impatto lordo, ossia la differenza fra “prima e dopo”, e l’evoluzione tendenziale dell’ambiente di riferimento. L’osservazione a livello di sistema è stata dunque 60 Bruno Dente – Giancarlo Vecchi, La valutazione e il controllo strategico, in Giovanni Azzone – Bruno Dente (a cura di), “Valutare per governare. Il nuovo sistema dei controlli nelle Pubbliche amministrazioni”, Etas, Milano 1999, pp. 13-14 272 condotta tenendo ben presente la molteplicità di interrelazioni fra l’ambiente, con la propria dinamica, e il sistema costituito dal processo di attuazione del programma PARTECIPAZIONE democrazia e valutazione partecipata Quando si tratta di istituzioni democratiche elettive, o quando il campo d’azione considerato è popolato da molti attori e relativi interessi, l’esigenza che la valutazione sia trasparente, esplicita, anche partecipata è più forte61 imprescindibilità della partecipazione nella valutazione in campo sociale L’azione di valutazione in campo sociale non può prescindere dal coinvolgimento degli attori, poiché infatti siamo in un settore nel quale “si producono” benessere, autonomie, soddisfazioni, relazioni significative fra persone; questi elementi non sono valutabili esclusivamente attraverso indicatori oggettivi ma attraverso la messa in comune di diverse soggettività, confrontate con riscontri oggettivi.62 partecipazione priva di connotazioni ideologiche la scelta a favore della partecipazione non è in sé legata a motivazioni ideologiche o ideali: la vera spinta è la ricerca della maggiore efficacia dell’intervento nell’interesse di tutti gli attori in campo63. la partecipazione in valutazione ha ragioni pragmatiche, non etiche le ragioni della partecipazione non sono di tipo etico (o non principalmente di tipo etico), ma di tipo pragmatico: solo il coinvolgimento di una pluralità di attori assicura che le scelte effettuate saranno non solo corrette (cioè coerenti con i loro bisogni), ma anche praticabili (cioè coerenti con le loro disponibilità all’azione).64 circolo virtuoso della valutazione partecipata che costruisce processi veri perché costituiti su premesse condivise All’interno delle “strategie della fiducia” che spesso si innescano nei processi di valutazione partecipata, le dimensioni cognitive e pragmatiche finiscono per 61 Emanuele Ranci Ortigosa, Introduzione, in Ugo De Ambrogio (a cura di), “Valutare gli interventi e le politiche sociali”, Carocci, Roma 2003, p. 13 62 Ugo De Ambrogio, Valutazione e forme di coinvolgimento e partecipazione, in Ugo De Ambrogio (a cura di), “Valutare gli interventi e le politiche sociali”, Carocci, Roma 2003, p. 47 63 Ugo De Ambrogio, Valutazione e forme di coinvolgimento e partecipazione, in Ugo De Ambrogio (a cura di), “Valutare gli interventi e le politiche sociali”, Carocci, Roma 2003, p. 51 64 Mauro Palumbo, La valutazione partecipata e i suoi esiti, “Rassegna Italiana di Valutazione, a. VII, n. 25, 2003, p.72 273 rafforzarsi a vicenda, dal momento che la conoscenza è vera se viene riconosciuta come tale dagli attori e quindi usata, divenendo vera perché usata. Una sorta di inversione del teorema della profezia che si autoadempie (il cosiddetto Teorema di Thomas), per cui se sono reali le conseguenze di una certa interpretazione della situazione, allora questa interpretazione è vera (e in cui la realtà delle conseguenze deriva dalla fiducia nelle premesse pragmatiche dell’azione, premesse alla cui produzione hanno attivamente cooperato gli attori).65 la verifica e revisione della qualità è una valutazione delle prestazioni senza finalità sanzionatorie La Verifica e revisione della qualità si presenta come un mezzo di concreta valutazione della qualità delle prestazioni per migliorarle nell’interesse dei medici e dei cittadini, lontano da ogni aspetto fiscale, disciplinare o comunque sanzionatorio dell’attività dei medici66. la valutazione come strumento di protezione dei più deboli [Nei servizi sociali e sanitari] Difficilmente la valutazione viene vista nella sua funzione fondamentale di protezione e di tutela dei diritti dei cittadini, soprattutto di quelli più deboli.67 la valutazione serve all’utilizzatore primario Per sottolineare come questi compiti [di valutazione strategica] costituiscano uno strumento di supporto per il governo delle politiche e delle istituzioni, gli uffici e i soggetti preposti a tali compiti debbono riferire in via riservata agli organi di vertice politico. In altre parole i risultati delle attività non sono realizzati a fini di pubblicizzazione o di accounting verso terzi esterni, bensì allo scopo di produrre risorse informative e conoscitive per attività di direzione politico-amministrativa68 interesse pubblico e dimensione etica della valutazione l’interesse pubblico dovrebbe costituire il criterio rispetto a cui viene espresso il giudizio del valutatore sull’azione. 66 Sandro Spinsanti, La qualità nei servizi sociali e sanitari: tra management ed etica, “Servizi sociali” (monografico su “La qualità nei servizi sociali e sanitari”), Fondazione E. Zancan, n. 3, 1995, p. 10 67 Tiziano Vecchiato, La valutazione: livelli e condizioni, “Servizi sociali” (monografico su “La qualità nei servizi sociali e sanitari”), Fondazione E. Zancan, n. 3, 1995, p. 18 68 Bruno Dente – Giancarlo Vecchi, La valutazione e il controllo strategico, in Giovanni Azzone – Bruno Dente (a cura di), “Valutare per governare. Il nuovo sistema dei controlli nelle Pubbliche amministrazioni”, Etas, Milano 1999, p. 23 274 Ci si chiede se oltre a scegliere come muoversi tra scopi descrittivi (cosa è successo), esplicativi (perché è successo) o interpretativi (cosa significa quello che è successo), il ricercatore possa aggiungere alla sua ricerca valutativa – giusta la sua etimologia – una dimensione etico-normativa (ha valore, è buono, è giusto quello che è successo). a causa della presenza di diversi attori con interessi in conflitto, è necessario mediare e negoziare tra di essi, ma per farlo occorre far intervenire dei principi di interesse generale.69 differenze fra uso interno (miglioramento) ed esterno (trasparenza) della valutazione L’informazione ottenuta attraverso la valutazione può essere destinata all’interno (a chi, cioè, promuove e attua l’intervento) o all’esterno (ovvero a chi, pur non essendo il promotore o l’attuatore, è ugualmente interessato all’azione). Nel caso di valutazione ad uso interno, la volontà di comprendere le meccaniche delle azioni può essere, in primo luogo, funzionale al miglioramento del processo decisionale ed attuativo al fine di rendere l’azione sempre più efficace. In secondo luogo la valutazione ad uso interno, e quindi la comprensione dell’azione, risulta funzionale alla possibilità di riconoscere gli ingredienti efficaci della politica in questione, ovvero gli aspetti cruciali su cui focalizzare particolare attenzione e risorse al fine di avvicinarsi il più possibile ai risultati desiderati, sia su varianti della stessa politica, sia in altri contesti. L’uso esterno della valutazione è solitamente collegato alla volontà di capire il funzionamento dell’azione e all’idea di favorirne la trasparenza. La valutazione diventa allora procedura di interazione con le rappresentanze di interessi e con l’utenza potenziale e si trasforma così in strumento di mediazione e di contrattazione molto rilevante nel momento in cui si pongono problemi di accettazione e di consenso70 specificità della costi benefici sociale La differenza tra il processo di decisione a livello di impresa commerciale e la pianificazione dei progetti pubblici a favore della collettività è dunque semplice, ma importante. La seconda è generalmente più complessa della prima e non può servirsi 69 Nicoletta Stame, L’esperienza della valutazione, Ed. SEAM, Roma 1998, pp. 17-18 70 Piera Magnatti, Politiche comunitarie e opzioni di valutazione: metodi, strumenti, applicazioni operative per un programma integrato mediterraneo, in Claudio Bezzi – Mauro Palumbo (a cura di), “Strategie di valutazione. Materiali di lavoro”, Gramma, Perugia 1998, pp. 164-165 275 degli stessi metodi. L’approccio dell’analisi costi-benefici sociale tende per l’appunto a sistematizzare i complessi problemi della pianificazione dei progetti dal punto di vista della società o della nazione.71 la valutazione di impatto ambientale come processo di trasparenza modificabile La Valutazione di Impatto Ambientale non solo può garantire la centralità delle previsioni delle conseguenze ambientali come supporto alle decisioni, ma trasforma il meccanismo di elaborazione ed autorizzazione degli interventi in un processo chiaro, trasparente, reversibile e modificabile. Occorre, chiaramente, tenere sempre presente che si tratta di una procedura tecnicoamministrativa e che come tale risente di tutti i limiti insiti in uno strumento di questo tipo, soprattutto in termini di semplificazione e di modellizzazione di realtà molto più complesse e di complicata e difficile investigazione. La carica di innovazione di questa procedura può essere meglio compresa se la si confronta con le procedure similari che ha il compito di sostituire od integrare. Bisogna, infatti, porre attenzione soprattutto alla sua complessità di compimento, alla molteplicità dei soggetti attori nei diversi passaggi, alla necessità di ricomposizione delle relazioni tra momenti conoscitivi, partecipativi, valutativi ed informativi.72 la valutazione di impatto ambientale come elemento di democrazia la procedura di Valutazione di impatto ambientale può essere riportata al problema della “democrazia amministrativa”73 valutazione come giudizio di valore e ruolo della popolazione target Valutare significa esprimere dei giudizi di valore in merito alla maggiore o minore rilevanza di ciascuno degli elementi che entrano a far parte del giudizio, in merito alla selezione stessa di tali elementi e in generale in merito alla definizione delle componenti che vanno a determinare la qualità della vita delle comunità. A questo proposito è bene ricordare che, se esiste un generale interesse ad un corretto inserimento nell’ambiente di manufatti e attività, più immediati e spesso pressanti sono gli interessi di coloro (comunità locali, operatori economici, singoli individui) 71 Partha Dasgupta - Amartya Sen - Stephen Marglin, Guida per la valutazione dei progetti. Manuale Unido, Formez, Napoli 1985, p. 15 72 Ministero della Pubblica Istruzione, Direzione Generale dell’Istruzione Professionale - Isfol, Manuale di autoaggiornamento sulla Valutazione di Impatto Ambientale e l’Educazione Ambientale, a cura di Rita Ammassari - Maria Teresa Palleschi, Isfol, Roma 1993, p. 28 73 Nicola Greco, L’incerto cammino della Via: Lo stato dell’arte in Europa e in Italia, “Economia pubblica”, n. 4-5, 1994, p. 187 276 che subiscono in prima persona le conseguenze negative di una determinata attività o di un impatto, senza necessariamente goderne i maggiori benefici e soprattutto senza potere solitamente effettuare (per carenza informativa), esprimere (per carenza di mezzi comunicativi) e far pesare (per carenza di mezzi giuridici) un proprio personale bilancio dei costi e dei benefici dell’operazione.74 la valutazione come strumento di miglioramento dei programmi La valutazione è uno strumento atto a migliorare la conoscenza dei programmi da parte degli interessati. Così i responsabili dei programmi formativi imparano a gestirli, ad adeguarli ai propri obiettivi, alle necessità del momento e al contesto che muta costantemente.75 ruolo della ricerca valutativa nella riduzione dello svantaggio sociale e nell’innovazione La ricerca valutativa si è affermata come disciplina autonoma occupandosi dei programmi di intervento sociale intesi in un’accezione ristretta, ovvero di quegli interventi che mirano a modificare le condizioni di svantaggio di segmenti più o meno ampi di popolazione, oppure di quelli che si propongono come innovazioni nel governo della società.76 la V.i.a. come strumento di democrazia diretta La valutazione dell’impatto ambientale [è] soprattutto uno strumento, una procedura di democrazia diretta.77 compresenza di componenti conoscitive, partecipative e decisionali diverse nella Valutazione di impatto ambientale; ruolo della partecipazione dei cittadini Pur nella grande varietà delle soluzioni adottate e delle differenti “culture” in materia, è possibile, individuare importanti elementi comuni di caratterizzazione dei processi di V.i.a., in particolare la compresenza di componenti conoscitive, partecipative e amministrativo-decisionali, con il coinvolgimento di diverse figure 74 Alberto Gasparini - Gilberto Marzano - Luigi Pellizzoni, Un approccio collaborativo alla Via, in: A. Gasparini - G. Marzano, “Tecnologia e società nella valutazione di impatto ambientale”, F. Angeli, Milano 1991, pp. 42-43 75 Isfol - Cee, La valutazione nel Fondo Sociale Europeo. Metodologia di valutazione dei programmi operativi, F. Angeli, Milano 1993, p. 42 76 Angelo Saporiti, La ricerca valutativa: un’introduzione alla valutazione dei programmi socio-sanitari, in P. Donati (a cura di), “Manuale di sociologia sanitaria”, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1987, p. 203 77 Giuseppe Fiengo, La Via come strumento di estensione della democrazia partecipativa, in F. Beato (a cura di), “La valutazione di impatto ambientale. Un approccio integrato”, Franco Angeli, Milano 1991, p. 69 277 tecnico-scientifiche e istituzionali e molteplici soggetti sociali, nella direzione di un tendenziale riequilibrio delle istanze di sviluppo e delle istanze di salvaguardia dei beni ambientali, attuabile attraverso il confronto tra tematiche tecnico-scientifiche, interessi delle parti coinvolte e “razionalità” normativo-procedurale. Tra gli aspetti più interessanti e innovativi merita di essere sottolineata la partecipazione dei cittadini al processo valutativo. Alcuni autori, infatti, ne sottolineano giustamente l’importanza “non tanto come mezzo per verificare e/o conquistare il consenso, quanto come strumento di vera e propria programmazione partecipativa”78. la valutazione di impatto sociale come previsione e pianificazione La valutazione di impatto sociale si presenta come una metodologia di previsione e di pianificazione degli impatti specificatamente sociali di programmi, progetti e politiche che si inserisce in un processo decisionale democratico il quale si pone nell’ottica specifica segnata dagli obiettivi-scopi di massimizzare gli impatti positivi e di mitigare/lateralizzare gli impatti negativi.79 qualità nel sistema prodotta da una valutazione centrata sull’informazione obiettivo maggiormente positivo [della valutazione] è quello di accrescere un’autocoscienza impegnata, basata sull’informazione diligentemente raccolta e sul controllo dinamico delle azioni del progetto/programma.80 la valutazione di impatto ambientale come strumento di controllo democratico La V.I.A., sin dall’inizio, si configura sia come strumento di controllo democratico sulle azioni sull’ambiente che come mezzo per ottimizzare le stesse azioni.81 valutazione della qualità socio-sanitaria micro e macro E’ fuori dubbio che nel valutare la qualità [nei servizi socio-sanitari] ci si debba muovere a livello micro, cioè di monitoraggio delle performance, all’interno delle condizioni strutturali date. A questo livello due sarebbero i momenti fondamentali: 78 Manlio Maggi, Le dimensioni sociali negli studi di impatto ambientale dei grandi impianti energetici, in F. Beato (a cura di), “La valutazione di impatto ambientale. Un approccio integrato”, Franco Angeli, Milano 1991, p. 104 79 Fulvio Beato, Il “Wolf’s paradigm” e la differenziazione sociale degli impatti, in Ibidem (a cura di), “La valutazione di impatto ambientale. Un approccio integrato”, Franco Angeli, Milano 1991, p. 170 80 Claudio Bucciarelli, Come valutare. La necessità di un approccio sistemico, in Censis, “Speciale valutazione”, “Note e commenti” n. 1/2, 1991, p. 18 81 Giandomenico Amendola, Prevedere per valutare. Gli spazi della sociologia nella valutazione di impatto ambientale, in F. Martinelli (a cura di), “I sociologi e l’ambiente”, Bulzoni, Roma 1989, p. 174 278 1) l’autovalutazione fra pari (peer review), con le grandi potenzialità di tale approccio ed anche i rischi di autoreferenzialità (gli altri attori relegati al ruolo di “rumori d’ambiente”); 2) la rilevazione della soddisfazione dei pazienti (customer satisfatcion), tramite appositi sondaggi, sempre più diffusi, ma spesso superficiali, affrettati, insoddisfacenti. Già inizia a sorgere qualche dubbio sul fatto che la valutazione della qualità debba imbarcarsi anche nel livello macro, cioè se debba occuparsi del system design, di quell’insieme costituito da strutture, legislazione, risorse complessive, sistema di formazione, ecc. Non occuparsi di questo livello equivarrebbe ad accettare le condizioni date come immodificabili, o modificabili solo per iniziativa di altri attori, diversi da quelli che valutano o promuovono la valutazione della qualità valutazione partecipata senza ideologismi Alla valutazione partecipata va attribuito un elemento di innovazione che la caratterizza anche rispetto a esperienze partecipative del passato (in particolare ci riferiamo alla partecipazione spontaneistica tipica degli anni settanta); tale elemento è il fatto che la scelta a favore della partecipazione non è in sé legata a motivazioni ideologiche o ideali, né tantomeno all’esigenza di arginare potenziali conflitti: la vera nuova spinta è la ricerca della maggiore efficacia dell’intervento nell’interesse di tutti gli attori in campo.82 rigore metodologico per la valutazione partecipata un’efficace valutazione partecipata deve essere affrontata con molta attenzione metodologica83 costruzione partecipata delle domande valutative l’oggetto della valutazione non è qualcosa di già dato, ma lo si deve costruire tra i vari attori, in un processo che parte dalla stessa domanda di valutazione. In ogni valutazione, infatti, committente, valutatore (esterno ed interno) e altri stakeholders decidono quali sono gli aspetti critici da sottoporre a valutazione, e quali domande formulare di conseguenza84. 82 Ugo De Ambrogio, La valutazione partecipata nei servizi sociali. La descrizione di un approccio attraverso alcuni esempi concreti, “Rassegna Italiana di Valutazione”, nn. 17/18, gen-giu 1999, p. 59 83 Ugo De Ambrogio, La valutazione partecipata nei servizi sociali. La descrizione di un approccio attraverso alcuni esempi concreti, “Rassegna Italiana di Valutazione”, nn. 17/18, gen-giu 1999, p. 60 84 Nicoletta Stame, Tre approcci principali alla valutazione: distinguere e combinare, in Mauro Palumbo, “Il processo di valutazione. Decidere, programmare, valutare”, Franco Angeli, Milano 2001, p. 45 279 La definizione dei bisogni deve essere co-prodotta da diversi attori sociali hanno una certa rilevanza le modalità di misurazione dei bisogni cui un intervento o una politica intende rispondere. Si tratta di un problema epistemologico, metodologico e politico, prima ancora che tecnico. Infatti, una definizione "oggettiva" di bisogni da cui trarre spunto per la loro misurazione è inattingibile non solo per ragioni epistemologiche (ci si riferisce all'improponibilità di un "punto centrale di osservazione" su cui poter fondare l'oggettività della scienza, com'è ormai convinzione corrente nell'epistemologia contemporanea; cfr. Giddens 1976), ma anche per ragioni politiche, in quanto sarebbe comunque partigiano proporre un "punto di vista del cittadino" contrapposto a quello delle istituzioni. Questa posizione comporterebbe poi, come ulteriore aggravante, il rischio di una posizione "fondamentalista" da parte di un valutatore che pretenda di erigersi a unico interprete autorizzato dei "veri" bisogni della popolazione (cfr. sul tema Palumbo 1993). I bisogni andrebbero più correttamente visti come risultato di una coproduzione dei decisori e dei destinatari delle politiche, mediata dal comune sistema socio culturale di appartenenza e dalle procedure operative grazie alle quali la definizione di bisogni prende corpo85 la valutazione è per sua natura partecipativa La valutazione, per sua natura, rappresenta un bene da partecipare. Può essere condiviso a diversi livelli: in sede di singolo intervento con i suoi destinatari; a livello di servizio con le parti in gioco interne ed esterne; a livello istituzionale, con i suoi referenti gestionali, professionali e sociali. il coinvolgimento attivo dei cittadini (people raising) nell’analisi partecipata della qualità Attraverso il people raising, si intende conseguire l’obiettivo di reclutare un determinato numero di persone, dotate di caratteristiche tali da realizzare l’attività di APQ (Analisi Partecipata della Qualità) prevista per l’analisi di qualità sul campo, disponibili a sottoporsi ad un addestramento e a produrre un determinato numero di ore-uomo di lavoro. Il people raising non serve come escamotage per trovare forzalavoro a costo zero, ma si fonda sulla valorizzazione dei ruolo dei cittadini in quanto tali, osservando e mettendo a fuoco, a partire dal loro punto di vista, aspetti della 85 Mauro Palumbo - Michela Vecchia, La valutazione: teoria ed esperienze, "Rassegna Italiana di Valutazione", n. 4, 1996 280 realtà sanitaria connessi all’analisi della qualità e che altrimenti potrebbero sfuggire86. centralità dei cittadini e utenti nella valutazione dei servizi, e ruolo degli operatori Se, per molto tempo, gli operatori sono stati più attivi degli altri due soggetti nel produrre una riflessione critica e sistematica sul modo in cui si lavora nel servizio, sulle priorità e i bisogni del territorio, sui risultati ottenuti e che si potrebbero ottenere, bisogna riconoscere che, di recente, anche cittadini e utenti hanno cominciato a organizzarsi, a fare inchieste, a interloquire con gli operatori, a esprimere valutazioni in merito alla qualità dei servizi. Siamo di fronte a un protagonismo nuovo che può rompere il dialogo autoreferenziale che si svolge nel chiuso delle riunioni d’équipe. Esso può e deve essere incoraggiato, individuando quali sono i terreni e gli strumenti più appropriati per consentire il dialogo con gli addetti ai lavori. I cittadini e gli utenti, infatti, poiché sono i destinatari ultimi di tutto l’intervento, vanno messi al vertice della valutazione, nel senso che il loro punto di vista dovrebbe rappresentare il criterio orientativo prioritario al quale dovrebbe subordinarsi quello dei professionisti e degli amministratori. Tuttavia, questo principio è difficile da mettere in pratica. Nella realtà, l’utenza si presenta con interessi contraddittori e sfaccettati, si esprime in modo incompleto e parziale e, anche quando si esprime in modo diretto, il suo giudizio richiede un’opera di interpretazione. Basti pensare al modo diverso di valutare la qualità di un intervento in comunità da parte del tossicodipendente e dei suoi familiari, o la qualità dell’inserimento a scuola di un disabile da parte degli insegnanti, dei compagni di classe, dei suoi genitori e degli altri genitori. Si è già visto come spetti all’operatore far evolvere la domanda del cliente e rielaborarla mediante una relazione costruttiva con l’interessato. In alcuni servizi ciò è più evidente quando il problema sociale si configura come un’incapacità del soggetto a interpretare i propri bisogni e a perseguire salute e benessere. Tuttavia, l’intervento sociale non può prescindere dal protagonismo dei soggetto a cui si rivolge e deve impegnarsi costantemente per accrescerne la contrattualità. L’efficacia stessa dell’intervento, infatti, ne verrebbe compromessa; di qui l’interesse congiunto degli utenti e degli operatori a sviluppare la capacità degli utenti di valutare la qualità 86 Luciano d’Andrea - Giancarlo Quaranta - Gabriele Quinti, Manuale tecnico dell’Analisi Partecipata della Qualità, Laboratorio di Scienze della Cittadinanza, Roma 1996, p. 143 281 del servizio a cui si rivolgono. In questo senso la valutazione va vista come un processo che attiva gli interlocutori, li educa al dialogo e li fa crescere nel confronto. Ciò vale anche per gli amministratori che operano le scelte strategiche e distribuiscono le risorse ai servizi87 valutazione della qualità dei servizi attraverso metodi pluralisti e ‘leggeri’ Quando gli interessi del soggetto non coincidono con quelli dei familiari o conviventi (accade quasi sempre e non solo nei nuclei problematici, bambini maltrattati, malati di mente, ecc.) e il servizio prende in carico sia i bisogni del soggetto che quelli del suo intorno sociale, in sede di valutazione della qualità è necessario tener conto della trasformazione dei bisogni di tutti, in chiave sistemica; una misurazione isolata e puntuale della soddisfazione di questo o quel soggetto potrebbe condurre a conclusioni fuorvianti. La qualità del servizio, in alcuni casi, consiste proprio nella sua capacità generativa, di procurare benessere all’assistito principale, sostenendo la sua rete di aiuti. Dunque per misurare la qualità realmente prodotta dai servizi (pubblici, privati, convenzionati) servono metodi trasparenti, capaci di dare visibilità e concretezza al “plusvalore” aggiunto: metodi leggeri, economici, che sostengano il lavoro degli operatori anziché penalizzarli con adempimenti burocratici inutili; infine, metodi pluralisti, che tengano conto dei diversi punti di vista, secondo un approccio sistemico.88 coinvolgimento degli attori e trasparenza informativa nella valutazione della qualità sanitaria la valutazione tende a coinvolgere gli stessi attori in un processo di innovazione e qualificazione del servizio, che necessita di un punto di riferimento, di confronto, che può essere offerto dalle performances dello stesso servizio in tempi precedenti, o di quelle di servizi analoghi. La valutazione implica infatti una finalità di miglioramento basato sulla trasparenza delle informazioni, la responsabilizzazione degli attori, la collaborazione fra di loro89 coinvolgimento degli attori rilevanti come esercizio di significazione 87 Paola Piva, La valutazione dei servizi sociali territoriali, "Rassegna Italiana di Valutazione", n. 6, 1997 89 Emanuele Ranci Ortigosa, La qualità nei servizi sanitari, in Emanuele Ranci Ortigosa (a cura di), “La valutazione di qualità nei servizi sanitari”, Franco Angeli, Milano, 2000, pp. 21-22 282 La negozialità della valutazione è riflessione sul processo decisionale, è un esercizio di significazione, di attribuzione di senso alle componenti del processo decisionale e realizzativo (stakeholder e loro azioni), e questa riflessione porta a definizioni operative specifiche che devono certamente comprendere il coinvolgimento di gruppi di attori sociali rilevanti. natura delle informazioni valutative e sue conseguenze questa comprensione [delle logiche degli attori sociali rilevanti] ha a che fare con le informazioni fornite dagli stakeholder, ma più ancora con le modalità di produzione di quegli stessi dati, perché è in queste, e non nelle informazioni brute (sempre opinabili, camuffabili, oppure estranee agli stessi stakeholder che le hanno prodotte), che si cela la possibilità di ricostruire gli obiettivi reali dei programmi e interventi sottoposti a valutazione; ma poiché le informazioni e la loro produzione sono parte di un processo di significazione, la negoziazione fra stakeholder e la conseguente comprensione valutativa avviene sul terreno dei segni e dei significati, ovvero su un campo semantico Mettere in grado l’utente di valutare L’utente va dunque messo nella condizione di porsi come soggetto di valutazione, fornendogli sia informazioni sia un minimo di competenze tecniche che lo pongano in grado di giudicare correttamente almeno alcuni aspetti di base, sia fornendogli formalmente i canali istituzionali in cui esprimersi, in cui partecipare.90 90 Leonardo Altieri, Verso una valutazione come negoziazione in un pluralismo di valori/interessi, in Costantino Cipolla, Guido Girelli e Leonardio Altieri, “Valutare la qualità in sanità”, Franco Angeli, Milano 2002, p. 107 283 3.3. Valutazione e sapere sociologico La crisi dei modelli burocratici ha reso pressante la necessità di centrare il funzionamento delle organizzazioni sul controllo dei risultati prodotti. L’incertezza che caratterizza i processi decisionali ha reso indispensabile l’attivazione e l’uso di meccanismi informativi capaci di valutare gli effetti realmente prodotti dall’azione organizzativa. La valutazione è diventata così elemento imprescindibile del processo decisionale, perseguito attraverso la costruzione di disegni di ricerca compatibili con le dinamiche che regolano il funzionamento di una organizzazione. Per una corretta definizione di una teoria della valutazione si dovrebbero opportunamente assemblare le riflessioni teoriche di chi svolge l’analisi organizzativa con i problemi metodologici di chi si occupa di ricerca sociale. L’obiettivo è allora quello di trovare un terreno comune di riflessione fra teoria sociologica e metodologia della ricerca sociale, fra riflessione teorica e gestione concreta dei processi decisionali. Vi sono tante valutazioni ed altrettanti sforzi di formulare definizioni esaurienti, la difficoltà poi di trovare un paradigma unico in un settore come quello valutativo in cui vi sono piani e livelli diversi, linguaggi e contributi disparati, porta spesso gli autori a definire preliminarmente il proprio contesto, ognuno il suo! Tuttavia l’uso di una definizione preliminare appare molto utile poiché fornisce indicazioni ed aiuta nella riflessione e nello sviluppo del ragionamento. La valutazione nasce in un contesto decisionale che giustifica e motiva la necessità di un processo cognitivo finalizzato ad individuare criteri di scelta, a ridurre la complessità, a riflettere sulla qualità delle azioni sociali organizzate. Il contesto decisionale non solo giustifica la necessità di una valutazione, ma ne orienta anche l’organizzazione, questo perché diversamente dalla ricerca pura, lo scopo della valutazione è di trovare una risposta a problemi concreti, operativi, ed anche se non esplicitamente rientra sempre in un contesto di decisione. Ma cosa è la valutazione? secondo Carol Weiss e similmente per Patton M.Q: la valutazione è l’analisi sistematica del processo e/o del risultato di un programma o politica, comparato ad un set di standard impliciti o espliciti, allo scopo di 284 contribuire al miglioramento del programma o politica, per formulare giudizi, migliorarne l’efficacia e indirizzare decisioni sulla futura programmazione.1 Una definizione più completa è quella fornita da Michael Scriven: il significato principale del termine ‘valutazione’ si riferisce al processo di determinazione della qualità, valore materiale e valore simbolico di qualche cosa, o al prodotto di tale processo. Il processo valutativo comprende normalmente l’identificazione di standard apprezzabili di qualità; qualche indagine sulle performance degli evaluandi rispetto a tali standard e ulteriori integrazioni o sintesi dei risultati per ottenere una valutazione globale.2 Per Rossi, Freeman e Lipsey, la valutazione è: essenzialmente uno sforzo di raccolta e interpretazione di informazioni che cerca di rispondere ad una determinata serie di domande sul comportamento e sull’efficacia di un programma.3 In queste definizioni si nota una accentuazione del concetto di ricerca come raccolta e analisi di informazioni, si potrebbe parlare di definizioni “metodologiche”. Nelle definizioni degli autori italiani si sottolinea invece l’accentuazione alla scientificità della valutazione, quasi per accreditarne l’affidabilità, e la imprescindibilità dalla presenza dei valori. Cosi Lipari afferma che il valutare è: un atto che implica, nei casi di maggiore complessità, raccolta di informazioni, analisi e riflessione, tendente alla formulazione di giudizi di valore su un oggetto, su una situazione o su un evento.4 Altieri L. e Bernardi L. intendono per ricerca valutativa l’uso di metodi e tecniche della ricerca scientifica allo scopo di esprimere valutazione. Valutazione come processo di determinazione dei risultati ottenuti con una specifica attività, intrapresa per raggiungere un obiettivo avente un valore. Più specificamente ritengono che essa consista nello studio delle conseguenze previste e non previste, desiderabili e non desiderabili, dei programmi di attività predisposti per ottenere un cambiamento sociale programmato.5 1 Weiss H.Carol, Evaluation, Prentice Hall, Upper Saddle River, N.J. 1998 Patton Michael Quinn, Utilization-focused Evaluation, Sage, Beverly Hills, CA, 1988. 2 Scriven Michael, Types of Evaluation and Ttypes of Evaluator, Evaluation Practice, n.17, 1997 Rossi Peter, Freeman Howard E. Lipsey Mark W., Evaluation. A systematic approach, Sage, Thousand Oaks, CA, 1999. 4 Lipari Domenico, Progettazione e valutazione nei processi formativi, Edizioni Lavoro, Roma, 1995 5 Altieri Leonardo, La ricerca valutativa negli interventi sociali, in “Nuovo manuale della ricerca sociologica”, a cura di Paolo Guidicini, F.Angeli, Milano, 1987. Bernardi Lorenzo, Metodi di valutazione di programmi sociali, Fondazione Zancan, Padova, 1981 3 285 Più ampia e articolata è la definizione di Stame N.: valutare significa analizzare se un’azione intrapresa per uno scopo corrispondente ad un interesse collettivo abbia ottenuto gli effetti desiderati o altri, ed esprimere un giudizio sullo scostamento che normalmente si verifica, per proporre eventuali modifiche che tengano conto delle potenzialità manifestatesi. La valutazione è quindi una attività di ricerca sociale al servizio dell’interesse pubblico, in vista di un processo decisionale consapevole: si valuta per sapere non solo se un’azione è stata conforme ad un programma esistente, ma anche se il programma è buono. Si tratta di un procedimento messo in moto da una domanda di valutazione da parte di un committente pubblico. Esso si articola in un disegno della valutazione e una ricerca empirica; e infine sfocia in una discussione dei risultati e una proposta al pubblico.6 Benché più complessa tale definizione risulta tuttavia incompleta in quanto si riferisce solo alla valutazione dei programmi pubblici. Secondo Bertin G. la valutazione è un processo che accompagna lo sviluppo delle decisioni consentendo al decisore di esprimere un giudizio possibilmente libero da stereotipi e pre-giudizi.7 E ancora, facendo una sintesi, un puzzle, delle definizioni più accreditate, Bezzi C. ha così formulato: la valutazione è principalmente un’attività di ricerca sociale applicata, realizzata, nell’ambito di un processo decisionale, in maniera integrata con le fasi di programmazione, progettazione e intervento, avente come scopo la riduzione della complessità decisionale attraverso l’analisi degli effetti diretti ed indiretti, attesi e non attesi, voluti o non voluti, dell’azione; in questo contesto la valutazione assume il ruolo peculiare di strumento partecipato di giudizio di azioni socialmente rilevanti, accettandone necessariamente le conseguenze operative relative al rapporto fra decisori, operatori e beneficiari dell’azione. La valutazione è dunque una ricerca, ma la ricerca è una attività scientifica per cui la valutazione sarebbe una disciplina scientifica con un proprio potere, un proprio spazio, ma approcciare scientificamente la valutazione significa far venire meno il suo carattere sociale, politico e valoriale, d’altronde essa manca ancora di quell’autonomia propria di ogni disciplina, inoltre sia sul piano teorico che 6 Stame Nicoletta, L’esperienza della valutazione, Ed. Seam, Roma, 1998. Bertin Giovanni, Un modello di valutazione basato sul giudizio degli esperti, in La valutazione come ricerca e conme intervento, a cura di Claudio Bezzi e Marta Scettri, Irres, Perugina,1994 7 286 metodologico si serve di altre discipline quali la economia, la sociologia, le scienze politiche e le scienze della comunicazione. Dare un riconoscimento scientifico alla valutazione significherebbe creare una sorta di cilindro dalle risposte magiche illimitate, inoltre visto che la valutazione è uno strumento al servizio del processo decisionale potrebbe essere pericoloso parlare di oggettività di quanto valutato, di capacità di formulare giudizi “tecnici” indiscutibili, poiché in realtà anche le metodologie di valutazione più strutturate si sono rivelate facilmente manipolabili a seconda degli interessi in gioco. In questo quadro la ricerca valutativa8 non è qualcosa di diverso dalle altre conoscenze, con un diverso grado di scientificità, ma è un modo possibile di affrontare i problemi decisionali utilizzando il meglio della conoscenza scientifica. La valutazione è dunque un processo che sottende allo sviluppo delle decisioni permettendo al decisore di esprimere giudizi, ma questo processo si diversifica negli strumenti e nelle forme adottate in funzione del tipo di giudizio da produrre e dell’obiettivo da raggiungere, e ciò comporta l’impossibilità di definire un unico modello di valutazione utilizzabile in diversi contesti, dove il decisore esprime giudizi, e comporta altresì l’acquisizione di un insieme di strumenti metodologici utili per migliorare la capacità di giudizio. Nella scelta degli strumenti valutativi, più adatti al problema affrontato, si tenta una combinazione dei diversi obiettivi perseguibili dalla valutazione al fine di ridurre il rischio decisionale. Ma vedere il problema della valutazione da una prospettiva decisionale, basata su un concetto di riduzione del rischio decisionale, vuol dire pensare ad un insieme di strumenti e tecniche di ricerca utili per supportare lo sviluppo del processo decisionale di una organizzazione. In questa logica, valutazione non significa esclusivamente misurazione ma significa parlare di un processo nel quale intervenire per aiutare gli attori a definire criteri di giudizio, significa individuare strumenti, tecniche, informazioni utili che possono supportare lo sviluppo concreto dei processi decisionali. 8 I termini valutazione e ricerca valutativa a volte usati come sinonimi in realtà vanno distinti; per valutazione si intende l’insieme di attività necessarie per giungere ad esprimere un giudizio ‘argomentato’ (in senso scientifico e professionale) per un fine; l’argomentazione è la rigorosa raccolta di dati ed informazioni e la loro analisi, cioè un processo di ricerca, appunto la ricerca valutativa, che costituisce il fulcro, il centro della valutazione, è l’elemento essenziale ed imprescindibile di affidabilità delle procedure e attendibilità delle informazioni utilizzate per la formulazione del giudizio finale; la ricerca valutativa è l’argomentazione resa esplicita, verificabile, compiuta con procedure controllabili e replicabili, conosciute dall’ambiente scientifico professionale. Dunque la valutazione si fonda sulla ricerca valutativa, altrimenti non avrebbe valore scientifico professionale; la ricerca valutativa è inserita in un processo di valutazione, altrimenti sarebbe semplice ricerca sociale. Suchman E. Evaluation Research, Russel Sage Foundation, New York, 1967. 287 Lo sviluppo di questo processo necessita poi di competenze in grado di spiegare anche il comportamento strategico degli attori sociali e l’utilizzo di strumenti di ricerca diversificati di tipo qualitativo e quantitativo. In tal modo la valutazione non viene più vista come un insieme di attività di ricerca legate alla capacità di raccogliere informazioni attendibili, ma come capacità di trasformazione delle informazioni in giudizi, come processo che trasforma le conoscenze in decisioni. In tal senso il sapere sociologico può portare un notevole contributo allo sviluppo delle pratiche valutative e all’aumento della capacità di giudizio. Sociologicamente è auspicabile una idea ampia di valutazione basata su una teoria dell’azione sociale, alla luce della quale ri-vedere l’obiettivo di analizzare e controllare il riprodursi dell’azione, basata su quei processi riflessivi che permettono all’attore di controllare in itinere la propria strategia e di riprodurre i modelli delle proprie azioni. Vale a dire, partendo dal concetto di azione, la valutazione ha sempre per oggetto la riproduzione dello schema di azione, cioè si vuole valutare una certa azione per garantire che le condizioni positive di quell’azione e la connessa strategia che l’ha costruita nel tempo siano confermate, o che siano ridotte e/o eliminate le condizioni negative. Se accettiamo l’assunto che in ogni singola azione sia intrinseco un processo, consapevole o inconsapevole, di strutturazione dell’azione sociale, possiamo ritenere che la valutazione abbia a che fare sempre con la riproduzione dell’azione, ossia con un aspetto fondamentale dell’agire che è la riproduzione dell’agire stesso e non solo con l’analisi degli effetti che essa produce.9 Ciò comporta che il linguaggio e la conoscenza sociologica abbiano un ruolo fondamentale nell’impostazione conoscitiva della valutazione, in quanto possono offrire strumenti per costruire una matrice significativa di progettazione della valutazione. La sociologia, le tecniche di comunicazione, devono produrre progetti di crescita della comunicazione tra esperti e non esperti per creare codici di scambio e di affidabilità e credibilità reciproca. 9 Nelle strutture preposte alla fornitura di servizi, normalmente la valutazione è finalizzata ad individuare ciò che viene ‘tecnicamente fatto’, in un dato intervento, da certi operatori e talvolta anche gli effetti di impatto delle prestazioni tecniche sugli utenti. Bertin G., Decidere nel pubblico. Tecniche di decisione e valutazione nella gestione dei servizi pubblici, Etas Libri Ed. Milano 1989 288 L’affidabilità è un problema metodologico che dovrebbe interessare la sociologia e tutti, studiosi, professionisti, esperti e non. Nel costruire la matrice della valutazione occorre studiare il problema della comunicazione; cioè se si critica giustamente il fatto che ognuno nel proprio ambiente dichiara come unico e vero il suo modello di valutazione, (ed ovviamente anche i sociologi potrebbero commettere tale errore), allora sarebbe opportuno orientarsi all’azione per capirne i risultati, e porsi l’obiettivo di produrre connessioni, comunicazione, confronto. Un’idea dunque di valutazione multidisciplinare, cioè una valutazione che sia sintesi di tutte le discipline, che coniughi teorie, approcci, strumenti, trasformati da altri saperi; accade invece che vi è una ampia settorialità, ognuno si trincera dietro affermazioni del tipo: è un caso di valutazione sociologica perché si tratta di problemi sociali; è una valutazione esclusivamente economica perché tratta di problemi industriali. Ma la valutazione deve essere multidisciplinare, per potere comprendere appieno la complessità di ogni oggetto di valutazione, anche quando riguarda problemi settoriali o specifici che sembrano ben descritti in una specifica e circoscritta branca del sapere. Molti valutatori considerano la loro competenza sulle tecniche, come una competenza valutativa tout court, e spesso non si capisce perché e per quale percorso concettuale è stata usata una certa tecnica; in realtà le tecniche non sono la valutazione, è infatti la metodologia la cornice in cui inserire la ricerca valutativa. La metodologia è un insieme, un agglomerato, di teorie, di principi, di concetti, di modalità operative argomentate con le quali il valutatore raccoglie e analizza in maniera efficace, servendosi di strumenti affidabili, informazioni necessarie per produrre riflessioni attendibili. Indispensabile poi è che il valutatore sappia comunicare; la capacità di comunicare si dà infatti per scontata e le si attribuisce scarso rilievo, ma il saper comunicare dovrebbe essere al primo posto tra le competenze/abilità/saperi di chi fa valutazione, non è infrequente vedere stesure di rapporti infarcite di formule incomprensibili, spiegate in maniera gergale che finiscono per essere del tutto inutili per l’utilizzatore. Un buon comunicatore deve quindi sapere interpretare e saper argomentare i bisogni valutativi del committente, entrare in empatia per interagire ed indirizzare; la comunicazione cioè deve essere particolarmente collegata alla comprensione da parte dell’utilizzatore e quindi al successo dell’azione valutativa. 289 La valutazione infatti non finisce con il rapporto di valutazione, ma con il suo utilizzo. Una attività così poliedrica ha ovviamente molti scopi, il che riflette non solo le diverse scuole di pensiero ma anche i tanti contesti di ricerca. In letteratura vi sono diverse descrizioni dei tanti obiettivi valutativi, una delle più note è quella delle quattro “generazioni” valutative proposte da Guba e Lincoln 10, legate alle tappe storiche fondamentali dello sviluppo della valutazione: 1. prima generazione: -misurazione- anni ‘30-’40, in questo periodo i termini misurazione e valutazione erano interscambiabili, il valutatore era un tecnico; 2. seconda generazione: -descrizione- nasce negli anni ’40 per analizzare e valutare programmi, il valutatore è sempre un tecnico; 3. terza generazione: -giudizio- la valutazione diventa un giudizio, il valutatore utilizza standard; 4. quarta generazione: quella che considera la realtà come una costruzione sociale, per cui il valutatore diviene uno strumento di negoziazione, di empowerment Una proposta più semplice è quella di Nicoletta Stame, la quale indica tre approcci diversi alla valutazione: 1) l’approccio positivista-sperimentale, servendosi di rigorose ricerche si propone di verificare il raggiungimento degli obiettivi prestabiliti dal decisore; enfatizza soprattutto la validità e affidabilità della ricerca. La ricerca valutativa deve rispondere alla domanda “quanto efficace è il programma nel raggiungere i suoi obiettivi? Nel verificare l’efficacia del programma, essa non solo accetta la giustezza degli obiettivi, essa tende anche ad accettare le premesse sottostanti al programma”.11 2) l’approccio pragmatista – della qualità, qui l’attenzione al giudizio prevale sull’evaluando, è un approccio più ampio che include tutte le procedure di definizione degli standard di qualità (efficienza, di efficacia). Valutare la qualità vuol dire capacità di comunicare, all’interno e all’esterno dell’organizzazione, il livello di qualità raggiunto. “I concetti di progettazione e valutazione delle attività relative all’erogazione dei servizi hanno un nesso stretto con quello di qualità, inteso come l’orientamento culturale di tutte le funzioni organizzative verso l’erogazione di prestazioni in linea, 10 11 Guba E. e Lincoln Y. Effective evaluation, Jossey-Bass, San Francisco, 1985 Bernardi L. Tripodi T. Metodi di valutazione di programmi sociali, Fondazione Zancan Padova, 1981 290 da un punto di vista tecnico e relazionale, con le reali esigenze dell’utenza del servizio”.12 Il concetto di standard in questo approccio sembra essere l’elemento fondamentale; gli standard vengono definiti dal contesto, dagli obiettivi specifici, sono utili riferimenti spesso dimenticando che tuttavia gli standard non costituiscono il meglio. 3) l’approccio costruttivista – del processo sociale, si parte dal confronto tra programma e contesto e si cerca di comprendere cosa avviene, cioè l’obiettivo non è verificare l’efficacia o il raggiungimento dei standard, ma analizzare il significato delle esperienze e degli interventi realizzati, cioè la ricerca valutativa non si limita alla semplice valutazione dell’impatto, ma è parte integrante di un insieme di attività sottese alla attivazione e realizzazione di un intervento. “Valutare un programma o un progetto di sviluppo significa determinare cos’è che vale e qual è il suo valore come contributo al progresso sociale. La pietra di paragone per determinare questo valore è data dalle politiche generali di sviluppo in base ai quali il programma o il progetto è stato impostato e dagli obiettivi immediati che avrebbe dovuto realizzare con la sua attuazione. Tanto più vicini a questi obiettivi, scopi e mete, sono i risultati, tanto più alto è il valore del progetto”.13 Da questi diversi approcci emergono tre ‘competenze valutative’: il valutatore come metodologo e scienziato che non interviene e non interferisce nello svolgimento del programma; il valutatore che svolge la sua analisi per accrescere ed apportare miglioramenti all’attività del suo committente; il valutatore come mediatore fra le parti, che suggerisce i vari modi per trattare i problemi, usando le risorse a disposizione e lasciando esprimere gli attori. È certamente vero che in letteratura, come nei dibattiti scientifici si tende spesso a prendere posizioni, a difendere una interpretazione piuttosto che un’altra, ma non si dovrebbe dimenticare che non vi è una supremazia dell’una sull’altra poiché non può esservi una valutazione migliore o ottimale, ciascun approccio o interpretazione ha sempre i suoi ambiti problematici, i suoi punti di forza e punti di debolezza. Occorrerebbe poi rivedere tutto, contestualmente ad una riflessione sull’evaluando e capirne gli obiettivi. 12 Lomazzi L. Progettazione e valutazione dei servizi pubblici, in L. Mauri, C.Penati, M.Simonetta, “Pagine aperte. La fornazione e i sistemi infornativi: strumenti per le politiche sociali”, F. Angeli, Milano 1993 13 Grabe S., Manuale di valutazione, “Quale Sviluppo”, n.2, Asal – Associazione studi America Latina, 1986 291 Quest’ultimi sinteticamente si possono raggruppare in obiettivi operativi, diretti cioè a migliorare l’efficienza e l’efficacia interna di una organizzazione, generalmente è la stessa organizzazione che dà il mandato con finalità di controllo, per cui il valutatore esegue procedure tendenti a certificare degli standard (rientrano in questa categoria tutti gli obiettivi di gestione e audit, nonché la valutazione realizzata come adempimento normativo, cioè priva di effetti sull’azione amministrativa, se non quello di adempiere ad una formalità). Obiettivi gestionali, cioè la valutazione serve per decidere, quindi analisi dell’efficacia interna ed esterna per realizzare un progetto efficace, analisi della qualità e soddisfazione del cliente per un progetto di sviluppo, insomma lo scopo, attraverso un controllo complessivo sul sistema, è quello di orientare il decisore sul cosa fare o non fare. Obiettivi emancipativi, riguardano attività di informazione e analisi per i fruitori, attività di valutazione dirette a determinare e/o migliorare il contesto decisionale. Obiettivi cognitivi ed informativi, cioè si valuta per conoscere e non per intervenire, l’informazione interna ed esterna per fare bilanci, per imputare responsabilità sulle attività svolte, per fare confronti. Obiettivi formativi, ovvero la valutazione come processo per imparare dai successi e dai fallimenti, qui il destinatario non è un gruppo o un soggetto, bensì l’intero sistema che governa l’evaluando (ad es. nella formazione professionale: le istituzioni che erogano i fondi, i funzionari dirigenti, poi gli enti formativi, il sistema scolastico e universitario). Tale sintesi non ha alcuna pretesa di completezza poiché la complessità valutativa, la operatività su diversi piani rende poco adeguata qualunque tipologia. Tra le diverse definizioni della valutazione si è detto che essa è una attività di ricerca sociale avente come scopo la riduzione della complessità decisionale, la complessità deriva dalla molteplicità di attori diversi, portatori di ruoli differenziati che incidono sul processo decisionale, dalla molteplicità delle istanze diverse; e più il processo decisionale è ‘animato’, più la decisione sarà frutto di una complessa negoziazione. Chiaramente per porre in essere una valutazione efficace saranno necessarie alcune condizioni che garantiscano al valutatore la possibilità di lavorare libero da condizionamenti; al committente un risultato utile ed usufruibile; alla collettività uno strumento di miglioramento effettivo delle politiche sociali, economiche. 292 Alcune delle condizioni indispensabili per il valutatore, sono ad esempio: una certa autorevolezza dello stesso valutatore, la legittimità ed il riconoscimento del suo ruolo per potersi muovere nel contesto dell’evaluando, nonché una precisa competenza teorica e metodologica; un mandato chiaro e ben definito (cosa valutare, perché e per chi); l’indicazione delle risorse economiche e temporali entro cui muoversi. Per il committente saranno necessarie: delle informazioni preliminari riguardo a tecniche utilizzabili, tempi e costi della valutazione, possibili conflitti che questa potrebbe generare; riflessione sui possibili risultati non gradevoli, sui rischi stessi della valutazione, la definizione del tipo di risultati valutativi, giudizi e raccomandazioni. Gli eventuali attori coinvolti necessiteranno di informazioni sul committente, sul perché e sugli utilizzi che si vogliono fare della valutazione; sul tipo di riscontro che, il committente pensa, debba avere la valutazione sugli altri attori stessi. In definitiva la valutazione non è solo un supporto alla decisione ma deve individuare e confrontarsi con i bisogni ai quali gli interventi o i programmi devono rispondere, la valutazione dei bisogni infatti pone ordine ed aiuta il decisore a stabilire priorità, inoltre la valutazione dei bisogni o meglio del contesto che deve accogliere il programma diventa un elemento di rilevanza strategica per l’avvio di qualunque intervento. Riguardo al momento in cui fare la valutazione possiamo dire che si fa o si potrebbe fare in ogni fase dell’intero processo: decisione – programmazione - implementazione; a seconda del momento valutativo si distinguono in letteratura una valutazione ex ante, una valutazione in itinere e/o intermedia, ed una valutazione ex post. - La valutazione ex ante è una attività di ricerca previsionale cioè ha una connotazione di analisi probabilistica, sebbene venga accettata nell’alveo valutativo ed è suffragata da analisi empiriche dobbiamo accontentarci solo di descrivere probabilisticamente alcuni elementi possibili di sviluppo futuro14 tenendo sempre ben presente che si basa su ipotesi per cui i dati su cui si fonda tale valutazione sono limitati, presuntivi e possono essere smentiti. Va precisato che nella valutazione ex ante si differenziano: una valutazione ex ante degli effetti, quando cioè la valutazione viene svolta prima di prendere una decisione 14 Amendola Giandomenico, Prevedere per valutare. Gli spazi della sociologia nella valutazione di impatto ambientale, in “I sociologi e l’ambiente”, a cura di Franco Martinelli, Bulzoni, Roma. 293 definitiva, anche se vi è già una strategia ben delineata, al fine di calcolare gli effetti del progetto operativo. Una valutazione ex ante dell’impatto, ossia, la valutazione viene svolta prima di prendere qualsiasi decisione in tal caso essa ha la connotazione di ricerca previsionale, nel senso che costruisce scenari generali illustrando al decisore pregi e difetti delle alternative possibili, aiutandolo così nella decisione. Ed una valutazione ex ante dell’implementazione, dopo aver già preso una decisione sulle strategie, prima di avviare la fase operativa, tale valutazione verifica le modalità concrete dell’implementazione, trasmettendo anche agli operatori una conoscenza dell’oggetto. - La valutazione in itinere, è una attività che affianca il programma o intervento nel corso del suo svolgimento dando continuamente informazioni sugli obiettivi, sugli standard, sugli eventi inattesi. - La valutazione intermedia, interviene in un momento specifico mentre è ancora in corso il programma o intervento, per fare il punto della situazione, intervenire dove vi sono effetti non voluti, ritoccare le procedure, ed altro. Questi due tipi di valutazione si basano quindi su dati parziali, inoltre i fenomeni valutabili sono incompleti e limitati perché ancora in divenire, ma è indubbia la loro utilità nel sostenere il decisore nella conduzione corretta dell’intervento, del programma o altro. La valutazione ex post ha in teoria a disposizione tutti i dati possibili, ma proprio questa disponibilità rende più complesso il lavoro di raccolta selezione e soprattutto di interpretazione, anche qui possiamo distinguere tre momenti fondamentali: valutazione ex post degli effetti e valutazione dell’impatto, queste intervengono dopo un po’ di tempo dalla conclusione del programma, del progetto, per verificare che il risultato risponda agli obiettivi ed ai bisogni formulati inizialmente dalla domanda del programma o intervento o progetto, in sostanza si analizza l’efficacia esterna; la valutazione dell’impatto più specificamente analizza le ricadute generali nel contesto anche quelle relative a bisogni non esplicitati o non previsti. Abbiamo poi una valutazione ex post delle realizzazioni, la quale si effettua sempre dopo la conclusione del programma/progetto o intervento, per valutare la correttezza dei procedimenti realizzati, la rispondenza dei risultati agli obiettivi, quindi sostanzialmente una valutazione dell’efficienza e dell’efficacia interna. 294 I concetti di efficacia ed efficienza usati ed abusati in ogni contesto, considerati come criteri di valutazione della qualità, meritano qualche precisazione. Una delle questioni importanti nel contesto valutativo è la dimensione rispetto alla quale valutare. Con “dimensione rispetto alla quale valutare”15 ci si chiede se la valutazione riguarda l’efficienza, l’efficacia o altre dimensioni (equità, accessibilità, appropriatezza) dell’evaluando, nelle relazioni tra obiettivi, risorse, bisogni, risultati, che costituiscono le problematiche orientative della valutazione. Tali concetti si inseriscono all’interno di quello che viene chiamato ciclo di decisione-valutazione, cioè: il contesto socioeconomico (che esprime dei bisogni) ed il contesto politico-istituzionale (che esprime delle finalità) negoziano delle risposte supportate da risorse e condizionate da vincoli normativi, ambientali, finanziari ed a conclusione della negoziazione definiscono gli obiettivi che si ritengono raggiungibili, questo in sintesi il processo decisionale. All’interno di questo processo il concetto di efficacia viene suddiviso in efficacia interna ed efficacia esterna. L’efficacia interna è il confronto tra gli obiettivi stabiliti ed i risultati ottenuti, gli obiettivi sono il risultato di una negoziazione che cerca di coniugare le richieste del contesto socioeconomico con le finalità istituzionali, per cui tali obiettivi potrebbero essere considerati un dato di realtà rispetto al quale valutare i risultati. La valutazione si baserà allora sulla efficacia interna quando si vorranno analizzare gli effetti, gli impatti, la realizzazione, facendo risalire i risultati anche a questioni gestionali ed organizzative poiché i successi o i fallimenti dipendono anche da come è stata organizzata l’implementazione delle azioni previste (procedure, strumenti, attori). La valutazione si baserà sull’efficacia interna anche quando le richieste di valutazione sono espresse dall’organizzazione, ovvero da chi dirige il programma/intervento, e sono finalizzate al miglioramento delle prestazioni manageriali. Ed ancora quando il disegno valutativo è orientato anche al coinvolgimento degli operatori; l’analisi dell’efficacia in tal caso rappresenta la misura della loro professionalità, conoscenza, competenza rispetto al programma. L’efficacia esterna consiste nel confrontare i risultati ottenuti con i bisogni del contesto socioeconomico, o meglio con la domanda iniziale rispetto alla quale sono 15 Bezzi Claudio, Strategie di valutazione. Materiali di lavoro,Gramma, Perugina,1998; La valutazione dei servizi alla persona, Giada, Perugina, 2000. 295 stati concepiti quel programma o intervento o altro, occorrerà quindi identificare in modo corretto e completo i bisogni. La valutazione effettuerà domande sull’efficacia esterna quando, ad esempio, si è ancora in fase di programmazione, per aiutare i decisori ad impostare le ipotesi di programma, si farà allora una ricerca specifica per individuare la presenza di reali bisogni, di risposte efficaci. Oppure quando il programma è in divenire ma è necessario verificare la sua attualità, perché ad esempio i bisogni sono cambiati o vi sono stati cambiamenti organizzativi (nuove leggi, regolamenti, ecc.) e poiché tali cambiamenti influiscono su tutto il ciclo, una attenta strategia richiede controlli periodici. Ed ancora la valutazione si effettuerà sull’efficacia esterna quando i decisori o altri attori richiedano una verifica, una riflessione sulla opportunità di modificare o continuare il programma, o verificarne l’adeguatezza con le concrete necessità dei beneficiari. Efficienza questo concetto a differenza della efficacia non viene suddiviso, ha un significato generico che si adatta alle diverse circostanze. L’efficienza consente di stabilire un rapporto tra le attività erogate e le risorse utilizzate in tale attività. Bezzi parla di efficienza manageriale cioè un confronto tra gli elementi relativi ai risultati ed i vincoli e soprattutto con le risorse destinate inizialmente; in sostanza indagando sull’efficienza ci si chiede se le risorse messe a disposizione sono sufficienti per realizzare i risultati previsti, se con le stesse risorse si potrebbero conseguire risultati migliori. E di efficienza istituzionale, che consiste nel confrontare i risultati con le finalità del sistema politico-istituzionale; la valutazione si effettuerà sulla efficienza istituzionale soprattutto quando il sistema e gli attori hanno un ruolo rilevante, non di semplice committente, per la riuscita del programma; si effettuerà quando i decisori o comunque coloro che utilizzeranno la valutazione vorranno verificare la rispondenza dei risultati ottenuti con le proprie finalità con il proprio programma. Oltre alla efficacia ed efficienza altre dimensioni valutative sono l’equità, l’appropriatezza, l’accessibilità: riguardo l’equità16, la letteratura sui servizi socioassistenziali ha ampiamente mostrato come il sistema di Welfare State non sia automaticamente uno strumento di regolazione degli squilibri sociali, sono in molti a segnalare un problema di equità nella gestione di questi sistemi. 16 Robertson A., Il concetto di qualità nella valutazione delle politiche sociali. Sois, Cagliari, 1995 296 Il problema dell’equità riguarda l’accesso ai servizi e la loro capacità di evitare che vi siano discriminazioni tra i costi di accesso e le modalità di erogazione. L’appropriatezza, è la capacità di un intervento di essere centrato rispetto al bisogno che si intende soddisfare. Varie professioni hanno definito attività e procedure in riferimento alla congruenza dell’operatività con le manifestazioni del problema da risolvere, l’appropriatezza esprime proprio il rapporto tra queste linee di condotta e l’operatività concretamente sviluppata. In sostanza serve per verificare la congruenza delle risorse disponibili (materiali, professionali) con la domanda,e poi valutare la fase di processo. L’accessibilità è un elemento di giudizio che attiene all’analisi della compatibilità tra il tipo di distribuzione delle risorse e gli obiettivi che si intendono perseguire. L’accessibilità, l’equità, secondo alcuni autori, sono semplicemente delle proprietà riconducibili all’efficacia, mentre altre dimensioni importanti sarebbero la rilevanza, ovvero il confronto tra obiettivi posti al centro di un programma ed i bisogni espressi dal contesto socioeconomico; gli obiettivi in tal caso devono essere cioè rilevanti nel senso di essere in grado di modificare il problema originario. O la coerenza, cioè il confronto tra gli obiettivi dati e le risorse messe a disposizione per raggiungere tali obiettivi, quindi risorse coerenti, appropriate, sufficienti. Una prima riflessione sul rapporto tra produzione degli interventi e criteri di giudizio della qualità, porta a rilevare che nessun criterio da solo può rappresentare in maniera completa la complessità del concetto. Il valutatore allora dovrà porsi le domande utili per orientare la sua ricerca, certamente non si limiterà alla efficacia ed efficienza, ma queste entreranno sempre nella valutazione anche se con connotazioni diverse.17 Tutte queste problematiche sono naturalmente finalizzare alla realizzazione di una buona valutazione, e allora se malgrado le procedure suggerite gli obiettivi non fossero identificabili, o emergessero presupposti e orientamenti contrastanti, come valutare l’evaluando. Alcuni autori parlano della possibilità di valutare la valutabilità. In particolare Wholey Josef che per prima parlò della valutazione della valutabilità, scrisse: 17 Efficacia ed efficienza non sono applicabili sempre allo stesso modo, basti ricordare ad esempio la distinzione tra beni e servizi osservabili, quelli che l’utente ha la possibilità di giudicare prima di comprare, e beni e servizi sperimentabili, cioè quelli che l’utente potrà conoscere solo dopo averli acquisiti (un servizio formativo). Gori E. e Cittadini G. La valutazione dell’efficienza ed efficacia dei servizi alla persona. Impostazione e metodi, in “Qualità e valutazione nei servizi di pubblica utilità”, a cura di Enrico Gori e Giorgio Cittadini, Etas, Milano,1999. 297 Questi problemi che caratterizzano molti programmi pubblici e privati possono essere contenuti e spesso superati da un processo qualitativo di valutazione, la valutazione della valutabilità, che […] aiuta i programmi e in conseguenza il lavoro di valutazione a incontrare i seguenti criteri: - obiettivi generali e intermedi, effetti collaterali rilevanti e informazioni principali devono essere ben definiti. - Obiettivi generali e intermedi devono essere plausibili. - Informazioni sulle principali performance del programma possono essere ottenute. - I previsti utilizzatori della valutazione sono d’accordo sull’uso delle informazioni valutative. La valutazione della valutabilità è un processo per chiarire la struttura del programma, esplorarne la realtà e se necessario aiutare a ridisegnarlo per assicurare che raggiunga questi quattro criteri. La valutazione della valutabilità non mostra solo se un programma può essere significativamente valutato (qualunque programma può essere valutato) ma anche se la valutazione contribuirà a migliorare la sua performance complessiva.18 Questa valutazione della valutabilità alla luce di quanto definito sopra non è altro che una riflessione su cosa si vuole ottenere effettivamente con questo programma/intervento/progetto; molto spesso infatti si danno per scontati gli obiettivi facendo coincidere le finalità della organizzazione (a cui si appartiene) con qualunque progetto proposto o servizio da implementare, creando di conseguenza degli equivoci. Se però il valutatore non è superficiale e compie una riflessione sulla qualità, sugli obiettivi generali, impliciti, ed espliciti, sulle finalità dell’organizzazione rispetto a tali obiettivi, sulle distorsioni ecc. oltre alla valutazione, garantisce un aiuto ai decisori, ai manager, e operatori per correggere e migliorare l’intervento, il programma o altro. 18 Wholey Josef S., Professional Evaluation, Sage, Newbury Park, CA.1994 298 3.5. L’approccio “sistematico” alla valutazione Un approccio sistematico alla valutazione delle politiche pubbliche (program evaluation) è stato proposto dagli autori Rossi, Freeman e Lipsey, tale approccio si struttura essenzialmente su alcune domande alle quali il valutatore non può sottrarsi: • quali sono i propositi della valutazione in questione? • qual è la struttura e il contesto in cui si trova il programma analizzato? • come deve essere impostata la relazione con gli stakeholders? • quali sono le domande valutative (evaluation questions) cui è necessario dare risposta? • quali sono i metodi applicabili per dare risposte solide alle domande poste? Le domande valutative individuate dagli autori sono 5 e costituiscono altrettanti stadi del processo di valutazione di una politica pubblica, ossia: 1) valutazione dei bisogni sociali a cui vuole rispondere il programma; 2) valutazione della teoria sottesa al programma; 3) valutazione del processo/implementazione; 4) valutazione dell’impatto/degli effetti; 5) valutazione di efficienza. Questi 5 tipi di valutazione sono tra loro in un rapporto gerarchico, il livello fondamentale della gerarchia è costituito dalla valutazione del problema sociale cui il programma è indirizzato. Omettere uno dei passaggi indicati, comporta il rischio di una valutazione “sbagliata”, in quanto, generalmente, una valutazione di un livello di gerarchia elevato presuppone la conoscenza e l’analisi di aspetti della policy riferiti ai livelli più bassi della gerarchia valutativa. Così ad esempio, se i risultati di una valutazione di impatto di una politica X sono negativi, bisognerà riflettere su quali conclusioni trarre, chiedersi dove è stato il fallimento: non si sono compresi a fondo i problemi sociali? La teoria della politica era costruita su una catena causale di azionieffetti sbagliata (theory failuire)? E’ fallito qualcosa nella fase di implementazione (implementation failure)? È evidente che non considerando il ciclo della policy nella sua interezza né il valutatore né il decisore potranno capire le cause del fallimento ed agire di conseguenza. Lo stesso ragionamento varrebbe ovviamente di fronte a risultati positivi: non considerando alcune fasi della policy è impossibile interpretare i risultati/effetti stimati con la valutazione di impatto. Con lo studio della valutazione dei bisogni cui è indirizzato il programma (needs assessment) si cerca di rispondere alla domanda “qual è il problema?”. Attorno a questa semplice domanda sorgono una serie di quesiti e questioni epistemologiche che in questa sede non ha senso trattare ma che il ricercatore, tuttavia, non può trascurare. Lo scopo di 299 questo tipo di valutazione (che può essere svolta sia preventivamente che a posteriori) cerca di definire il problema nelle sue dimensioni, trends e peculiarità, facendo uso sia di tecniche e dati quantitativi che di metodi di indagine qualitativa che permettono di descrivere il problema e tener conto delle differenti percezioni dello stesso da parte dei diversi stakeholders. Necessario è anche giungere a definire chi sono i soggetti target: individuali o collettivi? Diretti e indiretti, etc. La teoria del programma può essere definita come l’insieme delle assunzioni circa i risultati che il programma in esame prevede di produrre e sulle strategie e le tattiche che il programma intende adottare per raggiungere i suoi obiettivi. La teoria viene scomposta dagli autori in due componenti: • la prima è la teoria dell’impatto (impact theory) e si riferisce al cambiamento atteso in seguito al programma secondo una catena di eventi e nessi causali (per cui dall’azione A ci si aspetta un risultato B); • la seconda è la teoria di processo (process theory) che descrive i passaggi, le attività da compiere nell’organizzazione e nell’implementazione degli interventi. La teoria di una politica può essere esplicita o implicita, il valutatore che ha il compito di definirla può sfruttare diverse fonti informative, per fare ciò, quali ad esempio: la documentazione amministrativa; le interviste a decisori e stakeholders; l’osservazione diretta delle funzioni del programma; la letteratura delle scienze sociali. In questo modo è possibile raccogliere 3 tipi di informazione: 1) gli obiettivi della politica; 2) le funzioni componenti e le attività del programma; 3) la logica sequenziale che lega funzioni, attività e prodotti. Una buona analisi della teoria sottesa ad una politica permette di: a) capire quali sono gli obiettivi; b) individuare le funzioni e le attività programmate; c) contribuire all’eventuale ridisegno di una politica. Se la teoria sottesa ad una politica viene considerata ben definita e giustificata, allora è possibile proseguire con la valutazione, in caso contrario, non avrebbe senso continuare perché ogni risultato che si otterrebbe sarebbe impossibile da interpretare in relazione alla politica. Ad esempio se – in seguito ad un’analisi di impatto condotta rigorosamente – gli effetti della politica in esame, sulla popolazione target, sono stimati essere positivi, come è possibile imputare i “meriti” ai decisori senza avere prima analizzato la teoria della politica, ovvero come la politica è stata disegnata? Nel caso in cui la politica fosse stata mal disegnata, si potrebbe concludere che o i risultati ottenuti sono dovuti al caso o in fase di implementazione gli attori non hanno 300 rispettato i programmi ed hanno agito “indipendentemente” (in questo caso un’implementation failure determinerebbe il successo della politica). Lo scopo della valutazione del processo di implementazione (process evaluation) è quello di conoscere “cos’è realmente il programma” e se i servizi, gli interventi raggiungono concretamente oppure no la popolazione target. Essa può essere effettuata a posteriori (program process evaluation), necessaria per la valutazione di impatto, o in itinere (continuous program monitoring), necessaria prevalentemente per i manager del programma in quanto fornisce un feedback regolare sull’implementazione degli interventi. La valutazione del processo attuativo di una policy assume una certa rilevanza anche in una prospettiva di accountability, in quanto rende conto a tutti i possibili stakeholders di “cosa l’organizzazione sta facendo”. Alcuni aspetti oggetto di analisi sono: il livello di partecipazione/coinvolgimento della popolazione target; il livello di “distorsione” nell’erogazione di un servizio (es. un sottogruppo partecipa più di altri…); il livello di dropouts. Confrontando i risultati di questa analisi con la teoria del cambiamento sottesa alla politica è possibile sapere se la politica viene implementata come era stato programmato o no (implementation failure). Un fallimento dell’implementazione può essere dovuto ad esempio: alla non effettuazione dell’intervento, e/o ad una sua parziale effettuazione; all’erogazione di un servizio sbagliato o secondo criteri distanti da quelli prescritti; ad un’erogazione diversificata tra la popolazione target; a differenti modalità di implementazione tra diverse unità territoriali incaricate (es. centri per l’impiego). Conoscere questi scostamenti dal programma è essenziale per effettuare un’analisi degli effetti. Gli outcomes (effetti) di un programma possono essere stimati e interpretati in diversi modi. Il valutatore deve capire e definire qual è l’effetto su cui la politica vuole influire. L’individuazione e la misurazione del nesso causale tra la variabile trattamento (il prodotto o output) e questa variabile dipendente (outcome variable) costituisce la sfida di questo tipo di valutazione. La variabile outcome può essere considerata sotto diversi punti di vista: • outcome level: è il livello, lo stato, della caratteristica della popolazione target o della condizione sociale su cui la policy intende agire, misurato in un preciso istante nel tempo (es. il tasso di criminalità in un quartiere misurato nel tempo t); • outcome change: è la differenza tra due misurazioni della stessa variabile outcome in tempi diversi (es. la differenza tra il tasso di criminalità nel tempo t e nel tempo t+1, ovvero dopo un intervento di riqualificazione urbana); 301 • program effect (impact): è la porzione di outcome change che può essere attribuita al programma (la porzione di scostamento tra le due misurazioni del tasso di criminalità attribuibile esclusivamente all’intervento di riqualificazione urbana). L’identificazione degli outcomes rilevanti, la loro misurazione, la scelta e l’applicazione delle tecniche di misurazione e di stima costituiscono altrettanti argomenti che non possono essere affrontati in questo lavoro e che comunque poco si prestano a ragionamenti metodologici generali in quanto fortemente connessi alle specifiche situazioni. Gli autori sottolineano l’importanza della distinzione tra: 1) il monitoraggio e la misurazione degli effetti; 2) la valutazione di impatto (secondo metodi sperimentali e non sperimentali) Il monitoraggio è definibile come la raccolta sistematica di aspetti della performance di un programma che indicano se il programma sta funzionando come era inteso inizialmente o in accordo con determinati standard previamente fissati. L’oggetto del monitoraggio è la performance del programma, che può riguardare sia i prodotti, che gli effetti, che il processo di implementazione. Il monitoraggio, anche se basato sull’osservazione di indicatori relativi agli outcomes, non è definibile come “valutazione degli effetti”, per la quale è necessario individuare l’effetto netto della politica utilizzando tecniche più sofisticate. Il monitoraggio può, tuttavia, costituire una buona base di partenza per avviare successive valutazioni di impatto. La definizione degli standard, degli indicatori, loro misurazione ed interpretazione necessitano di particolari attenzioni e cautele. La valutazione di impatto può essere effettuata solo dopo aver proceduto alle valutazioni collocate negli stadi inferiori della “gerarchia”. Si tratta fondamentalmente di un’analisi comparativa: gruppo di trattati a confronto con il gruppo di controllo; oppure valore fattuale contro valore controfattuale (stima del valore che la variabile risultato avrebbe avuto se il gruppo dei trattati non fosse stato sottoposto al trattamento). È possibile individuare due filoni della valutazione d’impatto: 1.L’approccio sperimentale: questo pur con tutte le limitazioni cui è sottoposto (costi, considerazioni etiche, tempi, etc.), è considerato da molti il metodo valutativo per eccellenza. In estrema sintesi tale metodo si basa sull’assegnazione casuale delle unità osservate, al gruppo che verrà sottoposto al trattamento o a quello che non lo sarà. La casualità assicura che i due gruppi siano mediamente uguali. La stima dell’effetto della politica avviene confrontando i valori delle variabili outcomes dei due gruppi dopo la 302 somministrazione del trattamento (il valore del gruppo dei trattati rappresenta il fattuale, mentre quello del gruppo di controllo il controfattuale). L’effetto della politica è dato dal valore fattuale – il valore contro-fattuale. 2.L’approccio non-sperimentale (o quasi-sperimentale): i due gruppi vengono formati expost e non con il metodo della assegnazione causale, il problema in questo caso è il contenimento delle distorsioni dovute al fatto che i due gruppi non sono equivalenti. Si possono individuare due tipi di distorsione: a) distorsione da selezione: i due gruppi non sono uguali; b) distorsione da “dinamica spontanea”: la variabile risultato varia indipendentemente dall’intervento pubblico. Alcune tecniche statistiche utilizzate per arginare tali problemi di distorsione e formulare delle stime valide sono: lo statistical matching, la multiple regression analysis, il regression discontinuity design, il difference in difference, l’interrupted-time-series analysis. La valutazione di efficienza (efficiency analysis), può essere svolta ex-ante (per scelte allocative in presenza di risorse scarse – efficienza allocativa) o ex-post (come estensione della valutazione di impatto). Gli autori individuano due sotto-categorie: • l’analisi costi-benefici (gli effetti del programma vengono espressi in termini monetari) • l’analisi costi-efficacia (gli effetti del programma non vengono trasformati in termini monetari) Se invece si cambia prospettiva, ovvero vengono considerati i bisogni, le esigenze cognitive, la “valutazione” può assumere cinque “forme diverse”: 1. “Policy and program design”: la valutazione come strumento per allocare risorse agli usi più meritevoli. 2. “Management control”: la valutazione come strumento di controllo della performance nell’ambito delle organizzazioni. 3. “Accountability”: la valutazione come veicolo per rendere conto delle realizzazioni effettuate in un certo ambito di azione pubblica. 4. “Implementation”: la valutazione come strumento di analisi critica dei processi di attuazione di una politica. 5. “Learning”: la valutazione come stima degli effetti prodotti da una politica. 303 1.La “valutazione” come strumento per allocare risorse agli usi più meritevoli. In questo caso la “valutazione” consiste in un giudizio comparativo su diversi soggetti/oggetti al fine di individuare i migliori o più meritevoli, si tratta fondamentalmente di quella che comunemente viene definita valutazione ex-ante, nonostante non vi sia accordo nell’accettarla come valutazione in senso stretto. Le procedure consistono in tre passaggi essenziali: a) determinazione dei criteri (punteggi e pesi); b) esame dei N soggetti/oggetti; c) aggregazione dei giudizi secondo tecniche diverse (individuazione dei migliori, esclusione dei peggiori, formulazione graduatorie). A questa logica di valutazione appartengono: - la selezione dei progetti (bandi di gara) - la valutazione della dirigenza - la valutazione della ricerca scientifica - le analisi costi-benefici di alternative - l’analisi multicriteri 2.La valutazione come strumento di controllo della performance nell’ambito delle organizzazioni. Questa analisi risponde all’esigenza di sapere se ed in che misura un’organizzazione (o meglio: una singola unità organizzativa) funziona bene (come dovrebbe). Si tratta di un’analisi della performance che ha per oggetto i costi, la qualità delle prestazioni, i volumi di attività. Si tratta di una misurazione degli scostamenti tra i valori osservati e i valori “ottimali”. Le informazioni prodotte hanno rilevanza gestionale interna. Le fasi di questo tipo di analisi sono cinque: • individuazione delle dimensioni da sottoporre a controllo • definizione degli indicatori che rappresentano le dimensioni o parti di esse • individuazione degli standard appropriati per ciascun indicatore • raccolta dei dati • interpretazione delle deviazioni dei dati osservati dagli standards. Si rifanno a questa logica (pur non costituendo propriamente dei metodi di valutazione): - il controllo di gestione - la certificazione di qualità - l’accreditamento di organizzazioni - le indagini di customer satisfaction 3.La valutazione come veicolo per rendere conto delle realizzazioni effettuate in un certo ambito di azione pubblica. Dato un complesso di interventi che usano risorse pubbliche, del cui utilizzo si vuole (o si deve) rendere conto, la valutazione è quel processo di misurazione e comunicazione sistematiche delle realizzazioni effettuate (e dei “risultati” ottenuti). Ha una valenza prevalentemente descrittiva, pone una certa enfasi su grandezze 304 aggregate, che offrono un’immagine d’insieme dello sforzo perpetrato dall’organizzazione. Come strumento di rendicontazione la valutazione si adatta particolarmente a organizzazioni complesse e multifunzionali, oppure a grandi programmi di intervento pubblico. La ricaduta decisionale di questo tipo di valutazione non è immediata ed assume prevalentemente una valenza “comunicativa”. I termini chiave sono: trasparenza, responsabilità e legittimazione. I destinatari di questa valutazione possono essere i cosiddetti stakeholders, organi o organizzazioni sovraordinate, oppure, più generalmente, tutti i cittadini. Alla base di un rapporto di accountability sta fondamentalmente un impegno a fare qualcosa per qualcun altro. Questo impegno può essere imposto dal soggetto esterno, concordato o contrattato tra le parti, od offerto volontariamente dal soggetto delegato in cambio dell’attribuzione di responsabilità. L’informazione raccolta ed elaborata a supporto di questa funzione quindi deve essenzialmente controllare che “le cose promesse siano state fatte, fatte in tempo e fatte bene”. Gli autori sottolineano l’ambiguità del termine obiettivo che può assumere due valenze: • Obiettivo come perseguimento di un target stabilito e quantificato (o quantificabile) a priori. Il target può essere un certo volume di produzione, il completamento di un progetto, il raggiungimento di livelli qualitativi di un servizio. Verificare se l’obiettivo è stato raggiunto significa in questo caso essenzialmente “confrontare il target prestabilito con ciò che è stato ottenuto/fatto/prodotto”, e questa è l’essenza dell’informazione prodotta a supporto dell’accountability. • Obiettivo come modifica di una situazione ritenuta non desiderabile mediante l’uso di strumenti di intervento pubblico (ad esempio, la riduzione delle tossicodipendenze, l’aumento della concorrenza nei mercati, la riduzione dell’inquinamento, etc.). In questo caso “verificare se gli obiettivi sono stati raggiunti” significa molto di più rispetto ad una verifica delle “cose fatte”, al raggiungimento di un target prestabilito. Qui sorge essenzialmente un problema di attribuzione di causalità, e in seconda battuta di identificazione delle ragioni (organizzative, di contesto) per cui il cambiamento si è o non si è verificato. Qui non ci si trova più di fronte ad un’esigenza di accountability, ma di learning. La raccolta e l’interpretazione dell’informazione per sostenere la funzione di accountability è tutt’altro che banale, pur esulando dal problema di attribuzione di 305 causalità. Raccogliere ed interpretare le informazioni necessarie affinché qualcuno realmente arrivi a rendere conto delle proprie azioni non è cosa facile. La maggior sfida viene nel momento finale, quello che consiste nell’emettere un giudizio sulla performance del soggetto che deve rendere conto delle proprie azioni. Diversamente dall’attribuzione di causalità, che può essere fatta con strumenti relativamente formalizzati e rigorosi delle scienze sociali, qui si tratta di fare una più informale attribuzione di responsabilità. 4.La valutazione come strumento di analisi critica dei processi di attuazione di una politica. L’oggetto dell’analisi in questo caso non è né giudicare la performance né rendere conto delle realizzazioni. L’oggetto della valutazione è in questo caso la c.d. black box, ovvero la fase del processo di una policy in cui le idee e i programmi vengono trasformati in azioni e pratiche amministrative. In altre parole, attraverso strumenti prevalentemente di tipo qualitativo, vengono studiati i processi attuativi della politica pubblica (implementation research) . Alcune pratiche riferibili a questo filone: - descrizione di ciò che è stato fatto (monitoraggio) - confronto tra ciò che è stato realizzato e il disegno originario esame sistematico dei punti di forza e di debolezza. 5.La valutazione come stima degli effetti prodotti da una politica. È la valutazione in senso stretto. Rappresenta uno strumento che aiuta a capire se un intervento pubblico produce gli effetti desiderati. Pur trattandosi di una valutazione ex-post, essa è una valutazione prospettica, nella misura in cui aiuta i decisori a riorientare il disegno delle politiche sulla base delle stime prodotte. Si tratta di una valutazione da tenere nettamente distinta dalla rendicontazione valutativa. I due tipi di valutazione, come già detto, rispondono ad esigenze cognitive differenti e utilizzano, quindi, propri metodi e strumenti di raccolta dati, analisi e comunicazione. La valutazione, intesa come learning, rientra appieno nel filone della evaluation research /program evaluation americana (Rossi, Freeman e Lipsey). E’ mirata ad un intervento preciso, mentre l’accountability è generale; le informazioni prodotte dalla valutazione intesa come learning sono approfondite e circoscritte mentre quelle prodotte dall’accountability sono periodiche, descrittive e semplificate; ancora, questo tipo di valutazione utilizza metodi quantitativi e qualitativi delle scienze sociali (basati sull’approccio controfattuale), mentre l’accountability mantiene prevalentemente un’impostazione tipica della logica di controllo. 306 CAPITOLO 4 LA VALUTAZIONE DELLE NORME TRA POLITICHE E CONTROLLI 4.1. La valutazione della normazione L’esigenza di individuare strumenti conoscitivi e tecniche adeguate per sviluppare processi di valutazione dell’efficacia delle decisioni di carattere normativo, è legata a due fattori generali presenti in tutti gli ordinamenti giuridici, la crescente tecnicizzazione delle scelte politiche da un lato e l’alto tasso inflativo della normazione dall’altro. Dopo un periodo di incertezza, ritenuto superato il cosiddetto metodo giuridico, l’attività di valutazione delle decisioni normative si è orientata verso un approccio metodologico interdisciplinare, comune a gran parte delle scienze applicate. In tal senso gli studi legislativi e l’analisi delle politiche pubbliche si sono orientate verso studi economici sociali, statistici.1 Le funzioni di valutazione di programmi, progetti e riforma delle normazione si sono affermati con certo vigore, potendo contare anche su capacità metodologiche accresciute e strumentazioni sempre più affinate. Le ragioni della aumentata attenzione per gli strumenti e i metodi valutativi sono collegati alla necessità di misurare in termini di economia e produttività generale del sistema, una azione pubblica di cambiamento e innovazione normativa. Nonché dalla necessità di aiutare i decisori nell’acquisizione delle informazioni su un determinato problema esistente nella realtà su cui sono chiamati ad operare, per rispondere ai bisogni concreti manifestati da cittadini, imprese, attori economici in generale. L’attenzione per il ruolo della valutazione incentrato sul momento preliminare della decisone politica sollecita i soggetti coinvolti nelle scelte, ad essere più consapevoli e responsabili dei costi che le azioni pubbliche comportano, più attenti alla rendicontazione, alla necessità di controllare l’ingerenza degli interventi pubblici. 1 Gli studi legislativi e analisi politiche si sono orientate e poi collegate a quel filone di ricerca, nato dalla teoria delle decisioni , affermatasi a partire dagli anni ’70 soprattutto negli Stati Uniti, poi diffusosi in tutti i paesi industrializzati, noto come Evaluation Research. Storicamente il fenomeno sembra collegato al fallimento delle grandi politiche sociali del periodo Kennediano, in seguito al quale emerse la necessità di trovare tecniche affidabili sulla cui base rinnovare gli schemi dell’agire pubblico, e condurre le scelte politiche all’interno di schemi e procedure in grado di misurare i risultati concretamente ottenibili e in fase successiva gli effetti prodotti, al di là di quelli promessi dalla leadership al potere. AA.VV., la crisi della legislazione Studiosi e politici a confronto, Cedam, Padova, 1997 307 Il decisore pubblico può essere obbligato normativamente o può trovare conveniente avvalersi di schemi di valutazione che lo aiutino a giudicare della efficacia, tra i diversi interventi ipotizzabili, di un programma di modificazione normativa che intende intraprendere per risolvere un determinato problema, sulla base di soddisfacimento delle aspettative, raggiungimento dell’obiettivo, criteri di proporzionalità tra costi e vantaggi. La necessità di rendere coerente e adeguata agli scopi la produzione di regole giuridiche sembra collegarsi al problema più generale, tipico di società complesse, della iperregolazione, dell’inflazione legislativa, del sovraccarico e saturazione normativa. La produzione di regole settoriali e particolari che si intrecciano l’una all’altra in modo spesso caotico e frammentario, delineando una situazione giuridica spezzettata e frammentaria, caratterizzata da una eccessiva tecnicità, finisce per creare un groviglio normativo di scarsa intelligibilità e conoscibilità anche per gli esperti. I decisori pubblici al momento della redazione dei testi normativi si preoccupano di delimitare, circoscrivere l’ambito sociale nel quale intervengono per rendere i testi normativi il più possibile aderenti alla molteplicità delle situazioni reali, ma paradossalmente proprio questo bisogno di aderire al reale, rende i testi repentinamente inadatti, costringendo a nuovi interventi legislativi, che quasi mai è omogeneo con il precedente. Pertanto si crea una sovrapposizione normativa che costringe l’interprete a ricostruire il quadro normativo alla ricerca di una ratio legis, laddove non vi siano connessioni logiche nelle scelte normative effettuate, né coerenze nelle definizioni, ma ambiguità. Nasce quindi l’esigenza di mettere ordine, di trovare metodi di razionalizzazione della produzione regolativa che siano in grado di contenere gli effetti inflattivi, derivanti da una ulteriore produzione di regole e norme, servendosi di parametri di opportunità, di utilità, di efficacia delle norme. In questa iper produzione normativa, il decisore dovrà dunque valutare e verificare gli impatti che una eventuale nuova normativa provocherà, i costi o benefici che produrrà sul sistema, sui vari livelli istituzionali, sui cittadini. Se le norme non hanno più un valore generale ma ne hanno solo nella misura in cui consentono di raggiungere determinati specifici obiettivi, allora il vero requisito di “legittimità” della norma diventa, in un certo senso, la sua capacità di rispondere alle esigenze reali presenti nella società. In questa prospettiva qualunque azione di riforma della legislazione risulta improduttiva se le sue ipotesi non sopravvivono alla prova 308 sperimentale; di qui la necessità di frapporre al momento della decisione normativa una procedura in grado di verificare la congruità e l’efficacia della legislazione, per constatare la validità del suo contenuto rispetto ai risultati attesi. Successivamente il giudizio verterà sul grado di efficienza raggiunto nella sua attuazione. Al decisore, al soggetto politico, non si chiede più solo di conoscere il diritto, ma di conoscere altrettanto approfonditamente economia, statistica, scienza dell’informazione, in tal occorre predisporre un lavoro di raccolta ed elaborazione non solo dei dati normativi e ordinamentali sui quali la scelta regolativa produrrà effetti, ma anche dei dati e informazioni sui quali si intende intervenire, supportati da studi preventivi destinati a delimitare il campo decisionale. L’applicazione della valutazione alla produzione normativa consente di acquisire le conoscenze necessarie sul problema e di verificare e controllare la fattibilità dell’intervento. In un certo senso la legge viene concepita come la fase di un processo, legata ad un insieme di atti e decisioni precedenti e successive ed inserita all’interno di un programma politico che ne giustifica la coerenza e ne delimita il quadro di riferimento. Il problema più rilevante nella ricerca valutativa applicabile alla produzione normativa appare quello di delimitare il campo di indagine, sia per l’indeterminatezza o la generalità degli obiettivi politici desumibili dai documenti di programmazione, sia per la difficoltà di misurare le esternalità e gli effetti connessi all’attuazione delle norme che si vogliono emanare. Si dovranno allora affiancare i criteri di analisi giuridica ai metodi propri delle discipline economiche, statistiche, sociologiche; le informazioni così raccolte saranno codificate dal decisore in funzione di una logica complessiva. Una logica che si può ancora definire politica ma in una prospettiva nuova, più avanzata rispetto alla precedente. Ciò da ragione a coloro i quali affermano che la politica sta diventando sempre più attività tecnicoeconomica, che richiede particolari capacità comunicative, ma tuttavia ancora risponde ad esigenze proprie della logica di preservazione del consenso di categorie differenziate e disomogenee di elettori, che inevitabilmente riconducono la sfera decisionale nell’ambito degli stili propri, caratteristici di ciascun paese. In pratica gli elementi di analisi, legati al quadro politico di ciascun paese, introdotti nella valutazione rendono questa più complessa, per cui ai fattori di giudizio in termini di efficacia tecnico-economica, sociologica, di un certo provvedimento si dovrà affiancare e poi elaborare una analisi degli effetti ai fini del mantenimento degli equilibri politici, della preservazione del consenso e della rispondenza a quelle esigenze di produzione di soluzioni ai problemi dei cittadini, in grado di appagare il bisogno collettivo di protezione e 309 sicurezza. Ciò comporta che la valutazione dell’efficacia politica di un intervento normativo può spingere verso scelte che contraddicono i giudizi formulati in sede di analisi tecnica. Nelle elaborazioni e nelle analisi teoriche di valutazione degli effetti della normativa pubblica, gli aspetti relativi al consenso politico tendono ad essere inseriti, in un preciso contesto del procedimento di valutazione, tra gli aspetti relativi alla migliore comunicazione verso i destinatari, alla trasparenza del contenuto normativo, alla possibilità per i gruppi e le associazioni di partecipare alla migliore formulazione dei testi ed esporre il loro punto di vista. La capacità politica in questa prospettiva si giustifica come capacità di attivare procedure in grado di far emergere le ragioni che conducono poi alla scelta normativa adottata. Il problema però è che nel processo di analisi decisionale dell’atto normativo non si può applicare la teoria della scelta politica razionale, poiché la contrattazione con le parti sociali coinvolte nell’elaborazione dell’atto normativo, metterebbe in discussione proprio quei presupposti sui quali basare la valutazione di efficacia. Per cui la valutazione di efficacia dipenderà anche da quanto si è disposti a sacrificare alla contrattazione o alle richieste di lobby o gruppi di pressione sociale, per il raggiungimento degli obiettivi. Tuttavia nel porsi in questa prospettiva non si individuano poi soluzioni concrete per intervenire nelle decisioni normative con meccanismi di deterrenza e di controllo generalizzato sul livello qualitativo della normazione. Cioè se le scelte e le logiche valutative dell’efficacia delle normazioni non possono essere rese pubbliche e trasparenti, dovendo rimanere nella zona d’ombra della negoziazione condotta riservatamente, perché oggetto di scambio tra obiettivi disomogenei, contraddittori o di mero tornaconto personale, allora non vi sono né controlli né soluzioni ipotizzabili. Inutile parlare di valutazione di efficacia normativa in una tale prospettiva, occorre allora trovare modelli di valutazione dell’efficacia che siano idonei se non a far emergere completamente le ragioni politiche sottese alla proposta normativa, per lo meno adatti a contenere, entro limiti accettabili, le contraddittorietà delle azioni pubbliche, trovando schemi che possano rendere obbligatorio l’uso di check-list di controllo preventivo delle decisioni regolative. Il rischio comunque nella elaborazione di check-list è che una eccessiva complessità comporti una difficoltà di applicazione, la necessità di semplificare vale anche per gli strumenti di verifica dell’efficacia e della qualità della normazione. 310 L’OCSE nel 1995 ha indicato una metodologia possibile per applicare i metodi di valutazione della normazione pubblica, uno schema procedurale che si articola in nove punti: 1. in primo luogo occorre prospettare il problema presente nella società, con l’uso anche di analisi comparate, evidenziandone la sua rilevanza in rapporto agli obiettivi generali di programmazione politica ed economica, utilizzando i metodi descrittivi più attendibili e validati; 2. individuare poi le variabili relative alla dimensione del problema, descrivendo il processo causale e i meccanismi che conducono agli effetti constatati; 3. individuare delle iniziative normative più efficaci per ottenere i cambiamenti desiderati, occorre cioè stabilire l’obiettivo valutandone la coerenza con gli obiettivi generali posti in fase di programmazione. In questa fase occorre chiarire anche la necessità o meno dell’intervento normativo ipotizzato, tenendo presente che l’obiettivo potrebbe essere realizzato facendo ricorso a fonti diverse dalla normazione pubblica, ad esempio ricorrendo alla capacità di autoregolazione dei soggetti coinvolti; 4. si devono poi raccogliere tutte le informazioni sullo stato della legislazione, nazionale e possibilmente straniera, presa a riferimento per la comparazione, evidenziandone le lacune, le incongruenze, da un lato, la conformità, la coerenza del progetto con i principi generali dell’ordinamento, dall’altro; 5. occorre poi individuare i mezzi strumentali, procedimentali, finanziari, idonei a raggiungere lo scopo e stimare gli oneri dell’intervento, valutando la fattibilità del progetto normativo ed i costi amministrativi; 6. procedere ancora a stimare i costi per cittadini, imprese e soggetti comunque coinvolti direttamente o indirettamente dall’intervento normativo e valutare i benefici conseguenti; 7. ulteriore fase attiene alla valutazione del rapporto ottenuto tra i costi sostenuti e i benefici diretti e indiretti conseguibili per i soggetti coinvolti, acquisendo informazioni, proposte e suggerimenti dalle parti interessate; 8. infine occorre comparare la convenienza della scelta normativa ipotizzabile con le soluzioni normative alternative proposte; 9. in ultimo occorre formulare il testo normativo definitivo tenendo conto delle capacità dei vari livelli istituzionali di garantirne il rispetto individuando quale sistema di 311 cooperazione tra i diversi livelli di governo sia il più efficace per soddisfare gli obblighi e compiti previsti.2 Le metodologie da utilizzare nelle varie fasi sono diverse: una metodologia di valutazione dell’impatto del provvedimento, che non può prescindere da una analisi di tipo giuridico e sociologica del problema; una analisi tecnica di fattibilità, individuando come l’obiettivo possa essere conseguito, con quali processi operativi, quali tecnologie, quali risorse umane e conoscenze professionali; una analisi dei costi amministrativi fatta secondo metodi del controllo di gestione; una analisi costi/benefici che segue un approccio macro-gestionale e strategico. Secondo alcuni studiosi se dal punto di vista metodologico l’analisi giuridica ha perso il carattere di preminenza che aveva in passato, dovendosi confrontare e arricchirsi dell’apporto di altre scienze sociali, dal punto di vista dell’assetto organizzativo da dare alle procedure di valutazione dell’efficacia della normazione, il diritto riprende il suo ruolo fondamentale. Infatti i metodi di valutazione diventano efficaci in quanto acquisiscono la forza propria dei precetti giuridici, si trasformano in precisi vincoli normativi per il decisore, cioè schede di fattibilità, procedure di verifica della efficacia della normazione, elaborate in sede accademica, godono dell’autorità che si annette agli enunciati giuridici e si trasformano in procedure generalizzate e obbligatorie, si impone autoritativamente un metodo che altrimenti i decisori applicherebbero a loro discrezione. Questo non costituisce certo il modo più indicato per risolvere i problemi di inflazione e scadimento della qualità della normazione, né tanto meno garantisce una sia pur minima efficace valutazione. Le analisi di congruenza e di fattibilità giuridica tenderanno a stabilire se vi è davvero necessità di un intervento normativo; a quale livello di normazione intervenire; quali norme introdurre nel sistema per risolvere il problema delineato, quale metodo appare più congruo per innestare la norma delineata nel sistema giuridico esistente. Occorre prima di tutto verificare se il problema possa essere affrontato adeguatamente con strumenti diversi da quelli della normativa della regolamentazione pubblica. Le difficoltà infatti potrebbero derivare proprio dall’eccesso di normazione e l’intervento normativo che si intende proporre non risolverebbe ma complicherebbe ulteriormente la situazione, con l’effetto non solo di non eliminare ma di perpetuare gli effetti negativi che si sono constatati. 2 Commissione delle Comunità Europee, Legiferare meglio, Bruxelles, 1997; Ministero dell’Interno, Formazione delle leggi e tecnica normativa, Ist. Pol. e Zecca dello Stato, Roma, 1995 312 Oltre ad problema di legislazione esiste una questione preliminare di giuridificazione o meno delle situazioni reali, che implicano anche una scelta, cioè di rendere rilevanti per il diritto situazioni che si presentano al momento rilevanti solo come fenomeno sociale. Vi sono infatti aree economiche che registrano significativi vuoti normativi e che si preferisce lasciare nell’indeterminatezza giuridica sia per le spinte contrastanti in uci si muovono i soggetti coinvolti da una eventuale normazione, sia perché gli equilibri economici e sociali già formatisi, basati su scelte di convenienza dei diversi attori sociali interessati, si rivelano paradossalmente più efficaci se non supportati da norme prescrittive e non irrigiditi in una disciplina giuridica codificata. Vi sono poi aree che possono essere disciplinate facendo ricorso a strumenti diversi da quelli della normazione pubblica, seppure sottoposte a normazione in tal caso si tratta di valutare l’efficacia di norme di autoregolazione, che presentano vantaggi quanto a semplicità e certezza normativa, anche rilevanti inconvenienti dovuti alla rigidità, ai costi, alle difficoltà applicative.3 Si deve precisare che con il termine di autoregolazione si intendono due tipi di normazione, una di tipo volontario dei soggetti economici interessati, l’altra delegata dall’amministrazione a terzi e sottoposta al controllo di organismi pubblici per la verifica della congruità degli standard adottati ed il rispetto delle regole indicate. In questo caso l’autoregolamentazione implica che questo potere delegato sia soggetto a controlli assolutamente efficienti da parte dell’amministrazione pubblica. L’OCSE cerca di incoraggiare tale tipo di normazione, ma non sono da sottovalutarne i limiti che, come evidenzia la letteratura statunitense, possono dar luogo ad una sorta di “accaparramento del soggetto regolatore” da parte delle industrie e dei soggetti economici da regolare, con il rischio che si ledano principi di concorrenza del mercato o altro. I vantaggi invece di tale sistema consistono soprattutto nella sua flessibilità, nella economicità, nella professionalità degli attori che intervengono per l’applicazione e attuazione della normativa. Dopo aver deciso che il problema va risolto facendo ricorso alla normazione pubblica, occorre valutare a quale livello si intende far ricorso, ossia se occorre intervenire a livello comunitario oppure a livello nazionale, con norme primarie o regolamentari. L’intervento 3 La tecnica di autoregolazione o self-regulation è usata con sempre maggiore frequenza negli Stati Uniti, mentre meno utilizzata negli ordinamenti europei e specialmente in Italia, dove ancora si rileva una certa confusione concettuale sul problema. AA.VV. La crisi della legislazione. Studiosi e politici a confronto, in Claudio Mignone (a cura), Cedam, Padova, 1997. 313 legislativo in tal senso, se non si tratta di legislazione di principio, dovrebbe ricorrere a fonti secondarie, che garantiscono la flessibilità e la rapidità di adeguamento alla realtà su cui si intende intervenire. Quanto ai livelli di governo cui imputare la funzione normativa, occorre applicare, come principio acquisito nell’ordinamento, il principio di sussidiarietà, considerando prioritaria la scelta del livello più vicino alla realtà territoriale dei cittadini. Occorre poi valutare quali norme siano efficaci per risolvere il problema individuato; la struttura dell’atto normativo deve indicare in ogni caso: i soggetti destinatari, l’oggetto dell’intervento regolativi pubblico, l’ambito di applicazione, le norme procedurali, le strutture di riferimento, i mezzi finanziari con cui far fronte ai costi stimati, le eventuali norme transitorie, ed anche le abrogazioni espresse di norme preesistenti. Questa fase è strettamente connessa a quella dell’innesto normativo con le fonti preesistenti, poiché l’ambito di intervento della norma può risultare ampliato o ristretto a seconda della necessità di inserire le nuove disposizioni in un contesto più generale o specifico. Nel momento del coordinamento con le norme preesistenti, l’attività di valutazione dell’efficacia delle normative esaminate dal decisore, si amplia e diventa attività di razionalizzazione. Contestualmente alla introduzione di nuove norme nell’ordinamento, si dovrà effettuare una rivisitazione coordinata, globale, della materia per correggere contraddizioni, disomogeneità nella normazione preesistente. Tale attività di razionalizzazione del sistema normativo appare indispensabile per correggere le distorsioni di una legislazione per frammenti come quella attuale. La contraddizione più frequente che si registra in questo contesto è la sovrapposizione dei regolamenti alle fonti già esistenti che solo in parte vengono abrogate e sostituite dalle nuove. La razionalizzazione normativa richiede uno sforzo di omogeneizzazione e unificazione delle disposizioni analoghe, attraverso la regolamentazione semplificata del procedimento principale, a cui possono essere ricondotte anche le disposizioni preesistenti. Questo criterio fa parte della valutazione dell’efficacia della normativa proposta, poiché la omogeneizzazione del sistema intorno a principi di contenuto generale, rafforza la coerenza ed organicità delle norme stesse. 314 Valutazione: obiettivi delle Politiche Pubbliche Nei Paesi con maggiore esperienza nel campo delle politiche pubbliche, la legislazione che accompagna gli interventi impone sempre più spesso di destinare risorse alla valutazione degli stessi. Nel panorama italiano sono pochi i casi in cui è stata recepita l'importanza di accompagnare gli interventi con una loro valutazione: il campo forse più ricco di esperienza è quello delle politiche del lavoro (gli esempi più noti sono la legge n. 44/1986 e l'attività dell'Agenzia per l'Impiego di Trento). Negli anni recenti si riscontra un maggior interesse verso questi temi, anche perché la nuova struttura organizzativa prevista dalle leggi n. 56/1987 e n. 223/1991 per l'intervento sul mercato del lavoro prevede esplicitamente attività di monitoraggio e valutazione degli interventi attraverso gli Osservatori del Mercato del Lavoro (OML) e le Agenzie per l'Impiego. Altro campo di intervento caratterizzato da iniziative di valutazione è quello della formazione professionale. L'interesse maggiore nei confronti di monitoraggio e valutazione si rivela da parte dei governi locali: è a questo livello, infatti, che si registrano le esperienze più significative; si tratta, nella maggior parte dei casi, di interventi di monitoraggio delle politiche adottate, più che di una vera e propria valutazione dell'impatto. L'esperienza degli altri Paesi, ed il confronto con il caso italiano, consentono di trarre alcune prime indicazioni circa le precondizioni necessarie perché si diffonda, anche nel nostro Paese, una seria attitudine verso il monitoraggio e la valutazione degli interventi a livello locale e nazionale. Tra i Paesi guida si può collocare, a livello europeo, la Francia, che da diversi anni opera efficacemente in questo senso, sottoponendo a studi di valutazione le politiche più significative attivate sul territorio nazionale. In Francia sono state adottate, infatti, diverse iniziative istituzionali a partire dal governo Rocard (fine anni '80), caratterizzate da due obiettivi prioritari: 315 - modernizzare la gestione pubblica; - nutrire il dibattito democratico fornendo informazioni obiettive sull'efficacia e l'impatto sociale delle politiche pubbliche. In realtà, questi due obiettivi possono essere considerati da un punto di vista più generale come ricerca di nuove forme di razionalizzazione e di legittimazione dell'intervento pubblico. In questo senso, e come viene spiegato molto chiaramente da Patrick Viveret in un rapporto al Primo Ministro (1989) e nel Primo Rapporto del Consiglio della Valutazione, quest'ultima è un elemento di risposta alla crisi finanziaria dello Stato e alla crisi della sfera politica. Il ragionamento è il seguente: se i Paesi occidentali hanno deciso, nella maggioranza, di frenare la crescita dei prelievi obbligatori non è perché i bisogni sociali sono meno pressanti oggi rispetto a ieri, ma fondamentalmente perché le modalità tradizionali del processo decisionale, di gestione e controllo in materia di spesa pubblica non rispondono più alle esigenze (minime) di trasparenza e razionalità. Si tratta dunque, attraverso la valutazione, di far pesare sulle attività della pubblica amministrazione gli stessi obblighi ai quali è sottoposto il mercato e, soprattutto, di renderne socialmente visibili la razionalità e l'utilità. Tutte le azioni pubbliche che sono caratterizzate da un'interazione di logiche eterogenee dovranno essere regolate da un'interrogazione critica sul loro "valore", accompagnata da uno sforzo di conoscenza del loro impatto sulla società. Ad un'organizzazione socioeconomica fondata sulla specializzazione delle razionalità e sul primato pratico delle regole sul valore, dovrebbe succedere un funzionamento che unisca in modo stretto etica della responsabilità e razionalità strumentale. La complessità degli effetti degli interventi sulla società e l'incertezza sul valore sociale di ciò che viene prodotto dal servizio pubblico diventano preoccupazioni permanenti che devono essere integrate nell'azione e nel processo decisionale. Una volta concluso il processo di valutazione, ed essendo in grado di stilare un bilancio esaustivo dell'intervento pubblico messo in atto, si potrà decidere quale cammino intraprendere: sostituire le misure che hanno registrato un impatto mediocre, cercare nuove soluzioni (magari più innovative) sulla base di quanto fatto fino a quel momento, apportare semplici correttivi ai dispositivi già adottati per ottimizzarne i risultati. 2. La valutazione: quadro di riferimento 316 Di norma intendiamo con il termine politiche (policies) interventi pubblici o comunque programmati che rispondono ad esigenze o bisogni collettivi, complessi sia sotto il profilo del processo decisionale che di quello d'implementazione, che mirano ad incidere su popolazioni di riferimento più o meno vaste, ma comunque "altre" rispetto ai decisori. Una breve discussione dei termini impiegati nella definizione proposta evidenzia l'ambito d'azione della valutazione. a) Politiche pubbliche o interventi comunque programmati: si tratta di due caratteristiche che non si escludono a vicenda, dal momento che quasi tutte le politiche pubbliche sono, almeno nelle intenzioni o nelle enunciazioni dei decisori, programmate. Il carattere pubblico di una politica ne rende possibile, quantomeno in linea teorica, la riconducibilità a competenze istituzionali da cui discendono le finalità dell'intervento e, in una certa misura, percorsi o vincoli nell'azione. "Comunque programmati" sta a significare che, se da un lato per l'ente pubblico dovrebbe essere sempre ricostruibile la razionalità strumentale che ne governa l'azione, a prescindere dal fatto che questa sia esplicitata in un documento di valenza programmatoria, d'altro lato la maggior parte delle organizzazioni complesse tende ad agire, per sua natura, secondo logiche di razionalità strumentale. La riconducibilità a tali principi è infatti connaturata al concetto stesso di organizzazione, anche se è noto che molti filoni d'analisi sottolineano i limiti di tale razionalità, giungendo in casi estremi a negarla. b) La complessità sta a sottolineare che, di norma, le decisioni degli enti pubblici (come quelle delle organizzazioni private di maggior consistenza) sono frutto della convergenza, formale o sostanziale che sia, di più soggetti e, soprattutto, che quasi mai chi compie una scelta è poi lo stesso soggetto che la attua, anche se può mantenerne per intero la responsabilità formale. E' del resto noto che la valutazione di processo (vedi oltre) si rivela spesso indispensabile per comprendere le ragioni della parziale o totale inefficacia delle scelte, i cui esiti dipendono dalle modalità di implementazione delle politiche in misura spesso maggiore che dalle modalità della loro definizione. c) Il riferimento a esigenze e bisogni di una collettività costituisce a sua volta un elemento importante per la valutazione, dal momento che presiede alla traduzione delle finalità in obiettivi e fornisce al tempo stesso un criterio di congruenza (ex ante) dell'articolazione di una politica in specifiche linee d'intervento. Questo punto fa sorgere tuttavia due interrogativi, tra loro connessi. 317 Il primo riguarda il grado in cui i bisogni sociali cui le politiche intendono rispondere siano in qualche modo strutturati, o al limite "deformati", dalla "definizione" che ne viene data leggendoli secondo la specifica chiave di lettura costituita dalle finalità generali delle politiche stesse. E' infatti evidente che i "bisogni" costituiscono comunque un'astrazione rispetto al continuo fluire delle esigenze (espresse o meno) dei membri di una collettività; un'astrazione che necessariamente si configura anche come una loro "segmentazione" e "specificazione", alla luce appunto dei presupposti delle politiche stesse, riconducibili a loro volta alla natura e alle competenze istituzionali dell'attore pubblico. In questo senso è attraverso la definizione delle politiche che si "forma" (e talvolta si deforma) una "domanda sociale" che non può configurarsi come tale in assenza di una gamma di "risposte possibili" ascrivibili ad un soggetto pubblico. In altre parole, la domanda di posti di lavoro cui le politiche occupazionali tentano di dare risposta nasce come risposta ad un insieme più ampio e indifferenziato di "bisogni" (di reddito, di autonomia economica, di autorealizzazione personale, d'inserimento sociale, ecc.) di cui sono portatori i membri di una società, nella cornice di una specifica cultura. E' infatti ovvio che il modo in cui si manifesta il bisogno di un'occupazione è condizionato dai modelli culturali di una società, in particolare dal modo in cui viene concepito il "lavoro" (come diritto/dovere di ogni adulto, come assunzione di responsabilità e ruolo sociale, come attività retribuita esercitata in particolari condizioni, ecc. Il secondo punto concerne le modalità di misurazione dei bisogni cui un intervento o una politica intende rispondere. Si tratta di un problema epistemologico, metodologico e politico, prima ancora che tecnico. Infatti, una definizione "oggettiva" di bisogni da cui trarre spunto per la loro misurazione è inattingibile non solo per ragioni epistemologiche (ci si riferisce all'improponibilità di un "punto centrale di osservazione" su cui poter fondare l'oggettività della scienza, com'è ormai convinzione corrente nell'epistemologia contemporanea; cfr. Giddens 1976), ma anche per ragioni politiche, in quanto sarebbe comunque partigiano proporre un "punto di vista del cittadino" contrapposto a quello delle istituzioni. Questa posizione comporterebbe poi, come ulteriore aggravante, il rischio di una posizione "fondamentalista" da parte di un valutatore che pretenda di erigersi a unico interprete autorizzato dei "veri" bisogni della popolazione (cfr. sul tema Palumbo 1993). I bisogni andrebbero più correttamente visti come risultato di una coproduzione dei decisori e dei destinatari delle politiche, mediata dal comune sistema socio culturale di appartenenza e dalle procedure operative grazie alle quali la definizione di bisogni prende corpo. 318 Queste riflessioni non comportano tuttavia che la definizione dei bisogni proposta (in modo esplicito o implicito) dai decisori debba essere assunta in modo acritico dal valutatore. Questo ha infatti a disposizione diversi strumenti di controllo della "definizione della situazione" proposta dai primi. Innanzi tutto le concezioni correnti nel modo scientifico e nella cultura corrente; in secondo luogo quelle proposte da altri operatori, pubblici e privati, che intervengono sullo stesso problema, ivi incluse le eventuali associazioni di tutela o auto tutela dei cittadini; in terzo luogo da contesti analoghi propri di altre realtà nazionali o locali; da ultimo, gli stessi riferimenti assunti dalle norme e dalle deliberazioni assunte dai decisori. Sotto quest'ultimo aspetto, saper declinare i concetti di bisogno espressi dai decisori nei diversi documenti normativi e programmatici consente di coglierne per intero il significato loro attribuito, al di là del modo in cui tali bisogni vengono "colti" o accolti dagli interventi predisposti. In altre parole, la semantica dei bisogni espressa dal decisore è spesso molto più ampia della sintassi degli stessi desumibile dagli interventi messi in atto; mettere in luce le discrasie tra le due può già di per sé costituire un'operazione utile e innovativa; un esempio banale è costituito dalle politiche sanitarie, al cui interno, com'è noto, le enunciazioni di principio definiscono una gamma di bisogni assai più ampia di quella che risulta poi considerata dal complesso degli interventi che queste si prefiggono di realizzare. Quanto detto lascia impregiudicato l'aspetto "tecnico" relativo alla misurazione dei bisogni, che costituisce un punto di riferimento imprescindibile sia per la definizione delle politiche che per la loro valutazione. A questo proposito si osserva che la necessità di dare realmente voce alle esigenze di cittadini che spesso vengono considerati solo quando riescono ad assumere il ruolo di "utenti" costituisce un'operazione spesso tecnicamente complessa e sempre impegnativa sotto il profilo etico e deontologico. In analogia con quanto osservato dalle più avvertite analisi sulla qualità della vita (cfr Vergati 1995; 1989), la dimensione soggettiva richiede di essere tenuta in considerazione almeno quanto quella "oggettiva" (ossia fornita da soggetti terzi rispetto ai diretti interessati). Gli aspetti tecnici sono comunque indissolubilmente legati a quelli metodologici e d'impostazione complessiva della valutazione. Basti pensare al fatto che un'ulteriore distinzione, su cui non ci si sofferma in questa sede, corre tra approcci top-down, che si prefiggono di misurare gli esiti a partire dai risultati attesi dalle politiche (cfr. Van Meter e Van Horn 1975), ed approcci bottom-up, che partono invece dagli impatti (si vedano i lavori della Tendler) per risalire alle politiche, occupandosi quindi principalmente l'uno dell'efficacia interna, l'altro di quella esterna. E' evidente che l'attenzione ai destinatari 319 delle politiche sarà diversa nei due casi e diverse saranno le modalità di rilevazione degli esiti. Importante soffermarsi sulla distinzione tra esito (output) e impatto di una politica. Con il primo termine si fa riferimento ai risultati ottenuti da questa in rapporto agli obiettivi prefissati; con il secondo al reale effetto ottenuto sull'ambito socio economico o territoriale cui era destinata. Secondo alcuni autori, l'output è costituito dall'esito "diretto" di un'azione, mentre l'impatto comprende l'insieme delle modifiche del mondo reale che l'azione produce. Un valore intermedio di significato viene assegnato al termine outcome (risultato) dell'azione, inteso come "la modifica del comportamento dei soggetti destinatari della politica" (Nomisma; 1991: 93). In questo senso, l'outcome misura anche gli effetti non previsti o non predeterminati dell'azione, limitando l'analisi unicamente ai destinatari della stessa (Palumbo 1995). Altri autori (cfr. al riguardo Agnoli e Fasanella) leggono invece il percorso di una politica dalla fase di predisposizione a quella in cui ha dispiegato per intero i propri effetti attraverso le tre categorie analitiche dell'input , che "riguarda le risorse umane e materiali impiegate nello svolgimento dell'attività da valutare", il throughput, che si riferisce "agli aspetti relativi al percorso/processo attraverso il quale, poste determinate condizioni di partenza (input) si perviene ad un certo risultato (output)" e output, che "dà conto del risultato finale ottenuto nello svolgimento della stessa attività". Secondo una consolidata letteratura, si usa poi distinguere tra valutazione di efficienza, che concerne l'impiego ottimale delle risorse disponibili (non solo finanziarie, ma anche di tempo e professionalità) per il conseguimento degli obiettivi prefissati e di efficacia, che si riferisce al grado di conseguimento degli obiettivi, attraverso il raffronto tra risultati ottenuti e risultati attesi o bisogni che si intendeva soddisfare. E' evidente come i due concetti siano legati, ma la valutazione di efficienza acquisisce significato solo se accompagnata a quella di efficacia: quando si valuta l'impiego di risorse pubbliche il primo aspetto da considerare è il criterio della massimizzazione del risultato (grado di conseguimento degli obiettivi). Essendo, però, le risorse sempre scarse e suscettibili di impieghi plurimi, un ulteriore criterio di valutazione è costituito, a parità di risultati, dall'ottimizzazione dell'impiego delle risorse e dalla massimizzazione dell'efficienza. La valutazione di efficacia delle politiche pubbliche viene generalmente distinta (cfr. Resmini 1993) in due categorie fondamentali: 320 - efficacia interna (o gestionale), intesa come capacità di raggiungere gli obiettivi o i risultati attesi fissati a priori dai decisori; - efficacia esterna (o sociale), intesa come capacità del prodotto/servizio offerto dal decisore di soddisfare i bisogni degli utenti. Nel primo tipo di valutazione ci si preoccupa, quindi, di confrontare i risultati attesi con quelli ottenuti senza necessariamente chiedersi se i primi sono coerenti con i bisogni della collettività; nel secondo, ci si chiede se i risultati ottenuti, al di là della loro coerenza con quelli programmati, hanno davvero assolto, e in quale misura, ai bisogni sociali che rendono necessario l'intervento. Infine, prendendo a riferimento il momento nel quale viene effettuata la valutazione, si distingue tra: 1) ex ante, ossia prima dell'avvio di un programma o di un intervento; 2) on going o in itinere, in corso di realizzazione; 3) conclusiva, al termine dell'attuazione di un programma o intervento; 4) ex post, quando l'intervento o il programma hanno iniziato a dare i loro frutti. In molti casi non si opera una distinzione tra valutazione conclusiva ed ex post, utilizzando quest'ultimo termine per designare entrambe. Al contrario, è nostra convinzione che sia particolarmente opportuno mantenerla, in quanto alcuni effetti delle politiche possono essere rilevati solo al termine delle stesse (ad es., il grado di soddisfazione degli allievi di un corso di formazione, o la preparazione acquisita), mentre altri richiedono per il loro dispiegarsi un certo tempo (ad es., l'occupazione degli allievi formati, ovvero eventuali aumenti retributivi o avanzamenti di carriera degli occupati formati). Nelle esperienze più diffuse di valutazione la distinzione principale viene riferita alle due modalità maggiormente usate: efficacia ex ante ed efficacia ex post. La prima riguarda la coerenza tra bisogni ed obiettivi (efficacia esterna ex ante) o quella tra obiettivi e risultati attesi (efficacia interna ex ante); la seconda, invece, la coerenza tra i risultati conseguiti e bisogni (efficacia esterna ex post, o valutazione d'impatto) o tra risultati conseguiti e risultati attesi (efficacia interna ex post o valutazione degli esisti). Si può distinguere inoltre tra valutazione di processo, che tiene conto dell'intero percorso di adozione/attuazione delle politiche; valutazione d'impatto, che si concentra maggiormente sui loro esiti (ivi inclusi quelli inintenzionali, e sistemi di monitoraggio (Stame 1990 e Tendler 1992). 321 Rispetto alle distinzioni sopra considerate, si può affermare che nell'ambito delle politiche attive del lavoro assumono rilevanza in primo luogo la valutazione di efficacia (in particolare ex ante ed ex post) e solo in subordine quella di efficienza; in secondo luogo prima la valutazione d'impatto e poi quella di processo; da ultimo, per quanto attiene la misurazione, gli standard di tipo fisico, economico e quelli d'impatto. Si deve precisare inoltre che, di norma, esistono diversi "livelli" ai quali può essere effettuata una valutazione, in accordo con corrispondenti livelli di generalità di una politica. Oggetto di valutazione potrebbero dunque essere: obiettivi generali, quali derivano dai compiti istituzionali o dalle macro scelte politiche (es., diminuzione della disoccupazione) strategie, ossia insieme coerente di obiettivi e azioni (es., aumentare le occasioni di lavoro) obiettivi specifici, ossia sub obiettivi delle strategie, ovvero finalità specifiche delle strategie più generali (es., sviluppare l'occupazione dipendente nella PMI; sostenere l'autoimprenditorialità) risultati attesi, ossia esiti concreti di una politica, ovvero traduzione operativa di un obiettivo (es., creare un certo numero di nuovi posti di lavoro dipendenti, ovvero un certo numero di nuove imprese). Volendo riferire queste distinzioni alla terminologia in uso nella programmazione comunitaria, si potrebbe tracciare un'analogia con: politiche (ad es., politica del lavoro) strategie (ad es., politiche formative) programmi (ad es., Ob. 3) misure (ad es., formazione per una singola fascia d'utenza). Ma esistono anche tipi diversi di valutazione, in relazione agli aspetti che si ritengono rilevanti. Il Ministero del lavoro (1992), nella valutazione della formazione professionale, individua aspetti quali la sicurezza (concernente l'affidabilità delle strutture), la pertinenza (coerenza delle singole azioni proposte con i requisiti del Programma), la rispondenza (capacità del prodotto formativo di rispondere alle esigenze degli utenti), la rilevanza (di una singola azione formativa rispetto alla classe cui appartiene), l'effetto moltiplicatore (capacità di innescare circuiti positivi e grado di riproducibilità dell'azione). Tali indicatori sono poi strutturati su quattro aree valutative: finanziaria, economica, didattica, organizzativa. 322 4. La valutazione delle politiche attive del lavoro A seguito della sempre più frequente non corrispondenza dei risultati delle manovre tradizionali volte a migliorare il mercato del lavoro dovuta, soprattutto, a rapide modificazioni strutturali ed al sorgere di nuovi bisogni, le politiche neoclassiche prekeynesiane hanno lasciato sempre maggiore spazio alle politiche attive del lavoro che si caratterizzano essenzialmente per voler incidere direttamente sulla struttura del mercato del lavoro attraverso l'adeguamento delle caratteristiche di coloro che aspirano ad un'occupazione alle esigenze della domanda, incidendo sulla organizzazione stessa del mercato del lavoro e creando nuove possibilità occupazionali. Le politiche attive del lavoro sono quindi volte a migliorare il funzionamento e a facilitare l'accesso dei lavoratori sul mercato del lavoro. La valutazione delle politiche, in generale, e delle politiche attive del lavoro, in particolare, costituisce parte essenziale del processo di realizzazione di interventi che siano socialmente ottimali. Un primo elemento di complessità che caratterizza questo tipo di politiche è la molteplicità degli obiettivi che si possono raggiungere attraverso un dato intervento, la possibilità che questo vada ad incidere su obiettivi non primari della politica (cosiddette "esternalità" di un intervento) o che lo stesso obiettivo possa essere raggiunto con differenti interventi (in questo caso l'analisi deve essere realizzata in modo comparato, soprattutto rispetto ai diversi risultati che possono essere raggiunti). Gli studi di valutazione hanno lo scopo, come già sottolineato, di valutare costi e benefici degli interventi di politica economica e sociale e si inseriscono nell'ampia tipologia delle analisi rivolte a verificare la bontà di interventi effettivi o potenziali. Tra queste analisi si possono distinguere: a) valutazioni di processo; b) sistemi di monitoraggio di interventi specifici; c) valutazioni d'impatto. I primi due tipi di analisi si trovano di fronte alla difficoltà di tener conto di tutti i possibili effetti diretti e indiretti di un intervento di politica del lavoro: in presenza di interventi con obiettivi multipli è invece necessario valutare gli effetti globali (sia a livello micro che a livello macro) che possono esplicitarsi sia nel breve che nel lungo periodo, il che induce a preferire le valutazioni d'impatto, che di norma risultano tuttavia più costose e difficili. Le valutazioni di impatto possono essere suddivise in diverse tipologie, con riferimento al modo della valutazione o al momento della valutazione. 323 Sotto il primo punto di vista, si possono distinguere: 1) "valutazioni sperimentali" che, nel valutare l'impatto dell'intervento, utilizzano il metodo proprio della ricerca sperimentale (si crea un campione casuale di soggetti che sono stati oggetto dell'azione e si confrontano con ciò che si verifica nel gruppo di controllo costituito da soggetti che non hanno beneficiato dell'intervento in esame); 2) "valutazioni non sperimentali" nelle quali viene effettuata una valutazione comparata degli effetti (in termini di costi e benefici) dell'intervento realizzato o in via di realizzazione. Questa valutazione comparata viene condotta ricostruendo la situazione di confronto o attraverso metodi di stima econometrica, o attraverso indagini sul campo nei confronti di campioni non costruiti secondo le normali tecniche sperimentali casuali. Se ci si riferisce, invece, al tipo di inserimento della valutazione nel processo decisionale, si possono distinguere: a) "valutazioni dimostrative", cioè analisi pilota condotte su particolari campioni allo scopo di verificare preliminarmente i presunti costi/benefici dell'intervento rispetto alla situazione base e/o rispetto a interventi alternativi. Dai risultati di questa indagine preliminare dipende, generalmente, la realizzazione dell'intervento; b) "valutazioni effettive", cioè analisi condotte nei confronti di interventi realizzati nella loro dimensione a regime (al termine o nel corso dell'intervento). I risultati ottenuti da una valutazione di questo tipo vengono utilizzati quali valutazioni dimostrative per successive decisioni a livello politico (cfr. Ciravegna 1994). La caratteristica fondamentale delle analisi d'impatto resta, comunque, quella della formulazione di un giudizio di tipo controfattuale. Questo si rende necessario quando da un interesse semplicemente descrittivo ("sistemi di monitoraggio") si passa ad un interesse strettamente valutativo. Nel primo caso, infatti, abbiamo analisi destinate a registrare l'output di un determinato intervento (la sua performance) attribuendo direttamente ed arbitrariamente le variazioni della variabile-risultato all'intervento. Nel caso dell'analisi controfattuale, invece, lo scopo è quello di stabilire in modo rigoroso la misura in cui l'andamento della variabile-risultato è effettivamente causato dall'intervento (si cerca di valutare l'impatto netto della messa in atto della misura). Nel calcolare l'effetto netto occorre tener conto, e quindi cercare di valutare, per sottrarli dal risultato lordo, cinque effetti di dispersione che l'intervento può attivare: 1) l'effetto inerziale (o "deadweight") che si registra quando il risultato si sarebbe ottenuto anche in assenza dell'intervento; 324 2) l'effetto difensivo (o "domino") che si ha quando l'intervento coinvolge alcuni destinatari che si sono assoggettati ad esso unicamente per adeguarsi al comportamento di altri soggetti; 3) l'effetto di anticipazione che si verifica quando il risultato dell'intervento anticipa ciò che sarebbe comunque accaduto; 4) l'effetto di sostituzione che si registra quando i fruitori della misura godono di un risultato positivo a danno di altri soggetti non fruitori dell'intervento (è il caso in cui non si modifica il numero di lavoratori in un certo settore ma unicamente la loro composizione); 5) l'effetto spiazzamento, simile al precedente, che si ha quando i soggetti spiazzati non sono soggetti che competono a livello micro, ma altri che vengono coinvolti a livello globale (ad esempio i lavoratori che vengono occupati da imprese oggetto dell'intervento che vengono ad assumere un peso maggiore rispetto ad aziende che non hanno fruito della stessa politica). Essenziale, per la valutazione d'impatto, la costruzione di uno scenario (o più di uno) controfattuale. Il metodo più accurato è quello di assegnare casualmente gli individui idonei e selezionati per beneficiare della misura a due gruppi distinti di cui uno è classificato come gruppo di controllo (i soggetti che appartengono a questo insieme non beneficiano della politica implementata) e l'altro come gruppo sperimentale (le persone che appartengono a questo secondo gruppo beneficiano normalmente della misura). L'assegnazione casuale degli individui ad uno dei due gruppi garantisce che questi presentino mediamente le stesse caratteristiche e questo fatto darà un quadro corretto dell'impatto reale del programma sui partecipanti all'intervento. In alternativa alla metodologia appena descritta, si può ricorrere (per la costruzione dello scenario controfattuale) alla creazione di un campione composto da un gruppo di partecipanti al programma e da un gruppo (di comparazione) che non è oggetto della misura ma che faccia registrare una certa similitudine con il primo insieme. Ultima alternativa, non ricorrere ad un gruppo di controllo, ma basare la valutazione dell'intervento sull'apprezzamento soggettivo dell'impatto da parte degli individui oggetto dell'azione attraverso interviste volte a determinare se il loro comportamento o la loro condizione sarebbe stata la stessa in assenza di intervento. 325 326 4.2. La valutazione delle politiche pubbliche “Valutare gli effetti delle politiche pubbliche: metodi e applicazioni al caso italiano” è l’ultima indagine realizzata dal Formez nell’ambito del Progetto Governance sulle nuove modalità di azione e strumenti coerenti con il nuovo paradigma della buona governance pubblica. Ma qual è il legame tra la valutazione degli effetti delle politiche, oggetto della pubblicazione, e le innovazioni negli assetti istituzionali e gestionali delle PA, riconducibili agli approcci della good public governance? Per spiegarlo occorre richiamare le indicazioni dettate dalla Commissione Europea nel suo Libro Bianco, secondo cui le azioni delle PA devono essere improntate a principi di apertura, trasparenza, partecipazione, responsabilità, efficacia e coerenza. Ossia, detta in modo colorito ed un po’ retorico, devono abbassare i propri ponti levatoi per aprirsi al confronto, al dialogo, alla partecipazione degli stakeholders e dell’intera comunità, sin dalla fase dell’individuazione, alla gestione e alla valutazione delle public policy. La governance, infatti, delinea il passaggio da un modello di autorità, basato sul principio di legalità che definisce una ripartizione rigida e gerarchica dei poteri e delle competenze, ad un modello basato sul principio di sussidiarietà, in cui, più che la ripartizione formale, diviene centrale il risultato finale delle azioni pubbliche e le modalità e le forme più adeguate per il suo raggiungimento. La forte flessibilità del modello non riguarda soltanto i rapporti tra le PA, ma anche tra queste ed il privato; non solo attraverso l’esternalizzazione di funzioni e servizi pubblici, ma anche e soprattutto attraverso l’arricchimento del processo decisionale mediante la partecipazione dei soggetti destinatari delle politiche pubbliche. Si delinea quindi un sistema multilivello estremamente complesso di competenze formali ed informali in cui i pubblici poteri non possono più invocare esclusivamente una legittimazione “formale” derivante dalla legge, ma sono chiamati a conquistarne una “legittimazione sostanziale” che viene a dipendere in larga parte dalla capacità di fissare obbiettivi condivisi di politiche pubbliche, di assicurarne l’implementazione amministrativa, di mediare, in vista della concreta decisione, tra una vasta gamma di interessi pubblici e privati, di adempiere i nuovi compiti con competenza tecnica e con cognizioni scientifiche appropriate. In tale scenario alle PA è richiesta una profonda riconfigurazione di ruolo e una reinterpretazione intelligente della propria ragion d’essere. Una PA che non fa più tutto autonomamente, ma 327 delega, esternalizza e fa partecipi altri soggetti delle proprie funzioni ed attività deve necessariamente riuscire a sviluppare un ruolo di regia sapiente, di indirizzo e coordinamento di network, che presuppone una capacità di valutare gli effetti delle proprie azioni e di apprendere dall’esperienza dei risultati; ciò al fine di acquisire una maggiore autorevolezza ed una più ampia legittimazione “sostanziale” verso i propri stakeholders e verso l’intera comunità amministrata. La complessità diviene quindi per le PA un presupposto necessario per l’affermazione delle pratiche valutative e della valutazione intesa come apprendimento, per una maggiore consapevolezza delle proprie azioni e dei possibili risultati ed una più forte legittimazione nell’ambito di processi decisionali inclusivi e disarticolati. In estrema sintesi, la legittimazione dipende dunque dall’efficacia dell’azione amministrativa. Tuttavia, sebbene, tutti siano concordi sulla necessità di valutare l’efficacia, si registra ancora, in pratica ed in letteratura, una forte confusione metodologica sul concetto stesso e sulle modalità più adeguate per la sua misurazione. Molto spesso, infatti, si dà all’efficacia un significato notevolmente restrittivo, qualificandola cioè, come la semplice capacità di realizzazione degli obiettivi, per la cui misurazione sono sufficienti generici indicatori che quantificano la percentuale degli obiettivi realizzati rispetto a quelli programmati. Per tale via un’amministrazione può qualificarsi efficace se realizza in tutto o in buona parte quanto promesso. Tuttavia, seppur utile e necessaria un tale tipo di valutazione, più che al principio di efficacia, risponde più propriamente ad altri due principi della riforma amministrativa e della buona governance pubblica: quello di responsabilità e quello relativo di accountability. Entrambi si basano sul rapporto di delega e quindi di attribuzioni di poteri da parte del delegante, a cui fa da contrappeso l’assunzione di responsabilità ed il dovere di rendere conto dei risultati raggiunti da parte del delegato. Tali rapporti sono alla base delle democrazie rappresentative e delle nuove logiche di gestione delle PA ed investono le relazioni tra cittadini/elettori e politici/eletti, tra legislativo ed esecutivo, tra esecutivo e dirigenza. Occorre allora fare riferimento ad un significato diverso del concetto di efficacia che richiami necessariamente quello di politica pubblica, giacché un’amministrazione efficace non è quella che realizza semplicemente programmi e progetti, ma quella che tramite politiche pubbliche, intese come terapie, dà risposta a problemi e 328 bisogni collettivi. In tal senso un’amministrazione efficace è quella che riesce ad elaborare, prescrivere una cura, una terapia, ossia una politica pubblica, in grado di risolvere o quantomeno dare sollievo ad una patologia generale, intesa come problema o bisogno collettivo su cui si decide di intervenire. Su tale presupposto la valutazione dell’efficacia richiede una misurazione degli effetti netti della politica pubblica che rifugga dalla pratica superficiale di coloro che tendono ad accettare l’assunto del post hoc ergo propter hoc, determinando quale effetto della politica la semplice differenza tra le osservazioni post e pre-intervento. La metodologia di valutazione degli effetti, auspicabile, dovrà quindi basarsi sull’approccio controfattuale che “complica”, ma rende più rigorosa la stima degli effetti, tentando di stabilire relazioni causali tra fenomeni complessi. Tale tipo di valutazione pur essendo eminentemente ex-post, è orientata al futuro in termini di utilizzo. Nonostante la sua natura retrospettiva è fondamentalmente prospettica nell’utilizzo, nel senso che la sua ambizione di fondo è quella di riorientare il disegno delle future politiche verso quelle forme di intervento che siano risultate più efficaci in passato. In questo senso, se realizzata in modo sistematico e rigoroso, la valutazione degli effetti delle politiche può essere un importante strumento per una buona governance pubblica. Sulla base di tali considerazioni il tentativo è quello di provare a fare innanzitutto chiarezza metodologica su ciò che si intende per valutazione nella PA, analizzando in dettaglio, ma in modo sempre chiaro e comprensibile i metodi per la valutazione degli effetti delle politiche pubbliche, proponendo sia esemplificazioni, che analisi di casi di pratiche valutative. Analizziamo ad esempio il Decreto Legislativo 1999 n.286, relativo al Riordino e potenziamento dei meccanismi e strumenti di monitoraggio e valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati dell’attività svolta dalle amministrazioni pubbliche. Principi generali del controllo interno Le pubbliche amministrazioni, nell'ambito della rispettiva autonomia, si dotano di strumenti adeguati a: • garantire la legittimità, regolarità e correttezza dell'azione amministrativa (controllo di regolarità amministrativa e contabile); 329 • verificare l'efficacia, efficienza ed economicità dell'azione amministrativa al fine di ottimizzare, anche mediante tempestivi interventi di correzione, il rapporto tra costi e risultati (controllo di gestione); • valutare le prestazioni del personale con qualifica dirigenziale (valutazione della dirigenza); • valutare l'adeguatezza delle scelte compiute in sede di attuazione dei piani, programmi ed altri strumenti di determinazione dell'indirizzo politico, in termini di congruenza tra risultati conseguiti e obiettivi predefiniti (valutazione e controllo strategico). 1. La progettazione d'insieme dei controlli interni rispetta i seguenti principi generali, obbligatori per i Ministeri, applicabili dalle regioni nell'ambito della propria autonomia organizzativa e legislativa e derogabili da parte di altre amministrazioni pubbliche. a) l'attività di valutazione e controllo strategico supporta l'attività di programmazione strategica e di indirizzo politico-amministrativo. Essa è pertanto svolta da strutture che rispondono direttamente agli organi di indirizzo politicoamministrativo. Le strutture stesse svolgono, di norma, anche l'attività di valutazione dei dirigenti direttamente destinatari delle direttive emanate dagli organi di indirizzo politico-amministrativo, in particolare dai Ministri; b) il controllo di gestione e l'attività di valutazione dei dirigenti, fermo restando quanto previsto alla lettera a), sono svolte da strutture e soggetti che rispondono ai dirigenti posti al vertice dell'unità organizzativa interessata; c) l'attività di valutazione dei dirigenti utilizza anche i risultati del controllo di gestione, ma è svolta da strutture o soggetti diverse da quelle cui è demandato il controllo di gestione medesimo; d) è fatto divieto di affidare verifiche di regolarità amministrativa e contabile a strutture addette al controllo di gestione, alla valutazione dei dirigenti, al controllo strategico. Gli addetti alle strutture che effettuano il controllo di gestione, la valutazione dei dirigenti e il controllo strategico riferiscono sui risultati dell'attività svolta, esclusivamente agli organi di vertice dell'amministrazione, ai soggetti, agli organi di 330 indirizzo politico- amministrativo al fine di ottimizzazione della funzione amministrativa. Ai controlli di regolarità amministrativa e contabile provvedono gli organi appositamente previsti dalle disposizioni vigenti nei diversi comparti della pubblica amministrazione, e, in particolare, gli organi di revisione, ovvero gli uffici di ragioneria, nonché i servizi ispettivi, e, nell'ambito delle competenze stabilite dalla vigente legislazione, i servizi ispettivi di finanza della Ragioneria generale dello Stato e quelli con competenze di carattere generale. Le verifiche di regolarità amministrativa e contabile devono rispettare, in quanto applicabili alla pubblica amministrazione, i principi generali della revisione aziendale asseverati dagli ordini e collegi professionali operanti nel settore. Il controllo di regolarità amministrativa e contabile non comprende verifiche da effettuarsi in via preventiva se non nei casi espressamente previsti dalla legge e fatto salvo, in ogni caso, il principio secondo cui le definitive determinazioni in ordine all'efficacia dell'atto sono adottate dall'organo amministrativo responsabile. Controllo di gestione Ai fini del controllo di gestione, ciascuna amministrazione pubblica definisce: a) l'unità o le unità responsabili della progettazione e della gestione del controllo di gestione; b) le unità organizzative a livello delle quali si intende misurare l'efficacia, efficienza ed economicità dell'azione amministrativa; c) le procedure di determinazione degli obiettivi gestionali e dei soggetti responsabili; d) l'insieme dei prodotti e delle finalità dell'azione amministrativa, con riferimento all'intera amministrazione o a singole unità organizzative; e) le modalità di rilevazione e ripartizione dei costi tra le unità organizzative e di individuazione degli obiettivi per cui i costi sono sostenuti; f) gli indicatori specifici per misurare efficacia, efficienza ed economicità; g) la frequenza di rilevazione delle informazioni. Nelle amministrazioni dello Stato, il sistema dei controlli di gestione supporta la funzione dirigenziale. Le amministrazioni medesime stabiliscono le modalità operative per l'attuazione del controllo di gestione entro tre mesi dall'entrata in vigore del decreto, dandone comunicazione alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Il Presidente del Consiglio dei Ministri, con propria direttiva, periodicamente 331 aggiornabile, stabilisce in maniera tendenzialmente omogenea i requisiti minimi cui deve ottemperare il sistema dei controlli di gestione. Nelle amministrazioni regionali, la legge quadro di contabilità contribuisce a delineare l'insieme degli strumenti operativi per le attività di pianificazione e controllo. La valutazione del personale con incarico dirigenziale Le pubbliche amministrazioni, sulla base anche dei risultati del controllo di gestione, valutano, in coerenza a quanto stabilito al riguardo dai contratti collettivi nazionali di lavoro, le prestazioni dei propri dirigenti, nonché i comportamenti relativi allo sviluppo delle risorse professionali, umane e organizzative ad essi assegnate (competenze organizzative). La valutazione delle prestazioni e delle competenze organizzative dei dirigenti tiene particolarmente conto dei risultati dell'attività amministrativa e della gestione. La valutazione ha periodicità annuale. Il procedimento per la valutazione è ispirato ai principi della diretta conoscenza dell'attività del valutato da parte dell'organo proponente o valutatore di prima istanza, della approvazione o verifica della valutazione da parte dell'organo competente o valutatore di seconda istanza, della partecipazione al procedimento del valutato. Per le amministrazioni dello Stato, la valutazione è adottata dal responsabile dell'ufficio dirigenziale generale interessato, su proposta del dirigente, eventualmente diverso, preposto all'ufficio cui è assegnato il dirigente valutato. Per i dirigenti preposti ad uffici di livello dirigenziale generale, la valutazione è adottata dal capo del dipartimento o altro dirigente generale sovraordinato. Per i dirigenti preposti ai centri di responsabilità delle rispettive amministrazioni la valutazione è effettuata dal Ministro, sulla base degli elementi forniti dall'organo di valutazione e controllo strategico. La procedura di valutazione costituisce presupposto per l'applicazione delle misure in materia di responsabilità dirigenziale. In particolare, le misure sanzionatorie si applicano allorché i risultati negativi dell'attività amministrativa e della gestione o il mancato raggiungimento degli obiettivi emergono dalle ordinarie ed annuali 332 procedure di valutazione. Tuttavia, quando il rischio grave di un risultato negativo si verifica prima della scadenza annuale, il procedimento di valutazione può essere anticipatamente concluso. La valutazione e il controllo strategico L'attività di valutazione e controllo strategico mira a verificare, in funzione dell'esercizio dei poteri di indirizzo da parte dei competenti organi, l'effettiva attuazione delle scelte contenute nelle direttive ed altri atti di indirizzo politico. L'attività stessa consiste nell'analisi, preventiva e successiva, della congruenza e/o degli eventuali scostamenti tra le missioni affidate dalle norme, gli obiettivi operativi prescelti, le scelte operative effettuate e le risorse umane, finanziarie e materiali assegnate, nonché nella identificazione degli eventuali fattori ostativi, delle eventuali responsabilità per la mancata o parziale attuazione, dei possibili rimedi. Gli uffici ed i soggetti preposti all'attività di valutazione e controllo strategico riferiscono in via riservata agli organi di indirizzo politico, sulle risultanze delle analisi effettuate. Essi di norma supportano l'organo di indirizzo politico anche per la valutazione dei dirigenti che rispondono direttamente all'organo medesimo per il conseguimento degli obiettivi da questo assegnatigli. Nelle amministrazioni dello Stato, i compiti valutativi sono affidati ad apposito ufficio, denominato servizio di controllo interno e dotato di adeguata autonomia operativa. La direzione dell'ufficio può essere dal Ministro affidata anche ad un organo collegiale, ferma restando la possibilità di ricorrere, anche per la direzione stessa, ad esperti estranei alla pubblica amministrazione. I servizi di controllo interno operano in collegamento con gli uffici di statistica istituiti ai sensi del decreto legislativo 6 settembre 1989, n. 322. Essi redigono almeno annualmente una relazione sui risultati delle analisi effettuate, con proposte di miglioramento della funzionalità delle amministrazioni. Possono svolgere, anche su richiesta del Ministro, analisi su politiche e programmi specifici dell'amministrazione di appartenenza e fornire indicazioni e proposte sulla sistematica generale dei controlli interni nell'amministrazione. Compiti della Presidenza del Consiglio dei Ministri 333 Presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri è costituita una banca dati, accessibile in via telematica e pienamente integrata nella rete unitaria della pubblica amministrazione, alimentata dalle amministrazioni dello Stato, alla quale affluiscono, in ogni caso, le direttive annuali dei Ministri e gli indicatori di efficacia, efficienza, economicità relativi ai centri di responsabilità e alle funzioni obiettivo del bilancio dello Stato. Per il coordinamento in materia di valutazione e controllo strategico nelle amministrazioni dello Stato, la Presidenza del Consiglio dei Ministri si avvale di un apposito comitato tecnico scientifico e dell'osservatorio. Il comitato è composto da non più di sei membri, scelti tra esperti di chiara fama, anche stranieri, uno in materia di metodologia della ricerca valutativa, gli altri nelle discipline economiche, giuridiche, politologiche, sociologiche e statistiche. Si applica, ai membri del comitato, l'articolo 31 della legge 23 agosto 1988, n. 400, e ciascun membro non può durare complessivamente in carica per più di sei anni. Il comitato formula, anche a richiesta del Presidente del Consiglio dei Ministri, valutazioni specifiche di politiche pubbliche o programmi operativi plurisettoriali. L'osservatorio è istituito nell'ambito della Presidenza del Consiglio dei Ministri ed è organizzato con decreto del Presidente del Consiglio. L'osservatorio, tenuto anche conto delle esperienze in materia maturate presso Stati esteri e presso organi costituzionali, ivi compreso il CNEL, fornisce indicazioni e suggerimenti per l'aggiornamento e la standardizzazione dei sistemi di controllo interno, con riferimento anche, ove da queste richiesto, alle amministrazioni pubbliche non statali. Direttiva annuale del Ministro La direttiva annuale del Ministro costituisce il documento base per la programmazione e la definizione degli obiettivi delle unità dirigenziali di primo livello. In coerenza ad eventuali indirizzi del Presidente del Consiglio dei Ministri, e nel quadro degli obiettivi generali di parità e pari opportunità previsti dalla legge, la direttiva identifica i principali risultati da realizzare, in relazione anche agli indicatori stabiliti dalla documentazione di bilancio per centri di responsabilità e per funzioniobiettivo, e determina, in relazione alle risorse assegnate, gli obiettivi di miglioramento, eventualmente indicando progetti speciali e scadenze intermedie. La 334 direttiva, avvalendosi del supporto dei servizi di controllo interno definisce altresì i meccanismi e gli strumenti di monitoraggio e valutazione dell'attuazione. Il personale che svolge incarichi dirigenziali eventualmente costituito in conferenza permanente, fornisce elementi per l'elaborazione della direttiva annuale. Sistemi informativi 1. Ai sensi dell'articolo 17, comma 1, lettera a), della legge 15 marzo 1997, n. 59, il sistema di controllo di gestione e il sistema di valutazione e controllo strategico delle amministrazioni statali si avvalgono di un sistema informativo-statistico unitario, idoneo alla rilevazione di grandezze quantitative a carattere economico- finanziario. La struttura del sistema informativo statistico basata su una banca dati delle informazioni rilevanti ai fini del controllo, e sulla predisposizione periodica di una serie di prospetti numerici e grafici (sintesi statistiche) di corredo alle analisi periodiche elaborate dalle singole amministrazioni. Il sistema informativo-statistico è organizzato in modo da costituire una struttura di servizio per tutte le articolazioni organizzative del Ministero. I sistemi automatizzati e le procedure manuali rilevanti ai fini del sistema di controllo, qualora disponibili, sono i seguenti: a) sistemi e procedure relativi alla rendicontazione contabile della singola amministrazione; b) sistemi e procedure relativi alla gestione del personale (di tipo economico, finanziario e di attività presenze, assenze, attribuzione a centro di disponibilità); c) sistemi e procedure relativi al fabbisogno ed al dimensionamento del personale; d) sistemi e procedure relativi alla rilevazione delle attività svolte per la realizzazione degli scopi istituzionali (erogazione prodotti/servizi, sviluppo procedure amministrative) e dei relativi effetti; e) sistemi e procedure relativi alla analisi delle spese di funzionamento (personale, beni e servizi) dell'amministrazione; f) sistemi e procedure di contabilità analitica. Abrogazione di norme e disposizioni transitorie 1. Entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo le amministrazioni statali, nell'ambito delle risorse disponibili, adeguano i loro ordinamenti a quanto in esso previsto. In particolare, gli organi di indirizzo politico provvedono alla 335 costituzione degli uffici, e vigilano sugli adempimenti organizzativi e operativi che fanno carico agli uffici dirigenziali di livello generale per l'esercizio delle altre funzioni di valutazione e controllo. Si intendono attribuiti alle strutture designate i compiti attribuiti ad uffici di controllo interno in materia di verifiche sulla legittimità, regolarità e correttezza dell'azione amministrativa, controllo sulla gestione interno e controllo in materia di valutazione del personale. Più amministrazioni omogenee o affini possono istituire, mediante convenzione, che ne regoli le modalità di costituzione e di funzionamento, uffici unici per l'attuazione di quanto previsto dal decreto ed apposite strutture di consulenza e supporto, integrati con esperti nelle materie di pertinenza. I servizi pubblici nazionali e locali sono erogati con modalità che promuovono il miglioramento della qualità e assicurano la tutela dei cittadini e degli utenti e la loro partecipazione, nelle forme, anche associative, riconosciute dalla legge, alle inerenti procedure di valutazione e definizione degli standard qualitativi. Le modalità di definizione, adozione e pubblicizzazione degli standard di qualità, i casi e le modalità di adozione delle carte dei servizi, i criteri di misurazione della qualità dei servizi, le condizioni di tutela degli utenti, nonché i casi e le modalità di indennizzo automatico e forfettario all'utenza per mancato rispetto degli standard di qualità sono stabilite con direttive, aggiornabili annualmente, del Presidente del Consiglio dei Ministri. Per quanto riguarda i servizi erogati direttamente o indirettamente dalle regioni e dagli enti locali, si provvede con atti di indirizzo e coordinamento adottati d'intesa con la conferenza unificata di cui al decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281. Le iniziative di coordinamento, supporto operativo alle amministrazioni interessate e monitoraggio sull'attuazione del presente articolo sono adottate dal Presidente del Consiglio dei Ministri, supportato da apposita struttura della Presidenza del Consiglio dei Ministri. è ammesso il ricorso a un soggetto privato, da scegliersi con gara europea di assistenza tecnica, sulla base di criteri oggettivi e trasparenti. 336 NOTE L'art. 76 della Costituzione disciplina la delega al Governo dell'esercizio della funzione legislativa e stabilisce che essa non può avvenire se non con determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per soggetti definiti. Il Governo è delegato (secondo quanto stabilito dall'art. 11 della legge n. 59 del 1997, come modificato dall'art. 9 della legge 8 marzo 1999, n. 50), ad emanare, entro il 31 gennaio 1999, uno o più decreti legislativi diretti a: 1) razionalizzare l'ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri e dei Ministeri, anche attraverso il riordino, la soppressione e la fusione di Ministeri, nonché di amministrazioni centrali anche ad ordinamento autonomo; 2) riordinare gli enti pubblici nazionali operanti in settori diversi dalla assistenza e previdenza, le istituzioni di diritto privato e le società per azioni, controllate direttamente o indirettamente dallo Stato, che operano, anche all'estero, nella promozione e nel sostegno pubblico al sistema produttivo nazionale; 3) riordinare e potenziare i meccanismi e gli strumenti di monitoraggio e di valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati dell'attività svolta dalle amministrazioni pubbliche; 4) riordinare e razionalizzare gli interventi diretti a promuovere e sostenere il settore della ricerca scientifica e tecnologica nonché gli organismi operanti nel settore stesso.. 1. Nell'attuazione della delega di cui alla lettera c) del comma 1 dell'art. 11 il Governo si atterrà, oltreché ai principi generali desumibili dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni, ai seguenti principi e criteri direttivi: • prevedere che ciascuna amministrazione organizzi un sistema informativo-statistico di supporto al controllo interno di gestione, alimentato da rilevazioni periodiche, al massimo annuali, dei costi, delle attività e dei prodotti; • prevedere e istituire sistemi per la valutazione, sulla base di parametri oggettivi, dei risultati dell'attività amministrativa e dei servizi pubblici favorendo ulteriormente l'adozione di carte dei servizi e assicurando in ogni caso sanzioni per la loro violazione, e di altri strumenti per la tutela dei diritti dell'utente e per la sua partecipazione, anche in forme associate, alla definizione delle carte dei servizi ed alla valutazione dei risultati; 337 • prevedere che ciascuna amministrazione provveda periodicamente e comunque annualmente alla elaborazione di specifici indicatori di efficacia, efficienza ed economicità ed alla valutazione comparativa dei costi, rendimenti e risultati; • collegare l'esito dell'attività di valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati alla allocazione annuale delle risorse; • costituire presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri una banca dati sull'attività di valutazione, collegata con tutte le amministrazioni attraverso i sistemi di cui alla lettera a) ed il sistema informatico del Ministero del tesoro - Ragioneria generale dello Stato e accessibile al pubblico. Indirizzo politico-amministrativo. Funzioni e responsabilità Gli organi di Governo esercitano le funzioni di indirizzo politico-amministrativo, definendo gli obiettivi ed i programmi da attuare ed adottando gli altri atti rientranti nello svolgimento di tali funzioni, e verificano la rispondenza dei risultati dell'attività amministrativa e della gestione agli indirizzi impartiti. Ad essi spettano, in particolare: a) le decisioni in materia di atti normativi e l'adozione dei relativi atti di indirizzo interpretativo ed applicativo; b) la definizione di obiettivi, priorità, piani, programmi e direttive generali per l'azione amministrativa e per la gestione; c) la individuazione delle risorse umane, materiali ed economico-finanziarie da destinare alle diverse finalità e la loro ripartizione tra gli uffici di livello dirigenziale generale; d) la definizione dei criteri generali in materia di ausili finanziari a terzi e di determinazione di tariffe, canoni e analoghi oneri a carico di terzi; e) le nomine, designazioni ed atti analoghi ad essi attribuiti da specifiche disposizioni; f) le richieste di pareri alle autorità amministrative indipendenti ed al Consiglio di Stato. (Rilevazione dei costi). 1. Le amministrazioni pubbliche individuano i singoli programmi di attività e trasmettono alla Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione 338 pubblica, al Ministero del tesoro e al Ministero del bilancio e della programmazione economica tutti gli elementi necessari alla rilevazione ed al controllo dei costi .Per l'immediata attivazione del sistema di controllo della spesa del personale, il Ministero del tesoro, d'intesa con la Presidenza del Consiglio dei Ministri Dipartimento della funzione pubblica, avvia un processo di integrazione dei sistemi informativi delle amministrazioni pubbliche che rilevano i trattamenti economici e le spese del personale. Ferme restando le attuali procedure di evidenziazione della spesa ed i relativi sistemi di controllo, il Ministero del tesoro, al fine di rappresentare i profili economici della spesa, previe intese con la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione pubblica, definisce procedure interne e tecniche di rilevazione e provvede, in coerenza con le funzioni di spesa riconducibili alle unità amministrative cui compete la gestione dei programmi, ad un'articolazione dei bilanci pubblici a carattere sperimentale. (Verifica dei risultati - Responsabilità dirigenziali). I dirigenti generali ed i dirigenti sono responsabili del risultato dell'attività svolta dagli uffici ai quali sono preposti, della realizzazione dei programmi e dei progetti loro affidati in relazione agli obiettivi dei rendimenti e dei risultati della gestione finanziaria, tecnica ed amministrativa, incluse le decisioni organizzative e di gestione del personale. All'inizio di ogni anno, i dirigenti presentano al direttore generale, e questi al Ministro, una relazione sull'attività svolta nell'anno precedente. I risultati negativi dell'attività amministrativa e della gestione o il mancato raggiungimento degli obiettivi, valutati con i sistemi e le garanzie determinati con i decreti legislativi, comportano per il dirigente interessato la revoca dell'incarico. Nelle amministrazioni pubbliche, ove già non esistano, sono istituiti servizi di controllo interno, o nuclei di valutazione, con il compito di verificare, mediante valutazioni comparative dei costi e dei rendimenti, la realizzazione degli obiettivi, la corretta ed economica gestione delle risorse pubbliche, l'imparzialità ed il buon andamento dell'azione amministrativa. I servizi o nuclei determinano almeno annualmente, anche su indicazione degli organi di vertice, i parametri di riferimento del controllo. Gli uffici operano in posizione di autonomia e rispondono esclusivamente agli organi di direzione politica. Ad essi e attribuito, nell'ambito delle dotazioni organiche vigenti, un apposito contingente di personale. Per motivate 339 esigenze, le amministrazioni pubbliche possono altresì avvalersi di consulenti esterni, esperti in tecniche di valutazione e nel controllo di gestione. I nuclei di valutazione, ove istituiti, sono composti da dirigenti generali e da esperti anche esterni alle amministrazioni. In casi di particolare complessità, il Presidente del Consiglio può stipulare, anche cumulativamente per più amministrazioni, convenzioni apposite con soggetti pubblici o privati particolarmente qualificati. I servizi e nuclei hanno accesso ai documenti amministrativi e possono richiedere, oralmente o per iscritto, informazioni agli uffici pubblici. Riferiscono trimestralmente sui risultati della loro attività agli organi generali di direzione. Gli uffici di controllo interno delle amministrazioni territoriali e periferiche riferiscono altresì ai comitati. (Servizio di controllo interno). 1. Per le amministrazioni che non hanno adottato il regolamento per l'istituzione del servizio di controllo interno o del nucleo di valutazione di cui all'art. 20, comma 7, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, vigono, fino all'emanazione del citato regolamento, le seguenti disposizioni: 1) il servizio di controllo interno è posto alle dirette dipendenze del Ministro in posizione di autonomia; 2) alla direzione del servizio è preposto un collegio di tre membri costituito da due dirigenti generali, appartenenti ai ruoli del Ministero cui appartiene il servizio di controllo interno, e da un membro scelto tra i magistrati delle giurisdizioni superiori amministrative, gli avvocati dello Stato, i professori universitari ordinari. Con unico decreto il Ministro competente provvede alla nomina del collegio e all'attribuzione delle funzioni di presidente del collegio stesso. Al servizio di controllo interno è assegnato un nucleo di sei dirigenti del ruolo del Ministero cui appartiene il servizio o che si trovino in posizione di comando presso lo stesso Ministero. Le funzioni di segreteria del collegio sono svolte da un contingente non superiore alle diciotto unità, appartenenti alle diverse qualifiche funzionali. 2. Il servizio di controllo interno ha il compito di verificare, mediante valutazioni comparative dei costi e dei rendimenti, la realizzazione degli obiettivi, la corretta ed economica gestione delle risorse attribuite ed introitate, nonché l'imparzialità ed il buon andamento dell'azione amministrativa. In particolare esso: 340 • accerta la rispondenza di risultati dell'attività amministrativa alle prescrizioni ed agli obiettivi stabiliti in disposizioni normative e nelle direttive emanate dal Ministro e ne verifica l'efficienza, l'efficacia e l'economicità nonché la trasparenza, l'imparzialità ed il buon andamento anche per quanto concerne la rispondenza dell'erogazione dei trattamenti economici accessori alla normativa di settore ed alle direttive del Ministro; • svolge il controllo di gestione sull'attività amministrativa dei dipartimenti, dei servizi e delle altre unità organizzative e riferisce al Ministro sull'andamento della gestione, evidenziando le cause dell'eventuale mancato raggiungimento dei risultati con la segnalazione delle irregolarità eventualmente riscontrate e dei possibili rimedi; • stabilisce annualmente, anche su indicazione del Ministro e d'intesa, ove possibile, con i responsabili dei dipartimenti, dei servizi e delle altre unità organizzative, i parametri e gli indici di riferimento del controllo sull'attività amministrativa. 3. Il servizio di controllo interno ha accesso ai documenti amministrativi e può richiedere ai dipartimenti, ai servizi ed alle altre unità organizzative, oralmente o per iscritto, qualsiasi atto o notizia e può effettuare e disporre ispezioni ed accertamenti diretti. 4. I risultati dell'attività del servizio sono riferiti trimestralmente al dirigente generale competente ed al Ministro". Nelle amministrazioni pubbliche il servizio di controllo interno è l'organismo di riferimento per le rilevazioni e le analisi dei costi e dei risultati della gestione. Ai fini del miglioramento dell'efficienza delle pubbliche amministrazioni, i servizi di controllo interno dei Ministeri, e i servizi ispettivi compiono annualmente rilevazioni sul numero complessivo dei procedimenti non conclusi entro il termine determinato. L'inosservanza di tale termine comporta accertamenti ai fini dell'applicazione delle sanzioni previste a carico dei dirigenti generali, dei dirigenti e degli altri dipendenti incaricati. I servizi di controllo interno compiono accertamenti sugli effetti prodotti dalle norme contenute nei regolamenti di semplificazione e di accelerazione dei procedimenti amministrativi e possono formulare osservazioni e proporre suggerimenti per la modifica delle norme stesse e per il miglioramento dell'azione amministrativa. 341 La Corte dei conti, anche nelle sue articolazioni regionali di controllo, verifica periodicamente gli andamenti della spesa per il personale delle pubbliche amministrazioni, utilizzando, per ciascun comparto, insiemi significativi di amministrazioni. A tal fine, la Corte dei conti può avvalersi, oltre che dei servizi di controllo interno o nuclei di valutazione, di esperti designati a sua richiesta da amministrazioni ed enti pubblici. 5. Nell'ambito dell'amministrazione scolastica periferica è istituita la qualifica dirigenziale per i capi di istituto preposti alle istituzioni scolastiche ed educative alle quali è stata attribuita personalità giuridica ed autonomia. I dirigenti scolastici sono inquadrati in ruoli di dimensione regionale e rispondono, in ordine ai risultati, che sono valutati tenuto conto della specificità delle funzioni e sulla base delle verifiche effettuate da un nucleo di valutazione istituito presso l'amministrazione scolastica regionale, presieduto da un dirigente e composto da esperti anche non appartenenti all'amministrazione stessa. 342 4.3. Valutazione della efficienza ed efficacia - La Pubblica Amministrazione come “sistema” (alcune considerazioni sul decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150) La riforma della Pubblica Amministrazione, intrapresa dal governo Berlusconi con la presentazione delle Linee programmatiche nel maggio 20081, è giunta ad una prima conclusione, almeno sotto il profilo normativo, con la pubblicazione del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n.1502 che affronta il tema dell’ammodernamento e razionalizzazione dell’amministrazione attraverso un ampio ventaglio di disposizioni riguardanti la misurazione e valutazione della performance, la trasparenza, la valorizzazione del merito dei dipendenti pubblici, il connesso sistema premiante, l’ordinamento del lavoro pubblico più in generale. Si tratta di un insieme complesso e articolato di disposizioni indirizzate, negli intendimenti del legislatore, ad assicurare un miglior rendimento del lavoro pubblico, un incremento dell’efficienza delle organizzazioni pubbliche e un innalzamento degli standard qualitativi ed economici delle funzioni e dei servizi. È interessante analizzare, in particolare, alcuni dei principali temi trattati nel Titolo II del decreto 150/2009 (“Misurazione, valutazione e trasparenza della performance”) che tratta di materie già oggetto in passato di numerose iniziative legislative: sostanzialmente l’efficienza, la qualità dei servizi e la trasparenza amministrativa. Mi sono soffermata ad analizzare soprattutto quegli aspetti del decreto che, a mio avviso, risultano determinanti, sotto un profilo metodologico e operativo, per il concreto avvio, presso le amministrazioni, del “ciclo di gestione della performance” e, di conseguenza, anche per la effettiva adozione di sistemi premianti e di incentivazione a favore del personale. Sono stati dunque analizzati alcuni degli aspetti connessi alla individuazione dei processi produttivi dei servizi oggetto della valutazione, le determinanti della performance organizzativa, i correlati rapporti tra performance organizzativa e 1 Cfr. Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministro per la Pubblica Amministrazione e l’innovazione, Linee programmatiche sulla riforma della Pubblica Amministrazione - Piano industriale, Roma, 28 maggio 2008, pubblicato sul sito web del Ministero della Pubblica Amministrazione ed Innovazione (www.innovazione.gov.it). 2 Decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, Attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni, GU 31-10-2009 343 individuale, nonché i possibili modi attraverso cui esprimere nel concreto la performance, anche in relazione, ad esempio, alla possibilità di definire graduatorie di performance delle organizzazioni e dei singoli dipendenti. Il sistema di misurazione e valutazione della performance definito dal decreto 150/2009 è stato anche, sinteticamente, posto in relazione con quanto prescritto dal ddl “Legge di contabilità e finanza pubblica”3, in relazione alla formazione del bilancio di previsione dello Stato, per analizzare, come le risultanze del ciclo di valutazione della performance contribuiscano a determinare la stima del fabbisogno finanziario ai fini della definizione del bilancio di previsione. Alcune considerazioni si possono fare su di un insieme di elementi del decreto che, potrebbero rendere problematica una effettiva trasposizione delle previste disposizioni nell’organizzazione e nelle prassi gestionali delle amministrazioni. Appare sostanzialmente insufficiente la disposizione secondo cui la misurazione e valutazione della performance viene riferita “all’amministrazione nel suo complesso, alle unità organizzative o aree di responsabilità” (art. 3, comma 2), invece che ai processi produttivi reali delle amministrazioni; risulta indeterminata la modalità di espressione della performance organizzativa - che deve comunque rappresentare uno standard per tutte le amministrazioni - da cui deriva l’impossibilità di redigere graduatorie di performance per le amministrazioni stesse; rimane indeterminato il rapporto tra performance organizzativa e individuale, tenuta anche presente la necessità di “tipizzarne” l’aspetto giuridico-formale per le sue evidenti conseguenze soggettive, da cui deriva la sostanziale impossibilità di redigere anche graduatorie individuali. Inoltre, dal confronto tra il decreto 150/2009 e il citato ddl sulla contabilità e finanza pubblica, emergono significativi elementi che testimoniano una perdurante disorganicità del ciclo gestionale-finanziario delle amministrazioni centrali dello Stato, laddove appare che il legislatore dia per scontato che il sistema della valutazione della performance sia basato su di un sistema di indicatori e parametri diverso da quello su cui poggiano le valutazioni del fabbisogno finanziario delle amministrazioni ai fini della formazione del bilancio di previsione, tanto che il legislatore ripetutamente richiama la necessità di procedure di conciliazione, modalità di raccordo e collegamento tra i due sistemi. 3 Senato della Repubblica, ddl. “Legge di contabilità e finanza pubblica”, n. 1397-B, 13 novembre 2009. 344 Il decreto 150/2009 tratta il tema della produttività del lavoro e dell’efficienza al duplice livello dei singoli lavoratori (dipendenti e dirigenti) e delle “organizzazioni”, come si evince,innanzitutto, dalle disposizioni relative al “ciclo di gestione della performance” ove espressamente si associa la “misurazione e valutazione delle performance, organizzativa ed individuale” (art. 1, comma 1; art. 2; art. 3; art. 4, comma 2, lettera d). Tali valutazioni di performance, “organizzativa” e individuale, dovrebbero risultare tra loro strettamente correlate, oltre che metodologicamente, soprattutto funzionalmente; pertanto, i caratteri della “performance organizzativa” e della sua “misurazione” e “valutazione” dovranno essere più precisamente configurati, dato che una loro generica enunciazione può dare origine, presso le diverse amministrazioni, ad interpretazioni ed attuazioni difformi che, peraltro, renderebbero tali “misurazioni” e “valutazioni” difficilmente confrontabili, al contrario di quanto, invece, esplicitamente dispone il decreto4. L’espressione “performance organizzativa”, seppur intuitivamente comprensibile come“capacità di resa” di un’organizzazione, può aver senso, nell’ambito del decreto 150, solo se esplicitamente fondata sulla “produttività” dei singoli processi produttivi dei servizi, la cui prestazione è “attribuita” all’organizzazione medesima e, in particolare, sulla possibilità di valutarli,sia in termini economici (efficienza), sia in termini di capacità di tutelare l’interesse pubblico (efficacia), sia in termini del rispetto dei fondamentali principi e norme a base dell’azione amministrativa (principio di legalità); da ciò deriverebbe anche la possibilità di valutare la performance dei singoli lavoratori (dirigenti e dipendenti) in relazione al loro diretto contributo alla performance organizzativa. Pertanto, se la “performance organizzativa” riguarda la “capacità di resa” di una amministrazione intesa come risultante dei diversi livelli valutativi dei processi produttivi dei servizi, la sua valutazione rispetto al sistema amministrativo implica la definizione dei processi di lavoro oggetto della misurazione e della valutazione, dalla cui “combinazione” potrà derivare la “performance organizzativa”. Tali processi di 4 Che dispone confronti tra amministrazioni anche a livello internazionale (art. 5, comma 2, lett. e, art. 13, comma 5, lett. c) e dispone, inoltre, che la Commissione per la valutazione rediga una “graduatoria di performance” (art. 13, comma 6, lett. i). 345 lavoro costituiscono gli ambiti produttivi entro cui valutare anche la performance individuale5 Al riguardo, è appena il caso di rilevare che il complesso delle amministrazioni pubbliche, sebbene organizzate in insiemi omogenei di strutture in termini di competenze amministrative (Ministeri, Regioni, Comuni, etc.), risultano essere, e non potrebbe essere diversamente, un “sistema” unico, dato che, in generale, i “prodotti” di singole amministrazioni (servizi pubblici e servizi burocratici) si legano a “prodotti” di altre amministrazioni, secondo un reticolo complessivo di rapporti che costituiscono un “sistema” amministrativo organico. Si pensi, ad esempio, ai servizi anagrafici ed elettorali di ogni Comune che, necessariamente, implicano il servirsi di “prodotti” del Ministero dell’Interno; in alcuni casi i “prodotti” potranno essere “servizi”, ad esempio di iscrizione, in altri casi i “prodotti” potranno essere “beni”, come avviene per i dispositivi di carta d’identità elettronica. Ancora, guardando alle amministrazioni centrali, ad esempio, l’Agenzia delle entrate lega lo svolgimento della propria attività a quella di altri enti quali Comuni e Camere di commercio. Tanto premesso, non sembra che il legislatore abbia sufficientemente tenuto conto della più generale caratteristica della PA che si configura come un “unico” sistema produttore di servizi, i cui processi produttivi dipendono, in generale, dal contributo di più amministrazioni. Tale insufficienza appare più esplicita laddove la norma precisa che le pubbliche amministrazioni “provvedono annualmente ad individuare i servizi erogati, agli utenti sia finali che intermedi” (art. 11, comma 4). Ne deriva, infatti, che in tutti i casi in cui i processi produttivi si svolgono e si concludono con l’erogazione del servizio all’interno di una stessa amministrazione, la valutazione della performance organizzativa coincide con la valutazione dei processi produttivi che danno effettivamente luogo ai servizi erogati agli utenti. Mentre, in tutti i casi in cui i processi di produzione dei servizi coinvolgono più amministrazioni, le singole valutazioni di performance non potranno restituire indicazioni sul processo produttivo nel suo complesso; questo non riguarda solo i casi in cui le amministrazioni erogano “servizi intermedi” (cioè servizi la cui prestazione è 5 In tal senso il decreto 150/2009 risulta particolarmente ambiguo e carente dato che invece di fondare esplicitamente la valutazione della performance sui processi produttivi delle amministrazioni, si riferisce, oltre che all’amministrazione nel suo complesso, alle “unità organizzative o aree di responsabilità in cui si articola” (art. 3, comma 2). Un più esplicito, anche se ancora indiretto, riferimento ai processi produttivi è contenuto all’art. 11, comma 4, in cui si richiama, in relazione alla trasparenza del ciclo di gestione della performance, la contabilizzazione dei costi effettivi dei servizi erogati. 346 necessaria perché un’altra amministrazione eroghi il servizio finale), ma ovviamente anche i casi in cui l’erogazione di un “servizio finale” da parte di un’amministrazione implica l’erogazione di servizi intermedi da parte di altre. Si pensi, ad esempio, al caso citato di un servizio comunale di certificazione anagrafica o di un servizio di attribuzione di carta d’identità elettronica. Il Comune per erogare il servizio finale al privato dovrà ottenere servizi intermedi da parte del Ministero dell’Interno; ne deriva che, singolarmente considerate, le misurazioni e valutazioni di performance effettuate sui due enti non possono esprimere, perché parziali, una valutazione del processo produttivo nel suo complesso, soprattutto in termini di efficienza. Il fatto che la PA si configuri come un sistema di servizi alla cui produzione concorrono una pluralità di amministrazioni diverse è tanto evidente che il legislatore si è preoccupato di definire appositi istituti, come la conferenza dei servizi, o strutture permanenti di raccordo istituzionale, quali la Conferenza Stato-Regioni, la Conferenza Stato- città ed autonomie locali, la Conferenza unificata, per favorire il coordinamento delle amministrazioni nei tanti procedimenti in cui si prevede la partecipazione di molti enti ed organi; oltre ad essere intervenuto in più occasioni attraverso misure di semplificazione e prevedendo anche l’adozione di specifiche forme di innovazione tecnologica (la cosiddetta “cooperazione applicativa”) per risolvere non solo il problema della complessità delle procedure, ma anche quello della collaborazione di diverse amministrazioni all’interno dei singoli processi produttivi6. Più in generale, la materia è retta dal principio costituzionale della “leale collaborazione” tra enti (art. 120, comma 2, Costituzione). 6 Senza considerare che il sistema amministrativo è, in realtà, molto più articolato e complesso, dato che oltre agli enti pubblici e agli enti pubblici economici e non, vi sono moltissimi casi di “enti privati di rilevanza pubblica”, ossia deputati all’esercizio di attività amministrative. Ciò non avviene più soltanto attraverso le forme tradizionali della concessione e dell’autorizzazione, né soltanto nei casi dell’esercizio privato di pubbliche funzioni, ma, più in generale, si tende ad attribuire importanti ambiti dell’azione amministrativa a soggetti che, tecnicamente, sono disciplinati dal diritto privato. Questo fenomeno riguarda soprattutto materie tecniche e specialistiche. Si pensi, ad esempio, al fatto che la più grande centrale di acquisto delle pubbliche amministrazioni, la CONSIP, sia una SPA, sebbene la totalità delle azioni sia del Ministero del Tesoro; si pensi, ancora, al complesso delle società ed aziende partecipate dal pubblico, nonché a tutti quei casi in cui la stessa legge attribuisce a soggetti privati funzioni pubbliche, come nel caso della funzione di certificazione delle firme elettroniche (attribuite alle società private di certificazione), ovvero alle certificazioni in materia edilizia rilasciate dagli Organismi Società di Attestazione-SOA. In presenza d i un “settore pubblico allargato” in cui diversi soggetti privati contribuiscono alla produzione di servizi finali, è evidente che le valutazioni di performance, laddove limitate ai soli segmenti dei processi produttivi di competenza delle amministrazioni pubbliche, possono risultare inadeguate per migliorare l’efficienza e l’efficacia dell’azione pubblica nel suo complesso. Ancora una volta, la questione sembra riconducibile al fatto che la misurazione e valutazione delle performance non andrebbe riferita a singoli enti o aree di responsabilità, ma collegata ai processi produttivi complessivi. 347 Pertanto, pare del tutto evidente che la misurazione e la valutazione della performance organizzativa volta “al miglioramento della qualità dei servizi offerti dalle amministrazioni pubbliche” (art. 3, comma 1, decreto 150/2009), dovrebbe essere fondata sulla valutazione dei processi produttivi “reali”, considerati nella loro completezza e perciò includendo i contributi di tutte le amministrazioni diverse dall’amministrazione “procedente” che a tali processi produttivi a qualsiasi titolo cooperano. Da tutto ciò deriva la necessità di effettuare una “mappatura” generale dei processi produttivi delle amministrazioni su cui saldare la misurazione e valutazione della performance organizzativa. Un aspetto, questo, del tutto trascurato non solo dal recente decreto, ma che anche in passato non ha trovato compiuta sistematizzazione normativa7 Trattandosi di attività amministrative, la “misurazione” e la “valutazione” della performance (sia organizzativa, sia individuale) dovrebbero manifestarsi in atti amministrativi tipici prodotti dai soggetti individuati dalla legge. In particolare, la “misurazione” è il presupposto logico della “valutazione” la quale, legittimando l’attribuzione di “premi e meriti” (Titolo III del decreto 150), incide su posizioni giuridiche soggettive. Pertanto, dal punto di vista degli atti amministrativi, dovremmo distinguere provvedimenti dichiarativi di giudizio (la valutazione delle performance) preceduti da atti interni di accertamento (la misurazione delle performance). Tali atti e provvedimenti dovranno avere un contenuto tipico (stabilito dalla norma) a cui si ricollegano effetti reali. Gli effetti della misurazione e valutazione sono specificati rispetto al livello individuale. La norma, infatti, precisa che in ogni amministrazione il soggetto incaricato dalla legge “compila una graduatoria delle valutazioni individuali del personale dirigenziale…e del personale non dirigenziale” (art. 19, comma 1), “…in modo che: a) il venticinque per cento è collocato nella fascia di merito alta, alla quale corrisponde l’attribuzione del cinquanta per cento delle risorse destinate al trattamento accessorio collegato alla performance individuale; b) il cinquanta per cento è collocato nella fascia intermedia, alla quale corrisponde l’attribuzione del cinquanta per cento delle risorse destinate al 7 Più in generale, la necessità di mappare procedure e procedimenti amministrativi (ossia i processi di lavoro delle amministrazioni) deriva anche dalla riforma della parte II, titolo V, della Costituzione che nel 2001 ha ridisegnato la mappa delle competenze dello Stato, delle Regioni e degli Enti locali e che, pertanto, implica la necessità di ripensare e ridisegnare i procedimenti tipici di uno Stato non federale secondo la nuova logica federale e in base al principio costituzionale della “leale collaborazione” tra enti. 348 trattamento accessorio…; c) il restante venticinque per cento è collocato nella fascia di merito bassa, alla quale non corrisponde l’attribuzione di alcun trattamento accessorio” (art. 19, comma 2); inoltre, “per i dirigenti si applicano i criteri di compilazione della graduatoria e di attribuzione del trattamento accessorio di cui al comma 2, con riferimento alla retribuzione di risultato” (art. 19, comma 3)8. Rispetto alle performance individuale, pertanto,sembra chiaro che gli atti di misurazione e i provvedimenti di valutazione avranno ricadute tipiche sulle posizioni soggettive del personale. D’altro canto, rispetto alla “misurazione” e “valutazione” della performance organizzativa, che dovrebbe essere collegata alle valutazioni dei singoli lavoratori, permangono, oltre alle perplessità derivanti dalla mancanza di disposizioni sulla ricostruzione dei processi produttivi nella loro completezza, anche perplessità relative alla “tipizzazione” della valutazione che, ovviamente, non riguarda solo l’aspetto giuridico-formale, ma anche le metriche stesse attraverso cui tale valutazione viene espressa. Il decreto 150/2009, infatti, non chiarisce come esattamente debba essere espressa la performance; se si tratterà, in altre parole, di una valutazione più che altro qualitativa e comunque non funzionalmente ancorata a parametri quantitativi ben definiti e misurabili, o se, al contrario, essa verrà espressa per mezzo di un (o più) indicatore numerico (indice) aggregato che, basato su alcuni indicatori di natura gestionale - a cui peraltro sembrerebbe implicitamente fare riferimento il decreto (art. 9, comma 1, lett. a; art. 11, comma 1; art. 13, comma 6, lett. h) - possa consentire confronti quantitativi non solo tra diversi processi di servizio e amministrazioni, ma anche nel corso del tempo. L’adozione di una modalità “qualitativa” o “quantitativa” di misurazione della performance organizzativa comporterà ricadute diverse sulle valutazioni di merito individuale e sulla stessa possibilità di stilare graduatorie9. 8 Sebbene lo stesso art. 19, al comma 4, precisi che “La contrattazione collettiva integrativa può prevedere deroghe alla percentuale del venticinque per cento di cui alla lettera a) del comma 2 in misura non superiore a cinque punti percentuali in aumento o in diminuzione, con corrispondente variazione compensativa delle percentuali di cui alle lettere b) o c). La contrattazione può altresì prevedere deroghe alla composizione percentuale delle fasce di cui alle lettere b) e c) e alla distribuzione tra le medesime fasce delle risorse destinate ai trattamenti accessori collegati alla performance individuale”. Si precisa, inoltre, che le disposizioni citate nel testo “non si applicano al personale dipendente se il numero dei dipendenti in servizio nell’amministrazione non è superiore a 8 e ai dirigenti se il numero dei dirigenti in servizio nell’amministrazione non è superiore a 5” (art. 19, comma 6). 9 Più volte richiamate nel decreto, sia al livello di amministrazione, sia individuale (art. 13, comma 6, lett. i, e art. 19, comma 1). 349 La differenza tra i due metodi di valutazione della performance non è da poco anche sotto il profilo metodologico, dato che, come è noto, la costruzione di indici quantitativi di performance implica l’adozione di standard, cioè di regole comuni a cui tutte le amministrazioni interessate dovranno attenersi. Tali standard non possono che riguardare, innanzitutto, i criteri di definizione dei servizi e delle fasi di lavoro dei processi di servizio nella loro completezza e organicità, nonché i criteri di valorizzazione dei costi dei fattori e degli stessi servizi. Il legislatore sembrerebbe - ma non è del tutto chiaro - aver assegnato alla Commissione per la valutazione, di cui all’art. 13 (in collaborazione con il Ministero dell’economia e delle finanze - Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato), il compito di definire tali standard; rimane peraltro del tutto evidente che i criteri economico-contabili alla base della valorizzazione dei costi nell’ambito del “Sistema di misurazione e valutazione della performance” dovranno essere necessariamente gli stessi impiegati per la definizione del fabbisogno finanziario nell’ambito delle procedure di formazione del bilancio di previsione10. I soggetti del processo di misurazione e valutazione della performance. I soggetti a cui sono attribuite le funzioni di misurazione e valutazione delle performance, in base all’art. 12 del decreto 150, sono quattro: un organismo centrale denominato “Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche”, gli Organismi indipendenti di valutazione della performance, l’organo di indirizzo politico-amministrativo di ciascuna amministrazione e i dirigenti di ciascuna amministrazione. E’ appena il caso di rilevare, tuttavia che, diversamente dall’art. 12, l’art. 6 del decreto 150 si riferisce ai soli “organi di indirizzo politico amministrativo, con il supporto dei dirigenti”; mentre l’art. 7 definisce i soggetti che svolgono le funzioni di misurazione e 10 Alla Commissione per la valutazione il legislatore ha assegnato, tra l’altro, il compito di promuovere “sistemi e metodologie finalizzati al miglioramento della performance delle amministrazioni pubbliche” (art. 13, comma 5, lett. a), fornire “supporto tecnico e metodologico all'attuazione delle varie fasi del ciclo di gestione della performance” e definire “i parametri e i modelli di riferimento del Sistema di misurazione e valutazione della performance di cui all'articolo 7 in termini di efficienza e produttività” (art. 13, comma 6, lettere a e d); ma non è chiaro se tutto ciò ricomprenda anche i criteri di contabilità economica necessari alla valorizzazione dei costi dei servizi e, in tal caso, perché tali criteri dovrebbero essere diversi da quelli impiegati nella definizione del bilancio di previsione. 350 valutazione delle performance in modo difforme, sia dall’art.12, sia dall’art. 6, in particolare non contenendo alcun riferimento agli organi di indirizzo politico amministrativo (art. 7, comma 2). Peraltro, presso l’Organismo indipendente di valutazione, opera “una struttura tecnica permanente per la misurazione della performance” (art. 14, comma 9). Si pone, inoltre, un’altra questione che attiene al rapporto tra il sistema di valutazione della performance delineato dal decreto 150/2009 e il sistema dei controlli interni di cui al d.lgs. 30 luglio 1999, n. 286. Il decreto 286/1999 definiva quattro tipologie di controllo interno: il controllo di regolarità amministrativa e contabile, il controllo di gestione (in capo ai dirigenti), la valutazione dei dirigenti, il controllo strategico (funzionale all’esercizio dell’indirizzo politico). Sulla base dell’art. 30 del decreto 150/2009 sono espressamente abrogate (a far data dal 30 aprile 2010) la valutazione dei dirigenti e la specifica disciplina del controllo strategico in ragione della nuova disciplina adottata dallo stesso decreto. Tuttavia, restano escluse dall’elencazione delle disposizioni abrogate del decreto 286/1999, sia il controllo di regolarità amministrativa e contabile (decreto 286/1999, art. 2), sia il controllo di gestione (art. 4). Una lettura che sembra confermata specificamente per il controllo di gestione poiché il decreto 150/2009 stabilisce che “gli organi di indirizzo politico amministrativo si avvalgono delle risultanze dei sistemi di controllo di gestione presenti nell’amministrazione” (art. 6, comma 2). Tuttavia, il dubbio interpretativo deriva dalla lettura dell’art. 14, comma 2, del decreto150/2009, in base al quale l’Organismo indipendente di valutazione della performance, che ogni amministrazione istituisce singolarmente o in forma associata, “sostituisce i servizi di controllo interno, comunque denominati, di cui al decreto legislativo…286”, per di più avvalendosi della già citata “struttura tecnica permanente per la misurazione della performance” (art. 14, comma 9). E’chiaro che i “tipi di controllo” non si identificano con i “servizi di controllo”, poiché i “servizi” costituiscono la struttura responsabile dell’attività di controllo. Tuttavia, rispetto ai controlli di regolarità e soprattutto ai controlli di gestione, ci si chiede quali siano i “servizi” deputati a svolgerli posto che, sulla base dell’art. 30 del decreto 150/2009, tali controlli dovrebbero comunque sussistere11 11 Al riguardo è anche opportuno ricordare che il ddl sulla contabilità e finanza pubblica prevedeva la delega al governo per adottare “uno o più decreti legislativi per il potenziamento dell’attività di analisi e valutazione della spesa e per la riforma del controllo di regolarità amministrativa e contabile di cui all’articolo 1, comma 1, lettera a), e all’articolo 2 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 286”: cfr. Senato della Repubblica, ddl. “Legge di contabilità e finanza pubblica”, cit., art. 49, comma 1. 351 Efficienza, efficacia e performance amministrativa. Già con le Linee programmatiche, il governo ha posto una forte enfasi sull’efficienza dell’amministrazione, da perseguire attraverso il contenimento del costo dei servizi, il recupero di produttività del lavoro e l’adeguamento dei processi produttivi dei servizi alle “migliori pratiche” (modelli di eccellenza e standard internazionali e nazionali), allo stesso tempo richiamando il ruolo strategico “dei beni e servizi pubblici offerti, in termini di quantità disponibili, qualità, costo, non meno che di coerenza/adeguatezza con la domanda”. Se con le Linee programmatiche è stata nuovamente ribadita la necessità di promuovere metodi gestionali improntati al perseguimento dell’efficienza12, sembra che la pur impellente necessità di assicurare la massima efficacia all’azione amministrativa sia rimasta, invece, al margine dell’interesse del governo (che, peraltro, neppure compare nell’intitolazione del decreto 150). L’efficacia è menzionata nel decreto 150 solo attraverso il richiamo alla “coerenza/adeguatezza con la domanda” (cioè alla necessità di allineare effettivamente i servizi erogati ai bisogni e alle aspettative della collettività, così come espressi dall’interesse pubblico), ma senza fornire ulteriori elementi per la sua misurazione e miglioramento; salvo affrontare questo tema, molto indirettamente, con i ripetuti richiami alla qualità dei servizi. Con la legge 4 marzo 2009 n. 15 e il successivo decreto attuativo 150/2009, il legislatore ha sostanzialmente riproposto l’impostazione delle Linee programmatiche, fortemente incentrata sul recupero di efficienza, prevedendo, tra l’altro, interventi indirizzati a perseguire, oltre ad una migliore organizzazione e una più elevata produttività del lavoro, anche più “elevati standard qualitativi ed economici delle funzioni e dei servizi” (decreto 150/2009, art. 1, comma 2). Tanto premesso, l’elemento centrale che emerge dal decreto 150/2009 riguarda il nodo del controllo interno, incentrato sulla questione dell’efficienza, che il legislatore ridefinisce attraverso la valutazione della performance, esplicitamente ancorata ai diversi versanti che caratterizzano l’attività gestionale di un’amministrazione. Il legislatore, infatti, stabilisce che ogni amministrazione pubblica è tenuta a misurare e valutare annualmente la performance organizzativa e individuale basandosi su di un “Sistema di misurazione e valutazione della performance” (art. 7, comma 1). 12 Basterà qui richiamare l’art. 2 della legge 23 ottobre 1992 n. 421, gli artt. 18, 20, 64, 65 e 66 del d. l.vo 3 febbraio 1993 n. 29 e gli artt. 11 e 17 della legge 15 marzo 1997 n. 59. 352 Schematizzando, tale “Sistema” riguarda (art. 8): sul versante dell’efficienza, “la modernizzazione e il miglioramento qualitativo dell'organizzazione” e “l'efficienza nell'impiego delle risorse, con particolare riferimento al contenimento ed alla riduzione dei costi, nonché all'ottimizzazione dei tempi dei procedimenti amministrativi”; sul versante delle capacità operative dell’amministrazione, “l'attuazione di piani e programmi, ovvero la misurazione dell'effettivo grado di attuazione dei medesimi, nel rispetto delle fasi e dei tempi previsti, degli standard qualitativi e quantitativi definiti, del livello previsto di assorbimento delle risorse”; sul versante della qualità dei servizi e delle relazioni con la collettività, “la qualità e la quantità delle prestazioni e dei servizi erogati”, “lo sviluppo qualitativo e quantitativo delle relazioni con i cittadini, i soggetti interessati, gli utenti e i destinatari dei servizi”, “la rilevazione del grado di soddisfazione dei destinatari delle attività e dei servizi”, oltre che “il raggiungimento degli obiettivi di promozione delle pari opportunità”. La definizione degli elementi di riferimento del sistema di misurazione e valutazione della performance contenuta nell’art. 8 assume una rilevanza fondamentale per la concreta attuazione della riforma, dato che attraverso di essi diviene possibile definire gli obiettivi di miglioramento e, quindi, i correlati strumenti di intervento a disposizione dell’amministrazione. Per contro, gli ambiti di riferimento della valutazione della performance di cui all’art. 8, definiscono anche, per esclusione, gli elementi che la valutazione non prende esplicitamente in considerazione, ossia l’efficacia in quanto determinante della performance di un’amministrazione13. A questo proposito è opportuno fare riferimento ad una precedente versione del decreto14 che, invece, faceva dipendere esplicitamente la valutazione della performance anche da valutazioni di efficacia (e non solo di efficienza) e stabiliva chiaramente che la valutazione della performance doveva 13 L’unico esplicito riferimento all’efficacia dell’azione amministrativa contenuto nel decreto 150/2009 sembra essere quello dell’art. 3, comma 4, laddove il legislatore dispone che le amministrazioni pubbliche adottino metodi e strumenti idonei a valutare la performance “secondo criteri strettamente connessi al soddisfacimento dell'interesse del destinatario dei servizi e degli interventi”. Sul rapporto tra efficacia dell’azione pubblica e soddisfazione delle preferenze individuali Morciano M., L’efficacia dell’azione pubblica: preferenze individuali, interesse pubblico e servizi, in Amministrazione in cammino, Rivista elettronica di diritto pubblico, di diritto dell’economia e di scienza dell’amministrazione - Sezione Semplificazione e Innovazione - Note e Commenti, 16 giugno 2009. 14 Schema di decreto legislativo di attuazione della legge 4 marzo 2009 n. 15 in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni”, REV 25, 19 maggio 2009. 353 concernere “l’impatto delle politiche attivate sulla soddisfazione finale dei bisogni della collettività”. Il legislatore, quindi, poneva esplicitamente in relazione la performance dell’amministrazione con i risultati da essa conseguiti nella società; mentre la valutazione della performance, nella stesura finale del decreto pubblicata sulla G.U., fa riferimento (stesso art. 8, comma 1, lettera a) non all’impatto, bensì alla “attuazione delle politiche attivate sulla soddisfazione finale dei bisogni della collettività”. Una formulazione che non sembra avere alcun significato coerente rispetto all’efficacia delle politiche o, in una più benevola interpretazione, fa semplicemente riferimento al grado di attuazione delle politiche, peraltro richiamato al successivo punto b) dello stesso art. 8. Non sappiamo se si tratti di un semplice refuso sfuggito in fase di limatura finale del decreto, ma sembra che l’impostazione generale adottata dal legislatore sia principalmente indirizzata al perseguimento di una maggiore efficienza dell’apparato amministrativo, senza soverchie preoccupazioni per la sua efficacia. Tutto ciò implicherebbe, in termini di valutazione della performance, la irrilevanza, o quasi, dell’effettiva “utilità” dell’azione amministrativa15. Il legislatore, d’altro canto, ha fin dall’inizio posto una grande enfasi sulla qualità dei servizi, tanto da far sorgere il legittimo dubbio che si sia scambiata la qualità dei servizi con l’efficacia dell’azione pubblica nel perseguire nella società - attraverso l’erogazione dei servizi – i risultati voluti. In proposito, sembra sia utile ricordare che mentre la qualità di un servizio può anche costituire una delle determinanti dell’efficacia, quest’ultima attiene comunque alla relazione di causalità che, nella società, raccorda gli obiettivi predefiniti delle politiche (espressi anche in termini di soddisfazione delle preferenze dei soggetti della società, così come definite nell’interesse pubblico) ai risultati ottenuti attraverso l’azione pubblica. Un aspetto positivo del decreto 150/2009 riguarda la disposizione che impone esplicitamente alle amministrazioni di individuare (annualmente) i servizi erogati agli utenti, sia finali, sia intermedi, nonché di provvedere alla contabilizzazione dei costi e al monitoraggio del loro andamento nel tempo; il tutto “ai fini della riduzione dei costi dei servizi, dell’utilizzo delle tecnologie dell’informazione e della 15 Paradossalmente, è il Ministero dell’economia e delle finanze che, invece, sembra esplicitamente porsi il problema della valutazione dell’efficacia dell’azione amministrativa, laddove prevede la sua collaborazione con le amministrazioni centrali dello Stato “per la verifica dei risultati raggiunti rispetto agli obiettivi…per il monitoraggio dell’efficacia delle misure rivolte al loro conseguimento”, cfr. Senato della Repubblica, ddl “Legge di contabilità e finanza pubblica”, cit., art. 39, comma 1. 354 comunicazione, nonché del conseguente risparmio sul costo del lavoro” (art. 11, comma 4). Questa disposizione è importante perché la rilevazione della struttura e della dinamica dei costi di produzione dei servizi è alla base di qualsiasi valutazione di efficienza e di efficacia (quindi di performance) dell’amministrazione, nonché a base della stima del fabbisogno finanziario per la definizione del bilancio di previsione dell’amministrazione e, naturalmente, di un sistema premiante di gestione per obiettivi. Ciò che risulta singolare è che questa esplicita disposizione che riguarda i costi dei servizi, e che è quindi riferibile ai processi di produzione degli stessi, sia stata inserita nell’art. 11, che riguarda la trasparenza, invece di essere posta a base delle valutazioni della performance, soprattutto in relazione all’efficienza nell’impiego delle risorse (art. 8, comma 1, lett. f). Inoltre, come già rilevato in precedenza, il decreto 150 nulla dice sui criteri su cui basare la mappatura dei processi di produzione dei servizi, né sui criteri economici da adottare per la valorizzazione dei costi. I sistemi di misurazione della performance La valutazione della performance organizzativa si basa su di un Sistema di misurazione e valutazione della performance attraverso cui dovranno essere definite, tra l’altro, “le procedure di conciliazione relative all’applicazione del sistema di misurazione e valutazione della performance” (art. 7, comma 3, lett. b), nonché “le modalità di raccordo e di integrazione con i sistemi di controllo esistenti” (lett. c) e “le modalità di raccordo e integrazione con i documenti di programmazione finanziaria e di bilancio” (lett. d). Sorge qualche dubbio interpretativo sulle “procedure di conciliazione”, che sembrerebbero indicare che il legislatore consideri un sistema di valutazione della performance come qualcosa di diverso dai sistemi gestionali e di controllo, come pure sembrerebbe non essere del tutto convinto della rigorosa dipendenza funzionale che dovrebbe esistere tra le metriche di valutazione della performance e le modalità di valutazione (ex-ante) del fabbisogno finanziario, tanto che anche in questo caso si preoccupa che siano definite le relative “modalità di raccordo e integrazione” tra i due sistemi, evidentemente considerati diversi e separati. Dovrebbe risultare del tutto evidente il legame funzionale, oltreché metodologico, tra il processo di valutazione della performance e le procedure di formazione del bilancio di previsione e, a tale proposito, il decreto 150/2009 dispone che la valutazione della performance debba essere effettuata “in maniera coerente con i contenuti e con il ciclo della 355 programmazione finanziaria e del bilancio” (art. 4, comma 1); disposizione ripresa anche in seguito con il richiamo alla “fase” di “collegamento tra gli obiettivi e l'allocazione delle risorse” (art. 4, comma 2, lettera b). Al riguardo sembra opportuno un breve richiamo al disegno di legge sulla “Contabilità e finanza pubblica”, che contiene anch’esso alcune precise disposizioni sul tema della valutazione della performance in relazione alla formazione del bilancio di previsione dello stato. Rispetto a quest’ultimo, il citato ddl stabilisce che “il bilancio di previsione…è costituito…dagli stati di previsione della spesa…” di ciascun Ministero (art. 21, comma 10) e che ciascuno stato di previsione concerne, tra l’altro, “il piano degli obiettivi correlati a ciascun programma ed i relativi indicatori di risultato…e indica gli obiettivi riferiti a ciascun programma di spesa, che le amministrazioni intendono conseguire in termini di livello dei servizi e di interventi. A tal fine il documento indica le risorse destinate alla realizzazione dei predetti obiettivi e riporta gli indicatori di realizzazione ad essi riferiti, nonché i criteri e i parametri utilizzati per la loro quantificazione, evidenziando il collegamento tra i predetti indicatori e parametri e il sistema di indicatori e obiettivi adottati da ciascuna amministrazione per le valutazioni previste dalla legge 4 marzo 2009, n. 15, e dai successivi decreti attuativi” (art. 21, comma 11, lett. a), n. 1). Da questa disposizione del ddl sembra doversi ricavare che il “sistema di indicatori e obiettivi” utilizzato da ciascuna amministrazione per la valutazione della propria performance costituisca un sistema di indicatori diverso e separato rispetto al sistema di criteri, parametri e indicatori impiegati dalla stessa amministrazione per la definizione del suo fabbisogno finanziario nell’ambito della formulazione del bilancio di previsione; il legislatore si preoccupa, infatti, che vanga esplicitamente evidenziato il “collegamento” tra i vari sistemi di criteri, parametri e indicatori. D’altro canto, mentre il Piano della performance definito dal decreto 150/2009 (che contiene la direttiva annuale del Ministro, in base all’art. 10, comma 1, lettera a), e comma 4) è un documento programmatico predisposto successivamente all’attribuzione dei fondi per l’esercizio, è evidente che gli stati di previsione della spesa dei ministeri costituiscono, invece, un documento preliminare (rispetto alla formulazione del bilancio) che contribuisce a definire l’allocazione dei fondi per l’esercizio successivo. 356 Pare chiaro, quindi, che la natura delle analisi su cui si basano i tre documenti (direttiva annuale del Ministro, Piano della performance e stati di previsione costituenti il bilancio di previsione) debba necessariamente essere la stessa e (si spera) che siano esattamente gli stessi i criteri alla base di tali analisi e le conclusioni a cui si perviene attraverso la redazione dei vari documenti (ovviamente a parità di condizioni intercorse). Ma ciò che colpisce dalla lettura comparata delle due disposizioni è la loro evidente differenziazione, cioè una esplicita sovrapposizione di strumenti, più che la loro naturale unicità ed integrazione nell’ambito delle diverse fasi di un unico ciclo gestionale-finanziario; tant’è che il legislatore si preoccupa di definire i collegamenti tra i vari sistemi, evidentemente al fine di una loro “conciliazione”. Un sospetto, questo, che viene rafforzato leggendo l’art. 23, comma 2, del citato ddl che riguarda la formazione del bilancio e che stabilisce, tra l’altro, che “Il Ministro dell’economia e delle finanze valuta successivamente la congruità e la coerenza tra gli obiettivi perseguiti da ciascun Ministero e le risorse richieste per la loro realizzazione, tenendo anche conto dello stato di attuazione dei programmi in corso e dei risultati conseguiti negli anni precedenti in termini di efficacia e di efficienza della spesa”. In altre parole, oltre alla valutazione della performance effettuata da ciascun ministero, il Ministro dell’economia e delle finanze sembra essere incaricato di un’ulteriore autonoma valutazione della “congruità e coerenza tra gli obiettivi perseguiti da ciascun Ministero e le risorse richieste per la loro realizzazione” che implica valutazioni di natura gestionale prima ancora che finanziarie. Una disposizione solo apparentemente mitigata dal successivo art. 39, comma 1, del ddl, in base al quale “Il Ministero dell’economia e delle finanze collabora con le amministrazioni centrali dello Stato, al fine di garantire il supporto per la verifica dei risultati raggiunti rispetto agli obiettivi…per il monitoraggio dell’efficacia delle misure rivolte al loro conseguimento e di quelle disposte per incrementare il livello di efficienza delle amministrazioni stesse”; tale collaborazione è previsto che avvenga nell’ambito di “appositi nuclei di analisi e valutazione della spesa” ai quali partecipa anche “un rappresentante della Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica”. Questa concezione, che evidentemente prevede due distinti e separati sistemi di parametri e indicatori a base della valutazione della performance e della formulazione del fabbisogno finanziario rischia, ancora una volta, di frenare l’adozione presso le amministrazioni di sistemi di 357 valutazione della performance che, evidentemente privati di qualsiasi legame con il processo di formulazione del bilancio di previsione, e quindi con il governo delle risorse, rischiano di essere degradate a meri supporti dei sistemi premianti16. Conclusioni. Con il decreto 150/2009 è giunto a conclusione l’iter parlamentare della riforma della Pubblica Amministrazione avviata dal governo con la pubblicazione delle Linee programmatiche. Se da un lato sono stati meglio definiti i contorni di taluni degli aspetti economico-gestionali alla base delle politiche per l’efficienza delle amministrazioni (valutazione della performance), dall’altra, continuano a rimanere evidenti tutti i limiti di un approccio sostanzialmente “settoriale”, che prevede disposizioni separate - e diverse nel merito - riguardo ai diversi, ma tra di loro organici “sottosistemi” su cui si articola il complesso processo economico, gestionale e finanziario di una amministrazione. Come è bene evidenziato dal decreto 150/2009 e dal ddl di riforma della contabilità e finanza pubblica all’esame del Senato, i sottosistemi riferibili al monitoraggio della performance, alla contabilità finanziaria ed economica e alla formulazione dei bilanci di previsione, rimangono ben separati, tanto che il legislatore continua a prevedere apposite procedure di conciliazione e raccordi anche organizzativi. In assenza di una qualsiasi valutazione delle precedenti iniziative di riforma, ad esempio sui controlli interni, sia nel merito, sia rispetto ai motivi alla base della loro mancata attuazione, il governo ripropone interventi sostanzialmente articolati in due sfere di competenze che non si integrano, ad esempio, né al livello dei criteri alla base della valorizzazione dei costi dei processi di servizio, né al livello del processo di formulazione del bilancio di previsione in relazione alle valutazioni della performance; inoltre, né l’uno né l’altro elemento sono esplicitamente basati sulla identificazione e valorizzazione dei processi produttivi sottostanti. Permangono dunque, alcune perplessità sull’organicità, completezza e conseguente effettiva applicabilità dei processi valutativi della performance, data la carenza di organicità nei fondamentali sistemi di valorizzazione economica dei processi produttivi delle amministrazioni, in particolare, rispetto alla 16 A questo proposito cfr. Morciano M., Le riforme perdute della P.A.: strategie e meccanismi di attuazione, Amministrazione in cammino, Rivista elettronica di diritto pubblico, di diritto dell’economia e di scienza dell’amministrazione - Sezione Semplificazione e Innovazione - Note e commenti, 25 luglio 2008. 358 tutt’ora irrisolta “conciliazione” tra contabilità “economica” e “finanziaria” nell’ambito dei processi valutativi alla base anche della formazione del bilancio di previsione dello Stato. D’altro canto, l’insieme dei soggetti a vario titolo coinvolti nei diversi aspetti della valutazione della performance pare indicativo di un eccesso di frammentazione delle competenze in materia. Infatti, di valutazione della performance si occupano: l’Organismo indipendente di valutazione della performance (art. 14, comma 1); la struttura tecnica permanente per la misurazione della performance (art. 14, comma 9); la Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche (art. 13); forse gli uffici di controllo di gestione (art. 4 del decreto 286/1999 e art. 6, comma 2 del decreto 150/2009); il Comitato tecnico scientifico presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri per il coordinamento in materia di valutazione e controllo strategico nelle amministrazioni dello Stato (art. 7, comma 2 del decreto 286/1999); l’Osservatorio a suo tempo previsto dall’art. 7, commi 2 e 3 del decreto 286/1999, che dovrebbe operare presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri per il coordinamento in materia di valutazione e controllo strategico nelle amministrazioni dello Stato, e che non risulta esplicitamente abrogato dal decreto 150/2009; i nuclei di analisi e valutazione della spesa, istituiti presso le amministrazioni centrali dello Stato e disciplinati dal Ministero dell’economia e delle finanze, (ddl Senato n. 1397-B, 13 novembre 2009, art. 39, comma 1); la Ragioneria Generale dello Stato (ddl Senato n. 1397-B, cit., art. 41) e, naturalmente, gli organi di controllo esterno. Ne deriva, sul piano della documentazione che dovrebbe consentirci di monitorare l’evoluzione delle performances delle amministrazioni, che avremo a disposizione: il Sistema di misurazione e valutazione della performance (artt. 7 e 11); la Direttiva annuale del Ministro (art. 8 del decreto 286/1999); il Piano della performance, che ricomprende anche la suddetta Direttiva (art.10, commi 1 e 4); la Relazione sulla performance (art. 10, comma 1, lett. b); la relazione annuale sulla performance (art. 13, comma 6, lett. n); il Programma triennale per la trasparenza e l’integrità (art. 11, comma 2); il portale della trasparenza (art. 13, comma 6, lett. p); le direttive generali e le linee guida del Comitato tecnico scientifico presso la PCM; gli stati di previsione della spesa dei ministeri; il Rapporto (triennale) sulla spesa delle amministrazioni dello Stato - con le proposte sugli indicatori di performance, etc., oltre alla documentazione e relazioni che verranno prodotte dagli organi di controllo esterno. 359 Peraltro, è stato più volte ribadito dal legislatore che quello che è stato definito un “programma di risanamento, ristrutturazione e rilancio della macchina pubblica italiana” verrà attuato senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Inoltre, riguardo alla strategia progettuale di attuazione, essa sembra essere stata demandata alla Commissione per la valutazione. Infatti, tra i compiti della Commissione, essa stessa una “sfida” in termini di efficienza, considerando il rapporto tra obiettivi e risorse definito dal legislatore17, vi è anche quello di definire “un programma di sostegno a progetti innovativi e sperimentali, concernenti il miglioramento della performance…” (art. 13, comma 6, lett. m). Sembra tuttavia evidente che in assenza di un impegno progettuale attraverso cui definire prima di tutto i meccanismi di valorizzazione economica dei processi di servizio e il conseguente sviluppo dei sistemi informativi automatizzati di supporto, ben difficilmente le disposizioni contenute nel decreto 150/2009 potranno trovare sistemica applicazione presso le amministrazioni, anche solo quelle dello Stato, come si può evincere anche dall’insufficiente livello di attuazione del precedente decreto 286/1999. Riguardo all’attuazione del decreto 150/2009 nel sistema amministrativo, anche guardando il solo contesto degli enti pubblici tradizionali e, in particolare, dei più rilevanti tra questi, ossia gli enti territoriali, una perplessità generale riguarda le prospettive di reale applicazione della norma ai livelli regionali e locali. Infatti, il decreto 150/2009 stabilisce che nelle Regioni (anche per quanto concerne i propri enti e le amministrazioni del Servizio sanitario nazionale) e negli Enti locali trovano diretta applicazione le disposizioni generali dettate in materia di valutazione delle performance (Titolo II) e di merito e premi attribuiti (Titolo III). Tuttavia, perché questa “diretta applicazione” si possa realmente manifestare, il decreto stabilisce che “le regioni e gli enti locali adeguano i propri ordinamenti ai principi [del decreto]” (art. 16, comma 2, e art. 31, comma 1). L’adeguamento dovrà aver luogo entro il 31 dicembre 2010 (art. 16, comma 3, e art. 31, comma 4) e, decorso tale termine, si applicano le disposizioni del decreto (ancora art. 16, comma 3, e art. 31, comma 4). In definitiva, sembra plausibile sostenere che, di fatto, il decreto 150/2009 è norma “cogente” per i soli enti dell’amministrazione centrale dello Stato e che, rispetto agli 17 Il legislatore, infatti, assegna alla Commissione, come si evince dai commi 5, 6 e 7 dell’art. 13, ben 20 diversi compiti, pur con alcune aree di sovrapposizione, a fronte di 40 unità di personale complessive, che dovranno occuparsi anche del suo funzionamento e della Sezione per l’integrità nelle amministrazioni pubbliche (comma 8). 360 enti regionali e locali, si pone, invece, come norma “programmatica”; inoltre, rispetto ai soggetti del settore pubblico allargato, la norma pare non abbia alcuna possibilità di applicazione. Da questo deriva che, pur ammettendo che il decreto riesca ad incidere sull’amministrazione centrale, ciò non implicherà necessariamente il miglioramento dell’efficacia dell’azione amministrativa e della qualità dei servizi erogati, sia perché il complesso delle amministrazioni che hanno parte nei processi produttivi di servizi pubblici sono molto più che le sole amministrazioni centrali, sia perché le amministrazioni centrali sono di fatto le meno onerate (rispetto a quelle regionali e locali) dell’erogazione di servizi finali ai cittadini, sia perché, più in generale, l’attenzione è posta sulle strutture organizzative invece che sui processi produttivi che, in una grande quantità di casi, coinvolgono trasversalmente più amministrazioni 18(ed eventualmente soggetti del settore pubblico allargato). 18 Per una valutazione delle iniziative anche progettuali necessarie alla concreta attuazione degli obiettivi contenuti nelle Linee programmatiche, cfr. Morciano M., Le “Linee programmatiche sulla riforma della Pubblica Amministrazione - Piano industriale”: obiettivi e strumenti, Astrid Rassegna, n. 78, settembre 2008. 361 4.4. Un esempio di controllo sull’attuazione delle leggi e la valutazione delle politiche: La carta di Matera Da tempo tutte le Amministrazioni sono concordi sul fatto che fare delle leggi efficaci non si riduce alla mera discussione e approvazione delle stesse, ma implichi un lavoro assai più articolato, non è sufficiente infatti che una legge sia in vigore, ma è necessario che la stessa sia in primo luogo attuata e in secondo luogo efficace, ossia adeguata al fine che si era posta (coerenza teleologica). Proprio in virtù di tale assioma, dodici consigli regionali – Abruzzo, Basilicata, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Molise, Puglia, Trentino Alto Adige e Veneto, in data 25 giugno 2007, hanno approvato La Carta di Matera, un documento1 nato dallo sviluppo del progetto CAPIRe (Controllo delle assemblee sulle politiche e gli interventi regionali), con la quale le assemblee legislative firmatarie si sono ufficialmente impegnate nel promuovere l’uso di strumenti dedicati al controllo sulle leggi e alla valutazione degli effetti delle politiche o per meglio dire all’effetto efficacia delle leggi. La Carta indica una sorta di decalogo che impegna i sottoscrittori a migliorare il funzionamento della pubblica amministrazione attuando un monitoraggio dell’impatto che le leggi emanate dalle assemblee legislative hanno sulla vita quotidiana dei cittadini. Sono dieci i punti che le Assemblee firmatarie si impegnano a rispettare: 1) dare una risposta concreta all’esigenza di responsabilità democratica; 2) generare conoscenza condivisa sul funzionamento e i risultati delle politiche adottate, perseguendo una logica non partisan; 3) promuovere meccanismi legislativi e strumenti di lavoro che consentano di porre domande incisive sull’attuazione delle leggi e gli effetti delle politiche; 4) destinare tempo e risorse certe alle attività di controllo e valutazione; 5) garantire l’esistenza e potenziare il ruolo di strutture tecniche altamente specializzate nel fornire assistenza al controllo e alla valutazione; 6) investire nella formazione di una nuova figura professionale che abbia competenze adeguate nell’analisi e nella valutazione delle politiche pubbliche; 7) gestire i processi informativi e mantenere alta l’attenzione sui loro esiti; 8) migliorare le capacità di interlocuzione e di dialogo con l’esecutivo; 9) divulgare gli esiti del controllo e della valutazione, sia all’interno che all’esterno dell’Assemblea; 10) allargare i processi decisionali e creare occasioni di partecipazione. Queste attività – recita la Carta di Matera – rappresentano la naturale estensione della funzione legislativa. 1 Documento proposto dalla Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative delle Regioni e delle Province Autonome in collaborazione con il Consiglio regionale della Basilicata.. 362 L’espressione impiegata nel titolo della Carta di Matera – Il controllo sull’attuazione delle leggi e la valutazione degli effetti delle politiche – esprime una duplice finalità. Il controllo sull’attuazione delle leggi si riferisce alla necessità di comprendere le reali modalità di applicazione delle norme e di individuare i motivi di eventuali difformità rispetto al disegno originario. Tale necessità è dettata dalla consapevolezza che qualsiasi legge, per quanto ben scritta, può incontrare, durante la sua vigenza, deviazioni, rallentamenti e intoppi, causati da eventi imprevisti. Prepararsi a cogliere per tempo tali situazioni significa avere la possibilità di intervenire per operare le correzioni e gli aggiustamenti più opportuni. Per valutazione delle politiche pubbliche si intende invece l’efficacia reale del provvedimento legislativo, cioè la capacità della politica pubblica di incidere positivamente su un determinato fenomeno sociale. Verranno analizzati di seguito i dieci punti che le Assemblee firmatarie si sono impegnate a rispettare con la sottoscrizione del documento. 1. Dare una risposta concreta all’esigenza di accountability democratica. Il compito di “chieder conto de risultati ottenuti” (o dare conto dei risultati ottenuti), spesso viene richiamato solo formalmente nei documenti e negli atti ufficiali, ma non sempre vi sono gli spazi e le risorse, le strutture o gli incentivi necessari a svolgerlo compiutamente. Con questa Carta le Assemblee esprimono la volontà di dotarsi di concreti strumenti che consentano loro di essere gli effettivi interpreti dell’istanza di una maggiore accontability proveniente dalla società. 2. Generare conoscenza condivisa, in una logica non partisan. L’assenza di un sistema di garanzie istituzionali, tese ad assicurare l’imparzialità delle informazioni prodotte, comporta un forte rischio di delegittimazione per l’intero processo conoscitivo. È infatti indispensabile svincolare tali attività dallo scontro tra le diverse forze politiche. Tale principio – secondo la Carta – potrebbe tradursi nella costituzione di commissioni o comitati paritetici, al fine di facilitare la produzione di informazioni utili al formarsi di opinioni fondate empiricamente sul funzionamento di leggi e politiche. 3. Porre domande incisive sull’attuazione degli effetti. Uno dei principali meccanismi per porre domande incisive è la clausola valutativa, ovvero una norma che assegna all’esecutivo il compito di produrre, elaborare e comunicare all’organo legislativo informazioni su tempi, modalità di implementazione e risultati sulle politiche attuate. Al di là della clausola valutativa le Assemblee legislative possono assumere iniziative finalizzate al controllo e alla valutazione deliberando lo svolgimento di 363 missioni valutative su leggi già in vigore. 4. Destinare tempo e finanziamenti certi alle attività di controllo e valutazione. Risulta necessario, a tal fine, aumentare le risorse a ciò destinate, rispetto a quelle sino ad ora impiegate. Occorre mettere in pratica quanto è già previsto da alcuni Statuti regionali: il bilancio regionale, in particolare quello dell’Assemblea legislativa, deve garantire, ai fini dell’espletamento delle attività di controllo e valutazione, la disponibilità di risorse adeguate. Ciò non dovrebbe comportare un aggravio di spese nei bilanci, in quanto l’impegno consisterebbe nell’indirizzare parte delle risorse già disponibili verso l’impiego di strumenti di valutazione. 5. Potenziare il ruolo di strutture tecniche dedicate. Queste strutture devono svolgere il proprio compito di supporto agli organismi politici preposti ad attività di controllo e valutazione. Devono quindi disporre di risorse professionali idonee e devono essere in grado di interagire, con autorevolezza e credibilità, con i soggetti che partecipano al processo di controllo e valutazione. Per questo motivo è importante che venga loro garantita, da parte dei soggetti politici la legittimazione necessaria ad operar e, allo stesso tempo, sia riconosciuta un’elevata autonomia professionale nella conduzione delle attività di analisi. 6. Investire nella formazione di una nuova figura professionale. Le competenze professionali specifiche richieste dall’esercizio delle attività di valutazione e controllo fanno emergere l’esigenza di un soggetto professionale, riassumibile nella figura dell’analista delle politiche. A questo scopo è necessario adottare modalità di reclutamento e formazione mirata. 7. Gestire i processi informativi e mantenere l’attenzione sui loro esiti. È necessario, perché l’inserimento di clausole valutative nei testi di legge non rischi di essere un’operazione priva di conseguenze, che vi sia una verifica della corretta applicazione dei mandati informativi contenuti nelle clausole stesse. Anche nello svolgimento delle missioni valutative occorre che siano rispettate alcune condizioni fondamentali affinché non risultino prive di efficacia sostanziale. 8. Migliorare la capacità di interlocuzione e di dialogo con l’esecutivo. La “chiamata a render conto dei risultati ottenuti” da parte dell’Assemblea non esser considerato uno strumento per ingerire nelle attività dell’esecutivo, e nemmeno come il pretesto per individuare le colpe di eventuali carenze, quanto piuttosto come una modalità per stimolare un miglioramento dell’azione pubblica, nel suo complesso. Il programma dei 364 lavori consiliari deve, in questa ottica, prevedere incontri, a cadenza periodica, tra rappresentanti del legislativo e dell’esecutivo, che mettano al centro del dibattito gli esiti delle analisi svolte. 9. Divulgare gli esiti del controllo e della valutazione. Un’ampia diffusione, sia all’interno che all’esterno dell’Assemblea, presso tutti i soggetti interessati, degli esiti del controllo e della valutazione, costituisce un forte incentivo a condurre analisi serie e rigorose e a non sottovalutare gli esiti di tali analisi nell’adozione di decisioni successive. 10. Allargare i processo decisionali e creare occasione di partecipazione. Molti statuti prevedono che le Regioni si adoperino per promuovere la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica e alle decisioni pubbliche. In questo contesto un modo per stimolare tale partecipazione consiste nel prevedere che la proposta di condurre missioni valutative possa provenire anche da soggetti esterni all’Assemblea, in vario modo qualificati. Un secondo modo è quello di prevedere, all’interno del processo di clausole o missioni valutative, numerose occasioni di ascolto delle istanze o dei punti di vista espressi dalle differenti componenti della collettività locale. Un terzo modo è legato alla divulgazione degli esiti dell’attività di controllo e valutazione. Più in generale possono organizzarsi incontri pubblici fuori dalle sedi assembleari, in presenza di cittadini e vari esponenti della collettività, ovvero utilizzare i sistemi informatici per facilitare il dialogo via web con i cittadini. La Carta di Matera risulta essere dunque un prezioso strumento di avvio di una migliore performance delle attività delle Assemblee legislative, soprattutto agli occhi dei cittadini elettori, oggi più che mai, esigenti di una maggiore trasparenza e di una maggiore autorevolezza delle istituzioni, e di leggi rispondenti alle loro esigenze. 365 4.5. Analisi di efficacia e di efficienza: il caso del sistema universitario italiano Nelle università italiane si è sviluppato un efficace sistema di valutazione, allo scopo di adottare misure correttive e incentivanti dirette a raggiungere standard qualitativi crescenti sul tema della competitività del sistema ricerca. Sono stati istituiti organi il cui obiettivo è quello di diffondere un vero e proprio sistema di valutazione della ricerca e dell’istruzione universitaria nazionale: - Il Comitato Nazionale per la Valutazione del sistema universitario (CNVSU); - Il Comitato di indirizzo per la valutazione della ricerca (CIVR); - I Nuclei di valutazione interna degli Atenei. La legge n.370 del 19 ottobre 1999. Disposizioni in materia di Università e di Ricerca Scientifica e Tecnologia, dedica i primi due articoli alla materia della valutazione locale e nazionale. La valutazione viene ridefinita complessivamente a partire dalla denominazione degli organi ad essa preposti. Tale norma impone, a livello locale, una modifica statutaria per gli Atenei per quanto attiene la denominazione dei Nuclei e cambia, a livello nazionale, la denominazione di “Osservatorio per la valutazione del sistema universitario” in quella di “Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario” L`articolo 1 al primo comma, definisce l`obbligo di adottare in ogni Ateneo un sistema di di valutazione interna stabilendone le materie: 1) la gestione amministrativa; 2)la didattica; 3) la ricerca; 4) gli interventi di sostegno al diritto alla studio; verificando anche mediante analisi comparative dei costi e dei rendimenti il corretto utilizzo delle risorse pubbliche, la produttività della ricerca e della didattica, nonché l`imparzialità e il buon andamento dell’azione amministrativa (senza distinzione di settori). Ciascuna Università deve quindi prevedere, all`interno del proprio statuto, la la costituzione di un organo collegiale denominato Nucleo di Valutazione di Ateneo. L`articolo 1 al secondo comma, oltre a fissare il numero dei componenti del Nucleo di valutazione (da cinque a nove di cui almeno due nominati tra studiosi ed esperti nel campo della valutazione anche in ambito non accademico), risulta sul piano dell`innovazione il più pregnante - prescrive in alle Università di rendere quanto: autonomamente operativi i Nuclei; - sancisce il diritto di accesso ai dati e alle informazioni necessari per l`attività di 378 valutazione di spettanza dei Nuclei; - stabilisce, inoltre, che le Università devono garantire la pubblicità e la diffusione degli atti dei Nuclei stessi. Il medesimo comma 2, dispone, infine, che i Nuclei acquisiscano periodicamente le opinioni degli studenti frequentanti sulle attività didattiche; opinioni che devono essere riferite con apposita relazione del Nucleo. Tale documento, oltre che agli organi di direzione dell`Ateneo, deve essere inviato, entro il 30 aprile di ogni anno, al MIUR e al CNVSU. L`articolo 1 al terzo comma introduce una novità: il sistema sanzionatorio: le Università che non ottempereranno agli obblighi stabiliti dalla legge saranno escluse: - dal riparto dei fondi relativi alla programmazione universitaria; - dall`attribuzione di appositi incentivi agli Atenei, sulla base di obiettivi predeterminati ed in relazione agli esiti dell`attività di valutazione; - dalla distribuzione dell`incentivazione dei professori e dei ricercatori universitari. L`articolo 2 sostituisce, come già riferito, l`Osservatorio Nazionale del Sistema Universitario con il Comitato Nazionale per la valutazione del sistema universitario(cnvsu) insediato il 19 aprile del 2000 e ne elenca i compiti, mantenendo le attribuzioni conferite in precedenza all`Osservatorio. L`attività del Comitato è ispirata a principi di autonomia operativa e di pubblicità degli atti. Il CNVSU è un organo istituzionale del MIUR costituito da nove membri, anche stranieri, di comprovata qualificazione ed esperienza nel campo della valutazione, scelti in una pluralità di settori disciplinari, anche in ambito non accademico e nominati con decreto del MIUR, previo parere delle competenti Commissioni parlamentari. L`art. 2 primo comma attribuisce al Comitato nazionale alcuni compiti correlati a loro volta alle attività dei Nuclei di valutazione degli Atenei; in particolare il Comitato: - fissa i criteri generali per la valutazione delle attività delle Università; - promuove la sperimentazione, l`applicazione e la diffusione di metodologie e pratiche di valutazione; - determina ogni triennio la natura delle informazioni e i dati che i nuclei di valutazione degli atenei sono tenuti a comunicare annualmente; - predispone ed attua, sulla base delle relazioni dei nuclei di valutazione degli atenei e delle altre informazioni acquisite, un programma annuale di valutazioni esterne delle Università o di singole strutture didattiche; - svolge ulteriori attività consultive, istruttorie, di valutazione, di definizione di standard, di 379 parametri e di normativa tecnica, anche in relazione alle distinte attività delle Università, nonché Decreto ai progetti e legislativo alle n. proposte 286 presentate del 30 dalle medesime. luglio 1999. `Riordino e potenziamento dei meccanismi e strumenti di monitoraggio e valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati dell`attivita` svolta dalle amministrazioni pubbliche, a norma dell`articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59 `. Ridefinendo i controlli interni e dettando i principi generali cui le pubbliche amministrazioni devono ispirarsi per l`esecuzione dei controlli interni, abroga l`art. 20 del D.Lgs. 29/1993. Riguardo alle strutture universitarie lo stesso D.Lgs. 286/1999 precisa che le disposizioni in esso riportate non si applicano alla valutazione delle attività didattiche e di ricerca dei professori e ricercatori dell`Università. E` importante anche notare che questa normativa non nasce in modo isolato per il sistema universitario, ma si colloca in un contesto più generale di attenzione all`efficienza ed all`efficacia delle gestioni della Pubblica Amministrazione e dei Servizi pubblici. Tale attenzione è testimoniata in particolare anche: ` dall`articolo 1 del provvedimento di legge collegato alla Legge finanziaria 1994 (L. 537/93); ` dal Decreto decreto legislativo Legislativo n. n. 29/1993 300 del sul 30 pubblico impiego. luglio 1999*. Riforma dell`organizzazione del governo a norma dell`articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59. L`art. 49 (Istituzione del ministero e attribuzioni) istituisce il ministero dell`istruzione, dell`università e della ricerca al quale sono attribuite le funzioni e i compiti spettanti allo Stato in materia di istruzione scolastica ed istruzione superiore, di istruzione universitaria, di ricerca Legge n. scientifica 59 del e 15 tecnologica. marzo 1997. Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa`. L`art. 20, comma 8, lettera a) prevede l`emanazione di appositi regolamenti ai sensi e per gli effetti dell`articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, per disciplinare i 380 procedimenti di cui all`allegato 1 alla presente legge, per disciplinare, tra l`altro, la valutazione del sistema universitario. - Art. 17, legge 23 agosto 1988, n. 400. Disciplina dell`attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri; Legge n. 537 del 24 dicembre 1993 - art. 5 comma 22 e comma 23. Seguendo le previsioni dell`art. 20 del D.Lgs. 29/1993 (ora confluito nel Testo unico del pubblico impiego-D.Lsg.165/2001), obbliga le Università italiane ad istituire i Nuclei di valutazione all`interno delle Università, amplia i loro compiti, delinea meglio i meccanismi di valutazione, da indicazioni sulla valutazione della produttività della ricerca e della didattica, istituisce l`Osservatorio per la valutazione del sistema universitario. Decreto legislativo n. 29 del 3 febbraio 1993. Razionalizzazione dell`organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell`articolo 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421. Si riportano integralmente il comma 2 e comma 4 dell`art. 20 del Decreto legislativo n. 29 del 3 febbraio 1993. Art. 20. comma 2 `Nelle amministrazioni pubbliche, ove già non esistano, sono istituiti servizi di controllo interno, o nuclei di valutazione, con il compito di verificare, mediante valutazioni comparative dei costi e dei rendimenti, la realizzazione degli obiettivi, la corretta ed economica gestione delle risorse pubbliche, l`imparzialità ed il buon andamento dell`azione amministrativa. I servizi o nuclei determinano almeno annualmente, anche su indicazione degli organi di vertice, i parametri di riferimento del controllo `. Art. 20. comma 4. `I nuclei di valutazione, ove istituiti, sono composti da dirigenti generali e da esperti anche esterni alle amministrazioni. In casi di particolare complessità, il Presidente del Consiglio può stipulare, anche cumulativamente per più amministrazioni, convenzioni apposite con soggetti pubblici o privati particolarmente qualificati `. Il Dlgs. n. 29 del 3 febbraio 1993 è stato abrograto dal Dlgs. n. 165 del 30 marzo 2001 art.72. Legge n. 168 del 9 maggio 1989*. Istituzione del Ministero dell` Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica Costituisce un primo dispositivo normativo che avvia l`attività di valutazione all`interno degli Atenei. L`art. 7 che definisce l`autonomia finanziaria e contabile delle Università, prevede 381 l`adozione del regolamento di Ateneo per l`amministrazione, la finanza e la contabilità. Il regolamento `disciplina altresì le forme di controllo interno sull`efficienza e sui risultati di gestione complessiva dell`Università, l`amministrazione nonché dei singoli del centri di patrimonio spesa e `. Il D.Lgs. 204/98, ha istituito il COMITATO DI INDIRIZZO PER LA VALUTAZIONE DELLA RICERCA (CIVR) a cui è affidato il compito fondamentale di promuovere l`attività di valutazione della ricerca attraverso il sostegno alla qualità ed alla migliore utilizzazione scientifica della ricerca nazionale. Il CIVR è un organismo istituito presso il MIUR in attuazione dell`art. 5 del D.Lgs. 204/98, come modificato dal d.lgs. 381/98. Tale organo ha il fondamentale compito di definire i criteri generali per le attività di valutazione dei risultati della ricerca (produzione scientifica, brevetti, altri prodotti della ricerca) e di promuovere la sperimentazione, l`applicazione e la diffusione di metodologie, tecniche e pratiche di valutazione, degli enti e delle istituzioni scientifiche e di ricerca. Il CIVR è composto da non più di 7 membri, anche stranieri, di elevata qualificazione ed esperienza maturata in molteplici ambiti scientifici; i componenti vengono nominati con mandato a tempo definito con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentito il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell`Università e della ricerca scientifica e tecnologica. Il Comitato opera in autonomia per sostenere la qualità e la migliore utilizzazione della ricerca scientifica e tecnologica nazionale. A tale scopo, il CIVR rilascia rapporti periodici sull`attività svolta e una relazione annuale in materia di valutazione specifica sulla ricerca, che trasmette al Ministero dell`Università, ai Ministri interessati e al CIPE. Ai fini dell`attività di valutazione vengono assunti alcuni indici comparativi che possono riflettersi anche sul finanziamento della ricerca, tra i quali abbiamo: - il tipo di ricerca condotta e il grado di finalizzazione (ricerca di base, applicata, sperimentale; - l`oggetto della valutazione (il singolo ricercatore, il gruppo di ricerca, un laboratorio, una istituzione scientifica, un programma di ricerca); - il contesto nel quale viene svolta la ricerca e il tipo di collaborazione in atto con enti pubblici/privati e industria; - il tempo al quale viene effettuata la valutazione (monitoraggio sulla selezione dei progetti, sull`assegnazione e impiego delle risorse, sullo svolgimento del lavoro scientifico, 382 sui risultati - l`impiego delle risorse comparato raggiunti); con gli obiettivi iniziali e i risultati; - l`efficacia degli interventi statali per la ricerca applicata al fine di sostenere l`incremento quantitativo e qualitativo della ricerca industriale, delle sue applicazioni nonché di ricaduta economico-finanziaria ed occupazionale. Con D.M. n. 2206 del 16 dicembre 2003 è stato emanato il decreto di organizzazione del processo di valutazione della ricerca indicato nelle linee guida del CIVR che riguarda le seguenti a) strutture Università (statali, non statali legalmente riconosciute); b) Enti di ricerca di cui all`art. 8 del D.P.C.M. 30.12.1993, n. 593 e successive modificazioni ed integrazioni, ENEA e ASI (di seguito denominati enti di ricerca); c) altri soggetti pubblici e privati che svolgono attività di ricerca, su esplicita richiesta, previa intesa nella quale sia espressa anche la determinazione delle risorse, a carico degli stessi, da destinare al processo di valutazione. La valutazione degli enti è organizzata per aree di valutazione, che coincidono con i quattordici settori scientifico-disciplinari del Comitato Universitario Nazionale (CUN), integrate da Aree speciali, scelte dal CIVR stesso, in considerazione del prioritario valore aggiunto per il Paese e della loro coerenza con gli obiettivi previsti dal PNR e dai programmi di ricerca e sviluppo comunitari. Per il processo di valutazione il CIVR si avvale di Comitati (Panel) di Area e di Progetto Speciale, composti da un minimo di cinque ad un massimo di nove esperti, nominati con incarico annuale dal Ministro su indicazione del CIVR. Il primo periodo di valutazione si riferisce al triennio 2001-2003 e prende in esame i seguenti punti: - Risorse umane complessive, con la media del triennio dei ricercatori presenti nell`ente e in - ogni Dati di Brevetti singola risorse spin Area; finanziarie off e e gestione; partnership; L`Ente, inoltre, seleziona autonomamente e trasmette al Panel la documentazione dei prodotti della ricerca che intende presentare per la valutazione; i prodotti comprendono: libri e loro capitoli, articoli su riviste scientifiche, brevetti, progetti, composizioni, disegni e design, rappresentazioni, mostre ed esposizioni, manufatti, opere d`arte. I dati trasmessi ai Panel devono essere preventivamente valicati dai Nuclei di valutazione interni all`Ente. 383 Il rapporto di valutazione dei Panel è pervenuto al CIVR entro il 30 giugno 2005. L`attività di valutazione del CIVR, regolamentata dal D.Lgs. 204/98, dal D.Lgs. 381/99 e dal D.Lgs. 297/99 si articola in varie iniziative che comprendono: - La sperimentazione e la diffusione di metodologie e tecniche pratiche di valutazione (D.M. n. 5116 del 25/01/02); - La determinazione di criteri generali per le attività di valutazione svolte dagli enti di ricerca e dalle istituzioni scientifiche verificandone l`applicazione; - La formulazione di criteri per la costituzione di appositi Comitati Interni di Valutazione (CIV) incaricati di valutare i risultati scientifici e tecnologici all`interno degli Enti di ricerca; - La progettazione ed effettuazione di attività di valutazione esterna, d`intesa con le pubbliche amministrazioni, di Enti di ricerca da esse vigilati o finanziati nonché di progetti o programmi di ricerca da esse coordinati o finanziati; - La valutazione dell`efficacia degli interventi statali per la ricerca applicata al fine di sostenere l`incremento quantitativo e qualitativo della ricerca industriale, delle sue applicazioni nonché di ricaduta economico-finanziaria ed occupazionale attraverso criteri valutativi riguardanti le procedure di finanziamento per la ricerca industriale prevista dal citato D.Lgs. 297/99. Rapporti periodici sull`attività svolta ed una relazione annuale in materia di valutazione della ricerca inviata al Ministero dell`Istruzione, dell`Università e della Ricerca (ex MURST), ai Ministeri interessati ed al CIPE sono i momenti di sintesi del proprio operato che il Comitato è tenuto a realizzare nell`ambito dei compiti istituzionali ad esso affidati. Obiettivo finale del Comitato è, quindi, la diffusione di una vera e propria `cultura ` della valutazione della ricerca italiana, sia in campo nazionale, sia in campo europeo. Ulteriore Decreto normativa Ministeriale (MIUR) n. CIVR: 2206 del 16 dicembre 2003. Decreto di organizzazione del processo di valutazione della ricerca indicato nelle linee guida del D.P.C.M. n. 2565 CIVR. del 3 giugno 2003. Composizione nucleo di valutazione e verifica degli investimenti pubblici del MIUR. Decreto Ministeriale (MIUR) Composizione Decreto Ministeriale n. 5116 del 25 gennaio Comitato (MURST) n. 449 2002. FIRB. dell`11 maggio 2001. 384 Criteri e modalità procedurali per l`assegnazione delle risorse finanziarie del Fondo per gli investimenti Decreto della Ministeriale Modalità ricerca (MURST) di n. di 237/a base. dell`8 funzionamento marzo del 2001. CTS. Criteri e modalità procedurali per l`assegnazione delle risorse finanziarie del Fondo per gli Investimenti Decreto della Ministeriale Ricerca (MURST) di n. 56 Base del 30 (FIRB). gennaio 2001. Composizione Comitato Tecnico Scientifico (CTS) ai sensi dell`art. 7 comma 2 D.Lgs 297/98. Decreto Ministeriale (MURST) n. 860 del 18 dicembre 2000. Modalita` procedurali per la concessione delle agevolazioni previste dal D.Lgs 27 luglio 1999, Decreto n. Ministeriale (MURST) Insediamento n. del 297. 237/a dell` CIVR 8 agosto nel 2000. MURST. Questo decreto determina, ai sensi dell`art. 6, comma 2, del decreto legislativo 27 luglio 1999, n. 297 (di seguito denominato decreto legislativo n. 297/99) le forme, i criteri e le modalità procedurali dell`intervento del Ministero dell`Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica (MURST) a sostegno delle attività indicate all`art. 3 del citato decreto legislativo Decreto Ministeriale Il all`art. D.M. D.P.C.M. Legge Riforma 11 n. Decreto n. n. 643 ha modificato 10273 di n. del del ordinamenti 24 l`art. 5 novembre del 26 ricostituzione 341 degli del 297/99. D.Lgs marzo del 19 novembre didattici 1999. 204/98. 1999. CIVR. 1990: universitari. Le università rilasciano i seguenti titoli: a) diploma universitario (DU); b) diploma di laurea (DL); c) diploma di specializzazione (DS); d) dottorato di ricerca (DR). 385 386 L’analisi della valutazione della didattica universitaria e lo studio delle modalità di inserimento professionale dei laureati e dei diplomati ha assunto negli ultimi anni un’importanza crescente come strumento di verifica dei risultati conseguiti dalle diverse Università. Per valutare l’efficienza e l’efficacia e dei processi formativi attuati dai diversi Atenei, nonché definire un quadro comparativo in riferimento alla performance di questi ultimi, - soprattutto alla luce dei nuovi cambiamenti in termini di autonomia finanziaria, manageriale ed organizzativa (passaggio dal vecchio al nuovo ordinamento) - è fondamentale predisporre opportuni modelli statistici che permettano di comprendere le caratteristiche delle singole Università e/o delle diverse Facoltà e di segnalare eventuali disomogeneità presenti sul territorio. Tra le problematiche connesse all’attività di formazione, oltre a quelle appena menzionate, risulta molto importante quella relativa alla questione di quali siano le Facoltà che tendono ad avere il costo medio per studente sistematicamente superiore alle altre, oppure quelle che presentano un eccessivo ammontare di risorse impiegate per i servizi di funzionamento che vanno a coprire essenzialmente costi per personale non docente non qualificato. E’ altresì importante, nell’ambito della allocazione delle risorse del sistema universitario, procedere ad un’analisi statistica della variabilità dei costi e delle risorse per studente, al fine di definire quanta parte della variabilità osservata sia imputabile a situazioni oggettivamente diverse oppure sia dovuta al trattamento diversificato di situazioni simili. Nel primo caso, ad esempio, la diversa allocazione delle risorse può essere imputabile alle diverse dimensioni, o alle differenti condizioni ambientali e strutturali, o anche alla specificità delle aree disciplinari. Nel secondo caso, la variabilità osservata deriva dallo squilibrio tra le dotazioni assegnate agli Atenei in termini medi per studente a parità di aree disciplinari. La notevole variabilità osservabile all’interno del sistema universitario italiano, nei costi per studente, a livello di ateneo e di facoltà, è alla base della legge 537/93 riguardante il modello di riequilibrio del Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO), che definisce i criteri per la ripartizione tra gli atenei delle risorse del fondo stesso. Tale legge, ponendo l’accento sul concetto di “riequilibrio”, riconosce, 386 implicitamente, che dietro l’ampia variabilità dei costi riscontrata nelle analisi empiriche (Catalano e Silvestri, 1992), si cela, almeno in parte, dell’iniquità nell’allocazione delle risorse. Iniquità che è stata determinata dai meccanismi di finanziamento vigenti prima dell’entrata in vigore della legge sull’autonomia universitaria, non particolarmente attenti al problema di una adeguata allocazione delle risorse in rapporto al numero di studenti iscritti. Tuttavia, la legge 537/93, indicando che il “riequilibrio è finalizzato anche alla riduzione dei differenziali nei costi standard di produzione nelle diverse aree disciplinari ed al riallineamento delle risorse erogate tra le aree disciplinari”, implicitamente riconosce che “squilibrio” e “variabilità” (dei costi per studente) sono due concetti diversi e non sovrapponibili. E’ importante sottolineare questo aspetto poiché, essendo stata la norma di riequilibrio, stimolata da analisi che mettevano in evidenza la grande variabilità dei costi per studente, c’è il rischio che si tenda a confondere il concetto di “variabilità”, che rinvia a quello di “diversità di trattamento”, con il concetto e di “squilibrio”, che rinvia invece a quello di “iniquità di trattamento”. La nozione aristotelica di equità suggerisce di trattare in modo eguale situazioni simili, e in modo diverso (da definire adeguatamente) situazioni dissimili; questo implica che in presenza di situazioni molto variegate, come è appunto il caso dell’università italiana, caratterizzata da atenei con numero e tipo di facoltà, nonché numero di studenti, molto differenti, una variabilità dei costi è necessaria al fine di una “equa” allocazione delle risorse. Il punto è che dietro tale variabilità si può spesso celare “iniquità”. Nella ricerca delle fonti di variabilità, l’interpretazione dei seguenti commi della legge 537/93 può aiutare a tentare una prima classificazione: “…la quota di riequilibrio è da …ripartirsi sulla base di criteri ….. relativi a standard dei costi di produzione per studente e agli obiettivi di qualificazione della ricerca, tenuto conto delle dimensioni e condizioni ambientali e strutturali", e ancora “….Il riparto della quota di riequilibrio è finalizzato anche alla riduzione dei differenziali nei costi standard di produzione nelle diverse aree disciplinari ed al riallineamento delle risorse erogate tra le aree disciplinari, tenendo conto delle diverse specificità e degli standard europei”. Tali commi portano a concentrare l’attenzione sul costo standard per studente quale strumento per la riduzione di differenziali “ingiustificati” e, al tempo stesso, 387 evidenziano quali fattori di variabilità del costo standard alcuni elementi fondamentali, quali: 1. le diverse dimensioni, condizioni ambientali e strutturali 2. la specificità delle aree disciplinari 3. gli obiettivi di qualificazione della ricerca 4. l’efficacia nella formazione e nella ricerca scientifica. Il primo punto fa riferimento ad eventuali redimenti di scala del processo produttivo di formazione (dimensioni), nonché ad elementi che possono giustificare maggiori costi, connessi a condizioni ambientali e strutturali. Tra questi possiamo annoverare, ad esempio, l’offerta formativa in termini di numero di facoltà presenti nell’ateneo, o il fatto che si tratti di una facoltà di recente costituzione o meno. Per quanto riguarda il secondo punto (specificità delle aree disciplinari) è indubbio che i costi standard debbano tenere conto della maggiore costosità della formazione in determinate aree, e in questo senso il richiamo agli standard europei dovrebbe stimolare analisi tese a evidenziare quale tipo di variabilità si riscontri negli altri paesi tra le aree disciplinari. Gli altri punti (qualificazione della ricerca ed efficacia della formazione e della ricerca) necessitano di analisi particolareggiate che consentano di evidenziare criteri in base ai quali si possa definire come legittimo uno scostamento dagli standard fissati tenendo conto dei primi due criteri. Tra i fattori di variabilità relativa al costo standard per studente quale strumento per la riduzione di differenziali “ingiustificati” sembra di potere classificare invece tutto ciò che è connesso a diversità di trattamento a parità dei fattori precedentemente enunciati, ed in particolare: la variabilità derivante da squilibrio tra le dotazioni assegnate agli atenei in termini medi per studente, anche a parità di aree disciplinari. In questo senso si può affermare che due dei modelli utilizzati per il riequilibrio: il primo elaborato dalla Commissione tecnica per la spesa pubblica (Commissione tecnica per la spesa pubblica, 1996) e il secondo dall’Osservatorio per la Valutazione del Sistema Universitario (Doc. 03/98), possono servire ad esplicare la loro funzione solo per quanto riguarda il riequilibrio tra atenei, mentre hanno considerano solo marginalmente il problema delle aree disciplinari. Finora le analisi relative a queste problematiche (efficienza, efficacia, variabilità dei costi,..) sono state effettuate utilizzando semplici strumenti di analisi descrittiva o un 388 approccio di modellistica classico che non tiene conto della presenza di situazioni atipiche multivariate. Ad esempio, ci possono essere Atenei che, a causa di particolari situazioni contingenti, non risultano “anomali” sulla base di indicatori presi singolarmente, ma lo possono diventare se si considerano congiuntamente due o più indicatori, in quanto si scostano marcatamente dalle relazioni rilevate per le altre coppie di valori. Nell’ambito della valutazione dell’efficienza risulta molto importante capire quali sono le situazioni Universitarie che si discostano notevolmente dalle rimanenti. E’ ormai diffusamente riconosciuto nella letteratura che la presenza di valori anomali può inficiare i risultati di qualunque analisi statistica. Il problema si rivela particolarmente grave quando i valori anomali sono numerosi e si “mascherano” a vicenda, per cui le tecniche diagnostiche tradizionali non sono in grado di individuarli. Per ovviare a tale inconveniente è stato recentemente proposto un approccio di analisi innovativo (forward search), robusto ed applicabile con successo anche in situazioni complesse, che parte da un data set ridotto privo di outliers ed include sequenzialmente le rimanenti osservazioni in base ad una misura via via crescente di “anomalia” delle stesse (Atkinson e Riani, 2000). Alcuni gruppi di ricerca stanno applicando questo nuovo approccio metodologico all’analisi statistica dei dati forniti dal Comitato Nazionale per la Valutazione del Sistema Universitario (CNVSU), prodotti dal MIUR in collaborazione con il CINECA, ai dati sulla didattica e sugli sbocchi occupazionali relativi ad alcune Università italiane. In particolare, i ricercatori si propongono di analizzare: 1) i dati riguardanti l’Università italiana negli anni accademici più recenti e rilevati ai livelli di ateneo e/o di facoltà. Le informazioni utilizzabili per le analisi riguardano: gli immatricolati, gli iscritti in corso e fuori corso nei vari anni, i laureati, il personale docente ed il numero di corsi di laurea attivati, il personale impegnato nei programmi di ricerca, i dati finanziari e, infine, quelli relativi alle strutture didattiche e di ricerca. 2) gli indicatori proposti dal Comitato (doc11/98). Gli obiettivi di una tale ricerca saranno quelli di: 1. effettuare una serie di operazioni di verifica e di controllo tendente a migliorare la qualità dei dati di base; 2. predisporre metodi che consentano di evidenziare situazioni di squilibrio tra i diversi Atenei e/o, a livello più disaggregato, tra facoltà dello stesso ateneo e tra le stesse facoltà di atenei differenti; 389 3. costruire opportuni modelli che permettano di valutare l’efficienza e l’efficacia delle singole strutture Universitarie, e di svolgere analisi comparative sempre in termini di performance tra vecchio e nuovo ordinamento universitario; 4. portare i ricercatori della segreteria tecnica del Comitato, a conoscenza dell’approccio metodologico allo scopo di incrementare le competenze tecniche sull’analisi dei dati. L’impiego della metodologia della forward search consentirebbe di ordinare le osservazioni in base al loro grado di aderenza ad un determinato modello, di cogliere l’effetto inferenziale di ciascuna unità sui risultati proposti e di individuare in maniera robusta quali sono gli indicatori migliori per valutare l’efficienza del sistema universitario. Per raggiungere gli obiettivi specifici la ricerca dovrà preoccuparsi quindi di: • valutare l’efficienza dei diversi Atenei; • analizzare comparativamente vecchio e nuovo ordinamento; • segnalare le situazioni universitarie che presentano un profilo multidimensionale molto diverso dalle rimanenti a parità di aree disciplinari; • valutare l’impatto dell’autocorrelazione spaziale per quanto riguarda l’efficienza; • analizzare la variabilità dei costi medi per studente; • segnalare i fattori più importanti che facilitano l’inserimento del mondo del lavoro; Andranno presi in esame poi metodologie di previsione e di analisi di osservazioni multidimensionali, ad esempio: 1) regressione multivariata; 2) analisi dei gruppi; 3) analisi discriminante; 4) analisi delle componenti principali; 5) modelli autoregressivi per dati territoriali; 6) tecniche per la previsione di dati spaziali (kriging). Si dovrà quindi procedere alla: • analisi preliminare dei dati provenienti dal Comitato, con segnalazioni dell’eventuale presenza di valori inammissibili; • definizione della modellistica più appropriata da adottare nelle varie analisi da effettuare; • analisi delle problematiche teoriche legate all’applicazione della metodologia della forward search a campi finora non esplorati nella letteratura (modelli a componenti di varianza, modelli multilivello, modelli di analisi fattoriale, ecc.). Il tutto con la collaborazione di specialisti in materie statistiche e matematiche; 390 • analisi e validazione dei modelli proposti mediante l’algoritmo robusto di forward search in modo da: a) cogliere l’effetto inferenziale di ciascuna unità (ateneo o corso di laurea) sui risultati dell’analisi; b) evidenziare la presenza di eventuali gruppi di osservazioni atipiche (atenei o corsi di laurea); c) ordinare le osservazioni (atenei o corsi di laurea) in base al loro accordo con il modello proposto. Naturalmente questo è solo un esempio di ricerca finalizzata alla valutazione dell’efficacia del sistema universitario. 391 Verso un “Panvalutazionismo” Cercare di raggiungere i risultati e misurarli, elaborare strumenti di calcolo e indicatori standardizzati condivisi e confrontabili per capire se ci sono stati miglioramenti oppure le prestazioni nei confronti degli utenti sono peggiorate, a questo tendono tutti coloro che si approcciano alla valutazione, con strumenti e tecniche finora esclusivi del mondo aziendale e grazie a provvedimenti ad hoc. Il termine valutazione è carico di un tale fardello di significati che si ha l’impressione di avere a che fare con un incantesimo più che con una metodologia. Sebbene se ne parli tanto, in realtà il passaggio dalla “magia” al metodo e quindi a rilevazioni sistematiche dei risultati è ancora lontano. Il desiderio di migliorare le prestazioni, i servizi, ed altro, cioè l’efficienza e l’efficacia è comune ad ogni sistema, ma affermano coloro che lavorano negli uffici preposti alla valutazione, o che svolgono valutazioni come esterni: spesso le relazioni valutative sono ignorate, insabbiate, sacrificate per scelte dettate da logiche politiche o interessi malcelati. Inoltre l’efficacia e l’efficienza sono state quasi mitizzate e si pensa che misurarle significhi in modo automatico conseguire risultati migliori. Tra le norme che mirano ad istituzionalizzare la valutazione, l’esempio più noto è il decreto legislativo n.286/1999 che disciplina il controllo e monitoraggio del sistema organico interno all’azione amministrativa. A questo si è aggiunto, nel 2000, un decreto ministeriale che ha istituito le Lauree specialistiche ( tra le 102 classi previste c’è quella di “metodi per l’analisi valutativa dei sistemi complessi”) se bastava imparare due o tre cose per riuscire ad ottimizzare le risorse, stupisce che non si sia stati in grado di farlo prima. Valutare – Migliorare sembra essere la nuova parola d’ordine di tutti i sistemi sociali, politici, economici. La domanda chiave è: la valutazione migliora davvero l’azione pubblica o privata che sia? Nel tentativo di catalogare le aspirazioni per la valutazione, alcuni suggeriscono criteri quali: meritocratico, razionalizzatore, resocontista, conoscitivo, partecipativo. L’aspirazione meritocratica consiste nell’identificare i migliori per premiarli, siano essi progetti, approcci al problema, interventi, distinguere cioè cosa è meritevole da cosa non lo è. L’aspirazione a razionalizzare coincide con la volontà di controllo interna ed esterna, ossia di identificare le cose che non vanno e trovare una soluzione ai problemi (per la pubblica 392 amministrazione questo equivale ad esempio ad un giudizio sui costi e sulla qualità confrontati con gli standard di altre organizzazioni). L’aspirazione resocontista è il rendere conto dei risultati dell’azione svolta e si realizza con la messa in opera di sistemi di descrizione e misurazione dell’attività stessa per legittimarla. La quarta componente è conoscitiva, ossia apprendere lezioni dall’esperienza, analizzare in modo critico gli atti compiuti per capire se funzionano o meno. La quinta aspirazione è quella di rendere partecipi tutti coloro che hanno un interesse legittimo a che l’azione venga compiuta. Tra i progetti messi in campo durante il Forum P.A. 2003, uno mira ad individuare diffondere e condividere gli “indicatori” di risultato della pubblica amministrazione. L’obiettivo è quello di creare un punto di incontro che funzioni da riferimento per tutti gli enti e le amministrazioni che decidano di misurare le proprie performance di servizio al cittadino e quelle interne, di tipo organizzativo. A tale proposito un esempio concreto è quello del Ministero della Giustizia che ha individuato ben 200 indicatori di performance che potrebbero costituire un patrimonio utile da condividere e confrontate con quelle degli altri ministeri e della pubblica amministrazione in genere. La scelta degli indicatori da inserire in una ipotetica lista spetterà ad un comitato scientifico costituito ad hoc. Si tratterà dunque di qualcosa di simile ad una carta di identità per ogni ente con riferimenti bibliografici, modalità di raccolta ed elaborazione di tutti i dati. Il punto d’incontro, costituito quindi da un vero e proprio sito informatico, fornirà a tutti coloro che ne digiteranno l’indirizzo web i riferimenti per accedere ad altri siti istituzionali come quelli di Ministeri, Province, Regioni, Comuni. Ogni amministrazione potrà consultare tutta la gamma di indicatori a condizione di contribuire all’arricchimento di tale archivio mettendo a disposizione la propria esperienza. In una prima fase l’esperimento si limiterà a classi di amministrazioni omogenee, come le Università, le aziende sanitarie, le Camere di commercio, in seguito verrà esteso a tutto l’universo della pubblica amministrazione. L’attività di valutazione, mai così di moda come ora, presenta dunque elementi di rischio quello più evidente è lo scivolamento verso il valutazionismo, ove il valutare anziché una riflessione diventa un’attività tra l’ossessivo-burocratico (riempire o far riempire moduli, schede, questionari, scrivere relazioni, ecc..) e il paranoico (come sarà valutato il mio lavoro, i miei risultati, cosa di dirà di me?..) e l’ipertecnico (procedure standardizzate, 393 formule, dati, ecc..); cosicché variabili quali la ricerca, il rischio, la passione non hanno spazio nella valutazione e sono soppiantate da termini astratti e asettici. La passione non è misurabile, gli esperti di valutazione ci dicono che per essere valutabile una cosa deve essere misurabile. In tal senso un brano di Mozart o un quadro di Picasso non sono valutabili, in quanto non misurabili, così come un piatto di pastasciutta, a meno che per misurabilità non si intenda la somma degli ingredienti (note, colori, sugo) e il tempo impiegato. Ma il non misurabile non può e non deve essere qualcosa da escludere, o di preoccupante, bensì un dato sul quale riflettere nel costruire nuove ipotesi teorico-operative all’interno di un agire. Certamente può apparire anacronistico e inattuale sostenere ciò in un ambiente che premia la prestazione specialistica, l’orientamento al risultato, la conformità a norme e modelli canonici di comportamento e l’acquisizione di certezze. Ed è altrettanto certo che non sarebbe utile a nessuno contrapporre metodi basati sul dubbio, l’incertezza, l’esplorazione, a metodi basati sul rigore , sulla rigidità, sulla definizione precisa di parametri, se non riusciamo a cogliere le debolezze e le potenzialità delle due impostazioni e soprattutto la forza della loro interazione. Abbiamo bisogno di dividere e distinguere tutto ciò che è scienza (ciò che è misurabile, spiegabile, verificabile, riproducibile, efficace) da ciò che non è misurabile, spiegabile, non verificabile, non riproducibile, inefficace) ma forse abbiamo anche bisogno di valorizzare interventi coraggiosi, appassionati e distinguerli da interventi ineccepibili sul piano metodologico ma del tutto privi di senso, di creatività. Forse c’è già un “Panvalutazionismo” dilagante che ci costringerà tra un breve lasso di tempo ad un ripensamento dei moduli valutativi, come contrappeso alla sempre più difficile conoscibilità dell’efficacia. L’attività di valutazione presenta elementi di rischio quello più evidente è lo scivolamento verso il valutazionismo, ove il valutare anziché una riflessione diventa un’attività tra l’ossessivo-burocratico (riempire o far riempire moduli, schede, questionari, scrivere relazioni, ecc..) e il paranoico (come sarà valutato il mio lavoro, i miei risultati, cosa di dirà di me?..) e l’ipertecnico (procedure standardizzate, formule, dati, ecc..); cosicché variabili quali la ricerca, il rischio, la passione non hanno spazio nella valutazione e sono soppiantate da termini astratti e asettici. 394 La passione non è misurabile, gli esperti di valutazione ci dicono che per essere valutabile una cosa deve essere misurabile. In tal senso un brano di Mozart o un quadro di Picasso non sono valutabili, in quanto non misurabili, così come un piatto di pastasciutta, a meno che per misurabilità non si intenda la somma degli ingredienti (note, colori, sugo) e il tempo impiegato. Ma il non misurabile non può e non deve essere qualcosa da escludere, o di preoccupante, bensì un dato sul quale riflettere nel costruire nuove ipotesi teorico-operative all’interno di un agire. Certamente può apparire anacronistico e inattuale sostenere ciò in un ambiente che premia la prestazione specialistica, l’orientamento al risultato, la conformità a norme e modelli canonici di comportamento e l’acquisizione di certezze. Ed è altrettanto certo che non sarebbe utile a nessuno contrapporre metodi basati sul dubbio, l’incertezza, l’esplorazione, a metodi basati sul rigore , sulla rigidità, sulla definizione precisa di parametri, se non riusciamo a cogliere le debolezze e le potenzialità delle due impostazioni e soprattutto la forza della loro interazione. Abbiamo bisogno di dividere e distinguere tutto ciò che è scienza (ciò che è misurabile, spiegabile, verificabile, riproducibile, efficace) da ciò che non è misurabile, spiegabile, non verificabile, non riproducibile, inefficace) ma forse abbiamo anche bisogno di valorizzare interventi coraggiosi, appassionati e distinguerli da interventi ineccepibili sul piano metodologico ma del tutto privi di senso, di creatività. Se tutto è valutato, nulla è valutato! 395 Bibliografia . Agnoli Maria Stella - Fasanella Antonio, La scommessa sociologica. Prove tecniche di valutazione. “Sociologia e ricerca sociale”, n. 51, 1996. Agnoli, M.S. - Fasanella, A. (1996), La scommessa sociologica. Prove tecniche di valutazione, in "Sociologia e ricerca sociale", XVII, 51, pp. 115-152. Allulli Giorgio, La valutazione dei sistemi educativi, "Scuola democratica", n. 2/3, 1997. Altieri Leonardo – Migliozzi Daniela, Una ricerca di qualità. 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